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dossier ibc | luglio-settembre 2018 | 1 DOSSIER IBC #3/2018 La città in prima visione Nasce I-Media-Cities, il portale che raccoglie i patrimoni delle cineteche europee a cura di Silvia Ferrari

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DOSSIERIBC #3/2018

La città in prima visioneNasce I-Media-Cities, il portale che raccoglie i patrimoni delle cineteche europeea cura di Silvia Ferrari

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Un ponte digitale tra patrimonio culturale e città Roberto Balzani 03Un modello per il futuro della ricerca Nicola Mazzanti 04L’eredità di un visionario Gian Luca Farinelli 06Aspetti tecnici della piattaforma Simona Caraceni, Antonella Guidazzoli, Silvano Imboden, Maria Chiara Liguori, Margherita Montanari, Gabriella Scipione, Giuseppe Trotta 13La sfida tra unicità e standard Silvia Ferrari 17Tra cinema e storia, le acque a Bologna Stefano Pezzoli, Priscilla Zucco 20Nuove dimensioni per il patrimonio culturale Pier Giacomo Sola 25Gli occhi sulla città Margherita Lanzi 29

DOSSIER IBC Anno XXVi, numero 3, luglio-settembre 2018

La città in prima visioneNasce I-Media-Cities, il portale che raccoglie i patrimoni delle cineteche europeea cura di Silvia Ferrari

Hanno collaborato a questo dossier:

• Roberto Balzani, presidente Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna

• Simona Caraceni, Virtual Heritage coordinator, VisitLab, Cineca

• Gian Luca Farinelli, direttore Fondazione Cineteca di Bologna

• Silvia Ferrari, coordinatore del progetto IMC, Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna

• Antonella Guidazzoli, head of Visual Information, VisitLab, Cineca

• Silvano Imboden, Senior IT Analyst, HPC, Cineca

• Margherita Lanzi, catalogazione e indicizzazione materiale video e foto, Open Group società cooperativa

• Maria Chiara Liguori, Virtual Heritage coordinator, VisitLab, Cineca

• Nicola Mazzanti, direttore Cinémathèque Royale de Belgique, capofila del progetto IMC

• Margherita Montanari, Data and Metadata Management team, Cineca

• Stefano Pezzoli, storico• Gabriella Scipione, head of Data and

Metadata Management team, Cineca• Pier Giacomo Sola, ricercatore su temi

educativi e culturali, STePS Bologna• Giuseppe Trotta, Data and Metadata

Management team, Cineca• Priscilla Zucco, responsabile Fototeca,

Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna

DOSSIERIBC #3/2018

La città in prima visioneNasce I-Media-Cities, il portale che raccoglie i patrimoni delle cineteche europeea cura di Silvia Ferrari

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il dossier

Un ponte digitale fra patrimonio culturale e città

Il progetto europeo I-Media-Cities, che s’inserisce all’interno del programma Horizon 2020 con un finanziamento di oltre 3 milioni di euro complessivi, ha per oggetto la condivisione di contenuti digitali, da parte di centri di ricerca e di istituzioni europee, selezionati sulla base

di un tema unificante: le città europee dalla fine del XIX secolo, da quando, cioè, esse sono state destinatarie e committenti di immagini fotografiche o cinematografiche, di documentazione illustrata, ecc.

Realtà maggiori o capoluoghi regionali, capitali e nodi urbani in via di sviluppo, sedi di expo universali o nazionali, esse hanno precocemente prodotto materiale in parte identitario, in parte generato dalle idee, dal mercato, dai flussi di transito. Lo hanno fatto precocemente, in larga mi-sura prima di altri nodi dell’urbanesimo mondiale (il fenomeno antropico più imponente dell’età contemporanea), e perciò meritano – in prospet-tiva comparata – un riguardo del tutto particolare. I-Media-Cities non è uno spazio virtuale d’intrattenimento, ma di conoscenza. Se fosse un sito per voyeurs in cerca di scatti seppiati del buon tempo andato, l’Unione avrebbe buttato il suo denaro; ma qui, invece, i percorsi esibiscono orgo-gliose radici scientifiche. Anzitutto, quelle delle istituzioni della rete, che sono reputate realtà di conservazione, catalogazione, restauro e valo-rizzazione delle immagini, dal Belgio al Mediterraneo. In secondo luogo, quelle dei curatori, che tengono a distinguere una vocazione sensibile alla public history, sorvegliata tuttavia da rigorosi criteri di serietà analitica, da una, pure presente, di raccolta ad uso pressoché esclusivo dei ricer-catori. In terzo luogo, quelle intrinseche alla natura della piattaforma, immaginata per generare, attraverso un’imprevedibile ars combinatoria, flussi ulteriori di idee e di riflessione sui metadati. L’Istituto regionale per i Beni Culturali ha partecipato e partecipa convintamente al progetto, così come il Consorzio Interuniversitario Cineca e la Fondazione Cineteca di Bologna, a testimonianza del rilievo assunto dall’Emilia-Romagna, in campo internazionale, in seno a questo contesto.

Il digitale, del resto, è un ambito frequentato da tempo dall’Istituto, sia nella sua veste di centro di conservazione dei documenti prodotti dalle amministrazioni (regionali, ma non solo), sia in quanto sede di una catalogazione ad hoc, a beneficio degli enti detentori dei beni ed in una prospettiva di fruizione più larga. I-Media-Cities incrementa la qualità della sfida, identificando un oggetto privilegiato di ricerca/valorizza-zione (le città europee e la loro immagine) e tentando, intorno ad esso, di sviluppare una galassia di contenuti a vari livelli di accesso. Si tratta, naturalmente, di un’opportunità aperta: solo l’effetto centripeto, magne-tico del programma rispetto agli utilizzatori finali, ci darà una misura del suo successo effettivo; e tuttavia, di fronte ad una domanda crescente di contenuti non generici ma accreditati, accertati, frutto di attenta cata-logazione, stimolare la qualità delle indagini rappresenta un obiettivo significativo e meritevole di essere perseguito.

I-Media-Cities si pone a metà strada fra la valorizzazione dei beni e la patrimonializzazione dell’elemento urbano in Europa: un processo che ha radici antiche e che, proprio per questo, esige un lavoro culturale accura-to ed un’accurata restituzione al grande pubblico.

Roberto Balzani

www.imediacities.eu

This project has received funding from the European Union’s Horizon 2020 research and innovation programme under grant agreement N° 693559 – 2016-2019

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Un modello per il futuro della ricercaNicola Mazzanti

Non è certo una novità dire che all’alba del XXI secolo tutte le scienze e le discipline umanistiche, sociali, storiografiche, ormai utilizzano, in approcci tradizionali e interdiscipli-

nari, fonti e documenti che non avrebbero certo utilizzato qualche decennio fa. E in questo contesto, sempre più le fonti iconografiche dei media, o della cosiddetta cultura popolare, hanno un ruolo fonda-mentale che va ben al di là dei confini ristretti delle discipline di storia del cinema, dei media o della filmologia. Nessuno storico o sociologo serio affronterebbe oggi una storia del XX secolo senza fare riferimento in nessun modo alle fonti iconogra-fiche, siano esse immagini fisse o in movimento.

Ma se le fonti si sono moltiplicate in tipologia, importanza, e provenienza, il loro accesso non si è certo semplificato – anzi, questa moltiplicazione di tipi e provenienza e quest’aumento esponenziale della loro quantità (migliaia di ore di materiale in movimento, milioni di fotografie, di pagine, di mate-riale vario…) in realtà ha contribuito a complicare la vita dei ricercatori e di fatto a rendere l’utilizzo di queste fonti sempre più frustrante e comples-so. Non si può poi dimenticare che alcuni tipi di documenti necessitano di tecnologie per essere consultati: si legge un libro, così come si guarda una foto, con gli occhi, ma se si appoggia l’orecchio su un disco o si solleva un film verso la finestra, non si vede e non si sente nulla! L’accesso è reso ancor più complesso da quelle che chiamerei “barriere tecno-logiche”. Senza parlare, ovviamente, più per pietà che per altro, delle barriere legali, cioè del diritto d’autore che in Europa sembra volutamente redatto per impedire ricerca, educazione e cultura. Mentre in altri contesti il fair use permette a tutti i ricerca-tori di fare il loro lavoro, in Europa persino l’atto di vedere un documento visivo del passato può essere illegale; mostrarlo ad un ricercatore, ancora peggio!

