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n. 9 – settembre 2014 la Biblioteca di via Senato Milano mensile, anno vi SUL NOLANO Giordano Bruno: raffinato bibliofilo di guido del giudice EDITORIA Raffinati libri con un certo bel carattere di massimo gatta AVVENTURE VISIVE Su Rem Koolhaas e lo Sguardo dell’occhio di sandro giovannini L’ALTRO SCAFFALE Il pensiero filosofico non è una coppa di gelato di alberto cesare ambesi FONDO ANTICO Tutti i Dante Alighieri anno per anno di giancarlo petrella

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n. 9 – settembre 2014

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno vi

SUL NOLANOGiordano Bruno: raffinato bibliofilo di guido del giudice

EDITORIARaffinati libri con un certo bel caratteredi massimo gatta

AVVENTURE VISIVESu Rem Koolhaase lo Sguardodell’occhiodi sandro giovannini

L’ALTRO SCAFFALEIl pensierofilosofico non è una coppa di gelatodi alberto cesare ambesi

FONDO ANTICOTutti i Dante Alighierianno per annodi giancarlo petrella

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Sommario4

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BvS: Fondo AnticoTUTTI I DANTE ALIGHIERIANNO PER ANNOdi Giancarlo Petrella

EditoriaLA CIVILTÀ PERFEZIONATA DA CHAMFORT A SCIASCIAdi Massimo Gatta

Sul NolanoGIORDANO BRUNO: RAFFINATO BIBLIOFILO di Guido Del Giudice

IN SEDICESIMO – Le rubricheLE MOSTRE – IL LIBRODEL MESE – L’EDITORE DEL MESEa cura di Luca Pietro Nicoletti,Alessandro Grossato e Sandro Giovannini

Punture di pennaCONSIGLI INTELLETTUALIPER IL VERO MAÎTRE À PENSERdi Luigi Mascheroni

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Editoria/2RAFFINATI LIBRI CON UNCERTO BEL CARATTEREdi Massimo Gatta

Avventure visiveSU REM KOOLHAAS E LOSGUARDO DELL’OCCHIOdi Sandro Giovannini

L’Altro scaffaleIL PENSIERO FILOSOFICONON È UNA COPPA DI GELATOdi Alberto Cesare Ambesi

Filosofia delle parole e delle coseORGOGLIO RAFFINATO E SERIA DISMISURAdi Daniele Gigli

BvS: il ristoro del buon lettoreI PIATTI DI GRAZIA E ALCEOdi Gianluca Montinaro

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO

MENSILE DI BIBLIOFILIA – ANNO VI – N.9/54 – MILANO, SETTEMBRE 2014

la Biblioteca di via Senato – Milano

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Fondazione Biblioteca di via Senato

PresidenteMarcello Dell’Utri

Consiglio di AmministrazioneMarcello Dell’UtriGiuliano Adreani Fedele Confalonieri Ennio Doris Fabio Pierotti Cei Fulvio Pravadelli Carlo Tognoli

Segretario GeneraleAngelo de Tomasi

Collegio dei Revisori dei contiPresidenteAchille FrattiniRevisoriGianfranco Polerani Francesco Antonio Giampaolo

Biblioteca di via Senato – Edizioni

RedazioneVia Senato 14 - 20122 MilanoTel. 02 76215318 - Fax 02 [email protected]@bibliotecadiviasenato.itwww.bibliotecadiviasenato.it

Direttore responsabileGianluca Montinaro

Servizi GeneraliGaudio Saracino

Coordinamento pubblicitàInes LattuadaMargherita Savarese

Progetto graficoElena Buffa

Fotolito e stampaGalli Thierry, Milano

Referenze fotograficheSaporetti Immagine d’Arte - Milano

Immagine di copertinaTratta da Dante col sito et formadell’Inferno, Venezia, eredi di AldoManuzio, 1515, mappa del baratroinfernale (particolare)

Stampato in Italia© 2014 – Biblioteca di via SenatoEdizioni – Tutti i diritti riservati

Reg. Trib. di Milano n. 104 del11/03/2009

SI RINGRAZIANO LE AZIENDECHE SOSTENGONO QUESTA RIVISTA CON LA LORO COMUNICAZIONE

L’Editore si dichiara disponibile a regolareeventuali diritti per immagini o testi di cuinon sia stato possibile reperire la fonte

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«I l destino di Giordano Bruno èindissolubilmente legato allibro», scrive su questo numero

della rivista Guido Del Giudice, nell’articolodedicato al filosofo di Nola e al suo amore peri libri. Amore che lo ha accompagnatodurante tutta la vita e che lo ha condotto allanota e tragica fine: le fiamme del pubblicorogo, suo e delle sue opere.

Guardiamo oggi con orrore a questeazioni, violente e illiberali. Eppure essevengono ancora perpetrate, sotto altre vesti.Dimostrazioni di intolleranza intellettualesono all’ordine del giorno, specie nel nostroPaese. Pensatori emarginati perché nonallineati, scrittori non pubblicati perchéscomodi, editori non distribuiti perché“pericolosi”. A più di quattrocento anni pocoè cambiato. E a subirne le conseguenze sono,

oltre agli individui, anche i libri. Non piùbruciati ma per lo più declassati a istantbook, oppure scansati a favore di televisionee new media o ancora guardati consufficienza nella convinzione che interessinopochi.

Eppure è nel libro che risiede la potenzapiù alta dell’espressione culturale: la forzadelle idee. Essendo oggetti che veicolanoun’opera (pur non essendo fisicamente essistessi l’opera) “lavorano” sull’immaginario e sull’incorporeo, costruendo il mondo diriferimenti dentro il quale viviamo. Senza i libri non potremmo essere ciò che siamo;senza i libri non avremmo coscienza; senza i libri vivremmo in un mondo senzaprospettive. Proprio per questo, anche sedecidiamo di non saperlo, il destino di tuttinoi è indissolubilmente legato al libro.

Gianluca Montinaro

Editoriale

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Commedia, il nuovo medium ti-pografico già si era appropriatodi Petrarca e Boccaccio. Il Can-zoniere e i Trionfi avevano vistola luce a Venezia nel 1470 in unsolido in folio impresso per i tipidi Vindelino da Spira, titolaredella prima officina impiantatain Laguna. Ma in fatto di edito-ria petrarchesca era stato addi-rittura preceduto da Ulrich Zellche a Colonia, l’anno prima,aveva stampato l’Historia Grisel-dis, traduzione latina dell’ultimanovella del Decameron e dunqueufficialmente prima opera delPetrarca a stampa. Le novelledel Boccaccio viaggiavano già indue edizioni, la prima delle qua-li dubitativamente assegnata al-la tipografia napoletana circa il1470, la seconda certificata esottoscritta a Venezia da Chri-stophorus Valdarfer nel 1471.La fortuna editoriale di Danteinizia invece nella più defilata

Foligno l’anno successivo. A prendere l’iniziativafu, ancora una volta, un tipografo venuto d’Ol-tralpe, quel Johann Neumeister che prende la pa-rola al colophon: «Nel mille quatro cento septe e

Quante sono le edizionidantesche del XVI se-colo? E quelle del Set-

tecento? Qual è stata la primaedizione dotata di commento?Tutte queste domande, assolu-tamente lecite sia per lo storicodel libro di professione sia perquello che un tempo si chiamavail lettore colto, trovano ora sicu-ra risposta in due ponderosi eindispensabili strumenti editidalla Salerno editrice nell’ambi-to del più ampio progetto del‘Censimento dei commentidanteschi’, ossia Le «LecturaeDantis» e le edizioni delle opere diDante dal 1472 al 2000 (a cura diCiro Perna e Teresa Nocita, Ro-ma, Salerno ed., 2012) e I com-menti di tradizione a stampa (dal1477 al 2000) e altri di tradizionemanoscritta posteriori al 1480 (acura di Enrico Malato e AndreaMazzucchi, coordinamentoeditoriale di Massimiliano Cor-rado, Roma, Salerno editore, 2014). Editorial-mente parlando Dante è arrivato per ultimo. Mispiego. Nel 1472, quando i torchi licenziano qua-si in simultanea addirittura tre edizioni della

TUTTI I DANTE ANNO PER ANNO

Due nuovi repertori bibliografici della Divina Commedia

GIANCARLO PETRELLA

Sopra: Dante Alighieri, in una

incisione del 1920 di Adolfo de

Carolis (1874-1928). Nella pagina

accanto: La Divina Commedia ridotta

a miglior lezione dagli Accademici delle

Crusca, Firenze, Domenico Manzani,

1595, frontespizio

BvS: Fondo Antico

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due / nel quarto mese adi cinque et sei / questaopera gentile impressa fue / Io maestro IohanniNumeister opera dei / alla decta impressione etmeco fue / Elfuginato Euangelista mei». Alla pri-ma carta offriva invece ai lettori «la comedia didante alleghieri di fiorenze nella q(ua)le tracta /delle pene et punitioni de uitii et demeriti / et pre-mii delle uirtu». Poi, nello stesso anno, a MantovaGeorg de Augusta con Paulus de Butzbach e, pro-babilmente, a Venezia Federico de’ Conti licen-ziano altre due edizioni. A questo punto il merca-to si suppone già saturo, o quasi. Ma ciò non-ostante la fortuna letteraria e commerciale delPoema nella nuova veste tipografica è solo agliinizi, come può suggerire, anche a chi fosse digiu-

no di bibliografia dantesca, la ricognizione delleedizioni di Dante dal 1472 al terzo millennio alle-stita da Teresa Nocita. Entro la fine del XV secolofurono stampate quindici edizioni. La formulaeditoriale vincente si concretizza nella mise en pa-ge che dispone le terzine al centro e il commentoesegetico (ormai imprescindibile viatico allacomprensione del Poema) a gabbia tutt’attorno.L’anno di svolta è il 1477. A Venezia Vindelino daSpira licenzia la Commedia con le glosse trecente-sche di Jacopo della Lana, erroneamente attribui-te a Benvenuto da Imola. Ai numerosi esemplaricensiti nelle biblioteche italiane e straniere, si puòqui aggiungere anche il raffinato esemplare conlegatura ottocentesca amatoriale in marocchinoconservato presso la Biblioteca di via Senato, il cuicospicuo fondo dantesco raggiunge il numero as-solutamente ragguardevole di circa trecento edi-zioni, cui si aggiungono circa cinquecento contri-buti esegetici di varia natura (Dante e l’Islam. In-contri di civiltà, Milano, Biblioteca di via SenatoEdizioni, 2010). A Milano, tra il settembre 1477 eil febbraio dell’anno successivo, Ludovico e Al-berto Pedemontani sfornano un’edizione (la co-siddetta Nidobeatina) con il commento originaledel novarese Martino Paolo Nibia, umanistica-mente detto, appunto, il Nidobeato, che dichiaraapertamente la dipendenza dalle glosse mano-scritte di Jacopo e Pietro Alighieri, Jacopo dellaLana, Benvenuto da Imola, Giovanni Boccaccio,Guiniforte Barzizza e più oscuri chiosatori, tra cuiun Andrea da Napoli. Non si può dire che fu uncommento di successo. Nel 1481 Firenze, colpe-volmente in ritardo rispetto agli altri centri tipo-grafici (Napoli a quest’altezza poteva vantare giàdue edizioni, di cui una, quella attribuita a Fran-cesco del Tuppo oggi nota in sole tre copie e as-sente anche nella più prestigiosa collezione dan-tesca privata allestita da Livio Ambrogio), inau-gura la fortunata tradizione della Commedia colcommento di Cristoforo Landino, destinato a im-porsi come autentico longseller sino al pieno Cin-

Dante con l’espositione di m. Bernardino Daniello, Venezia,

Pietro da Fano, 1568, frontespizio

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quecento. L’edizione, sottoscritta dal tedescoNiccolò di Lorenzo, è l’ostentazione della fioren-tinità, con un proemio che celebra le glorie citta-dine in ogni arte e mestiere che sarà ancora sac-cheggiato da fra Leandro Alberti a distanza di cin-quant’anni quando dovrà compilare il capitolo suFirenze nella sua Descrittione di tutta Italia. So-prattutto però è questa l’edizione che per la primavolta avrebbe offerto ai lettori un Dante per im-magini, volendo infatti corredare ogni canto diun’incisione su rame, opera di Baccio Baldini sudisegni forse del Botticelli. Se non che le difficol-tà tecniche della stampa e i costi certo proibitivifecero presto naufragare l’impresa, arenatasi aiprimi diciannove canti. Ci pensò il dalmata Boni-nus de Boninis a Brescia, sei anni dopo, a immet-tere sul mercato un Dante più ‘democratico’ cheristampa sostanzialmente l’edizione fiorentinacol commento landiniano ma sostituisce la com-plicata e costosa incisione su rame con la più age-vole silografia (testo e immagine si potevanostampare in unico passaggio sotto il torchio). Perchiarezza va però detto che anche il progetto bre-sciano non andò proprio a buon fine, visto che lesilografie (tutte a piena pagina) proseguono stan-camente, e con qualche pasticcio, non oltre il I delParadiso (mi si permetta di rimandare in merito aG. Petrella, Dante in tipografia. Errori, omissioni evarianti nell’edizione Brescia, Bonino Bonini, 1487,«La Bibliofilia», CXV, 2013, pp. 167-195; ID.,Iconografia dantesca ed elementi paratestuali nell’edi-zione della Commedia Brescia, Bonino Bonini, 1487,«Paratesto», X, 2013, pp. 9-36). Saranno piutto-sto le due edizioni veneziane del 1491, entrambeaccompagnate dal commento del Landino (Vene-zia, Bernardino Benali e Matteo Codecà, 31 mar-zo 1491; Venezia, Pietro Piasi, 18 novembre1491) a completare lo sforzo in questa direzione,riducendo le dimensioni delle silografie così dagarantire un corpus iconografico completo a tuttele cantiche.

Nel 1502 un nuovo salto in avanti, o indietro

rispetto allo standard tipografico-illustrativo or-mai consolidatosi nel trinomio testo-commento-immagine. Aldo Manuzio inaugura il nuovo seco-lo con Le terze rime di Dante nel rivoluzionarioformato tascabile in ottavo e nella lezione curatadal Bembo. La sua è la prima delle circa trenta edi-zioni cinquecentesche della Commedia, solo dal1555 ufficialmente ‘Divina’ (come la Callas) nel ti-tolo scelto per l’edizione licenziata da GabrieleGiolito de’ Ferrari. Il formato non più da leggiosuggerisce una fruizione più matura del testo, libe-rato in un solo colpo dall’ingombrante commentoe apparato silografico. Successo strepitoso, sug-gellato dalle simultanee contraffazioni lionesi,dalla risposta della concorrenza fiorentina dei

Dante col sito et forma dell’Inferno, Venezia, eredi di Aldo

Manuzio, 1515, frontespizio

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Giunta (1506) e più in avanti dal raffinatissimoDante nel minutissimo formato in 24° licenziatodall’intraprendente Alessandro Paganini (1516).Intanto l’anno prima l’officina aldina (ma Aldo eraappena scomparso il 6 febbraio) aveva sfornatouna seconda edizione in ottavo arricchita da un ap-parato assai suggestivo di illustrazioni di corredoche rappresentano per certi versi l’antesignanodella tavole a tutti ben note fin dagli anni del liceo:il «sito et forma della valle inferna», ossia una rap-presentazione schematica dell’imbuto infernale;

una classificazione dei peccati infernali e una clas-sificazione dei peccati che si espiano nel Purgato-rio. Le illustrazioni discendono da quelle espostenel Dialogo di Antonio Manetti circa «il sito, formaet misure dello inferno di Dante Alighieri» stam-pato a Venezia circa 1506 da Filippo Giunta.

�Giù fino al 1596 (ultima edizione cinquecen-

tesca) è un diluvio di edizioni, alcune delle qualiriportano in auge anche la formula testo-com-

Sopra: Dante col sito et forma dell’Inferno, Venezia, eredi di Aldo Manuzio, 1515, mappa del baratro infernale.

A destra: Dante Alighieri, Divina Commedia (col commento di Cristoforo Landino), Venezia, Bernardino Benali e Matteo

Codecà, 3 marzo 1491, silografia a piena pagina in apertura di Inferno I

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mento con le nuove glosse firmate AlessandroVellutello e Bernardino Daniello uscite come au-tentiche novità esegetico-editoriali nel 1544 e nel1568 (Venezia, Francesco Marcolini, 1544; Vene-zia, Pietro da Fano, 1568).

Poi l’eclissi del Seicento: tre edizioni in tut-to, per di più ristrette all’area veneta e al breve ar-co temporale 1613-1629. Le prime due col biz-zarro titolo La Visione Poema (rispettivamente Vi-cenza, Francesco Leni, 1613 e Padova, DonatoPasquardi, 1629); l’ultima Venezia, Niccolò Mis-serini, 1629 con l’ormai canonico appellativo: LaDivina Comedia di Dante, con gli Argomenti e Alle-gorie per ogni Canto. Il ventennale lavoro di sche-datura e censimento dei commenti danteschi co-

ordinato da Enrico Malato e Andrea Mazzucchiha però portato a galla, nell’apparente indifferen-za seicentesca al Poema, l’inedito commento aiprimi venticinque canti dell’Inferno (1679-1687),arricchito di interessanti schematizzazioni grafi-che, dell’ingegnere ferrarese Alfonso Gioia (†1687) tràdito da tre manoscritti autografi dellaBiblioteca Estense di Modena (Ital. 501-503).

�In apparente controtendenza rispetto ai giu-

dizi del secolo, Gioia si cimentò non solo con ilcommento alla Commedia, ma con un’esplicita di-fesa del Poeta: «poiché questo gran poeta viene damolti, per altro dottissimi, calunniato, i quali non

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so perché si sien posti in impegno, anzi in gloria dieternamente censurarlo, e di levarlo affatto dallalode che per verità le può dar pochi uomini per ilsuo forte e non vulgar modo di poetare, parmiconveniente il manifestare perché e come sia que-sto avvenuto per trarne motivo onde sia che mi siaposto secondo le deboli forze di mio ingegno adinterpretarlo».

Il tentativo di una rivalutazione dantescanella Ferrara del tardo Seicento non ebbe forsel’esito sperato, come testimonia la mancata pub-blicazione delle annotazioni relative ai primi dieci

canti e la sopravvivenza nelle carte autografe diappunti riguardanti i canti successivi.

La bibliografia dantesca non riparte che ainizio Settecento (una ventina di edizioni in un se-colo, alcune di gusto raffinatissimo, come la vene-ziana di Antonio Zatta datata 1784 e la bodonianadel 1795), prima di riprendere il suo corso impe-tuoso nel secolo successivo quando è la scuola adappropriarsi della Commedia, facendone letturaobbligatoria (Teresa Nocita censisce oltre 250edizioni nell’Ottocento!). A suo modo rivoluzio-naria fu anche la scelta nel 1949 di inserire Dante

Nella pagina accanto: Dante Alighieri, Divina Commedia (col commento del Nidobeato) Milano, Ludovico e Alberto

Pedemontani, 1477, incipit. Sopra: Dante con l’espositione di m. Bernardino Daniello, Venezia, Pietro da Fano, 1568,

silografia in apertura di Inferno I raffigurante il baratro infernale

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In alto: Dante Alighieri, Divina Commedia (col commento

di Cristoforo Landino), Brescia, Bonino Bonini, 1487,

silografia di Inferno I. A destra dall’alto: Dante Alighieri,

Divina Commedia (col commento di Cristoforo Landino),

Venezia, Bernardino Benali e Matteo Codecà, 3 marzo

1491, colophon; Dante Alighieri, Divina Commedia

(col commento di Cristoforo Landino), Venezia,

Bernardino Benali e Matteo Codecà, 3 marzo 1491,

silografia a testo.

Qui sopra: Dante Alighieri, Divina Commedia

(col commento del Nidobeato) Milano,

Ludovico e Alberto Pedemontani, 1477, colophon

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nella prima serie della collana tascabile dellaBUR: alla ripresa delle lezioni dopo la lunga pausaestiva gli studenti trovarono a disposizione tuttala Commedia in quei comodi volumetti grigiastri abuon mercato. Fra i 166 commentatori danteschicensiti nel recente repertorio, accanto a nomi bennoti e di prestigio, emergono alcune autentichetrouvailles che si prestano a riflessioni anche menoseriose. Scopro con assoluta sorpresa che nellaschiera dei dantisti italiani figura anche un inten-dente di finanza, il sanremese Giacomo Bottini, ilquale chiesta, e ottenuta, nel 1903 la quiescenzadai propri incarichi si dedicò allo studio dellaCommedia in vista della stesura di un commentoche avrebbe dovuto essere «veramente originale,veramente dedicato ai giovani studiosi». Il com-mento, in cui larga parte occupano le spiegazioniastronomiche, ovviamente non andò oltre un’edi-zione locale, apparsa postuma nel 1931. Un’areaperiferica rispetto ai più tradizionali centri di cul-tura come la Provincia di Cuneo, per ragioni asso-lutamente inafferrabili, ha dato i natali, a cavallotra Otto e Novecento, a cinque esegeti della Com-media: il letterato e drammaturgo Onorato Ca-stellino (1880-1952); il più universalmente notoAttilio Momigliano (1883-1952); i sacerdoti Gio-vanni Roatta (1913-1985) e Carlo Tommaso Dra-gone (1911-1974); infine Daniele Mattalia (1906-1985), forse più noto per l’affaire della «Zanza-ra», il giornalino del Liceo Parini di Milano, dicui Mattalia era preside, al centro nel 1966 di undiscusso caso giudiziario. Almeno un nome èsfuggito ai redattori del censimento dantesco. Al-l’«immondo verminaio di glossatori», per ricor-rere alla dissacrante formula coniata da Marinettiper bollare il secolare corpus di esegeti della Com-media, va infatti aggiunto anche monsignor Fran-cesco Nerli, futuro cardinale (1636-1708).

La vicenda, che merita uno studio assai piùapprofondito della rapida segnalazione qui offer-ta, è confinata tra le carte della copia della Com-media «ridotta a miglior lezione dagli Accademici

della Crusca» (Firenze, Domenico Manzani,1595) conservata nel fondo dantesco della Biblio-teca di via Senato.

�Il Nerli, circa nel 1658, interfoliò e dissemi-

nò di dotte postille marginali la propria copia, co-me assicura una nota in principio: «Osservazionidi monsignor Francesco Nerli poi cardinale, det-tate da esso circa l’1658 al canonico Matteo Stroz-zi, e giungono fino al principio del canto 22° delParadiso non essendosi ritrovate le altre restan-ti». Ma questa è un’altra vicenda che probabil-mente non si potrà mai raccontare.

Dante Alighieri, Divina Commedia (col commento

falsamente attribuito a Benvenuto da Imola) Venezia,

Vindelino da Spira, 1477, colophon

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tutti su carta vergata a bordi in-tonsi della Cartiera Miliani diFabriano o della Cartiera Fedri-goni, “[…] guidano il lettoreverso la scoperta dell’opera, re-cuperando uno strumento inu-sitato come il tagliacarte, ridot-to a puro oggetto decorativo”58.Tutti contengono un segnalibro(cm 7,5 x 19,8), stampato sullamedesima carta vergata, con alrecto riprodotta in piccolo la me-desima incisione che compare incopertina59, al verso una brevenota introduttiva all’opera e infine i dati riguardanti la tiratura

di testa di ogni titolo, limitata a 100 + XX copie,con allegato un esemplare dell’incisione, numera-ta e firmata a matita dall’artista, volume rilegatoperò in carta Roma di colore verde pallido, con-servato in cofanetto cartonato muto, legaturaquindi diversa da quella dell’edizione in commer-cio. Anche questi segnalibri-risvolti, al di là del lo-ro valore di peritesto volante, costituiscono og-getto di piccolo collezionismo. I volumi di questacollana, intonsi e rilegati nella tiratura ordinariain una brossura color panna, hanno risvolti e quar-ta di copertina muti, per tale motivo il risvolto-se-gnalibro illustrato e inserito all’interno costitui-sce l’unico peritesto parlante del volume:

LA CIVILTÀ PERFEZIONATADA CHAMFORT A SCIASCIARisvolti editoriali volanti ovvero dei segnalibri della Sellerio

Terza e ultima parte

Una collaborazione edi-toriale che rispecchiadel resto una lunga tra-

dizione di altri letterati editoriitaliani.53

“La civiltà perfezionata”,collana54 da tempo purtroppoconclusa, architrave nella co-struzione lenta e pensata del ca-talogo55 editoriale Sellerio, haquindi rappresentato lo spazioprivilegiato nel quale il peritestoeditoriale “in forma” di segnali-bro ha trovato la giusta colloca-zione.

