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n.5 – maggio 2014 la Biblioteca di via Senato Milano mensile, anno vi FONDO MODERNO De Micheli e la nuova figurazione di luca pietro nicoletti BIBLIOFILIA Fra’ Annio da Viterbo il falsario di giancarlo petrella EDITORIA I raffinati risvolti di una fine memoria di massimo gatta ITALIA LETTERARIA Persistenze mitiche nella letteratura italiana di riccardo paradisi GRANDE GUERRA D’Annunzio il primo interventista di marco cimmino

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n.5 – maggio 2014

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno vi

FONDO MODERNODe Micheli e la nuovafigurazionedi luca pietro nicoletti

BIBLIOFILIAFra’ Annio da Viterbo il falsariodi giancarlo petrella

EDITORIAI raffinati risvolti di una finememoriadi massimo gatta

ITALIA LETTERARIAPersistenzemitiche nellaletteratura italianadi riccardo paradisi

GRANDE GUERRAD’Annunzio il primointerventistadi marco cimmino

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Sommario4

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Grande GuerraGABRIELE D’ANNUNZIO: IL PRIMO INTERVENTISTAdi Marco Cimmino

BvS: Fondo De MicheliMARIO DE MICHELI E LA NUOVA FIGURAZIONEdi Luca Pietro Nicoletti

BibliofiliaFRA’ ANNIO DA VITERBO IL FALSARIOdi Giancarlo Petrella

EditoriaI RAFFINATI RISVOLTI DI UNA FINE MEMORIAdi Massimo Gatta

IN SEDICESIMO – Le rubricheLE MOSTRE – IL LIBRO DEL MESE a cura di Luca Pietro Nicoletti,Mario Praz e Carlo Ossola

Punture di pennaCONSIGLI INTELLETTUALIPER IL VERO MAÎTRE À PENSERdi Luigi Mascheroni

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Italia letterariaPERSISTENZE MITICHE NELLA LETTERATURAITALIANAdi Riccardo Paradisi

L’Altro ScaffaleLE LABILI OPINIONI DELLA MATEMATICA, MA NON SOLOdi Alberto Cesare Ambesi

In trentaduesimoLESS IS MORE: ALL’INSEGNA DEL PICCOLOFORMATO LIBRIDINOSOdi Massimo Gatta

Filosofia delle parole e delle coseESSERE NEL MONDO: «MUOVERSI E COMMUOVERSI»di Daniele Gigli

BvS: il ristoro del buon lettoreSTRANI STRANIAMENTIdi Gianluca Montinaro

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO

MENSILE DI BIBLIOFILIA – ANNO VI – N.5/51 – MILANO, MAGGIO 2014

la Biblioteca di via Senato – Milano

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Fondazione Biblioteca di via Senato

PresidenteMarcello Dell’Utri

Consiglio di AmministrazioneMarcello Dell’UtriGiuliano Adreani Fedele Confalonieri Ennio Doris Fabio Pierotti Cei Fulvio Pravadelli Carlo Tognoli

Segretario GeneraleAngelo de Tomasi

Collegio dei Revisori dei contiPresidenteAchille FrattiniRevisoriGianfranco Polerani Francesco Antonio Giampaolo

Biblioteca di via Senato – Edizioni

RedazioneVia Senato 14 - 20122 MilanoTel. 02 76215318 - Fax 02 [email protected]@bibliotecadiviasenato.itwww.bibliotecadiviasenato.it

Direttore responsabileGianluca Montinaro

Servizi GeneraliGaudio Saracino

Coordinamento pubblicitàInes LattuadaMargherita Savarese

Progetto graficoElena Buffa

Fotolito e stampaGalli Thierry, Milano

Referenze fotograficheSaporetti Immagine d’Arte - Milano

Immagine di copertinaGabriele d’Annunzio ritratto da Ercole Sibellato (1878-1963), dopo l’incidente di volo del 16 gennaio 1916

Stampato in Italia© 2014 – Biblioteca di via SenatoEdizioni – Tutti i diritti riservati

Reg. Trib. di Milano n. 104 del11/03/2009

SI RINGRAZIANO LE AZIENDECHE SOSTENGONO QUESTA RIVISTA CON LA LORO COMUNICAZIONE

L’Editore si dichiara disponibile a regolareeventuali diritti per immagini o testi di cuinon sia stato possibile reperire la fonte

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«U n personaggio, Gabrieled’Annunzio, che puòcertamente dividere:

lo si può amare come odiare. Ma sarebbeveramente un errore marchiano ignorarnel’importanza oggettiva». Così scrive Marco Cimmino nel suo articolo su il Vate e l’interventismo, pubblicato su questonumero de «la Biblioteca di via Senato». Un personaggio, d’Annunzio, – aggiungiamo– che ha segnato un’epoca. Che è stato puntodi riferimento non solo di arte e letteratura,ma di vita e di impegno. Noto è il giudizio

che su di lui diede Antonio Gramsci («un nemico di ogni legge umana e civile»)e che, più di altri, gettò le basi di una falsainterpretazione storica (in parte ancoraperdurante) del personaggio e delle sue gesta,ridotti alla dimensione del bieco provincialismo. Invece, forse, fu Ernst Hemingway (occhio straniero e distaccato), nel 1923, a sintetizzare meglio la figuradell’Immaginifico: «rodomonte vecchio e calvo, forse un po’ matto, ma profondamentesincero e divinamente coraggioso».

Gianluca Montinaro

Editoriale

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Grande Guerra

In attesa, dunque, di potervestire la divisa del soldato,D’Annunzio fece propria l’inse-gna del poeta militante, esaltan-do la fratellanza d’armi e di sto-ria che univa la Francia, già inguerra, all’Italia, che avrebbedovuto schierarsi al suo fianco,creando un’unione invincibile,perché superiore per civiltà alproprio nemico:

je crie et j’invoque les deux noms divins,les plus hauts de la terre,jusqu’à ce que le ciel entier s’enflammede la double ardeuret que toutes les sources tariesrejaillissent et se mêlenten un seul torrent indomptable,je crie et j’invoque: «O Italie! O France!».

Non si possono nascondere la tempestività,la lucidità e la chiarezza di questo esordio: il poeta,che era voce assai ascoltata e influente in tutta Eu-ropa e, specialmente, in Francia, si schierò per laciviltà latina, indicando all’Italia, che tentennavatra Sonnino e Di San Giuliano, tra Inghilterra eGermania, la strada che la storia e la tradizione na-

L’Italia era in fermento. Ilprimo conflitto mon-diale si appressava. Ga-

briele D’Annunzio rientrò inItalia nel maggio del 1915, perprendere le redini del movimen-to interventista, che vedeva inlui, giustamente, un precursoree un vate. Di fatto, per D’An-nunzio la guerra era già comin-ciata da quasi un anno: il 13 ago-sto del 1914, su «Le Figaro», eraapparsa la sua Ode pour la rèsur-rection latine, che potremmo indicare come il ma-nifesto dell’interventismo dannunziano a fiancodell’Intesa. D’Annunzio esultò, perché la guerralatina era finalmente scoppiata: non si sentì piùesule né imbelle, ma fratello dei combattenti, per-ché latini e perché soldati:

Je ne suis plus en terre d’exil,je ne suis plus l’étranger à la face blême,je ne suis plus le banni sans arme ni laurier.

GABRIELE D’ANNUNZIO: IL PRIMO INTERVENTISTA

La preghiera di Doberdò e il richiamo alle armi

MARCO CIMMINO

Nella pagina accanto: Gabriele d'Annunzio, ritratto a villa

La Capponcina, in una foto degli inizi del Novecento.

Sopra: Antonino Gandolfo (1841-1910), Vittorio Emanuele

III (1901), ubicazione del dipinto attualmente ignota

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tembre successivo, dopo che il poeta si erarecato a visitare le linee, a Soissons: egli

indicava la strada con un’autoritànuova e con un senso naturale del co-mando. Egli si apprestava a rivestirei panni che aveva lungamente atte-so: quelli del comandante d’uomi-ni, che trasformava le parole, fasci-nose ma ambigue, in atti. Contem-

poraneamente, riaffiorava nell’operadel poeta una vena mistico-religiosa

che già altre volte si era manifestata e cheavrebbe pervaso tutto Asterope, il quinto li-

bro delle Laudi, fino a giungere ne La Preghiera diDoberdò, alla similitudine strettissima tra le feritedei soldati e le stigmate francescane: vi è in tutta laproduzione dannunziana di guerra una sorta diesaltazione febbrile, che, spesso, lascia il posto avere e proprie visioni, in cui l’elemento religiosodetiene un ruolo fondamentale: «o Vierge, ac-compagne mon message, affermis ma voix!» prega

zionale ci indicavano infallibilmente. Sitenga presente come, al di là delle notecapriole italiane nell’ambito della Tri-plice, in parte giustificate dall’atteg-giamento austroungarico,1 proprionel 1914 morirono due pedine fon-damentali del triplicismo, come DiSan Giuliano e il capo di stato mag-giore Alberto Pollio, la cui mortenon fu priva di lati sospetti.2 Questaposizione sarebbe stata ulteriormentechiarita da un celebre articolo di D’An-nunzio, apparso su «Le Journal» il 30 set-

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Sopra da sinistra: Antonino di San Giuliano (1852-1914),

in alta uniforme, durante il suo mandato di Ministro

degli Esteri (1910-1914); Gabriele d’Annunzio, qui

ritratto in una tela di Romaine Goddard, detta Romaine

Brooks (Parigi, collezioni del Centro Pompidou).

Al centro: il Capo di Stato Maggiore Alberto Pollio

(1852-1914), in una foto d’epoca

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il poeta nella sua Rèsurrection. Perché, per D’An-nunzio, la guerra latina è anche guerra cristiana,guerra di un mondo nuovo (o, meglio, rinato) e diuomini nuovi (gli Uebermenschen, forse) contro gliimperi sanguinari del passato, contro il palo e laforca. Intendiamoci, vi fu molto di autocompiaci-mento in questo indulgere al tono evocativo delleproprie parole: la scelta metrica, spesso ad imita-zione della salmodia o dei versetti evangelici, conuna sovrabbondanza ieratica di figure di ripetizio-ne, anafore e anadiplosi, fu un elemento non sem-pre sincero, anzi, spesso decisamente artefatto.Tuttavia, è innegabile in queste prime poesie diguerra del poeta abruzzese, una capacità di indagi-ne e di sintesi, assai più lucida di quella dei suoicontemporanei ed enormemente superiore aquella dei nostri contemporanei.

La guerra latina era per D’Annunzio talmen-te ecumenica, da salutare come difensori della no-stra civiltà perfino gli Americani, venuti in esiguonumero in nostro soccorso, dopo la ritirata di Ca-poretto: certo, se avesse letto Addio alle armi di

Hemingway, probabilmente il suo entusiasmo pergli yankees sarebbe stato un poco meno sconfina-to, ma nel 1918 il gran libro era ancora in mente Io-vis e lo scrittore se ne stava a Milano con la gambaper aria.

Esaurita la parte, diciamo così, internaziona-le, di Asterope, gli altri canti hanno toni assai diver-si: quelli dedicati al Re, alla Regina e al Generalis-simo, si possono agevolmente inquadrare nellapoesia encomiastica dannunziana. Non si deve,però, pensare che il D’Annunzio scrivesse questepoesie a titolo di piaggeria. In realtà, il poeta sol-dato condivideva appieno il disprezzo del Cador-na per la massa, e aveva, anzi, abbracciato subito lafarneticante teoria del tradimento delle truppe aCaporetto, tanto da maledire i prigionieri e chia-marli vigliacchi e traditori, suscitando una vastaondata di odio nei propri confronti, tra le truppe.3

Allo stesso modo, D’Annunzio, che combattevaeroicamente, è vero, ma se ne stava, sostanzial-mente, fuori dalla realtà della guerra, vivendo conlo sfarzo di un capitano di ventura nella “Casa ros-

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Sotto da sinistra: Sidney Sonnino (1847-1922), in un'immagine del 1880; Gabriele d’Annunzio (terzo da destra) insieme

ai suoi compagni di volo. Dietro il celebre velivolo Asso di Picche (foto del 1915)

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sa”a Venezia, da cui partiva per le sue imprese, nonaveva percezione dello spessore reale del re. Ilpoeta vedeva in Vittorio Emanuele III il re com-battente, che si recava in prima linea e che, pater-no e semplice, avvicinava l’umile fante: si trattava,naturalmente, di pura mitologia, ma D’Annunzioci credette o volle credervi. Di ben altro livello, icanti dedicati agli uomini comuni, ai soldati,all’“aristocrazia della trincea” e alla carne da can-none (i due concetti, spesso, in D’Annunzio, si so-vrappongono), che si offrono alla morte, quasi co-me agnelli sacrificali di questo corrusco rito san-guinoso che è la battaglia. La guerra, come diceva-mo, diviene un momento mistico per il poeta: larivelazione dell’uomo e della sua terribile fragili-tà. L’identità tra la guerra e la fede assume propor-zioni quasi deliranti nella Preghiera di Doberdò, incui si sovrappongono immagini care al sistemamistico-profetico dannunziano: nella chiesetta diDoberdò, scoperchiata dalle cannonate, che serveda ricovero ai feriti, San Francesco prega per i sol-dati, che sono come lui, laceri e piagati. I soldatistessi vengono associati a figure evangeliche. Equesto paragone, tutto sommato piuttosto blasfe-mo, ritorna con maggior enfasi anche ne La pre-ghiera di Sernaglia in cui, addirittura, si postula unCristo soldato di fanteria, che combatte e cade. Ilsimbolismo mistico-eroico dannunziano si sareb-be rivelato una delle matrici fondamentali dell’artefuneraria e celebrativa dei grandi sacrari militari,ove spesso la sovrapposizione tra l’agonia di Cristoe quella del fante domina le scelte artistiche e archi-tettoniche: si pensi, ad esempio, al Golgotha artifi-ciale ricreato sul monte Sei Busi, con la costruzionedel sacrario di Redipuglia (Sredi Polje).

Insomma, tutto Asterope, più che essere un li-bro di poesia bellica, è un libro di poesia religiosa,in cui, veramente, D’Annunzio raggiunse il tonodella lauda, che avrebbe dovuto essere il trait d’u-nion dei cinque libri della raccolta: un tono estra-neo alle cose, quasi trasumanato. Il tono di chi ave-va compiuto il voto supremo e già viveva al di là

della vita. E Nel Cantico per l’ottava della vittoria, ilpoeta esplose in un autentico peana, che riunisce itemi risorgimentali («..si scopron le tombe si leva-no i morti...»), quelli carducciani, la mistica fran-cescana e un canto di gioia sfrenata, liberatorio epasquale.

�Scritto nel 1916, ma pubblicato nel 1921, di-

viso in quattro “offerte”, il Notturno è, probabil-mente, l’opera più nota del D’Annunzio combat-tente. La critica ha a lungo sottolineato il caratte-re sperimentale di queste prose (anzi di questi car-tigli), derivato, prevalentemente, dall’occasionestessa della scrittura, durante i mesi di convale-scenza del poeta, ferito agli occhi e costretto a ri-manere bendato e nell’oscurità (di qui il titolo),costretto a vergare alla cieca, su striscioline di car-ta, le sue annotazioni sparse. In verità, Notturnonasce subito come libro (le bozze sono del 1917) ealcuni dei suoi nuclei tematici più noti (la morte eil funerale di Giuseppe Miraglia, ad esempio, nel-la “offerta prima”) sono precedenti la data4 del-l’incidente aereo che costò a D’Annunzio la perdi-ta di un occhio e la temporanea cecità. È, tuttavia,vero che la condizione di immobilità e di buio (dascriba egizio, disse il poeta) cui l’autore fu costret-to, diedero a queste prose un carattere affatto par-ticolare. La scrittura è lampeggiante, frammenta-ta, a scatti: una sorta di raffinatissimo taccuinod’impressioni, tra le quali prevale senz’altro la no-ta cupa del dolore e del lutto. Si potrebbe quasi az-zardare il giudizio per cui Notturno sia l’unica ope-ra dannunziana dedicata alla guerra che abbia verocarattere tragico: manca, per certo, in questo li-bro, la costruzione teatrale, da dramma sacro, cheaccompagna Asterope. La scrittura è più scarna, es-senziale, pregnante. Di qui a parlare di un D’An-nunzio ripiegato in se stesso, tuttavia, ce ne corre!È un po’ come la pretesa di scoprire a tutti i costiun Carducci decadente: un’assurdità. Non si puòconfondere la retorica del dolore dannunziana

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con un’introspezione psicologica: nel Notturno, ilpoeta è, comunque, un uomo pubblico che parla alsuo pubblico, è sempre il vate, l’orbo veggente, ilComandante.

Non si può non concludere queste brevissi-me note sul D’Annunzio interventista e soldatosenza sottolineare come i suoi atteggiamenti, lesue invenzioni e, complessivamente, il suo stile divita, avrebbero pesantemente condizionato unenorme numero di intellettuali e di combattenti.A lui si dovette il credo legionario, che si manife-stò clamorosamente a Fiume. Sempre a lui devo-no essere ascritti motti, simboli e perfino stile re-torico del neonato fascismo. E, infine, lui fu il mo-dello di prosa e d’azione di moltissimi giovani ita-liani, in quegli anni cruciali: personaggi tra i piùdiversi, da Locatelli a Randaccio, da Gigante aPalli. Ne consegue che il poeta abruzzese, perquanto si possa non amare la sua arte, rimane unafigura (se non la figura) fondamentale della storiaitaliana a cavallo della Grande Guerra: egli, nelbene e nel male, non si limitò ad incarnare la figu-ra del poeta-combattente, ma, in un certo senso, laplasmò, donandole i caratteri distintivi che avreb-be poi mantenuto fino alla seconda guerra mon-diale e oltre. Un personaggio, dunque, D’Annun-zio, che può certamente dividere: lo si può amarecome odiare. Ma sarebbe veramente un errore

marchiano ignorarne l’importanza oggettiva, al-l’interno di studi scientifici seri e accurati sul pri-mo conflitto mondiale. D’altronde, questo erroreè già stato commesso per quanto concerne la sto-ria letteraria tout court: e, non sempre, nell’ambitodella critica, sbagliando s’impara.

NOTE1 Si rammentino sia i piani di aggressio-

ne preventiva dell’Italia, a più riprese pro-

posti all’imperatore Franz Josef dal suo ca-

po di stato maggiore Conrad, durante il pe-

riodo noto appunto come Conradzeit, sia le

numerose violazioni del ‘casus foederis’

operate dall’Impero nei Balcani.2 Pollio morì a Torino, nell’estate del

1914, in circostanze mai del tutto chiarite:

si parlò di colpo di calore e di problemi ga-

strici, ma il generale godeva apparente-

mente di ottima salute: qualcuno ventilò

l’ipotesi di un avvelenamento.

3 Conseguenze ben peggiori ebbe que-

sto atteggiamento, giacché i nostri prigio-

nieri, dopo Caporetto, vennero pratica-

mente abbandonati a se stessi: ne moriro-

no a migliaia di stenti.4 Nel febbraio 1916: Miraglia era morto

a fine dicembre del 1915.

Antonino di San Giuliano (1852-1914), in una vignetta

apparsa su Vanity Fair (19 febbraio 1908), quando

ricopriva la carica di ambasciatore a Londra

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BvS: Fondo De Micheli

ben espressa nel classico e fortu-nato libro su Le avanguardie delNovecento, che Feltrinelli ha re-centemente ripubblicato. È no-to, insomma, il De Micheli DaPicasso a Guttuso, come recitavala mostra su di lui tenutasi pro-prio in via Senato. Ma accanto aquesta linea ci sono le visite aglistudi degli artisti più giovani, dicui ha coltivato l’amicizia in unaforma cordiale e affettuosa: mol-ti dei “giovani” di allora conser-vano di lui un ricordo paterno efamiliare, e non è infrequente

che nelle loro rassegne di critiche la penna di DeMicheli si collochi nelle prime posizioni, alle datepiù precoci.