Ovviamente siamo tutti vittime del lavoro di propaganda del pensiero unico che le istituzioni

europee hanno cercato di imporre, e portati a credere che la digitalizzazione delle collezioni ed Europe-ana abbiano risolto tutti i problemi. Peccato che in effetti la moltiplicazione dei canali di accesso digitale abbiano creato un restringimento delle norme del diritto d’autore, che si sia generata l’impressione che qualsiasi documento – persino il più innocuo e “noioso” – debba generare incassi (la ricerca si deve pagare, le biblioteche pure! – il discorso sulla cultura e l’educazione è molto più barbarico nell’era digitale che in quella analogica). Per completare il quadro, la cosiddetta rivoluzione digitale che è stata sven-tolata sotto gli occhi dei ricercatori avrebbe dovuto compiersi esattamente nel momento in cui a livello europeo si sono sommate due condizioni vincolanti: da un lato Europeana ha risucchiato per anni e anni la maggior parte dei fondi destinati al patrimonio “digitale”, limitando ogni sviluppo non strettamente correlato con la sua crescita, dall’altro la crisi econo-mica ha sottratto fondi alla cultura. Questi due fattori combinati insieme hanno fatto arretrare il settore della ricerca e della digitalizzazione del patrimonio di almeno un decennio se non due.

In questo contesto non certamente favorevole alla ricerca e alla “ricerca di nuovi modi di fare ricerca” – se possiamo dire così – è stato benvenuto il bando Horizon 2020 che ha permesso a un gruppo di cineteche, di università e centri di ricerca europei di dare vita al progetto I-Media-Cities, con l’intento di esplorare delle modalità partecipative di accesso ad ampi fondi di immagini, e di avviare nuove ricerche, permettendo non solo di visionare, ma anche, per esempio, di annotare le immagini e di condividere queste annotazioni, o di condividere i risultati della ricerca. Se la tecnologia gioca un ruolo importante nel progetto (creazione della piattaforma di accesso per i ricercatori, strumenti di annotazione manuali e di analisi automatica delle immagini, accesso se-parato per ricercatori – free – e per il pubblico, ecc.), gli obiettivi non sono tecnologici, ma di metodo; creare le condizioni tecniche, pratiche (digitalizza-

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zione dei documenti) e legali (permessi di uso e ac-cesso) per sperimentare nuovi metodi di accesso a grandi collezioni monotematiche (in questo caso le immagini di diverse capitali europee dal 1896 a ieri) e modalità di studio collaborativo fra gli studiosi e fra gli studiosi e il grande pubblico.

Come istituzioni di patrimonio siamo tutti con-vinti che la presenza ingombrante di Europeana e la guerra aperta contro servizi innovativi (spesso pro-venienti dagli Stati Uniti), oltre alle considerazioni più sopra espresse, abbiano creato una situazione nella quale le potenzialità dell’utilizzo di tecnologie digitali per la ricerca e l’educazione non siano ne-anche state scalfite. Se I-Media-Cities è ovviamente troppo piccolo per incidere su questa opportunità sistemica perduta, osiamo comunque sperare che se ci saranno risultati positivi (come siamo convinti), questi potranno ispirare altri progetti che contribuiscano a creare, nel deserto europeo, le condizioni per la ricerca basata su archivi digitali o digitalizzati.

Mentre in altri contesti il fair use permette a tutti i ricercatori di fare il loro lavoro, in Europa persino l’atto di vedere un documento visivo del passato può essere illegale

Aldo Ferrari, Pranzo per i poveri (Dozza), 1951-1952 (Fondo Aldo Ferrari, Donazione Costantino e Lucia Della Casa)

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Tra i tesori dell’eredità di Renzo Renzi ce n’è uno in particolare che consi-dero prezioso. Penso al suo slancio visionario, all’ostinazione nel vedere realizzati progetti innovativi e spesso

controcorrente. Lui aveva immaginato la Cineteca di Bologna come poi di fatto è diventata: “Il palazzo dei suoni e delle visioni”.

Nel descrivere il palazzo, già nei primi anni settanta, immagina le salette di consultazione, le attività laboratoriali per i giovani, a cui fare toccare con mano la pellicola (“film da smembrare, nastri da srotolare, gettare nei cesti, ad un fine appropriante e demitizzante”). In Cineteca di fatto si conserva e si restaura, ma anche – e soprattutto – si studia; ci si appropria dei film e delle immagini.

Non è tutto. Renzo Renzi sviluppando un rappor-to sentimentale con la città di Bologna, pur essendo nato altrove, ha sostenuto fortemente nei primi anni sessanta, nell’ambito dei lavori della Commissio-ne Cinema, lo sviluppo delle raccolte dedicate alla storia locale (libri, fotografie, documentari e film realizzati a Bologna).

Grazie a questa eredità la Cineteca, oltre a con-servare e promuovere il patrimonio cinematogra-fico, ha dunque il compito di raccogliere e rendere accessibile il patrimonio di immagini (fisse e in movimento) relative alla nostra città. Renzi crede fortemente nel fatto che lo studio, e la ricerca sulle fonti, generi maggiore consapevolezza e che i fatti del passato possano chiarire, dare una risposta al presente: “Il palazzo dovrebbe diventare il tempio della coscienza critica, dove si impara a non lasciar-si incantare tanto facilmente (come è successo a noi). L’occhio vigile, anche l’orecchio. E non solo per il cinema, ma anche per i nuovi mezzi, i video-tapes, ecc.” (La sala buia: diario di un disamore, 1978)

L’eredità di un visionarioGian Luca Farinelli

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Teatro diurno Arena del Sole. Aspetto dell'anfiteatro alla centesima rappresentazione dell'opera "La figlia di Jorio", 1904 (Fondo Miscellanea Bologna Ottocento)

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Non a caso Renzi scelse di cedere i propri archivi e le proprie collezioni, incluse migliaia di fotografie di Bologna, per farne il primo nucleo di una istituzione aperta a tutti, un luogo consacrato allo studio e alla ricerca. In questi cinquant’anni la Cineteca è arrivata a raccogliere oltre due milioni di fotografie (tra il 1870 e il 2000) e migliaia di ore di filmati relativi alla città.

Forti di questa eredità, non potevamo non aderire a un progetto come I-Media-Cities, orientato verso nuove modalità di ricerca e studio della storia e dello sviluppo urbano delle città europee.

La Cineteca ha condiviso sul portale del progetto oltre 8000 fotografie (in gran parte inedite) e quasi duecento ore di filmati di Bologna, dal 1900 agli anni ottanta.

Data la ricchezza del patrimonio conservato, non è stato semplice individuare le immagini più rappresentative dei vari decenni, ma, di certo, ci ha guidato il lavoro di ricerca avviato per la selezione dei materiali confluiti in seguito nella mostra Bolo-gna fotografata; un’esperienza che ci ha permesso di attraversare tre secoli di storia della città, grazie al medium fotografico.

Il gesto di pubblicare, o mettere in mostra le im-magini del passato, rende a sua volta necessario un lavoro di analisi e ricostruzione del contesto storico in cui queste sono state prodotte. Ed è proprio que-sto il gesto che dobbiamo insegnare. Oggi purtroppo non è sufficiente rendere accessibili le fonti, ma occorre accompagnare i visitatori (a volte distratti); occorre fare in modo che si soffermino davanti a un documento il tempo sufficiente a domandarsi: come, quando e perché questo evento si è prodotto?

Mai come ora abbiamo accesso alle fonti, ai documenti, alle immagini del passato. Ci troviamo dunque in una posizione assolutamente privilegiata rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto. E,

paradossalmente, mai come ora riscontriamo invece una perdita di identità. Il dove, come, quando, per-ché, sembrano sfuggirci completamente. Quali sono stati i passi, in termini sociali, politici e culturali, che ci hanno fatto arrivare qui? Questo è il proble-ma più serio di oggi.

C’è necessità di rimettersi a scavare e riappro-priarsi delle origini, delle radici che ci hanno ali-

La Cineteca ha condiviso sul portale del progetto oltre 8000 fotografie (in gran parte inedite) e quasi duecento ore di filmati di Bologna, dal 1900 agli anni ottanta.

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mentato. Ripartendo proprio dalla storia locale.Non è facile in un’epoca in cui chi fa ricerche su

web è considerato semplicemente un utente (uno user) e i comunicatori ci insegnano che è vincente solo l’informazione trainata da immagini accatti-vanti: più breve è il tempo di un video in streaming e maggiori sono le possibilità di catturare l’attenzio-ne del distratto utilizzatore. Ecco perché sviluppare

una piattaforma come I-Media-Cities, che riserva il giusto tempo all’analisi e alla ricerca, significa andare in controtendenza (il nostro padre fondatore credo avrebbe apprezzato!).

