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Storia dei metodi e delle forme di rappresentazione

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Frank Lloyd Wrightgeometria e astrazione nel Guggenheim Museum

Cosimo Monteleone

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Collana di Storia dei metodi e delle forme di rappresentazione

Direttore scientifico Agostino De Rosa, Università Iuav di Venezia

Comitato scientifico Vito Cardone, Università di Salerno; Andrea Giordano, Univer-

sità degli Studi di Padova; Riccardo Migliari, Università degli Studi di Roma "La Sa-

pienza"; Rossella Salerno, Politecnico di Milano.

Comitato di redazione Giuseppe D’Acunto, Università Iuav di Venezia

La collana intende introdurre il lettore italiano nell'ambito degli studi storici dedicati

ai metodi e alle forme di rappresentazione, la cui evoluzione - dai primitivi approcci

intuitivi fino alle rigorose elaborazioni incardinate su coerenti conoscenze di ottica e

di geometria - esibisce i forti legami intercorrenti tra l'esperienza artistica e l'elabora-

zione scientifica del problema. I testi raccolti in questa collana offriranno un'ampia pa-

noramica sullo 'stato dell'arte' relativo agli studi critici di settore condotti sia in Italia

che all'estero, sottolineando come le attuali tendenze della ricerca si stiano orientando

verso un approccio multi-disciplinare ai temi di indagine.

Copyright © MMXIII

ARACNE editrice S.r.l.

www.aracneeditrice.it

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133/A–B

00173 Roma

(06) 93781065

isbn 978–88–548–6523–5

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,

di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopie

senza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: ottobre 2013

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Sommario

Introduzione

Geometria:tra gioco e scienza IX

Capitolo I

Formazione: un Kindergarten speciale e le letture personali 3

Capitolo II

Regole di gioco: il Kindergarten e i suoi riflessi 17

Capitolo III

Archeseum: scomposizione in elementi e sintesi strutturale 37Alessio Bortot

Capitolo IV

Lezioni di Geometria Descrittiva: l’Accademia e le superfici 73

Capitolo V

Lezioni dall’Oriente: le stampe giapponesi e i disegni 97

Capitolo VI

Lezioni di Tenebre: astrazioni di luce e ombra 133

Disegni d’archivio 151

Bibliografia 167

Indice dei nomi 173

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Introduzione

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GeoMetria: tra Gioco e scienza

“Conservare lo spirito dell’infanzia dentro di

sé per tutta la vita vuol dire conservare la cu-

riosità di conoscere, il piacere di capire, la

voglia di comunicare”.

Bruno Munari, Mostra antologica, Milano

1986.

Tanti sono i pareri sull’influenza che il gioco e lo

studio esercitano sulla formazione dell’individuo,

ma tutti i pedagoghi concordano nel ritenere en-

trambi fondamentali per un suo sano accresci-

mento psicofisico, in particolare, i cosiddetti giochi

di ‘costruzione’ sollecitano l’interpretazione della

realtà, introducendo il bambino a quanto gli esperti

definiscono “imitazione differita”1, ossia la capa-

cità di riprodurre comportamenti anche in assenza

di un modello; questo tipo di abilità, appresa nel

periodo dell’infanzia, si pone come fondamento

anche nelle fasi successive di crescita. A riprova di

quanto sostenuto si consideri l’approccio d’astra-

zione richiesto dalla Geometria, materia che inse-

gna a rielaborare il mondo che ci circonda

schematizzandone la complessità e associando la

realtà a costrutti mentali. Se davvero il gioco e lo

studio rivestono un ruolo così importante nella for-

mazione dell’io, ci si domanda: quanto di quello

che apprendiamo nel periodo di formazione si ri-

versa nel comportamento e nelle opere dell’indivi-

duo adulto? Volendo formulare la domanda in

termini differenti e in questo specifico contesto: è

possibile risalire alle conoscenze e alle competenze

acquisite nella fase di formazione – che alcuni edu-

catori ritengono non termini mai – passando attra-

verso l’analisi di una produzione matura? Se, in

generale, sembra scontato rispondere affermativa-

mente a queste domande, quando le intenzioni di

una simile ricerca sono rivolte a figure straordina-

rie come quella di Frank Lloyd Wright, l’esplora-

zione – finalizzata ad una rilettura originale del

personaggio e della sua opera – diventa di difficile

attuazione e piuttosto insidiosa, in prima istanza

perché le radici culturali dell’architetto americano

sono molte e disparate, e poi perché esistono già

numerosi e validi studi a riguardo. E allora, che

scopo ha insistere su questi argomenti se gli stu-

diosi hanno già scandagliato la relazione tra le at-

tività svolte con il metodo educativo di Fröebel e

la produzione architettonica del periodo Prairie?