In esso sono sedimentate le qualità graficheinsieme a quelle letterarie, il bisogno di fornire allettore essenziali elementi connotativi dell’operadi riferimento, tipica dei classici risvolti e quartedi copertina, come quelli legati alle esperienze diEinaudi e del Saggiatore56, dove il risvolto di co-pertina rappresenta una vera e propria arte in casaSellerio, e di cui Sciascia fu uno degli artefici mag-giori, un’arte del risvolto57 ripresa dalla scritturacritica di Salvatore S. Nigro, direttore editorialedella casa editrice palermitana. I volumi de “La ci-viltà perfezionata” sono circa 64, alcuni dei qualisono stati in seguito ristampati in altre collane;

MASSIMO GATTA

Editoria

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“L’idea dei segnalibri nacque, fra l’altro, per ov-viare al fatto che la grafica della collana non con-sentiva dei risvolti di copertina. In un volume in-tonso ci sembrò opportuno dare qualche infor-mazione al lettore”.60

E poi c’era il testo che, ne “La civiltà perfe-zionata”, diventa parte integrante dell’inafferra-bile sensazione di antico nel moderno che la graficagenerale della collezione trasmette al lettore:

“E’ l’inafferrabile senso di naïveté che si avverteanche nella gradevole tattilità dei materiali. ‘Laciviltà perfezionata’, inizialmente collana centra-le, è un piccolo gioiello artigianale; pagine in car-ta vergata e sovraccoperta in carta In gres man-tengono il tono avoriato per tutto il libro. I sedi-cesimi intonsi guidano il lettore verso la scopertadell’opera, recuperando uno strumento inusitato

come il tagliacarte, ridotto a puro oggetto deco-rativo. La copertina ospita sul piatto la riprodu-zione di un’incisione affidata di volta in volta adartisti come Caruso, Clerici, Maccari, Zancana-ro, Guttuso, Greco. Tutta questa preziosità viene,infine, protetta da una sovraccoperta che vela lapercezione dell’insieme: una carta pergamyn tra-sparente. All’interno il testo poggia leggermenteverso la piega, lasciando un più ampio spazio neltaglio e beneficia di larghi margini di bianco”.61

Un taglio che sfrangia la carta e che diventacome l’orlo di un tappeto antico, con le barbe dellacarta a testimoniare il nostro passaggio di lettoriamici. Nella tiratura di testa (quella normale era inmedia sulle 2.500 copie), indicata in 100 + XX co-pie, le incisioni sono tirate su pregiate carte Rosa-spina di Fabriano, Sicars di Catania, Butten dellaDressler, Magnani di Pescia, Arches, stampate

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rilegare presso la “LE.I.MA.” L’insieme dei segnalibri costituisce una sorta

di quadreria incisoria portatile, testimonianza deigusti artistici di Sciascia orientati principalmenteverso l’incisione e la stampa d’arte63:

“Diceva spesso Guttuso di amare tutta la pitturacome l’ubriacone ama tutto il vino. Il medesimoavrebbe potuto ripetere di sé Leonardo Sciascianei confronti dell’incisione: tanto gli era, comeamateur d’estampes, indistinguibile da quelli cheHonoré Daumier rappresenta, ora in piedi ora se-duti, intenti a osservare con una mite follia nellepupille un foglio teste uscito dal torchio o sceltoda un grande mucchio.Era una passione, la sua, benché assoluta, di bene-vola latitudine, sì da allargarsi a comprendere pa-recchi territori limitrofi: film muti, vecchie foto-grafie, manifesti d’una volta…tutto quanto, in-somma, è figura minore e segreta del mondo, alfa-beto di segni più che di colori. […] Meglio, al suopudore altero, si confacevano i complotti di bian-chi e neri che un bulino sommessamente intrat-tiene fra i margini di un’acquaforte, là dove la vistafa presto a diventare visione, se non visibilio”.64

Era lo scrittore a scegliere e contattare perso-nalmente gli artisti, molti i siciliani, che avrebberopoi realizzato le copertine della collana. Nota è lapassione collezionistica dello scrittore per le inci-sioni e più in generale la sua felicità nello scriveredi cose d’arte anche se, come rilevato da Motta,“[…] restano in ombra gli articoli d’arte, un centi-naio, che finora non hanno trovato un esegeta”.Basta rileggersi, a tale proposito, quanto da Scia-scia scritto in omaggio ai Prandi, librai antiquaridi Reggio Emilia e tra i massimi mercanti di inci-sioni e libri illustrati. Ma più che collezionistaSciascia amava definirsi e considerarsi un amatore,per quella sua naturale propensione a togliere pe-so all’enfasi delle parole; collezionista era una defi-nizione troppo ridondante, implicando qualcosa

con torchi a mano da eccellenti artigiani, numera-te e firmate a matita dagli artisti. La stessa stampatipografica dei volumi riflette le diverse animedella casa palermitana. Tutti i titoli della primastagione venivano infatti stampati da maestranzelocali62, trattandosi di tirature non alte. In seguito,soprattutto in conseguenza di alcuni successi edi-toriali di altissima tiratura (come i titoli di AndreaCamilleri, con tiratura iniziale di 400.000 copie) lastampa verrà realizzata a Sesto San Giovanni dalla“Leva Arti Grafiche”, mentre la rilegatura e la cu-citura a filo refe verrà predisposta a Trento dallaIGF. In ogni caso la Sellerio continua ancora oggia preferire la stampa offset alla bobina (con stampaa foglio rigorosamente nel formato 70 x 100). InSicilia, invece, l’editore continua a stampare le al-tre pubblicazioni, e tutte le ristampe, presso le“Officine Grafiche Riunite” di Palermo e a farle

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settembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 17

di ben definito e in fondo lontano dal suo essere,un po’ come ebbe a scrivere Carlo Emilio Gaddaricordato da Antonio Motta:

“Nessun titolo, cioè nessuna competenza e nessu-na autorità io mi riconosco, da poter interloquirein questioni di pittura, o di disegno, o d’acque for-ti e punte secche o zinchi o rami che siano”.65

L’attenzione sciasciana alla migliore lezionefilologico-artistica per i soggetti delle copertine loportava fino allo scrupolo documentario, all’esat-tezza diamantina delle fonti, lui in fondo soltantoun dilettante felice, un amateur d’estampes:

“Gli piaceva definirsi «un amatore di stampe». Eper le copertine della collana «La civiltà perfezio-nata» sceglieva gli incisori. Commissionava le ac-queforti. Proponeva i soggetti. E li circoscriveva.A Leonardo Castellani spedì addirittura due foto-grafie di luoghi stendhaliani come appoggio dimemoria per l’incisione destinata alle Lezioni suStendhal di Tomasi di Lampedusa”.66

Un piacere gioioso, quello di Sciascia perl’incisione, che in fondo lo accomunava all’amatoMontaigne di cui era solito citare l’espressione

“Non faccio niente senza gioia”. Una passionesenza alcuna smania collezionistica, orientata uni-camente verso il piacere, anche tattile, della carta,del soggetto, delle forme e dei colori:

“[…] Non ho, del collezionista, né il criterio nél’ordine. Non mi importa nulla della catalogazio-ne; stati, tirature, biffature, firme. Ogni stampa latiro sempre fuori dal passe-partout, e così le tengotutte: ché mi piace toccare la carta […], sentire altatto i segni, la battuta. Prendo, insomma, sem-pre, quello che mi piace che, senza far debiti, pos-so acquistare. Un amatore di stampe, e non uncollezionista: e le amo al punto che facilmente leregalo a chi le ama quanto me”.67

Il primo volume della collana fu I veleni di Pa-lermo di Rosario La Duca (poi ristampato nella“Biblioteca siciliana”), arricchito da una incisionedi Bruno Caruso; seguirono due importanti testi diSciascia: L’affaire Moro (“[…] credo sia stato il librointonso più venduto dopo la guerra”, scrisse EnzoSellerio) e gli Atti relativi alla morte di RaymondRoussel, entrambi con incisioni di Fabrizio Clerici(titoli in seguito ristampati nella collana “La me-moria”, nata nel 1979). Seguiranno testi di AlbertoSavinio, André Gide, Marcel Proust, Oscar Wilde,

NOTE53 ALBERTO CADIOLI, Letterati editori.

Papini, Prezzolini, Debenedetti, Calvino. L’e-ditoria come progetto culturale e letterario,

Milano, Il Saggiatore, 1995.54 Una collana tira l’altra. Dodici espe-

rienze editoriali, presentazione di Anna

Longoni, Pavia, Edizioni Santa Caterina,

2009, nel quale la collana “La memoria” è ri-

cordata alle pp. 73-79; cfr. anche Gian Car-

lo Ferretti, Giulia Iannuzzi, La memoria, in

Id., Storie di uomini e libri. L’editoria lettera-ria italiana attraverso le sue collane, Roma,

Minimum fax, 2014, pp. 249-254.55 Cfr. GIORGIO MANGANELLI, Catalo-

ghi, in ID., Il rumore sottile della prosa, a cu-

ra di Paola Italia, Milano, Adelphi, 1994, pp.

155-157; vedi anche MAURO CHIABRAN-

DO, Catalogo dei bei cataloghi, «Il Sole 24

Ore», 28 luglio 2013, p. 36.57 ELIO VITTORINI, I risvolti dei «gettoni»,

a cura di Cesare De Michelis, Milano, Libri

Scheiwiller, 1988; BARBARA SGHIAVETTA,

Editoria a testa alta. Le quarte di copertinade «Gli Struzzi», Bologna, Patron Editore,

2008; ITALO CALVINO, Il libro dei risvolti, a

cura di Chiara Ferrero, Torino, Einaudi,

2003; GIACOMO DEBENEDETTI, Preludi. Lenote editoriali alla «Biblioteca delle Siler-chie», introduzione di Edoardo Sanguineti,

a cura e con uno scritto di Michele Gulinuc-

ci, Roma-Napoli, Theoria, 1991, ristampato

con introduzione di Raffaele Manica e uno

scritto di Edoardo Sanguineti, Palermo, Sel-

lerio, 2012; I girasoli del girasole. Vent’annidi risvolti culturali, a cura di Angelo Scan-

durra, Catania, Il Girasole, 2008.57 L’arte del risvolto. Dieci note di Salva-

tore Silvano Nigro per dieci libri di Andrea

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Stendhal, ecc. Volumi nei quali traspare in filigra-na una cura artigianale inusitata in libri del genere,abbastanza economici almeno nella tiratura incommercio. Le preziose edizioni di testa de “La ci-viltà perfezionata” rappresentavano, almeno agliinizi, un espediente per pagare le spese di stampa,come ricordato da Enzo Sellerio:

“Carta uso-mano vergata color avorio, pagine in-tonse […] e in copertina la riproduzione di un’in-cisione di autore. Quel primo volume era I veleni diPalermo di Rosario La Duca, con introduzione diLeonardo Sciascia e in copertina un’incisione diBruno Caruso. Gli originali dell’incisione veniva-no allegati alle cento copie numerate di un’edizio-ne speciale; tali copie numerate – le quali andaro-no sempre esaurite, per quello come per i volumiseguenti – ci ripagavano delle spese di stampa. Lacollana si sarebbe chiamata in seguito “La civiltàperfezionata”. Allora la casa editrice aveva sedenella nostra abitazione – uno stanzino ne era il de-posito – e non contava neppure un impiegato”.68

Dopo quarant’anni i volumi di questa collana

testimoniano ancora una lunga fedeltà al mondodella grafica: “[…] in quegli anni facevamo soprat-tutto cose di grafica e con i soldi ricavati stampava-mo i libri, che andavo a vendere io, sottobraccio,alle librerie palermitane”, ha ricordato Elvira Sel-lerio.

L’intera collana, compresi i relativi segnali-bri, costituisce quindi una sintassi peritestuale so-bria ed essenziale, che dura nel tempo e che, perquesto, è diventata memoria nel senso profondodato da Sciascia a questa parola, lo stesso inestin-guibile valore al quale alludeva Anna Maria Ortesein una lettera allo scrittore:

“[…] Sono contenta che lei abbia caro Chateau-briand. Bisognerebbe farlo tradurre integralmen-te, e leggerlo. La nostra ricchezza è anche questa –più del petrolio -: che ignoriamo; abbiamo dimen-ticato tutte le «memorie» del mondo”.69

Fine terza e ultima parte. La prima e seconda parte sono state pubblicate

sul numero di giugno e luglio-agosto 2014

Camilleri, testi di Andrea Camilleri (Il risvol-to dei risvolti) e Salvatore Settis (Alette), Pa-

lermo Sellerio, Natale 2007, cfr. anche AN-

DREA CAMILLERI, Montalbano è nel risvol-to, «Il Sole 24-Ore», 2007.

58 GELSOMINO D’AMBROSIO, PINO

GRIMALDI, Sellerio: lo sguardo e la tradizio-ne della Sicilia, cit.

59 “Il libro non è altro che il supporto

della sua copertina”, ha scritto Giorgio

Manganelli. Una intelligente, documentata

e sottile lettura della copertina come terri-

torio di confine è quella di MARCO BELPO-

LITI, Diario dell’occhio, prefazione dell’au-

tore, contributi di Italo Lupi e Mario Baren-

ghi, Firenze, Le Lettere, 2008.60 Lettera di Elvira Sellerio a chi scrive,

Palermo, 29 gennaio, 2001.61 GELSOMINO D’AMBROSIO, PINO

GRIMALDI, Sellerio: lo sguardo e la tradizio-ne della Sicilia, cit.

62 Tipografia Luxograph e Stass di Paler-

mo, mentre le incisioni delle edizioni di te-

sta venivano stampate al torchio da Corbo

e Fiore (Venezia e Roma), Stamperia Anto-

nio Caputo (Roma), o da Franco Sciardelli

(Milano). 63 Sui rapporti di Sciascia con l’incisione

cfr. Giuseppe Appella, Sciascia e l’incisione:l’attimo fuggente fermato sulla carta.

64 GESUALDO BUFALINO, Sciascia,amateur d’estampes, in ID., Il fiele ibleo, Ca-

va dei Tirreni, Avagliano editore, 1995, pp.

148-152 [148].

65 CARLO EMILIO GADDA, Una mostra diEnsor, in ID., I viaggi e la morte, Milano, Gar-

zanti, 2001.66 Leonardo Sciascia scrittore editore,

cit., p. 12.67 LEONARDO SCIASCIA, Prefazione, in

Catalogo n. 172, Reggio Emilia, Libreria An-

tiquaria Prandi, 1977, ora in Le prefazioni alcatalogo Prandi. Dal 1957 al 1992, con una

nota di Alberto Manfredi, Reggio Emilia,

Prandi, 1992, pp.87-89 [87-88].68 ALESSANDRA LAVAGNINO, Con "I

veleni di Palermo" nacque vent'anni fa laSellerio, cit., p. 45.

69 ANNA MARIA ORTESE, Lettera a Scia-

scia da Rapallo, 23 giugno 1979, in Leonar-do Sciascia vent'anni dopo, cit., p. 22.

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che secolari, dotata di una colle-zione unica e preziosa del più va-rio genere, ivi compresi testi diautori eretici o sottoposti a cen-sura. In un’epoca in cui la vita delconvento era afflitta da indisci-plina, vizi, delitti e punizioni, nondoveva essere difficile attingerealla biblioteca anche i testi proi-biti. Proprio a causa del viavai dilibri e dei numerosi furti, su se-gnalazione del Maestro Generaledell’Ordine domenicano, PapaPio V aveva emesso, nel 1571, un“Breve” nel quale comminava la“scomunica maggiore” a chiun-que sottraesse o portasse fuori,per qualunque motivo, volumidalla Libraria, senza espressa li-

cenza del Papa o del Maestro Generale1. Questo av-vertimento fu trascritto su una lapide, oggi scom-parsa, murata nella parete di destra del piccolo vesti-bolo che dà accesso alla Biblioteca. Fu proprio que-sto particolare, finora sfuggito ai più, a determinareil definitivo allontanamento del Nolano dalla patrianatia. Mentre si trovava a Roma, dove era fuggitoper difendersi dall’accusa di aver manifestato, nelcorso di una disputa con dei confratelli, opinionieretiche circa la dottrina di Ario, ebbe notizia che ilsuo nemico fra’ Bonifacio (a cui, nella dedica del

GIORDANO BRUNO: RAFFINATO BIBLIOFILO L’amore per i libri e le biblioteche di un grande filosofo

Il destino di Giordano Brunoè indissolubilmente legato allibro. Una straordinaria sma-

nia di conoscere e, al contempo,di diffondere il proprio pensierodeterminarono un rapporto par-ticolare e privilegiato con mano-scritti e testi a stampa, che accom-pagnò la sua esistenza, fin dallagiovane età. Si può tranquilla-mente affermare che il fattore de-terminante della sua scelta di en-trare come novizio a San Dome-nico Maggiore fu proprio la pos-sibilità di avere a disposizione lafornitissima biblioteca del con-vento, per placare la fame onnivo-ra di sapere, coltivare le eccezio-nali doti mnemoniche, alimenta-re quel geniale afflato naturalistico ed infinitistico,che sentiva urgere dentro di sé. E fu questa stessapassione a metterlo nei guai. Come riferì nel corsodegli interrogatori veneti, egli ricevette la primacensura “per haver detto a un novitio che leggeva laHistoria delle sette allegrezze in versi, che cosa volevafar de quel libro, che lo gettasse via, et leggesse piùpresto qualche altro libro, come è la Vita de’ santi Pa-dri”.

La biblioteca o Libraria di S. Domenico era al-l’epoca un luogo di culto per studiosi, sia religiosi

Sul Nolano

Edizione veneziana del De Anima di

Aristotele, (1562)

GUIDO DEL GIUDICE

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Candelaio, prometterà vendettain questa o in un’altra vita), avevarinvenuto nel “necessario” dellasua cella le opere di San GiovanniCrisostomo e San Gerolamo congli scolii di Erasmo da Rotterdamcancellati. Si rese conto, allora, dinon avere più via di scampo: il so-lo fatto di avere sottratto testi ere-tici dalla Libraria comportava, aisensi di quel “Breve”, l’automati-ca scomunica. Anni dopo, nel1591, ne farà le spese anche fra’Tommaso Campanella, di pas-saggio a Napoli, il quale, per aversemplicemente motteggiato ladisposizione pontificia, escla-mando “com’è questa scomunica? si mangia?”, ver-rà incarcerato e messo sotto processo.

Nel modesto fagotto da viaggio di Bruno, ai li-bri fu sempre riservato uno spazio, a partire dai testidell’amato-odiato Aristotele, con cui si guadagnavada vivere, insieme alla Sfera di Giovanni Sacrobo-sco, su cui aveva studiato l’astronomia in convento esulla quale dava lezioni ai “putti” e ai nobili, elabo-rando le proprie visionarie teorie infinitistiche.Non mancavano le opere dei suoi autori preferiti,

dai “divini” Cusano e Tommasod’Aquino a Erasmo da Rotter-dam, che, nel corso dei suoi viaggiavventurosi, gli furono più volterubate, insieme a qualche suoscritto, da briganti, pirati e servi

infedeli.Al di là del contenuto, Bruno amò l’oggetto-li-

bro da vero bibliofilo, fin da quando, per sbarcare illunario, lavorò in tipografia a Ginevra come corret-tore di bozze. Imparò così a vederlo nascere, a con-fezionarlo con le proprie mani, manovrando i torni,intagliando gli stampi delle immagini. Questa espe-rienza fece sì che, anche in seguito, egli curasse per-sonalmente la pubblicazione delle proprie opere,come avverrà a Praga, nell’officina di Georg Daczi-

Sopra da sinistra: Le sette allegrezze

della Madonna, Siena, 1578; Edizione

delle Vite de Santi Padri, Venezia,

1563; Il Commentarius Acta

Apostolorum di San Giovanni

Crisostomo, commentato da Erasmo,

Anversa, 1550.

Qui accanto: La Sphaera di Giovanni

di Sacrobosco, Venezia 1572

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cenius, per gli Articuli centum et sexaginta adversushuius tempestatis Mathematicos atque Philosophos, de-dicati a Rodolfo II imperatore e, più tardi, a Franco-forte in quella di Johann Wechel, che ce ne dàespressa notizia nella presentazione del De tripliciminimo et mensura: “Intrapresa l’opera, per portarlaa termine nella maniera più accurata, non solo dipropria mano ne tracciò le figure, ma ne curò la revi-sione”2.

La familiarità con le biblioteche e gli stampa-tori inciderà anche sulle vicende di vita quotidianadel filosofo.

A Ginevra fu arrestato insieme all’ignaro JeanBergeon, che aveva stampato un suo foglio nel qua-le evidenziava ben 20 errori commessi dal titolaredella cattedra di filosofia, Antoine de la Faye, in unasola lezione, e definiva “pedagoghi” i ministri dellaChiesa di Ginevra. Mentre il tipografo fu condan-nato a un’ammenda e a rimanere in prigione fino al-l’indomani, a Bruno fu inflitta la deffence de la cène, ildivieto di partecipare all’Eucarestia, che di fattoequivaleva a una scomunica.

A Parigi instaurò un vero e proprio rapporto diamicizia con gli stampatori, a co-minciare da Gilles Gourbin, chegli pubblicò il De Compendiosa ar-chitectura e il De Umbris idearum.Quest’ultima opera gli acquistò ifavori del re Enrico III, che lo in-trodusse nella cerchia dei lettorireali, in quel mondo che avevasempre inseguito e sognato.

Nel libro Bruno vedeva,inoltre, il principale veicolo dicircolazione delle idee. In unadelle poche lezioni tenute ad Ox-ford, il suo elogio delle traduzio-ni, grazie alle quali “tutte le scien-ze godono della loro diffusione”,fece scalpore, come ci è stato tra-mandato da una nota firmataN.W. (probabilmente Nicholas

Whithalk), e ripresa dal devoto amico John Florio.Già a quel tempo, dunque, applicando la sua voca-zione universalistica al superamento delle diversitàdi linguaggio, il Nolano dimostrava una mentalitàeditoriale cosmopolita.

Ritornato a Parigi, senza più il sostegno del re,fu proprio il suo vecchio amico Gilles Gourbin a si-stemarlo a pigione in un appartamentino di sua pro-prietà. Due anguste stanze e un piccolo solaio, pro-prio vicino al Collège de Cambrai, sede di insegna-mento dei lettori reali, dove si aprivano le botteghedei numerosi stampatori, che traevano i loro guada-gni dall’attività didattica degli atenei parigini. Nonessendo più lettore straordinario, al Nolano nonspettava più “l’impressione dei suoi libri a coman-do”, per cui doveva pubblicare le nuove opere a suespese. Gourbin, che aveva di molto allentato l’attivi-tà, lo raccomandò questa volta a Petrus Cheuillot inVia San Giovanni in Laterano, all’insegna della rosarossa, che pubblicò in unico volume, i dialoghi suMordente e la Figuratio Aristotelici Physici auditus,oltre alle poche copie delle tesi della famosa disputadi Cambrai, i Centum et viginti articuli de natura et

mundo adversus Peripateticos.I libri costituivano anche il

biglietto da visita che Bruno pre-sentava alle personalità che piùammirava e con le quali ardente-mente desiderava stabilire unconfronto di opinioni. Abbiamogià parlato, in un precedente arti-colo su questa rivista3, della copiadel Quod nihil scitur donatagli, aTolosa, dal professor FranciscoSanchez con parole di ammira-zione, che il Nolano commentòin modo caustico: «Fa meravigliache quest’asino possa chiamarsidottore!». Lo stesso trattamentodovette subirlo a sua volta da par-te di Tycho Brahe, il quale ricam-biò l’ossequiosa dedica del Ca-

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moeracensis Acrotismuscon uno sprezzante “NolanusNullanus”.

A riprova che la biblioteca esercitò su di lui unfascino particolare, sempre a Parigi fu un frequenta-tore abituale di quella di Saint Victor. Ne fa fede ilJournal in cui il bibliotecario Guillaume Cotin, an-notò i preziosi volumi da lui richiesti (in particolare,un’edizione del 1566 del De rerum natura di Lucre-zio, curata ad Anversa dal giureconsulto Hubert vanGiffen), nonché i suoi giudizi sprezzanti su autoriantichi e contemporanei.

La confidenza con i librai ebbe, purtroppo, unruolo determinante anche nel triste epilogo della

sua vicenda umana. Fu proprio un libraio, GiovanBattista Ciotti che, in compagnia del collega AndreaBrictano, gli recapitò a Francoforte l’invito dell’in-fame Zuane Mocenigo, il patrizio veneziano che loconsegnò all’Inquisizione. Entrambi completeran-no l’opera, testimoniando non proprio favorevol-mente al processo. Sentite la descrizione che Moce-nigo fa, nella sua terza denuncia, delle circostanzedell’arresto: “mi pregava a lasciarlo libero et che seio volevo tutto quello ch’egli aveva nella mia casa,me lo lasciava [….] et che gli bastava solo che io glidesse almeno copia d’un libretto di congiurationi,che io ho trovato tra certe sue carte scritte”. È com-

Nella pagina accanto: L’Opus epistolarum di San Girolamo con gli scolii di Erasmo, Parigi, 1546.

Sopra da sinistra: Frontespizio del De minimo, stampato a Francoforte nel 1591; L’edizione di Anversa del De rerum

natura, curata da Hubert van Giffen, (1566)

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movente come Bruno si preoccupi, prim’ancoradella sua incolumità, del libro che sta scrivendo. Lesue suppliche, però, non impietosirono il traditore,che consegnò all’Inquisizione tre libri a stampa e ilmanoscritto di alcuni “predicamenti di Dio”, che al-tro non era che l’ultimo capitolo delle lezioni pub-blicate dal suo allievo Raphael Egli col titolo di Sum-

ma terminorum metaphysicorum, quello riguardantel’anima mundi, un’eredità inestimabile, forse perdu-ta per sempre4.

In quel triste febbraio del 1600, fu la condannaal rogo dei suoi libri, ancor più di quella del suo invo-lucro terreno, a infliggere all’indomito filosofo il ve-ro, straziante supplizio.

NOTE1 Cfr. LUIGI AMABILE, Fra Tommaso Cam-

panella: la sua congiura, i suoi processi ela sua pazzia, Napoli, cav. Antonio Mora-

no, 1882, 3 v., pagg. 44-45.2 Opus aggressus, ut quam accuratis-

sime absolveret, non schemata solum ip-

se sua manu sculpsit, sed etiam operarum

se in eodem correctorem praebuit”.3 Cfr. l’articolo: “ Giordano Bruno, ov-

vero il gusto della disputa” in «la Bibliote-

ca di via Senato», Anno V, N° 3, Marzo

2013, pp. 57-64.4 Vedi in proposito G. Del Giudice,

Giordano Bruno e i Rosacroce in «la Bi-

blioteca di via Senato», Anno V, n. 10, Ot-

tobre 2013, pp. 6-14.

Sopra da sinistra: Frontespizio dei 160 Articuli, stampati a Praga nel 1588; l’unica copia conosciuta dei 120 Articuli

(Londra, British Library)

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settembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 25

LE MOSTRE – IL LIBRO DEL MESE – L’EDITORE DEL MESE

inSEDICESIMO

É difficile, oggi,immaginare cheun quadro come

Sogni, alla sua primaesposizione alla Festadell’Arte e dei Fiori diFirenze del 1896,potesse aver provocatoun «chiasso indiavolato».Eppure lo sguardolanguido e misterioso dellaragazza, seduta su unapanchina, con gli occhi fissisull’osservatore, a quella data potevaprovocare qualche sconcerto. Non siera mai visto, prima, un ritratto in cuiuna giovane sedesse all’aperto con unatteggiamento così disinvolto, legambe accavallate e protesa verso ilriguardante: è una donna decisa evolitiva, che va a passeggio da sola,con uno sguardo seduttivo,emancipata da un ruolo remissivo esubalterno. C’è un segnaleinequivocabile che lo dichiara: sullapanchina ha poggiato tre libri giallidalle coste gualcite. Sarebbe stato

eloquente riuscire a sapere ititoli di quei volumi

(illeggibili), anche se dallarilegatura si riconosconoi tipi delle edizioni diletteratura diFlammarion: non solo èuna donna che legge,

dunque, ma una donnache legge romanzi, quindi

che è uscita dal canonedelle letture devote che si

confacevano, secondo anticocostume, a una ragazza perbene. Nelleabitudini private di lettura, anzi, hafatto irruzione la narrativasentimentale, a lungo vista, da unmondo intellettuale prevalentementemaschile, come una pericolosa derivaper l’animo femminile.