Attraverso l’ambiente digitale di I-Media-Cities, gli archivisti hanno selezionato percorsi di ricerca, ma l’interesse è nel fatto che essi possono interagi-re, ricevere repliche e annotazioni da chi approda

Enrico Pasquali, Forno del pane in via Don Minzoni, 1929 (Fondo Enrico Pasquali)

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sul portale e – aspetto ancora più interessante – le ricerche si possono estendere a raccolte provenienti da più archivi di diverse città europee. Infatti, grazie alla rete delle cineteche europee, alle partnership sempre più frequenti, abbiamo oggi maturato meto-dologie ed esperienze che ci permettono di condivi-dere le raccolte e gettare le fondamenta per progetti sempre più ampi che vanno nella direzione di un autentico portale europeo degli archivi.

In poche parole, il carattere transnazionale del patrimonio è uno degli elementi di forza del pro-getto. Questo è reso possibile dalla partecipazione di altri otto archivi europei, e, in parallelo, dall’in-tervento di università ed enti di ricerca che contri-buiscono all’analisi e alla contestualizzazione dei documenti.

Grazie al confronto con i partner europei sono emersi temi comuni, come l’espansione delle città, il destino delle periferie, l’erosione delle campagne, l’evoluzione dell’industria e del commercio, lo svi-luppo delle vie di comunicazione.

Gli strumenti informativi avanzati, applicati alla ricerca (sviluppati dal Cineca e dai colleghi di Frau-nhofer), potenzieranno il gesto d’analisi e – attra-

verso lo studio comparato dei risultati – emergeran-no nuovi scenari che daranno vita a nuovi saperi.

Uno sguardo ai documenti selezionati. Grazie alle collezioni fotografiche è stato possibile ricostruire i momenti di grande trasformazione dell’assetto urbano della città di Bologna. Sul portale sono pre-senti tutte le fasi dell’abbattimento delle mura me-dievali, avviato – tra le polemiche – nel gennaio del 1902. Tra le voci che si opposero alle demolizioni, ricordiamo quella di Alfonso Rubbiani e di Giosue Carducci. Ma prevalse la posizione dell’ammini-strazione pubblica che impiegò nell’impresa quasi cinquecento disoccupati. Straordinarie immagini di inizio secolo ci raccontano come si trasforma Piazza Maggiore: da luogo di mercato a sede delle cerimo-nie laiche e religiose; dalla visita ufficiale di Vittorio Emanuele III, alla fotografia commovente del pran-zo natalizio offerto agli spazzacamini nel dicembre 1907, negli spazi di Sala Borsa.

L’autorevole Studio fotografico Camera, attivo tra la fine dell’Ottocento e il 1986 è una fonte preziosa per ricostruire i principali avvenimenti storici: so-prattutto riguardo agli anni venti, trenta e quaranta.

Anonimo, Cantiere di costruzione del Palazzo delle Poste in Piazza Minghetti, 1911 (Fondo Miscellanea Bologna Ottocento)

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I fotoreporter Aldo Ferrari e Nino Comaschi sono invece gli interpreti del Secondo dopoguerra. Entram-bi si spingono ben oltre i fatti di cronaca e realizzano inediti ritratti di bolognesi alle prese con il quotidiano.

Tra i film, abbiamo ovviamente scelto di pubbli-care i documenti più antichi che conserviamo: oltre ad un noto filmato sulla città del 1911, proponiamo sul portale il Primo giro ciclistico, con l’arrivo di una tappa nell’affollata Bologna del 1909.

Sono gli anni in cui si diffonde in città l’uso del cinematografo. E tornando alla tappa ciclistica, non è un caso che la fascinazione stia tutta nella ripresa del movimento, della velocità, e del tempo, quel che la fotografia non riesce a restituire.

Altro piccolo gioiello che mostriamo per la prima volta in questo contesto, è infatti il filmato della fine degli anni venti di una gara di “Velocino”, una sorta di bicicletta con il sellino sulla ruota posteriore e il manubrio ripiegato all’indietro, inventato nel 1928 dal bolognese Ernesto Pettazzoni. Oltre agli scorci inediti della città, in parte ancora da iden-tificare (per il lavoro di identificazione di strade e monumenti e il contesto storico di riferimento, sarà prezioso il lavoro del nostro partner, l’Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna), il fascino del filmato risiede pure nella colorazione arancio della pellicola (si tratta di una tecnica di imbibizio-ne diffusa proprio in quegli anni).

Non è un caso che in tante raccolte europee si trovino oggetti analoghi, ovverosia legati ai mezzi di locomozione. Di qui nasce il focus sull’evoluzione dei mezzi di trasporto e la viabilità e, in parallelo, l’attenzione ai mutamenti urbanistici.

Scorrendo tra gli eventi storici, troviamo anche materiali che ci presentano sguardi inediti su fatti noti: ad esempio, la visita di Mussolini a Bologna nel 1926 (di cui esistono ampie testimonianze fotografi-che). Non mancano i film di propaganda del pcI nel Secondo dopoguerra, epoca in cui il partito era impe-gnato nella campagna per il disarmo e si opponeva ad accogliere i missili Polaris. Sono gli anni della Guerra Fredda, dell’incubo per l’uso delle armi atomiche.

La selezione dei materiali non ha dimenticato di sottolineare e documentare, sul piano della politica nazionale, le campagne per una maggiore autonomia degli enti locali, la denuncia delle speculazioni edili-zie, la battaglia contro il carovita, la riforma scolasti-ca, fino alla lotta contro la censura democristiana.

Di grande interesse i materiali girati dalla Que-stura di Bologna, testimonianza unica dell’epoca dello stragismo. Un esempio: il 9 agosto 1974 si svolgono a Bologna i funerali di Stato delle vittime della strage del treno Italicus. Piazza Maggiore è gremita. I carri funebri arrivano alla Basilica di San Petronio. Tra le autorità presenti, Enrico Berlinguer

e Amintore Fanfani. In aereo giunge anche il Presi-dente della Repubblica Giovanni Leone.

Vale la pena segnalare anche le riprese di Giorgio Manoni per un film poi non finito. Sono i giorni traumatici fanno seguito al 2 agosto 1980: la piazza non riesce a contenere tutte le persone che vi ci sono riversate. La vediamo ripresa da una finestra del Comune. La folla applaude, qualcuno alza il pu-gno. Davanti alla chiesa, Renato Zangheri tiene un discorso. Accanto a lui, il Presidente Sandro Pertini. Volti commossi tra la folla.

Inedite anche le tre ore di riprese nell’area del cantiere in cui sorgono le Torri di Kenzo Tange. Tra il 1980 e 1982 sono documentate tutte le fasi della costruzione e lo sviluppo del quartiere “fieristico” di Bologna. Documento unico per chi fa ricerca nel campo dell’architettura o dell’urbanistica.

Le aspettative. Date le potenzialità del progetto, ci attendiamo e auspichiamo che I-Media-Cities sia il punto di partenza per ulteriori sperimentazioni in varie direzioni. Di certo potrà essere una base im-portante da cui partire per nuovi percorsi educativi, da proporre alle scuole e ai più giovani. Ma, oltre alla didattica, ci aspettiamo che da questo progetto prenda le mosse, come già accennato, un futuro portale degli archivi europei. Fungerebbe da essen-ziale strumento di conoscenza, di nuova consape-volezza, anche politica, proprio perché le sue radici sarebbero immerse nella concretezza dei luoghi (le città) e della loro storia, mentre le diramazioni (gli studi e le ricerche) condurranno verso nuovi modi di vedere e intendere l’Europa.

Grazie al confronto con i partner europei sono emersi temi comuni, come l’espansione delle città, il destino delle periferie, l’erosione delle campagne, l’evoluzione dell’industria e del commercio, lo sviluppo delle vie di comunicazione.

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Nino Comaschi, Vedute di Bologna [Portico dei Mendicanti in Via Albertoni], 1937-1945 (Fondo Nino Comaschi)

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Gli elementi innovativi della piattafor-ma I-Media-Cities non sono circo-scritti al solo fatto di convogliare i contenuti audiovisivi e fotografici di ben nove archivi verso un unico

raccoglitore e punto di accesso, ma comprende soprattutto una serie avanzata di soluzioni fornite all’attività di ricerca svolta sul materiale stesso.Una volta raccolto il materiale audiovideo, infatti, questo è stato elaborato con una serie di procedure numeriche che hanno provveduto ad arricchirlo automaticamente con un buon set di metadati. Al giorno d’oggi è attività comune delle persone contribuire all’arricchimento dei contenuti del web con dati di vario genere, in particolare attraverso i social media. Tuttavia, questa attività manuale è

un processo estremamente laborioso; soprattutto quando si tratta, come nel caso del progetto I-Me-dia-Cities, di annotare video a livello di shot o di singolo frame. La metadatazione automatica, invece, pur non raggiungendo ancora la precisione di un arricchimento di tipo manuale, è in grado di aggiun-gere moltissime informazioni. A tal fine, il processo di lavoro di I-Media-Cities ha integrato una serie di strumenti forniti da Fraunhofer-Institut für Digitale Medientechnologie IDMT, l’altro partner tecnico del progetto europeo, per l’analisi automatica di video ed immagini. Questi algoritmi sono in grado di fornire informazioni sulla qualità dei video, indi-viduare i movimenti di camera, come lo zoom o il pan, segmentare i video nelle varie scene (shot), ed individuare e riconoscere oggetti ed elementi vari

Aspetti tecnici della piattaformaGabriella Scipione, Antonella Guidazzoli, Silvano Imboden, Giuseppe Trotta,

Margherita Montanari, Maria Chiara Liguori, Simona Caraceni

Nino Comaschi, Raduno ciclistico, 1937-1945 (Fondo Nino Comaschi)

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(object detection) che appaiono nelle scene dei video conferiti alla piattaforma.