Antonio Tonelli, “ragazzo” del 1934, è fra ipochi a poter vantare una conoscenza di De Mi-cheli in tempi assai remoti: studente delle scuolemedie appena finita al guerra, il futuro pittore loaveva conosciuto nelle aule di scuola in veste disupplente sulla cattedra della moglie Ada. A queltempo Tonelli non aveva in mente di fare il pittore:il suo ricordo di quei tempi, che ha i tratti della mi-tologia infantile, è di un professore appassionato etrascinante, che leggeva in classe L’isola del tesorocon trasporto da attore.

Non si sarebbero rivisti per qualche decen-

MARIO DE MICHELI E LA NUOVA FIGURAZIONE

Intorno alla “giovane scuola di Milano” 1: Antonio Tonelli

Èfrequente, nelle singola-ri traiettorie della criticamilitante, che un intel-

lettuale più maturo tenga “a bat-tesimo” una generazione di arti-sti più giovani, come a sigillo diuna continuità di idee e pensieriche passano attraverso la praticaartistica e il diuturno commentoverbale.

È una storia, questa, fatta diincontri, di frequentazioni, dicondivisione, che si nasconde frale pieghe della bibliografia, inattesa di essere dipanata nei suoirisvolti biografici (e aneddotici talvolta) e nelle sueimplicazioni teoriche.

È in questa luce che deve essere letto l’impe-gno di Mario De Micheli a favore della “giovanescuola milanese”.

Nel centenario della nascita dello studioso, lacui biblioteca è stata conservata, fino ad anni re-centi, presso la Fondazione Biblioteca di via Sena-to, questo capitolo resta ancora da sondare: è piùnoto e consolidato il suo impegno politico e intel-lettuale a favore di una certa linea della modernità,

LUCA PIETRO NICOLETTI

Sopra: L’aquila superstite, 1987, 114 x 85, olio su masonite

A sinistra: Particolare situazione lungo la strada, 1985,

60 x 54, olio su masonite

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nio, e la scelta di vocarsi alla pittura da parte di An-tonio sarebbe arrivata per vie autonome. Non siera però dimenticato del suo professore di allora,che nel frattempo, dalle colonne de “l’Unità”, eradiventato una voce autorevole della critica. Pocoprima della metà degli anni Settanta cerca quindidi contattarlo, incontrando un’accoglienza attentae sensibile: era l’inizio di una sodalizio che sarebbedurato fino alla dipartita di De Micheli stesso. Daallora, De Micheli occupa un posto di riguardonella mitologia personale di Tonelli: è lui, infatti, ilcritico che più ha segnato il suo percorso.

Evidentemente, a distanza di anni, si era veri-ficata una particolare sintonia, fra i due, su unascelta “di immagine”: a De Micheli, in particolare,piacerà, come scrive nel primo testo dedicato a To-nelli, nel 1974, la sua «capacità di far servire al si-gnificato generale del tema anche il dettaglio mar-ginale».

È nello stile del critico un certo afflato poeti-co, una partecipazione emotiva con l’opera che stacommentando. Nel fare questo, però, la sintoniacon i temi non gli fa perdere di vista lo specifico dellinguaggio pittorico: non basta commentare i temie le intenzioni, ma è il modo netto e preciso dellostile che dà alla pittura il suo tono inequivocabile.Ma soprattutto, De Micheli visita gli studi e parlacon gli artisti, e da questo incontro capisce più afondo l’opera. Nel nostro caso, constata, «nell’at-teggiamento di Tonelli, una naturale adesione alsuo tema, una spontanea partecipazione. E questoè ciò che infonde valore e verità al suo racconto fi-gurativo. L’operaio che mangia nell’intervallo dellavoro, l’emigrante meridionale che dorme sullapanchina della stazione con accanto la valigia di fi-bra legata con lo spago, la finestra della casa popo-lare di periferia, le nature morte povere d’oggettiche ribadiscono la dura condizione di chi vive traininterrotte difficoltà: ecco i soggetti su cui egli ri-torna volentieri» (I personaggi “elementari” di Anto-nio Tonelli, Milano, Galleria Ciovasso, febbraio1977). Nel testo di presentazione del ciclo del rac-

conto urbano, nel 1981, De Micheli definisce To-nelli un artista “di prosa”, in quando estraneo alle«malizie della fantasia, ma proprio per questo ciòche racconta, senza enfasi alcune o senza facili pa-tetismi, ha sempre il tono persuasivo del “raccontovissuto”». La pittura, scrive, ha dimostrato un attodi fedeltà, di partecipazione umana alle cose cheha scelto di rappresentare: «Tonelli […] è rimastofedele alla sostanza del suo primo discorso: è rima-sto fedele al suo mondo, agli uomini coi quali vive,ai loro gesti, agli oggetti della loro fatica quotidia-na. Ed è rimasto fedele ai luoghi della loro vicen-da, alla Milano dei vecchi quartieri proletari, dellecase di ringhiera, coi muri segnati da un temposenza clemenza». Gli fanno eco, a distanza, le pa-role dello stesso Tonelli, in una dichiarazione dipoetica rilasciata a Renato Valerio nel 2004: «Ècerto […] che fin dall’inizio avevo sempre cercatodi stabilire un rapporto sincero con la realtà. At-torno al 1978 mi sembrava che […] l’espressionecomplessiva risultasse più esplicita, con accentipittorici più definiti». Questa scelta di aderenzaalle cose, anche quando queste stanno degradan-do, non ha offerto, infatti, lo spunto a una intona-zione malinconica e nostalgica, anzi ha alimentatouna descrizione accanita affidata a una elaboratatecnica mista tale da restituire un effetto capace dimettere a fuoco nitidamente la forma nella suastruttura, di essere di assoluto realismo, ma senzaessere fotografico: «Quella di Tonelli è una pitturacircostanziata, che insiste sul particolare, che dàconto di ogni dettaglio, eppure è anche una pitturache sfugge ad un noioso descrittivismo. La ragionedi ciò è racchiusa nel sentimento che la anima, ilsentimento di una realtà di cui è fatta la sua mede-sima storia. Scoprendo se stesso, i valori di unastoria difficile e spesso segreta delle cose e degliuomini, una storia minore ma autentica, Tonelli hain tal modo scoperto progressivamente anche imodi necessari per esprimerne il senso, il signifi-cato».

Ma a De Micheli era chiaro anche che in quel

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lavoro era presente una forte componente simbo-lista, o meglio che il quadro stava diventandoun’allegoria anche attraverso le forme della naturamorta e nei temi della pittura di genere. La rap-presentazione degli animali, nella mostra I giornidifficili del 1996, non era un piacevole diletto perlo sguardo, ma un monito perentorio: «sono leimmagini della scure piantata nel tronco di un al-bero vivo; l’aquila minacciosa che allarga le alicontro un nemico occulto; il fuoco generato dai ri-fiuti abbandonati in un bosco; gli uccelli in perico-lo tra scorie e immondizie; le sorgenti inquinate da

ogni sorta di scarti della nostra civiltà tecnologica.Sono i problemi che affliggono il nostro vecchiopianeta Terra, che stanno a cuore a ognuno di noi eche Tonelli esprime e racconta nei suoi quadri.Noi sentiamo profondamente che siamo fatti dellastessa sostanza vivente della realtà naturale e altempo stesso sentiamo che chi è nemico dell’e-mancipazione umana è al tempo stesso nemicodella nostra riconciliazione con la natura. È la vitamedesima dell’uomo che oggi più che mai battecol ritmo, col respiro, col pulsare della natura, chene è inseparabile».

Il contenitore di plastica, 1986, 56 x 65, olio su masonite

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Bibliofilia

super supplementa Manethonisad Berosum».1 Le Antiquitates,stampate per la prima volta aRoma dall’officina di EucarioSilber nell’estate del 1498,2

nonostante le riserve subitoavanzate da alcuni agguerritiumanisti, andarono incontro aun clamoroso successo, sia nel-l’edizione completa, quella cioècon il commento di Annio, sianelle versioni accuratamente‘medicate’ prive delle intricatedissertazioni anniane. Si conta-no infatti più di venti edizionitra la princeps del 1498, anno nelquale venne stampata a Venezia

anche la prima edizione dei soli auctores vetustissi-mi nuper in lucem editi (Venezia, Bernardinus Ve-netus de Vitalibus, 1498),3 e una tarda edizionedello pseudo Beroso (Berosi sacerdotis Chaldaici an-tiquitatum libri quinque) licenziata a Wittembergnel 1659. I frammenti e i testi pseudo antichi fu-rono accolti in analoghe compilazioni erudite,pur omettendo il nome di Annio da Viterbo alfrontespizio, come la raccolta a cura di GiovanniBattista Roscio che cuce assieme Ditte CandianoDella guerra troiana. Darete Frigio della rouinatroiana. Declamatione di Libanio Sofista. MirsilioLesbio Dell’origine d’Italia, e de Tirreni. Archiloco De

FRA’ ANNIO DA VITERBOIL FALSARIO

Un impostore nella Roma dei Borgia

Sullo scorcio del Quattro-cento il domenicano fra’Annio da Viterbo, al seco-

lo Giovanni Nanni (1437-1502), del convento viterbese diS. Maria in Gradi, riuscì a farecarriera anche grazie ad alcunefantasiose dissertazioni archeo-logico-erudite contenute inun’opera dal prolisso titolo diCommentaria super opera diverso-rum auctorum de antiquitatibusloquentium (più semplicementeAntiquitates), nella quale avevaraccolto e commentato una se-rie di testi e frammenti pseudoantichi spacciati come autentici:«Comentaria super Myrsilum Lesbium De origi-ne Italiae; super fragmenta Catonis ... super Me-thastenem ... super Fabium Pictorem De aureoseculo; super duo fragmenta Itinerarii AntoniniPii; super quinque Berosi libro De antiquitatibus;

GIANCARLO PETRELLA

Nella pagina accanto: I cinque libri de le antichita de Beroso

sacerdote Caldeo. Con lo commento di Giouanni Annio di

Viterbo teologo eccellentissimo … tradotti hora pur in italiano

per Pietro Lauro modonese, Venezia, Baldassarre Costantini

1550, frontespizio. Sopra: Guillaume Postel, De Etruriae

originibus, Firenze, Lorenzo Torrentino, 1551

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tempi. Beroso Babilonio Dell’antichità. ManethoneDe i re d’Egitto. Metasthene Persiano Del giudicio detempi, et annuali historie de Persiani. Quinto FabioPittore Dell’aurea età, e dell’origine di Roma. CaioSempronio Della diuisione d’Italia, et origine di Roma(Venezia, Vincenzo Valgrisi, 1543).4 In pienoCinquecento a Venezia furono anche licenziatealmeno due edizioni in volgare dei testi annianiper il pubblico, certo non così ampio, degli orien-talisti e degli eruditi: nel 1550 nella versione diPietro Lauro (I cinque libri de le antichita de Berososacerdote Caldeo. Con lo commento di Giouanni Anniodi Viterbo teologo eccellentissimo … tradotti hora purin italiano per Pietro Lauro modonese, Venezia, Bal-dassarre Costantini 1550);5 nel 1583 in quella delpiù noto poligrafo Francesco Sansovino (Le anti-chità di Beroso Caldeo sacerdote, et d’altri scrittori, co-si hebrei, come greci, et latini, che trattano delle stesse

materie. Tradotte, dichiarate, & con diuerse vtili &necessarie annotationi illustrate da m. Francesco San-souino, Venezia, Altobello Salicato, 1583).6

Teologo e predicatore, Annio era all’epocagià noto per un opuscolo profetico-astrologico as-sai fortunato dal titolo piuttosto esplicito De futu-ris Christianorum triumphis in Saracenos impressoper la prima volta nel 1480 (Genova, Baptista Ca-valus, 8 dicembre 1480) in occasione della spedi-zione navale preparata da Sisto IV in soccorso diOtranto occupata dai turchi,7 ma ristampato addi-rittura almeno altre sette volte Oltralpe prima del-la fine del secolo.8 Aveva poi mutato interessi alsuo definitivo ritorno a Viterbo nell’ultimo de-cennio del Quattrocento quando, assoldato dalcomune come insegnante, affascinava il pubblicoviterbese con erudite lezioni di storia locale, nellequali mescolava esegesi biblica e commenti ai clas-sici, al fine di illustrare le più remote origini di Vi-terbo. Inizia da questo momento la sua fama di co-noscitore delle lingue orientali e abile manipola-tore delle fonti classiche, che lo avrebbe portato,di lì a poco, nelle grazie della famiglia Borgia e dialcuni influenti personaggi della curia, fino allacarica di magister Sacri Palatii conferitagli nel feb-braio del 1499 da papa Alessandro VI. A questa da-ta però Annio non era più soltanto l’erudito locale.Nel 1498, grazie all’intervento finanziario di donGarcilaso de la Vega, ambasciatore di Ferdinandoe Isabella di Spagna presso il pontefice, era infattiapparsa la princeps delle Antiquitates, un pondero-so in folio in cui il domenicano reinterpretava la

A sinistra: Le antichità di Beroso Caldeo sacerdote et d’altri

scrittori … con diuerse vtili & necessarie annotationi

illustrate da m. Francesco Sansouino, Venezia, Altobello

Salicato, 1583, frontespizio. A destra: Le antichità di Beroso

Caldeo sacerdote et d’altri scrittori … con diuerse vtili &

necessarie annotationi illustrate da m. Francesco Sansouino,

Venezia, Altobello Salicato, 1583, indice degli autori

raccolti e incipit delle Antichità di Beroso Caldeo

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storia universale fondendo in un sincretismo dinon facile interpretazione la tradizione biblicacon quella orientale-egiziana e ricollegando lafondazione di Viterbo e l’origine degli Etruschidirettamente a Noè e ai suoi discendenti. Questodiscorso di carattere teologico-filosofico si dipa-nava in un intricato commento a una raccolta ditesti antichi autentici, sospetti o apertamente falsi.L’obiettivo, al di là di più occulti significati, eraquello di dare credibilità alle fantasticherie sull’o-rigine delle popolazioni italiche sostituendo latradizione storiografica greca, contro cui si sfogal’acre polemica anniana, con presunte cronacheantichissime prodotte da sacerdoti e storici orien-tali, quali Beroso Caldeo o Metastene persiano, dicui aveva notizia dalle opere autentiche di Giusep-pe Flavio.

Annio agisce insomma nelle Antiquitates su

due livelli, ossia come autore di fonti letterarie oepigrafiche di dubbia autenticità e allo stesso tem-po commentatore dei testi così raccolti. È a partireda questo secondo livello che si dipana quella tra-ma complicatissima, fatta di calcoli cronologici,questioni toponomastiche, forzate etimologiedall’ebraico e dalle lingue orientali, compresi i mi-steriosi geroglifici, dalla quale il lettore rimanevaaffascinato. Anche la veste tipografica dell’operarichiamava il metodo impiegato nelle edizioni deiclassici commentate dagli umanisti: attorno ai te-sti degli autori antichi si dispone infatti la siepesoffocante delle dotte elucubrazioni stampata incarattere più piccolo. Parecchi umanisti dell’epo-ca finirono con l’abboccare all’amo delle falsifica-zioni di Annio. Antonio de Nebrija (1444-1522)avvallò l’autenticità dei testi anniani curando l’e-dizione degli Opuscula antiquitatis pubblicata a

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Burgos nel 1512. Erasmo, nell’affrontare il temadella genealogia di Cristo nel Novum Instrumen-tum (Basilea, J. Froben, 1516), si servì del Brevia-rium temporum attribuito a Filone. Il riformatorefrancese Guillaume Postel (1510-1581) nel suo DeEtruriae originibus, pubblicato a Firenze nel 1551per i tipi di Lorenzo Torrentino, rivendicò l’au-tenticità dei frammenti di Catone, Sempronio,Fabio Pittore e degli altri auctores antiquissimi ma-nipolati dal viterbese, considerandoli addiritturauna sorta di integrazione al testo biblico.

Nelle Antiquitates, per dare credibilità alleproprie elucubrazioni, fra’ Annio ricorreva spessoa bizzarre ricostruzioni etimologiche in cui facevasfoggio di una presunta conoscenza delle lingueorientali al fine di recuperare quel sostrato anti-chissimo che ancora si conservava incorrotto, asuo dire, in nomi e toponimi. Buona parte dei let-tori cinquecenteschi dovevano restare disorienta-ti di fronte alla mescolanza di lingue che il viterbe-se chiamava in causa nel suo commento: egiziano,aramaico, caldeo, ebraico, per le quali affermava

Sopra: Le antichità di Beroso Caldeo sacerdote et d’altri scrittori … con diuerse vtili & necessarie annotationi illustrate da m.

Francesco Sansouino, Venezia, Altobello Salicato, 1583, c. E2r. A destra: I cinque libri de le antichita de Beroso sacerdote

Caldeo. Con lo commento di Giouanni Annio di Viterbo teologo eccellentissimo … tradotti hora pur in italiano per Pietro Lauro

modonese, Venezia, Baldassarre Costantini 1550, incipit del secondo libro di Fabio Pittore

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di valersi del contributo di alcuni talmudisti, fracui un certo «rabi Samuel, talmudista noster».Così, scorrendo le carte delle Antiquitates, sco-priamo che l’etimo di Volterra era spiegato con laparola ‘ater’ «ut Samuel dicebat scythica olim lin-gua latam plateam ante exitum domus significat»,ossia «che significa in lingua scitica una larga piaz-za davanti la casa come spiega Samuel talmudi-sta». Fiesole conserva invece nel nome, corretta-mente interpretato, la prova della sua antichissimaorigine, risalente addirittura al passaggio di Erco-le egizio che bonificò il terreno paludoso circo-stante: «Phese autem transcensus est et ulai palus,ut Samuel noster exposuit ... hinc Phesulai prola-tione aramea ... est transcensus a paludibus» ossia«Phese, in arameo, secondo Samuele talmudista,significa transcendo e ulai palude, infatti era un

territorio paludoso». Lo stesso discorso vale per le fonti epigrafi-

che, campo nel quale Annio riuscì a ingannarepersino umanisti del calibro di Poliziano, che nonmise affatto in dubbio l’autenticità di uno dei piùspudorati falsi anniani, quel Decretum Desiderii, uneditto attribuito all’ultimo re longobardo, scrittonella cosiddetta littera longobarda, ossia la scritturabeneventana, in realtà mai adoperata nell’epigra-fia, che Annio fingeva di aver rinvenuto duranteuno scavo archeologico nell’agro viterbese. Annioperaltro aveva all’epoca già raccolto un’intera fan-tasiosa collezione di false epigrafi intitolata Demarmoreis Volturrhenis tabulis, che avrebbe poi ri-preso e ampiamente commentato nell’opera mag-giore.9 Non solo la Tabula alabastrina contenentel’editto di Desiderio, ma anche la cosiddetta Tabu-

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la Osiriana, in realtà un frammento marmoreo tar-domedioevale, le cui raffigurazioni erano inter-pretate dal domenicano come misteriosi gerogli-fici, e che rappresentava, nella visione sincretisticadi Annio, la prova del passaggio in Italia di Osiri-de, che avrebbe insegnato agli Etruschi l’agricol-tura e le cerimonie sacre. All’epoca il fascino perl’epigrafia fu davvero contagioso, se anche lo sto-rico Leandro Alberti, autore della celebre Descrit-tione di tutta Italia, nel 1530, di passaggio da Gub-bio durante uno dei suoi viaggi per Roma, com-

missionò ad alcuni eruditi locali una copia delle ta-vole eugubine allora ritrovate, per cercare di deci-frarne il contenuto: «Dimostrano altresì l’antichi-tà di questo luogo alcune tavole di metallo, partedi loro scritte a lettere etrusce e parte a carateri la-tini, ma non si può intendere la sentenza di quelle,avenga che se leggono. Furono ritrovate dette ta-vole nel luogo ove era l’antica città già poco tempofa. Occurrendo a me quindi passare, cavalcando aRoma l’anno 1530, mi furono mostrate sette didette tavole dalli priori della città con molta genti-

Sopra: I cinque libri de le antichita de Beroso sacerdote Caldeo. Con lo commento di Giouanni Annio di Viterbo teologo

eccellentissimo … tradotti hora pur in italiano per Pietro Lauro modonese, Venezia, Baldassarre Costantini 1550, incipit

dell’Itinerario di Antonino Pio col commento di Annio da Viterbo. A destra: John Collier (1850–1934), Un bicchiere di

vino con Cesare Borgia, 1893, Ipswich Museum and Art Gallery

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lezza, che sono con gran respetto nel palagio dellacittà conservate ... Là onde acciò sodisfacessi allicuriosi ingegni, fece ogni forza per averne la copiada riporla quivi e così poi mi fu mandata».

