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n.4 – aprile 2013 la Biblioteca di via Senato Milano mensile, anno v ESOTERISMO Lo straordinario alchimista Paracelso di piero meldini IL LIBRO Seicento misterioso: il Proprinomio di nando cecini IL SAGGIO Senso e repressione in Marc Augé di sandro giovannini POLITEIA Politica, “Funzionarismo” e funzioni di teodoro klitsche de la grange COLLEZIONARE/2 Le donne: l’altra metà della bibliofilia di massimo gatta

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n.4 – aprile 2013

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno v

ESOTERISMOLo straordinarioalchimistaParacelsodi piero meldini

IL LIBRO Seicentomisterioso:il Proprinomiodi nando cecini

IL SAGGIO Senso e repressionein Marc Augédi sandro giovannini

POLITEIAPolitica,“Funzionarismo” e funzionidi teodoro klitsche de la grange

COLLEZIONARE/2Le donne:l’altra metàdella bibliofilia di massimo gatta

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Si ringraziano le Aziende che sostengono questa Rivista con la loro comunicazione

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Sommario6

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EsoterismoLO STRAORDINARIOPARACELSOdi Piero Meldini

Del collezionare/2L’ALTRA METÀ DELLA BIBLIOFILIAseconda e ultima partedi Massimo Gatta

Il libro sconosciutoSEICENTO MISTERIOSO:IL PROPRINOMIOdi Nando Cecini

IN SEDICESIMO - Le rubricheLE MOSTRE – LO SCAFFALE –L’EDITORE DEL MESEa cura di Gianluca Montinaro

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Il saggioSENSO E REPRESSIONEIN MARC AUGÉdi Sandro Giovannini

PoliteiaIL “FUNZIONARISMO” E LE FUNZIONIdi Teodoro Klitsche de la Grange

Da l’Erasmo: pagine scelteUN’OSSESSIONE DEL XVIII SECOLO: L’ORO DEL “BONHEUR”di Giuseppe Scaraffia*

BvS: il ristoro del buon lettoreIL SORRISO DI LIVIA E ALFONSOdi Gianluca Montinaro

* tratto da L’Erasmo n.32 Ottobre – Dicembre 2006I cinque sensi

M E N S I L E D I B I B L I O F I L I A – A N N O V – N . 4 / 3 9 – M I L A N O , A P R I L E 2 0 1 3

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Fondazione Biblioteca di via Senato

PresidenteMarcello Dell’Utri

Consiglio di AmministrazioneMarcello Dell’UtriGiuliano Adreani Carlo Carena Fedele Confalonieri Ennio Doris Fabio Pierotti Cei Fulvio Pravadelli Miranda RattiCarlo Tognoli

Segretario GeneraleAngelo de Tomasi

Collegio dei Revisori dei contiPresidenteAchille FrattiniRevisoriGianfranco Polerani Francesco Antonio Giampaolo

Biblioteca di via Senato – Mostre

- Mostra del Libro Antico- Salone del Libro Usato

OrganizzazioneInes LattuadaMargherita Savarese

Ufficio StampaEx Libris Comunicazione

Biblioteca di via Senato – Edizioni

RedazioneVia Senato 14 - 20122 MilanoTel. 02 76215318 - Fax 02 [email protected]@bibliotecadiviasenato.itwww.bibliotecadiviasenato.it

Direttore responsabileGianluca Montinaro

Servizi GeneraliGaudio Saracino

Coordinamento pubblicitàMargherita Savarese

Progetto graficoElena Buffa

Fotolito e stampaGalli Thierry, Milano

Referenze fotograficheSaporetti Immagine d’Arte - Milano

Immagine di copertinaMaurice Quentin de la Tour (1704-1788), Jeanne Antoinette Poisson, Marchesa di Pompadour, Parigi, Museo del Louvre

L’Editore si dichiara disponibile a regolareeventuali diritti per immagini o testi di cuinon sia stato possibile reperire la fonte

Stampato in Italia© 2013 – Biblioteca di via SenatoEdizioni – Tutti i diritti riservati