Per questo dipinto aveva posatoEmma Vecchi, figlia di uno scrittore,Jack la Bolina, amico di Corcos, per ilquale la giovane fa da modella piùvolte e in ruoli diversi. Nella sua politalevigatezza, frutto di una accurata esottile arte del disegno, la disinvolturadella giovane, velata di una malinconiainsondabile e misteriosa, potevasollecitare qualche sottile turbamento.Lo si rileva con chiarezza dalle parole

CORCOS. I SOGNI DELLA BELLE ÉPOQUEA cura di Ilaria Taddei, Fernando Mazzocca e Carlo Sisi

PADOVA,PALAZZO ZABARELLA

6 settembre14 dicembre 2014

LA MOSTRA/1PITTURA “FATTA PER PIACERE”Vittorio Corcos a Palazzo Zabarellaa cura di luca pietro nicoletti

Sopra: V. Corcos, Yole Biaggini Moschini, 1904

A destra: V. Corcos, Yole Biaggini Moschini,

1901V. Corcos, Yole Biaggini Moschini, 1901

settembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 25

LE MOSTRE – IL LIBRO DEL MESE – L’EDITORE DEL MESE

inSEDICESIMO

É difficile, oggi,immaginare cheun quadro come

Sogni, alla sua primaiiesposizione alla Festadell’Arte e dei Fiori diFirenze del 1896,potesse aver provocatoun «chiasso indiavolato».Eppure lo sguardolanguido e misterioso dellaragazza, seduta su unapanchina, con gli occhi fissisull’osservatore, a quella data potevaprovocare qualche sconcerto. Non siera mai visto, prima, un ritratto in cuiuna giovane sedesse all’aperto con unatteggiamento così disinvolto, legambe accavallate e protesa verso ilriguardante: è una donna decisa evolitiva, che va a passeggio da sola,con uno sguardo seduttivo,emancipata da un ruolo remissivo esubalterno. C’è un segnaleinequivocabile che lo dichiara: sullapanchina ha poggiato tre libri giallidalle coste gualcite. Sarebbe stato

eloquente riuscire a sapere ititoli di quei volumi

(illeggibili), anche se dallarilegatura si riconosconoi tipi delle edizioni diletteratura diFlammarion: non solo èuna donna che legge,

dunque, ma una donnache legge romanzi, quindi

che è uscita dal canonedelle letture devote che si

confacevano, secondo anticocostume, a una ragazza perbene. Nelleabitudini private di lettura, anzi, hafatto irruzione la narrativasentimentale, a lungo vista, da unmondo intellettuale prevalentementemaschile, come una pericolosa derivaper l’animo femminile.

Per questo dipinto aveva posatoEmma Vecchi, figlia di uno scrittore,Jack la Bolina, amico di Corcos, per ilquale la giovane fa da modella piùvolte e in ruoli diversi. Nella sua politalevigatezza, frutto di una accurata esottile arte del disegno, la disinvolturadella giovane, velata di una malinconiainsondabile e misteriosa, potevasollecitare qualche sottile turbamento.Lo si rileva con chiarezza dalle parole

CORCOS. I SOGNI DELLA BELLE ÉPOQUEA cura di Ilaria Taddei,Fernando Mazzocca e Carlo Sisi

PADOVA,PALAZZO ZABARELLA

6 settembre14 dicembre 2014

LA MOSTRA/1PITTURA “FATTA PER PIACERE”Vittorio Corcos a Palazzo Zabarellaa cura di luca pietro nicoletti

Sopra: V. Corcos, Yole Biaggini Moschini, 1904

A destra: V. Corcos, Yole Biaggini Moschini,

1901V. Corcos, Yole Biaggini Moschini, 1901

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la Biblioteca di via Senato Milano – settembre 2014

di Vittorio Pica, che nel 1897,esprimendo qualche riserva sullaqualità pittorica e preferendo altreopere del pittore, ma dichiarando che«non saprei negare che nell’arditoatteggiamento della fanciulla fin-de-siècle, e nel suo volto voluttuoso dallecarnose labbra porporine vi sia unanon comune efficacia espressiva, che viobbliga ad arrestarvi dinanzi ad essa eda cercare d’indovinare i caldi desideri ei torbidi pensieri, che par quasi cheluccichino in fondo alle sue grandipupille sognatrici». Con questaimmagine, insomma, il livornese

Vittorio Matteo Corcos (1859-1933)aveva dato il proprio contributo alrinnovamento di uno dei generi piùdifficili e conservatori della storia dellapittura come il ritratto: una novitàriconosciuta immediatamente daltempestivo acquisto della tela, appenaesposta, da parte della GalleriaNazionale d’Arte Moderna di Roma. Daallora, il suo sguardo magnetico, comeuna vera e propria icona, si appuntasul visitatore, arrivando ad avere quasiuna propria vita autonoma, oscurandopersino la fama del suo autore. Non èun caso, provocando un cortocircuito

che sconfina dallo specifico storico-artistico, se una delle più recentiedizioni italiane della Recherce diProust porta in copertina proprioquesto quadro; per converso, un’altraedizione, altrettanto recente, proponeinvece un ritratto femminile del direttoconcorrente di Corcos, GiovanniBoldini: un segnale indiretto di comel’opera di questi due artisti, ancoraoggi, rappresenti in maniera esemplarelo spirito decadente, fatto disentimenti languidi e incerti, sognantie misteriosi, della Belle Époque.

Senza dubbio si tratta del quadropiù emblematico del suo lungopercorso pittorico: quello in cui meglioha fuso in una marca personale econnotativa con le istanze piùavanzate del suo tempo. Partito daLivorno e andato a Napoli per studiarecon Michetti, Corcos aveva capito cheera necessario recarsi almeno perqualche anno a Parigi, dove avrebbeavuto scambi frequenti con altri dueitaliani di Parigi, De Nittis e Boldini,con cui era difficile misurarsi senzarestarne schiacciati. Corcos ha benpresente il loro esempio, da cui attingetalvolta in maniera smaccata (specie daDe Nittis), ma conserva una cura deldisegno, un’attenzione per le superficipolite e levigate, una calibratura sottiledel trattamento della materia pittorica,che ne fa un pittore sofisticato, la cuivetta espressiva più alta è nello stessomomento in cui raggiunge un apice divirtuosismo esecutivo e di definizionegrafica, quasi illustrativa, della figura.A Parigi non sarebbe stato difficile farsitravolgere dall’impressionismo, e puravendo contatti con Pissarro, non silascia contaminare dalla pittura di

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V. Corcos, Paolina Clelia Silvia Biondi, 1909, collezione privata

la Biblioteca di via Senato Milano – settembre 2014

di Vittorio Pica, che nel 1897,esprimendo qualche riserva sullaqualità pittorica e preferendo altreopere del pittore, ma dichiarando che«non saprei negare che nell’arditoatteggiamento della fanciulla fin-de-siècle, e nel suo volto voluttuoso dallecarnose labbra porporine vi sia unanon comune efficacia espressiva, che viobbliga ad arrestarvi dinanzi ad essa eda cercare d’indovinare i caldi desideri ei torbidi pensieri, che par quasi cheluccichino in fondo alle sue grandipupille sognatrici». Con questaimmagine, insomma, il livornese

Vittorio Matteo Corcos (1859-1933)aveva dato il proprio contributo alrinnovamento di uno dei generi piùdifficili e conservatori della storia dellapittura come il ritratto: una novitàriconosciuta immediatamente daltempestivo acquisto della tela, appenaesposta, da parte della GalleriaNazionale d’Arte Moderna di Roma. Daallora, il suo sguardo magnetico, comeuna vera e propria icona, si appuntasul visitatore, arrivando ad avere quasiuna propria vita autonoma, oscurandopersino la fama del suo autore. Non èun caso, provocando un cortocircuito

che sconfina dallo specifico storico-artistico, se una delle più recentiedizioni italiane della Recherce diProust porta in copertina proprioquesto quadro; per converso, un’altraedizione, altrettanto recente, proponeinvece un ritratto femminile del direttoconcorrente di Corcos, GiovanniBoldini: un segnale indiretto di comel’opera di questi due artisti, ancoraoggi, rappresenti in maniera esemplarelo spirito decadente, fatto disentimenti languidi e incerti, sognantie misteriosi, della Belle Époque.

Senza dubbio si tratta del quadropiù emblematico del suo lungopercorso pittorico: quello in cui meglioha fuso in una marca personale econnotativa con le istanze piùavanzate del suo tempo. Partito daLivorno e andato a Napoli per studiarecon Michetti, Corcos aveva capito cheera necessario recarsi almeno perqualche anno a Parigi, dove avrebbeavuto scambi frequenti con altri dueitaliani di Parigi, De Nittis e Boldini,con cui era difficile misurarsi senzarestarne schiacciati. Corcos ha benpresente il loro esempio, da cui attingetalvolta in maniera smaccata (specie daDe Nittis), ma conserva una cura deldisegno, un’attenzione per le superficipolite e levigate, una calibratura sottiledel trattamento della materia pittorica,che ne fa un pittore sofisticato, la cuivetta espressiva più alta è nello stessomomento in cui raggiunge un apice divirtuosismo esecutivo e di definizionegrafica, quasi illustrativa, della figura.A Parigi non sarebbe stato difficile farsitravolgere dall’impressionismo, e puravendo contatti con Pissarro, non silascia contaminare dalla pittura di

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V. Corcos, Paolina Clelia Silvia Biondi, 1909, collezione privataii

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settembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 27

tocco: il suo soggiorno nella VilleLumière, patrocinato dal mercanteGoupil, è contrassegnato soprattuttodalla frequentazione con un pittorecome Léon Bonnat. Le istanze piùardite, dunque, sono ricondotte a unamodulazione più controllata dellastesura pittorica, che non diventa quasimai corsiva. È questa, in fondo, lamarca che fa di Corcos un pittore disuccesso, da collocarsi, come scriveFernando Mazzocca, «nella schiera diquei seducenti pittori di successo,tanto amati dal pubblico quantodiscussi dalla critica». Del resto, comescrisse già Ojetti, ricordandoaffettuosamente la sua frequentazionecon il pittore ma anche con una puntadi ironia, Corcos, «era fatto, come lasua pittura, per piacere».

Tutto ciò fa di lui un pittoredifficile, che nel 1965, quando se netentò a Livorno la prima retrospettiva,aveva creato non poche difficoltà:ardito, infatti, fu un tentativo di DarioDurbé di annoverarlo nella schieradegli impressionisti. Eppure nondoveva essere semplice spiegare laseducente e incipriata pittura di Corcossenza cadere in categorizzazioni che loavrebbero semplicisticamente liquidatocome un pittore conservatore. La sfidadell’attuale mostra padovana diPalazzo Zabarella, che fa leva suglistudi ormai ventennali di Ilaria Taddeiintorno a questo artista, può essereproprio questa: superati gli steccati chedividevano la linea della modernitàdalle accademie, il percorso di VittorioCorcos può essere letto entro unpanorama più mosso e articolato, incui la vita moderna dialoga con iretaggi della tradizione in una formula

talvolta discontinua ma inedita. Lo sipuò capire bene considerando sullungo periodo l’impegno ormaiventennale dell’istituzione padovana diradicale revisione e riscrittura, da unamostra all’altra, delle vicendedell’Ottocento italiano, ad opera diFernando Mazzocca e Carlo Sisi: dopoaver dato una luce inaspettata all’artedei Macchiaioli e dopo aver mostrato,grazie al basso continuo dellaletteratura artistica, la continuità diidee e di principi fra la pittura dimacchia e la precedente temperieromantica, dopo aver restituito il

respiro europeo a un pittore comeTelemaco Signorini, e in continuitàdiretta con la mostra dedicata a DeNittis lo scorso anno, realizzare la piùgrande rassegna fino ad ora pensataper l’opera d Corcos è un passoulteriore di un’operazione già di largorespiro. Come in altri casi, è laletteratura uno dei fili conduttori diquesta pittura di accento fortementesentimentale, volutamente sospeso inuna coltre seducente e nebbiosa, marischiarata rispetto ai fumi lunari delSimbolismo.

Si vede con un occhio diverso

V. Corcos, Sogni, 1896, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma

settembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 27

tocco: il suo soggiorno nella VilleLumière, patrocinato dal mercanteGoupil, è contrassegnato soprattuttodalla frequentazione con un pittorecome Léon Bonnat. Le istanze piùardite, dunque, sono ricondotte a unamodulazione più controllata dellastesura pittorica, che non diventa quasimai corsiva. È questa, in fondo, lamarca che fa di Corcos un pittore disuccesso, da collocarsi, come scriveFernando Mazzocca, «nella schiera diquei seducenti pittori di successo,tanto amati dal pubblico quantodiscussi dalla critica». Del resto, comescrisse già Ojetti, ricordandoaffettuosamente la sua frequentazionecon il pittore ma anche con una puntadi ironia, Corcos, «era fatto, come lasua pittura, per piacere».

Tutto ciò fa di lui un pittoredifficile, che nel 1965, quando se netentò a Livorno la prima retrospettiva,aveva creato non poche difficoltà:ardito, infatti, fu un tentativo di DarioDurbé di annoverarlo nella schieradegli impressionisti. Eppure nondoveva essere semplice spiegare laseducente e incipriata pittura di Corcossenza cadere in categorizzazioni che loavrebbero semplicisticamente liquidatocome un pittore conservatore. La sfidadell’attuale mostra padovana diPalazzo Zabarella, che fa leva suglistudi ormai ventennali di Ilaria Taddeiintorno a questo artista, può essereproprio questa: superati gli steccati chedividevano la linea della modernitàdalle accademie, il percorso di VittorioCorcos può essere letto entro unpanorama più mosso e articolato, incui la vita moderna dialoga con iretaggi della tradizione in una formula

talvolta discontinua ma inedita. Lo sipuò capire bene considerando sullungo periodo l’impegno ormaiventennale dell’istituzione padovana diradicale revisione e riscrittura, da unamostra all’altra, delle vicendedell’Ottocento italiano, ad opera diFernando Mazzocca e Carlo Sisi: dopoaver dato una luce inaspettata all’artedei Macchiaioli e dopo aver mostrato,grazie al basso continuo dellaletteratura artistica, la continuità diidee e di principi fra la pittura dimacchia e la precedente temperieromantica, dopo aver restituito il

respiro europeo a un pittore comeTelemaco Signorini, e in continuitàdiretta con la mostra dedicata a DeNittis lo scorso anno, realizzare la piùgrande rassegna fino ad ora pensataper l’opera d Corcos è un passoulteriore di un’operazione già di largorespiro. Come in altri casi, è laletteratura uno dei fili conduttori diquesta pittura di accento fortementesentimentale, volutamente sospeso inuna coltre seducente e nebbiosa, marischiarata rispetto ai fumi lunari delSimbolismo.

Si vede con un occhio diverso

V. Corcos, Sogni, 1896, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea di Romaii

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28 la Biblioteca di via Senato Milano – settembre 2014

questa pittura una volta considerato ilconfronto con la poesia di GuidoGozzano proposto da Mazzocca, e nonsono nemmeno da trascurare lesignificative frequentazioni letterarie,documentate dal saggio di Sisi, delcircolo che gravitava intorno a Emma,moglie del pittore, la “gentile ignota”che teneva un fitto rapporto epistolarecon Giovanni Pascoli. È lei, anzi, checerca in tutti i modi di convincere il

poeta a collaborare con il marito, chel’autore delle Myricae, al contrario,bollerà come «maestro dipintore diCesari»: se non riuscirà a persuaderlo afarsi ritrarre da Corcos, come inveceaccetteranno di fare altri intellettualidel suo tempo, da Carducci a ungiovane e disinvolto Mascagni, Pascolinon riuscirà a entrare in sintonia,nonostante un fitto carteggio,nemmeno con il Corcos illustratore, a

cui preferirà, per corredare l’edizionedelle proprie opere, il lavoro di DeCarolis.

Tutto questo, però, non avevaintaccato minimamente il successo diVittorio Corcos, la cui marca espressivaaveva raccolto il consenso dell’altaborghesia del suo tempo, a cui venivaincontro con una moderatainnovazione, capace però di coniugarsicon più antichi retaggi ed esigenze: conil suo piglio soffuso e laccato, infatti,Corcos riusciva ad essere “disituazione”, come nei Sogni, maadattarsi anche a eventuali esigenzedinastiche, a ritratti ovali corredati discritte e di stemmi secondo i canonidello state portrait. Allo stesso tempo,Corcos si trova a dover fare i conti condue registri distanti fra loro eapparentemente inconciliabili. Da unaparte c’è la storia del ritratto, unripensamento quasi in chiavepreraffaellita dei modi rinascimentali,come nella giovanissima Paolina CleliaSilvia Biondi, a mezzo busto dietro unabalaustra iscritta, memore delladisarmante seduzione raffaellesca deltre quarti leggermente voltato di spalle.Ne è diretta conseguenza unoscenografico profluvio di velluti ebroccati a fare da quinte, non senzaeffetti cinematografici talvolta, allesignore più eleganti, come nellamigliore tradizione del Sei e Settecento.Dall’altra, invece, ai primi delNovecento non è più possibile non farei conti con la fotografia, anche con ilrischio, a volte, di non riuscire a

V. Corcos, Contessa Carolina Sommaruga

Matteini, 1901, Fondazione per l'Istituto

Svizzero di Roma

28 la Biblioteca di via Senato Milano – settembre 2014

questa pittura una volta considerato ilconfronto con la poesia di GuidoGozzano proposto da Mazzocca, e nonsono nemmeno da trascurare lesignificative frequentazioni letterarie,documentate dal saggio di Sisi, delcircolo che gravitava intorno a Emma,moglie del pittore, la “gentile ignota”che teneva un fitto rapporto epistolarecon Giovanni Pascoli. È lei, anzi, checerca in tutti i modi di convincere il

poeta a collaborare con il marito, chel’autore delle Myricae, al contrario,bollerà come «maestro dipintore diCesari»: se non riuscirà a persuaderlo afarsi ritrarre da Corcos, come inveceaccetteranno di fare altri intellettualidel suo tempo, da Carducci a ungiovane e disinvolto Mascagni, Pascolinon riuscirà a entrare in sintonia,nonostante un fitto carteggio,nemmeno con il Corcos illustratore, a

cui preferirà, per corredare l’edizionedelle proprie opere, il lavoro di DeCarolis.

Tutto questo, però, non avevaintaccato minimamente il successo diVittorio Corcos, la cui marca espressivaaveva raccolto il consenso dell’altaborghesia del suo tempo, a cui venivaincontro con una moderatainnovazione, capace però di coniugarsicon più antichi retaggi ed esigenze: conil suo piglio soffuso e laccato, infatti,Corcos riusciva ad essere “disituazione”, come nei Sogni, maiiadattarsi anche a eventuali esigenzedinastiche, a ritratti ovali corredati discritte e di stemmi secondo i canonidello state portrait. Allo stesso tempo,ttCorcos si trova a dover fare i conti condue registri distanti fra loro eapparentemente inconciliabili. Da unaparte c’è la storia del ritratto, unripensamento quasi in chiavepreraffaellita dei modi rinascimentali,come nella giovanissima Paolina CleliaSilvia Biondi, a mezzo busto dietro unabalaustra iscritta, memore delladisarmante seduzione raffaellesca deltre quarti leggermente voltato di spalle.Ne è diretta conseguenza unoscenografico profluvio di velluti ebroccati a fare da quinte, non senzaeffetti cinematografici talvolta, allesignore più eleganti, come nellamigliore tradizione del Sei e Settecento.Dall’altra, invece, ai primi delNovecento non è più possibile non farei conti con la fotografia, anche con ilrischio, a volte, di non riuscire a

V. Corcos, Contessa Carolina Sommaruga

Matteini, 1901, Fondazione per l'Istitutoii

Svizzero di Roma

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settembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 29

controllare gli effetti da fotografiaingrandita e colorata, comenell’espressione estenuata (quella diuna posa fotografica prolungatasi piùdel dovuto) di Jole Biaggini Moschininel ritratto del 1904 (e di tenutainferiore rispetto all’elegante figuraintera della più piccola tela del 1901).Senza sforare nel campo della storiasociale dell’arte (ma sarà da chiedersiquanto certe discontinuità di stile fraquadri della stessa altezza cronologicanon possano essere spiegate attraversoquesto filtro), è noto quanto il ritrattofemminile sia soggetto al persistere dimode e modelli: non si può trascurarequanto il vestito conti nei grandi quadridi gala, e quanto talvolta sopperisca aquel vuoto e a quello smarrimentointeriore che di lì a pochi anni sarebbestato al centro di molta letteraturamitteleuropea di introspezionepsicologica. A fare da contraltare, forse,la mostra sottolinea per la prima voltacome, accanto al pittore delle bellesignore alla moda agghindate con levesti migliori, Corcos sapesse dareintensità anche al ritratto maschile.Uno per tutti basterebbe il ritratto, fra ipiù belli della mostra, a figura intera del1889, di Pietro Coccoluto Ferrigni, ilgiornalista più noto con lo pseudonimodi Yorik, colto a passeggio davanti a unmuro sorprendentemente pieno discritte e graffiti. Una di queste, tuttavia,nella sua ordinata calligrafia corsiva,tradisce l’eco lontana, sebbene virata inburla, di uno dei più consumatimessaggi del ritratto “parlante”: «Sel’uomo qui dipinto al naturale / Non ègiovin grazioso ed alto e snello, / Se neaccusi il pennello: / Non ci ha colpa, perDio, l’originale». (l.p.n.)

intento di valorizzazione del territoriodi appartenenza.

Per queste ragioni i curatori hannochiesto a Cresci di raccontare, entro lecoordinate del proprio discorsoespressivo, la città di Gallarate nei suoicambiamenti e nel suo divenire. Nondoveva essere, ovviamente, undidascalico percorso che mostrasse lacittà “com’era” e “com’è”, ma undiscorso diaristico che rielaborasse ericostruisse un tessuto,emblematizzandone gli aspetti salienti,mostrandoli sotto una nuova luce,facendo assumere al dettaglio e allasua inquadratura il valore di simboloche da solo condensa il senso di unasituazione. Cresci non è nuovo a lavoridi questo genere: analoghe operazionilo avevano portato, secondo quella che

L a fotografia, si sa, non è maiuno strumento di neutradocumentazione, nemmeno

quando fa di tutto per farci credere ilcontrario. Inevitabilmente, è un occhiocritico che cerca proprie modalità diracconto per restituire un ambiente ecommentarlo nel momento stesso incui lo presenza. È quanto è statochiesto di fare a Mario Cresci (Chiavari,1942) con la città di Gallarate. Lamostra curata da Emma Zanella eAlessandro Castiglioni per il MAGA,infatti, parte da un lavoroappositamente commissionato dalmuseo all’interno della rete “Officinacontemporanea”, di cui è capofila conaltre undici istituzioni della città per unprogetto condiviso di cultura sulterritorio. Questa sola premessa mostraalcuni caratteri di eccezionalità diquest’operazione: per una volta, comeormai non si verifica quasi più, è unmuseo a farsi committente chepromuove un’opera nuova; e nel farequesto, ha coordinato un progetto checerca di tenere unite realtà altrimentilontane fra loro in nome di un comune

LA MOSTRA/2IL PAESAGGIO POSTMODERNO Mario Cresci e Gallarate al MAGA

MARIO CRESCI. EX/POST.ORIZZONTI MOMENTANEIA cura di Alessandro Castiglionied Emma Zanella

GALLARATE (VA), MAGA

7 settembre-19 ottobre 2014

settembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 29

controllare gli effetti da fotografiaingrandita e colorata, comenell’espressione estenuata (quella diuna posa fotografica prolungatasi piùdel dovuto) di Jole Biaggini Moschininel ritratto del 1904 (e di tenutainferiore rispetto all’elegante figuraintera della più piccola tela del 1901).Senza sforare nel campo della storiasociale dell’arte (ma sarà da chiedersiquanto certe discontinuità di stile fraquadri della stessa altezza cronologicanon possano essere spiegate attraversoquesto filtro), è noto quanto il ritrattofemminile sia soggetto al persistere dimode e modelli: non si può trascurarequanto il vestito conti nei grandi quadridi gala, e quanto talvolta sopperisca aquel vuoto e a quello smarrimentointeriore che di lì a pochi anni sarebbestato al centro di molta letteraturamitteleuropea di introspezionepsicologica. A fare da contraltare, forse,la mostra sottolinea per la prima voltacome, accanto al pittore delle bellesignore alla moda agghindate con levesti migliori, Corcos sapesse dareintensità anche al ritratto maschile.Uno per tutti basterebbe il ritratto, fra ipiù belli della mostra, a figura intera del1889, di Pietro Coccoluto Ferrigni, ilgiornalista più noto con lo pseudonimodi Yorik, colto a passeggio davanti a unmuro sorprendentemente pieno discritte e graffiti. Una di queste, tuttavia,nella sua ordinata calligrafia corsiva,tradisce l’eco lontana, sebbene virata inburla, di uno dei più consumatimessaggi del ritratto “parlante”: «Sel’uomo qui dipinto al naturale / Non ègiovin grazioso ed alto e snello, / Se neaccusi il pennello: / Non ci ha colpa, perDio, l’originale». (l.p.n.)

intento di valorizzazione del territoriodi appartenenza.