O mettere a confronto la produzione grafica del-

l’architetto e il fascino per le forme di rappresen-

tazione estremo-orientali? Il motivo è da ricercare

nel desiderio di superare le analogie formali e sim-

boliche tra i disegni presenti all’interno del ma-

nuale del Kindergarten e le planimetrie o i volumi

degli edifici wrightiani che, comunque, in questa

sede non si vogliono negare; in particolare, con

quest’opera si vuole mettere in luce la maniera in

cui per l’architetto americano il gioco delle geo-

metrie fröebeliane si è trasformato ad un certo

punto in scienza esatta. Per compiere questa ope-

razione è stato vagliato un periodo di formazione

poco considerato dalla critica, riconducibile ai due

anni di Ingegneria Civile frequentati da Wright

all’Università di Madison nel Wisconsin. Riper-

corse le vicissitudini biografiche, che dalle prime

sperimentazioni geometriche portarono il giovane

Frank fino ad arrivare all’incontro con la Geome-

tria Descrittiva, l’analisi delle ripercussioni indotte

da queste esperienze formative è stata compiuta su

uno dei capolavori più maturi del Maestro: il Gug-

genheim Museum, entrando nel merito delle pos-

sibili cause antropologiche che innescarono

determinate soluzioni formali, individuando le re-

gole teoriche e le geometrie sottese – a volte più

evidenti, a volte nascoste – alla base del suo con-

cepire, rappresentare e costruire l’architettura. Il

celebre edificio, le cui forme plastiche sottraggono

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un brandello di città alla rigida maglia ippodamea

di New York, è certamente frutto di una profonda

conoscenza della Geometria Descrittiva, alle cui

regole l’architetto si è rivolto non solo per risolvere

i problemi legati al complicato assemblaggio delle

superfici, ma anche per promuovere l’immagine di

un museo che fosse il ‘ritratto’ della modernità.

Come si cercherà di dimostrare, per far questo

Wright si è avvalso di rigorose rappresentazioni

prospettiche che seguono le regole sedimentate

dalla scienza della rappresentazione occidentale

nel corso dei secoli, non disdegnando il fascino

esotico esercitato dall’estetica giapponese.

In conclusione, l’opera proposta si concentra si-

multaneamente su due aspetti: da una parte, as-

sume quale cardine speculativo il sistema

formativo impartito all’architetto nei suoi precetti

teorici e didattici, dall’altra individua nell'architet-

tura l’espressione di un atto creativo, che conduce

dal disegno all’opera finita. Se alla fine il lettore

riterrà che lo sforzo di dimostrare l’interesse di

Wright per la Geometria abbia aggiunto un tassello

al più ampio contesto delle sue poliedriche capa-

cità, allora anche quest’opera, come quelle di ben

più illustri studiosi, avrà dato risposta affermativa

alle domande precedentemente poste.

Gli esiti di questa ricerca sono il frutto dell’impe-

gno profuso all’interno del XXV Ciclo della

Scuola di Dottorato (IUAV), curriculum in Rap-

presentazione dell’Architettura; la mia gratitudine

va prima di tutto ad un uomo di grande acume e

cultura, il professor Luciano Semerani il quale,

oltre ad avere suggerito il rapporto tra il Guggen-

heim Museum e l’istituzione fröebeliana, ha sem-

pre creduto e sostenuto questo lavoro. Ringrazio

sentitamente anche la professoressa Antonella

Gallo, le cui critiche costruttive hanno dato nuova

linfa al progetto di ricerca; mi si permetta di rin-

graziare Nat Trotman per avermi concesso di ac-

cedere alla ricca documentazione conservata agli

Archivi del Guggenheim Museum di New York,

nonché il direttore della Frank Lloyd Wright Foun-

dation a taliesin West (AZ), Bruce Brooks Pfeiffer,

per la squisita accoglienza nella ‘casa invernale’ di

Wright, per avermi dato il permesso di consultare

i disegni originali ed essersi intrattenuto con me,

raccontando aneddoti sul Maestro. Il mio debito

personale, per i fondamentali suggerimenti ricevuti

e le accurate correzioni apportate a quest’avven-

tura intellettuale, va doverosamente ai proffessori

Agostino De Rosa dello IUAV di Venezia e Andrea

Giordano dell’Università di Padova, oltre che alla

collega arch. Isabella Friso. Un’ulteriore menzione

va al professor Giammaria Concheri dell’Univer-

sità di Padova e alla dottoressa Manuela Faresin,

per il supporto alla prototipazione dei modelli in

gesso del Guggenheim Museum, prodotti in fase di

studio per le opportune verifiche.