Reg. Trib. di Milano n. 104 del11/03/2009

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L’articolo di Teodoro Klitsche de la Grange,la cui prima parte pubblichiamo su questo numero di aprile (insieme

ad altri, altrettanto interessanti, di PieroMeldini, Nando Cecini, Massimo Gatta eSandro Giovannini), suggerisce alcune riflessioniche ben si attagliano a queste settimane difficili e convulse per la vita politica del nostro Paese.La corsa al colle più alto della Repubblica (al di là degli esiti e dei personaggi protagonisti,più o meno presentabili, che vi hanno presoparte) ha segnato, in modo definitivo, la morte del Partito Democratico, almeno così come finora l’abbiamo conosciuto. E la totale disfatta della linea tattica del suo ex segretario Pierluigi Bersani. Klitsche de la Grange, addentrandosi nelle

pieghe esegetiche di un vocabolo semi-sconosciutoriferibile al mondo della burocrazia e della macchina dello Stato, “funzionarismo”, scrive di “azioni” messe in atto nel «particolareesclusivo interesse» di coloro che tali gestiinnescano e controllano. In ciò la Sinistraitaliana è sicuramente (e storicamente) malata di funzionarismo. Intrisa di egoismi particolari e unita solo dall’odio viscerale verso il “nemico”,ha del tutto perso il contatto col mondo realeconducendosi da se stessa al disastro. Una nuova fase ora si apre: e in questa non ci sarà più spazio per “filosofie funzionariste”. Se la maggioranza moderata del Paese sapràapprofittarne, si potrà finalmente rimetterel’individuo libero al centro del processo democratico.

Gianluca Montinaro

Editoriale

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Chi le ha inventate?

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Esoterismo

proprietà dei metalli. All’università di Montpelliersi riaccostò alla Cabala. Scese in Italia e visitò Pa-dova, Bologna e Ferrara. Fu in Spagna e Portogal-lo. Da Lisbona passò in Inghilterra, dove visitò leminiere di Cumberland e lo Studio di Oxford. NeiPaesi Bassi fu nominato, sul campo, cerusico mili-tare. A Stoccolma una guaritrice gli insegnò, tra glialtri “segreti” medicinali, la formula di un porten-toso decotto contro le emorragie. Dalla Sveziapassò nel Brandeburgo, e di qui in Boemia e nella

LO STRAORDINARIOPARACELSO

Un eclettico mago astrologo del Rinascimento

Non si può dire, onestamente, che FilippoAureolo Teofrasto Bombasto Paracelsofosse un Adone. E possiamo affermarlo

con cognizione di causa, dal momento che di lui siconservano, tra dipinti e incisioni, non meno diduecentocinquanta ritratti. Era basso, corpulento,effeminato e balbuziente. Era, per giunta, sciatto,irascibile e scostante. Nel ritratto di Rubens (copiad’autore di una tavola attribuita a Quentin Massys),Paracelso mostra la faccia di una massaia rubizza,porta (chissà perché) due cappelli sovrapposti edesibisce la famosa spada Azoth: ciò che fa venire inmente, piuttosto che un mago-guerriero, un guar-diano di harem, accreditando senza volere la voceche fosse castrato.

La vita di Paracelso coincide con la carta geo-grafica dell’Europa. Delia Airaghi ha parlato, a ra-gione, di «follia ambulatoria». Nacque a Einsie-deln. A otto anni accompagnò il padre alchimista aVillach, in Carinzia. Studiò a Lavanthal dai Bene-dettini. Poi, ma per poco, a Basilea. A Würzburgfrequentò Tritemio, che lo iniziò alle opere di Pla-tone, Plotino, Giamblico, Porfirio, al Pimander delTrismegisto e agli altri testi del Corpus Hermeticum,a Pico e ai cabalisti. A Colonia e a Parigi investigò le

Nella pagina accanto: David Teniers II (1610-1690)

L’alchimista, part. A destra: Pieter Paul Rubens (1577-1640),

ritratto di Paracelso, Bruxelles, Museo Reale di Belle Arti

PIERO MELDINI*

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Moravia, in Lituania, in Polonia, in Valacchia, inDalmazia e a Venezia. Esercitò la medicina a Stra-sburgo e a Basilea.

Alberto Savinio (Narrate, uomini, la vostra sto-ria) fa dire a Paracelso: «Se Copernico non ci avessedato la vera forma della Terra, questa forma l’avreiarguita io, dal mio continuo camminare e dal ritro-varmi sempre sui miei passi». Il suo ultimo approdofu Salisburgo, dove morì il 24 maggio 1541.

Due anni dopo furono dati alle stampe il De re-volutionibus orbis coelestium del nominato Copernicoe il De humani corporis fabrica di Vesalio, che aravanoa fondo, e seminavano di piante mai viste, i due cam-pi che Paracelso aveva maggiormente coltivato: l’a-

stronomia e la medicina. Il buon Dio si apprestava aperdere la sua funzione governativa, per essere ri-condotto all’ufficio super partes di garante: invece dioccuparsi del disbrigo degli affari correnti, d’ora inavanti si sarebbe attenuto al nobile ruolo di legisla-tore iniziale - di estensore, per così dire, della cartacostituzionale - e di tutore delle regole immutabili.