Per queste ragioni i curatori hannochiesto a Cresci di raccontare, entro lecoordinate del proprio discorsoespressivo, la città di Gallarate nei suoicambiamenti e nel suo divenire. Nondoveva essere, ovviamente, undidascalico percorso che mostrasse lacittà “com’era” e “com’è”, ma undiscorso diaristico che rielaborasse ericostruisse un tessuto,emblematizzandone gli aspetti salienti,mostrandoli sotto una nuova luce,facendo assumere al dettaglio e allasua inquadratura il valore di simboloche da solo condensa il senso di unasituazione. Cresci non è nuovo a lavoridi questo genere: analoghe operazionilo avevano portato, secondo quella che

L a fotografia, si sa, non è maiuno strumento di neutradocumentazione, nemmeno

quando fa di tutto per farci credere ilcontrario. Inevitabilmente, è un occhiocritico che cerca proprie modalità diracconto per restituire un ambiente ecommentarlo nel momento stesso incui lo presenza. È quanto è statochiesto di fare a Mario Cresci (Chiavari,1942) con la città di Gallarate. Lamostra curata da Emma Zanella eAlessandro Castiglioni per il MAGA,infatti, parte da un lavoroappositamente commissionato dalmuseo all’interno della rete “Officinacontemporanea”, di cui è capofila conaltre undici istituzioni della città per unprogetto condiviso di cultura sulterritorio. Questa sola premessa mostraalcuni caratteri di eccezionalità diquest’operazione: per una volta, comeormai non si verifica quasi più, è unmuseo a farsi committente chepromuove un’opera nuova; e nel farequesto, ha coordinato un progetto checerca di tenere unite realtà altrimentilontane fra loro in nome di un comune

LA MOSTRA/2IL PAESAGGIO POSTMODERNOMario Cresci e Gallarate al MAGA

MARIO CRESCI. EX/POST.ORIZZONTI MOMENTANEIA cura di Alessandro Castiglionied Emma Zanella

GALLARATE (VA), MAGA

7 settembre-19 ottobre 2014

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30 la Biblioteca di via Senato Milano – settembre 2014

Enrico Crispolti definì una letturaambientale-antropologica, a raccontarerealtà come Tricarico (dal 1967 al1972), Matera (1972-1975/1990),Martina Franca (1979), giungendo aquella che Castiglioni, in catalogo, hagiustamente definito una «rifondazionedella narrazione del paesaggio italiano».Le immagini rivelano luoghi interni allacittà, come le archeologie industriali incui sopravvivono delle celle di lavoromarginali, o quelle trasformate indestinazioni d’uso diverse per le qualierano state pensate, come il Museo delVolo di Malpensa o ancora la nascita dinuovi complessi edilizi sovrapposti suquelli di antiche preesistenze. Cresci hacolto, nelle diverse giornate dicampagna fotografica passate a

Gallarate e nelle sue vicinanze,l’estrema stratificazione del territorio. Iltitolo del progetto Ex / Post. Orizzontimomentanei fa proprio riferimento aicontinui mutamenti e agli insediamentidi un paesaggio in costantetrasformazione. Sebbene si tratti diluoghi, questi restano intrisi della storiadelle persone che li hanno attraversati:«Non ho mai disgiunto» ricorda l’artistanell’intervista con Castiglioni incatalogo, «il luogo dalle persone; la vitadegli altri è sempre stata un elementoper costruire un rapporto tra me stessocome artista e la società». Per questo ilracconto fotografico è una vera epropria scoperta: per sua stessaammissione, per il suo lavoro èimportante partire “dal nulla”, da una

tabula rasa che gli consenta una presadi contatto diretta con il luogo. Èl’artista stesso, infatti, a dichiararetestualmente la propria incapacità di«raccontare storie inventate». Lafotografia è solo l’ultima tappa di unpercorso performativo di conoscenza:vivendo nel luogo che deve raccontare,l’artista ha modo di incamerarne ilsenso, di acquisire una percezione dellospazio e dei suoi elementi portanti dariversare poi nello scatto e nella suasuccessiva manipolazione, figlia ederede, a mio modo di vedere, di certepratiche di fotocollage e di costruzionecomposita dell’immagine. Su Gallarate,in particolare, Cresci riportaun’impressione «molto fisica: la città miè parsa un corpo che sta cambiando,

Mario Cresci, Senza titolo, 2014 | Ex / Post. Orizzonti Momentanei

30 la Biblioteca di via Senato Milano – settembre 2014

Enrico Crispolti definì una letturaambientale-antropologica, a raccontarerealtà come Tricarico (dal 1967 al1972), Matera (1972-1975/1990),Martina Franca (1979), giungendo aquella che Castiglioni, in catalogo, hagiustamente definito una «rifondazionedella narrazione del paesaggio italiano».Le immagini rivelano luoghi interni allacittà, come le archeologie industriali incui sopravvivono delle celle di lavoromarginali, o quelle trasformate indestinazioni d’uso diverse per le qualierano state pensate, come il Museo delVolo di Malpensa o ancora la nascita dinuovi complessi edilizi sovrapposti suquelli di antiche preesistenze. Cresci hacolto, nelle diverse giornate dicampagna fotografica passate a

Gallarate e nelle sue vicinanze,l’estrema stratificazione del territorio. Iltitolo del progetto Ex / Post. Orizzontimomentanei fa proprio riferimento aicontinui mutamenti e agli insediamentidi un paesaggio in costantetrasformazione. Sebbene si tratti diluoghi, questi restano intrisi della storiadelle persone che li hanno attraversati:«Non ho mai disgiunto» ricorda l’artistanell’intervista con Castiglioni incatalogo, «il luogo dalle persone; la vitadegli altri è sempre stata un elementoper costruire un rapporto tra me stessocome artista e la società». Per questo ilracconto fotografico è una vera epropria scoperta: per sua stessaammissione, per il suo lavoro èimportante partire “dal nulla”, da una

tabula rasa che gli consenta una presadi contatto diretta con il luogo. Èl’artista stesso, infatti, a dichiararetestualmente la propria incapacità di«raccontare storie inventate». Lafotografia è solo l’ultima tappa di unpercorso performativo di conoscenza:vivendo nel luogo che deve raccontare,l’artista ha modo di incamerarne ilsenso, di acquisire una percezione dellospazio e dei suoi elementi portanti dariversare poi nello scatto e nella suasuccessiva manipolazione, figlia ederede, a mio modo di vedere, di certepratiche di fotocollage e di costruzionecomposita dell’immagine. Su Gallarate,in particolare, Cresci riportaun’impressione «molto fisica: la città miè parsa un corpo che sta cambiando,

Mario Cresci, Senza titolo, 2014 | Ex / Post. Orizzonti Momentanei

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settembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 31

che ha avuto una storia operaia, che atratti sta scomparendo o lo è già e oggiquesti luoghi della scomparsa, vuoti,abbandonati, sono struggenti edolorosi. Ci sono gli spazi abbandonatima anche attività industriali, dallaproduzione al movimento merci, fino alMuseo di Volandia. Da questaesperienza emerge così una fotografiaricca di componenti estetiche ecalibrate ma anche contaminata da unacerta solitudine. In punta di piedi parlodi alcune lacerazioni del tessuto urbanoma infine anche di momenti positivi».Come ha giustamente fatto notareEmma Zanella, nel proprio contributo incatalogo, «Cresci trascorre dainquadrature di ampio respiro, in cuiriconosciamo sempre il luogo, l’edificio,lo scorcio, a inquadrature ristrette, chevanno in profondità, tanto datrasformare gli oggetti, siano essi telaio ruote o rocchetti, in ritmi serrati, inarchetipi di forme geometriche. Persinol’accostamento, in catalogo e in mostra,delle fotografie, la loro vicinanza, ilpassaggio dall’una all’altra fa partedella costruzione del progettofotografico ed espositivo. Cresciconduce il nostro sguardo da unafotografia a quella successivaattraverso evidenti richiami, assonanzecromatiche e formali che rilancianocontinuamente e danno continuitàall’insieme, dal “tormentone” deipannelli di copertura gialli, che paionoquasi cifra distintiva di una certaarchitettura gallaratese, alle formetubolari e circolari di scale, accessi,cortili, arredi, fino all’attenzione verso ilnascere di una vegetazione spontaneache arriva a insinuarsi negli edificiprendendone il sopravvento».

LA MOSTRA/3EMBLEMI DI CARTA Paolo de Stefani in Svizzera

PAOLO DE STEFANI.EMBLEMA

KUNSTRAUM RISS, SAMEDAN (SVIZZERA)

15 agosto-3 ottobre 2014

carta come proprio materialed’elezione, da intendere non comesemplice supporto per l’elaborazionegrafica, quanto come materia damaltrattare, da bagnare, strappare epersino accartocciare se necessario. Apartire dal 2007, in particolare, egli haraggiunto una formula espressivarigorosa e assoluta, capace di dare allageometria un’implicita monumentalità.Avevano fatto la loro comparsa, in

É una reverenza quasi religiosaquella con cui Paolo DeStefani tratta la materia prima

dei suoi lavori: la carta, manipolatafino a sembrare altro da sé, che nonlascia indovinare, ad un primosguardo, la trama e la complessità delprocedimento esecutivo, è infattil’elemento fondante di una articolatacostruzione spaziale e percettivadell’opera. Quando ne parla, l’artistastesso si emoziona, un po’ per lapassione totalizzante per il suo lavoro,a cui si applica con devota e ritualepazienza, un po’ perché sente laprofonda vibrazione emotiva suscitatadai materiali poveri ed effimeri. Findagli inizi del suo percorso di ricerca,infatti, Paolo De Stefani ha scelto la

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che ha avuto una storia operaia, che atratti sta scomparendo o lo è già e oggiquesti luoghi della scomparsa, vuoti,abbandonati, sono struggenti edolorosi. Ci sono gli spazi abbandonatima anche attività industriali, dallaproduzione al movimento merci, fino alMuseo di Volandia. Da questaesperienza emerge così una fotografiaricca di componenti estetiche ecalibrate ma anche contaminata da unacerta solitudine. In punta di piedi parlodi alcune lacerazioni del tessuto urbanoma infine anche di momenti positivi».Come ha giustamente fatto notareEmma Zanella, nel proprio contributo incatalogo, «Cresci trascorre dainquadrature di ampio respiro, in cuiriconosciamo sempre il luogo, l’edificio,lo scorcio, a inquadrature ristrette, chevanno in profondità, tanto datrasformare gli oggetti, siano essi telaio ruote o rocchetti, in ritmi serrati, inarchetipi di forme geometriche. Persinol’accostamento, in catalogo e in mostra,delle fotografie, la loro vicinanza, ilpassaggio dall’una all’altra fa partedella costruzione del progettofotografico ed espositivo. Cresciconduce il nostro sguardo da unafotografia a quella successivaattraverso evidenti richiami, assonanzecromatiche e formali che rilancianocontinuamente e danno continuitàall’insieme, dal “tormentone” deipannelli di copertura gialli, che paionoquasi cifra distintiva di una certaarchitettura gallaratese, alle formetubolari e circolari di scale, accessi,cortili, arredi, fino all’attenzione verso ilnascere di una vegetazione spontaneache arriva a insinuarsi negli edificiprendendone il sopravvento».

LA MOSTRA/3EMBLEMI DI CARTA Paolo de Stefani in Svizzera

PAOLO DE STEFANI.EMBLEMA

KUNSTRAUM RISS,SAMEDAN (SVIZZERA)

15 agosto-3 ottobre 2014

carta come proprio materialed’elezione, da intendere non comesemplice supporto per l’elaborazionegrafica, quanto come materia damaltrattare, da bagnare, strappare epersino accartocciare se necessario. Apartire dal 2007, in particolare, egli haraggiunto una formula espressivarigorosa e assoluta, capace di dare allageometria un’implicita monumentalità.Avevano fatto la loro comparsa, in

É una reverenza quasi religiosaquella con cui Paolo DeStefani tratta la materia prima

dei suoi lavori: la carta, manipolatafino a sembrare altro da sé, che nonlascia indovinare, ad un primosguardo, la trama e la complessità delprocedimento esecutivo, è infattil’elemento fondante di una articolatacostruzione spaziale e percettivadell’opera. Quando ne parla, l’artistastesso si emoziona, un po’ per lapassione totalizzante per il suo lavoro,a cui si applica con devota e ritualepazienza, un po’ perché sente laprofonda vibrazione emotiva suscitatadai materiali poveri ed effimeri. Findagli inizi del suo percorso di ricerca,infatti, Paolo De Stefani ha scelto la

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32 la Biblioteca di via Senato Milano – settembre 2014

all’accostamento di due o più tavoleleggermente sovrapposte, oppureallontanate in modo da lasciare unasottile fessura (per la quale, a torto, sisono ricordati i concetti spaziali diFontana), oppure inclinate in modo daindicare dei piani di ambizionetridimensionale. Uscendo dalla teca, ilquadro ha assunto una sua autonomiaspaziale, liberandosi finalmente dalladittatura dei formati quadrangolari: gliesiti più felici di questa stagione di DeStefani, infatti, si incontrano proprionei lavori con profili a losanga,complicati da un aumentare di lati e dispigoli. Il contrasto fra confini regolarie l’animazione interna della superficienon potrebbe essere maggiore, masenza stridore. Al contrario, rinchiusoin questi confini misteriosi non si fa ameno di percepire il senso “mistico” diquesti ultimi lavori. Non a caso, nellachiesetta di San Pietro a Teglio,nell’estate del 2011, quelle operesembravano nel loro ambientenaturale. Nulla toglie, del resto, unacerta sensazione da vetrata di questetrame di colori, come se il nero fosseun fitto reticolato di filo a piombo cheunisce schegge di vetro colorato, di cuihanno conservato la trasparenza.

Non ci sono calcoli simbolici nellageometria di De Stefani, ma in questasemplicità primordiale, che verrebbe dadefinire “romanica”, delle sue sagomesi sente come un’aspirazioneall’assoluto e alla più solennerivelazione luminosa. Si tratta di unaspiritualità tutt’altro che enfatica, anzicontenuta e riservata, ma non perquesto meno severa e assoluta: unmistero, insomma, fatto di insondabilima indiscutibili certezze.

quell’anno, i primi fogli testurizzati achina, colore e pennello, che siperfezioneranno fino ai lavori recenti.Da questo momento in poi, infatti, DeStefani mette a punto un peculiareprocedimento operativo. Dopo averriempito un grande foglio di carta conuna fitta trama di segni regolari neri ecolorati, infatti, Paolo lo ritaglia insottili striscioline, da ricomporre subitodopo con un nuovo ordine su unsupporto di legno, dando vita alosanghe sfrangiate che paiono dellelastre di ardesia, delle formeprimordiali. Dal 2007 i fogli di cartadiventano come delle scaglie nere: è lastruttura della roccia della suaValchiavenna. Ma lui non imita laroccia: è il suo occhio che hainteriorizzato il principio stratigrafico.Il dato interessante, però, sta nelrapporto fra elemento pittoricoirregolare e la struttura regolare che licontiene: ritagliando in piccole striscela carta colorata, infatti, De Stefanirompe il ritmo di una tessitura di segnidilagante sul foglio, ottenendo delletessere colorate dalla trama aintreccio. Partendo da questa minimaunità di base, poi, l’artista può

riportare quel tessuto di segni a unagriglia regolare: le singole tesserecartacee, infatti, sono accostate l’unaall’altra con una leggerasovrapposizione che crea un minimoeffetto di rilievo, ma secondo unascansione regolare, ribadita da unapioggia di chiodini che fissano i singolitasselli al supporto di legno.

Su questo uso dei chiodi, che sullasuperficie «brillano talora come goccedi rugiada» (Monteforte), si sono spesemolte parole: dal ricordo delle telebianche di Castellani a ingenueinterpretazioni in chiave di rilievoscultoreo. L’effetto sortito da questi,però, è ancora una volta un effetto disuperficie squisitamente visivo, comeun arricchimento della superficiepittorica con un elemento in aggetto,che provoca una minima ombraportata e suggerisce un’ulteriorevibrazione pittorica: «l’occhio», scriveancora Monteforte, «vi si adagia conpiacere da lontano, ma si punge nonappena vi si accosta da vicino».

Il quadro sta diventando dunqueuna struttura di grande complessità, apartire da carpenterie via via piùarticolate, talvolta fino

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all’accostamento di due o più tavoleleggermente sovrapposte, oppureallontanate in modo da lasciare unasottile fessura (per la quale, a torto, sisono ricordati i concetti spaziali diFontana), oppure inclinate in modo daindicare dei piani di ambizionetridimensionale. Uscendo dalla teca, ilquadro ha assunto una sua autonomiaspaziale, liberandosi finalmente dalladittatura dei formati quadrangolari: gliesiti più felici di questa stagione di DeStefani, infatti, si incontrano proprionei lavori con profili a losanga,complicati da un aumentare di lati e dispigoli. Il contrasto fra confini regolarie l’animazione interna della superficienon potrebbe essere maggiore, masenza stridore. Al contrario, rinchiusoin questi confini misteriosi non si fa ameno di percepire il senso “mistico” diquesti ultimi lavori. Non a caso, nellachiesetta di San Pietro a Teglio,nell’estate del 2011, quelle operesembravano nel loro ambientenaturale. Nulla toglie, del resto, unacerta sensazione da vetrata di questetrame di colori, come se il nero fosseun fitto reticolato di filo a piombo cheunisce schegge di vetro colorato, di cuihanno conservato la trasparenza.

Non ci sono calcoli simbolici nellageometria di De Stefani, ma in questasemplicità primordiale, che verrebbe dadefinire “romanica”, delle sue sagomesi sente come un’aspirazioneall’assoluto e alla più solennerivelazione luminosa. Si tratta di unaspiritualità tutt’altro che enfatica, anzicontenuta e riservata, ma non perquesto meno severa e assoluta: unmistero, insomma, fatto di insondabilima indiscutibili certezze.

quell’anno, i primi fogli testurizzati achina, colore e pennello, che siperfezioneranno fino ai lavori recenti.Da questo momento in poi, infatti, DeStefani mette a punto un peculiareprocedimento operativo. Dopo averriempito un grande foglio di carta conuna fitta trama di segni regolari neri ecolorati, infatti, Paolo lo ritaglia insottili striscioline, da ricomporre subitodopo con un nuovo ordine su unsupporto di legno, dando vita alosanghe sfrangiate che paiono dellelastre di ardesia, delle formeprimordiali. Dal 2007 i fogli di cartadiventano come delle scaglie nere: è lastruttura della roccia della suaValchiavenna. Ma lui non imita laroccia: è il suo occhio che hainteriorizzato il principio stratigrafico.Il dato interessante, però, sta nelrapporto fra elemento pittoricoirregolare e la struttura regolare che licontiene: ritagliando in piccole striscela carta colorata, infatti, De Stefanirompe il ritmo di una tessitura di segnidilagante sul foglio, ottenendo delletessere colorate dalla trama aintreccio. Partendo da questa minimaunità di base, poi, l’artista può

riportare quel tessuto di segni a unagriglia regolare: le singole tesserecartacee, infatti, sono accostate l’unaall’altra con una leggerasovrapposizione che crea un minimoeffetto di rilievo, ma secondo unascansione regolare, ribadita da unapioggia di chiodini che fissano i singolitasselli al supporto di legno.

Su questo uso dei chiodi, che sullasuperficie «brillano talora come goccedi rugiada» (Monteforte), si sono spesemolte parole: dal ricordo delle telebianche di Castellani a ingenueinterpretazioni in chiave di rilievoscultoreo. L’effetto sortito da questi,però, è ancora una volta un effetto disuperficie squisitamente visivo, comeun arricchimento della superficiepittorica con un elemento in aggetto,che provoca una minima ombraportata e suggerisce un’ulteriorevibrazione pittorica: «l’occhio», scriveancora Monteforte, «vi si adagia conpiacere da lontano, ma si punge nonappena vi si accosta da vicino».

Il quadro sta diventando dunqueuna struttura di grande complessità, apartire da carpenterie via via piùarticolate, talvolta fino

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settembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 33

realizzare gli abili giardinieri dei secoliscorsi. Proprio l’esistenza di simili viveinterconnessioni ci fa comprendere che,almeno in certi casi, lo studio deirapporti tra diverse forme religiose nonpuò limitarsi né a una rigida, separatatrattazione specialistica, né aun’astratta, quanto sterile,comparazione.

Ebbene, ad alcune di questesingolari e rarissime connessioni fraEbraismo, Cristianesimo e Islam èdedicato il volume Le Tre Anella. E nonsolo a quelle storicamente certe edocumentate, come nel caso di culti ecentri di pellegrinaggi palesementeinterconfessionali, ma anche a quellesemplicemente immaginate sia sulpiano della leggenda, come quella delleTre Anella, che addirittura del mito,come quello assolutamente esemplare,direi anzi paradigmatico, che si èsviluppato attorno alla figura delprofeta Elia.

Albero o cespuglio che sia, unareligione ha comunque sempre unaradice, e quella delle ‘religioni del Libro’coincide con la figura di Abramo, daebrei e musulmani considerato unprofeta, dai cristiani più semplicementeun patriarca. Una radice che talvolta,direi inevitabilmente, è stata rivendicatapiù per ragioni di concorrenza che divera convergenza. Con la figura diAbramo principia dunque anche questo

Il rapporto storico fra le diverseforme religiose, almeno fra quelleche possono apparire più o meno

strettamente ‘apparentabili’, è statospesso paragonato, e talora anchegraficamente raffigurato, come unasorta di albero genealogico. Con esitinon sempre felici, non solo perchetalune connessioni, specie per leepoche più antiche, restano nondocumentabili, ma anche per il fattoche, per ragioni strettamenteconfessionali, le religioni ancor oggivive accettano assai poco volentierisimili rappresentazioni delle proprieorigini. D’altra parte, lo schemadell’albero genealogico delle religioniappare quanto meno ingannevole

anche agli occhi del semplice storico,per delle ragioni altrettanto serie eprofonde. Innanzitutto ogni formareligiosa ha, solitamente, uno sviluppomolto più propriamente paragonabilealla forma di un cespuglio che non aquella di un albero. E poi, moltissimeforme religiose, specialmente quelle chesono rimaste lungamente in contattotra loro sia nel tempo che nello spazio,hanno finito con l’intrecciare i loro ramiin nodi e anelli più o meno stretti, finoa sviluppare, non di rado, delle vere eproprie anastomosi, ovvero qualcosa diassai simile a quelle mirabilie arboree,ottenute per semplice intersezione efusione dei singoli rami, persino didiversa essenza, che riuscivano a

IL LIBRO DEL MESELE TRE ANELLAAl crocevia spirituale tra Ebraismo,Cristianesimo e Islam

ALESSANDRO GROSSATO (Pado-va, 1955), storico delle religioni egeopolitico, ha insegnato nelle Uni-versità di Padova, Trieste, Gorizia,Perugia e Trento. Attualmente inse-gna Religioni non cristiane presso laFacoltà Teologica del Triveneto a Pa-dova. É autore di numerosi saggi earticoli scientifici ed è noto per il suoampio studio dedicato alle tradizioniiconografiche e simboliche dell’Eu-rasia. Membro dell’ISMEO, ha parte-cipato alla Missione archeologicaitaliana in Nepal negli anni 1984-89.

Ha fondato e dirige assieme a Fran-cesco Zambon la Collana Viridariumdella Fondazione Giorgio Cini di Ve-nezia, e assieme a Carlo Saccone iQuaderni di Studi Indo-Mediterraneidell’Università di Bologna. Tra i suoilibri ricordiamo: Navigatori e viag-giatori veneti sulla rotta per l’Indianella collana “Civiltà veneziana”(Olschki, 1994), Il libro dei simboli.Metamorfosi dell’umano fra Orientee Occidente (Mondadori, 1999) e Ilmito della fenice in Oriente e in Occi-dente (Marsilio, 2004).

di alessandro grossato

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realizzare gli abili giardinieri dei secoliscorsi. Proprio l’esistenza di simili viveinterconnessioni ci fa comprendere che,almeno in certi casi, lo studio deirapporti tra diverse forme religiose nonpuò limitarsi né a una rigida, separatatrattazione specialistica, né aun’astratta, quanto sterile,comparazione.

Ebbene, ad alcune di questesingolari e rarissime connessioni fraEbraismo, Cristianesimo e Islam èdedicato il volume Le Tre Anella. E nonsolo a quelle storicamente certe edocumentate, come nel caso di culti ecentri di pellegrinaggi palesementeinterconfessionali, ma anche a quellesemplicemente immaginate sia sulpiano della leggenda, come quella delleTre Anella, che addirittura del mito,come quello assolutamente esemplare,direi anzi paradigmatico, che si èsviluppato attorno alla figura delprofeta Elia.

Albero o cespuglio che sia, unareligione ha comunque sempre unaradice, e quella delle ‘religioni del Libro’coincide con la figura di Abramo, daebrei e musulmani considerato unprofeta, dai cristiani più semplicementeun patriarca. Una radice che talvolta,direi inevitabilmente, è stata rivendicatapiù per ragioni di concorrenza che divera convergenza. Con la figura diAbramo principia dunque anche questo

Il rapporto storico fra le diverseforme religiose, almeno fra quelleche possono apparire più o meno

strettamente ‘apparentabili’, è statospesso paragonato, e talora anchegraficamente raffigurato, come unasorta di albero genealogico. Con esitinon sempre felici, non solo perchetalune connessioni, specie per leepoche più antiche, restano nondocumentabili, ma anche per il fattoche, per ragioni strettamenteconfessionali, le religioni ancor oggivive accettano assai poco volentierisimili rappresentazioni delle proprieorigini. D’altra parte, lo schemadell’albero genealogico delle religioniappare quanto meno ingannevole

anche agli occhi del semplice storico,per delle ragioni altrettanto serie eprofonde. Innanzitutto ogni formareligiosa ha, solitamente, uno sviluppomolto più propriamente paragonabilealla forma di un cespuglio che non aquella di un albero. E poi, moltissimeforme religiose, specialmente quelle chesono rimaste lungamente in contattotra loro sia nel tempo che nello spazio,hanno finito con l’intrecciare i loro ramiin nodi e anelli più o meno stretti, finoa sviluppare, non di rado, delle vere eproprie anastomosi, ovvero qualcosa diassai simile a quelle mirabilie arboree,ottenute per semplice intersezione efusione dei singoli rami, persino didiversa essenza, che riuscivano a

IL LIBRO DEL MESELE TRE ANELLAAl crocevia spirituale tra Ebraismo,Cristianesimo e Islam

ALESSANDRO GROSSATO (Pado-va, 1955), storico delle religioni egeopolitico, ha insegnato nelle Uni-versità di Padova, Trieste, Gorizia,Perugia e Trento. Attualmente inse-gna Religioni non cristiane presso laFacoltà Teologica del Triveneto a Pa-dova. É autore di numerosi saggi earticoli scientifici ed è noto per il suoampio studio dedicato alle tradizioniiconografiche e simboliche dell’Eu-rasia. Membro dell’ISMEO, ha parte-cipato alla Missione archeologicaitaliana in Nepal negli anni 1984-89.

Ha fondato e dirige assieme a Fran-cesco Zambon la Collana Viridariumdella Fondazione Giorgio Cini di Ve-nezia, e assieme a Carlo Saccone iQuaderni di Studi Indo-Mediterraneidell’Università di Bologna. Tra i suoilibri ricordiamo: Navigatori e viag-giatori veneti sulla rotta per l’Indianella collana “Civiltà veneziana”(Olschki, 1994), Il libro dei simboli.Metamorfosi dell’umano fra Orientee Occidente (Mondadori, 1999) e Ilmito della fenice in Oriente e in Occi-dente (Marsilio, 2004).

di alessandro grossato

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34 la Biblioteca di via Senato Milano – settembre 2014

volume. Il teologo Edmund Weber ce nefornisce qui una descrizione in rapportoa tutte e tre le fedi, svolta con grandeequilibrio e su di un piano più spiritualeche semplicemente storico-culturale.

I contributi di Andrea Piras e diAugusto Cosentino ci aiutano a entraregradualmente in medias res,consentendoci di gettare un brevesguardo su talune forme del confrontointerreligioso che, sulla spondaorientale del Mediterraneo, precedonol’arrivo dell’Islam. In particolare, AndreaPiras ci rappresenta alcuni aspettidell’interessante rapporto che c’è statotra la cultura zoroastriana iranica,

quella di un grande impero multietnicoe multiconfessionale, e le due, poi tre,religioni abramiche. Già sotto ladinastia achemenide “per quantoriguarda le credenze religiose vi era unasostanziale ‘tolleranza’ e quindi unrispetto delle tradizioni cultuali locali,che anzi erano sotto la direttaprotezione del re”. Al punto che unimperatore come Ciro poteva veniremagnificato in quanto ‘unto delSignore’, e quindi ‘messia’, in Isaia (41;45). Come scrive Piras, si tratta dell’“Unico caso di un non-ebreo che vengaonorato, in questa sola occasione, contale epiteto di prestigio e di sacralità

del potere, esprimendo unabenemerenza che i testi biblicirinnovarono per i sovrani achemenidifuturi, come Dario, Serse e Atarserse”, ein qualche modo, aggiungerei, ancheper Alessandro Magno. Emerge cosisubito un tema fondamentale, quellodel Messia, che sottende fino alla fine,come un fil rouge, tutte le pagine cheseguono. Un tema che, per le sueintrinseche caratteristicheescatologiche, quasi di necessità tendesempre a divenire interconfessionale.Per quanto riguarda il resto, come bensottolinea Piras, il problema dellerelazioni tra cultura religiosa

LE TRE ANELLA. AL CROCEVIASPIRITUALE TRA EBRAISMO,CRISTIANESIMO E ISLAM,a cura di Alessandro Grossato,Alessandria, Edizioni dell’Orso,2014, p. 368, 25 euro.