Lo strumento di object detection, grazie a tecni-che di deep learning, è in grado di individuare nelle scene la presenza, per esempio, di persone o mezzi

di trasporto o elementi architettonici o urbani, dif-ferenziando tra uomo o donna, o adulto o bambino; capire se è un tram o una carrozza o una bicicletta; se siamo in una piazza o di fronte ad una fontana, e così via. Si tratta di una procedura particolarmen-te interessante e complessa, che si trova a dover gestire l’analisi di pellicole già digitalizzate, anche diversi anni fa, risalenti dalla fine dell‘Ottocento ai giorni nostri, e che portano spesso i segni del tempo trascorso.

Dal momento che gli strumenti automatici han-no comunque un certo margine di errore, è stato predisposto un raffinato strumento di analisi frame by frame on-line per la correzione manuale delle inesattezze e l’integrazione, sempre manuale, con ulteriori metadati.

Il risultato di questo processo si esprime nella creazione di molti dati che vengono trasformati in dati semantici direttamente comprensibili da parte delle persone e, anche, dai calcolatori. Il modello di metadati di I-Media-Cities riassume i metadati de-scrittivi provenienti dagli archivi, e quindi caricati

È stato sviluppato un motore di ricerca semantico che (…) fornisce all’utente, ricercatore o cittadino, i risultati della ricerca effettuata.

Umberto Gaggioli, Manifestazione provinciale, 19-11-1969 (Fondo Umberto Gaggioli)

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direttamente insieme ai materiali audiovisivi, basati eminentemente sullo standard cEN EN19507 (http://filmstandards.org/fsc/index.php/Main_Page); ed i dati generati una volta che il materiale è stato cari-cato sulla piattaforma. Come detto questi metadati possono essere frutto di un processo di arricchi-mento automatico o manuale, modellato usando il W3c Web annotation Data Model (WADM).

In I-Media-Cities è stato sviluppato un motore di ricerca semantico che elabora le richieste prove-nienti dall’interfaccia utente e, analizzando tutti i metadati disponibili, fornisce all’utente, ricercatore o cittadino, i risultati della ricerca effettuata.

Il sistema di metadatazione comprende diverse tipologie di annotazione associate a dettagli diversi di contenuto: • metadati originari del contenuto, video o imma-

gine, forniscono informazioni a livello dell’intero contenuto;

• annotazioni automatiche a livello di singolo segmento del video (scena o shot);

• annotazioni manuali a livello del singolo seg-mento del video (scena o shot), tag e geotag (annotazione geolocalizzata) con cui è stato arricchito il contenuto.

In particolare le annotazioni automatiche e manuali, essendo collegate al singolo segmento del video (scena o shot), permettono una raccolta di scene appartenenti a video diversi dove sia rintrac-ciabile lo stesso elemento: ad esempio i tram e il traffico di inizio del Novecento in più città europee. Le annotazioni automatiche garantiscono che tutto il materiale audiovisivo sia analizzato e annotato in maniera omogenea almeno su un set comune di aspetti, mentre le annotazioni manuali prevedono un arricchimento di informazioni dettagliate, anche in forma di appunti testuali, di referenze bibliogra-fiche, di collegamenti ad altro materiale simile, sia interno che esterno ad I-Media-Cities.

Le performance della piattaforma sono rese pos-sibili grazie alle risorse di calcolo ad alte prestazioni di Cineca (Hpc), che consentono l’uso delle archi-tetture hardware più adatte rispetto ai differenti algoritmi di analisi applicati.

Per presentare in modo adeguato i contenuti della ricerca si sta prestando particolare attenzione allo sviluppo dell’interfaccia visuale, che permette an-che di eseguire ricerche a partire direttamente dalla mappa su cui si geolocalizzano tutti i contenuti audiovideo, delimitando la selezione attraverso una barra del tempo. In relazione a questi aspetti viene applicato un processo di valutazione della user experience, in accordo con la metodologia “Agile”, che pervade il progetto.

La fase finale del progetto prevedere poi l’apertu-

ra della piattaforma anche al pubblico più ampio, e non solo ai ricercatori, in modo che l’arricchimento dei contenuti possa approfittare del crowdsourcing, ovviamente previo controllo da parte dei ricerca-tori e degli archivi della validità delle informazioni aggiunte. I risultati delle ricerche potranno infine essere presentati dagli archivi e dai ricercatori come mostre virtuali, allestite in un ambiente 3D Web interno alla piattaforma stessa.

Quanto sviluppato nell’ambito del progetto I-Media-Cities potrà essere adattato in futuro ad altri contesti, oltre ad essere arricchito con nuovi algoritmi.

Nino Comaschi, Vigili del fuoco: esercitazioni, 1947-1949 (Fondo Nino Comaschi)

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Aldo Ferrari, Traffico urbano: regolamentazione, 1951-1952 (Fondo Aldo Ferrari, Donazione Costantino e Lucia Della Casa)

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Cinema e città: un rapporto inscindi-bile iniziato oltre un secolo fa, alla fine del XIX secolo proprio con l’invenzione della tecnica cinemato-grafica. Il cinema nasce con l’attitu-

dine a documentare e la vita nelle città diviene immediatamente il principale scenario dove si muove lo strumento della macchina da presa, pronto a registrare la realtà quasi come messa in scena e a riproporla, vista con occhi nuovi, accanto all’esperienza quotidiana.

Oggi i media rappresentano fonti indispensabili per la ricerca storica e il cinema stesso ha contribu-ito in molti modi alla democratizzazione della frui-zione di contenuti di tipo storico.

La spiccata vocazione del documento filmico a testimoniare l’immagine urbana e a restituire la fi-sionomia della città in ogni suo aspetto sensibile è il principio su cui nasce il progetto I-Media-Cities. Per tre anni i 17 partner del progetto europeo – cine-teche, enti di ricerca, esperti nell’innovazione tec-nologica e nei modelli di business digitale – hanno lavorato insieme al prototipo di una piattaforma di-gitale per rendere accessibile il patrimonio di archi-vi filmici proprio per sperimentarne e ampliarne le potenzialità conoscitive ai fini della ricerca sui temi delle trasformazioni urbane.

Destinato a due tipologie di utenti – ricercatori da un lato e pubblico generico dall’altro – questo am-biente digitale si fonda su un’idea utopistica, quella del grande contenitore internazionale di archivi e mira al superamento di ogni barriera linguistica e geografica. Mentre parrebbe superfluo evidenziare l’oggettivo vantaggio per l’accessibilità ai materiali e per la garanzia di fruizione del documento nella sua forma originale e arricchita di metadati controllati – a dispetto delle possibili copie manipolate o parziali presenti su Web –, non è banale pensare alla piatta-forma come a uno strumento adatto per raccogliere e convogliare tutta una rete di conoscenze e di altri materiali di documentazione – anche non filmici

– relativi ai film stessi o ai loro contenuti: corpus di documenti che, come spesso accade, hanno storie conservative e di inventariazione e catalogazione separate e parallele ai materiali filmici.

L’IBc, Istituto regionale per i beni culturali, è im-pegnato nel progetto in qualità di ente di ricerca per lo studio dei documenti messi a disposizione dalla Fondazione Cineteca di Bologna; ha inoltre un ruolo specifico nell’attività di messa a punto della strut-tura dei metadati e di divulgazione scientifica dei risultati. Un’attività che l’Istituto sviluppa contando su un’esperienza quarantennale nell’ambito delle ricerche sul territorio e su una profonda competen-za nella gestione di censimenti, banche-dati, cata-logazioni e avvalendosi di una consolidata capacità nello scandagliare e praticare sempre nuove forme di valorizzazione dei beni culturali anche attraverso le più aggiornate digital humanities.