Paracelso aveva fede negli astri. Dubitaredell’ordine cosmico e della sua influenza sulla sto-ria umana e sui destini personali sarebbe stato co-me dubitare dell’esistenza di Dio. E tuttavia, al pa-ri di Ficino, diffidava dell’astrologia giudiziaria erespingeva al mittente un determinismo astraleche azzoppasse il libero arbitrio. Gli astri non im-pongono alcunché; si limitano ad influenzare: «Lestelle non controllano nulla in noi, non formanonulla in noi, non irradiano nulla, non determinanonulla. Esse sono libere, e noi anche» scrivevaParacelso nel Volumen Paramirum. MargheritaHack potrebbe tranquillamente sottoscrivere;Marco Pesatori chissà.

D’altro canto Paracelso credeva che il futurofosse sondabile; che come il medico può pronosti-care dai sintomi il decorso di una malattia, così il sa-piente può prevedere gli eventi a venire, interpre-tando i “segni”. Che sono di tre specie: innanzi tuttola disposizione degli astri nella sfera celeste, in cui ildivino crittografo ha cifrato la storia dell’umanità;poi gli oracoli; infine le profezie testamentarie.

Paracelso era convinto che il mondo avesse unprincipio e una fine, e che il Giorno dell’Ira fossedietro l’angolo. A rinfocolare in lui e nei suoi con-temporanei i pruriti millenaristici c’era stata la Ri-forma. Luterani e papisti concordavano su un pun-to: che con il trauma della Riforma era cominciato ilconteggio alla rovescia della lotta finale con l’Anti-cristo. Al termine della quale, i buoni avrebberotrionfato sui malvagi e sarebbe stato dato fiato alletrombe del Giudizio. La turbolenza dei tempi e i se-gni celesti (come l’apparizione, nell’agosto del1531, della cometa di Halley) spazzavano via ognidubbio residuo. La Profezia per i prossimi ventiquat-

Leonardo da Vinci (1452-1519), ritratto di Marsilio Ficino,

Milano, Pinacoteca Ambrosiana

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tro anni, dettata da Paracelso nel 1536, preannun-ciava mutamenti epocali.

La prima lezione di medicina a Basilea, nel1527, fu un rogo di libri, attizzato da Paracelso e daisuoi studenti a imitazione di quanto aveva fatto Lu-tero nove anni prima. Con questo gesto plateale,egli rompeva verticalmente con la Chiesa di Aristo-tele, Galeno e Avicenna. Alla cultura medica ufficia-le Paracelso contrapponeva un approccio empirico,che lo portava a privilegiare le conoscenze popolarisu quelle dei dotti: al punto da mettersi alla scuoladelle comari e delle streghe.

Il metodo di Paracelso è, a suo modo, speri-mentale, e la formula “per esperimento” punteg-gia i suoi scritti di medicina e farmacologia. Char-les Webster rileva «un notevole grado di somi-glianza tra l’epistemologia di Paracelso e quella

dei baconiani».Per altro Paracelso non distingueva affatto tra

scienza operativa e magia, e riteneva altrettanto le-gittimi gli esperimenti chimici e l’individuazionedei principî attivi delle piante e dei minerali quantola recitazione di scongiuri.

Anche in tema di stregoneria convivono inParacelso vecchio e nuovo. Non c’è da meravi-gliarsi: la sua adesione al platonismo non lo portòmai a sconfessare le superstizioni popolari. Eglicredeva fermamente nel diavolo e nei suoi seguaci.Sospettava tuttavia che le streghe agissero soprat-tutto sul potere di immaginazione delle loro vitti-me; che la forza di suggestione facesse più dannidei veri e propri maleficî. Partendo da queste pre-messe, non aveva nessun imbarazzo a consigliare,come contromisura, rimedi tradizionali: cerimo-

Da sinistra: Raffaello Sanzio (1483-1520), Platone e Aristotele e (a destra) Plotino, 1510, particolari dell’Affresco della

Scuola di Atene, Città del Vaticano, Palazzi Vaticani

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nie, formule magiche, filtri. Una strategia, insom-ma, che consentisse di combattere le streghe sulloro terreno. Ad armi pari.