Il richiamo all’Alberti non è peraltro casuale.Fra Leandro non solo era un confratello del fami-gerato fra’ Annio, all’epoca dei fatti già defunto,ma si servì ampiamente delle Antiquitates nella suaDescrittione d’Italia. Bisogna allora chiedersi qualera l’idea che l’Alberti si era davvero fatta delleAntiquitates e in che modo rispondeva alle criticheche venivano mosse contro le falsificazioni del vi-terbese. Si trattava di una questione piuttosto de-licata, perché in gioco non c’erano soltanto Annioda Viterbo e un gruppo di umanisti: data la chiarafama dell’‘imputato’, il dibattito finiva in qualchemodo col coinvolgere il buon nome dell’intero

Ordine domenicano, dalle cui file, non a caso,usciranno ancora nel Settecento alcuni strenui di-fensori delle antichità anniane. L’Alberti dovevaesserne consapevole, se scelse di affrontare a visoaperto i principali accusatori: Raffaele Maffei daVolterra, l’autore dei Commentariorum rerum ur-banarum libri, e lo storico Marcantonio Sabellico.L’accusa principale rivolta ad Annio era quella diaver manipolato alcuni frammenti di dubbia pro-venienza per poi spacciarli come autentici testi diCatone, l’autore del genuino De re rustica. Il viter-bese sosteneva infatti di aver trovato un codicetrecentesco appartenuto a un ignoto magister Gui-lielmus Mantuanus, nel quale erano conservati al-cuni frammenti delle Origines catoniane e due del-l’Itinerarium Antonini inediti. Non aggiungeva al-tro, evidentemente convinto di aver così offerto

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prove sufficienti per rassicurare i lettori dell’au-tenticità dei testi commentati. La notizia non po-teva che destare la curiosità degli umanisti, che,nell’impossibilità di verificare il millantato mano-scritto mantovano, concentrarono la loro atten-zione sui frammenti pubblicati. Il Volaterrano e ilSabellico avanzarono subito più di un sospetto.Con acume filologico colsero in fallo Annio, fa-cendo notare come il latino del presunto Catonedelle Origines fosse assai diverso rispetto a quelloautentico del De re rustica: «In Catone ne verbumquidem eius venerandae vetustatis apparet. In Be-roso item portentosa nomina, nec apud ullum ve-terum scriptorum penitus memorantur» (Volater-rano, Commentaria, Parigi, J. Petit, 1515, c. Ff7r).

�L’Alberti, a distanza di alcuni decenni, ritor-

nò con fermezza sulla questione. Il brano si na-sconde nelle carte della descrizione di Verona(Descrittione, Bologna, A. Giaccarelli, 1550, c.ZZZ2v); lo spunto è dato infatti dalla testimo-nianza dello pseudo Catone sull’origine della cit-tà, ma il domenicano approfitta dell’occasione perribattere una volta per tutte alle accuse che grava-vano sull’autore delle Antiquitates: «E pertanto di-rei che questa città [Verona] fosse stata primiera-mente edificata dai Toscani e dalla nobilissima fa-miglia Vera Tosca, come dice Catone e Sempronio... avenga che Marco Antonio Sabellico nel quintolibro dell’ottava Enneade, con Raphael Volaterra-no nel XXXVIII de’ suoi Commentari Urbani dico-no esser quei frammenti dell’antichità e origined’Italia attribuiti a Catone e Sempronio cose fintee ... parimente d’altre simili cose che si leggono ne’detti libri, sforzandosi amendue questi letteratiuomini di provar questa sua opinione, dicendo es-ser molto differente la latinità dei detti libri daquella di Catone e massimamente dai libri De rerustica. E quivi grandemente esclamano contraGiovanni Annio viterbese comentatore de’ dettilibri, sì come contra uno che avesse bestemmiato erovinato tutta la geografia insieme con la latinità ecandidezza di Catone … Onde io sono di opinionecon molti altri nobilissimi ingegni e letterati uo-mini, e tra gli altri Giovan Antonio Flaminio imo-lese, che senza dubbio si debba tenere essere gliantidetti frammenti di Catone e Sempronio».

Non contento, ritorna sull’argomento nelcapitolo dedicato agli uomini illustri di Viterbo(Descrittione, c. M1v), dove non poteva mancarel’elogio di fra’ Annio. Fra Leandro aggiunge inol-

A sinistra: Cristofano dell'Altissimo (1525–1605),

Ritratto di Papa Alessandro VI, Firenze, Galleria degli

Uffizi; a destra Le antichità di Beroso Caldeo sacerdote et

d’altri scrittori … con diuerse vtili & necessarie annotationi

illustrate da m. Francesco Sansouino, Venezia, Altobello

Salicato, 1583, c. H4r

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tre un particolare difficile da verificare, ma estre-mamente interessante. Annio non aveva inventatoi testi di Catone e degli altri storici antichi, ma liaveva scoperti in un codice antico che lo stesso fraLeandro aveva avuto modo di vedere: «QuestoAnnio fu maestro del Sagro Palagio, uomo moltodotto, non solamente in teologia e nelle lettere la-tine, ma etiandio grece, ebree, aramee e caldaice; ediligentissimo vestigatore delle antiquitati, comechiaramente si vede dall’opere da lui scritte e mas-simamente dalli Commentari ... certamente fu uo-mo di grande e curioso ingegno, avenga che da al-cuni sia calonniato, dicendo lui aver finto quelliframmenti di Catone, con quegli altri libri sottonome di tali auttori, non avendo veduto gli antiquilibri di detti auttori come io, già essendo moltogiovane, vedi. Là onde non dubito che se gli aves-sero veduti, non tassarebbeno tanto uomo di tal

cosa».Il passo nasconde più di un punto interroga-

tivo. Innanzitutto, l’Alberti è sincero, vide cioèrealmente gli «antiqui libri di detti auttori», o sitratta semplicemente di un estremo tentativo perdare credibilità alle Antiquitates e quindi, di conse-guenza, anche alla propria Descrittione? Il brano,per certi versi, sembra infatti anticipare quella chealcuni secoli dopo, dimostrata la falsità dei fram-menti pseudo antichi, sarà la linea difensiva uffi-ciale dell’Ordine: Annio era in buona fede, con-vinto egli stesso dell’autenticità dei testi che avevaraccolto, e perciò fu ingannato in prima persona.È questa la tesi avanzata in pieno Settecento daibiografi dell’Ordine Jacques Quetif e JacquesEchard negli Scriptores ordinis Praedicatorum (II,pp. 4-7), e persino ancora nel secolo scorso nellavoce Annio da Viterbo compilata per l’Enciclopedia

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cattolica (I, coll. 1373-74: «accolse anche brani fal-si ma conosciuti prima di lui e trovati nelle biblio-teche, non inventando di sana pianta tutti i docu-menti da lui pubblicati»). Che cosa intende poi fraLeandro con antiqui libri? Si tratta realmente di al-cuni dei codici cui alludeva Annio, forse addirittu-ra quello del famigerato Guglielmo da Mantova, opiuttosto di quegli scartafacci che servirono pro-babilmente al viterbese per preparare le Antiqui-tates? Fra Leandro afferma di aver visto i codiciquando era molto giovane, ma non specifica nél’occasione né il luogo. L’ipotesi più plausibile èche ciò sia avvenuto durante una visita al conventodomenicano della Minerva a Roma, in cui Anniotrascorse gli ultimi anni e fu sepolto; oppure po-trebbe trattarsi del convento viterbese di S. Mariain Gradi. Comunque siano andate le cose, di certofra Leandro deve aver visto i codici del celebreconfratello prima che fossero portati in Spagnadal cardinale Bernardino Carvajal († 1523), pro-tettore dell’Ordine e influente personaggio dellacuria di papa Borgia, che sembra fosse riuscito amettere le mani sulle carte di Annio. A farne cenno

fu un altro domenicano, il forlivese TommasoMazza († 1688). Inquisitore, commissario genera-le del S. Uffizio di Roma, il Mazza si schierò aper-tamente in difesa del confratello viterbese, com-ponendo un’apologia nella quale riferisce l’opi-nione che, alla morte di Annio, «si facesse posses-sore di tutti i suoi scritti Bernardo Carvajal spa-gnolo, cardinale di Santa Croce, quale molto l’a-mava e stimava, onde si crede che questo cardina-le, ritornando in Spagna, seco gli asportasse e siinopur tuttavia riposti in qualche luoco a puochi notoe da nissuno osservati» (T. Mazza, I Goti illustrati,insertovi l’apologia per frate Gioanni Annio viterbese,Verona, A. Rossi, 1677, p. 20). La notizia contrastaperò con quanto affermato, alcuni decenni dopo,dal domenicano francese Jean Baptiste Labat.Questi, che era stato ospite del convento viterbesedurante il consueto Tour in Italia, nei Voyages d’E-spagne et d’Italie, giunto a parlare della città di Vi-terbo, poteva vantarsi di aver visto personalmen-te, fra i manoscritti ancora conservati nella biblio-teca domenicana, «les minutes de Jean Annius quiétoit religieux de cette maison».10

NOTE1 Su Annio da Viterbo rimando qui il

lettore soltanto alla recente voce con am-

pia bibliografia pregressa allestita da Ric-

cardo Fubini per il Dizionario Biograficodegli Italiani (vol. 77, Roma, Istituto della

Enciclopedia Italiana, 2012, pp. 726-732).

Di Annio da Viterbo ebbi a occuparmi più

di una decina di anni fa nel corso dei miei

studi sul confratello fra Leandro Alberti

(G. PETRELLA, L’officina del geografo. La De-scrittione di tutta Italia di Leandro Alberti

e gli studi geografico-antiquari tra Quat-tro e Cinquecento, Milano, Vita e Pensiero,

2004, pp. 59-76). 2 ISTC ia00748000.3 ISTC ia00749000.4 EDIT16 CNCE 17122.5 EDIT16 CNCE 25169.6 EDIT16 CNCE 30566.7 GW 2017; ISTC ia00750000. Per tale

ragione fra Annio si è meritato la presen-

za anche nella bibliografia astrologica

compilata da L. CANTAMESSA ARPINATI, Astro-

logia Ins & Outs opere a stampa, 1468-1930, Milano, Otto/Novecento, 2011, n.

5465.8 GW 2018-2024. 9 R. WEISS, An Unknown Epigraphic

Tract by Annius of Viterbo, in Italian Stu-dies presented to E.R. Vincent, Cambridge

1962, pp. 101-120.10 J. B. LABAT, Voyages en Spagne et en

Italie, Paris, Delespine, 1730, VII, pp. 95-

109.

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BEVI RESPONSABILMENTE

BEVILO GHIACCIATO.IL PRIMO CREMAMARO

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Editoria

letteraria e fonte di guadagnocommerciale. Tutto ciò è statopossibile, come a volte accade,grazie a un felice “incontro”perché, per dirla con ViniciusDe Moraes, “La vita è l’arte del-l’incontro”.

Non è questo il luogo perricordare le vicende che porta-rono alla nascita della casa edi-trice Sellerio, il passaggio dalle“Edizioni Esse” alla “Sellerioeditore Palermo”, sull’argo-mento si è infatti scritto molto;neppure vorrei riprendere undiscorso già fatto altrove1 sullaprima, storica Collana della Sel-lerio, “La civiltà perfezionata”,che per molti aspetti (ancheparatestuali) è da considerarsianch’essa come uno dei più in-novativi e luminosi esperimentieditoriali degli ultimi decenni, enon solo in Italia. In questa sedemi piacerebbe, sempre in puntadi piedi, tornare invece per unattimo a quella che unanima-mente è considerata la Collanaeditoriale più riconoscibile ebella, e non solo dell’editore pa-

I RAFFINATI RISVOLTI DI UNA FINE MEMORIALeonardo Sciascia e i 35 anni di una collana autoriale

Il bisogno di accostarsi inpunta di piedi a questo temaeditoriale nasce dal fatto

che tutto in esso appare, nellostesso tempo, riservato, intimo,autoriale e mondano, ma di una“mondanità” etica e “di servi-zio”, termini che chiarirò in se-guito. E contrariamente al miomodo abituale di avvicinarmi al-la storia culturale dell’editoria,alle sue pieghe nascoste, agli in-terstizi, di entrarvi cioè portan-dovi dentro, oltre alle personaliriflessioni e idee, anche una va-langa di notazioni bibliografi-che fitte di titoli, nomi, date, inun vorticoso scenario di riman-di continui e connessioni con al-tri libri e altri titoli e autori, quivorrei che a fare da menabò cri-tico siano pochissimi libri e cheil resto fosse invece invito a ri-flettere su uno dei (più) grandiaccadimenti editoriali del se-condo Novecento italiano, unmomento nel quale l’editoria dicultura è stata nello stesso tem-po riflessione critica sul reale esul passato, offerta di qualità

MASSIMO GATTA

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lermitano: “La memoria”. Cercare un punto diabbrivio necessita di accostarsi necessariamente, edirei fortunatamente, alla figura e al lavoro diLeonardo Sciascia, o meglio del Leonardo Scia-scia editore di testi. Lo scrittore di Racalmuto eb-be infatti una sorta di vocazione editoriale diffusa2,per le tante collaborazioni editoriali che ebbe, maanche di questo si è molto scritto.

�Il legame che unì Sciascia a “La memoria”

dura lo spazio di un decennio, poco, molto, nonsaprei. Resta il fatto che in questo decennio, cheprincipia con Dalle parti degli infedeli dello stessoSciascia, uscito lo stesso anno della nascita dellaCollana (1979) e termina con la morte dello scrit-tore (1989), il suo contributo testuale e parate-stuale alla Collana fu enorme, in termini qualitati-vi oltre che, ovviamente, quantitativi. Sciascia ècome se si fosse completamente affidato al fascinodi questa Collana, pensata da lui, battezzata da lui,seguita da lui, corretta ampliata suggerita, ecc.ecc. Come se in essa abbia trovato una specie di pa-ce riflessiva ma anche di quête, lui così illuministi-camente tormentato, volterrianamente dubbioso,disincantato, scettico, da siciliano arabo dell’in-terno. Come se “La memoria” proseguisse, com-pletandolo, il lavoro e il disegno di perfezionamentodella civiltà che la prima Collana selleriana, appun-to “La civiltà perfezionata” (termini bellissimi edevocativi che Sciascia aveva mutuato da Cham-fort) aveva iniziato. Un perfezionamento della ci-viltà, ovviamente non solo letteraria, che passassenecessariamente anche attraverso un’etica e unapolitica. Una Collana che fosse, nello steso tempo,strumento di conoscenza e luogo di riflessione cri-tica (anche sua personale), ricerca letteraria e mo-mento ludico, iniziativa commerciale e recupero“archeologico”: una tessitura complessiva di in-tenti. Un cantiere aperto. Un luogo nel qualeSciascia seppe entrare leggero, portandosi dietrole sue provviste per l’inverno, i suoi scrittori prefe-

riti, quelli che desiderava che altri incontrassero,quelli dimenticati, poco o malnoti, quelli che unaperdurante distrazione critica aveva relegato aimargini della produzione editoriale, quelli nasco-sti o fatti nascondere. In questo molto affine allacalviniana “Centopagine”, e anche sui rapporti traquesti due grandi scrittori-editori molto si è scrit-to e non è il caso di tornare.

�Salvatore Silvano Nigro ha regalato al rap-

porto Sciascia/Sellerio pagine non solo belle edeleganti ma anche sommamente necessarie, rifles-sive; introducendo il libro forse più importanteper avvicinarsi allo Sciascia editore di testi per Sel-lerio, Nigro, ragionando sulle modalità della scrit-tura editoriale sciasciana, scrive: “[…] le bandelleselleriane sono state il più delle volte scritte in re-dazione e rifinite in direzione: sperimentando unaquasi quotidiana conversazione tattile, che ha im-prontato il paesaggio stilistico e la moralità civile del-

Leonardo Sciascia (1921-1989) in una fotografia d’epoca

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e soprattutto un lavoro artigianoda manovale nella cui modestia siintravedeva, in controluce, tuttala grandezza etica dell’uomo. Unlavoro in levare che teneva co-munque lucidamente ben pre-senti le finalità, non solo cultura-li ma anche commerciali, di uneditore, anche se di piccole di-mensioni, com’era la Sellerio inquegli anni. Ecco quindi la mon-danità di cui parlavo e che lo stes-so scrittore ben aveva sintetizza-to scrivendo: “Da uomo che saleggere il mondo attraverso i li-

bri e i libri attraverso il mondo”; e Barbato, parlan-do dei “diversi Sciascia”, giustamente rileva: “Mal-grado sia la stessa persona che scrive, malgrado chetenacemente comune è l’universo culturale e l’i-spirazione poetica, qui non c’è lo Sciascia scrittorema lo Sciascia redattore. Uno Sciascia, vorrebbedirsi, che si fa mondano. Non parla al lettore […], maparla a chi il libro lo sfoglia in libreria per comprarlo,al compratore che pesa il libro dai risvolti, dalle noterel-le introduttive, dalle avvertenze e da quant’altro siapre all’attualità in cui il compratore è immerso”4; equasi a voler chiarire meglio allo stupefatto lettore

la casa editrice. I risvolti e le noteeditoriali di Sciascia, come tuttala sua scrittura, hanno spessonervature citazionistiche. Ma lecitazioni (di erudizione traspor-tata al narrativo, se distese) sonodi naturale disinvoltura, di pulitarapidità e svagatezza. Non hannole unghie dipinte. E soggiaccio-no alla severità di un rigore geo-metrico”3. I termini “conversa-zione tattile”, “paesaggio stili-stico” e “moralità civile” credoriassumano perfettamente, esenza sbavature superflue, l’in-tero impegno editoriale chez Sellerio dello scritto-re di Racalmuto. E sono anche i termini perime-trali entro i quali si è distesa l’intera vicenda lette-raria dello scrittore.

All’inizio, in maniera solo apparentementeprovocatoria, e direi eretica se accostata a unoscrittore come fu Sciascia, ho utilizzato il termine“mondanità”, al quale seguiva “di servizio”. Vorreiora chiarirli entrambi. Il vasto impegno sciascianonell’officina Sellerio, direi meglio: nella sua “cuci-na editoriale”, è stato, al di là di fin troppo facili escontati giudizi sul valore critico-letterario, anche

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quell’avvicinamento forse eretico tra Sciascia, ilmercato e la mondanità, chiarisce: “[…] MondanoSciascia? Tutt’altro: tanto schivo in tutto, dalla po-stura alla smorfia dell’espressione. Ma tanto capa-ce di essere legato al mondo da scegliere un epitaffiocome questo: Ce ne ricorderemo di questo pianeta”5. Equindi intrinseco a “questa” mondanità sciasciana,nei termini chiariti da Barbato, è anche il concetto“di servizio”, applicato al lavoro redazionale svoltoda Sciascia in Sellerio, e dove il termine indica unaqualità artigiana di supporto al lettore, negli stessitermini con i quali Egisto Braga-glia, a proposito dell’ex libris,parlava di “grafica di servizio”.