Il compito richiesto per I-Media-Cities è emerso in tutta la sua complessità: come interpretare le linee di ricerca sullo studio delle città a partire dal materiale dei singoli archivi e dare a tali linee una valenza internazionale? Il difficile ruolo interme-diario tra istanze identitarie proprie di ogni nucleo collezionistico e la necessità di condivisione di stru-menti e linguaggi comuni ai vari Paesi ha infine tro-vato una propria strada: la costruzione di un motore di ricerca strutturato secondo standard univoci e l'indicizzazione dettagliata dei materiali per rendere i documenti consultabili, con l'accesso a contenuti culturali di approfondimento.

I materiali che arricchiscono la piattaforma pro-vengono dalle collezioni di cineteche ed istituti di Atene, Barcellona, Bologna, Bruxelles, Copenaghen, Francoforte, Stoccolma, Torino, Vienna, per un am-montare di circa 800 film e oltre 8.000 fotografie.

Per poter condurre ricerche comparate tra mate-riali audiovisivi di diverse provenienze, la piattafor-ma è stata dotata di un thesaurus condiviso costru-ito a partire da focus di interessi comuni a tutte le realtà coinvolte: una lista di categorie improntata ai

La sfida tra unicità e standardSilvia Ferrari

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Enrico Pasquali, Piazza Maggiore vista dall' alto, 1969 (Fondo Enrico Pasquali)

temi legati alle trasformazioni della città che spazia-no in vari campi – sociologico, storico, architettoni-co, antropologico e urbanistico – e composta di ma-cro-voci (come ‘spazi’, ‘edifici e strutture’, ‘persone’, ‘trasporti e veicoli’, ‘oggetti’, ‘segni e simboli’, ‘atti-vità ed eventi’, ‘tempo’…) poi declinate in successive sotto-categorie.

Le ricerche possono essere effettuate anche sulle mappe, che riportano georeferenziati i luoghi ripresi nei materiali filmici e fotografici, e anche secondo una “timeline” che copre tutto l’arco cronologico contemplato, dalla fine del XIX secolo fino agli anni ’80, da cui è possibile rilevare la quantità di docu-menti presenti per un dato periodo e muoversi lun-go la linea del tempo per comprendere appieno le trasformazioni della pianificazione urbana.

La standardizzazione del linguaggio rappresenta il traguardo maggiore anche a partire dai metadati, cioè l’insieme di informazioni sul singolo documen-

to che ogni archivio fornisce secondo un proprio modello; ciò comporta l’adozione di un modello unico che tiene in considerazione i dati di riferi-mento del manuale di catalogazione delle immagini (2016) pubblicato dalla FIAF, la Federazione Inter-nazionale di Archivi Filmografici: vero è che la sua applicazione sistematica sul materiale catalogato precedentemente rende spesso necessario un lavo-ro di recupero del pregresso. E ancora non è da sot-tovalutare l’idea di adottare una struttura standard anche per il modello di sinossi del documento filmi-co, ciò a vantaggio di un miglioramento a livello di ricerca: in questo l’IBc ha proposto il modello delle “Linee guida alla redazione di abstract” definito dal Polo bolognese del Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN).

Di carattere più identitario è invece il lavoro di indicizzazione e implementazione dei documenti accessibili dalla piattaforma I-Media-Cities: le se-

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quenze filmiche e le fotografie sono state taggate per essere fruibili dalle queries del motore di ricerca e ogni elemento annotato (oggetti, edifici, traspor-ti, persone, vie e situazioni pubbliche etc.) è stato associato a una ricca documentazione di approfon-dimento attraverso link, apparati bio-bibliografici, e fonti documentarie disponibili anche grazie alla tecnologia Linked Open Data (LOD). Riportare le storie ai loro luoghi originari, ricondurre ai conte-nuti delle immagini il sapere vasto e multidiscipli-nare connesso all’evoluzione delle città comporta scelte, visioni, percorsi di pensiero che sfuggono alla adesione ad uno standard e restituiscono per-tanto il contesto culturale che è proprio dell’identità di ciascun luogo.

Sotto questo aspetto, pur nella condivisione del tema generale delle trasformazioni urbane, tutte le città coinvolte hanno manifestato differenze nella costruzione delle logiche di senso all’atto della in-dicizzazione: ogni nucleo collezionistico presenta infatti, più o meno spiccatamente, delle tendenze specialistiche che emergono come focus di interessi specifici a livello di tags. Se ad esempio il materiale bolognese evidenzia in particolare un lavoro di im-plementazione orientato agli aspetti storico-artistici e architettonici, quello spagnolo è più orientato agli studi di genere; altri approfondiscono l’ambito so-ciale e sociologico e altri ancora gli aspetti politici, e così via. Certamente questo se da una parte rap-presenta un arricchimento culturale, dall’altra può costituire un limite per la ricerca trasversale tra le varie collezioni.

L’opportunità di offrire un ambiente di lavoro aperto e interoperabile, soprattutto per il ricercatore, è un obiettivo che il progetto si prefigge anche con la dotazione di strumenti tanto semplici quanto efficaci come la dashboard, un campo testuale a disposizione per gli appunti e le annotazioni personali.

Pensiamo che al di là della natura sperimenta-le del progetto, il vero valore della piattaforma sia quello di far coesistere in un modello innovativo la presenza di tecnologie avanzate, precedentemente impiegate separatamente. Modello che promette di configurarsi con una potenzialità di applicazione tale da essere in futuro utilizzato per diversi ambiti dello studio delle discipline umanistiche.

Attualmente sono in corso degli studi per lo svi-luppo della sostenibilità del progetto (business mo-del) che ne valuta l’ipotesi di sviluppo economico e finanziario, aspetto che ne potrebbe garantire la prosecuzione e la possibilità di adottarlo come stru-mento di studio anche su larga scala.

Per il momento la piattaforma nella sua ultima versione più aggiornata è aperta e disponibile e si offre come una grande finestra aperta sul mondo nel corso della storia.

Questo ambiente digitale si fonda su un’idea utopistica, quella del grande contenitore internazionale di archivi e mira al superamento di ogni barriera linguistica e geografica

Piattaforma I-Media-Cities: risultati di ricerca per “Bologna”

Piattaforma I-Media-Cities: videoplayer e esempio di annotazioni

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IIl documentario Bologna monumen-tale del 1912 presenta due inquadra-ture brevissime, una decina di se-condi ciascuna, che testimoniano una realtà cittadina sconosciuta alla

maggior parte degli abitanti e soprattutto dei visita-tori, che è la “metà nascosta”1 di Bologna, un tempo, insospettabilmente, “città d’acqua”.Nella prima scena appaiono dei panni stesi sulla balaustra di un ponte di legno che collega i caseg-

1 Ezio Raimondi, La metà nascosta, in Bologna e l’invenzione delle acque. Saperi, arti e produzione tra ‘500 e ‘800, Editrice Compositori, Bologna, 2001, p. 8.

2 Giovanna Pesci, Cecilia Ugolini e Giulia Venturi, L’area del Cavaticcio e del Porto Naviglio nei catasti gregoriani urbani del 1831 e 1873: vicende e trasformazioni, in Bologna d’acqua. L’energia idraulica nella storia della città, a cura di G. Pesci, C. Ugolini e G. Venturi, Editrice Compositori, Bologna, 1994, p. 96.

3 Pier Luigi Bottino, L’alimentazione idrica a Bologna, in Bologna d’acqua, op. cit., p. 13.4 Carlo De Angelis, I modelli degli opifici storici bolognesi, in IBC Informazioni, commenti e inchieste sui beni culturali, 1, 2007 (cfr. la versione

on line della rivista http://rivista.ibc.regione.emilia-romagna.it/xw-200701/xw-200701-d0001/xw-200701-a0022).

giati prospicienti il canale. Un uomo sta percorrendo il tratto terminale del

ponte, mentre su un camminamento in legno lungo il canale si incrociano due donne con il grembiu-le. Sullo sfondo sono presenti altri due ponti e più lontano si intravede una ruota idraulica che com-pare più ravvicinata durante la seconda sequenza. Appare una lavandaia che immerge i panni nell’ac-qua corrente per sciacquarli e poi li batte sull’asse di legno. Accanto a lei, una seconda lavandaia traspor-ta un mastello. Sembra che il canale in quel punto abbia un invaso adibito a lavanderia e che si tratti della tipologia di lavatoio a ‘trincea’ costituito da una sola barriera scavata lungo la sponda del canale che permetteva alle lavandaie di lavorare stando all’asciutto2.

Riconosciamo nelle due scene via Capo di Lucca, bagnata dal tratto del canale di Reno denominato canale delle Moline3.