Un ringraziamento particolare va alla mia famiglia,

senza il cui sostegno non avrei potuto portare a ter-

mine il lavoro e, in particolar modo, ai miei geni-

tori, Antonietta Vizzarro e Riccardo Monteleone,

a cui devo praticamente tutto. Inoltre a mia sorella,

la professoressa Maria Grazia Monteleone, inse-

gnante di Lettere alla Scuola Media Orazio Flacco

di Carosino (TA) va la mia profonda gratitudine

per avermi messo a conoscenza delle teorie prin-

cipali sull’educazione e pazientemente accompa-

gnato nello studio del Kindergarten. Infine

ringrazio alcune persone per me davvero molto

speciali che hanno saputo ascoltare e supportare:

il dottor Giovanni Antonio Ferracina, la dottoressa

Emanuela Vizzarro, che mi ha accompagnato per

la prima parte del viaggio-studio negli Stati Uniti,

le dottoresse Elisa Tatullo e Ilenia D’Errico, il

Maggiore della ‘Folgore’ Massimiliano Finamore.

Si tenga presente che, quando non specificata-

mente indicato, la paternità delle immagini è da at-

tribuire al sottoscritto così come, più in generale,

le imprecisioni.

Padova, ottobre 2013

Nota

1 Cfr. L. Trisciuzzi, Psicologia, educazione, ap-

prendimento: Manuale di Psicopedagogia, Giunti,

Firenze 1984.

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Fig. 1. Friedrich Wilhelm August Fröebel (1782-1852), ideatore del Kindergarten.

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CAPIToLo I

FoRMAzioNe: uN KINdErGArTEN speciAle e

lettuRe peRsoNAli

“Blow, wind, blow, and go, mill, go, / That themiller may grind his corn, / That the bakermay take it, and into rolls make it, / And bringus some hot in the morn”. Mother Gooses Nursery Rhymes, ApplewoodBooks, Carlisle (MA), 1877, p. 183.

Poco tempo dopo la sua prima costituzione, il Kin-

dergarten – letteralmente: giardino dell’infanzia –ha assunto differenti sfumature di significato nelpanorama internazionale della formazione pedago-gica, tant’è che nell’accezione odierna esso si di-scosta notevolmente dalle attività originali che ibambini avrebbero dovuto svolgere in seno al me-todo pianificato dal fondatore, Friedrich WilhelmAugust Fröebel1 (fig. 1). Per comprendere quantosia profonda l’influenza del Kindergarten nella for-mazione di Frank Lloyd Wright, prima ancora diaddentrarsi nella ‘filosofia’ del metodo, convieneriferire in modo sintetico, ma con precisione, aquale ‘parte’ dell’istituzione pedagogica l’archi-tetto americano fu introdotto dalla madre AnnaLloyd Jones (fig. 3), con quali modalità e in qualicircostanze. Questo breve percorso di ricostruzionestorico-biografica prende le mosse da un punto dipartenza privilegiato, le parole scritte dell’autore,raccolte in An Autobiography2 (1932):

“All’Esposizione del Centenario di Filadelfia,dopo una visita protrattasi per tutto il giorno,la mamma fece una scoperta. Non appena tor-nata a casa, non vedeva l’ora di andare a Bo-ston, da Milton Bradley. Il metododell’insegnamento per mezzo dei giochi!Aveva veduto i doni nel Palazzo dell’Esposi-zione. Le strisce di carta colorata, lucida e me-tallizzata, dalle tinte tenui e brillanti. […] Lamamma si recava a Boston, prendeva lezionida un’insegnante del metodo Fröbel e tornavaa casa a insegnare ai bambini. Una volta sbri-gate le faccende domestiche, ella e i due fan-ciulli sedevano a un basso tavolo di mogano

dal piano lucente e lavoravano con i doni”3.

Nei ricordi dell’architetto americano, quindi, Annasarebbe venuta a conoscenza del metodo di Fröbelnel 1876, in occasione dell’Esposizione del Cen-tenario a Filadelfia (fig. 2), e si sarebbe recata, ap-pena le fu possibile, a Boston da Milton Bradley(1836-1911), il pioniere americano dei giochi datavolo, per acquistare i doni attraverso i quali i suoidue figli, Frank e Mary Jane4, rispettivamente di 9e 7 anni, giocando, avrebbero dovuto iniziare illoro percorso di apprendimento. Come fa notareacutamente Edgar Kauffmann Jr., è molto impro-babile che alla madre di Wright fosse completa-mente ignota l’esistenza del metodo fröebelianoprima del Centenario5, innanzitutto perché, in-sieme alle due sorelle, si occupava professional-mente di educazione infantile6, e poi perché ilprimo Kindergarten fu istituito ufficialmente negliStati Uniti nel 1860, ad opera di Elisabeth Pea-body7. Inoltre, se si tiene conto del fatto che pro-prio nel Wisconsin, intorno al 1850 – quando laregione era ancora considerata un ‘territorio diconquista’, non molto lontano da Spring Green,dove il clan dei Lloyd Jones si era insediato – eragià attivo un Kindergarten originale, istituito daMargaretha Meyer of Hamburg8, allieva di Fröe-bel, se ne deduce che non si può affermare, con as-soluta certezza, che le fosse completamentesconosciuto quel tipo di percorso educativo. Inquesta ipotesi di ricostruzione storiografica si rile-vano comunque alcuni punti fermi, che è bene te-nere in considerazione: il primo è che Wright erastato introdotto al metodo di Fröebel a 9 anni,quindi già in età avanzata rispetto ai bambini per i