Il volume curato da Nigro,relativo alla parabola editorialedi Sciascia in Sellerio, riportal’intera produzione paratestualedello scrittore di Racalmuto,una produzione che si distendelungo l’intero arco delle tanteCollane dell’editore palermita-no, e che andrà letta in controlu-ce all’interno della sua vastissi-ma produzione scrittoria.6

La Collana “La memoria” è di certo una Col-lana peculiare e un unicum nel suo genere (vedre-mo più avanti perché), non solo per la qualità e laquantità dei titoli pubblicati7 ma anche perché èstata, almeno fino alla morte di Sciascia, impron-tata al suo gusto, alle sue scelte, al suo lavoro sulperitesto (risvolti, note, curatele, introduzioni,prefazioni; una Collana nata nel 1979 e alla quale“[…] aderì con iniziale ritrosia e prudenza […] chein gran parte impiantò letterariamente, ovvia-mente insieme all’amica-editrice Elvira Sellerio8,

e il cui titolo inventò. La defini-va una collana “amena”, un eu-femismo per intendere, in que-gli anni che appena uscivano dal-le esagerazioni dell’impegno edall’iperbole, non tanto una re-staurazione, un riflusso, quantola ritrovata possibilità di divaga-re nel gusto e nello spazio lette-rario autonomo, tra testi di ognitipo, alla ricerca non del frivoloo dell’estetizzante (niente di piùlontano dal suo concetto di let-teratura) ma del piacere del dia-

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in anticipo. E’ questo l’unicumdi cui parlavo. Un’assenza volu-ta, una scelta, un omaggio, unaspecie di debito morale e di pro-messa implicita, rispettata a par-tire da una certa data. Sciascia lainaugura nel ‘79, come detto,con Dalle parti degli infedeli10 acui seguirà, come numero 10,Atti relativi alla morte di RaymondRoussel (1980)11 per poi giunge-re, come numero 100, a Crona-chette (1985)12.

Sarà uno degli ultimi titoliche Sciascia pubblica nella “sua”

logo tra intelligenze […]”.9

Quello de “La memoria” èl’unico caso credo, nella storiadell’editoria, in cui all’interno diuna vasta ed articolata Collanaeditoriale sono presenti dei vuo-ti deliberatamente programma-ti, puntuali, riconoscibili e indi-cati numericamente, titoli chemai potremo riempire perchéinesistenti, e sapendolo peraltro

Sopra: Leonardo Sciascia insieme

a Elvira Sellerio

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Collana, non riuscirà a raggiungere il numero200. La Sellerio in suo omaggio lascerà liberi i nu-meri legati alle centinaia, e non potendo lo scritto-re di Racalmuto legare suoi titoli a questi numeri,essi resteranno vuoti, senza titolo. Paradossal-mente questi titoli assenti sono forse ancor più im-portanti che se fossero stati realmente presenti.Ognuno può infatti immaginare una trama, unpersonaggio, una storia, un finale; ognuno può ri-empire a piacimento quel vuoto e sarà così fino altermine della Collana.

Presumibilmente nella primavera-estate del2016 la Collana giungerà al numero 1000, e saràanch’esso un titolo inesistente, uno spazio vuoto,lasciato libero all’immaginazione in ricordo e inomaggio del suo maggiore artefice, in fondo a suafutura memoria (se la memoria ha un futuro).13

NOTE1 Cfr. Massimo Gatta, Risvolti volanti

della Civiltà perfezionata. Leonardo Scia-scia e i segnalibri della Sellerio, «Paratesto»,

n. 7, 2010, pp. 171-193.2 Per questo aspetto rimando a Giovan-

na Lombardo, Il critico collaterale. Leonar-do Sciascia e i suoi editori, Milano, La Vita

Felice, 2008.3 Salvatore Silvano Nigro, Una specie

collaterale della critica, in Leonardo Scia-scia ovvero Della felicità di far libri, a cura di

Salvatore Silvano Nigro, con una Nota dello

stesso e una Testimonianza di Maurizio

Barbato, Palermo, Sellerio, 2003 [La memo-

ria, 567], pp. 21-22, corsivo mio.4 Maurizio Barbato, Testimonianza, in

Leonardo Sciascia ovvero Della felicità difar libri, cit., p. 40, corsivo mio.

5 Ibid, p. 41, corsivo mio.6 Antonio Motta, Bibliografia degli

scritti di Leonardo Sciascia, prefazione di

Gianni Puglisi e una nota di Salvatore Silva-

no Nigro (Sciascia e la bibliografia), Paler-

mo, Sellerio, 2009 [Le parole e le cose, 19].

Per la verità esiste anche la bibliografia re-

datta da Valentina Fascia, La memoria dicarta. Bibliografia delle opere di LeonardoSciascia, scritti di Francesco Izzo e Andrea

Maori, Milano, Edizioni Otto/Novecento,

1998, realizzata però senza il riscontro sugli

originali, da qui alcune imprecisioni e omis-

sioni in essa riscontrate. Di Antonio Motta

segnalo anche Legature. Alla ricerca dei libridi Leonardo Sciascia, Palermo, L’Epos, 2009.

7 Mentre scrivo la Collana è giunta al

numero 953, Andrea Camilleri, Inseguendoun’ombra (marzo 2014).

8 Cfr. Aldo Cazzullo, Elvira Sellerio. «L’al-legria di Sciascia», in ID., I grandi vecchi.Trentatré incontri in Italia, Milano, Monda-

dori, 2006, pp. 87-91.9 Maurizio Barbato, Testimonianza, in

Leonardo Sciascia ovvero Della felicità di

far libri, cit., pp. 34-35, corsivo mio.10 Vedine il relativo risvolto, dello stesso

Sciascia, in Leonardo Sciascia ovvero Dellafelicità di far libri, cit., p. 65.

11 Vedine il relativo risvolto, dello stesso

Sciascia, in Leonardo Sciascia ovvero Dellafelicità di far libri, cit., p. 74. Il libro era uscito

in prima edizione nel 1971, pubblicato dal-

le Edizioni Esse in una tiratura fuori com-

mercio in 100 esemplari, con un saggio di

Giovanni Macchia e una incisione originale

di Fabrizio Clerici; verrà poi ristampato lo

stesso anno, sempre da Sellerio, nella Colla-

na “La civiltà perfezionata”12 Vedine il relativo risvolto, dello stesso

Sciascia, in Leonardo Sciascia ovvero Dellafelicità di far libri, cit., p. 128.

13 Leonardo Sciascia, A futura memoria(se la memoria ha un futuro), Milano, Bom-

piani, 1989.

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L E M O S T R E – I L L I B R O D E L M E S E

inSEDICESIMOLA MOSTRA/1LE OCCASIONI DI BERNARDINO Luini e i suoi figli a Palazzo Reale

L a mostra dedicata a BernardinoScapi, più noto comeBernardino Luini, curata da

Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa aPalazzo Reale di Milano è il terzoscomparto di un ideale trittico diesposizioni, a sua volta tappe recentidi un percorso che parte da lontano:costituiscono un precedente diretto,infatti, le rassegne, curate insieme aMarco Tanzi, sul Rinascimento nelleterre ticinesi (Rancate, 2010) e suBramantino a Milano, al CastelloSforzesco di Milano (2012). Latraiettoria delle vicende narrate nelledue occasioni milanesi era già latraccia di quella ticinese, che gettavauno sguardo sul Rinascimentolombardo da un punto lontano,misurandone i riverberi e le eco adistanza dalla capitale del ducato,cercando di riflettere sul ruolo giocatoda Bramantino prima e da Luini poi inquella vicenda: in entrambi i casi duepittori non milanesi (bergamasco ilSuardi, discendente di una famiglia diverdurai di Bumenza, sulla spondalombarda del lago Maggiore nei pressidi Luino, il secondo) ma decisivi percapire quello che successe a Milano

prima, dopo e a prescindere daLeonardo. Uno degli assi portanti diquesta mostra del 2014 sta proprionell’aver messo in evidenza, nel puntodi stile luinesco, il precipitato di unatradizione lombarda con i suoiaddentellati in un tramando che dalvecchio Foppa, protagonista dellamostra bresciana del 2001, percorre ilCinquecento nell’Italia Settentrionale.Il ragionamento sostenuto in questaoccasione, dunque, rimette indiscussione in modo radicale unconsolidato stereotipo che vedeva inLuini, incorniciato nel languoreromantico ottocentesco che lo avevareso così poco amato nel Novecento,un pittore “fra Leonardo e Raffaello”.C’è la consapevolezza che generazionidi fedeli hanno pregato con trasportodi fronte alle immagini di Luini, ma

non per questo si è fatta, comepericolosamente sarebbe potutoaccadere in altre mani, la mostra diun “pittore devoto”: la storiaraccontata al piano nobile di PalazzoReale vede invece l’evolversi, dentroun discorso serrato, della montantefortuna di un artista nel suo tempo, inun percorso cui fanno da supportonumerosi compagni di strada, aricostruire una dimensione corale cheevita il rischio di una giustificazionedello stile soltanto attraverso le sueinterne ragioni. Era l’unico modopossibile, del resto, per dare conto diun complesso intreccio di riferimentied elaborazioni formali: la carriera diLuini, infatti, corre parallela a quelladel novarese Gaudenzio Ferrari.

Cesare da Sesto, Madonna con il Bambino

1523, tavola, cm 88x65, Milano, Museo d’Arte

Antica del Castello Sforzesco, Pinacoteca

a cura di luca pietro nicoletti

BERNARDINO LUINI E I SUOI FIGLI

A cura di Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa

MILANO, PALAZZO REALEwww.mostraluini.it

10 aprile - 13 luglio 2014

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Entrambi sono affascinati daBramantino, ma vanno in cerca, consuccesso, di una via più accessibileche tenga conto di quella lezionestemperandone le asperità piùeccentriche. La tangenza con i modi ele soluzioni di Leonardo, pur cosìevidente all’altezza della Madonne delroseto oggi a Brera, va quindi ainnestarsi su una tradizione locale benconnotata e su di essa intervienesenza stravolgerla in modo radicale.Tutti, a Milano, dovranno fare i conticon la lezione leonardesca, ma nonsempre se ne faranno investire comeun fiume in piena. Rimangono infattidei momenti di pittura in cui illeonardismo è mediato fino adiventare tutt’altra cosa e rendere

possibili brani indimenticabili come ilsolenne, quieto e silenzioso trasportodel corpo di Santa Marta, sospeso nelvuoto su un metafisico e abbagliante

cielo lattato, proveniente dal cicloaffrescato da Luini nel 1512, oggitrasportato su tela ed esposto a sceneframmentarie a Brera, per la villa diGirolamo Rabia, la Pelucca, fra Monzae Milano, nel territorio dell’attualeSesto San Giovanni: il volto dellaSanta, accartocciata in unbramantiniano manto rosa, è di uncandore incontaminato dal rigormortis, e incorniciato da ciocche dicapelli in punta di pennello inanellatein certi giovani volti leonardeschi.

Lascia stupiti, invece, l’inaspettatocolpo d’occhio sulla produzionegiovanile di Luini durante unaparentesi veneta del suo percorso,vicino ai pittori veronesi e trevigianiche, sulla scorta di Cima da

Asinistra: Aurelio Luini, Martirio di San Vincenzo, 1585-87, affresco

riportato su vetroresina, cm 347x239, Milano, Museo d’Arte Antica del

Castello Sforzesco, Pinacoteca.

Sotto: Bernardino Luini, Scherno di Cam, 1514-15 ca, tavola

trasportata su tela, cm 166x140, Milano, Pinacoteca di Brera, concess.

del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo.

In basso: Bernardino Luini, Susanna e i vecchioni, 1515-16 ca, tavola,

cm 46x38,5, Isola Bella, collezione privata

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Conegliano e di altri, portano interraferma la lezione veneziana: solocosì ci si accorge di quanto il giovaneBernardino “da Milano” sia “veneto”nelle sue prime battute. Siamo primadel 1508 e del ritorno del pittore aMilano. È qui, infatti, che si costruiscela fortuna di questo pittore el’invenzione di una formula cheincontrerà numerosi consensi e fior dicommissioni in città e nella provincia,e cicli di affreschi da San Maurizio alMonastero Maggiore di Milano fino aSaronno e Lugano, mescolando unaMilano devota e passioni profane, fraMadonne col Bambino e ilmonumentale monocromo di Ercole eAtlante, che pare franare addosso alvisitatore, affrescato per PalazzoLandriani fra 1517 e 1520. Il presuntoviaggio a Roma del pittore, a lungoipotizzato negli studi, a questo punto,non sarebbe così decisivo: Bernardinoha già venti anni di ricerca alle suespalle, e ha già avuto modo diassimilare riverberi della lezione delSanzio già importati a Milano da altripittori sulla scorta dei capolavoribolognesi e piacentini. Oltretutto, eratornato a Milano Cesare da Sesto, cheaveva visto Raffaello al lavoro nelleStanze e ne aveva tratto beneficio.

La mostra ha quel respiro e quellatensione possibile solo da parte di chipotrebbe scrivere tutto d’un fiato, ecol piglio delle grandi narrazioni, unagrande “Officina milanese” e regalarealla storia dell’arte un grande classicoche nella storiografia recente mancada tempo. Non mancherebbero, peraltro, gli elementi per metterloinsieme, con le “occasioni” di Luinidopo le “ragioni” di Bramantino e la

storia di Vincenzo Foppa “da vecchio”,senza dimenticare il “recit” diMantegna. E non mancherebbero,come non mancano in mostranell’allestimento progettato daLissoni, addentellati nel presente,improvvise impennate nei tempimoderni.

La fucina di Vulcano provenientedalla Pelucca, leggermente inclinata aricordare la sua originariadestinazione sopra un caminetto, iframmenti di affresco sempre dallaPelucca appesi su livelli disuguali (alleloro reali altezze originarie) sonoelementi di una giusta operazione di

filologia, ma nulla toglie loro quelforte gusto di operazione concettualesensibile verso il moderno: l’affresco èsospeso, inclinato come era in origine,ma in un ambiente puramentevirtuale evocato da quella solapresenza.

Lo stesso si può dire della “gabbia”che ospita le lunette per la Casa degli Atellani, databili intorno al 1530,oggi al Castello Sforzesco, soffocataforse dalla collocazione nella saladelle Cariatidi, ma che, sullo sfondo diun moderno “white cube”, avrebbe lasolenne austerità dell’arte povera.(l.p.n.)

Bernardino Luini, Madonna con il Bambino (Madonna del roseto), 1516-17 ca, tavola, cm 70x63,

Milano, Pinacoteca di Brera, concess. del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo

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La storia del disegno apre lastrada a una via privata allastoria dell’arte, e come tale non

manca di aprire scenari inaspettati:mostra la creazione nel suo divenire,facilitata da quella confidenza con la

carta meno mediata rispetto alrapporto con supporti più nobili. Inquesto tragitto, poi, il disegno puòrivelare intrecci sotterranei menodichiarati nelle opere “maggiori”, otradiscono tangenze inaspettate.

Talvolta, anzi, l’esito grafico è la solatestimonianza che attesti l’entità el’importanza di contatti e incontri chenon hanno lasciato altre traccedocumentarie. È il caso del sodalizio,breve ma intenso, fra lo scultoresiciliano Nino Franchina al suo arrivoa Milano, nell’ottobre del 1936, e ilpittore di origini sarde Aligi Sassu. Sudi loro si concentra la piccola epreziosa mostra curata da ValentinaRaimondo, che da anni propone conaccanimento una nuova prospettivasull’opera di questo scultore e il suocontesto, presso la milaneseFondazione “Corrente”, che è luogodeputato a ricordare due artisti cheproprio nel circolo di “Corrente”incontrarono un momento di slancioe di rinnovamento sia morale chelinguistico. Il luogo del loro incontro,infatti, è la Milano di Edoardo Persicoe Antonio Banfi. Franchina, appenaapprodato nel capoluogo lombardo, eospite prima nello studio di RenatoBirolli, poi in quello di Sassu. Virimane pochi mesi, fino a che nonvengono entrambi arrestati, il 6 aprile1937, con l’accusa di attivitàantifascista: per Franchina sarà unbrutto episodio che si risolverà inbreve tempo, mentre Sassu dovràscontare alcuni mesi di reclusione.

In quel breve passaggio, però, idue artisti, pur provenendo daesperienze diverse e conducendo

A sinistra: Nino Franchina, Senza titolo

[Figura femminile], 1937, mm 280x220,

acquarello su carta

A destra: Aligi Sassu, Senza titolo

[La bella in attesa], 1934, mm330x244,

acquarello su carta

LA MOSTRA/2NINO FRANCHINA E ALIGI SASSU SU CARTAAlla Fondazione Corrente di Milano

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ricerche autonome, si studiano e siosservano: è uno scambio fra artistidella stessa generazione ma conprovenienze geografiche differenti,con quanto comporta l’idea diterritorio sulla cultura visiva e su unmomento di formazione giovanile.Non si imitano, ma una volta allineatie messi a confronto i fogli dell’uno edell’altro, le tangenze, sia stilistichesia iconografiche, saltano subitoall’occhio. Per entrambi parlare didisegno significa, su una stradaaperta da Corrado Cagli e decisiva pergli artisti più giovani di quel decennio,intendere una grafica di sola linea: è ildisegno tipico degli scultori che, inquello scorcio degli anni Trenta, nondisdegnano il graffito e l’incisioneanche sulla superficie della scultura,su cui aggiungono un ulterioreelemento grafico. Al contempo,accanto alla sola linea questi artistiricorrono a un colore antinaturalisticoche accentua il dato espressionista,discostandoli dai più solenni egranitici modi novecentisti: sono gliUomini rossi di Sassu, che in queglianni legge, non senza profitto, Ilgusto dei primitivi di Lionello Venturiappena pubblicato. Un ritorno alprimordio, dunque, si traduce in unasemplificazione fisionomica edanatomica delle figure che condividecon il compagno di studio. PerFranchina, come fa notare ValentinaRaimondo, il contatto con Sassuinduce all’introduzione dell’acquerelloe del colore nella grafica: fino a quelmomento, il suo era un disegno soloin bianco e nero. Ora, invece, eccocomparire il rosso e altri colori ditimbro acceso, a marcare la

discontinuità e il punto di contatto.Non di rado, Franchina e Sassudisegnano direttamente con ilpennello, con una libertà e unadisinvoltura gravati di una tensioneetica. È un frangente breve einaspettato, del tutto nuovo per glistudi: presto i due artisti avrebberoprese strane assai diverse fra loro,verso l’astrazione il primo, radicandosinel realismo il secondo. Gli anni di“Corrente” erano davvero finiti. (l.p.n.)

ALIGI SASSU E NINO FRANCHINA. OPERE SU CARTA NELLA MILANO DEGLI ANNI TRENTA

A cura di Valentina Raimondo

MILANO, FONDAZIONE “CORRENTE”www.fondazionecorrente.org

8 maggio - 20 giugno 2014

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C on Sandro Martini, da qualchedecennio, l’elemento principedella pittura, il colore, ha

conquistato fisicamente la dimensionedello spazio.

È questo, a mio avviso, il cardineattorno a cui leggere la bella mostradell’artista livornese, ma naturalizzatomilanese, proposta dallo Studio d’artedel Lauro di Cristina Sissa. Chi entranell’ameno hortus conclusus che fa daraccordo fra i due spazi espositivi,infatti, verrà avvolto da una delle suegrandi installazioni ambientali di velibianchi e colorati tirati in una tensionedinamica: sono il frutto di unasensibilità verso i grandi spazi che puòessere solo di chi ha trascorso unlungo periodo della propria vita negliStati Uniti, ma sono soprattutto unretaggio della giovinezza dell’artista inuna città portuale, che porta con sé il

ricordo delle vele spiegate che, come isuoi teli, si gonfiano al vento; e comeper i lavori di mare, Sandro Martinicuce e rammenda, interviene di colorema con un portato artigianale e unameditativa lentezza di esecuzionetipica della sua generazione e delripensamento della pittura di gesto dicui sono stati protagonisti. Lo si vedebene nelle grandi tele recenti; giocatesu un primo intervento di macchia(Martini è fra i pochi e fra i primi adaccorgersi, in Italia, del lavoro di

Simon Antaï a Parigi) rivisitata poitramite l’aggiunta di altri pezzi di stoffae di libere cuciture come contrappuntidi una grafica seghettata, fatta disaette come di improvvisi musicali.Martini, insomma, lavora su più livelli,mescolando la processualità dellapittura d’azione con una costruzioneper addizione di materie debitrice allalogica del collage (o, meglio,dell’applicazione di frammenti colorati).Eppure, come fa notare Francesco Polinell’introduzione al catalogo dellamostra, c’è una continuità fra leinstallazioni ambientali e le opere sutela: «se nella prima fase si assiste aun’apertura effettiva verso l’esterno,successivamente, c’è progressivamenteun’assimilazione e una riproposizione informa concentrata delle esperienzeambientali dentro la superficie deiquadri». Poli mette anche in evidenzache «la caratteristica di fondo delletecniche miste su tela, è la trasparenzaetimologica del processo attraverso cuisono elaborate, nel senso che è deltutto visibile il doppio livello(dialetticamente integrato) fra unreticolato di linee oblique a matita che

SANDRO MARTINI. LEPANTO,DELL’ARMADA E ALTRO

MILANO, STUDIO D’ARTE DEL LAUROVIA MOSÉ BIANCHI 60www.studiodartedellauro.it

10 aprile - 12 giugno 2014

LA MOSTRA/3SANDRO MARTINI AL LAUROLa macchia, la vela e il rammendo

Sopra: Quantita Guara, 2012, tecnica mista

su tela, cm 200x145. Sotto: Armada , 2014,

tecnica mista, cm 46x86x31

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fa da griglia sottostante, e le zoneimpregnate di colore. L’interazione fra idue livelli crea un effetto di nitidacomprensione della tensione esteticadella composizione che emerge allostesso tempo come unaapparentemente caotica “esplosione”vitale di frammenti cromatici (blu,rossi, gialli, neri) e come il risultato diuna ben studiata e più freddaarticolazione grafica».