Paracelso era anche scettico sui patti col de-monio. Per lui la strega era fondamentalmenteuna deviante, non diversamente dal ladro, dall’as-sassino e dal pazzo. Nei suoi scritti, e in particolarenel De occulta philosophia, è accuratamente descrit-ta quella che potremmo chiamare la “sindromedella strega”: il che permetteva, tra l’altro, di di-stinguere le fattucchiere d.o.c. dagli isterici, dagliepilettici e dagli idioti.

Sopra da sinistra: Niccolò Copernico

in un ritratto del 1515; un ritratto di

Paracelso; Jan van Calcar (1499

circa–1546/1550), Ritratto di Andrea

Vesalio dal suo De humani corporis

fabrica, 1543. A fianco da sinistra:

Paracelso, Libri duo, prior Theophrasti

septem defensiones adversus aemulos suos

continet. Posterior de morbis tartareis

elegantissime tractat, (Colonia, Peter

Horst 1573). Paracelso, Operum

Medico-Chimicaorum, (Ginevra, 1605,

III voll.)

Paracelso coltivò l’ambizioso progetto di crea-re l’Omuncolo in vitro, e si spinse fino a darne la for-mula (seme maschile putrefatto per quaranta giorninella carcassa di un cavallo e alimentato per quaran-ta settimane con l’«arcano del sangue umano»).Qui - si è detto - casca l’asino. Il buon Paracelso puòanche atteggiarsi a moderno uomo di scienza; restaperò un patetico relitto del Medioevo. E saremmod’accordo, se non fosse nata, nel frattempo, una co-sa che si chiama ingegneria genetica.*già direttore della Biblioteca Gambalunga di Rimini. Autore di numerosi romanzi, pubblicati presso Adelphi e Mondadori

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quattro medaglioni. Marino Parenti, il grande bi-bliografo e bibliofilo, possedeva questa rara pla-quette, oggi conservata nel Fondo Parenti della“Biblioteca di Storia e Cultura del Piemonte” diTorino, insieme ai suoi preziosi libri e all’archivio.

�E’ bene ricordare che la stampa del catalogo

Hoepli del 1926 fu curata da Raffaello Bertieri,maestro della tipografia italiana dell’epoca, il qua-le dirigeva anche la “Scuola del Libro” di Milano.L’edizione Hoepli si avvaleva di scelte graficheeleganti di Bertieri, ma alquanto personali: dalla

– seconda e ultima parte*

Giuseppe Fumagalli, nelcolophon alla sua edi-zione privata delle Don-

ne bibliofile italiane, stranamentenon cita la prima edizione del1920 ma solo quelle successivedel ‘26 e del ‘27. Scrive a propo-sito il bibliografo: «Il presentescritto fu pubblicato come in-troduzione al catalogo di Librifigurati dei Secoli XVIII e XIXecc. da vendersi all’asta dalla Li-breria Antiquaria Ulrico Hoeplidi Milano il 22 e 23 marzo 1926;quindi ristampato nell’Almanacco della DonnaItaliana, Anno VIII, 1927 (Firenze, R. Bemporad& F.), a pag. 155-165, da dove fu fatta la presentetiratura a parte in soli 100 esemplari non venali».L’edizione privata del ‘26 è, dal punto di vista gra-fico e tipografico, di grande eleganza e raffinatez-za, arricchita sia dalla xilografia di Anichini che dai

Nella pagina accanto: Maurice Quentin de la Tour

(1704-1788), Jeanne Antoinette Poisson,

Marquise de Pompadour, Parigi, Museo del Louvre.

Sopra: frontespizi di Giuseppe Fumagalli, Donne bibliofile

italiane, e Massimo Gatta, Le donne e i libri

Del collezionare/2

L’ALTRA METÀ DELLA BIBLIOFILIA

Riflessioni sulle donne e i libri

MASSIMO GATTA

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cornice neoclassica rosso mattone della copertinaa quella per la Prefazione, fino alle piccole decora-zioni rosse utilizzate per suddividere i periodi deltesto. Peculiare di Bertieri è poi l’utilizzo di legge-ri fregi in nero per circondare i numeri di pagina.Scelte grafiche che non sempre furono apprezzatedai puristi della tipografia. Il tipografo, pur nelsolco della grande tradizione italiana, amava spe-rimentare, stravolgere a volte alcuni canoni ormaiconsolidati, e applicare le sue personalissime ideegrafiche, soprattutto sulla spazialità della pagina,la disposizione dei numeri di pagina e l’ampiezzadegli stessi, i capoversi, scelte che contrastavanocon lo status quo tipografico dell’epoca. Oggiqueste sue scelte ci sembrano forse eleganti e raffi-nate, ma all’epoca infastidirono alcuni.