Molte forme religiose, spe-cialmente quelle che so-no rimaste lungamente

in contatto tra loro sia nel tempo sianello spazio, hanno finito con l’in-trecciare i loro rami in nodi e anelli piùo meno stretti.

La realtà storica di queste inter-connessioni, alcune delle quali sonoancora sorprendentemente vive e dif-fuse, ci fa comprendere che oggi lostudio dei rapporti tra le religioni nonpuò più sterilmente limitarsi né a unarigida e separata trattazione speciali-stica, né a un’astratta, quanto sempli-cistica, comparazione. Durante tuttoil Medioevo e il Rinascimento, tre fu-

rono le principali sponde culturali ereligiose del Mediterraneo. Non solo,dunque, quella cristiana e quella isla-mica, ma anche quella ebraica. Perchéle comunità disperse dalla diaspora econcentrate nelle principali città por-tuali, con i loro ininterrotti legami,costituirono tutte insieme una sortadi ‘terza sponda’, che fu, in tutti i sen-si, perfettamente trasversale rispetto

alle altre due. Ad esempio, riguardo alla copia-

tura, traduzione e diffusione di testi edi dottrine, comprese quelle misticheed esoteriche dell’Ermetismo, dell’Al-chimia e della Kabbalah. Ad alcuni deimeno noti, oltreché dei più singolari esignificativi momenti di connessionetra Ebraismo, Cristianesimo e Islamsono dedicati i contributi degli spe-cialisti che hanno collaborato a que-sto volume. E non solo a quelli stori-camente certi e documentati, ma per-sino a quelli che furono semplice-mente immaginati, sul piano sia dellaleggenda, come quella assai nota dei“tre anelli”, sia del mito. Come quellosviluppatosi, lungo le sponde di tuttoil Mediterraneo, attorno alla figuraspirituale del profeta Elia. Perché, co-me scriveva Giovanni Pico della Mi-randola, «come il Giusto è confluenzad’acque, così la Divinità è il mare a cuitendono tutti i fiumi».

34 la Biblioteca di via Senato Milano – settembre 2014

volume. Il teologo Edmund Weber ce nefornisce qui una descrizione in rapportoa tutte e tre le fedi, svolta con grandeequilibrio e su di un piano più spiritualeche semplicemente storico-culturale.

I contributi di Andrea Piras e diAugusto Cosentino ci aiutano a entraregradualmente in medias res,consentendoci di gettare un brevesguardo su talune forme del confrontointerreligioso che, sulla spondaorientale del Mediterraneo, precedonol’arrivo dell’Islam. In particolare, AndreaPiras ci rappresenta alcuni aspettidell’interessante rapporto che c’è statotra la cultura zoroastriana iranica,

quella di un grande impero multietnicoe multiconfessionale, e le due, poi tre,religioni abramiche. Già sotto ladinastia achemenide “per quantoriguarda le credenze religiose vi era unasostanziale ‘tolleranza’ e quindi unrispetto delle tradizioni cultuali locali,che anzi erano sotto la direttaprotezione del re”. Al punto che unimperatore come Ciro poteva veniremagnificato in quanto ‘unto delSignore’, e quindi ‘messia’, in Isaia (41;45). Come scrive Piras, si tratta dell’“Unico caso di un non-ebreo che vengaonorato, in questa sola occasione, contale epiteto di prestigio e di sacralità

del potere, esprimendo unabenemerenza che i testi biblicirinnovarono per i sovrani achemenidifuturi, come Dario, Serse e Atarserse”, ein qualche modo, aggiungerei, ancheper Alessandro Magno. Emerge cosisubito un tema fondamentale, quellodel Messia, che sottende fino alla fine,come un fil rouge, tutte le pagine cheseguono. Un tema che, per le sueintrinseche caratteristicheescatologiche, quasi di necessità tendesempre a divenire interconfessionale.Per quanto riguarda il resto, come bensottolinea Piras, il problema dellerelazioni tra cultura religiosa

LE TRE ANELLA. AL CROCEVIASPIRITUALE TRA EBRAISMO,CRISTIANESIMO E ISLAM,a cura di Alessandro Grossato,Alessandria, Edizioni dell’Orso,2014, p. 368, 25 euro.

Molte forme religiose, spe-cialmente quelle che so-no rimaste lungamente

in contatto tra loro sia nel tempo sianello spazio, hanno finito con l’in-trecciare i loro rami in nodi e anelli piùo meno stretti.

La realtà storica di queste inter-connessioni, alcune delle quali sonoancora sorprendentemente vive e dif-fuse, ci fa comprendere che oggi lostudio dei rapporti tra le religioni nonpuò più sterilmente limitarsi né a unarigida e separata trattazione speciali-stica, né a un’astratta, quanto sempli-cistica, comparazione. Durante tuttoil Medioevo e il Rinascimento, tre fu-

rono le principali sponde culturali ereligiose del Mediterraneo. Non solo,dunque, quella cristiana e quella isla-mica, ma anche quella ebraica. Perchéle comunità disperse dalla diaspora econcentrate nelle principali città por-tuali, con i loro ininterrotti legami,costituirono tutte insieme una sortadi ‘terza sponda’, che fu, in tutti i sen-si, perfettamente trasversale rispetto

alle altre due.Ad esempio, riguardo alla copia-

tura, traduzione e diffusione di testi edi dottrine, comprese quelle misticheed esoteriche dell’Ermetismo, dell’Al-chimia e della Kabbalah. Ad alcuni deimeno noti, oltreché dei più singolari esignificativi momenti di connessionetra Ebraismo, Cristianesimo e Islamsono dedicati i contributi degli spe-cialisti che hanno collaborato a que-sto volume. E non solo a quelli stori-camente certi e documentati, ma per-sino a quelli che furono semplice-mente immaginati, sul piano sia dellaleggenda, come quella assai nota dei“tre anelli”, sia del mito. Come quellosviluppatosi, lungo le sponde di tuttoil Mediterraneo, attorno alla figuraspirituale del profeta Elia. Perché, co-me scriveva Giovanni Pico della Mi-randola, «come il Giusto è confluenzad’acque, così la Divinità è il mare a cuitendono tutti i fiumi».

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zoroastriana ed ebraica, “deve essereposto in maniera differente quando sivoglia comprendere l’influsso comestimolo alla elaborazione, comeoccasionalità di una serie di circostanzeche potrebbero aver dato luogo aindipendenti formulazioni, del tuttooriginali e specifiche […] frutto diincidenze e contatti che appunto, inquanto tali, non sono operazioni dimera copiatura”. Le relazioni fra questidue mondi religiosi comunquetenderanno ad aumentare sotto ilregno dei Parti o Arsacidi, inconcomitanza con l’arrivo dei Romaniin Giudea. Nel quadro dei rapporti fraIran partico e Cristianesimo, Piras mettein risalto le figure dei Magi, i sacerdotizoroastriani, che vengono assorbiti nelnostro immaginario già a partire dalVangelo di Matteo, al culmine di “unaacculturazione che era propiziata darimarchevoli sintonie culturali, nelmerito di credenze che rendevanomondo iranico ed ebraico-cristianofortemente comunicanti e interattivi”,in particolare “per ciò che concernevala salvezza e quindi l’attesa di Salvatori”.È difficile fare a meno di riconoscereche il tema zoroastriano del Salvatore,scrive ancora Piras, “ben oltre l’Iran siirradiò nelle geografie delMediterraneo, nelle attese messianichedel giudaismo e poi del cristianesimo.”Fra III e VII secolo, con l’avvento delladinastia dei Sassanidi, tende a prevalerel’esclusivismo religioso, senzacomunque escludere, secondo Piras, deimomenti di autentica ricomposizionedei rapporti con le altre fedi, presentisia all’interno che all’esternodell’impero.

Anche il contributo di Augusto

Cosentino, che prende qui in esame ledue redazioni dei Testamenti diSalomone, quella greca, che risale aprima del III secolo d.C., e quella arabamolto più tarda, ma che secondoCosentino si basa su una tradizioneparallela e più antica, riguarda unperiodo che precede la nascitadell’Islam, e si sviluppa al crocevia traEbraismo, Cristianesimo e mondoarabo. Si tratta di due opere abbastanzadiverse nei contenuti, accomunate piùche altro dal titolo, ma con alcuni puntidi contatto, uno dei quali, comevedremo, riserva un’interessantesorpresa. Il loro nucleo centraledescrive la costruzione del Tempio diGerusalemme. Le analogie fra questidue testi “fanno pensare cheappartengano ad una medesimatradizione, riferibile a un cultosalomonico palestinese”. Del resto ilTestamento di Salomone greco rinvia alVecchio Testamento, “nonché a tutta laletteratura salomonica extra-canonicafiorita in ambiente giudaico”. Si trattaquindi, come scrive ancora Cosentino,

di “Una tradizione testuale complessa,dunque, che costituisce una sorta diponte letterario tra mondo giudaico,cristiano e arabo.” Ancor piùimportante, ai nostri fini, è che “NelTestamento di Salomone arabo comparepoi il motivo dell’anello con sigillo datoda Dio per comandare ai demoni”, e seè vero che “Il tema era già bensviluppato nel Testamento greco, ed eranoto anche in altra letteraturasalomonica”, “Il Testamento araboapporta però una variante concettualemolto interessante: mentre nelTestamento greco il potere dell’anellorisiede nell’unico esemplare forgiato daDio e fatto pervenire a Salomone, nelTestamento arabo Salomone fa dellecopie dell’anello da distribuire ai suoioperai: copie nelle quali risiede lostesso potere magico di coercizione deidemoni dell’anello originale.”

Da un punto di vista strettamentepolitico, durante tutto il Medioevo e ilRinascimento, a causa dell’anticadiaspora del popolo ebraico, le ‘spondereligiose’, se cosi ci è consentito

Daniele da Volterra (1509-1566), Il profeta Elia (1550-1560 circa), Siena, Casa Pannocchieschi d'Elci

settembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 35

zoroastriana ed ebraica, “deve essereposto in maniera differente quando sivoglia comprendere l’influsso comestimolo alla elaborazione, comeoccasionalità di una serie di circostanzeche potrebbero aver dato luogo aindipendenti formulazioni, del tuttooriginali e specifiche […] frutto diincidenze e contatti che appunto, inquanto tali, non sono operazioni dimera copiatura”. Le relazioni fra questidue mondi religiosi comunquetenderanno ad aumentare sotto ilregno dei Parti o Arsacidi, inconcomitanza con l’arrivo dei Romaniin Giudea. Nel quadro dei rapporti fraIran partico e Cristianesimo, Piras mettein risalto le figure dei Magi, i sacerdotizoroastriani, che vengono assorbiti nelnostro immaginario già a partire dalVangelo di Matteo, al culmine di “unaacculturazione che era propiziata darimarchevoli sintonie culturali, nelmerito di credenze che rendevanomondo iranico ed ebraico-cristianofortemente comunicanti e interattivi”,in particolare “per ciò che concernevala salvezza e quindi l’attesa di Salvatori”.È difficile fare a meno di riconoscereche il tema zoroastriano del Salvatore,scrive ancora Piras, “ben oltre l’Iran siirradiò nelle geografie delMediterraneo, nelle attese messianichedel giudaismo e poi del cristianesimo.”Fra III e VII secolo, con l’avvento delladinastia dei Sassanidi, tende a prevalerel’esclusivismo religioso, senzacomunque escludere, secondo Piras, deimomenti di autentica ricomposizionedei rapporti con le altre fedi, presentisia all’interno che all’esternodell’impero.

Anche il contributo di Augusto

Cosentino, che prende qui in esame ledue redazioni dei Testamenti diSalomone, quella greca, che risale aprima del III secolo d.C., e quella arabamolto più tarda, ma che secondoCosentino si basa su una tradizioneparallela e più antica, riguarda unperiodo che precede la nascitadell’Islam, e si sviluppa al crocevia traEbraismo, Cristianesimo e mondoarabo. Si tratta di due opere abbastanzadiverse nei contenuti, accomunate piùche altro dal titolo, ma con alcuni puntidi contatto, uno dei quali, comevedremo, riserva un’interessantesorpresa. Il loro nucleo centraledescrive la costruzione del Tempio diGerusalemme. Le analogie fra questidue testi “fanno pensare cheappartengano ad una medesimatradizione, riferibile a un cultosalomonico palestinese”. Del resto ilTestamento di Salomone greco rinvia alVecchio Testamento, “nonché a tutta laletteratura salomonica extra-canonicafiorita in ambiente giudaico”. Si trattaquindi, come scrive ancora Cosentino,

di “Una tradizione testuale complessa,dunque, che costituisce una sorta diponte letterario tra mondo giudaico,cristiano e arabo.” Ancor piùimportante, ai nostri fini, è che “NelTestamento di Salomone arabo comparepoi il motivo dell’anello con sigillo datoda Dio per comandare ai demoni”, e seè vero che “Il tema era già bensviluppato nel Testamento greco, ed eranoto anche in altra letteraturasalomonica”, “Il Testamento araboapporta però una variante concettualemolto interessante: mentre nelTestamento greco il potere dell’anellorisiede nell’unico esemplare forgiato daDio e fatto pervenire a Salomone, nelTestamento arabo Salomone fa dellecopie dell’anello da distribuire ai suoioperai: copie nelle quali risiede lostesso potere magico di coercizione deidemoni dell’anello originale.”

Da un punto di vista strettamentepolitico, durante tutto il Medioevo e ilRinascimento, a causa dell’anticadiaspora del popolo ebraico, le ‘spondereligiose’, se cosi ci è consentito

Daniele da Volterra (1509-1566), Il profeta Elia (1550-1560 circa), Siena, Casa Pannocchieschi d'Elci

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36 la Biblioteca di via Senato Milano – settembre 2014

definirle, furono in realtà solamentedue: quella cristiana e quella islamica.Due sponde che, a parte il breve masignificativo idillio diplomatico fra ilneoeletto Imperatore Carlo Magno e ilCaliffo HÇr�;n al-Rash¥d, con ilreciproco scambio di doni simbolici,furono per secoli in un stato di guerraquasi permanente. Come ci ricorda nelsuo contributo Danielle Buschinger, ingenere, per gran parte del Medioevoebrei e musulmani vennero consideratidai cristiani alla stregua di ‘pagani’, senon peggio. Fu solo fra la fine del XII el’inizio del XIII secolo, ci ricorda laBuschinger, che uno sparuto numero dipoeti tedeschi “font preuve d’unetolerance digne du siecle des Lumieres”.Fra essi, in particolare, i MinnesangerWalther von der Vogelweide, Freidank eWolfram von Eschenbach: “meme siWolfram ne va pas aussi loin queFreidank pour qui tous les etreshumains, aussi bien les paiens(musulmans) que les juifs ou leschretiens, sont des enfants de Dieu, ilinsinue par la qu’une coexistencepacifique entre chretiens et musulmansest possible, sur la base d’un respectmutuel.” D’altra parte, se ècomprensibile che “Wolfram ne pouvaitcependant aller jusqu’au bout del’egalite entre chretiens et musulmans,car il aurait pu etre condamne parl’Eglise comme heretique”, nondimenonel suo romanzo sul Graal egli si spingea dirci, senza particolari problemi, che“L’elite qui garde le Graal et le sert estune elite qui vient des deux chevaleriesprofanes, la chevalerie arthurienne et lachevalerie paienne (musulmane), et laon doit souligner le caractereoecumenique de la conception de

Wolfram.” È dunque lecito ipotizzareche questa importante modifica nellapercezione dei musulmani enell’atteggiamento verso di loro daparte di alcune elites cristiane, si siaprodotta non tanto per l’avvento d’unanuova pietas religiosa, ma, come nelcaso di Raimondo Lullo, per altreragioni, più o meno direttamenteconnesse alle recenti perigliosefrequentazioni, anche in veste dicrociati, non più solo della spondacristiana del Mediterraneo, ma anche diquella islamica. Comunque, da unpunto di vista culturale, e quindi anchespirituale, e in particolare, per quel chequi più ci interessa, riguardo alladiffusione di testi e dottrine esoteriche,la diaspora ebraica, concentrata nelleprincipali metropoli portualimediterranee, costituì davvero una‘terza sponda’, che fu, in tutti i sensi,perfettamente trasversale rispetto allealtre due.

La parabola delle ‘Tre Anella’,ovvero delle ‘tre Leggi’

Secondo la studiosa israeliana IrisShagrir, l’origine della parabola delle‘Tre Anella’, contenuta nella terzanovella della prima giornata delDecameron di Giovanni Boccaccio, nonsolo è orientale, come da qualchetempo ormai ritiene la maggior partedegli studiosi, ma molto probabilmentedi origine islamica. Questa studiosa, chenel suo articolo si sofferma su diversipassaggi sia orientali che occidentali,ritiene che il più antico archetipoletterario, finora conosciuto, dellaparabola delle ‘Tre Anella’ sia daidentificare con il racconto che ha perprotagonista il principe Djaudharz o

Godarzes, e che è incluso nella Storiadei Re di Persia, scritta in arabo dallostorico persiano al-Tha’libi, che visse tral’XI e il XII secolo. Nel racconto, ognunadelle tre concubine del principe si illudedi essere la sua preferita, avendosegretamente ricevuto in dono da luiun anello che, in realtà, èperfettamente identico agli altri due.Come giustamente scrive la Shagrir,“We are not able to trace the earlycirculation of the Persian story, nor canwe identify the exact historical momentwhen this story was converted into anallegory related toreligions”, ma che lanascita e lo sviluppo di questa parabolasi può spiegare solo all’interno di uncontesto spazio-temporalecaratterizzato da intensi contattiinterculturali, soprattutto interreligiosi.E che inoltre “the history of the parablesuggests that it was Islam, with itsteachings from the Koran and fromother authorities, that originallypermitted the expression of suchopenness”. Una componente crucialenel complesso afflusso di confluenzeletterarie che, attraverso numerosetrasformazioni, hanno contribuito allagenesi della parabola delle “Tre Anella”,potrebbe allora risalire, secondo laShagrir, al resoconto del famosodialogo teologico che si sarebbe svoltoin due giornate tra Timoteo I, Patriarcanestoriano di Baghdad fra il 779 el’823, e il Califfo al-Mahd¥ (775-785),dialogo nel quale è comunquequestione di una perla invece che di unanello. Di questo dialogo esistononumerose versioni in arabo, e ne esisteanche un’importante versione ebraica,risalente al XIII secolo, scritta dalgrande kabbalista spagnolo Abraham

36 la Biblioteca di via Senato Milano – settembre 2014

definirle, furono in realtà solamentedue: quella cristiana e quella islamica.Due sponde che, a parte il breve masignificativo idillio diplomatico fra ilneoeletto Imperatore Carlo Magno e ilCaliffo HÇr�;n al-Rash¥d, con ilreciproco scambio di doni simbolici,furono per secoli in un stato di guerraquasi permanente. Come ci ricorda nelsuo contributo Danielle Buschinger, ingenere, per gran parte del Medioevoebrei e musulmani vennero consideratidai cristiani alla stregua di ‘pagani’, senon peggio. Fu solo fra la fine del XII el’inizio del XIII secolo, ci ricorda laBuschinger, che uno sparuto numero dipoeti tedeschi “font preuve d’unetolerance digne du siecle des Lumieres”.Fra essi, in particolare, i MinnesangerWalther von der Vogelweide, Freidank eWolfram von Eschenbach: “meme siWolfram ne va pas aussi loin queFreidank pour qui tous les etreshumains, aussi bien les paiens(musulmans) que les juifs ou leschretiens, sont des enfants de Dieu, ilinsinue par la qu’une coexistencepacifique entre chretiens et musulmansest possible, sur la base d’un respectmutuel.” D’altra parte, se ècomprensibile che “Wolfram ne pouvaitcependant aller jusqu’au bout del’egalite entre chretiens et musulmans,car il aurait pu etre condamne parl’Eglise comme heretique”, nondimenonel suo romanzo sul Graal egli si spingea dirci, senza particolari problemi, che“L’elite qui garde le Graal et le sert estune elite qui vient des deux chevaleriesprofanes, la chevalerie arthurienne et lachevalerie paienne (musulmane), et laon doit souligner le caractereoecumenique de la conception de

Wolfram.” È dunque lecito ipotizzareche questa importante modifica nellapercezione dei musulmani enell’atteggiamento verso di loro daparte di alcune elites cristiane, si siaprodotta non tanto per l’avvento d’unanuova pietas religiosa, ma, come nelcaso di Raimondo Lullo, per altreragioni, più o meno direttamenteconnesse alle recenti perigliosefrequentazioni, anche in veste dicrociati, non più solo della spondacristiana del Mediterraneo, ma anche diquella islamica. Comunque, da unpunto di vista culturale, e quindi anchespirituale, e in particolare, per quel chequi più ci interessa, riguardo alladiffusione di testi e dottrine esoteriche,la diaspora ebraica, concentrata nelleprincipali metropoli portualimediterranee, costituì davvero una‘terza sponda’, che fu, in tutti i sensi,perfettamente trasversale rispetto allealtre due.

La parabola delle ‘Tre Anella’,ovvero delle ‘tre Leggi’

Secondo la studiosa israeliana IrisShagrir, l’origine della parabola delle‘Tre Anella’, contenuta nella terzanovella della prima giornata delDecameron di Giovanni Boccaccio, nonsolo è orientale, come da qualchetempo ormai ritiene la maggior partedegli studiosi, ma molto probabilmentedi origine islamica. Questa studiosa, chenel suo articolo si sofferma su diversipassaggi sia orientali che occidentali,ritiene che il più antico archetipoletterario, finora conosciuto, dellaparabola delle ‘Tre Anella’ sia daidentificare con il racconto che ha perprotagonista il principe Djaudharz o

Godarzes, e che è incluso nella Storiadei Re di Persia, scritta in arabo dallostorico persiano al-Tha’libi, che visse tral’XI e il XII secolo. Nel racconto, ognunadelle tre concubine del principe si illudedi essere la sua preferita, avendosegretamente ricevuto in dono da luiun anello che, in realtà, èperfettamente identico agli altri due.Come giustamente scrive la Shagrir,“We are not able to trace the earlycirculation of the Persian story, nor canwe identify the exact historical momentwhen this story was converted into anallegory related toreligions”, ma che lanascita e lo sviluppo di questa parabolasi può spiegare solo all’interno di uncontesto spazio-temporalecaratterizzato da intensi contattiinterculturali, soprattutto interreligiosi.E che inoltre “the history of the parablesuggests that it was Islam, with itsteachings from the Koran and fromother authorities, that originallypermitted the expression of suchopenness”. Una componente crucialenel complesso afflusso di confluenzeletterarie che, attraverso numerosetrasformazioni, hanno contribuito allagenesi della parabola delle “Tre Anella”,potrebbe allora risalire, secondo laShagrir, al resoconto del famosodialogo teologico che si sarebbe svoltoin due giornate tra Timoteo I, Patriarcanestoriano di Baghdad fra il 779 el’823, e il Califfo al-Mahd¥ (775-785),dialogo nel quale è comunquequestione di una perla invece che di unanello. Di questo dialogo esistononumerose versioni in arabo, e ne esisteanche un’importante versione ebraica,risalente al XIII secolo, scritta dalgrande kabbalista spagnolo Abraham

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BEVI RESPONSABILMENTE

BEVILO GHIACCIATO.IL PRIMO CREMAMARO

BEVI RESPONSABILMENTE

BEVILO GHIACCIATO.IL PRIMO CREMAMARO

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38 la Biblioteca di via Senato Milano – settembre 2014

Abulafia. In questo volume èprincipalmente Alessandro La Monica,con il suo contributo a occuparsi, fraaltre varianti medievali sia orientali cheoccidentali, anche dei testimoni italianidue-trecenteschi della parabola dei treanelli. Ovvero del racconto LXXIII delNovellino, della terza novella dellaprima giornata del Decameron edell’episodio dell’Aventuroso ciciliano diBosone da Gubbio. Sia Boccaccio cheBosone attingono al Novellino, secondoLa Monica “Boccaccio si servì, tuttavia,anche di altre fonti […] come mostra adesempio il motivo della largesse delSaladino”, un motivo presente inparticolare nei versi di due poetitedeschi, il Minnesanger Walter von derVogelweide (1170ca.-1230 ca.), e ilviennese Jansder Enikel, morto dopo il1302. Com’è noto, la compilazione delNovellino risale all’incirca all’ultimoventennio del XIII secolo, quelladell’Aventuroso ciciliano alla fine delXIV secolo, ma è ambientatoall’indomani dei Vespri del 1282, e

infine il Decameron fu scritto tra il1349 e il 1351 o al più tardi nel 1353.Ora, per comprendere appieno il climaintellettuale e religioso di quei decenni,durante i quali venne maturando laricezione e la trasformazione dellaparabola dei tre anelli, definitivamenteapplicata alla questione del rapportotra le grandi religioni abramiche, cisembra di dover ricordare unprecedente molto importante.

Intorno al 1274, il terziariofrancescano Raimondo Lullo, di originecatalana, scrive Il libro del gentile e deitre savi. In questo testo egli descrive ildialogo fra tre sapienti, un ebreo, uncristiano e un musulmano, che cercanodi dimostrare la verità delle rispettivefedi ad un quarto personaggio, ungentile dotato di una buona culturafilosofica, ma ancora agnostico. Unanobildonna, il cui nome non a caso èIntelligenza, li aiuta a percorrere e adinterpretare un misterioso giardinosimbolico, con una fontana e cinquealberi, che celano, fra i propri rami, un

complesso simbolismo numerico. Ilgentile arriva cosi gradualmente acomprendere quale sia la sua fede,senza pero rivelarla agli altri, mentre itre saggi decidono di rivedersi ognigiorno, per continuare a cercareinsieme la verità. Un’opera che deveaver contribuito non poco allatrasformazione finale della parabola deitre anelli.

Riguardo alla novella del Boccaccio,che dà il titolo al volume, solo alcunebrevi considerazioni. Anche qui, comenel Novellino, i “tre anelli” sono le “treLeggi” delle tre religioni del Libro, el’“anello bellissimo e prezioso” è la “veraLegge”, che non si sa quale veramentesia. Parabola bellissima, della quale sitendeva nei secoli scorsi a mettere inevidenza solo la sagacia dimostratadall’ebreo Melchisedech, nel riuscire adevitare di dare una vera risposta alSaladino. Mentre oggi si preferiscesottolineare quello che, ad alcuni, puòforse apparire una sorta di manifestodel relativismo religioso. Un po’ troppoante litteram, specie se si tiene contodel fatto che Giovanni Boccaccio era unterziario francescano. Nessuno, o quasi,si chiede invece altre cose, ad esempiocosa significhi in questa novella ilnome di Panfilo, il narratore, che dalgreco può tradursi con “Amico di tutti”,“Benevolo verso tutti”, ma anche“Amato da tutti”, “Caro a tutti” epersino come “Tutto amore”.