Non si resiste alla tentazione dileggere questo lavoro nell’onda lungadi certe pratiche futuriste, dalla stessaespansione scenografica del colorenell’ambiente (basti pensare ai suoi teliche planavano sulla corte ducale delCastello Sforzesco in un’installazionedegli anni Ottanta) al complessopalinsesto di segni descritto da Poli: inquell’aggiunta e sovrapposizione dimateriali, ancora più evidente neifragilissimi disegni su carta, c’è unritmo frenetico, come sequell’esplosione appena ricordatamandasse in mille pezzi un’insiemeunitario non più ricomponibile. Alcontempo, vanno a mio modo divedere in quella direzione anche leleggere e delicatissime sculture recentiche costituiscono il gruppo ispirato allabattaglia di Lepanto: le sue strutture inplexiglass rispondono a una tensionedinamica, come se Martini avessecongelato un istante di un movimentoin divenire, fissando a delle corde,ancora una volta, frammenti di carta odi tela imbevuti di colore: è il colorestesso che si muove. Anche nella terzadimensione, in ultimo, Sandro Martiniresta sempre un pittore: un pittore cheusa lo spazio, oltre la tela, come campod’azione. (l.p.n.)

L a rassegna, promossa dallaProvincia di Brescia,organizzata da Fondazione

Provincia di Brescia Eventi, colpatrocinio della Regione Lombardia,della Diocesi di Brescia - Ufficio per ibeni culturali ecclesiastici, colcontributo di Ristora, di FondazioneCariplo, riunisce per la prima voltauna selezione di 100 dipinti antichi dialtissima qualità provenienti dalle piùimportanti raccolte private della cittàe della provincia di Brescia, per offrireal pubblico l’opportunità, pressochéirripetibile, di entrare in contatto conil mondo segreto e inaccessibile delledimore bresciane, scrigni di tesorid’arte di inestimabile valore.

Brescia è stata - e lo è ancora

oggi - patria di un colto e raffinatocollezionismo, silenzioso e riservato,che può essere suddiviso in duedistinte categorie: quello di estrazionenobiliare e quello frutto dell’intuito edella passione per l’arte di grandiindustriali, stimati professionisti enotabili che, quadro dopo quadro,hanno formato collezioni in alcunicasi uniche nel loro genere per varietàe qualità.

Nella scelta dei dipinti,l’attenzione si è focalizzata suimaestri che hanno rappresentato lagloria della scuola pittorica bresciana

LA MOSTRA/4COLLEZIONISMO PRIVATO Brescia, capolavori a Palazzo Martinengo

Sopra: Girolamo Romanino, Sansone e

Dalila, olio su tela, olio su tela, 131 x 150 cm

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dal ‘400 al ‘700: da Foppa al Moretto,da Savoldo al Romanino, da FaustinoBocchi a Pietro Bellotti, da AndreaCelesti ad Antonio Cifrondi, aGiacomo Ceruti, di cui verrannoesposte per la prima volta opereinedite, affiancate ad altre già notealla critica tra cui alcune tele delfamoso “ciclo di Padernello”.

La mostra, che presenta inanteprima i più significativiritrovamenti compiuti negli ultimianni di ricerche che, in taluni casi,hanno consentito di riportare alla lucecapolavori di cui si erano perse letracce, consente anche di effettuareun viaggio attraverso secoli di storiadell’arte esplorando le differenticorrenti pittoriche succedutesi nelcorso del tempo – dal Rinascimento alManierismo, dal Barocco al Rococò –di apprezzare le varie iconografieaffrontate con estro e originalità dagli

artistica; protagonisti di questomomento furono tre soggetti - gliartisti, i committenti e i collezionisti -legati tra di loro dal comunedenominatore del “gusto per il bello”.

Da un lato, gli artisti, con estrocreativo e perizia tecnica, diedero allaluce opere che ancor oggi sannoemozionare chi le ammira; dall’altro, icommittenti, appartenenti allegerarchie ecclesiastiche, alla nobiltà oalle classi medie arricchitesi col fioriredei commerci, investirono parte deiloro capitali commissionando dipinti,sculture e arredi destinati ad abbellirechiese e palazzi, ville e castelli; infine icollezionisti, raffinati esteti dotati diuna particolare sensibilità per il bello,costituirono durante la loro vita deiveri e propri “musei privati” chetalvolta, spinti da un nobile intentoeducativo e da un forte senso civico,donarono alla propria città.

Moretto da Brescia, Venere con amorino, olio su tela, 160 x 220 cm

artisti, di istituire in città e inprovincia dei percorsi monotematiciquali “Romanino in Valcamonica”,“Moretto in città”, “Gian GiacomoBarbelli in Franciacorta”, “AndreaCelesti sul lago di Garda”, “Tiepolo ePittoni nella bassa bresciana”, nonchédi creare legami con le Pinacotechediffuse sul territorio bresciano, comeil Museo Lechi di Montichiari.

Tra il XV e il XVI secolo, si è vissutain Italia una straordinaria stagione

MORETTO, SAVOLDO,ROMANINO, CERUTI. 100 CAPOLAVORI DALLE COLLEZIONI PRIVATE BRESCIANE

BRESCIA, PALAZZO MARTINENGO(VIA DEI MUSEI 30)

1 marzo - 1 giugno 2014

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minutamente studiata da Carlo Ossola(discepolo dell’insigne studioso delbarocco in letteratura Giovanni Getto)nell’Autunno del Rinascimento, «Idea delTempio» dell’arte nell’ultimoCinquecento, che s’appoggia su testi dipoeti e di critici, soprattutto su queitrattati d’arte del secondo Cinquecentoche erano stati ripubblicati da PaolaBarocchi nei Classici Laterza (Trattatid’arte del Cinquecento fra Manierismo eControriforma), e dunque sul Dolce, sulGilio, sul Paleotti, sul Comanini, e altrimeno diffusi come il Danti, nonché sulVarchi, sul Vasari, su Federico Zuccaro,e il già ben noto Trattato dell’arte dellapittura, e Idea del Tempio della Pitturadi G.P. Lomazzo (1584-85).

Quando, a proposito del giardinopittoresco all’inglese (Il giardinod’Armida) ho richiamato l’attenzione suifamosi versi del Tasso: «Di natura artepar che per diletto / L’imitatrice suascherzando imiti», e su certi versi latinidel Bonnefon imitati da Ben Jonson, incui si contrapponeva la bellezza d’unasemplicità dall’apparenza negletta allalaboriosa toletta d’una donna azzimata,e soprattutto sulla leggiadra poesiola diRobert Herrick Delight in Disorder, nonfacevo che accennare a un motivo chestava in cima ai pensieri degl’irrequietispiriti del manierismo, il motivod’introdurre varietà; movimento,discordia concors nelle espressioni

S e una figura mitologica è atta arappresentareemblematicamente quella fase

della cultura che sta tra l’ultimoRinascimento e il barocco, questa èVertunno. Di Proteo egli ha lamutabilità , ma Proteo è già mutabilitàassoluta, pieno gioco di forme, essenzadel barocco; Vertunno è meno sfrenato,esperimenta mutazioni in vista d’unfine, cambia più volte la sua figura perentrar nelle grazie della bella ninfaPomona, cioè personifica il mutare delleculture per ottenere la fertilità deicampi raffigurata in Pomona, la dea deifrutti. E così l’età che egli è atto aimpersonare è caratterizzata da unaserie di tentativi, di atteggiamenti, diassaggi di nuovi accordi, che preludonoa quella che sarà poi la piena orchestra

del barocco. Vertunno è un personaggiodi Arcimboldi, il pittore che dallacombinazione di tipiche cose inanimatedava vita a forme umane, e cosìantropomorfizzava le stagioni, lepassioni e le professioni, e di frutticreava un autunno, di libri un dottore,e di pargoli il volto di Erode, quasi perfigurata metonimia (l’opera invecedell’autore). Codeste rappresentazioni,affini al cangiantismo nei colori,corteggiano l’ambiguità, né sono esentida ingegnosità che è anche sforzo,sforzo di mettere insieme, di tenereinsieme cose che sono sì confuse, maancora non proprio fuse.

Questa fase sotto il segno diVertunno, il manierismo, che sta tra lafase apollinea del Rinascimento e ladionisiaca del barocco, è stata

LIBRO DEL MESEAUTUNNO DEL RINASCIMENTO«Idea del Tempio» dell’arte nell’ultimo Cinquecentodi mario praz

Carlo Ossola, “Autunno delRinascimento. «Idea del Tempio»dell’arte nell’ultimo Cinquecento”,prefazione di Mario Praz, seconda edizione ampliata,Firenze, Olschki, pp. 428, 44 euro

Il volume, da tempo esaurito eora finalmente ristampato inedizione ampliata, si propone comeun classico sulla letteratura della finedel secolo XVI. I trattati d’arte deltardo Cinquecento sono il punto di

partenza per una ricerca volta aindividuare i principali filoniattraverso i quali si espresse la crisidella civiltà rinascimentale, inun’ottica attenta a riconoscere glielementi di ‘durata’ di un’epoca,l’«Autunno del Rinascimento», che fuculmine e tramonto di un’interaciviltà.

I brani qui presentati sono trattidalla prefazione - firmata da MarioPraz - e dal capitolo introduttivo.

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artistiche, di dare immagine di quellache Giordano Bruno chiamava «lamutazione vicessitudinaledell’Universo», e insieme di anteporreuna «nobile negligenza», a una «vildiligenza», e di conquistare «una graziache eccedesse la misura». Il concetto dimimesi, dell’arte che imita la natura,predominante nel Rinascimento,postulava in realtà un mondo statico,fissato come nella posa di un «arrestati,sei bello», ma ecco che nel Cinquecentosi fece strada l’idea che l’immagine delmondo, se la si considerava nellospirito, era tutt’altro che statica; eraanzi una continua vicenda, appunto il

regno di Vertunno: onde all’artista siriteneva convenisse unarappresentazione sganciata dalla meracopia della natura, un «disegnointerno», un’invenzione gittata giù sullacarta in uno schizzo autonomo. Nellafamosa definizione di Federico Zuccaro:«Il disegno entro di noi e` il primo eprossimo interno principio, formalemotore delle nostre istesse cognizioniet operazioni, conciosia che, movendoquesto prima l’intelletto nostro, e dopol’intelletto la volontà, et inoltre questale virtù nostre esecutive, noi operiamoal di fuori», l’arte figurativa dadisciplina meccanica, scimmia della

natura, è passata ad essere facoltàdipendente dalla filosofia, da tecnicaoperativa ad operazioneeminentemente speculativa, di liberaelaborazione del reale: primaaffermazione d’un principio gravidodelle più radicali conseguenze chegiungeranno a piena maturazione ecatastrofe ai nostri giorni.

A secondare quest’avviamento allapreminenza dell’elemento suriettivonell’arte contribuirono fattori esternicome la voga delle grottesche, deigeroglifici, delle imprese. Quandoparlando delle grottesche ho detto chegl’italiani ridussero a simmetria,

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A destra: Giuseppe Arcimboldo

(1526-1593), Vertunno (1590), Balsta,

Skoklosters Slott (Svezia).

Sotto: Frontespizio della seconda edizione

dell'opera di Giovanni Paolo Lomazzo,

Trattato dell'arte della pittura (1585)

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cristallizzarono in composizioni ritmatele decorazioni fantastiche della DomusAurea, non dicevo che una parte dellaverità. È vero sì che ridussero a metodola follia delle grottesche, ma qualcosadi quella follia s’insinuò pure nel lorometodo, suggerendo un’idea di piùlibere strutture, aprendo la strada al«capriccio». Coll’Arcimboldi l’Italia arrivò

al capriccio logico, giustificandosi comeuna riuscita sineddoche o metonimiaun Vertunno fatto coi frutti dei quali èsimbolo, un Erode fatto delle vittimedella sua crudeltà, ma non arrivò mai alcapriccio illogico, alle associazionisurrealiste di un Bosch, sebbene nonmancasse tra noi chi apprezzava lediavolerie del fiammingo, come il

Lomazzo.E d’altronde al capriccio,

preparavano anche le imprese (questepiuttosto che gli emblemi, avendoquesti, nelle figure, carattere piùillustrativo che fantastico), ché «lameraviglia proclamata “fine del poeta”dal Cavalier Marino, il trionfodell’arguzia e del concetto nellescritture, sono gli aspetti culminanti epiù appariscenti d’una tendenza che,prima di tutto, ebbe modo di dilagarenella vasta letteratura delle imprese».L’impresa non è altro che larappresentazione simbolica d’unproposito, d’un desiderio, d’una linea dicondotta (ciò che si vuole «imprendere»o intraprendere) per mezzo d’un mottoe d’una figura che vicendevolmentes’interpretano. L’atto dell’artista chegitta giù in un momento d’estrol’abbozzo iniziale che gli passa per latesta, è affine a quello di chi, in uncorto circuito di termini, vede unrapporto tra una figura fantastica e unproposito d’azione.

Il passaggio delle grottesche daelemento decorativo, limitato ainquadrature e cornici, ma nonincidente in una struttura essenziale, avero e proprio elemento strutturale fugià osservato da F. Piel fin dal 1962, edè ora sottolineato dall’Ossola, che citaun passo (1567) del Danti, il quale fu ilprimo a staccare la grottesca dal suoambito di curiosità archeologica, e aconsiderarla come tipica di un generedelle cose che non si trovano in natura,sebbene allusive a elementi di natura,che egli denominò «chimere»,

la Biblioteca di via Senato Milano – maggio 201444

Frontespizio de Giorgio Vasari, Le vite,

Firenze, Torrentino, 1550

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ammettendo quindi come soggetti diopere d’arte vere e proprie (e non solocome ornamenti) cose che non sonoimitate dalla natura, ma frutto di un«disegno interno» che come nei sognielabora elementi provenienti dallarealtà e altri che salgono dal profondodella psiche, un processo genetico,insomma, parallelo a quello dellanatura, emulandolo nell’incessantecreazione di nuove forme.

Cominciò il Tasso ad ammettere ilgioco della varietà sulla norma («il bellosarà trasmutabile, e a guisa dicamaleonte prenderà diversi colori,diverse forme, e diverse immagini eapparenze»), e il meraviglioso, masempre ancorato al credibile,opponendo la mediazione del«probabile», una mediazione che ilGuarini supera istituendo una nuovacoerenza retorica, quella del«persuasibile», basata sullareinterpretazione di un passo diAristotele: mentre prima i volgarizzatorie commentatori della Poetica avevanotradotto la parola pithanon con«credibile», il Guarini tradusse con«persuasibile», e la differenza èsottolineata dall’Ossola: «Mentre il“credibile” non è, sicché non è

riconosciuto come tale dal suopubblico, dal fruitore dell’opera, il“persuasibile” si affida soltanto sullaforza (a persuadere) della “finzione” cheè l’opera, sull’artificio della suacoerenza interna, sulla ingegnositàpersuasiva della costruzione,sull’inappuntabile virtuosismodell’autore, sulla novità delle invenzioni,sullo stupore delle “belle menzogne”».D’altra parte il Comanini aveva elogiatoil «falso che del ver più ver parea», edaveva ammesso la pacifica coesistenzadi «capriccio e moralità» (come nelleimprese), e con quest’idea e il«persuasibile» del Guarini, «la civiltàletteraria barocca», osserva l’Ossola,«trova la sua prima e più solidafondazione». Era infatti così giustificatolo scivolamento del meraviglioso versoil non ancor fisso e stabile, verso ilmobile, il peregrino, il bello deforme, lapiena disponibilità metaforica dellaparola, lo stupefacente, infine verso lasinestesia, come può leggersi in unsintomatico commento del Comaninisull’Arcimboldi il quale, secondo lui, erariuscito nei colori a dividere il tonoladdove Pitagora in musica non erariuscito con la sua matematica adividere il tono in due semitoni uguali:

così, nota l’Ossola, «ogni cosa perde ilsuo confine: la parola si fa colore, ilcolore musica, e ogni cosa può divenireun’altra»: il regno di Vertunno,veramente.

AUTUNNO DEL RINASCIMENTOdi carlo ossola

qualunque sii il punto di questa serach’aspetto, si la mutazione è vera, ioche son ne la notte, aspetto ilgiorno, e quei che son nel giorno,aspettano la notte:tutto quel ch’è, oè cqua o llà, o vicino o lungi, oadesso o poi, o presto o tardi.

G. Bruno, Candelaio

Quando Giordano Bruno scrivele parole che ho soprariportato, dedicandole «alla

Signora Morgana», «la mutazione», chel’autore aspetta, da più parti affiora, edin molteplici modi esprime le premessedi una nuova visione della natura,dell’uomo e del tempo, a cui lo stessoBruno contribuisce rinnegando -osserva Eugenio Garin - «l’ispirazionepiù valida dell’umanesimo, tutto

C arlo Ossola è professore alCollège de France, cattedradi Letterature moderne

dell’Europa neolatina, e ha fondatol’Istituto di Studi Italiani, Lugano.Membro dell’Accademia dei Lincei,dirige presso Olschki le riviste«Lettere Italiane» e «Rivista di Storiae Letteratura Religiosa». Tra le sue

opere più recenti: Libri d’Italia(1861-2011), Roma, Ricciardi, 2011;Il continente interiore e Introduzionealla «Divina Commedia», Venezia,Marsilio, 2010 e 2012; Letteraturaitaliana. Canone dei classici, Torino,Utet, 2012, VIII tomi; A vif. Lacréation et les signes, Paris,Imprimerie Nationale, 2013.

maggio 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano

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traversato da un senso acuto dellatemporalità, vivo tutto di ‘memorie’,laddove il tempo bruniano che “tuttotoglie e tutto dà” pareggia ogni cosa,ugualmente risolvendola nellamutazione vicissitudinale dell’universo».

Questa inquietudine, che sembrapercorrere tutti gli elementi del creato,ha profonde radici nella piena stagionerinascimentale e avrà presto nuovifrutti nella civiltà del Seicento. È statoperciò compito preliminare del miolavoro cercare d’individuare nelcomplesso panorama letterario delsecondo Cinquecento quei generi etemi, tradizioni e fonti, quegli ambiticulturali e problemi più discussi, quegli

autori e quel pubblico, i quali, senzaoffrire troppe suggestioni di faciledispersione e curiosità antologica,potessero tuttavia individuare almenoalcuni tra i principali filoni attraverso iquali si esprime la crisi della civiltàrinascimentale e s’imposta quellabarocca, e offrire nello stesso tempodati precisi di cronologia e di geografia,e nuclei costanti di struttura, entro iquali circoscrivere la mia ricerca.