La ruota idraulica è quella che era situata sul retro dell’edificio di via Capo di Lucca n. 12, e “trasmette-va l’energia idraulica a una ‘gualchiera’ per panni a due tini e ai meccanismi per la filatura della lana”4.

Questo manufatto idraulico è l’unico sopravvis-suto tra le tante ruote presenti nell’antica Bologna ed alcuni decenni orsono venne collocato presso il Museo della Civiltà Contadina di S. Marino di Bentivoglio; l’Istituto Beni Culturali nel 2007 affidò al restauratore Pietro Barnabé il compito di ripristi-narne la morfologia originaria, presentando l’ogget-to restaurato alla fiera internazionale del restauro di Ferrara poi tornò alla sede di provenienza, non

Tra cinema e storia, le acque a BolognaStefano Pezzoli, Priscilla Zucco

Anonimo, S. Maria della Misericordia, 1900 (Fondo Miscellanea Bologna Novecento)

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Anonimo, Mulini e canale di via Capo di Lucca, 1900 (Fondo Miscellanea Bologna Novecento)

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essendo stato possibile per vari motivi reinserirla nel contesto originale.

Una ruota idraulica, esatta copia dell’originale, si è però potuta rimettere in funzione a scopo docu-mentale e didattico, ovvero quella dell’ex opificio di via della Grada, che fu un tempo pellacaneria, cioè conceria, manufatto costruito nel 1681. L’edificio ora ospita la sede dei Consorzi di Reno e Savena in Bologna, organismi che svolgono sia funzione di mantenimento e di controllo del reticolo idraulico artificiale, che quella di centri di documentazione e didattica sulle acque urbane.

L’IBc curò anche il riordino dell’archivio storico del Consorzio, e soprattutto promosse una serie di studi che culminarono in una esposizione multimediale dal titolo Bologna e l’invenzione delle acque. Saperi arte e produzione tra ‘500 e ‘800, organizzata nell’ambito delle manifestazioni di Bologna 2000, Città Europea della Cultura.

La mostra fu l’occasione per esporre la cartografia storica, i catasti, le fotografie e la riproduzione di opere e documenti d’archivio legati al tema delle acque e offrì al pubblico un efficace filmato dove immagini dell’attualità si alternano a ricostruzioni virtuali, riper-correndo lo stretto legame tra Bologna e le acque.

La storia di Bologna “città d’acqua” è molto antica e copre svariati secoli. L’unico corso d’acqua natura-le che bagnava la ‘Felsina’ etrusca e poi la ‘Bononia’ romana era il torrente Aposa che scendeva dalla val-le di Roncrio e si divideva in due rami, uno occiden-tale in corrispondenza delle attuali via Tagliapietre, via Val d’Aposa, via Galliera, e via Avesella; l’altro orientale, al di sotto delle attuali vie Rubbiani, S. Domenico, piazza Minghetti, via Rizzoli, via dell’In-ferno, piazza S. Martino.

In età augustea, con la crescita demografica della città, fu costruito il primo acquedotto che, mediante

una presa d’acqua dal Setta, raggiungeva la città con un cunicolo sotterraneo sull’asse dell’odierna via D’Azeglio.

L’antico acquedotto romano, caduto in disuso, venne scoperto nelle parti prossime alla città nel tardo medioevo, ma solo nel Cinquecento venne attivato un continuo rifornimento d’acqua potabi-le mediante due conserve, quella del Remondato che raccoglieva le acque dal colle di San Michele in Bosco, e quella di Valverde (conosciuta anche come Bagni di Mario), che captava dal colle dell’Osser-vanza; entrambe riunivano il loro apporto nei pressi della chiesa dell’Annunziata che veniva poi con-dotto alle fontane di piazza, la fontana del Nettuno, progettata da Tomaso Laureti nel 1563, e la Fonte Vecchia, sull’attuale via Ugo Bassi, rifornendo anche il giardino botanico che si trovava nel luogo ora occupato dalla biblioteca Salaborsa. Comunque, il rifornimento idrico capillare della città fino a tutto l’Ottocento, era dato dai numerosi pozzi, pure con il contributo degli acquaioli che distribuivano l’acqua con le botti su carro, come compare in tanti dipinti e fotografie storiche. Però la carenza di pulizia e di igiene provocava frequenti epidemie e ancora nel 1881 l’ultima diffusione del colera indusse alla pro-gressiva chiusura dei pozzi e furono iniziati i lavori di ripristino dell’acquedotto romano, che per diversi decenni da solo ha servito la città.

Tornando al tema generale, di una città in cresci-ta alla fine del XII secolo e priva di un corso d’acqua consistente, cioè di significativa maggiore portata del torrente Aposa, il Comune optò per lo sfruttamento delle acque dei fiumi Reno e Savena, mediante la costruzione di chiuse per convogliare parte del flusso in canali diretti alla città. Così dal Duecento all’Otto-cento inoltrato le vicende urbanistiche, economiche e sociali di Bologna furono determinate da un apporto che ebbe finalità difensive, alimentari, di pulizia, ma soprattutto di forza motrice per mulini di svariato genere e di componente necessaria per varie attività manifatturiere. Emergente fra tutte la produzione serica fra XV e XVIII secolo, che coinvolse gran parte della popolazione, diede forte impulso all’economia cittadina e fu prodromica di un’ingegnosità locale per la meccanica che emergerà nello sviluppo indu-striale del Novecento. Né va sottaciuta la dimensione dell’acqua come via di trasporto, dal medioevo alla metà dell’Ottocento, quando verrà soppiantata dallo sviluppo viario e soprattutto ferroviario; ma per lunghi secoli Bologna ebbe un porto per trasporto di merci e persone alla volta del Po e di Venezia. Si trovava nei pressi dell’attuale porta Lame, dove vennero costruiti un magazzino per le merci, gli uffici della dogana e banchine di approdo.

La ruota del filmato pubblicato dalla Cineteca di

La storia di Bologna “città d’acqua” è molto antica e copre svariati secoli. L’unico corso d’acqua naturale che bagnava la ‘Felsina’ etrusca e poi la ‘Bononia’ romana era il torrente Aposa (…)

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Bologna sulla piattaforma I-Media-Cities è pertanto lo stimolo per pensare o ripensare a una Bologna scom-parsa e sconosciuta che reca il segno dell’importanza delle acque, sia nell’emergenza di palazzi nobiliari e di conventi situati nei luoghi dove il rifornimento era più ricco, sia nella toponomastica.

In via Pellacani, ora Petroni, c’era una concentrazio-ne di concerie per la lavorazione delle pelli, attività che scompare in loco nel secondo Settecento.

Via Cento Trecento deve il suo nome a cento, ovvero molte, traxenda, paratie di derivazione dell’acqua5.

In via Cartolerie e via Cartolerie Nuova (ora via Guerrazzi) l’acqua muoveva più di un meccanismo per la lavorazione della pergamena, infatti cartolaro voleva dire colui che fabbrica la pergamena.

Verso la metà del Trecento venne introdotta a Bo-logna la produzione di veli di seta e in via Castellata si situa il primo mulino da seta.

La presenza dell’acqua a Bologna la si ritrova anche nel nome evocativo delle chiese: San Bartolomeo di Reno, Madonna del Ponte delle Lame, SS. Girolamo ed Eustachio detta la Chiesa delle Acque, il Crocefis-so delle Navi, San Michele del Ponticello, Madonna della Grada, San Martino dell’Aposa, Santa Maria della Chiavica, degli Annegati, Sant’Antonio di Savena6.

Quasi tutti i canali artificiali all’interno della cinta muraria vennero interrati innanzi tutto per motivi edi-lizi e di viabilità e poi per questioni di igiene e pulizia (ad esempio fra Cinque e Seicento il canale di Savena in via Castiglione e nel 1840 il suo ramo detto Fiacca-collo lungo via Rialto), l’energia idroelettrica soppian-tò quella idromeccanica e la produzione industriale cominciò a concentrarsi sulla meccanica. Il Piano regolatore del 1889 dismise il porto e nel 1934 furono demoliti gli edifici ad esso collegati, di cui sopravvive oggi solo la Salara.

Dagli anni settanta del secolo scorso, nell’ottica di una valorizzazione della Bologna scomparsa, vennero avviati i lavori che dal 1990 a oggi hanno portato alla riapertura degli affacci sul canale delle Moline, il re-cupero dell’ex opificio di via della Grada, la riscoperta del condotto sotterraneo dell’Aposa, la sistemazione dell’area del Cavaticcio, la creazione di un percorso ciclopedonale sulla riva del canale Navile, il conso-lidamento e l’illuminazione notturna della chiusa di san Ruffillo, le iniziative balneari presso la chiusa di Casalecchio.