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quali il metodo era stato concepito; il secondo èche egli non partecipò mai ad un vero e proprioKindergarten in senso stretto. Si tenga a mente chenelle intenzioni di Fröebel gli allievi, di età com-presa tra i 3 e i 5 anni, dovevano formare classi re-lativamente esigue, riunite in gruppi costituiti dai24 ai 32 componenti9. Notevole importanza era as-segnata agli svaghi all’aperto e soprattutto alle at-tività comunitarie, ivi compreso il giardinaggio;Fröebel teneva molto al fatto che i bambini fosseroresponsabili di piccole colture di fiori, granaglie everdure, e che trascorressero in compagnia le orededicate ai giochi, ai canti e alle danze; così comeera tenuto in grande considerazione l’aiuto reci-proco, anche all’interno delle attività destinatestrettamente all’apprendimento10, suddivise – comeanalizzeremo approfonditamente in seguito – indue macro categorie: i doni e le occupazioni. Inconclusione, nelle intenzioni del pedagogo tedescolo svolgimento dei compiti in cooperazione, carat-terizzati dalla piena libertà di movimento e di lin-guaggio, avrebbero favorito nei bambini un sicurosviluppo della socializzazione, l’irrobustimento fi-sico e l’espressione spontanea delle singole iden-tità. Stando a quanto affermato in An

Autobiography, il piccolo Frank non avrebbe fre-quentato un vero e proprio Kindergarten, poichégli mancarono non solo i compagni di giochi – po-tendo contare soltanto sulla compagnia della so-rella Mary Jane – ma, soprattutto, gli eserciziall’aperto, compreso il giardinaggio. Infatti, la

madre dell’architetto piegò il metodo di Fröebelalle ristrettezze economiche familiari e, non po-tendo permettersi prestazioni professionistiche,impartì personalmente ai figli le lezioni al tavolodei giochi, escludendo una parte rilevante del pro-gramma e puntando esclusivamente sulle attivitàche potevano essere svolte all’interno della stanzapresa in affitto a Weymouth nel Massachusetts:

“Un piccolo mondo casalingo di colori e diforme giunse ora alla portata delle minuscoledita. Colori e strutture, in superficie e nellospazio. Forme che comunque si celavano die-tro le apparenze. Ecco qualcosa di cui l’inven-tiva poteva impadronirsi, di cui poteva servirsiper creare. Questi doni entrarono nella grigiacasa della squallida, antica Weymouth e die-dero vita a qualcosa che non aveva mai vissutofra quelle quattro pareti. La mamma si recavaa Boston, prendeva lezioni da un insegnantedel metodo Fröebel e tornava a casa ad inse-gnare ai bambini. Una volta sbrigate le fac-cende domestiche, ella e i due fanciullisedevano a un basso tavolo di mogano dalpiano lucente e lavoravano con i “doni”. […]Come tutti i maschi, non teneva in alcun contola sorella. E così giocava quasi sempre perconto suo”11.

Questi primi ricordi dell’autore riguardo al Kinder-

garten vennero anche ripresi in A testament

Fig. 2. centennial exposition di philadelphia (1876): presentazione del Kindergarten.

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(1957), l’ultima opera scritta da Wrigh. Ancoraoggi questi annunci risuonano come echi inusuali,provenendo da un personaggio notoriamente restìoad ammettere ogni sorta di influenza diretta nel-l’esercizio della sua professione; sebbene, ad unaanalisi più approfondita, egli riconobbe anche inmolte altre occasioni il debito nei confronti del ce-lebre educatore tedesco12:

“L’intenso interesse di mia madre nel sistemadi Fröebel fu destato alla Fiera Centenaria diPhiladelphia nel 1876. Nel Kindergarten diFriedrich Fröebel esibito in quel luogo, miamadre scoprì i Doni, e doni in effetti erano.Essi erano accompagnati da un sistema chefungeva da base per il disegno e la geometriaelementare, insita nella nascita naturale dellaForma. […] Io sedevo al piccolo tavolo delKindergarten solcato in ogni direzione da lineedistanti quattro pollici l’una dall’altra, in mododa creare quadrati della stessa dimensione: e,fra le altre cose, giocavo su queste linee mo-dulari con il quadrato e il cubo, il cerchio e lasfera, il triangolo e il tetraedro o tripode – tuttierano costituiti da lisci blocchetti d’acero o dicartone scarlatto. […] Ma i lisci triangoli dicartone e i blocchi in legno d’acero eranomolto importanti. Li sento ancora oggi fra ledita. […] Il vantaggio di tutto questo sta nel ri-svegliare la mente del bambino alla strutturaritmica della Natura – fornendo al fanciullo uninnato senso di causa-effetto altrimenti moltolontano dalla capacità di comprensione infan-tile. divenni subito sensibile al modello co-struttivo che si sviluppava in ogni cosaosservassi. Imparai a ‘vedere’ in questo modoe quando lo feci, non mi preoccupai più di di-segnare gli effetti incidentali della Natura. Iovolevo comporre”13.

Il giovane Wright ebbe quindi un’infanzia solitaria,frequentando un Kindergarten lacunoso che, se dauna parte lo abituò a non dare per scontate leforme, alimentando in lui una certa elasticità e ca-pacità a intravvedere le possibili configurazionigeometriche e dinamiche di un elemento dato,dall’altra instillò in lui il seme di una fiera e indo-mita indipendenza, successivamente proprio que-sta caratteristica caratteriale fu causa di scontro conl’opinione pubblica coeva. Inoltre, se l’esperienza

della condivisione e del confronto con i compagnidi giochi non fu mai più recuperata, al contrarionel periodo dell’adolescenza Wright poté procu-rarsi un contatto privilegiato con la natura, com-pletando in parte, da autodidatta, la primaformazione acquisita nel suo speciale Kindergar-

ten. La madre infatti, preoccupata per il solipsismodel piccolo Frank – che prediligeva leggere e fan-tasticare, piuttosto che uscire all’aria aperta e gio-care con i suoi coetanei – lo affidò alle cure di unozio, in modo tale che, introducendolo alla dura vitadei campi, lo temprasse nella vita reale. In questianni di contatto diretto con le rigogliose praterie ei folti boschi di Spring Green, le relazioni, traquanto appreso al tavolo dei giochi e le regole im-poste dalla natura, si rivelarono al giovane Frankin tutta la loro adamantina chiarezza; esse, che agliocchi di un ragazzo intelligente dovevano essereapparse come vere e proprie ‘rivelazioni dellamente’, erano supportate anche da quell’humus

teorico-religioso fornito dalla fede Unitariana14

della famiglia Lloyd Jones (fig. 3). In relazione al peso attribuito da Wright all’attivitàludica, promossa da Fröebel, appare lecito ipotiz-zare che l’architetto americano abbia ‘aggiustato’alcuni riferimenti autobiografici, indirizzati alla fi-gura materna, piegandoli alla costruzione di unmito personale, indipendente da influenze esterne;il tutto per imputare il successo della sua carrieraesclusivamente alla sfera delle proprie capacità o,al massimo, all’influenza esercita dalla stretta cer-chia familiare15. È dal rapporto con il padre, infatti,che Wright ammise di aver ricevuto un’ulteriorespinta formativa alla professione dell’architetto.William russell Cary Wright (fig. 4), era notocome un uomo dal carattere estremamente strava-gante, a tratti addirittura irresponsabile nei con-fronti dei più elementari doveri genitoriali. Pareche la sua intera esistenza fosse basata sulla pas-sione per la musica e non vi è quindi da stupirsi segli sbiaditi ricordi del piccolo Frank, riguardanti lafigura paterna, rimandino soprattutto alle compo-sizioni dei grandi musicisti tedeschi:

“Fu lui che mi insegnò a vedere una sinfoniacome un ‘edificio di suoni’ composto da unmaestro”16.

Il medesimo concetto espresso, usando la terzapersona, in An Autobiography, molti anni prima

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che i ricordi si sbiadissero nella memoria o fossero‘ricostruiti’ per adeguarsi al proprio personalemito:

“Il ragazzo, giacendo sul letto in ascolto, im-parò a memoria gran parte delle melodie diBeethoven e Bach. Vivere gli sembrava alloraun sinonimo di ascoltare […] suo padre gli in-segnò a scorgere in ogni sinfonia un edificio,un edificio di suoni”17.