La scelta del genere non solo èstata orientata e sollecitata dai risultaticontradditori cui sono giunti i criticid’arte, e più recentemente anche icritici della letteratura, nei loro studi suitrattati d’arte del secondo Cinquecento,

e dalle polemiche ancor vive sui terminie sulla caratterizzazione di Manierismoe Antirinascimento, Autunno delRinascimento e Barocco, e sul problemadei rapporti Arte-Controriforma; ma èstata poi determinata dalla volontà dioperare su testi nei quali più vivo fosselo sforzo di speculazione critica, piùdichiarato il desiderio di sistemazioneteoretica dei dati e l’ambizione disintesi e riassunto di tutta unatradizione d’arte sentita ormai al suoculmine se non proprio al suo declino;e nei quali tuttavia l’esercizio discrittura non si esauriva in unadisimpegnata acribia filologica, come èinvece il caso di molte «sposizioni» e

Sopra da sinistra: Frontespizio della prima edizione del Trattato dell'arte della pittura (Milano, Paolo Gottardo Pontio) di Giovanni Paolo Lomazzo

(1538-1592); Frontespizio dell'Idea del Tempio della Pittura, di Giovanni Paolo Lomazzo, in una edizione bolognese (stampata su istanza

dell'Istituto delle Scienze) del 1795

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volgarizzamenti della Poeticad’Aristotele, compilati daicontemporanei critici letterari, mamirava ad essere canone normativodelle sempre più imprevedibiliesperienze d’arte del momento,divenendo così specchio di una civiltàin crisi e modello proposto ai giovanipittori. D’altra parte la critica d’arte nonè più, come ai tempi di Cennini e diGhiberti, mera trasmissione dei segretid’una bottega d’esperti artigiani,esposizione d’una sapientia acquisitanel mestiere e avvalorata dalle antichefonti, ma cerca una sua giustificazionedi valore, mutuando sempre piùconsapevolmente temi e orientamentidalla retorica e dalle poetiche letterarie,secondo la celebre analogia ut picturapoesis: sollecitata in questo da un latodalle istanze dei manieristi, imperniatesulla dottrina dell’Idea, dall’altro dallanuova attenzione che il Conciliotridentino, in polemica con iprotestanti, dedica alle immagini.

In tal senso è tutta da rivederel’impostazione tradizionale data alproblema della Controriforma, almenonei suoi rapporti con le arti figurative,perché se da un lato c’è la pretesa diregolare la produzione artistica con unaminuta precettistica, dall’altro questoatteggiamento deriva dalla nuova emaggiore importanza assunta dalle artivisive nell’economia apologetica epastorale postconciliare, come del restoannotava già l’Armenini: «... dopo lapubblicazione del Sacrosanto eduniversal Concilio di Trento, pare cheper tutta la Cristianità si faccia quasi agara di fabbricare bellissimi esontuosissimi templi, cappelle emonasteri»; la mia ricerca, illuminata

dai documentati studi di Paolo Prodi,vuole essere un contributo anche inquesta direzione. L’importanza letterariadei trattati inoltre non e` solo garantitadalla efficacia stilistica di alcune paginedi Sorte, come notò Eugenio Battisti, diGilio, di Comanini e di Lomazzo, masoprattutto dalla presenza di riferimentiprecisi alle poetiche contemporanee, ditemi, di figure retoriche, di struttureche, mutuate dalle fonti letterarie, sonopoi sviluppate con un’autonomaricchezza di motivi (si pensi al temadell’universalità della pittura e dellegrottesche) tale da costituire il primonucleo del prossimo repertorio baroccodi immagini; e per altro verso il nuovoprestigio della pittura e il nuovoproblema della fruizione artisticastimoleranno i letterati a ricercare la«pittoricità» e la «musicalità» dellapagina, a far emergere, dalla parola,non più l’aurea purezzadell’appartenenza a un lessicopetrarchesco consacrato, ma la segretavibrazione melodica o il cangiantetimbro pittorico, come acutamenteosserva Ferruccio Ulivi:

Un’usufruizione artistica sorgerà solo

a Rinascimento adulto; quando un

Tasso [...] sembra colludere con le sue

esperienze stilistiche col pittore e col

musicista. È allora che hanno inizio

quei fenomeni di una scaltrita

letterarietà che si diranno la

«pittoricità», o la «musicalità» di una

pagina. E pittoricismo e musicalismo

forniranno il tessuto di un clima

come il successivo; dove la parola

sembrerà improntarsi di un’ambigua

e tortuosa captazione del suo

rapporto con gli altri mezzi espressivi,

come nel Marino.

Un ulteriore motivo di scelta èfornito dalla struttura stessa deitrattati: nelle linee complessive ècostante in essi il binomio giudiziostorico-norma precettistica, e comune èl’elaborazione delle fonti pliniane evitruviane e il riferimento ai temi e allediscussioni emersi dalla famosainchiesta del Varchi; abbastanzacircoscrivibili infine il lessico e leparole-chiave, organizzati del resto insintagmi e in nuclei asindeticialtamente formalizzati: tutto questo,sorretto da uno spoglio sistematico deitesti, mi ha permesso di impostare lostudio in linea diacronica dello sviluppoe delle variazioni di intensità e dicampo relativamente ad alcuni deinuclei principali di struttura dei trattati.Unendo collocazione sincronica dellaproblematica ideologica degli autori nelpanorama storico e nelle aree diprestigio culturale del momento, conl’analisi diacronica delle strutturetestuali, mi è parso di evitare sial’astratta selezione tipologica, cuiapproda chi, come il Curtius, astrae leforme dal contesto, sia la liberaelezione tematica, cui si affida chi fadella letteratura soltanto un colloquioideale tra autore e lettore, senzapassare attraverso i codici secondo cuisi costruisce l’opera e il «genere» nelquale comunicandosi instaura ilconsenso.

Restava infine il problema di unadelimitazione cronologica chepermettesse non solo di dare unità allavoro, ma individuasse altresì i limitientro i quali analizzare i segnali di crisidi una civiltà , senza per questo negare

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(con una eccessiva estensione neltempo) la specificità del Rinascimento oanticipare i termini della civiltà barocca(relegando così in ombra il Manierismo),oppure respingerli soltanto nel Seicento,facendo del secondo Cinquecento illibero e scosceso campo del Manierismoe dell’Antirinascimento o dellaControriforma. Mi sono valso perciòdelle osservazioni e delle proposte cheGiovanni Getto avanzava già nel 1953 aproposito del Bandello e che, unite allericerche sul Tasso e sul Barocco,costituiscono una solida base critica perun inquadramento della civiltàtardorinascimentale, di cui lo studiosoin poche ma penetranti righe traccia unprimo profilo:

Ed è soprattutto per questo senso

gremito, di accumulo di realtà, che il

novelliere [scil. Bandello] sembra

oltrepassare le frontiere segnate dalle

classiche dimensioni, tutte ordine e

misura, proprie del gusto

rinascimentale, ed accostarsi a quella

nuova sensibilità meno selezionata e

più inquietamente curiosa e caotica,

che sarà propria della civiltà barocca

[...] Certo, il Bandello appartiene al

Rinascimento, ma all’autunno del

Rinascimento. Un’atmosfera nuova

pare stendere un impercettibile velo

sulla sua opera. E chi non si

compiaccia solo di rigidi

inquadramenti storiografici, e ami

non tanto concepire i periodi della

storia letteraria come monadi

incomunicanti quanto piuttosto

avvertire il lento e continuo

trasformarsi e mutare dei temi e delle

strutture, non mancherà di registrare

con cura la data di apparizione di

questo volume [scil. 1554], e vorrà

collocarla, insieme ad altre date, su

una linea che finisce col determinare

una specie di diagramma orientativo

del momento in cui si rende più

sensibile il trascolorare da una ad

un’altra civiltà del gusto.

In questo ideale diagrammapossiamo accostare un’altra data, moltovicina a quella segnalata da Getto, ecioè il quadriennio 1547-1550, nelquale il Varchi compie la sua inchiesta

tra pittori e scultori (1547) e pubblica leDue Lezzioni (1549) e del Vasari apparela prima edizione torrentiniana de Levite (1550): opere che saranno il puntodi riferimento obbligato e la traccia per isuccessivi trattatisti; e segnare infinecome punto estremo della ricerca glianni 1590-1591, in cui vengono allaluce Il Figino del Comanini e l’Idea deltempio della pittura del Lomazzo, autori(non a caso legati all’inquieto ambientelombardo) ormai avviati a superare inuna libera espansione tematica ilfaticoso tentativo d’equilibrio ancoracaro al Paleotti, al Borghini, all’Armenini.In quest’arco di circa quarant’anni diesperienze letterarie, se i trattatistid’arte saranno l’oggetto primo della miaanalisi, sarà dato rilievo ancheall’emblematica, alle varie Poetiche, alleopere teoriche del Tasso in specie, aquei testi insomma in cui lo sforzo diriflessione e l’ambizione di pervenire,pur nelle polemiche e nell’incertezza, aformulare un ultimo kosmos, araccogliere nell’«idea del tempio»dell’arte almeno i grandi di una civiltàche tramonta, sono uniti allaconsapevolezza di rivolgersi a unpubblico dotto ma inquieto, che ama laclassicità purché raccolta in un simboloconcettoso, che giudica con «gustoisvogliato» anche i più arditi «ghiribizzi egrilli», se non hanno del peregrino edell’acuto, e che è alieno sia dallefatiche, troppo regolari, del Trissino, siadalla «malinconica» tempra deimanieristi, sia - almeno per un certotempo - dalla imagerie ossessivadell’Antirinascimento.

Paolo Veronese (1528-1588), Dialettica

(Aracne), 1580 ca., Venezia, Palazzo Ducale

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SE SOFFRI DISTITICHEZZASTITICHEZZA

OCCASIONALE...

SE SOFFRI DISTITICHEZZA

OCCASIONALE...

... PUOI SOFFRIRE ANCHEDI GONFIORE ADDOMINALE

... PUOI SOFFRIRE ANCHEDI GONFIORE ADDOMINALE

AGISCE DALLA SERA ALLA MATTINA

AGISCE DALLA SERA ALLA MATTINA

È un dispositivo medico CE 0482. Leggere attentamente le avvertenze e le istruzioni per l’uso. Autorizzazione del 28/02/2014

È un medicinale a base di bisacodile da assumersi se una dieta ricca di acqua e fi bre non è suffi ciente. Non somministrare ai bambini e alle donne in gravidanza senza consiglio del medico. Consultare il medico se la frequenza di assunzione supera le 3-4 volte al mese. Leggere attentamente il foglio illustrativo. Autorizzazione del 04/03/2014

IN CASO DI STITICHEZZA OCCASIONALE IN CASO DI ARIA NELLA PANCIA

AZIONE RAPIDA

N CASO DI STITICHEZZA OCCASIONALE IN CASO DI ARIA NELLA PANCIA

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barbariche… Sopportarle. Pri-ma o poi passano.

� PROMEMORIA MOLTOUTILE 1) Ciò che non si è letto,si può stroncare; 2) La vita è trop-po breve per leggere MelaniaMazzucco; 3) La vita è troppobreve per leggere in generale; 4)Evitare inutili Amarcord; 5)Compresi i film di Fellini; 6) inLetteratura non esistono santi; 7)Che cazzo vuol dire? 8) Non si sa.

� IL BLOG MINIMA&MORALIA Stigmatizzare, di-cendo che è una roba da fighettiradical-chic. Se qualcuno lo di-ce prima, ribattere che questo èsnobismo al contrario.

� CHEF In tv hanno stufato,più degli scrittori. E voi, fraMasterchef e Masterpiece, avetesempre preferito La pupa e il sec-chione. E più le pupe dei sec-chioni.

� DIBATTITI “Con la cul-tura si mangia!”. “Sì, ma a volte

Punture di penna

� APPLAUSI Ricordarsi chenon si negano a nessuno.

� IMPORTANZA Per aver-la, bisogna darsela. Cosa chel’intellettuale sa fare benissimo.

� TRECCANI Utilissimaper le inquadrature televisive.

� CRETINO Quello di sini-stra ha una spiccata tendenzaverso tutto ciò che è difficile:crede che la difficoltà sia pro-fondità. Quello di destra versotutto ciò che è costoso: credeche il lusso sia eleganza. Voi, na-turalmente, non siete né di de-stra né di sinistra. Né, beninte-so, un cretino. E avete ancheletto Leonardo Sciascia.

� KINDLE a) “Vuoi metterela comodità rispetto ai vecchi li-bri?”; b) “Ah, io all’odore dellacarta non rinuncio”; c) Una cosada bambini, come il famosoovetto Kindle.

� DOMANDE INUTILI Ad

esempio: “Il teatro può ancoranarrare il presente?”. Oppure:“Hai letto il croccante pezzo diArbasino di oggi su quando siandava tutti al Jamaica?”. O an-che: “Ma Scalfari, è un giornali-sta prestato alla filosofia, o unfilosofo condannato a fare ilgiornalista?”. E infine: “Checazzo me ne frega?”.

� INVASIONI Ci sono quel-le editoriali, digitali, extraco-munitarie, aliene, multiplayer,

Sopra: Luigi Mascheroni. Nella pagina

accanto: Vue du salon du Louvre en

l’année 1753, in un’incisione d’epoca

LUIGI MASCHERONI

Consigli intellettuali per il vero Maître à penser

Ovvero: come furoreggiare nei salotti – parte settima

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è indigeribile…”.

� BOTOX Un diritto. Ancheper chi scrive. Perché poi devepur andare in tv…

� MAXXI Se il Museo Maxxioffre ai visitatori attività collate-rali, dallo yoga al cinema, non èper una bieca operazione di mar-keting, ma perché è un’istituzio-ne aperta a tutti i linguaggi dellacontemporaneità. Convenirne.

� NUOVI MEDIA Per l’ag-gettivazione, ricordarsi “tra-sversali” e “contaminati”. Maanche: “A volte pericolosi”.

� DOMANDE DA NONFARE Perché scrivi? Che finehanno fatto gli intellettuali? Bi-sogna diffidare della realtà?Meglio credere alla menzogna?La poesia salva la vita? Perchénon ristampano più Flash Gor-don? Hai letto il nuovo roman-zo di Rosetta Loy? No, sono in-deciso, vorrei iniziare La monta-gna incantata di Thomas Mann:tu che dici?

� DOMANDE DA FARSIPerché scrivo?

� DOPPIA MORALE Cita-re a sproposito per intimidire

l’avversario: “Mi permetta di ri-cordarLe che Lei pubblica conla Mondadori di Berlusconi…”.

� DUBBI Ma pubblicare perBerlusconi essendo anti-berlu-sconiani può essere consideratauna forma attualizzata delladoppia verità togliattiana? Ar-gomentare pro e contro.

� “CHE TEMPO CHE FA”Viene in un bundle insieme con:le scarpe col mezzo tacco di DariaBignardi, le espressioni “Quan-t’altro” e “Via discorrendo..”, labicicletta col cestino di vimini diGad Lerner, le bretelle di Federi-

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un sacco di scrittrici di carattere.

� SEVERGNINI, BEPPESostenere che è il giornalistaitaliano più letto d’Italia. Se ne-cessario arrivare fino al più lettod’America o, in casi estremi, delmondo.

� HEIDDEGER, MARTINVoi l’avevate sempre sostenutoche fosse antisemita (e HannahArendt un po’ psicopatica).

� VALORI NON NEGO-ZIABILI Valori in cui credel’intellettuale: 1) l’Arte come essenza stessadello spirito umano 2) la Religione come confrontoe conforto 3) la Letteratura come espres-sione stessa del mondo4) il potere salvifico della Poesia5) la figa

� VINCITORI Purtroppohanno sempre ragione, anche inLetteratura. Chi vende di più,va da Fabio Fazio.

� VINTI Per fortuna hannosempre torto. Chi vende di me-no, gli fanno un pezzo sul blogdi minimum fax.

� LETTORE Il migliore inassoluto è quello che sa, primadi tutto, cosa NON leggere.

� VANITÀ Utilissima, chec-ché se ne dica.

co Rampini, Eataly, i film di e conAlba Rohrwacher, Pif, la trasmis-sione di libri di Concita De Gre-gorio, i libri Adelphi, quelli mini-mum fax, la collana Einaudi StileLibero, le pashmine di Lilli Gru-ber, i pezzi di Beppe Severgninisul Festival di Mantova, i saggi diSlavoj Zizek, il “bio”, le auto ibri-de, le famiglie omo…

� CRISI DELL’EDITORIAAborrire la trasformazione dellibro in merce. Ricordare quan-do gli editori pubblicavano perfare cultura e non per fare dena-ro (senza addentrarsi tropponegli esempi). Citare Einaudi(Giulio, non Luigi). Apologiadell’editoria di qualità. Ricor-dare: “Piccolo è bello”. Conclu-dere: “Poi è arrivato Berlusconie con Drive In ha devastato l’I-

talia”. “Ma cosa c’entra?!?”.“Beh, la Mondadori è sua”.

� FANTASIA: Se la si usa inletteratura, ricordarsi che rispet-to alla realtà deve essere credibile.

� GADDA, CARLO EMI-LIO Liquidarlo: “Barocco”. Eavete detto tutto.

� POTENTI Ingraziarseli.Non si sa mai.

� DEDICHE Spesso gliscrittori associano alla propriaopera mediocri personaggi de-gni soprattutto di venire di-menticati. Citare a caso.

� SCRITTRICE DI CA-RATTERE Perifrasi per dire“stronza”. Infatti in Italia ci sono

David Teniers il Giovane (1610–1690) L’Arciduca Leopoldo Guglielmo e i pittori nella sua Pinacoteca di Bruxelles, 1651 circa, olio su tela, Vienna,Kunsthistorisches Museum

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cioè di vedere nell’immanenzadel mondo il luogo della festivitàdivina di cui uomo e natura sono iprotagonisti. In fondo le novellenarrate dalla brigata dei giovanidel Decamerone son lo strumentoper esorcizzare e allontanare lapeste e dunque la morte.

Poliziano raccoglie l’eredi-tà di Boccaccio: il mito divienefatto formale, decorativo, ma an-cora funzionale ad ammansire ededucare la ferina realtà naturale,sull’esempio di Orfeo l’incanta-tore.

È ancora nella sua veste for-male e decorativa che il mito vie-ne presentato nell’Arcadia di Ja-copo Sannazaro, ove regna la no-stalgia di un mondo che si sa irri-mediabilmente perduto: «Le no-stre muse sono estinte; secchi so-no i nostri lauri; ruinato è il no-stro Parnaso; le selve sono tuttemutole; le valli e i monti per do-glia son divenuti sordi. Non sitrovano più Ninfe o Satiri per liboschi…».1

Questo clima in qualchemodo narcotizzato dall’ingab-

Italia letteraria

Dalle sue origini lo sforzodella nostra letteratura èstato quello di trovare

un equilibrio tra il modello fortedel canone mitico (sia esso cri-stiano o classico) e quello “debo-le” del discorso letterario. Undialogo serrato che genera un ac-crescimento di senso reciproco;il modello letterario trovando inquello mitico una costante di ri-ferimento e quello mitico tro-vando nel modello letterario unagaranzia di perpetuazione, sep-pure al prezzo di una metamor-fosi formale.

Nel Medioevo la narrazio-ne del mondo cristiana e quellaclassica si sono confrontate dura-mente nella dialettica tra una let-teratura religiosa e una laica finoa quando la sintesi di questo dis-sidio viene compiuta, per la pri-ma ed ultima volta, dal magisterodi Dante; la Divina Commediacontiene infatti sia il mito classi-co che quello cristiano.

Nella Commedia il mitoclassico, ormai sfiorito nella rigi-dità codificata, trova addirittura

una rivitalizzazione proprio gra-zie all’incontro e alla fusione conla Verità cristiana.

Il contrasto tra le due mito-logie apparirà invece insanabile aPetrarca per il quale mentre ilmito cristiano rappresenta unaverità adulta, quello classico è in-vece ormai un “tiepido sogno”.

Il grande recupero del mitoclassico avviene grazie a Boccac-cio, la cui poetica così fortemen-te intrisa di sensualità testimoniadi una precisa scelta “pagana”che risolve il dissidio in favore diuna delle due mitologie. Il poetaclassico è celebrato come un teo-logo volto al naturale, capace

Persistenze mitiche nella letteratura italiana

Un viaggio giornalisticoRICCARDO PARADISI

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biamento formalistico dei mitiviene investito e vivacizzato dal-l’azione dissacratoria del Pulci ilquale nel Morgante esprime l’i-dea dell’impossibilità non solo diun’eventuale riconciliazione osintesi tra le due mitologie inquestione, ma della mitologia inquanto tale. L’indifferenza tral’essere cristiano o “saracino”, trail credere “in Cristo o in Apolli-no” espressa nel poema tradiscechiaramente l’intento dissacra-torio, parodistico del Pulci.