E soprattutto perché il nomedell’ebreo non sia semplicemente unoqualsiasi, ma proprio quello delMelchisedech biblico (Genesi, XIV, 18-20), il Re di Salem che benedisse ilpatriarca Abramo, ricevendone ladecima in segno di sottomissione.

L’assessorato alla Cultura delcomune di Acqui Terme in-sieme agli

ideatori del PremioAcqui Storia, all’inter-no del ciclo “Incontricon l’autore”, hannoorganizzato una pre-sentazione della rivi-sta «la Biblioteca di viaSenato». A parlarne

hanno invitato Gianluca Montinaro.L’appuntamento è fissato per vener-

dì 26 settembre, alleore 21.15, presso lasala conferenze diPalazzo Robellini(piazza Levi, 5 - AcquiTerme). Introdurran-no la conversazioneCarlo Sburlati e CarloProsperi.

PRESENTAZIONE DE «LA BIBLIOTECA DI VIA SENATO» AD ACQUI TERME

APPUNTAMENTI BVS

38 la Biblioteca di via Senato Milano – settembre 2014

Abulafia. In questo volume èprincipalmente Alessandro La Monica,con il suo contributo a occuparsi, fraaltre varianti medievali sia orientali cheoccidentali, anche dei testimoni italianidue-trecenteschi della parabola dei treanelli. Ovvero del racconto LXXIII delNovellino, della terza novella dellaprima giornata del Decameron edell’episodio dell’Aventuroso ciciliano diBosone da Gubbio. Sia Boccaccio cheBosone attingono al Novellino, secondoLa Monica “Boccaccio si servì, tuttavia,anche di altre fonti […] come mostra adesempio il motivo della largesse delSaladino”, un motivo presente inparticolare nei versi di due poetitedeschi, il Minnesanger Walter von derVogelweide (1170ca.-1230 ca.), e ilviennese Jansder Enikel, morto dopo il1302. Com’è noto, la compilazione delNovellino risale all’incirca all’ultimoventennio del XIII secolo, quelladell’Aventuroso ciciliano alla fine delXIV secolo, ma è ambientatoall’indomani dei Vespri del 1282, e

infine il Decameron fu scritto tra il1349 e il 1351 o al più tardi nel 1353.Ora, per comprendere appieno il climaintellettuale e religioso di quei decenni,durante i quali venne maturando laricezione e la trasformazione dellaparabola dei tre anelli, definitivamenteapplicata alla questione del rapportotra le grandi religioni abramiche, cisembra di dover ricordare unprecedente molto importante.

Intorno al 1274, il terziariofrancescano Raimondo Lullo, di originecatalana, scrive Il libro del gentile e deitre savi. In questo testo egli descrive iliidialogo fra tre sapienti, un ebreo, uncristiano e un musulmano, che cercanodi dimostrare la verità delle rispettivefedi ad un quarto personaggio, ungentile dotato di una buona culturafilosofica, ma ancora agnostico. Unanobildonna, il cui nome non a caso èIntelligenza, li aiuta a percorrere e adinterpretare un misterioso giardinosimbolico, con una fontana e cinquealberi, che celano, fra i propri rami, un

complesso simbolismo numerico. Ilgentile arriva cosi gradualmente acomprendere quale sia la sua fede,senza pero rivelarla agli altri, mentre itre saggi decidono di rivedersi ognigiorno, per continuare a cercareinsieme la verità. Un’opera che deveaver contribuito non poco allatrasformazione finale della parabola deitre anelli.

Riguardo alla novella del Boccaccio,che dà il titolo al volume, solo alcunebrevi considerazioni. Anche qui, comenel Novellino, i “tre anelli” sono le “treLeggi” delle tre religioni del Libro, el’“anello bellissimo e prezioso” è la “veraLegge”, che non si sa quale veramentesia. Parabola bellissima, della quale sitendeva nei secoli scorsi a mettere inevidenza solo la sagacia dimostratadall’ebreo Melchisedech, nel riuscire adevitare di dare una vera risposta alSaladino. Mentre oggi si preferiscesottolineare quello che, ad alcuni, puòforse apparire una sorta di manifestodel relativismo religioso. Un po’ troppoante litteram, specie se si tiene contodel fatto che Giovanni Boccaccio era unterziario francescano. Nessuno, o quasi,si chiede invece altre cose, ad esempiocosa significhi in questa novella ilnome di Panfilo, il narratore, che dalgreco può tradursi con “Amico di tutti”,“Benevolo verso tutti”, ma anche“Amato da tutti”, “Caro a tutti” epersino come “Tutto amore”.

E soprattutto perché il nomedell’ebreo non sia semplicemente unoqualsiasi, ma proprio quello delMelchisedech biblico (Genesi, XIV, 18-ii20), il Re di Salem che benedisse ilpatriarca Abramo, ricevendone ladecima in segno di sottomissione.

L’assessorato alla Cultura delcomune di Acqui Terme in-sieme agli

ideatori del PremioAcqui Storia, all’inter-no del ciclo “Incontricon l’autore”, hannoorganizzato una pre-sentazione della rivi-sta «la Biblioteca di viaSenato». A parlarne

hanno invitato Gianluca Montinaro.L’appuntamento è fissato per vener-

dì 26 settembre, alleore 21.15, presso lasala conferenze diPalazzo Robellini(piazza Levi, 5 - AcquiTerme). Introdurran-no la conversazioneCarlo Sburlati e CarloProsperi.

PRESENTAZIONE DE «LA BIBLIOTECA DI VIA SENATO»AD ACQUI TERME

APPUNTAMENTI BVS

Page 41: la Biblioteca di via Senato€¦ · 6 la Biblioteca di via Senato Milano – settembre 2014 due / nel quarto mese adi cinque et sei / questa opera gentile impressa fue / Io maestro

1974 allorché un giudice bolognese incerca di notorietà lo incarcera peralcuni mesi sulla base di un ordine dicattura che si rivelerà poiinconsistente. Nel 1979, al termine diuna seconda carcerazione,pretestuosa quanto la prima,apprende di aver vinto un posto didocente presso l’Istituto Italiano di

F ondate a Parma, nel 1978, leEdizioni all’insegna del Veltrosono la rappresentazione della

storie di vita e di studio del loroideatore e creatore: Claudio Mutti(1946). Nato nella cittadina emiliana,Mutti (dopo aver conseguita con lodela laurea in Lettere e Filosofia,indirizzo classico), si interessa ad

autori antichi, fra i quali Plutarco,Arato, Porfirio, Giuliano Imperatore,Salustio, di cui traduce e commentaalcuni testi. Contemporaneamenteintraprende attività di ricerca e dididattica presso l’Istituto di FilologiaUgrofinnica e Lingua e LetteraturaUngherese dell’Università di Bologna;ma a tale incarico deve rinunciare nel

39settembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano

EDITORE DEL MESELE EDIZIONI ALL’INSEGNA DEL VELTROI libri di Claudio Mutti, uno stampatore-studioso non allineato

Gennadij Zjuganov,STATO E POTENZA, Parma, Edizioni All’insegna del Veltro, 1999

C he ci fa un libro di un co-munista russo in una colla-na diretta da Mutti? Basta

aprire il libro e leggere la prefazionedello stesso Mutti, e poi il lungo sag-gio introduttivo del curatore del vo-lume, Marco Montanari - studiososerio (forse in Italianessuno conosce me-glio di lui le vicende delcomunismo sovieticosuccessive al crollo),non un seguace diMutti - per capire chenon siamo di fronte aduna stranezza, a un’o-

perazione editoriale particolarmen-te spregiudicata. No, Stato e potenzaci sta bene fra i libri di Mutti perchénelle sue pagine circola davvero - fil-trata forse attraverso gli scritti diAleksandr Dugin, il fondatore a Mo-sca di un partito che nel modo piùesplicito si definiva nazionalbolsce-vico - quel pensiero “rosso-nero”che in Occidente ha avuto i suoimaestri, più che in Evola, in Jean-François Thiriart visionario (suo era il

progetto dell’imperoeuro-sovietico) fon-datore, sulle ceneri delnazismo, del “nazio-naleuropeismo”.

(Adriano Guerra,«L’Unità»,

30 maggio 1999)

di sandro giovannini

1974 allorché un giudice bolognese incerca di notorietà lo incarcera peralcuni mesi sulla base di un ordine dicattura che si rivelerà poiinconsistente. Nel 1979, al termine diuna seconda carcerazione,pretestuosa quanto la prima,apprende di aver vinto un posto didocente presso l’Istituto Italiano di

F ondate a Parma, nel 1978, leEdizioni all’insegna del Veltrosono la rappresentazione della

storie di vita e di studio del loroideatore e creatore: Claudio Mutti(1946). Nato nella cittadina emiliana,Mutti (dopo aver conseguita con lodela laurea in Lettere e Filosofia,indirizzo classico), si interessa ad

autori antichi, fra i quali Plutarco,Arato, Porfirio, Giuliano Imperatore,Salustio, di cui traduce e commentaalcuni testi. Contemporaneamenteintraprende attività di ricerca e dididattica presso l’Istituto di FilologiaUgrofinnica e Lingua e LetteraturaUngherese dell’Università di Bologna;ma a tale incarico deve rinunciare nel

39settembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano

EDITORE DEL MESELE EDIZIONI ALL’INSEGNA DEL VELTROI libri di Claudio Mutti,uno stampatore-studioso non allineato

Gennadij Zjuganov,STATO E POTENZA,Parma, Edizioni All’insegnadel Veltro, 1999

C he ci fa un libro di un co-munista russo in una colla-na diretta da Mutti? Basta

aprire il libro e leggere la prefazionedello stesso Mutti, e poi il lungo sag-gio introduttivo del curatore del vo-lume, Marco Montanari - studiososerio (forse in Italianessuno conosce me-glio di lui le vicende delcomunismo sovieticosuccessive al crollo),non un seguace diMutti - per capire chenon siamo di fronte aduna stranezza, a un’o-

perazione editoriale particolarmen-te spregiudicata. No, Stato e potenzaci sta bene fra i libri di Mutti perchénelle sue pagine circola davvero - fil-trata forse attraverso gli scritti diAleksandr Dugin, il fondatore a Mo-sca di un partito che nel modo piùesplicito si definiva nazionalbolsce-vico - quel pensiero “rosso-nero”che in Occidente ha avuto i suoimaestri, più che in Evola, in Jean-François Thiriart visionario (suo era il

progetto dell’imperoeuro-sovietico) fon-datore, sulle ceneri delnazismo, del “nazio-naleuropeismo”.

(Adriano Guerra,«L’Unità»,

30 maggio 1999)

di sandro giovannini

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all’insegna del Veltro stannomuovendo con successo i primi passinel mondo della carta stampata,affermandosi come raffinata casaeditrice di nicchia, Mutti è arrestatoper la terza volta. L’imputazione, cheriguarda la strage alla stazione diBologna, lo costringe in prigione perun periodo piuttosto lungo,sufficiente per condurre a terminediverse ricerche. Avvalendosi dellaconsulenza di alcuni zingari detenutinel carcere di Reggio Emilia, compila

la Biblioteca di via Senato Milano – settembre 201440

Cultura a Bucarest. I quotidiani «la Repubblica» e «La Stampa» gridano allo scandalo e l’on. Antonello Trombadori

chiede al governo se sia proprionecessario affidare un incarico dirappresentanza della cultura italiana aun «famigerato nemico dellademocrazia».

Il Ministero degli Esteri risolve lasituazione annullando i risultati delconcorso stesso.

Nel 1980, quando già le Edizioni

un lessico di sinto che verràpubblicato dalla rivista del CentroStudi Zingari “Lacio Drom”. Realizzaanche diverse raccolte di canti,ballate, leggende e favole popolaridell’Ungheria e della Transilvania,studiando i contenuti simbolici delletradizioni popolari sulla traccia delleindicazioni fornite da René Guénon.

Negli anni successivi (dopo esserestato prosciolto da ogni accusa),Mutti, nell’ambito del suo interesseper le culture dell’area carpatico-danubiana, traduce e pubblicaall’interno del catalogo dell’Edizioniall’insegna del Veltro numerosidocumenti e testi relativi almovimento legionario romeno e almovimento crocefrecciato ungherese;cura i numeri monografici di alcuneriviste («Origini», «Letteratura-Tradizione») dedicati a Nae Ionescu,Cioran, Constantin Noica e MirceaEliade. Di quest’ultimo, in particolare,indaga i rapporti col movimentolegionario in un saggio tradotto invarie lingue; svolge approfonditericerche sull’influenza esercitata daRené Guénon nei paesi dell’Europadanubiana; fa conoscere in Italiaimportanti scrittori tradizionalistiquali il romeno Vasile Lovinescu el’ungherese Béla Hamvas.

A oggi le Edizioni all’insegna delVeltro hanno in catalogo oltre uncentinaio di titoli, fra i quali ancheopere di Julius Evola, CornelioCodreanu, Johann von Leers e RobertFaurisson. Presenti anche alcuni testidi autori di formazione prettamentemarxista (seppure dal percorsoideologico del tutto particolare) comeCostanzo Preve e Gannadij Zjuganov.

all’insegna del Veltro stannomuovendo con successo i primi passinel mondo della carta stampata,affermandosi come raffinata casaeditrice di nicchia, Mutti è arrestatoper la terza volta. L’imputazione, cheriguarda la strage alla stazione diBologna, lo costringe in prigione perun periodo piuttosto lungo,sufficiente per condurre a terminediverse ricerche. Avvalendosi dellaconsulenza di alcuni zingari detenutinel carcere di Reggio Emilia, compila

la Biblioteca di via Senato Milano – settembre 201440

Cultura a Bucarest. I quotidiani «la Repubblica» e«La Stampa» gridano allo scandalo e l’on. Antonello Trombadori

chiede al governo se sia proprionecessario affidare un incarico dirappresentanza della cultura italiana aun «famigerato nemico dellademocrazia».

Il Ministero degli Esteri risolve lasituazione annullando i risultati delconcorso stesso.

Nel 1980, quando già le Edizioni

un lessico di sinto che verràpubblicato dalla rivista del CentroStudi Zingari “Lacio Drom”. Realizzaanche diverse raccolte di canti,ballate, leggende e favole popolaridell’Ungheria e della Transilvania,studiando i contenuti simbolici delletradizioni popolari sulla traccia delleindicazioni fornite da René Guénon.

Negli anni successivi (dopo esserestato prosciolto da ogni accusa),Mutti, nell’ambito del suo interesseper le culture dell’area carpatico-danubiana, traduce e pubblicaall’interno del catalogo dell’Edizioniall’insegna del Veltro numerosidocumenti e testi relativi almovimento legionario romeno e almovimento crocefrecciato ungherese;cura i numeri monografici di alcuneriviste («Origini», «Letteratura-Tradizione») dedicati a Nae Ionescu,Cioran, Constantin Noica e MirceaEliade. Di quest’ultimo, in particolare,indaga i rapporti col movimentolegionario in un saggio tradotto invarie lingue; svolge approfonditericerche sull’influenza esercitata daRené Guénon nei paesi dell’Europadanubiana; fa conoscere in Italiaimportanti scrittori tradizionalistiquali il romeno Vasile Lovinescu el’ungherese Béla Hamvas.

A oggi le Edizioni all’insegna delVeltro hanno in catalogo oltre uncentinaio di titoli, fra i quali ancheopere di Julius Evola, CornelioCodreanu, Johann von Leers e RobertFaurisson. Presenti anche alcuni testidi autori di formazione prettamentemarxista (seppure dal percorsoideologico del tutto particolare) comeCostanzo Preve e Gannadij Zjuganov.

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42 la Biblioteca di via Senato Milano – settembre 2014

� GRAMMATICA Vale mol-to più della pratica, eccome. Ri-passare semmai l’analisi logica.Se capita, buttare lì nella conver-sazione la frase: “Se fossi la linguaitaliana farei causa a Carofiglio”.

� PRATICA Inutile, se si co-nosce bene la grammatica. Ricor-darsi però che la sintassi non hamai arricchito nessuno.

� TENTAZIONIFanno l’uo-mo etero.

� SCRITTORI Categorie fa-vorite nella selezione naturale alsuccesso letterario: alcolizzati,giocatori compulsivi, maniaco-depressivi, predatori sessuali(meglio se combinate insieme).

� DISCORSO (COME FI-NIRE UN) “E a questo punto sipotrebbe citare la seconda leggedella termodinamica che, sinte-tizzando, recita: prima o poi tuttofinisce in merda”.

� LUOGHI COMUNIEcce-

Punture di penna

� AMICI I veri sono quelli chemettono “mi piace” ai tuoi artico-li.

� FACOLTA’ DI LEGGESforna ottimi giallisti.

� GIALLI ALL’ITALIANABasta romanzi su ironici commis-sari di provincia!

� EDUCAZIONE Da elargi-re con grande parsimonia. A voltemeglio lo stato selvaggio. Quellasiberiana è un bluff.

� CONSIGLI “Vuoi un consi-glio?”. Declinare in modo gentilema fermo.

� SCORCIATOIESono sem-pre una soluzione eccellente,checché ne dicano.

� FAVORITISMI Se ne be-neficiate, sminuirli: “Ci sareiarrivato comunque”.Se beneficiano gli altri, biasi-marli: “Tanto prima o poi si pa-ga tutto”.

� MAÎTRE À PENSER InFrancia gli intellettuali sono disolito incapaci di aprire un om-brello, diceva Andrè Malraux. InItalia invece ne sono capaci,quando non serve.

� OROSCOPI Cercare discriverli sotto pseudonimo, perqualsiasi giornale. Pagano moltobene.

� VACANZE L’intellettualenon fa mai vacanza, anche se ci va.

Sopra: Luigi Mascheroni

LUIGI MASCHERONI

Consigli intellettuali per il vero Maître à penser

Ovvero: come furoreggiare nei salotti – parte decima

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settembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 43

dere. Soprattutto con le espres-sioni: “chiudere i battenti”,“splendida cornice”, “ridente cit-tadina”, “”fuori dal tunnel”, “unavera chicca”, “il giornalismo èfatto di luoghi comuni”.

� MINORANZAFarne parte.

� MAGGIORANZA Disde-gnarla.

� GUSTO Quello vero è inprimo luogo il disgusto nei con-fronti del gusto degli altri.

� PUBBLICO DI MASSARicordarsi: più una cosa piace alpubblico, più va guardata consospetto.

� ODIO Spiace dirlo, ma ne-cessario. Scarica la tensione nel-le aggressioni fisiche, aiuta adarricchire il proprio vocabola-rio in quelle verbali, irrobusti-sce mente e corpo, produce otti-mi pezzi giornalistici e capola-vori letterari. Ricordare sommessamente cheil buonismo non porta da nessu-na parte.

� INSULTI A volte servonoAd esempio: “bimbominkia”,Salonbolschewist (sta per “bolsce-vico da salotto”, la versione te-desca del radical chic), “sei co-munista dentro”, “ma se tu haivotato persino Berlusconi”. E“testa di cazzo”, che - parlandodi intellettuali - va sempre bene.

se in grande quantità: i calzini atinta unita (nessuno a righe), masoprattutto indolenza e superfi-cialità; 4) dal fatto che non ama chia-marsi dandy, né che lo chiaminogli altri. Preferisce dirsi “Signo-re”. E adora le signore; 5) dal fatto che non sopporta ilDandi di Romanzo criminale: èun burino, e per di più romano(e i romani non possono essere

� PROZACAbusarne.

� DANDY Il dandy post-con-temporaneo si vede da: 1) dal fatto che si chiama “dandypost-contemporaneo” e non“dandy 2.0”, estensione, que-st’ultima, che lascia volentieri alfashion victim; 2) dal fatto che non è un fashionvictim; 3) dal fatto che possiede due co-

Sir Joshua Reynolds (1723-1792), Sarah Campbell, 1777-1778, New Haven,

Yale Center for British Art

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44 la Biblioteca di via Senato Milano – settembre 2014

dandy). Comunque il verodandy non legge romanzi, nonguarda film né serie tv. E non sopporta neppure De Ca-taldo, tanto meno Placido e Sol-lima. Burini pure loro; 6) dal fatto che sceglie sigari“Sancho Panza” ma li accendecon dei Bic da un euro. E soprat-tutto li fuma al chiuso, in localipubblici, meglio se ci sono bam-bini e donne incinta; 7) dal fatto che non tollera né ibambini né le donne incinta; 8) dal fatto che non si fa mai distupefacenti, al massimo abusadi Oki; 9) dal fatto che ha spesso mal ditesta. Soprattutto quando devescegliere la cravatta; 10) dal fatto che ha moltissimecravatte, ma usa sempre le stessedue-tre; 11) dal fatto che adora i taglinetti. Negli abiti e nelle rela-zioni. Soprattutto quelle extraconiugali;

12) dal fatto che intrattienemolte relazioni extra coniugali.Perché? Se lo chiede sempre an-che lui; 13) dal fatto che si prende cura disé ma soltanto per apparire, nonper essere (cosa quest’ultima del-la quale non gli frega nulla);14) dal fatto che non ha mai let-to Fromm; 15) dal fatto che non legge mai,tanto meno Oscar Wilde, chedetesta; 16) dal fatto che, più di ogni al-tra cosa, detesta le citazioni diOscar Wilde, e sopra ogni cosaquelle su Twitter; 17) dal fatto che però adoraTwitter: sobrio, semplice, es-senziale, come deve essere il ve-ro dandy; 18) dal fatto che sa benissimoche la barba non fa il filosofo, einfatti possiede una splendidacollezione di rasoi a mano. Che tiene in un armadietto. Per radersi invece usa dei Bic

usa-e-getta. Che fa moltodandy; 19) dal fatto che sa bene che nel-la vita lo stile è tutto. Ma i soldilo sono di più; 20) dal fatto che non ha mai ab-bastanza soldi. Ma questo suc-cede anche a chi non è un dandy;21) dal fatto che nella vita c’è so-lo una cosa che non capisce, ol-tre al culto per le bretelle allaGordon Gekko, ed è il Negronisbagliato; 22) dal fatto che sbaglia spessis-simo, soprattutto ad abbinarepochette e giacca, camicia e cra-vatta, calze e pantaloni. Però lopuò fare tranquillamente, per-ché è un dandy; 23) dal fatto che nasce con la ca-micia. Di solito Battistoni; 24) dal fatto che, in musica, si èfermato ai Gaznevada. Ed è feli-cissimo di averlo fatto; 25) dal fatto che se incontra unhipster gli infila la pipa su per ilculo; 26) dal fatto che è rigorosamen-te eterosessuale (infatti OscarWilde non è un dandy, ma unfrocio); 27) dal fatto che usa i fazzolettida taschino per pulirsi il naso, e i‘Tempo’ li tiene nel taschino.Perché se c’è una cosa di cui ab-bonda il dandy, a differenza deisoldi, è il tempo; 28) dal fatto che le calze bianchele usa, eccome. Sul suo yacht da40 metri; 29) dal fatto che in effetti odiagli yacht.

Thomas Gainsborough (1727-1788), Mr and Mrs Andrews, 1750, Londra, The

National Gallery

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finitamente più importante del-la stampa, paragonabile, oltrecinque secoli dopo, all’inven-zione di Internet. Le sue abilitàe conoscenze di orafo gli aveva-no consentito di realizzare unpiccolo parallelepipedo in legadi metallo (piombo, antimonioe stagno) che avrebbe cambiatoil corso della storia: il caratteremobile per la stampa tipografi-ca. La mobilità del carattere infase di composizione della pagi-na tipografica consentiva, infat-ti, la possibilità di correggere glierrori con una velocità inimma-ginabile prima; il singolo carat-tere sbagliato veniva sostituitocon quello giusto, senza biso-gno di dover incidere di nuovouna intera tavola di legno! Que-sta mirabile e geniale intuizionenon fu però benigna per Guten-berg che si vide costretto a ven-dere tutta la strumentazione(torchi, caratteri, carta, ecc.) perpagare i debiti del prestito rice-vuto. Nel giro di qualche anno ilsuo nome scomparve per ri-emergere nel corso dei secoli

Editoria

Se chiedete a dieci personedi cultura, anche medio al-ta, qual è stata l’invenzio-

ne di Gutenberg nove su diecirisponderanno: la stampa. L’u-nico che non risponderà lo faràper timore di dire una scioc-chezza, non perché conosce larisposta. La stampa, infatti, esi-steva ben prima di Gutenberg,sotto forma di stampa xilografi-ca, realizzata cioè (sia il breve te-sto che le immagini) incidendotavole di legno che poi inchio-strate producevano singoli foglidi argomento religioso, destina-ti ai poveri e agli analfabeti (Bi-blia pauperum). Era una stampameticolosa, lenta e spesso pienadi refusi, adatta non alla letturadel testo (che pochissimi erano ingrado di comprendere) ma allalettura delle immagini, analogaalla funzione delle vetrate poli-crome delle cattedrali gotiche.Johann Gensfleisch zur Ladenzum Gutenberg, questo il nomecompleto del nostro eroe, mor-to povero e dimenticato, avevainvece realizzato qualcosa di in-

Raffinati libri con un certo bel carattere

Riflessioni (bibliografiche) sui caratteri tipografici

MASSIMO GATTA

settembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano

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48 la Biblioteca di via Senato Milano – settembre 2014

successivi e, paradossalmente,essere erroneamente identifica-to come l’inventore della stam-pa. C’è da dire, però, che recentiscoperte archeologiche hannoportato alla luce caratteri mobiliin vetro realizzati in Cina alcunisecoli prima di Gutenberg cheperò, proprio perché in vetro,erano molto fragili. Anche quel-li in lega metallica andavano in-contro ad una progressiva usuradovuta alla pressione del tor-

chio, ma di sicuro consentivanola stampa di parecchie migliaiadi pagine prima di dover esseresostituiti. Da allora il caratteredi stampa, con la relativa arte deldisegno della lettera1 e del carat-tere, sono diventati i protagoni-sti della tipografia e, in tempimoderni, di quella privata e dipregio, ma anche di alcune tipo-grafie sensibili e attrezzate astampare in lingue esotiche.2 Ildisegno dei caratteri è uno dei

settori più importanti nel com-plesso ambito della storia cultu-rale della tipografia e le famigliedi caratteri sono innumerevoli,alcune di straordinaria risonan-za anche per i profani (Gara-mond, Bodoni3, Times), oltre aquelli, innumerevoli, nati per ildigitale.