Ma nella formazione dell’architetto, spesso nonconsiderata dai critici nella complessa totalità deisuoi aspetti, rivestono un ruolo primario anche leletture giovanili, molte di queste dedicate ai temidell’architettura18, compiute nei due anni (1886-1887) in cui frequentò la Facoltà di Ingegneria aMedison19, comunque mai terminata. Sulla ma-niera in cui il breve periodo accademico plasmò leconoscenze dell’architetto, soprattutto concernentila Geometria descrittiva, diremo dettagliatamentenei Capitoli IV e V, per ora basti sottolineare chela prova dell’influenza di queste letture, incentratesulla ‘verità’ del Gotico, è riscontrabile nella pre-fazione al volume che accompagnava la celebremostra di Berlino del 1910, con la quale vennerointrodotti in Europa i principali lavori dell’archi-tetto americano:

“È necessaria una rinascita dello spirito goticonell’arte e nell’architettura della vita moderna.[...] La rinascita dello spirito gotico non vuoldire che dobbiamo usare le forme dell’archi-tettura gotica così come ci sono state traman-date nel Medioevo”20.

Naturalmente l’interesse di Wright per l’architet-tura gotica presentò caratteristiche del tutto perso-nali, che andavano al di là dell’assimilazione degliaspetti esteriori, propugnati dai movimenti ottocen-teschi, rivolti alla rivalutazione critica dello‘stile’21. da queste letture Wright colse piuttosto i principidi integralità del metodo costruttivo medievale22,superando il gusto per l’ornamento, contraddi-cendo coloro i quali, forse non senza ragione, ave-vano in parte frainteso il pensiero ruskiniano, ilquale, come osserva roberto di Stefano, ebbe inrealtà come fulcro “la qualità artigianale dell’orna-mento”23. Si considerino queste parole cruciali e

chiarificatrici di John ruskin (fig. 5):

“[…] è chiaro che la scatola è stata costruitaper il benessere naturale dell’uomo; ma l’or-namento per quanto tenue, anche se si riduceal semplice raggruppare i camini, serve a sod-disfare un’esigenza non materiale, un esi-genza dello spirito e dell’immaginazione”24.

Anche se non si pose sullo stesso piano della cri-tica ruskiniana, per Wright lo stile di un edificionon poteva derivare da una un’aggiunta esteriore,ma rappresentava “la conseguenza di una qualitàintegrale, ovvero è in gran parte un fatto di carat-tere innato”25. Quindi, il giovane Frank intuì chel’unica soluzione a questi problemi, perfettamenteinterpretata poi nella sua architettura organica, po-teva essere individuata in una metodologia opera-tiva, che trovava nella progettazione totale larisposta più idonea. Ma al di là del problema dell'ornamento è possibileriscontrare altre, più profonde, analogie tra il pen-siero di Wright e gli scritti di ruskin, soprattuttointorno allo stretto rapporto tra struttura e formaarchitettonica:

“Nella volta di una copertura gotica non è fal-sità gettare la forza nelle costole di essa, e faredello spicchio intermedio un semplice involu-cro. Una simile struttura sarà intuita da un os-servatore intelligente, non appena egli vedràuna copertura di tal genere; e la bellezza dellesue decorazioni saranno aumentate se manife-stano e seguono le linee della sua forza prin-cipale”26.

Sebbene il passo riportato sia ancora molto lontanodai principi dell’architettura organica di Wright esi avvicini, semmai, maggiormente alla posizionedi Luis H. Sullivan (fig. 10), non vi è dubbio chequeste letture abbiano contribuito fortemente allaformulazione di concetti quali quello di esube-

ranza associato alla Bellezza, tra gli altri riscon-trato in uno degli autori preferiti dall’architettoamericano, il poeta e disegnatore William Blake(1757-1827), sul quale Wright così si espresse:

“William Blake disse, ‘Esuberanza è Bel-lezza’. Mi è occorso molto tempo per rendermiconto del senso delle parole esatte di questo

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Fig. 3. Il clan dei Lloyd Jones, Anna Lloyd Jones (1838-1923), madre di Wright è sedutaal centro.

Fig. 4. William russel Cary Wright (1825-1904),padre di Wright.

Fig. 5. John ruskin (1819-1900), sostenitore dei principi spirituali e strut-turali dell’architettura.

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poeta. […] Blake intendeva che la bellezzaconsegue sempre da una pienezza totale di na-tura nell’espressione: che è espressione intrin-seca. Mai l’eccesso va confuso conl’esuberanza; l’eccesso è sempre volgare. Chiconosce questa differenza tra eccesso ed esu-beranza sente la natura del principio poetico,e non corre il rischio di impoverire, o di esserfatto povero, dal suo lavoro”27.