Il saggio di Fumagalli, ristampato l’ultimavolta nel 1993 su «L’Esopo. Rivista internazionaledi bibliofilia», è forse l’unico studio italiano

espressamente dedicato alla bibliofilia femminile;le utili note al testo, poi, integrano e arricchisconol’argomento trattato.

Qualche breve accenno alla bibliofilia fem-minile lo troviamo anche nello scritto di AntonioBandini Buti Le donne bibliofile,1 ma si tratta di bre-vi considerazioni rispetto all’ampio scritto del Fu-magalli. L’assenza di studi italiani sulla bibliofiliafemminile risente anche della scarsa considera-zione (e dell’ironia) che gli uomini hanno sempreavuto nei confronti del rapporto donna/libro. Loscrittore Adolfo Padovan, ad esempio, sostenevain un suo scritto la tesi generale (e pregiudiziale)che le donne fossero nemiche dei libri e riportavail seguente aneddoto: quando si sparse la notiziache il senatore Treccani aveva acquistato per cin-que milioni la preziosa Bibbia di Borso d’Este, perdonarla allo Stato italiano, una donna disse all’a-mica «Hai letto? Cinque milioni per un messale!Ma son cose da pazzi…E pensare che con 5 milio-ni si fanno cinquemila toilettes da mille franchil’una!».2 Fumagalli, nel riprendere e analizzarequesto episodio di Padovan, sostiene con una cer-ta dose di ingenuità che il libro raro sarebbe invisoalle donne per le cure gelose che il bibliografo e ilbibliofilo gli prodigherebbero: sarebbe quindiuna sorta di gelosia tutta femminile alla base dellaloro distanza dal libro. A smentire ciò basterebbe-ro molti esempi storici, ma mi piace qui ricordareil più recente: il caso di Alia Muhammad Baker, di-rettrice della Biblioteca di Bassora, la quale pocoprima dell’invasione occidentale del suo Paese,durante la guerra contro Saddam, riuscì da sola aportare in salvo uno ad uno migliaia di volumi del-la biblioteca, conservandoli prima nella sua abita-zione e poi in un vicino ristorante.

Del resto già nel ‘600 ci furono letterate conuna modernissima coscienza della propria condi-

A lato: frontespizio di Nancy Cunard,

hese were the hours (1969)

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zione di esclusione. Una di queste, Modesta Poz-zo de’ Zorzi (1555-1592), sposa di Filippo de’Zorzi, nel suo Il merito delle donne, pubblicato po-stumo dalla figlia Cecilia (Venezia, Domenico Im-berti, 1600), scrisse questi versi: «Se quando nasceuna figliola al padre, / la ponesse col figlio a un’o-pra eguale, / non saria nell’imprese alte e leggiadre/ al frate inferior né diseguale, / o la ponesse fral’armate squadre / seco o a imparar qualch’arte li-berale; / ma perché in altri affar viene allevata / perl’educazion poco è stimata».

�Più vicini a noi sono due testi che trattano,

seppur indirettamente, di bibliofilia al femminile,come quello dello scrittore e bibliofilo Hans Tuz-zi3 (pseudonimo dello scrittore e studioso AdrianoBon) che, analizzando antichi cataloghi di venditae bibliografie varie, ha mostrato i ritratti di due fa-mose nobildonne bibliofile: Jeanne-Baptisted’Albert de Luynes (1670-1736), contessa di Ver-rua in quanto andata sposa, tredicenne, al nobilepiemontese Giuseppe Scaglia, conte di Verrua, ri-cordata anche da Fumagalli nella sua plaquette eimmortalata da Alexandre Dumas padre ne La Da-me de Voluptée. Mémoires de M.lle de Luynes, la qualeformò una biblioteca ricca di circa 18.000 volumiche nel 1737, a un anno dalla morte, furono dis-persi. Di quell’asta famosa resta un raro e ricercatocatalogo curato dal libraio e bibliofilo pariginoGabriel Martin. La seconda nobildonna ricordatada Tuzzi è Jeanne-Antoinette Poisson, marchesadi Pompadour (1721-1764). Segnalo poi anche undocumentato studio di Maria Grazia Ceccarelli,4

stranamente non ricordato da Tuzzi, che cita il ca-talogo di vendita della piccola biblioteca di Mada-me de Crevecoeur (1500 volumi circa), stampatosempre a Parigi nel 1757 e curato anch’esso dal li-