In queste brevi riflessioni(bibliografiche) vorrei però sof-fermarmi su alcuni rari opuscolirealizzati per testimoniare spe-

NOTE1Tra i tanti classici mi piace qui ricorda-

re Geofroy Tory, Champ Fleury, Paris, par

Gilles de Gourmont, 1529; lo cito da una

bella ristampa anastatica, Champ Fleury.Art et Science de la Vraie Proportion desLettres, che mette in grado il lettore di en-

trare nel ductus dell’originale, edito dalla

Bibliothèque de l’Image, 1998, con un bre-

ve scritto introduttivo di Paul-Marie Gri-

nevald. Una interessante trasposizione

narrativa di Tory, e del suo trattato, è in An-

na Cuneo, Il maestro di Garamond, Milano,

Sironi, 2010, pp. 258-270.2 Come, tra le tante, la Tipografia Vin-

cenzo Bona di Torino, fondata nel 1777,

della quale segnalo una curiosità biblio-

grafica legata alla stampa in lingue esoti-

che, cfr. al riguardo la plaquette comme-

morativa di Giulio Vincenzo Bona, CarloEmanuele Bona, Torino, Bona, s.d. [ma

1963], stampato a tiratura numerata in ri-

cordo della scomparsa del Bona (13 set-

tembre 1962) e che contiene una sezione

con la stampa in 27 alfabeti anche esotici

di un verso caro al Bona, con l’indicazione:

“Mio Padre, il Comm. C.E. Bona, era orgo-

glioso di poter affermare che la Tipografia

Vincenzo Bona fu scelta dall’Accademia

delle Scienze di Torino perché già nel seco-

lo XVIII si riteneva fosse una delle poche

d’Europa attrezzata per stampare in tutte

le lingue del mondo” [l’esemplare da noi

utilizzato è il n. 330]. Sulla tematica della

stampa in molteplici alfabeti non si può di-

menticare l’Oratio Dominica, stampata da

Bodoni nel 1806 in 155 lingue diverse.3 Scontato, per questo fin troppo cele-

bre carattere, il rimando al Manuale tipo-

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settembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 49

cifici caratteri storici; fino allametà del secolo scorso, infatti,molte tipografie utilizzavanocampionari di caratteri realizza-ti da importanti aziende, comela Nebiolo4 e l’Urania5. In segui-to queste pubblicazioni sonoscomparse sostituite da campio-nari virtuali online. Tra gli in-numerevoli testi che da secolisono stati dedicati al disegno e aicaratteri da stampa ne ho privi-legiato alcuni della seconda me-

tà del Novecento, sia per il lorocarattere di curiosità, sia per laloro indubbia rarità (in qualchecaso non conservati in bibliote-che pubbliche), sia per la loropreziosità artigianale, perchécomposti e stampati manual-mente. Questa mia è quindi unabreve, personale, riflessione bi-bliografica su uno degli aspettipiù intriganti e affascinanti delcomplesso e magmatico univer-so della tipografia.

Tra i contributi ottocente-schi si segnala un opuscolostampato malamente, com’eratipico dell’epoca e che abbiamopotuto visionare in copia foto-statica rilegata.6 Mentre al Set-tecento7 risale uno dei primicontributi italiani, quello diFrancesco Griselini8, inseritonella sua opera enciclopedicaDizionario delle arti e de’ mestieri,iniziata a Venezia nel 1768.

Tra quelli primo novecen-

grafico del cavaliere Giambattista Bodoni,volume primo-secondo, Parma, presso la

vedova, 1818; meno scontato è forse Essaide caractères russes di Giambattista Bodo-ni, Milano, Il Polifilo [ma Verona, Stamperia

Valdonega], 1990, stampato in 750 esem-

plari. Uno dei più importanti manuali mo-

derni dedicati ai caratteri è invece quello di

Alberto Tallone, Manuale tipografico II, de-dicato all’impaginazione, ai caratteri datesto & ai formati, Alpignano, Tallone edi-

tore stampatore, 2008. Di notevole rarità è

poi una brochure-campionario in tedesco,

senza dati tipografici, che riproduce il ca-

rattere Bodoni Antiqua con ampio foglio

interno ripiegato, cfr. Bodoni Antiqua. Vor-probe, s.n.t. [anni Cinquanta], nessun

esemplare localizzato in biblioteche pub-

bliche [l’esemplare da noi visionato riporta

al piatto anteriore e posteriore un timbro

con l’indicazione “Ditta Mannucci, via del

Prato, 45 – Firenze”, che probabilmente era

il distributore italiano di quel carattere bo-

doniano].4 Segnalo il raro opuscolo Concorso

Nebiolo per il disegno di un alfabeto, Mila-

no, Triennale di Milano [stampa Bertieri],

1939 [realizzato in occasione della VII

Triennale di Milano, 1940], sul quale ri-

mando a S. Annichiarico, M. Piazza (a cura

di), Come comete. Annunci e messaggi nel-la grafica della Triennale, Milano, Charta,

2004, p. 63. Per inquadrare storicamente

questa fonderia di caratteri segnalo Gior-

gio Di Francesco, Torinesi di carattere. LaNebiolo un’industria e i suoi uomini, a cura

di Lino Tavano, Torino, Lupieri, 2004.5 Cfr. Catalogo Generale fonderia Ca-

ratteri. Caratteri di testo, fantasie. Fregi e

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teschi di indubbia importanzabibliografica è l’opuscolo cheRaffaello Bertieri pubblica fuoricommercio e in poche copie nel‘33, documentando una serie diimportanti caratteri, opera diuno specialista quale fu Bertieri,tipografo-editore-studioso. Ilvolumetto venne composto incarattere “Paganini”, disegnatodallo stesso Bertieri nel ‘26.9 Trale curiosità bibliografiche lega-

te ai campionari di caratteri,particolarmente simpatici sonoad esempio il Campionario deimonasteri Sublacensi10, il rarissi-mo Catalogo della leccese Tipo-grafia del Commercio11, il Cam-pionario della Tipografia Messapi-ca12 e l’elegante Campionario deicaratteri e fregi della Scuola tipo-grafica missionaria Domenicana.13

Di indubbia importanza, sia sto-rica che tipografica, è poi il ca-

rattere ideato dal letteratoFrancesco Pastonchi, disegnatonel ‘24 da Edoardo Crotti, do-cente alla Scuola TipograficaVigliardi-Paravia di Torino, ilcarattere “Pastonchi” verrà uti-lizzato per la Raccolta Nuovadei Classici Italiani della Mon-dadori, per la stampa delle operedello stesso Pastonchi e perquelle di Antonio Fogazzaro. Diquesta interessante iniziativa

Fili in ottone e piombo, fusetti, grappe, Mi-

lano, Fonderia di Caratteri Urania, s.d. [pri-

mi del Novecento].6 Campione Delli Caratteri, Fregi, Graf-

fe Fuselli e Vignette, Bologna, Tipografi Ar-

civescovili Camberini e Parmeggiani, 1835.

Un solo esemplare localizzato presso la Bi-

blioteca di Ingegneria “G.P. Dore” dell’Uni-

versità di Bologna [Bid: UBO/2953278].7 Di notevole interesse anche bibliofilo

è Campionari di caratteri nella tipografiadel Settecento, scelta, introduzione e note

di Jeanne Veyrin-Forrer, Milano, Cartiera

Ventura-Il Polifilo, 1963, stampato in 2200

esemplari; ristampato in facsimile della

prima edizione, Verona, Stamperia Valdo-

nega, 1977. ix Esiste una estrapolazione moderna

della sola parte dedicata ai caratteri, cfr.

Francesco Griselini, Marco Fassadoni, Inci-sione e fusione dei caratteri da stampa, a

cura di Bruno Avesani, Verona, Cierre,

1991, con la riproduzione delle tavole del-

l’edizione originale.9 20 alfabeti brevemente illustrati da

Raffaello Bertieri, introduzione dell’auto-

re, Milano, coi tipi del Bertieri, 1933, stam-

pato in 275 esemplari numerati in macchi-

na. L’esemplare da noi visionato (n. 55) tra

quelli non destinati alla vendita. Sui carat-

teri disegnati da Bertieri, come il Paganini,il Ruano, l’Inkunabula e il Sinibaldi, riman-

do al pregiato inserto tipografico I Carat-teri di Bertieri, composto, impaginato e im-

presso da Enrico Tallone, Alpignano, Tallo-

ne stampatore editore, settembre 2011, in-

serito nel catalogo su Bertieri della Brai-

dense (vedi oltre). Su Bertieri, protagonista

indiscusso, nel bene e nel male, della tipo-

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settembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 51

grafica ci resta il pregiato opu-scolo che stampò manualmenteal torchio Giovanni Marder-steig, presso la sua Officina Bo-doni di Verona14, e in ambito ti-pografico privato il carattere“Tallone” disegnato a Parigi daCharles Malin.15

Tre testi di indubbia im-portanza storica si segnalanoanche per la loro capacità divul-gativa unita ad una preziosa ico-

nografia. Mi riferisco al saggiodi Aldo Novarese del ‘6416, al vo-lume di Luigi Fumanelli del‘6517 e al sontuoso repertoriofirmato da Lewis Blackwell nel’92, del quale citiamo la tradu-zione italiana.18 Tra i repertoridi impostazione storica nonpossiamo però dimenticare ilsaggio di Alexander Lawson19,che ha il merito di elencare, illu-strandoli nel loro contesto sto-

rico, ben 31 caratteri di grandenome, dal Goudy Text al Futura,che con l’Helvetica20 si divide lapalma di carattere tra i più cono-sciuti e utilizzati; simpatica è poil’iniziativa di Simon Garfield diconiugare rigore e ironia, rea-lizzando un volume che è ancheun piacere per gli occhi, oltreche per la mente, e che si leggecome un romanzo.21

Vorrei infine segnalare una

grafia italiana del primo Novecento, di no-

tevole interesse è Nova ex Antiquis. Raf-faello Bertieri e il Risorgimento Grafico, a

cura di Andrea De Pasquale, Massimo Dra-

di, Mauro Chiabrando, Gaetano Grizzanti,

da una idea di Enrico Tallone, Milano, Copi-

stampa - Biblioteca Nazionale Braidense,

2011 [catalogo della mostra, Biblioteca

Nazionale Braidense, Milano, 4 ottobre-6

dicembre 2011].10 Campionario dei caratteri fregi filetti

e vignette della ristabilita Tipografia deiMonasteri Sublacensi in S. Scolastica, Sub-

iaco, 1909; un esemplare localizzato nella

sola Biblioteca statale del Monumento Na-

zionale S. Scolastica di Subiaco [Bid:

BVE/397438].11 Catalogo caratteri, Lecce, Tipografia

del Commercio di Antonio Buttazzo, s.d.

[ma 1955]. Su questo interessante tipo-

grafo pugliese rimando ad Antonio But-tazzo tipografo leccese, a cura di Alberto

Buttazzo e Maurizio Nocera, Lecce, Milella

Edizioni, 2010 [il Catalogo è censito a p. 78,

n. 16 che lo data al 1955]. Nessun esempla-

re del Catalogo è localizzato in biblioteche

pubbliche.12 Campionario caratteri e fregi tipo-

grafici, Maglie (Lecce), Tipografia Messapi-

ca dei Fratelli Caritano, s.d. [primi del ‘900].

Nessun esemplare è localizzato in bibliote-

che pubbliche.13 Campionario dei caratteri e fregi, Ro-

ma, Scuola Tipografica Missionaria Dome-

nicana San Sisto Vecchio, s.d. [1935]. Nes-

sun esemplare è localizzato in biblioteche

pubbliche.14 Pastonchi. A specimen of a new letter

for use on the “Monotype”, introduzione di

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serie di contributi, più o menorecenti, che uniscono il valoredocumentario alla pregevolezzabibliofila e tipografica, nati tuttidall’artigianalità italiana che incampo tipografico non ha rivali.Così lo studio critico che JamesClough ha dedicato al carattereinciso da Francesco Griffo perAldo Manuzio22, opuscolo chepotremmo affiancare sia a quel-

lo dedicato da Enrico Tallone alcinquecentesimo anniversariodel corsivo tipografico23 che allabreve, ma succosa, antologia deicaratteri italiani del Novecento,curata ancora da Clough24. Trale curiosità erudite come nonsegnalare lo scritto, tra l’ironicoe il documentato, di Stelio Cri-se25, oppure il rarissimo opusco-lo del tipografo Carlo

Niccolai26. E a due grandi stam-patori si devono, infine, alcunipreziosi reperti tipografici de-dicati ai caratteri. AlessandroZanella, prematuramentescomparso due anni fa, ha rea-lizzato manualmente un piccoloma significativo omaggio al ca-rattere “Paganini” nel nome diRaffaello Bertieri e AlessandroButti27. E Butti, creatore di tipi,ritorna in una magnifica edizio-

ne a lui dedicata da Enrico Tal-lone28, il quale con l’intento didocumentare i grandi arteficiitaliani del Novecento ha stam-pato anche un omaggio a Giulioda Milano29, oltre che celebrare icaratteri razionalisti italiani deldecennio 1930-194030 e quellidel periodo 1852-2002 della ce-lebre fonderia Nebiolo di Tori-no31.

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NOTEHans Mardersteig, London, The Lan-

ston Monotype Corporation Limited - Ve-

rona, Officina Bodoni, primavera 1928,

stampato in 200 copie su carta Fabriano.

Ne fu realizzata anche una edizione non

numerata, rilegata in tutta tela marrone

(esemplare da noi utilizzato); per l’intera

vicenda rimando a Massimo Gatta, Un let-terato di carattere. I tipi di Francesco Pa-stonchi, «Charta», n. 34, 1998, pp. 38-41.

15 Una bella iniziativa tipografica, pre-

sente nei primi cataloghi Tallone, era quel-

la di inserire doppie pagine con saggi del

carattere Tallone; abbiamo visionato i ca-

taloghi del 1979 (500 esemplari), del 1982

(in 700 esemplari), del 1986 (in 370 esem-

plari) e del 1988 (in 270 esemplari). Di no-

tevole importanza è anche l’Estratto dalleserie di caratteri classici ed esotici, Alpi-

gnano, Alberto Tallone Editore, s.d. [anni

‘80], tiratura limitata a qualche esemplare

su carta a mano di Amalfi (dal colophon).16 Aldo Novarese, Alfa-beta. Lo studio e

il disegno del carattere, Torino, Progresso

Grafico, 1964, seconda edizione, ivi, 1983.17 Luigi Fumanelli, Il carattere nella sto-

ria e nell’arte della stampa, Venezia, Centro

Arti e Mestieri, Fondazione Giorgio Cini,

1965, con ampia documentazione icono-

grafica e una bibliografia ragionata finale.18 Lewis Blackwell, Caratteri e tipogra-

fia del XX secolo, Bologna, Zanichelli, 1995;

la prima edizione era stata pubblicata a

Londra da Laurence King nel 1992, volume

che si segnala per le centinaia di illustra-

zioni a colori.19 Alexander Lawson, Anatomy of a

Typeface, London, Hamish Hamilton,

1990.20 Un bell’omaggio a questo carattere

svizzero è quello firmato da Lars Müller,

Helvetica. Homage to a typeface, Baden,

Lars Müller Publishers, 2002.21 Simon Garfield, Sei proprio il mio

typo. La vita segreta delle font, Milano,

Ponte alle Grazie, 2012, con ampia icono-

grafia; egualmente utile, anche per la pre-

senza di numerosi esempi visivi, è poi Gio-

vanni Lussu, Caratteri eminenti, in Farsi unlibro. Propedeutica dell’auto promozione:orientamenti e spunti per un’impresa con-sapevole. O per una serena rinuncia, testi di

Angiolo Bandinelli, Giovanni Lussu, Rober-

to Iacobelli, Viterbo, Biblioteca del Vascel-

lo-Stampa alternativa, 1990, pp. 45-87;

Id., Sulla tipografia, in Id., La lettera uccide.Storie di grafica, Viterbo, Stampa Alterna-

tiva & Graffiti, 1999, pp. 59-84 e ancora Id.,

Per Adrian Frutiger, in Id., Altri fiumi, altrilaghi, altre campagne e altre storie di grafi-ca, Viterbo, Stampa Alternativa & Graffiti,

2014, pp. 185-201.22 James Clough, Aldo, Francesco e il De

Aetna. La fortuna del carattere inciso daGriffo per Manuzio nel dialogo del Bembo,

Cornuda, Tipoteca Italiana Fondazione, 15

ottobre 2005 [500 esemplari numerati a

mano su carta Magnani]; lo scritto di

Clough, ristampato in occasione del V cen-

tenario de Gli Asolani di Pietro Bembo, uscì

in prima edizione sulla rivista «Charta», n.

69, marzo-aprile 2004.23 [Enrico Tallone], V centenario dei ca-

ratteri corsivi, Alpignano, Tallone, ottobre

2001; vedi anche Aldo Manuzio e il corsivotipografico 1501-2001. La creazione del li-bro moderno, Alpignano, Tallone, 2001

[1022 esemplari su vari tipi di carta] e l’o-

puscolo Il carattere corsivo da Manuzio aTallone 1501-2011, a cura di Enrico Tallone

e Alessandro Carone, Verona, Biblioteca

Centralizzata Arturo Frinzi, 2011. Sull’ar-

gomento segnalo inoltre Giancarlo Petrel-

la, Santa Caterina, Aldo e l’origine del corsi-vo. La misteriosa nascita di un carattere, «la

Biblioteca di via Senato», a. VI, n. 3, marzo

2014, pp. 21-28.24 [James Clough], Antologia di carat-

teri italiani del Novecento, Milano, C.F.P.

Riccardo Bauer, 1997, composizione ma-

nuale e stampa tipografica [300 esempla-

ri].25 Stelio Crise, Di un patetico saggio di

caratteri tipografici, Firenze, Edizioni San-

soni Antiquariato, 1960 [333 esemplari

numerati].26 Carlo Niccolai, Il mondo va da se, di-

ceva il Fossombroni. A proposito di un cam-pionario di caratteri, Pistoia, Edizioni Can

Bianco - Niccolai, 1982 [350 esemplari nu-

merati], nessun esemplare localizzato in

biblioteche pubbliche.27 Carattere Paganini. R. Bertieri, A.

Butti, Nebiolo Torino 1928, Santa Lucia ai

Monti (Verona), Alessandro Zanella, 24

febbraio 2010, composto e stampato ma-

nualmente in 50 esemplari numerati.28 [Enrico Tallone], Omaggio ad Ales-

sandro Butti creatore di tipi, Alpignano,

Tallone, 2002, stampato in caratteri dise-

gnati da Butti [300 esemplari].29 [Enrico Tallone], Giulio da Milano

creatore di tipi, Alpignano, Tallone, dicem-

bre 2007, stampato con caratteri disegnati

da Giulio da Milano [180 esemplari].30 [Enrico Tallone], I caratteri razionali-

sti italiani del periodo 1930 & 1940, Mila-

no, Triennale di Milano – Alpignano, Tallo-

ne, dicembre 2006, stampato con caratteri

razionalisti [570 esemplari]. Ne è stata rea-

lizzata anche una versione in inglese, s.d.t.311852-2002. A hundred and fifty years

of italian graphic arts and the types of theNebiolo company, Alpignano, Tallone,

2002, senza indicazione della tiratura.

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d’atto, Koolhaas sembra pro-grammaticamente (non certoautenticamente), partire non dauna teoria per dimostrarneun’altra, ma far base dall’osser-vazione lucida e capace di colle-gamenti su più piani, per poienucleare una sua linea inter-pretativa ed espressiva. Questoalmeno per quanto riguarda l’e-same analitico dell’esistente,nella conurbazione attuale enon certo perché non abbia avu-to od abbia (tuttora) delle ideefilosofiche e/o politiche. Anzi,sono proprio le sue idee filosofi-che e politiche, fin dagli esordial De Haagse Post negli anni ‘60,a rendere duplici (ma non dia-lettiche, almeno in linea teorica)le sue posizioni rispetto alla Bi-gness e allo Junkspace, in quantoda una parte vede in queste duedimensioni un inquietante buconero della modernità, dall’altroconsidera inevitabile e quindiantistorico opporvisi, se nontramite strategie ben definite ecomplesse, certo non da tuttiben comprensibili. Tanto è vero

dell’informazione. L’artistanon è più un artista, ma un oc-chio freddo, razionale.1

A parte l’immediato ri-sguardo ad una scuola dell’occhioche va, nel secondo dopoguerra,dai francesi ai tedeschi, conqualche perfetta corrisponden-za e con alcune dissonanze, nontanto per l’accettazione delmondo per come (ormai) è, masoprattutto per il retroterra filo-sofico antecedente alla presa

Avventure visive

Ho la netta sensazioneche tutti possano legit-timamente equivocare

su Rem Koolhaas (1944) e che luine sia consapevole e che possapienamente gustarsi questa situa-zione di confusione mediatica dele sul suo messaggio. Chi ha lettoinfatti il suo Junkspace edito daQuodlibet nel 2006 (testo che laBiblioteca di via Senato conser-va in uno dei suoi tanti Fondi), eora giustamente riportato ai fa-sti comunicazionali anche dal-l’incarico (tra tanti, tutti presti-giosi) alla Biennale di Architet-tura 2014, si è reso conto di unacosa, essenzialmente: Koolhaasprende posizione sulla base diuna verifica puntuale dell’esi-stente:

Non fare la morale, non inter-pretare (artisticizzare) la real-tà ma intensificarla. Punto dipartenza: l’accettazione in-transigente della realtà… me-todo di lavoro: isolare, colle-gare. Dunque autenticità.Non di colui che fabbrica, ma

Su Rem Koolhaas e lo Sguardo dell’occhio

Riflessioni sull’opera del curatore della Biennale di ArchitetturaSANDRO GIOVANNINI

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che a un osservatore comune, lesue opere architettoniche (nonquelle letterarie) si differenzia-no poco da quelle invalse, tra al-tre archi-star, negli ultimi de-cenni, dimensioni che il lettera-to, invece, sa contrarre con unospirito caustico, feroce nell’af-fondo brillante, quanto corri-spondente ambiguamente allapropria linea filosofica. L’uomodell’occhio pertanto, proprio par-tendo dalla sua capacità di vede-re e non solo di guardare, nato

nella dimensione creati-vo/intuitiva di commentatore dicostume e di sceneggiatore,

qualche anno più tardi, si av-vicina all’architettura, per-suaso che il progetto debba,innanzitutto, esprimere un’i-dea letteraria, costruire unastoria che giustifichi la pre-senza o la realizzazione diun’opera architettonica.2

La reazione smodata di

molti feriti dallo sguardo dell’oc-chio binoculare e penetrante diKoolhaas, che va verso l’alto everso il basso mantenendosiperfettamente al centro dellarealtà contemporanea, tipicosguardo telemetrico “al di là delbene e del male”, a noi sembraproprio più dispiacere ai paluda-ti e/o agli straccioni, ovvero alledue principali categorie dei suoidetrattori di mestiere o di circo-stanza, che non si rendono con-to che lui è una cartina di tornaso-

Nella pagina accanto: Rem Koolhaas (1944). Sopra: la Biblioteca Centrale di Seattle, opera di Rem Koolhaas del 2004

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le, manovrata però genialmenteda un laboratorio che sperimen-ta, valuta e sforna brevetti. (E luine è l’inventore, l’aedeo ed il co-municatore). La stessa valenzadi un concetto ormai diffusissi-mo: quello di nonluogo di MarcAugé, (luogocomune ormai an-ch’esso capace di creare moltapiù confusione interpretativa eliquidazione semplicistica diquanto potesse apportare dicomprensione profonda per leimplicanze psico-sociali ben se-gnate, problematizzanti e previ-ste dall’autore), è stato integratoe quasi superato (in apparenza)dallo Junkspace e dalla Bigness,

ma possiamo ben considerareche vi sia una perfetta corri-spondenza tra tali concetti, ri-mandando necessariamente tut-ti e tre alla proliferazione massi-ficata e globalizzata. Il problemaè che dietro al nonluogo vi è unalunga processione o deriva delleimplicazioni globali ma eternedella convivenza antropologica -basti pensare al problema della“repressione” in Augé - che in-vece nei testi di Koolhaas è sem-pre una freccia polemica, genia-le, ma isolata da un pensieroideo-logico organico, per quan-to ricorrente e ripresa di volta involta. Questa consapevolezza

dei processi storici ha formatoun complesso teorico, (quello diAugé), non certo facilmente de-ducibile o utilizzabile sempre,ma comunque con forti implica-zioni di riconoscibilità, mentreKoolhaas riesce simpaticamentea scontentare tutti nel mentreche graffia, sparge un panoramadi colori significanti e non solodi pigmenti autoreferenziali allaAction Painting ed ottiene ilgrande successo.

�È indubbiamente l’ele-

mento della proliferazione chegoverna la conurbazione e chenon fa più (solo) edifici o (solo)urbanismi, ma denota di sé unmondo subdolamente signifi-cante nel mentre la connotazio-ne stessa s’espande a macchiad’olio inarrestabile, nella sua so-vrabbondanza ideologica age-rarchica. (l’eccesso di Augé). La“libertà eroica” nell’osservare laperdita del centro e del simbolo:

se, da una parte, la Città Gene-rica è, infatti, la città che si èeroicamente liberata dallaschiavitù del centro e dalla cami-cia di forza dell’identità, spez-zando l’asfalto dell’idealismo conil martello pneumatico del reali-smo, dall’altra essa è la città

A sinistra: Sede della CCTV, Pechino

(2008). A destra: La Spui Station (1998)

dell’Aja

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definitivamente sedata, il luogodi sensazioni deboli e rilassate, iltrionfo di una terribile quieteche si compie tramite l’evacua-zione della sfera pubblica.

Tutto ciò denota il convin-to anarchismo di Koolhaas, ilsuo spinto compiacimento nelconstatare l’annichilimento didimensioni millenarie e la ge-nialità nel descrivere il negativo,nel portare, persino, a galla l’in-dicibile quando ci ricorda che inalcuni paesi ex-emergenti dell’A-sia, ormai tra i più evidenti cori-fei della modernità nelle lorosfrenate realizzazioni, lo «shop-

ping non è una semplice frenesiadi consumare ma una autenticaessenza della vita urbana».3

�Chi (ammette) di vedere,

(come fa Koolhaas), può denun-ciare e può pensare a qualcheipotetico (e magari anche con-creto) limitato rimedio, ma ilfatto della conurbazione che si-gnifica solo se stessa, rimanenella sua dirompente tragicità,suggerendo un giudizio com-plessivo. Che è implicitamenteideologico, anche se gli stupidi-intelligenti od i coperti dal suc-cesso, non lo vorranno mai am-

mettere. È esattamente ciò chefa infuriare tutti coloro che inbuona o cattiva fede pensanoche la pesanteur possa esserecontrata da mezze misure o dauna gestione, magari appenameno delinquenziale o solo unpoco più onesta dell’esistente…senza incidere sui fondamentali,quelli di cui Koolhaas fa paideia.Costoro si chiamano progressi-sti? Se sta bene a loro…

Ma noi non lo crediamo, so-prattutto se togliamo al progres-so la sua giustificazione interna edecisiva, che sarebbe probabil-mente tremendamente smarcan-te (essendo ontologica, filosofi-

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ca, ancora prima che etica).