Un altro punto fondamentale di divergenza traWright e ruskin riguarda la diversa attitudine aconsiderare la modernità un fenomeno positivo,piuttosto che negativo; mentre lo scrittore britan-nico denunciò un avvento disordinato dell’Era In-dustriale, causa dello svilimento costruttivodilagante, Wright si pose sulla scia dell’avanguar-dia, incoraggiando l’introduzione delle nuove tec-nologie, anche nel campo dell’architettura, unatteggiamento condiviso anche da altri architettieuropei, consapevoli della rivoluzione innescatadal razionalismo di Chicago; tra questi spiccaAdolf Loos (1870-1933), il quale, condannandol’eccessivo decorativismo secessionista, arrivò ad-dirittura ad affermare che gli ingegneri “sono i no-stri Greci” e che a loro “noi dobbiamo la nostracultura”28. riguardo a questi argomenti Wrighttrovò sicuramente un ulteriore conforto nelle posi-zioni meno sentimentaliste dell’architetto franceseEugène Viollet-le-duc (fig. 6), sostenitore dellenuove tendenze tecnologiche, col fine di promuo-vere una società nuova. da quest’autore il giovaneFrank ricevette la formale conferma, in chiavesempre neo-gotica, di quanto l’architettura fossestrettamente collegata alle condizioni tecnologiche,sociali ed economiche, del periodo storico in cuiessa viene concepita29. Si confrontino queste paroleestratte dal Dictionnaire raisonné de l’Architecture

Française con il noto entusiasmo dell’architettoamericano per i nuovi materiali e le tecnologieemergenti:

“rimpiangiamo l’organizzazione socialedell’antichità, studiamola con scrupolo, ricor-riamo ad essa; ma non dimentichiamo che noinon viviamo né sotto Pericle né sotto Augusto;[…] l’arte, per sussistere, deve conoscerel’ambiente in cui si sviluppa”30.

Il conformarsi dell’architettura ai bisogni e alle tec-

niche del momento, rende agli occhi di Wright que-sta disciplina effettivamente razionale, un concettoalla cui ricezione egli era sicuramente predisposto,grazie all’esperienza formativa condotta al tavolodel Kindergarten, il metodo che lo aveva abituatoa vedere l’essenza delle cose e ad agire con misura.Il giovane Frank, distaccandosi dalla concezionepragmatica e funzionalista che il termine razionale

aveva assunto per la scuola di Chicago, ne ampliail significato comprendendo al suo interno non solole contingenze del momento storico, culturale etecnologico, ma anche le caratteristiche innatedell’architettura, intesa quale entità autonoma,espressione della sua potenza interiore in virtù diuno stile che “è la manifestazione di un ideale fon-dato su un principio”31. Un successivo contributoformativo, nell’ambito delle reminiscenze gotiche,giunse a Wright attraverso il testo intitolato Gram-

mar of ornament (1856) di owen Jones (fig. 7),sopra il quale egli trascorse molte ore, ricalcandole figure; questa opera non ebbe solo lo scopo diesercitare l’abilità grafica del giovane Frank, madivenne anche un momento di approfondimentoper la visione organica dell’architettura, confer-mando quanto già sperimentato con il metodo diFröebel. di fianco alla profusione d’immagini ri-prodotte direttamente dal mondo della natura,owen Jones proponeva una serie di disegni chereinterpretavano quelle figure con semplici con-torni, delimitanti superfici di puro colore, mettendoin questo modo in evidenza la struttura più intimadella materia, per trasmettere le leggi geometricheche ne regolavano la formazione. È facile indivi-duare proprio in questi esercizi alcuni elementi co-muni sia alla concezione oweniana sia al metodoproposto dall’educatore tedesco: per dirla ancorauna volta con le parole di Wright, l’importante eraimpostare una ricerca e dare espressione ad unaforma che mettesse in luce “la natura della Na-tura”32.I momenti più importanti che caratterizzarono laformazione dell’architetto americano – sia quelliche la madre gli destinò nell’infanzia, che quelliriconducibili a scelte personali, compiute nell’ado-lescenza o nella prima maturità – furono accompa-gnati da una concezione della realtà intesa nella suainterezza, considerazioni particolarmente conge-niali alla filosofia americana, in particolare al Tra-scendentalismo di ralph Waldo Emerson (fig. 8),tradotto in termini pratici da Henry david Thoreau