Ma è Ariosto a sancire chia-ramente l’eclisse del mito: l’Or-lando è la creazione puramenteletteraria di una mitologia uma-na, dimostra che ormai la lettera-tura può contare soltanto su sestessa. È da questo stato di coseche prende a muovere il Tasso,cercando dal confronto delle due

mitologie una nuova sintesi e ilsuperamento del disincanto ario-stesco. La Gerusalemme liberata èil tentativo di una nuova epicacristiana che col modello lettera-rio rilanci anche il mito cristianointeso non quale favola, ma qualeverità. Ma l’esito è esattamenteopposto; quella cristiana apparein realtà solo la veste decorativadi un’opera la cui natura è sostan-zialmente pagana i suoi modellirestando Virgilio e Lucrezio e isuoi temi l’onore e il valore guer-riero. Il fallimento del Tasso è ladimostrazione della difficoltà dicombinare, dopo Dante, una sin-tesi tra romance eroico ed eroti-co e mito cristiano.

Dopo il tentativo del Tassoe la “provocazione” di Pulci ilSeicento e il Settecento conti-nueranno a produrre mitologie

decorative e ornamentali. Certo,nel Cinquecento una nuova mi-tologia si affaccia sulla scena del-la storia ed è quella costruita in-torno al mito magico elaboratoverso la fine del secolo da Brunoe Campanella. La magia, l’erme-tismo, restano tuttavia un feno-meno sotterraneo che non riescea rivitalizzare il mito.

Tramontata l’alternativamagica il Seicento si trova difronte ad un mito ridotto a puracoreografia, impianto concet-tuale devitalizzato. A questa si-tuazione reagisce l’Arcadia, manon trovando di meglio che ri-chiamarsi alle poetiche cinque-centesche per ridare dignità edequilibrio alla letteratura.

L’illuminismo del restoguarda al mito con disprezzo, ri-tenendolo espressione di unmondo prerazionale: nell’Ency-clopedie la voce mito non compa-re, mentre è presente il lemmamythologie.

Nel Giorno di Parini il mitosvolge una funzione meramenteironica, viene presentato qualestrumento di abbellimento delfutile; e mentre il giovin signoreviene qualificato come “semidioterreno”, “eroe”, “Achille”.

E però in epoca neoclassica,sono proprio dei teorici e deglistorici dell’arte come Milizia,Winckelmann e Mengs a favori-re una stagione di nuovo interes-se per il mito, aprendo la via allapoesia del Monti. Il mito, visto daquesti teorici quale astrazione

La Chained library della cattedrale di Hereford

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dal sensibile e forma di disciplinaper la fantasia, supera in certosenso la barricata illuminista,ispirando proprio i cultori di unadelle sue creature: l’estetica.

Nel Sermone sulla Mitologiadel 1825 Monti, pur consapevoledel tramonto del mito e deltrionfo «dell’arido vero», parladel mito come «prima fantasiadel mondo».

Le generazioni romantichevivranno di miti: e paradossal-mente proprio il romanticismo,quale fase “sentimentale” dellacultura, riesce di nuovo a farmarciare uniti i due miti di sem-pre il classico e il cristiano: Il ge-nio della nazione di Herder e Il ge-nio del cristianesimo di Chateau-briand.

La prospettiva storicisticaporta invece Manzoni a dichiara-re l’inconciliabilità tra mito estoria e Leopardi registra concrudezza il disincanto del mon-do. La posizione leopardiananon è tuttavia la stessa del Man-zoni.

Leopardi non è infatti soloil lucido osservatore del disin-canto del mondo, è anche coluiche cerca nella lingua una tracciache possa ricondurre al mondoprimevo, quando «ogni cosa ciappariva o amica o nemica no-stra, indifferente nessuna, insen-sata nessuna». È la preponderan-za della ragione ad aver condan-nato l’uomo alla sua condizionestorica, scrive Leopardi in unanota del 19 dicembre del 1820

nello Zibaldone; il pensiero poe-tante, la rimeditazione degli an-tichi e delle origini se non sonocerto una nuova mitologia espri-mono un rammarico e una no-stalgia che sembrano preparareun attesa al ritorno del mito.

Quanto avviene di poste-riore a Leopardi è sviluppo e cri-stallizzazione di quanto il Ro-manticismo aveva già pensato: imiti risorgimentali son miti ro-mantici che divengono mitologialetteraria di impronta marcata-mente nazionalistica e politica.

Per il resto, il modello rima-ne Manzoni, a cui De Marchi eCapuana si rifaranno mentre DeSanctis disegna con la storia dellaletteratura italiana un grande af-fresco epico-mitologico in cui iprotagonisti vengono investiti diuna luce che ne fa degli eroi e del-le leggende. Il poeta riacquistaaura di mago, di demiurgo, sta-volta creatore di una nazione.Carducci, Pascoli, d’Annunzioriprendono motivi mitici fondatisu nazione ed individuo e dunque

sulla storia. Tozzi e Pirandellorappresentano invece la fasecompiuta della demitizzazione:descrivono l’assurdo di un mon-do umano travolto dalla storia eprivo di miti.

Invece l’evoluzione dellapoetica dannunziana è Marinet-ti, il Futurismo, ove però al luogodi una natura percorsa da fremitipagani troviamo la macchina.2

Nel dopoguerra la lettera-tura non trova più alcun riferi-mento mitico: non quello cristia-no, non quello classico, nemme-no quello romantico, esauritocon d’Annunzio. I dialoghi conLeucò di Pavese, redatti tra il 1945e il 1947 e coevi ai Saggi sul reali-smo di Lukàcs, rappresentano pe-rò l’ansia e la volontà di colmareil “grande vuoto” lasciato dallascomparsa del mito. Negli stessianni Pavese traduce la Teogonia diEsiodo (stampata postuma nel1981) e nel 1946, come si evincedal diario, rilegge Frazer, già co-nosciuto negli anni ’30 assieme aLevy Bruhl.

Solo tramite il mito è possi-bile per Pavese risalire all’originedi tutti gli “eventi insostituibili”che «valgono come moduli su-premi della realtà come suo con-tenuto, significato e midollo etutte le vicende quotidiane ac-quistano senso e valore in quantone sono la ripetizione o il rifles-so».3 Pavese ha dimostrato con lasua vita e la sua morte quantopossa mordere l’anima il disin-canto del mondo.

NOTE1 J. Sannazaro, Arcadia, in Opere Vol-

gari, a cura di A. Mauro,Laterza, Bari,

1961, p. 130.2 Riguardo l’argomento che stiamo

affrontando, se pur di passata, si veda

l’interessante e denso Simona Cigliana,

Futurismo esoterico. Contributi per unastoria dell’irrazionalismo italiano tra Ot-to e Novecento, La fenice edizioni, 1996.

3 C. Pavese, La letteratura americanae altri saggi, Torino, Einaudi, 1951, p.301.

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o geometria. Da rilevarsi chel’esemplare, posto in vendita anovecento euro dalla LibreriaAntiquaria Bongiorno di Mo-dena, presenta in buono stato diconservazione anche l’origina-ria copertina stampata, in quan-to la pubblicazione è custoditaentro un astuccio più recente ditela nera.

Più ristretti, ma di maggio-re organicità, né potrebbe esse-re diversamente, gli assunti e lededuzioni che si trovano a fon-damento del Trattato di geome-tria descrittiva del matematico efisico francese Gaspard Monge(1746-1818), conte di Pèluse,sotto Napoleone. Nell’opera inquestione, difatti, si trova per laprima volta congiuntamenteenunciata e dimostrata la validi-tà del metodo della doppiaproiezione ortogonale, quandos’intenda raffigurare un oggettotridimensionale su di un unicopiano. Soluzione di un proble-ma geometrico che troverà ulte-riori applicazioni e ramificazio-ni, pure nell’edilizia militare,

L’Altro Scaffale

“La matematica non èun’opinione”, si di-ceva un tempo. Ve-

ro, verissimo. Anzi no. Da unsecolo e più si è appurato che labizzarria può anche abitare nelsuo cuore, ispirando la nascitadi sapienti, paradossali riflessio-ni, ora letterarie, ora filosofi-che. Come si verifica, per esem-pio, nel contesto del libricino(in 24mo) Furor Mathematicusdell’ingegnere e scrittore Leo-nardo Sinisgalli (1908-1981)uscito in prima edizione a Ro-ma, nel 1944. Opera di cui esisteuna seconda tiratura del 1950,comprendente ulteriori prosescientifiche, ma che permaned’interessante, coinvolgentelettura, in questa prima versio-ne del 1944, grazie a talune, sa-lienti caratteristiche predispo-ste dall’Editore Urbinati di Ro-ma: tiratura di sole cento copie,su carta a mano numerata dauno a cento e attenta impagina-zione in grado di valorizzareogni contributo o “capriccio”, aproposito di fisica, architettura

Le labili opinioni della matematica, ma non solo

Piccole ma preziose proposte di collezionismo ALBERTO CESARE AMBESI

Sopra: frontespizio del primo volume

dell’'Enciclopedia delle Matematiche

elementari (Milano, Hoepli, 1944).

Nella pagina accanto da sinistra:

Camille Flammarion (1842-1925)

in un disegno del 1880 circa;

ritratto di Gaspard Monge

(litografia di Thomas Delpech, 1830);

Gaspard Monge, ritratto di profilo

in una medaglia commemorativa

del 1822 (Londra, Victoria and Albert

Museum)

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dapprima in alternativa alle in-terpretazioni matematiche distampo esclusivamente analiti-co, ma poi integrandosi con es-se, tanto da generare fecondesoluzioni lungo tutto l’Otto-cento e oltre, al punto che anco-ra oggi, nell’ambito della speci-fica didattica scientifica, l’origi-naria geometria pura di Mongemantiene un saldo ruolo com-primario, sia pure con indispen-sabili integrazioni e aggiorna-menti. Uscito nel 1799, nellaprima, originaria edizione fran-cese, raccogliendo e riordinan-do cicli di lezioni iniziati cin-que, sei anni prima, il Traité fupoi arricchito da una teoricadelle ombre e della prospettivaestratta dalle lezioni inedite del-l’autore ed è in questa definitivaversione che si presenta l’edi-zione italiana del 1838 uscita a

Firenze, nella tradu-zione di F. Corridie a cura dell’Edi-tore Ricordi eCompagno. Illibro è stato po-sto in vendita aduecentoqua-ranta euro dallalibreria modeneseche si è citata poco so-pra e mostra le seguenti partico-larità: formato in 8vo (cm. 21,4),rilegatura coeva in mezza pelle;tagli spruzzati, pp. XX, 222, unacarta di errata, più 28 tavole ri-piegate. Stato di conservazione:più che accettabile.

Ma seguiamo ora, ideal-mente, la corrente del tempo,per diversi decenni e, grazie allaBergoglio Libri d’Epoca di To-rino, soffermiamoci su unastraordinaria serie di pubblica-

zioni annuali edita daBocca, la più versa-

tile casa editriceitaliana, dalla fi-ne dell’Otto-cento e fino allametà, circa, del

Novecento. Al-ludiamo, per la

precisione, alla se-quenza di undici volumi

della «Rivista di Matematica»(«Revue de Mathematiques»dal tomo VI del 1896) diretta daGiuseppe Peano (1858-1932),matematico glottologo e logicodi geniale perspicacia. Non pernulla, a lui si deve, fra l’altro, lanascita del moderno calcolo vet-toriale e il fondante sviluppodella logica delle classi e della“aritmetizzazione della mate-matica”. Un orientamentomentale, codesto, che lo con-

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durrà inoltre alla formulazionedel latino sine flexione con l’in-tento di plasmare una lingua convalore universale e della quale sivorrà servire nella scrittura de-gli ultimi suoi lavori divulgativi.Da aggiungersi, talune dovero-se considerazioni a propositodella «Rivista», sia per quantoconcerne la sua consistenza edi-toriale, di numero in numero,sia per quanto concerne il susse-guirsi degli argomenti e lo statodi conservazione delle singolepubblicazioni, pertanto com-prensibilmente offerte, ognu-na, ad un prezzo diverso. Ciòpremesso, si può aggiungereche, in linea generale e con ilpassare degli anni, Peano e suoicollaboratori finirono con ilprefissarsi sempre più accen-tuati fini di alta didattica e conl’ambizione - in gran parte ri-uscita - di dare al periodico unarisonanza internazionale. Ed èentro questa spirale, cronologi-ca e contenutistica, che si puòdisegnare il seguente quadro si-nottico:

a) Anno 1891, esce il primonumero della «Rivista di Mate-

A sinistra dall’alto: Giuseppe Peano,

in una foto del 1920 circa; Leonardo

Sinisgalli (1908-1981), in una foto del

1975. Nella pagina accanto: Gaspard

Monge (1746-1818), incisione in

antiporta del Traité de la Géometrie

descriptive (Parigi, Imprimeur-

Libraire pour les Sciences, 1819)

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matica». Un volume in 8° (24cm.) di 272 pagine. È una pub-blicazione di ardua reperibilità.L’esemplare della Libreria è po-sto in vendita a trecentocin-quanta euro e, per la verità, ri-chiede una sollecita rilegatura;è difatti un volume parzialmen-te sciolto e con il dorso rotto. Lacopertina, inoltre, presenta unanota a penna antichi timbri, mal’interno è tutto in buono stato.

b) Anno 1892, si pubblica ilsecondo volume. È anch’esso in8° (24 cm) e conta 216, 16, (2)pagine. Costa duecentocin-quanta euro. L’originale bros-sura editoriale è macchiata nel-l’involucro da un’antica mac-chia di umidità che alona anche

il frontespizio, indice e marginebianco, ma senza alcun danno altesto. Si notano antichi timbri enota a penna in copertina.

c) Anno 1893, esce il terzonumero, nel consueto formato.È di 192 pagine. Presenta in co-pertina i soliti, antichi timbri ela nota a penna, nonché un tra-scurabile segno di antica umidi-tà al margine bianco delle primepagine, ma senza alcun danno altesto. Il prezzo? Duecentocin-quanta euro.

d) Anno 1894 e 1895. Ledue annate hanno entrambe ilcosto indicato sopra e contano,rispettivamente, 198 e 195 pagi-ne. Sono in buono stato, puravendo, sulle copertine, gli im-

mancabili timbri di appartenen-za e la correlata nota a penna.

e) Si giunge al dunque: trail 1896 e il 1899, la pubblicazio-ne torinese diventa la «Revuede Mathematiques» e l’unicofascicolo che sanziona il muta-mento diventa un briciolo piùgrande (cm. 24,5), ma con unnumero di pagine lievementeinferiore: 188, per la precisione.In copertina, timbri e annota-zione a penna, nell’esemplare invendita, ma senza altri difetti.Prezzo: centottanta euro.

f) Il biennio 1900-1901non reca rilevanti novità, sottoil profilo grafico ed editoriale.Si tratta di un singolo numerochiamato ad abbracciare le due

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annate con 184 pagine. L’esem-plare proposto dalla BergoglioLibri, in buono stato, ha unprezzo che si è già incontrato:centottanta euro.

g) Duecentoquaranta euroè invece il costo dei quattro fa-scicoli, riferentisi agli anni diedizioni 1902-1905 e che la«Revue» presenta come l’insie-me del ‘Tome VIII’ (120 paginecomplessive). Rara raccolta, perla quale potrà richiedersi, comeper le annate precedenti, l’indi-ce di massima.

Spostiamoci, ora, da Tori-no a Milano, dove l’EditoreHoepli, fra il 1944 e il 1962, su-perando le difficoltà dell’ultimoperiodo bellico e dell’immedia-to dopoguerra, riuscì a pubbli-care un’opera scientifica a untempo “classica” e d’avanguar-dia, ripartita in tre volumi e ar-ticolata su sette tomi. Si tratta-va, per la precisione, e si tratta,della Enciclopedia delle Matema-tiche Elementari e Complementicon estensione alle principali teorieanalitiche, geometriche e fisiche,loro applicazioni e notizie storico-bibliografiche. Autori: L. Berzo-lari, G. Vivanti e D. Gigli,quest’ ultimo diretto discepolodi Giuseppe Peano. Un lavoro,occorre subito aggiungere, percerti versi monumentale (quat-tromilaquattrocentonovantapagine complessive, piùLXXXVI) e ancora oggi profi-cuamente consultabile. La co-pia del trattato offerto ha un co-

sto favorevolmente contenuto -settanta euro - conserva la bros-sura originale, ha dorsi ingialli-ti, qualche riparazione e strap-petti alle copertine dei primidue volumi (carta del periodobellico!), ma è completa in ogniparte e presenta un contenutoin perfetto stato.

�Solleviamoci, infine, a

contemplare il cielo, poiché lamatematica, per dritto o per ro-vescio ne è tuttora il seggio eperché alla Badia di Monte SanPietro, in provincia di Bologna,la Libreria Piani (già Naturali-stica) ha posto in vendita duedissimili opere astronomiche disingolare valore cronistorico.Innanzi tutto, l’accurata edizio-ne Sonzogno del 1887 dell’A-stronomia popolare. Descrizionegenerale del cielo di CamilleFlammarion (1842-1925): ope-

ra scritta con stile accattivante eche contribuirà a generare laprima fiammata di entusiasmodel grande pubblico nei con-fronti di una disciplina che eraapparsa, fino ad allora, quasi dinatura “esoterica”. Il volumeche qui segnala è in 8°, conta786 pagine con 365 illustrazioninel testo, si fregia di una rilega-tura posteriore in mezza tela, ti-toli e fregi dorati al dorso (pe-raltro un po’ stinti); per il suoacquisto sono chiesti centoventieuro. Da rammentarsi cheFlammarion non fu soltanto unacclamato divulgatore dellascienza astronomica, ma altresìun attento cultore delle ricer-che telescopiche.

Orientamento, codesto,per certi aspetti anticipato e poicondiviso da Giovanni VirginioSchiapparelli (1835-1910), lo“scopritore dei canali di Mar-te”, e lo studioso di astronomiastellare che seppe anche antive-dere la possibilità che gli sciamimeteoritici potessero essere re-sidui cometari.

Giusto come ipotizzò nel1867 con la monografia Note eriflessioni intorno alla teoria astro-nomica delle stelle cadenti, pubbli-cata dalla Stamperia Reale diFirenze e posta in vendita a cen-tocinquanta euro. L’opera con-sta di 132 pagine, è in 4° ed ar-ricchita da quattro, importantilitografie fuori testo. La copiaofferta si presenta con una rile-gatura in mezza tela.

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INDIRIZZO E RECAPITI

LIBRERIA ANTIQUARIABONGIORNOVia Lana, 72 – ModenaTel. 059.244466

BERGOGLIO LIBRI D’EPOCAVia Moncalvo 53/bis - TorinoTel. 011.960.4580 - 011.960.444

LIBRERIA PIANIVia Mongiorgio 6Badia di Monte San Pietro (Bo)Tel. 051.22.03.44

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re i conti con i primati. Il piùbello, il più alto, il più prezioso,ecc. Ma visto che qui stiamoconvocando la Storia abbiamo ildovere di rispettarne le regole.Nel 1878 i fratelli Antonio eLuigi Salmin stampano a Pado-va, nella loro tipografia alla Mi-nerva, una minuscola DivinaCommedia, il cosiddetto Dantino

In trentaduesimo

C’è in fondo un postu-lato filosofico allabase dei miniature

books ed è quello della miniatu-rizzazione del sapere, quanto maiattuale oggi nell’universo delmicrochip, grazie al quale l’in-tera Library of Congress, quasi33 milioni di volumi, potrebbeessere stipata in una scatola da

scarpe. Ma oltre il dato filosofi-co, come anche in Borges, c’èquello oggettuale, materiale,tangibile. Cosa di più intrigan-te, quindi, di un manufatto che,per essere dichiarato miniaturebook, non può superare i 76 mil-limetri di altezza o larghezza?Inclusa la rilegatura. È sempredifficoltoso, e spesso noioso, fa-

Less is More: all’insegna delpiccolo formato libridinoso

Miniarticolo per minilibri

MASSIMO GATTA

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per i sodali, utilizzando un ca-rattere in corpo 2 su 3 punti,l’“occhio di mosca”, inciso nel1834 su acciaio dal piacentinoAntonio Farina, ma fuso da L.Corbetta a Monza solo nel 1850su commissione di Giacomo eGiovanni Gnocchi, editori mi-lanesi; rimasto a lungo inutiliz-zato verrà poi usato come vistodai Salmin; le pagine del Danti-no misurano 56 x 34 mm. Permolti anni lo si è considerato illibro più piccolo mai realizzato.Quasi vent’anni dopo però, nel1897, gli stessi fratelli stampanoun altro must; la Lettera di Gali-leo a madama Cristina di Lorena,meno “ingombrante” del pre-cedente, solo 15 x 9 mm.