braio Martin.In Francia, all’opposto dell’Italia (come gli

esempi ampiamente dimostrano) esiste una lungatradizione di scritti dedicati alla bibliofilia femmi-nile. Cito solo quattro esempi abbastanza noti: ilsaggio di Quentin Bauchart in due volumi,5 quellodello scrittore e bibliofilo Octave Uzanne, stam-pato in 1065 esemplari numerati,6 il volume diGustave Brunet,7 nel quale vengono ricordatemolte famose nobildonne bibliofile francesi deisecoli passati, unitamente a brevi cenni sulle lorocollezioni librarie, e infine un saggio di AlbertCim.8 Si ricorda anche un contributo di JoannisGuigard,9 dove l’autore riporta casi di alcune no-bildonne di Casa Savoia, spose di potentati stra-nieri e appassionate di libri, come Maria Adelaidesposa nel 1696 di Luigi di Borgogna, Maria Giu-seppina moglie di Luigi XVIII, Maria Teresa mo-glie di Carlo X; infine uno studio di Frances Ha-

A lato: frontespizio di Belle da Costa Greenes,

An illuminated life (1948)

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mill nel quale viene affrontato il contributo fem-minile in campo tipografico, librario e collezioni-stico negli anni antecedenti l’Ottocento.10

Di recente, sempre in Francia, è stato pubbli-cato un articolo di Bertrand Galimard Flavignydedicato a Nathalie de Waresquiel, membro del-l’esclusiva società femminile di bibliofilia “CentUne”,11 presieduta da Delphine Reille. L’Associa-zione fu creata negli anni ’20 dalla principessaSchakowskoy per consentire alle donne di diven-tare editrici in proprio dei loro libri d’arte. Ciòscosse e turbò non poco il chiuso ed esclusivomondo bibliofilo maschile, da sempre geloso dellapropria secolare tradizione. Anche il nome dato

alla società rispecchia il desiderio di tradurre alfemminile una prerogativa lessicale tipicamentemaschile. Come ha infatti chiarito la de Wares-quiel: «Cent est masculin, tandis que Cent-unpeut être mis au féminen». Le Cent Une pubblica-no un volume ogni due anni, scegliendo autore,testo e illustratore nella periodica assemblea deisoci che si tiene a Parigi alla Bibliothèque de l’Ar-senal. In genere vengono preferiti, per le illustra-zioni, artisti non ancora famosi in modo da aiutar-li a farsi conoscere e apprezzare attraverso i libriche illustreranno. Gli artisti prescelti sottopongo-no ai soci una serie di tavole, quelle ritenute nonadatte al libro da pubblicare vengono vendute a

Sopra, da sinistra: frontespizi di Belinda Starling, La rilegatrice dei libri proibiti (2009) e di Anne Delaflotte Mehdevi,

La rilegatrice del fiume (2010)

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parte all’asta, tra i membri della Cent Une, pressola Bibliothèque de l’Arsenal.

Una ulteriore segnalazione bibliografica ri-guarda il mondo della tipografia femminile, al-trettanto sconosciuta di quello della bibliofilia.L’Università degli Studi di Bologna ha organizza-to dall’8 marzo al 19 maggio 2003 un’interessantemostra curata da Biancastella Antonino, con testiin catalogo di Rosaria Campioni, Rita Giordano,Maria Gioia Tavoni e della stessa Antonino.12

�Nel Novecento, sempre in ambito culturale

francese e anglosassone, risaltano le esperienze ti-pografico-editoriali di due famose scrittrici:Nancy Cunard e Virginia Woolf. La prima, tra il1928 e il 1931, impiantò prima a Reanville e poi aParigi la sua stamperia privata The Hours Press, allaquale collaborò anche il poeta cileno Pablo Neru-da. La Cunard ha lasciato memoria scritta di quel-la sua avventura tra i piombi,13 e della tipografa suigeneris che fu si è di recente occupata anche AnnaMaria Palombi Cataldi.14