� Se la forma tangibile della

libertà tende a residuare nel con-sumismo compulsivo, ultimo sta-dio del post-capitalismo che sisuggerisce come fine-del-mon-do senza ovviamente poterlo es-sere, si capisce questa accetta-zione massiva e frenetica della(de)pressione del sistema, nel-l’essere ridotti gradualmente acompartecipi compiaciutamen-te anarcoidi della gestione so-ciale, sedati dalla società medica-lizzata in quanto progressiva-mente nevrotizzata, dalla cultu-ra terapeutica e dal culto della fe-licità indotta promossa dal nuovoconformismo emotivo, che giusti-fica l’edonismo spicciolo e irre-sponsabile. Ora noi sappiamo

bene quanto il percorso del nuo-vo conformismo emotivo ed il cul-to della felicità indotta abbia in-vece ben poco a che fare con lavera sofferenza psichica e con larelativa terapia clinica e che lateolologia del denaro che è il brododi cucina del nuovo obbligo allafelicità, sarà sempre ingannevol-mente e mortificatamente sua-dente, se non seguendo la stessalogica che segue Koolhaas…proprio questa illogica planetariaimpostasi, che trasforma singolie complessità in deformi ed infor-

mi, con lo statuto ipocrita dellacura obbligatoria e senza-fine-vitae con il contestuale richiamoparallelo alle fedi più o menoesotiche (sempre di necessitàtraslate ed alla fine ridicolmenteparafrasate e non consideriamoneanche i fondamentalismi chesono impressionanti fughe perla tangente), ancor più incapacidi quelle endogene ormai con-sentanee a tutto, di opporsi, senon funzionalmente e residual-mente, alla spaventosa carenzainteriore di potenzialità stoica.

�Insomma, i passi di Kool-

haas, al di là degli ammiccamen-ti e delle scudisciate, sono quelliin consonanza con un pensierodi tradizione e di costante ricer-ca, non conferme, pleonastichee quindi non essenziali, ma modipropri invece nel procedere in-tellettuale di chi vede e non vol-ge il viso altrimenti; capaci difarci più che sospettare che que-sta implementazione folle, cheha trovato dei sapienti cantori,troverà anche sicuramente (e sa-ranno altri canti, forse meno sa-pienti ma più immediati), rag-giunto il possibile estremo (se noninterverranno inaudite sorprese)e risparmiandoci le facili decla-mazioni come i più che squallidicompiacimenti, chi dovrà af-frontarla prima o poi con un ca-rico di verità, responsabilità edestino, ben diversi da ciò cheoggi sembra contare.

La Kunsthal di Rotterdam (1993)

NOTE1 R. Koolhaas, Junkspace, Quodlibet,

2006, p. 111.2 Ibidem, p. 112.3 Ib., p. 118.

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o non piaccia, è chiamata a duel-lare con diverse figure dell’O-scurità. Come potrebbe porge-re aiuto, quando essa, per prima,è impegnata in una cerca dellaquale quasi tutto le è ignoto?

Per di più, accade di fre-quente che i filosofi di maggioresingolarità lascino ai posteridottrine che si prestano a con-trovertibili interpretazioni, percui può avvenire, per esempio,che Friedrich Nietzsche (1844-1900) e Ugo Spirito (1896-1979), risultino più che maipensatori egualmente scomodimalgrado abbiano illuminatoun certo versante filosofico conluci diversamente incidenti e didissimile natura. Nulla di me-glio, allora, che riandare alleformulazioni maggiormente ri-levanti di tali autori, anche per-ché vi sono altre voci, non trop-po lontane, che dovranno ri-guardarsi come componenti diideali costellazioni dotate di unavivida luce propria: da HenriBergson (1859-1941), padre

L’Altro scaffale

La filosofia si può e si devegustare in ogni stagione,ma non è una coppa gela-

to, né un dorato panettone. Inaltri termini: sarebbe sbagliatoconsiderare i consulti filosofici,oggi di moda, come il miglioresuccedaneo ai consolatori pec-cati di gola. Il pensiero filosofi-co, difatti, ha sempre come sot-tinteso fondamento inquietudi-ne o angoscia. E ciò è risaputo odovrebbe esserlo. Perciò do-mandare a un filosofo - a un verofilosofo - il rimedio ai problemiindividuali e/o a quelli dellapropria impresa è un’iniziativaazzardata, se non pericolosa.Non per nulla, laddove si ragio-na dell’Essere e del Non Essere,in qualunque alveo o applicazio-ne, ogni singola psiche, piaccia

Il pensiero filosofico non è una coppa gelato!

Piccole ma preziose proposte di collezionismo

ALBERTO CESARE AMBESI

A sinistra: Hendrick ter Brugghen

(1588-1629) Eraclito, 1628,

Amsterdam, Rijksmuseum.

A destra dall’alto: Friedrich Wilhelm

Nietzsche (1844-1900);

Giovanni Gentile (1875-1944)

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spirituale di Pierre Teillhard deChardin (1881-1955), a Gio-vanni Gentile (1875-1944),maestro di Spirito, da MartinHeidegger (1889-1976), biz-zarro e indisciplinato scudiero,per qualche tempo, sia di Nietz-sche sia di Edmund Husserl(1859-1938), al filosofo e teolo-go cattolico Jean Guitton(1901-1999), esponente di pun-ta del discusso metarealismo.Nomi che, come intuibile, nonho elencato per caso ma bensìperché trascelti nel contesto didue recenti cataloghi pubblica-ti, rispettivamente, dalla Libre-ria Antiquaria Cappellini di Fi-

renze e dalla Libreria-EditriceScripta Manent di Albenga.

E per ben cominciare, conesplicita coerenza, inizierò con ilsottolineare che la libreria ligurepropone una coppia di saggi, inprima edizione, diversamenteindicativi dello sviluppo “labi-rintico” del pensiero di Ugo Spi-rito: L’Idealismo italiano e i suoicritici, pubblicato da Le Mon-nier nel 1930, e Inizio di una nuo-va epoca, edito da Sansoni nel

1961. La prima di tali opere èuna brossura in 8°, può dirsi indiscrete condizioni di conserva-zione (il solo dorso è bisognosodi restauro), consta di 268 pagi-ne e può considerarsi tuttora unabasilare esegesi della filosofiagentiliana, di contro la quale èdifficile allineare valide argo-mentazioni. Costa centoventi-cinque euro. Di poco diverso ilcenno che potrà dedicarsi al cor-poso esemplare (344 pagine),dell’Inizio di una nuova epoca,trattandosi di un libro con bros-sura e con sovracoperta originaliproposto al curioso prezzo dicentoventinove euro e undicicentesimi. Basterà comunqueprecisare, in questo caso, che ilvolume, anch’esso in 8°, s’inseri-sce nella storia della filosofia ita-liana moderna a somiglianza diuna progettazione intermediafra scienza e conoscenza e conl’ambizione di giungere alla co-struzione di una ricerca capace dirigenerarsi in maniera ricorren-te. Riflettere oggi sull’Inizio diuna nuova epoca non è dunqueimpresa da poco. Le illusionimeta-storiche che vi sono profu-se, così come le veritiere sue in-duzioni e deduzioni concettuali,richiedono difatti d’essere sop-pesate con un criterio d’egualepeso anti-dogmatico.

�Lo stesso criterio che può e

che deve essere applicato, amaggior ragione, quando si vo-

Sopra: Il discorso inaugurale

dell’Accademia d’Italia tenuto da

Tommaso Tittoni, 1929. A destra:

Martin Heidegger (1889-1976)

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glia risalire a Giovanni Gentile,e in specie ad una sua opera inapparenza “minore”, in quantodedicata, con frequenti riferi-menti recensivi, al tema de Ilmodernismo e i rapporti fra reli-gione e filosofia; argomento, ineffetti, quasi marginale per il Fi-losofo impegnato nel concepirele modalità con le quali l’Attopuro poteva conservarsi tale, purtrasfondendosi nel sapere e nel-le arti, oltre che nella teologia,quando riuscisse farsi filosofia.Un avvertenza importante: il te-sto in brossura di 464 pagine, in16°, che qui si segnala, pubbli-cato da Sansoni nel 1965, radu-na, in effetti, due cicli di studi,per cui è comprensibile che, nellungo suo titolo, risultino inglo-bate indicazioni che, in parte, sisono già ricordate: La religione -Il modernismo e i rapporti fra reli-

gione e filosofia - Discorsi di reli-gione. Da rilevarsi che il libroconserva la brossura originale,ha bruniture e qualche adesivosulla copertina, ma è in buonostato. Il suo costo è di ventidueeuro.

�Maggiormente rilevanti,

forse, i motivi d’interesse del ce-leberrimo volume L’evoluzionecreatrice di Henri Bergson, la cui

prima traduzione italiana, dapoco riproposta da Scripta ma-nent, uscì nel 1925 (Athena Edi-trice, Milano), diciotto anni do-po l’originale edizione francese.La copia offerta - 242 pagine,formato in 16° - ha una legaturain cartone telato marrone, co-pertina muta (ma è conservata,all’interno la coperta originale)e vecchia firma di appartenenza.Prezzo: quarantacinque euro.Opera che diede un rinnovatovigore alla corrente spiritualistanovecentesca, oggi di certo bi-

Sopra da sinistra: Henri-Louis

Bergson (1859-1941); Jean Guitton

(1901-1999), ritratto a Gerusalemme

nel 1935. A sinistra: Ugo Spirito

(1896-1979) a colloquio con un

funzionario del Partito comunista

cinese, Pechino, 1960

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sognosa di aggiornamento lad-dove si richiama a specifiche co-gnizioni scientifiche, L’evoluzio-ne creatrice resta tuttavia un testoper certi versi enigmatico, oltreche in grado d’inserirsi appienoentro l’attuale dibattito episte-mologico. Basti sottolineare, atale proposito, che, nell’ambitodella sua articolazione, vi èenunciata l’ipotesi che a ogniaccrescimento ed espansionedella coscienza corrispondereb-be - puntualmente - la moltipli-cazione d’innumerevoli virtua-lità: una tesi, o constatazione,

meno ovvia di quanto appaia aprima vista.

�Facile, a questo punto, ri-

farsi al noto commento, secon-do il quale la classicità di un te-sto trova conferma quando essosia divenuto un classico, nellaconsiderazione generale. Vero,verissimo, anzi no. La filosofia,prima e ultima, di FriedrichNietzsche, per esempio, si con-quistò in breve una solida fama,ma dividendo i chiosatori in duepartiti avversi non del tutto

scomparsi. Rilievo che si formu-la tanto più volentieri, in quan-to, da questo momento, aiuta atrascegliere fra le varie offertedella Libreria Antiquaria Cap-pellini di Firenze. A cominciare,per l’appunto, da una dozzina dititoli “nietzschiani” di edizioneAdelphi, fra i quali non si può fa-re a meno di notare la terna co-stituita dai seguenti volumi, co-me nuovi, in 8°: a) Così parlò Za-rathustra, un libro per tutti e pernessuno (522 pp., 10 n.n., uscitonel 1979); b) La Nascita della tra-gedia più Le cosiderazioni inattua-

Sopra da sinistra: Edmund Husserl (1859-1938); Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955).

Nella pagina a destra: Giovanni Gentile tiene il Discorso agli Italiani (24 giugno 1943)

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li I-III (539 pp., più XIV., pub-blicato nel 1982); c) Al di là del edel male. Genealogia della morale(pp.422, più 12 n.n., edito nel1986). E il perché è noto e igno-to, nella stessa misura. È noto,in quanto ognuna di tali opere èuna vivida testimonianza dellalotta dell’Autore proprio controle avvolgenti tentazioni psichi-che di Dioniso; è ignoto, perchénon vi è pagina, dell’uno o del-l’altro libro, che non rinvii a unmagistero sconosciuto, del qua-le si direbbero peraltro i consa-pevoli custodi Schopenhauer eWagner. Interpretazione nonancora del tutto sviluppata. I tretesti elencati, come è ovvio,hanno ciascuno un costo diver-so, a seconda della consistenzaeditoriale. Rispettivamente:trentotto, quaranta e ventidueeuro. Prezzi più che accettabili,tenuto conto che ogni libro pre-senta ancora gli originari titoliin oro, la preziosa legatura edi-toriale di tela e la prevista so-vraccopertina.

�È un’edizione Adelphi an-

che Il principio di ragione(pp.275, versione italiana del1991) dell’arci-controversoMartin Heidegger, ma che inqueste pagine si mostra comun-que capace di porre la Ragionedi fronte a sé stessa, fino alleestreme conseguenze. Non pernulla, il risvolto del volumeadelphiano ricorda che «dopo

un vertiginoso percorso» il Fi-losofo non può fare a meno diaccennare «alla rosa di AngeloSilesio, che è senza perché». Ven-

tisette euro e venti centesimi so-no richiesti per l’acquisto diquesto libro spigoloso e coeren-te. Costa invece soltanto dician-nove euro il Saggio sull’amoreumano (296 p.p in 16°, edito daMorcelliana, Brescia, 1954) diJean Guitton, filosofo cattolico“innovatore”, ma tanto impre-vedibile da essere definito dalloscrittore Albert Camus (1913-1960) come “l’ultimo dei grandiumanisti francesi” e riconosciu-to da Bergson quale suo “eredespirituale”. Come non racco-mandarne la riscoperta, vistoche la Libreria Antiquaria Cap-pellini di Firenze ne offre la pos-sibilità?

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maestri della lingua tentanosempre di sondare le possibilità,come artigiani scalpellini chemodellano la propria materia. Ela più immediata, lo sappiamoanche questo fin dalle filastroc-che infantili, è senz’altro la ri-ma: talmente elementare e tal-mente immediata da cogliereche normalmente nel parlare

che aiuta le parole non già a de-scrivere, ma a presentare, a farvedere. E allora avremo nonaria + fresca, ma l’aria fresca: l’e-sperienza della brezza che soffiadalla finestra semi-aperta inmezza estate, nel primo pome-riggio, o l’uscire dal vagone del-la metro in pieno agosto.

Di questi incontri, i veri

Filosofia delle parole e delle cose

Non le parole sole,quindi, ma il loro sta-re assieme, il modo di

intrecciarsi, la frequenza, il con-vergere di suoni e di echi. Ce neaccorgiamo fin da bimbi, quan-do i maestri dell’asilo ci fannocantare e il ritmo viene primadel senso, come se lo trasportas-se. O ancora ce ne accorgiamoda grandi, quando fermi al se-maforo accendiamo l’autoradioe un motivetto in inglese di cuinon distinguiamo le parole ciaggancia e ci impedisce di cam-biare stazione.

L’incontro delle parole,però, non ha solo un valore foni-co-strutturale, perché su questovalore, dentro questo valore,sorge sempre un sovrasenso se-mantico. Quel che rende, peresempio, la coppia di aggettiviaria + fresca qualcosa di più dellasomma delle parole, qualcosa

Orgoglio raffinato e seria dismisura

L’arte della rima secondo Giorgio Caproni

DANIELE GIGLI

A destra: Giorgio Caproni. A sinistra:

gli affreschi al’interno della Cappella

Sistina, Roma

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quotidiano cerchiamo di evitar-la e ci scusiamo se per sbagliosalta fuori, come a ribadire chenoi giochiamo secondo le rego-le e non vogliamo scartare dalsenso comune.

Per i poeti, invece, è diverso.Perché sarà anche vero, come èvero e come Montale ricorda, chele rime «sono più noiose delle /Dame di san Vincenzo» (Euge-nio Montale, Le rime, 1-2) e chepiù cerchi di evitarle, più sbucanofuori impertinenti. Ma è altret-tanto vero che alla rima, alla suaesistenza più ancora che al suouso, la poesia deve molto, proprioper il suo valore strutturale. E cheancora oggi, se ben trattate, san-no aiutare in tanti modi interes-santi i loro modellatori.

Un esempio massimo èGiorgio Caproni, che sulla rima

fonda molto del suo artigianatopoetico. Sulla rima come ele-mento di struttura, e sul sovra-senso che il cozzare di parole aqualche verso di distanza conse-gna alle parole che stanno inmezzo. Una sua intervista allaradio del 1988 fa ben capire l’u-so artigianale che Caproni ne fa:«Io credo molto in queste fun-zioni tecniche, che abbiano il lo-ro valore in arte. Basta pensareal sommo poema […] Se io leg-go già le rime del primo cantodell’Inferno, no?, vedo come so-no tutte in funzione portante,quasi attraverso le sole rime iocapisco, ho la chiave del primocanto: la vita, che è sinonimo diselva o di via, smarrita, la paura,dura, oscura, quindi la via smar-rita, paura, dura, oscura e cosìvia» (Era così bello parlare: con-

versazioni radiofoniche con Gior-gio Caproni, p. 221).

È una lettura acuta, quellache Caproni fa dei primi versidella Commedia, ma che è resaancora più interessante dal mo-do con cui egli se ne impadroni-sce, facendola entrare nella pro-pria strumentazione tecnica.L’intervento alla radio, infatti,chiarisce quel che egli ha fatto intanti casi nei suoi cinquant’annidi poesia, per esempio quandonel 1970, cambiando casa, Ca-proni non riconosce più, tro-vandola come abbrutita dallabrama e dalla solitudine, la bor-ghesia allegra che aveva incon-trato anni prima nello stessoquartiere. E per dirlo agli altri,per far vedere, direbbe Eliot, ilproprio pensiero, il pensierodella mente poetante, alle menti«ordinarie», va a ricuperare, ri-usandoli, i suoni che Dante usa,assegnando loro un nuovo re-spiro che porta in sé tutto il pesodi quello dantesco. Addensan-do, legando in un suono, settesecoli di storie e di passioni, didesideri e di disillusioni.

La luce sempre più dura,più impura. La luce che vuotae cieca, s’è fatta paurae alluminio, quadove nel tronfio rigogliobottegaio, la cittàsputa in faccia il suo Orgoglioe la sua Dismisura.

(Giorgio Caproni, Via Pio Foà 1)

Canaletto (1697-1768), Il cortile degli scalpellini (1725), Londra, National Gallery

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Era triste quel vecchio pe-scatore, «erano ottanta-quattro giorni ormai che

non prendeva un pesce». Ma nonsi scoraggiava: sapeva che il marepuò essere tanto crudele quantogeneroso. Attendeva il suo mo-mento, il momento - magico perogni pescatore -, nel quale si av-verte «lo strappo lieve della lenzae poi qualcosa di duro e incredi-bilmente pesante». Lo aspettava,sapeva che sarebbe giunto. Aves-se pescato nell’acque dell’Adria-tico, avrebbe senza dubbio sapu-to poi a chi consegnare quel pe-sce tanto cercato. Di certo a Gra-zia e Alceo, raffinati ristoratoriche, da oltre trent’anni, delizia-no ospiti che giungono a Pesaroanche da molto lontano, con me-ravigliosi piatti a base di pescatogiornaliero. Santiago, questo ilnome del pescatore (protagoni-sta del romanzo Il vecchio e il maredi Ernest Hemingway, librouscito nel 1952 e che la Bibliote-ca di via Senato possiede nellaelegante edizione dei MeridianiMondadori, con la traduzione diFernanda Pivano), «era magro escarno, e aveva rughe alla nuca; lemani avevano cicatrici profondeche gli erano venute trattenendo

pescato. Amore e trasporto,quello di Alceo, per il suo lavoroe per la sua Grazia. Solo il mare èlì, a ispirarli, senza forzature,senza azzardi. Tutto è naturale,come dovrebbe essere. E sem-plice, come i celebri scampi delConero al vapore (accompagna-ti dalla più buona maionese chesi possa mangiare in Italia) o co-me la piccola frittura di gamberi,calamari e verdure: croccante eaerea come poche. Distillati dimare, come il carpaccio di om-brina o le carnose cozze gratina-te, raccontano delle tradizionimarinare di questa parte diAdriatico. I tagliolini con l’asticesono poi un’apoteosi, così comeil rombo chiodato al forno: unpiatto da mangiare e rimangiareall’infinito.

Da bere solo una grandebollicina francese, magari unoChampagne rosé, con una pre-dominanza di Pinot Noir nel-l’assemblaggio, magari un DeVenoge… In attesa che Santia-go, dopo una lunga battaglia,porti a terra il pesce tanto atteso:il suo gigantesco marlin, «con latesta lucente e la schiena rossoscuro», con «la grande pinnapettorale e l’enorme coda»…

BvS: il ristoro del buon lettore

con le lenze i pesci pesanti».Quando non era fuori, al largo,sulla sua barca, a pescare, Santia-go amava sedersi su una terrazza,di fronte al porto, in compagniadi altri pescatori che «gli parla-vano con garbo della corrente, ea che profondità avevano gettatele lenze e del bel tempo staziona-rio e di ciò che avevano visto».Una terrazza immersa nel sole:davanti solo il mare e tante velebianche. Una terrazza propriocome quella di Grazia e Alceo,esposta alla leggera brezza delmare, e pigramente accompa-gnata dal dolce sciabordio del-l’acqua. Mano leggera quella diGrazia in cucina, mossa da sa-crale rispetto per il pesce, sem-pre freschissimo e solo appena

GIANLUCA MONTINARO

Ristorante AlceoStrada Tra i due Porti, 22PesaroTel. 0721/287230

I piatti di Grazia e AlceoLetteratura e cucina, con il miglior pesce dell’Adriatico

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GUIDO DEL GIUDICEGuido del Giudice, è

considerato uno dei piùprofondi conoscitori dellavita e dell’opera di Giorda-no Bruno, cui ha dedicatodecenni di studi e ricer-che, coronate da impor-tanti scoperte. Numerosesono le sue pubblicazioni,fra libri e articoli. Nel 2008ha vinto la prima edizionedel Premio InternazionaleGiordano Bruno con il te-sto La disputa di Cambrai(Camoeracensis Acroti-smus). Fra le sue opere siricorda anche la primatraduzione italiana dellaSumma terminorum me-taphysicorum. Dal 1998cura il sito internetwww.giordanobruno.com, punto di riferimento perappassionati e studiosi ditutto il mondo.

MASSIMO GATTAMassimo Gatta

(1959) ricopre l’incarico,dal 2001, di bibliotecariopresso la Biblioteca d’Ate-neo dell’Università degliStudi del Molise dove haorganizzato diverse mo-stre bibliografiche dedica-te a editori, editoria azien-dale e aspetti paratestualidel libro (ex libris). Colla-bora alla pagina domeni-cale de «Il Sole 24 Ore» e alperiodico «Charta». È di-rettore editoriale della ca-sa editrice Biblohaus diMacerata specializzata inbibliografia, bibliofilia e“libri sui libri” (booksabout books), e fa parte delcomitato direttivo del pe-riodico «Cantieri». Nume-rose sono le sue pubblica-zioni e i suoi articoli.

DANIELE GIGLIDaniele Gigli (Torino,

1978) lavora nella con-servazione dei beni cul-turali. Studioso di T.S.Eliot, ne ha curato alcunetraduzioni, tra cui quelledi The Hollow Men (2010)e Ash-Wednesday, di im-minente uscita. Ha pub-blicato le plaquette Fisio-gnomica (2003) e Pre-senze (2008) e sta attual-mente lavorando al libroFuoco unanime.

SANDRO GIOVANNINISandro Giovannini

(1947), poeta e saggista,collabora a vari quotidianie riviste. Con il Centro Stu-di Heliopolis (costituitonel 1985) porta avantiun’esperienza d’indaginesulle tecniche dell’anticoconfrontandole, in chiavecreativa, con le logiche diricerca contemporanea(poesia concreta, poesiavisiva, mail-art, istallazio-ne, performance).

È stato fondatore eredattore della rivista«Letteratura-Tradizione».Fra le sue pubblicazioni:Atemporale (1985); Car-me si-no (1986); Il pianoinclinato (1995); L’armo-nioso fine (2005); Poesiecomplete (1960-2006)....come vacuità e destino(2013).

LUIGI MASCHERONILuigi Mascheroni ha

lavorato per «Il Sole24 Ore»,«Il Foglio» e, dal 2001, per «ilGiornale».

Scrive soprattutto diCultura, Spettacoli e Co-stume. Ha una cattedra diTeoria e tecnica dell’infor-mazione culturale all’Uni-versità Cattolica di Mila-no. Fra i suoi libri, ilpamphlet Manuale dellacultura italiana (2010) eScegliere i libri è un’arte.Collezionarli una follia(2012). Sta lavorando a unsaggio sui plagi letterari egiornalistici. È fra i fonda-tori del blog “Dcult” (di-fendere la cultura):http://www.dcult.it/.

Dal 2011 ha un video-blog, primo in Italia, di vi-d e o r e c e n s i o n i :http://blog.ilgiornale.it/mascheroni.

GIANLUCA MONTINAROGianluca Montinaro

(Milano, 1979) è docente acontratto presso l’univer-sità IULM di Milano. Stori-co delle idee, si interessa airapporti fra pensiero poli-tico e utopia legati alla na-scita del mondo moderno.Collabora alle pagine cul-turali del quotidiano «ilGiornale».

Fra le sue monografiesi ricordano: Lettere diGuidobaldo II della Rovere(2000); Il carteggio di Gui-dobaldo II della Rovere eFabio Barignani (2006);L’epistolario di LudovicoAgostini (2006); Fra Urbi-no e Firenze: politica e di-plomazia nel tramonto deidella Rovere (2009); Ludo-vico Agostini, lettere ine-dite (2012); Martin Lutero(2013).

LUCA PIETRO NICOLETTILuca Pietro Nicoletti,

storico dell’arte, si inte-ressa di arte e critica delSecondo Novecento inItalia e in Francia. Ha pub-blicato: Gualtieri di SanLazzaro. Scritti e incontridi un editore italiano a Pa-rigi (Macerata 2013).

GIANCARLO PETRELLAGiancarlo Petrella

(1974) è docente a con-tratto di discipline del li-bro presso l’UniversitàCattolica di Milano-Bre-scia. Nel 2013 ha conse-guito l’abilitazione per laI fascia di insegnamentodi Scienze del libro e deldocumento. È autore dinumerose monografiefra cui: L’officina del geo-grafo; Uomini, torchi e li-bri nel Rinascimento; LaPronosticatio di Johan-nes Lichtenberger; Gli in-cunaboli della bibliotecadel Seminario Patriarcaledi Venezia (2010). Ha cu-rato le mostre Petrarcaalla Trivulziana e Librimei peculiares. Collaboracon «Il Giornale di Bre-scia» e la «Domenica delSole24ore».

ALBERTO C. AMBESIAlberto Cesare Ambe-

si (1931), scrittore e saggi-sta, ha insegnato storiadell’arte e semiotica all’In-ternational College ofSciences and Arts e all’Isti-tuto Europeo del Design.Fra le sue opere si ricorda-no qui: Oceanic Art (1970),L’enigma dei Rosacroce(1990), Atlantide e Le So-cietà esoteriche (1994), Ilpanteismo (2000), Scien-ze, Arti e Alchimia (riedi-zione ampliata e rinnova-ta di un precedente sag-gio, Hermatena, Riola,2007) e le particolari mo-nografie Nella luce di Ma-ni (2007) e Il Labirinto(2008). È stato critico mu-sicale del quotidiano «L’I-talia» e ha collaborato allepagine culturali de «LaStampa».

HANNO COLLABORATO A QUESTONUMERO

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