�Noiosamente andiamo ad

elencare, per piacere voyeristi-co, quelli considerati i vera-mente minuscoli mai stampati,e dietro ai quali lo stesso saperesembra scomparire, visto che ilpregio dei veri classici della mi-niaturizzazione era quello di es-

la Biblioteca di via Senato Milano – maggio 2014

NOTE1 Cfr. Elogio del piccolo formato. Cica-

lata di Enrico Falqui, con un’appendice di

Raffaele Carrieri, Milano, All’Insegna del

Pesce d’Oro, 1953.2 Piero Gobetti, L’editore. Commiato,

in appendice Ada Gobetti, dai Diari 1924-1926, Napoli, Dante & Descartes, 2001 e

Giorgio Caproni, Vini ligustici, Napoli,

Dante & Descartes, 2006.3 Dei tanti titoli mi piace segnalare

Anatole France, Donna Maria d’Avalos,

Napoli, Dante & Descartes, 2004.4 [Roberto Palazzi], Catalogo delle li-

brerie antiquarie e dell’usato in Roma.Vademecum, Roma, autoedizione ciclo-

stilato in 99 copie numerate, maggio

1977.

5 Rossano Astarita, La fabbrica felice,

Napoli, Giannini, 2013 [Raccontosaggio

in trentaduesimo, 1].6 Vedi almeno Percy Edwin Spiel-

mann, Catalog of the Library of MiniatureBooks, London, Edward Arnolds, 1961;

Doris Varner Welsh, A Bibliography of Mi-niature Books (1470-1965), with a prefa-

ce by Francis J. Weber, Cobleskill (N.Y.),

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sere leggibili. Insomma già nel1674 venne realizzato il Bloem-Hofje di C. van Lange, indicatodai maggiori reference books“grande come un’unghia, e cheper due secoli rimase in vetta al-la bibliominiaturizzazione. Fi-no a che, nel 1985, la scozzeseGleniffer Press di Paisley stam-pò l’Old King Cole, novella perbambini, che misurava 1 milli-metro per lato, e le cui pagine sipotevano sfogliare solo conl’aiuto di un ago.

�In Italia, in pieno Nove-

cento, “All’Insegna della BaitaVan Gogh” di Giovanni Schei-willer è la Collana più prestigio-sa1 interamente votata ai minia-ture books; ma anche le Collane“Storie in trentaduesimo”2 e“Napoli in trentaduesimo”3

della napoletana Libreria Dan-te & Descartes si distinguono inquesto settore.

�Da ricordare inoltre il mi-

Kathryn I. Rickard, 1989, Anne C. Bromer-

Julian I. Edison, Miniature Books, 4,000Years of Tiny Treasures, New York, Abrams

and The Grolier Club, 2007 e Robert

Young Jr., Mites and Midgets of the BookWorld, «Biblio», v. 3 n. 6, June 1998, pp.

40-47. In italiano rimando almeno a

Mauro Chiabrando, Al di sotto dell’in-32°.Un excursus tra il piccolo formato, «Char-

ta», n. 42, settembre-ottobre 1999, pp.

44-48; Id., Piccoli formati, gran bei libri,«Il Sole 24 Ore-Domenica», 7 luglio 2013,

p. 37.7 Come la “Miniature Book Society”,

fondata nel 1983 a Cincinnati nell’Ohio

[http://www.mbs.org/index.html].8 Louis W. Bondy, Miniature Books.

Their History from the Beginnings to the

Present Day, London, Sheppard Press,

1981.9 Ettore Sobrero, Minima Libraria, ov-

vero Le biblioteche in miniatura, contri-

buti di Nico Orengo, Dada Rosso, Franco

Maria Ricci, Milano, FMR, 1993; Id., I mi-crocosmi di Ettore Sobrero. Minilibrerie ecosì via, Maser, Mosè, 2007; Id., Incontrireali e anche meno, con un saggio di Bru-

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no Gambarotta, Roma, Robin, 2005.10 “Nel 1887 il tipografo belga Gilles

Brulet, con l’aiuto del fratello Jean, stam-

pa a Gand, porto marittimo del Belgio, un

libro contenente tutte le commedie di

Marlowe e di Shakespeare con testo ori-

ginale a fronte, le rispettive biografie e

un’introduzione di centosessantadue pa-

gine dell’anglista Robert Le Clerc. Il libro,

oggi conservato nella Biblioteca univer-

sitaria di Gand, un vasto edificio in stile

neorinascimentale fiammingo, com-

prende anche una serie di commenti di

autorevoli critici, un ponderoso apparato

di note, un’appendice riguardante gli av-

venimenti storici più significativi del pe-

riodo in cui vissero Marlowe e Shake-

speare, una vasta bibliografia di scritti

sugli autori, un indice dei nomi di perso-

na e dei luoghi citati, e inoltre un consi-

derevole numero di illustrazioni a colori

di François Durant, oltre a un glossario

dei termini più difficili. Il libro stampato

dai fratelli Brulet è in un formato ridottis-

simo, trenta volte più piccolo di un tasca-

bile di oggi, ma la sua vera particolarità è

di essere composto in caratteri tipografi-

ci talmente minuscoli e irrisori che le pa-

gine non si possono leggere neppure fa-

cendo ricorso a una lente di ingrandi-

mento”, Paolo Albani, Libro in miniatura,

in Id., Fenomeni curiosi, Macerata, Quod-

libet, 2014, p. 146 [solo in digitale].

nuscolo ed elegante Catalogo diRoberto Palazzi4 e il recente epoetico miniature book olivettia-no di Rossano Astarita5. Sui mi-niature books e il loro mondoesiste una vasta bibliografia6, as-sociazioni7, librai-collezionisti8.E artisti-artigiani di primissimoordine, come il torinese EttoreSobrero9.

�Forse la diabolica maestria

del digitale arriverà a stamparepagine ancor più minuscole: undecimo di millimetro, un mille-simo di millimetro, dove lascrittura sarà sempre più illeg-gibile fino a scomparire del tut-to, coincidendo col Nulla, comesembra indicarci Paolo Albani10.

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non vuole prescindere. Al fondo della giornata,

quando il treno sta per arrivaree ci si scopre occhi negli occhicon la stanchezza dei compagnidi viaggio. O appena svegli,quando ancora intontiti di son-no e di doccia ci attraversa ilpensiero del nostro collega e,sorpresi e quasi infastiditi, per

di tremore e noia, confusi noi daun «desiderio che non sa se vuo-le o teme». E così, se pure ane-liamo alla pace, e spesso con-fondiamo questa pace con lostare in pace, c’è qualcosa in noi,nel nostro muoverci, nel nostrostare al mondo che da questodesiderio – così dato, così no-stro e così altro da noi – non sa e

Filosofia delle parole e delle cose

«Avrà mai fine», sichiede Eliot, «illamento senza

suono,/ il silenzioso appassiredei fiori d’autunno» (T.S. Eliot,The Dry Salvages, II)? Avrà maifine, si chiede ciascuno di noiinvischiato nell’affanno delgiorno, del treno che parte, del-la spesa da fare? Arriverà infineun tempo pieno, quel momentopresentito e sempre, ogni volta,perduto, quel «punto fermo delmondo che ruota» (Id., BurntNorton, II)?

Se lo domanda Eliot, ce lochiediamo noi. Perché la vita, èinnegabile, è un movimento, uncontinuo venir tratti via da sé,un’ininterrotta chiamata aqualcosa che spesso non vor-remmo, né sapremmo immagi-nare. E che perciò, tante volte,ci si presenta insieme a un misto

Essere nel mondo: «muoversi e commuoversi»

Nell’ordine delle cose, secondo l’ordine delle cose

A destra: Paul Cezanne, Paul Alexis

legge i manoscritti di Emile Zola (1869),

San Paolo, Pinacoteca nazionale

DANIELE GIGLI

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un secondo la sua giornata, lasua attesa, ci interessa quasi co-me la nostra; quasi come se lanostra, di giornata, dipendessedalla sua. E allora, cercando neldizionario della nostra vita, inquesto dizionario così spessopreda della separazione di intel-letto e senso, ecco emergerequella parola tanto abusata no-minalisticamente quanto espe-rienzialmente negletta che è«commozione».

Che cosa accade, infatti,quando al termine di un viaggioriconosciamo la stanchezza diun estraneo come nostra? Qualicorde risuonano nell’istantaneae fugace percezione che il suobene è fondamentale per il mio?È una commozione, un muover-si insieme (da com-movere). Muo-versi insieme prima e al di quadel sentire insieme, che è unagrazia diversa e più profonda,forse. Muoversi insieme perl’intuizione – per la compren-sione intuita e perciò impossibi-le a dirsi se non a posteriori –che da questo movimento co-mune e da null’altro possa sca-turire la pace, la mia pace. È unriconoscimento dell’essere, delmondo, come rapporto offertoa ognuno di noi.

La spina nel cuore per le co-se non fatte o fatte male; o il do-lore per la parola di troppo, fosseanche vera. Non è anzitutto bon-tà, ma realtà. È accorgersi di unnuovo frammento di mondo edesiderarlo – per forza di cose, peregoismo – in armonia con sé. Co-

me in una danza, quando duecorpi dapprima si muovono as-sieme e tanto più si muovono as-sieme, tanto più arrivano ad an-nusarsi, a sentirsi, sapersi, volersiinsieme. È un muoversi con lecose secondo l’ordine delle cose,in accordo con un ritmo che ci

precede e che non dettiamo noi,ma che sta a noi cercare, acco-gliere e assecondare, in quelladanza slabbrata e antica chemuove il nostro abitare nel mon-do, quella danza antica che inogni desiderio ci promette e ci fasospirare la pace.

Nella pagina accanto: Giorgio De Chirico (1888-1978), Il figliol prodigo (1922),

Milano, Museo del Novecento. Sopra: Amedeo Modigliani (1884-1920),

Jacques e Bertha Lipchitz (1916), Chicago, Art Institute

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Ci sono situazioni chespiazzano. Che sbalordi-scono. Che, prima di dare

felicità o dolore, colpiscono per l’i-naspettata inconsuetudine. Stra-nianti, come le vicende che accado-no al protagonista del romanzo diMurakami Haruki, La fine del mon-do e il paese delle meraviglie (libro chela Biblioteca di via Senato possiedenella prima edizione italiana, stam-pata a Milano da Baldini CastoldiDalai nel 2002), inconsapevol-mente diviso fra il mondo reale e ilpaese degli unicorni. Stranianti co-me una sosta in una bianca struttu-ra, a ridosso della spiaggia, adagiatasul molo del porto di Senigallia. Lìsi incontra Uliassi, il ristorante chepiù di tutti in Italia trasporta l’ospi-te verso un “noto-ignoto”, ove ciòche sembra è ma al contempo è an-che altro. Una albanella di mollu-schi, crostacei ed erbe aromatiche?All’apparenza nulla di più sempli-ce, consueto… come l’edificio cheil protagonista attraversa nelle pa-gine iniziali: «silenzioso e ben rifi-nito. Ma nell’insieme del tuttoanonimo. Il pavimento in marmo,le pareti color crema». Eppurequalcosa non torna. Eppure ciò cheall’apparenza sembra normale inrealtà non lo è. Dal contenitore di

yo, per giunta!». Ma l’avventura èappena agli inizi. Il paese delle me-raviglie ancora da raggiungere. Ifusilloni con ricci di mare, cicoria eacetosa e i mezzi rigatoni con trip-pe di baccalà, cacio di fossa e pepestordiscono per complessità aro-matica, ampiezza del gusto e bilan-ciamento fra tendenze dolci e sapi-dità. La beccaccia alla marchigianaè un’epifania del palato paragona-bile alla vista degli unicorni «dallungo mantello color oro» che abi-tano “l’altra dimensione”. SaràCatia, sorella di Mauro, a consi-gliare il vino per il viaggio. Magaril’ampio Hermitage blanc di Gui-gal. Come tornare dal Paese dellemeraviglie e degli unicorni? Undramma. Uliassi è unico e inimita-bile. Ove gustare altro? Ove pro-vare sensazioni simili? Ove trovarealtrove il limite e la perfezione? Innessun luogo se non qui, in questabianca struttura, che si staglia fra ilblu del cielo e del mare, sul molo diSenigallia. Già perché il senso ulti-mo che assale chi assaggia i piatti diMauro Uliassi è di «non poter piùandare né tornare, da nessuna par-te. Di aver raggiunto la fine delmondo, e non avere sbocco. Lì ilmondo termina, e quietamente siferma».

BvS: il ristoro del buon lettore

vetro (“l’albanella”) si sprigionanopenetranti inaspettati aromi iodatie vegetali. Mentre «sui due lati delcorridoio si susseguono solideporte in legno, ognuna con la suatarga in metallo recante il numerodella stanza, ma senza alcun ordinelogico: dopo il 936 veniva il 1213,seguito dal 26. Inconcepibile, nu-merare le cose in quel modo assur-do. Qualcosa non quadra». Atto-niti ci si trova davanti “Il fosso”, unpiatto di rane e lumache. L’aggetti-vo “banale” si spegne in gola al pri-mo assaggio. Presto sostituito da“inaspettato”. Chi avrebbe detto,appunto, che dentro una dellestanze di quel palazzo, «al di là diun armadio, si apre un baratro, infondo al quale scorre un fiume.Inaudito! E nel bel mezzo di Tok-

GIANLUCA MONTINARO

Ristorante UliassiBanchina di Levante, 6Senigallia (An)Tel. 071.65463

Strani straniamentiDa Uliassi, per la cucina delle meraviglie

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IL ROBOT RIVOLUZIONARIO CHE PULISCE I VETRI

AL POSTO TUO

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ALBERTO C. AMBESIAlberto Cesare Ambe-

si (1931), scrittore e saggi-sta, ha insegnato storiadell’arte e semiotica all’In-ternational College ofSciences and Arts e all’Isti-tuto Europeo del Design.Fra le sue opere si ricorda-no qui: Oceanic Art (1970),L’enigma dei Rosacroce(1990), Atlantide e Le So-cietà esoteriche (1994), Ilpanteismo (2000), Scien-ze, Arti e Alchimia (riedi-zione ampliata e rinnova-ta di un precedente sag-gio, Hermatena, Riola,2007) e le particolari mo-nografie Nella luce di Ma-ni (2007) e Il Labirinto(2008). È stato critico mu-sicale del quotidiano «L’I-talia» e ha collaborato allepagine culturali de «LaStampa».

MARCO CIMMINOMarco Cimmino

(Bergamo, 1960). Storico,membro della SocietàItaliana di Storia Militaree socio accademico delGruppo Italiano Scrittoridi Montagna, si occupaprevalentemente diGrande Guerra. Collabo-ratore Rai, scrive su mol-te testate. Membro delcomitato scientifico delFestival Internazionaledella Storia di Gorizia, èuno dei responsabili delprogetto èStoriabus. Tra isuoi saggi più recenti: Laconquista dell’Adamello(2009), Da Yalta all’11settembre (2010) e Laconquista del Sabotino(2012), finalista al premioAcqui Storia 2013.

MASSIMO GATTAMassimo Gatta

(1959) ricopre l’incarico,dal 2001, di bibliotecariopresso la Biblioteca d’Ate-neo dell’Università degliStudi del Molise dove haorganizzato diverse mo-stre bibliografiche dedica-te a editori, editoria azien-dale e aspetti paratestualidel libro (ex libris). Colla-bora alla pagina domeni-cale de «Il Sole 24 Ore» e alperiodico «Charta». È di-rettore editoriale della ca-sa editrice Biblohaus diMacerata specializzata inbibliografia, bibliofilia e“libri sui libri” (booksabout books), e fa parte delcomitato direttivo del pe-riodico «Cantieri». Nume-rose sono le sue pubblica-zioni e i suoi articoli.

DANIELE GIGLIDaniele Gigli (Torino,

1978) lavora nella con-servazione dei beni cul-turali. Studioso di T.S.Eliot, ne ha curato alcunetraduzioni, tra cui quelledi The Hollow Men (2010)e Ash-Wednesday, di im-minente uscita. Ha pub-blicato le plaquette Fisio-gnomica (2003) e Pre-senze (2008) e sta attual-mente lavorando al libroFuoco unanime.

LUIGI MASCHERONILuigi Mascheroni ha

lavorato per «Il Sole24 Ore»,«Il Foglio» e, dal 2001, per «ilGiornale».

Scrive soprattutto diCultura, Spettacoli e Co-stume. Ha una cattedra diTeoria e tecnica dell’infor-mazione culturale all’Uni-versità Cattolica di Mila-no. Fra i suoi libri, ilpamphlet Manuale dellacultura italiana (2010) eScegliere i libri è un’arte.Collezionarli una follia(2012). Sta lavorando a unsaggio sui plagi letterari egiornalistici. È fra i fonda-tori del blog “Dcult” (di-fendere la cultura):http://www.dcult.it/.

Dal 2011 ha un video-blog, primo in Italia, di vi-deorecensioni: http://blog.il-giornale.it/mascheroni.

GIANLUCA MONTINAROGianluca Montinaro

(Milano, 1979) è docente acontratto presso l’univer-sità IULM di Milano. Stori-co delle idee, si interessa airapporti fra pensiero poli-tico e utopia legati alla na-scita del mondo moderno.Collabora alle pagine cul-turali del quotidiano «ilGiornale».

Fra le sue monografiesi ricordano: Lettere diGuidobaldo II della Rovere(2000); Il carteggio di Gui-dobaldo II della Rovere eFabio Barignani (2006);L’epistolario di LudovicoAgostini (2006); Fra Urbi-no e Firenze: politica e di-plomazia nel tramonto deidella Rovere (2009); Ludo-vico Agostini, lettere ine-dite (2012); Martin Lutero(2013).

LUCA PIETRO NICOLETTILuca Pietro Nicoletti,

storico dell’arte, si inte-ressa di arte e critica delSecondo Novecento inItalia e in Francia. Hapubblicato: Gualtieri diSan Lazzaro. Scritti e in-contri di un editore ita-liano a Parigi (Macerata2013).

RICCARDO PARADISIRiccardo Paradisi,

giornalista e saggista, sioccupa di politica e cul-tura. Ha diretto le pagineculturali dell’«Indipen-dente», ha curato il servi-zio politico del quotidia-no «Liberal», ha lavoratoper «Il Sole 24 ore» e perRadio rai e oggi per «Pa-norama». Collabora con ilquotidiano «Libero» e conil mensile «Il Borghese».Ha pubblicato per gli«Annali dell’Università diPerugia» il saggio Mito ecritica; ha scritto saggisu Dino Buzzati, AdrianoOlivetti ed Ernst Jungerpubblicati su riviste na-zionali.

GIANCARLO PETRELLAGiancarlo Petrella in-

segna discipline del libropresso l’Università Catto-lica di Milano-Brescia. Sioccupa di letteratura geo-grafico-antiquaria fraMedioevo e Rinascimento(L’officina del geografo. LaDescrittione di tutta Italiadi Leandro Alberti e gli stu-di geografico-antiquaritra Quattro e Cinquecento,2004) e di storia del libro astampa fra Quattro e Cin-quecento in numerosi ar-ticoli e monografie (fra cuil’ultimo L’oro di Dongo ov-vero per una storia del pa-trimonio librario del con-vento dei Frati Minori diSanta Maria del Fiume,2012). Collabora con il«Giornale di Brescia» e conla «Domenica del Sole 24ore».

HANNO COLLABORATO A QUESTONUMERO

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