Più conosciuta è invece l’avventura tipografi-co-editoriale dei coniugi Woolf, Virginia e Leo-nard. La loro The Hogarth Press fu fondata nel1917 e pubblicò, fino alla fine del 1946, ben 525 ti-toli. Una bella mostra, curata da Alessandra Boc-chetti e Nadia Fusini, dal titolo The Hogarth Press.L’avventura di Leonard e Virginia Woolf ospitata nelnovembre del 1993 presso il Centro CulturaleVirginia Woolf di Roma, ha documentato unaparte di quell’ampia produzione editoriale, realiz-zando anche un utile catalogo curato da LuisaGentile e Silvia Wagner e col testo di Nadia Fusi-ni, I Libri dei Lupi. Al catalogo veniva allegata latrascrizione di una lunga conversazione conGeorge (Dadie) Rylands, raccolta a Cambridge il9 ottobre del 1993 dalle curatrici della mostra ro-mana e da Tony Tanner e Glauca Leoni, nella qua-le si ricordavano gli anni di Bloomsbury e appuntola nascita della Hogarth Press. Rylands era all’epo-

ca «(…) uno dei giovani e promettenti studiosi eartisti che si avvicendavano nell’avventurosa sto-ria della Hogarth Press», come ha scritto la Fusini.Anche la rivista «Charta» si è occupata qualcheanno fa delle edizioni dei Woolf con un documen-tato articolo di Laura De Masi.15 Chi però volessesaperne di più dovrebbe sicuramente consultare leprime due edizioni dell’ormai classica bibliografiadi J. Howard Woolmar,16 oltre che il simpatico eironico memoir sull’esperienza presso la HogarthPress, scritto da Richard Kennedy.17

�Figure di stampatrici sono presenti in alcune

Sopra, frontespizio di Giulia Mafai, La ragazza con il

violino (2013)

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20 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2013

private presses del Novecento, come la “Dun EmerPress” di Dundrum (Irlanda, 1903) dove lavorava-no Elisabeth Corbet Yeats (sorella del celebrepoeta William Butler) in qualità di stampatrice,Beatrice Cassidy in qualità di inchiostratrice eEsther Ryan in qualità di correttrice di bozze; altriesempi sono quelli di Jan Elsted della “BarbarianPress” (1997) e Diana Thomas della “PoolsidePress” (1979).18 In Italia, invece, negli stessi anni siricorda la figura di Giuliana Maestri, stampatricee compagna del grande tipografo milanese LuigiMaestri, alla quale lo scrittore, libraio antiquario ebibliofilo Alberto Vigevani dedicò un ricordo al-cuni anni fa;19 scrive, al riguardo Vigevani: «Giu-liana Maestri, tipografa, come nel Rinascimentofurono le suore del convento di Ripoli, a Firenze,ed Elisabetta Rusconi, a Venezia, e, più tardi, nelVeneto, le “tutele” o le “vergini” dei vari ‘luoghi’condotti da suore».20 Il convento domenicano diSan Jacopo a Ripoli, ricordato dallo scrittore, conla stamperia nella quale lavoravano appunto suore

compositrici-tipografe (Impressum Florentiae apudsanctum Jacobum de Ripoli), sotto la direzione delpadre economo Domenico da Pistoia e del padreconfessore Pietro da Pisa producendo circa uncentinaio di opere, è uno dei simboli maggiori del-l’impegno femminile in campo tipografico.21

Questa tradizione tipografica rinascimentale tut-ta al femminile, che ha ricevuto maggiore atten-zione critica per l’area francese, in Italia proseguenei secoli successivi con gli esempi di MargheritaDall’Aglio, vedova di Giambattista Bodoni, laquale pubblica nel 1818, dopo la morte di Bodoni,il celebre Manuale tipografico comprendente molticaratteri in più rispetto a quello edito dal maritonel 1788; la vedova di Giovanni Pomba (madre diGiuseppe) e la vedova di Anton Fortunato Stella(madre di Giacomo).22 In altri Paesi europei, tra‘500 e ‘700, altre donne tipografe si adoperano perstampare volumi di grande interesse tipografico:si ricordano i nomi di Girolama Cartolari che nelCinquecento stampa “In Roma, per madonna Gi-

Da sinistra: Robert Lefèvre (1755–1830), Ritratto di Luigi XVIII (1822) Reggia di Versailles;

François Boucher (1703–1770), Ritratto di Madame de Pompadour, (circa 1750-1758), Reggia di Versailles