Il rapporto stretto con l’acqua accomuna Bologna a molte altre città italiane ed europee come è testimo-

5 Stefano Pezzoli, Il Savena in città, in Angelo Zanotti, Maria Cecilia Ugolini, Maria Adelaide Corvaglia et al., Il Savena in città. Due interventi strutturali e ambientali per Bologna. Il risanamento del condotto Fiaccacollo. Il consolidamento della Chiusa di San Ruffillo, Corrado Tedeschi Editore, Firenze, 2018, p. 7.

6 Fabio Foresti, Il lessico e il racconto delle acque, in Bologna e l’invenzione delle acque, op. cit., p. 154.

niato da molti documenti visivi presenti sulla piatta-forma I-Media-Cities e ne citiamo alcuni.

Nel film Fidanzate di carta del 1951, parte del patri-monio audiovisivo della Cineteca di Bologna, com-paiono alcuni bagnanti lungo le rive del Reno o del Navile a Bologna.

La porte du rivage è un documentario belga del 1967 conservato alla Cinémathèque Royale de Belgique sul-la storia del canale di Willebroek, che collega Brussels all’Escaut, caratterizzata da mutamenti architettonici e modernizzazioni.

Nel filmato tedesco Ruderregatta (Kaiserregatta) del 1914, accessibile dall’archivio del Deutsches Filminsti-tut - DIF di Francoforte sul Meno, si assiste a una gara internazionale di canottaggio sul Meno mentre nei documentari italiani Vita torinese e Scene di famiglia, parco del Valentino degli anni trenta, reperiti tra le col-lezioni digitalizzate del Museo del Cinema di Torino, alcune riprese mostrano il Po con un’imbarcazione adibita al trasporto persone, una diga, dei canottieri.

Si suppone che la compresenza sulla piattaforma I-Media-Cities di documentari che riflettono realtà metropolitane geograficamente molto distanti, per-metterà un’analisi comparativa tra diversi modelli di riqualificazione e di recupero della fisionomia antica dei centri urbani anche in chiave di valorizzazione turistica.

Nino Comaschi, Canale delle Moline, 1953 (Fondo Nino Comaschi)

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Nino Comaschi, Panorama di Bologna, 1945-1948 (Fondo Nino Comaschi)

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Nuove dimensioni per il patrimonio culturalePier Giacomo Sola

Le tecnologie dell’informazione hanno radicalmente mutato molti aspetti della nostra vita, quindi non ci può sorprendere che negli ultimi decenni anche il settore culturale sia stato

profondamente toccato da questi importanti cambia-menti. Non più di 25 anni fa, ricercatori, studenti e cittadini che avevano bisogno di libri, articoli o informazioni sull’argomento di loro interesse erano soliti trascorrere molto tempo all’interno di una biblioteca. Dovevano chiedere aiuto a un biblioteca-rio ed essere guidati nell’individuazione dei docu-menti più rilevanti, usando cataloghi cartacei. Spesso erano costretti ad aspettare diverse settimane prima di ricevere l’unica copia di un volume resosi disponi-bile in una biblioteca lontana.

Il settore del libro è stato il primo a essere forte-mente interessato dalla rivoluzione tecnologica, con il progressivo sviluppo di sofisticati OpAc (cataloghi di accesso pubblico online) già a partire dagli anni ottanta, seguito dalla creazione di servizi bibliote-cari nazionali e infine – grazie alla spinta data dal progetto Google Book Search – dall’opportunità di avviare ricerche online sul testo delle riviste e dei libri forniti dalle biblioteche partner di Google. È chiaro come questa iniziativa abbia aperto un immenso potenziale per accedere alla conoscenza, tuttavia è evidente la complessità degli aspetti legali relativi alla gestione dei diritti di proprietà intellet-tuale di queste pubblicazioni. Una conseguenza di-retta di tale processo è stata la nascita del concetto di Creative Commons, nato nel 2002 con l’obiettivo di rendere disponibile al pubblico, in modo legale e condiviso, il maggior numero di opere creative. Tale strumento conta ora oltre 1,2 miliardi di opere mes-se a disposizione sotto questa forma di licenza.

Anche gli altri settori della cultura – principal-mente musei e archivi, ma anche, per esempio, siti archeologici e complessi architettonici, come pure il patrimonio intangibile, registrazioni audio e video – non hanno atteso a lungo prima di iniziare a rice-

vere benefici dalle tecnologie dell’informazione. Per tali opere, il problema da affrontare appare subito più difficile, principalmente a causa di due aspetti chiave: l’unicità dell’opera d’arte (nel settore del li-bro, una volta catalogata e scansionata una copia del testo, non è necessario ripetere la stessa operazione con tutte le altre copie esistenti) e le caratteristiche tridimensionali di queste opere.

Questi due punti necessitano di un approccio completamente diverso nell’individuazione di quali siano le tecnologie utili per affrontare tali problemi: essi coinvolgono diversi aspetti, quali – solo per fornire alcuni esempi – la definizione di standard comuni per la digitalizzazione, la risoluzione delle procedure di scansione da utilizzare, la necessità di elaborare modelli 3D, lo sviluppo di strumenti multilinguistici e semantici per meglio dettagliare la descrizione degli oggetti, l’uso della realtà virtuale

Il settore del libro è stato il primo a essere fortemente interessato dalla rivolu­zione tecnologica, con il progressivo sviluppo di sofisticati OPAC (cataloghi di accesso pubblico online) già a partire dagli anni ottanta (…)

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e aumentata per migliorare l’esperienza degli utenti nella fruizione dell’oggetto, e così via.

Ingenti investimenti sono stati stanziati in molti paesi per finanziare queste ricerche, anche per la crescente importanza che la cultura e il turismo culturale hanno assunto nello sviluppo economico dei paesi moderni. Dall’inizio del XXI secolo, è stato avviato un enorme sforzo in Europa per lanciare una serie di programmi di cooperazione tra governi, uni-versità, centri di ricerca e industrie, concentrati sullo sviluppo di strumenti per migliorare la qualità dei servizi culturali e definire una politica comune per la gestione, salvaguardia e valorizzazione del patrimo-nio digitale. Diversi di questi progetti sono confluiti nello sviluppo di Europeana, la piattaforma per la cul-tura digitale che raccoglie i contributi di oltre 3.000 istituzioni in tutto il continente, dai musei più famosi e conosciuti in tutto il mondo, alle istituzioni cultura-li locali e regionali che gestiscono raccolte di piccole dimensioni incentrate su particolari temi.

Oggi ci sono circa 500 progetti di cooperazione transnazionale avviati in Europa a partire dal 2014, rivolti a tematiche legate al patrimonio culturale digitale o allo sviluppo di tecnologie per aumen-tare l’accessibilità e favorire l’uso creativo dei beni culturali.

Sempre più la gestione della cultura non è quindi un problema limitato a un numero ristretto di esperti principalmente interessati a preservare e a proteggere il nostro patrimonio, ma sta diventando invece un elemento chiave per lo sviluppo socio-economico di un paese o di una regione. È bene quindi continuare il lavoro di rafforzamento della cooperazione politica, delle relazioni e del network-ing tra gli attori coinvolti, per favorire la discussione su nuovi modelli di governance del patrimonio e dell’innovazione sociale per la cultura.

È comunemente riconosciuto che approcci partecipativi usati nel settore del patrimonio cul-turale offrono l’opportunità di promuovere una

Nino Comaschi, ONMI (Opera nazionale maternità ed infanzia), Orti di guerra, 1940-1943 (Fondo Nino Comaschi)

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Anonimo, Lavori al manufatto dell’Aposa nel suo ingresso in città, 1920 (Fondo Miscellanea Bologna Ottocento)

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maggiore partecipazione democratica, accrescere la sostenibilità e la coesione sociale, e affrontare meglio le sfide sociali, politiche e demografiche dei nostri anni. Sono dunque uno strumento chiave per proteggere e migliorare il valore del

patrimonio culturale, rafforzare il suo contributo alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro, condividere i valori culturali comuni e aprire la strada a un rapporto più stretto tra i singoli individui e le istituzioni.

Anonimo, Palazzo della Mercanzia e demolizioni ultimo lotto, 1920 (Fondo Miscellanea Bologna Ottocento)

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Nino Comaschi, Avvenire d'Italia, 1937-1950 (Fondo Nino Comaschi)

Lo statuto della FIAF stabilisce che il termine “film” indica una qualsiasi registrazione di immagini in movi-mento, con o senza accompagna-mento sonoro, qualunque ne sia il

supporto, senza distinzioni di genere. Il progetto I-Media-Cities è perfettamente in sintonia con questo assunto fondamentale che conferisce uguale dignità a tutti i documenti filmici oltre allo statuto di beni culturali da preservare, divulgare e valorizzare.