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(1817-1862) e Walt Whitman (fig. 11). I primi con-tatti che Wright ebbe con i trascendentalisti ameri-cani risalgono alla sua infanzia, sempre attraversole premure materne33, che affiancarono ai doni ealle occupazioni del Kindergarten alcune specifi-che letture, legate al circolo di Concord, con loscopo di fornire al figlio prediletto una formazioneadeguata34: soprattutto le opere di alcuni minori,quali Henry Longfellow (1807-1882), John Whit-tier (1807-1892) e James Lowell (1819-1891), chea quel tempo erano considerati autori di grande va-lore. I contenuti di questi scritti, d’impronta mora-listica, dedicati alle bellezze naturali del NewEngland e volti a promuovere nel lettore un con-tatto intimo e totale con la natura, non brillavanocerto per estro creativo, ma erano comunque carat-terizzati da una prosa molto semplice, tutte carat-teristiche che ben si confacevano alla mentalitàpuritana dell’America di metà ottocento35. A bi-lanciare i contenuti eccessivamente sentimentali diquesti scritti vi era comunque l’Unitarianesimo delclan dei Lloyd Jones; Wright ricorda:

“Tornato ora dall’Est nella valle Ancestrale,nelle persone di Sorella Anna e del suo ‘predi-catore’, l’Unitarianesimo diede luogo al tra-scendentalismo del sentimentale gruppo diConcord”36.

Il Trascendentalismo americano, che vide in Emer-son il suo interprete più originale, affondava le pro-prie radici nel movimento romantico di Samuel T.Coleridge (1772-1834) e di Thomas Carlyle (fig.9), nato in opposizione all’empirismo e al mecca-nicismo dilagante in Inghilterra; a loro volta i duescrittori britannici citati guardavano al pensierokantiano, rielaborato dai filosofi tedeschi dell’ot-tocento, che, come si vedrà meglio in seguito, co-stituì la medesima matrice culturale all’internodella quale il metodo del Kindergarten era statoforgiato. In riferimento alla filosofia tedesca, il Tra-scendentalismo americano assunse, però, una con-notazione meno teorica e più pragmatica; lo stessoEmerson si impegnò a condurre una vita cheavesse un riscontro pratico, nella politica e nel so-ciale, per quanto sempre supportata da principi teo-rici irrinunciabili37. Il processo di razionalizzazionedell’Idealismo tedesco, innescato dai pensatori diConcord, contribuì fortemente alla nascita dell’or-goglio nazionale, che in quel periodo sfociò presto

nel rifiuto aprioristico per tutto ciò che provenivadal ‘Vecchio Continente’, e incoraggiò un entusia-smo altrettanto acritico, per quanto poteva essereconsiderato come un’espressione originale dellacultura americana. A causa di questa temperie cul-turale, è soprattutto l’ego del giovane Frank a ri-sentire di queste influenze filosofiche e letterarie,e naturalmente, proprio grazie alla personalità for-matasi attraverso le riflessioni indotte da questipensatori, Wright trovò sempre la forza e il corag-gio di spingersi oltre nell’attività professionale,cercando di elevarsi più in alto rispetto agli altri.L’ammirazione della madre per il Trascendentali-smo americano la spinse ad insistere perché Wright– a 14 anni – leggesse sartor Resartus (1833-1834)di Carlyle, opera che il critico Prampolini consi-dera un invito a lottare contro il male per la sal-vezza di sé e del prossimo38. Ma è soprattutto dallasuccessiva lettura di on Heroes, Hero-Worship,

and the Heroic in History (1841), del medesimoautore, che Wright trasse la consapevolezza che lastoria non può essere considerata il prodotto delcontributo di grandi masse anonime, quanto piut-tosto l’espressione di singoli individui eletti39. In-torno alle stesse tematiche era incentrato ancheRepresentative Men (1850) di Emerson, ispirato aon Heroes di Carlyle, un testo volto soprattutto aspronare le menti più valide degli americani:

“In voi stessi sonnecchia la ragione […] sta avoi conoscere ogni cosa, sta a voi osare ognicosa [...] per troppo tempo abbiamo ascoltatole gentili Muse dell’Europa”40.

In effetti Wright sembra aver accolto l’invito diEmerson alle menti più fertili del continente ame-ricano se in A testament scrisse:

“Nessun uomo vivrà mai felicemente con sestesso o con gli altri, in democrazia, se non af-ferra l’opportunità, che la nostra nazione glioffre, di elevarsi al di sopra della media (al disopra del livello comune) per virtù propria”41.

Il perfezionamento definitivo in ambito teorico,che fece di lui l’infaticabile propagandatore del-l’architettura organica, avvenne a Chicago, pressoil lieber Meister Louis Sullivan, attraverso il qualeWright approfondì le tematiche del trascendenta-lismo americano, studiando la poesia di Walt Whit-

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Fig. 6. Eugène Viollet-le-duc (1814-1879),convinto sostenitore della modernità rivisitatain chiave gotica.

Fig. 7. Tavola tratta da Grammar of ornament di owen Jones(1809-1874).

Fig. 8. ralph Waldo Emerson (1803-1882), massimo esponente delmovimento trascendentalista americano.

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