Sulla piattaforma I-Media-Cities sono infatti a disposizione i più svariati materiali filmici, sia docu-

mentari che di finzione, provenienti da registi pro-fessionisti come da operatori amatoriali, che hanno restituito la fisionomia delle città europee nel secolo scorso, in ogni loro aspetto più o meno noto.

Oltre ai film, la Cineteca di Bologna, come altri archivi europei, ha messo a disposizione parte del pro-prio immenso patrimonio fotografico, rendendo anco-ra più ricca la piattaforma e aumentando le possibilità di ricerca sul materiale relativo al capoluogo emiliano.

Trovandosi di fronte a questo importante corpus di opere da catalogare, il metodo è stato costruito work in progress: esso si è infatti adattato alle diver-se versioni della piattaforma rilasciate man mano

Gli occhi sulla cittàMargherita Lanzi

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e, in certi casi, si è dovuto intervenire nuovamente su qualche documento per completare la cataloga-zione in conseguenza dell’aggiornamento dei tools. L’approccio ha avuto quindi un carattere in parte sperimentale, coerentemente alla natura altamente innovativa del progetto.

Per rendere accessibile il patrimonio e facilitare la ricerca sulla piattaforma digitale, nella prima fase del progetto si è compiuto un lavoro di indi-cizzazione dei materiali filmici e fotografici. Nella catalogazione, l’approccio utilizzato è stato inizial-mente di tipo “generalista”: l’attenzione si è rivolta infatti a svariati ambiti, contrassegnando tutti i termini (tag) riconosciuti per ogni inquadratura (shot) che riguardasse la città di Bologna, compre-so insegne di negozi, fabbriche, pompe di benzi-na, cartellonistica stradale e mezzi di trasporto. Poi in una seconda fase di etichettatura, maggior interesse si è posto sui focus di interesse specifici dell’Istituto Beni Culturali – l’ente di ricerca – ampliando i relativi tag agli stili architettonici, alle tipologie di costruzione, alle sezioni di edifici e al riconoscimento di strade e piazze.

Essendo il progetto volto a documentare le tra-sformazioni architettoniche e urbanistiche delle città, è fondamentale la definizione di una mappa-tura accurata. Quello che si vuole fare è identificare i luoghi con la precisione più alta possibile attra-verso una geolocalizzazione viaria curata, cercan-do talvolta di segnalare il numero civico (grazie a strumenti Google quali Maps o Earth). È stata, e continua ad essere una sfida avvincente che stimola molto la memoria visiva e il senso di orientamento del catalogatore e che può offrire uno sguardo nuo-vo su Bologna: emozionante, ad esempio, è scoprire il vecchio aspetto di Piazza Trento Trieste in film del 1919 e nel 1954 e poi cercare sul posto di ripo-

Per rendere accessibile il patrimonio e facilitare la ricerca sulla piattaforma digitale, nella prima fase del progetto si è compiuto un lavoro di indicizzazione dei materiali filmici e fotografici.

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Anonimo, Refezione all'aperto nella cantonale scolastica di via S. Petronio Vecchio, 1924 (Fondo Miscellanea Bologna Ottocento)

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Nino Comaschi, Avvenire d'Italia, 1937-1950 (Fondo Nino Comaschi)

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sizionare virtualmente gli edifici non più esistenti. Si auspica che la geolocalizzazione compiuta possa essere una discreta base di partenza per gli utenti futuri che potranno implementare la piattaforma inserendo luoghi che non si è stati in grado di rico-noscere.

La seconda fase di analisi si è estesa all’appro-fondimento su personaggi, luoghi e fatti, condotto attraverso la ricerca bibliografica su OpAc Sebina, riferimenti ad altri film presenti sulla piattafor-ma e collegamenti ai Link Open Data. Questa fase altrettanto interessante, ha portato a scoprire tante storie della città di Bologna, personaggi più o meno famosi, luoghi ora scomparsi, usi e costumi dei vari decenni del secolo scorso.

Un contributo per arricchire questo progetto può arrivare da competenze specifiche in ambito cine-matografico, legate sia alla storia del cinema che all’aspetto produttivo. Grazie ad esse, è possibile porre maggiore attenzione su alcune caratteristiche strettamente cinematografiche dei titoli analizzati. Ad esempio, indicare anche gli aspetti tecnici come i movimenti di macchina, i tipi di inquadratura o gli effetti di transizione può essere molto utile dato che la storia del cinema si basa anche sulle trasfor-mazioni nel linguaggio tecnico e potrebbe essere oggetto di ricerca. Anche approfondire, attraverso bibliografia e siti, la storia delle piccole e medie società di produzione segnalate per ogni titolo, rappresenta un’opportunità per nuovi studi ancora da percorrere nella loro interezza e che nella piatta-forma potrebbe trovare un significativo strumento di indagine. Queste notizie andrebbero ad integrare i contributi testuali imprescindibili forniti dagli archivi e riportati sulla piattaforma nelle General e Technical Info, cioè quell’insieme di informazioni che appartengono alla categoria dei metadata. Tra questi, ad esempio segnalare la situazione relativi ai diritti di un titolo, cioè se è di pubblico domi-nio o protetto da copyright, può rappresentare un elemento interessante per una società di produzione che utilizza materiale d’archivio nei propri film, in quanto questo è un dato utile da sapere nella fase di stesura del budget.

L’approccio adottato ha comunque sempre tenuto conto che la piattaforma sarà aperta a diverse tipo-logie di utenti con differenti esigenze (l’urbanista, il geografo, l’architetto, lo studioso locale, lo storico dell’arte, il sociologo, etc.) e della necessità quindi di mettersi nei panni di chiunque si trovi ad accede-re ad I-Media-Cities, qualsiasi interesse, formazione o motivazione abbia.

Per rendere veramente la ricerca sulla città di Bologna libera, aperta a tutti e in movimento.

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www.imediacities.eu

Coordinatore:• Cinémathèque Royale De

Belgique

Partner:• Consorzio Interuniversitario

Cineca• Fraunhofer Gesellschaft Zur

Förderung Der Angewandten Forschung

• IMEC• Fondazione Cineteca di Bologna• Istituto per i Beni Artistici

Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna

• Museo Nazionale del Cinema Fondazione Maria Adriana Prolo

• Urban Center Metropolitano Torino

• Institut Català de les Empreses Culturals

• Universitat de Barcelona• Svenska Filminstitutet

• Stockholms Universitet• Tainiothiki tis Ellados - Greek

Film Archive• Ethniko Kai Kapodistriako

Panepistimio Athinon• Deutsches Filminstitute

Filmmuseum - DFF• Det Danske Filminstitut - DFi• Österreichisches Filmmuseum• Ludwig Boltzmann Institute for

Neo-Latin Studies Austria

This project has received funding from the European Union’s Horizon 2020 research and innovation programme under grant agreement N° 693559 – 2016-2019

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DOSSIER IBCEstratto dalla rivista online IBC Informazioni, commenti e inchieste sui beni culturali

Anno XXVI, numero 3, luglio-settembre 2018

Registrazione del Tribunale di Bologna, n. 4677 del 31 ottobre 1978 ISSN 1125-9876

direttore scientifico Roberto Balzani

direttore responsAbileClaudio Leombroni

cAporedAttoreValeria Cicala

redAzioneBrunella Argelli, Gabriele Bezzi, Isabella Fabbri, Vittorio Ferorelli, Silvia Ferrari, Monica Ferrarini, Valentina Galloni, Maria Pia Guermandi, Carlo Tovoli

segreteriA di redAzione Silvia Ferrari

progetto grAfico e impAginAzione dossierKitchen

stAmpA Tipografia Negri, Bologna

sede di redAzione Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna via Galliera 21, 40121 Bologna tel.: (+39) 051.527.6610/[email protected] rivista.ibc.regione.emilia-romagna.it

Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna

ibc.regione.emilia-romagna.it

presidenteRoberto Balzani

direttoreClaudio Leombroni

consiglio direttiVoMichelina Borsari, Franco Farinelli, Claudio Spadoni, Marzia Zambelli

gruppo di lAVoro ibc del progetto I-MedIa-CItIesMargherita Spinazzola (coordinatore del progetto per IBC 2016-2017), Silvia Ferrari (coordinatore del progetto per IBC 2018-2019), Lorenza Bolelli, Monica Ferrarini, Claudio Leombroni, Stefano Pezzoli, Francesca Ricci, Alessandro Zucchini, Priscilla Zucco

collAborAtoriMargherita Lanzi (Open Group), Pier Giacomo Sola (Steps)

Tutte le fotografie, dove non diversamente citato © Fondazione Cineteca di Bologna

© Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna © Gli autori per i testi

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