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22 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2013

rolama de’ Cartolari perugina” L’Abbecedario, ov-vero varie sorti di caratteri di Giovanni Battista Pa-latino, un importante trattato di scrittura; quindila vedova dello stampatore Esteban de Najera laquale, nel 1559, impresse a Saragozza (en casa de laviuda de Estevan de Nagera) un altro trattato discrittura, quello di Juan de Yciar, Libro subtilissimopor el qual se enseña a escrivir y contar ferfectamente.Infine a Parigi, nel 1796, la vedova di Tilliard im-prime un celebre trattato di tipografia il Traitè ele-mentare de l’imprimerie, del libraio Antoine Fran-cois Mormoro, un testo di fondamentale impor-tanza per il giovane tedesco Hans Mardersteig,che si appropriava lentamente in quegli anni dellebasilari regole della tipografia, per poi diventare ilpiù grande stampatore al torchio del Novecentocon la sua “Officina Bodoni” (prima a Montagnoladi Lugano quindi a Verona). Come si vede molte“vedove di”, la cui identità (e notorietà) resta sco-nosciuta e comunque è sempre associata al nome

A lato: frontespizio di Robert Kennedy, Io avevo paura di

Virginia Woolf (2009)

NOTE1 Cfr. ANTONIO BANDINI BUTI, Manua-

le di bibliofilia, Milano, Mursia, 1971, pp.

139-143.2 ADOLFO PADOVAN, Due nemici? Il li-

bro raro e la donna, in ID., Libro del BuonUmore, Milano, Ceschina, 1931, II ediz. L’a-

neddoto di Padovan è riportato anche in

GIUSEPPE FUMAGALLI, Aneddoti biblio-grafici, Roma, A.F. Formìggini, 1933, n.42,

pp. 52-54.3 HANS TUZZI, Gli strumenti del biblio-

filo, Milano, Sylvestre Bonnard, 2003, pp.

151-152.4 MARIA GRAZIA CECCARELLI, Vocis et

animarum pinacothecae. Cataloghi di bi-

blioteche private dei secoli XVII-XVIII neiFondi dell’Angelica, Roma, Istituto Poligra-

fico e Zecca dello Stato, 1990.5 QUENTIN BAUCHART, Les Femmes bi-

bliophiles de France, Paris, Librairie Dama-

scène Morgand, 1886.6 OCTAVE UZANNE, Les femmes biblio-

philes, in ID., Les Zigzags d’un curieux. Cau-séries sur l’art des livres et la literature d’art,Paris, Maison Quantin, 1888, pp. 29-54.

7 GUSTAVE BRUNET, Etudes sur la réliu-re des livres et sur les collections de biblio-philes célèbres, cit.

8 ALBERT CIM, Les Femme et les Livres,

Paris, Ancienne Librairie Fontemoing, E. De

Boccard Ed., 1919.

9 JOANNIS GUIGARD, Nouvel Armorialdu Bibliophile, Paris, Rondeau, 1890, v. II,

pp. 85-210.10 FRANCES HAMLL, Some unconven-

tional women before 1800 : printers,booksellers and collectors, «Papers of the

Bibliographical Society of America», 1955.11 BERTRAND GALIMARD FLAVIGNY,

Nathalie de Waresquiel: les «Cent Une» d’a-bord, «Le Magazine du Bibliophile et de l’a-

mateur de manuscrits & autographes»,

2002, 14, pp. 26-28.12 Dai Fondi della Biblioteca Universita-

ria “Donne tipografe” tra XV e XIX Secolo,

Bologna, Università degli Studi-Biblioteca

Universitaria, Tipografia Negri, 2003, con

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aprile 2013 – la Biblioteca di via Senato Milano 23

del marito.23 L’attenzione al mondo bibliofilo e ti-pografico femminile dimostra la grande attualitàdel saggio di Giuseppe Fumagalli, scritto in un’e-poca in cui ben pochi si sarebbero preoccupati conaltrettanta passione bibliografica di questo parti-colare aspetto del complesso mondo femminile,segnale inequivocabile della sua modernità e fre-schezza.

�Un aureo librino del poeta-libraio Roberto

Roversi, Spaventoso rombo e notturna devastazionenella grande città di Parigi 1808,24 fa riflettere inol-tre sul perché ci siano stati, nella storia, di granlunga più bibliofili che bibliofile. In esso, infatti, siraccontano le gesta di uno dei grandi bibliofollidella Parigi di fine Ottocento, il notaio Antonie-Marie Henri Boulard e della di lui moglie che, so-spettando esserci un’amante tra di loro, conside-rate le continue assenze da casa del consorte (che,pover’uomo, altro che talamo femminile: le sueuscite erano indirizzate unicamente sui lungosen-na dei bouquinistes dove, a metri cubi, amava ac-quistare ogni possibile lacerto cartaceo, fino ad

aver formato una spaventosa biblioteca ricca dicentinaia di migliaia di volumi, ospitati in diversiappartamenti e la cui vendita all’asta, all’indomanidella morte, durò diversi mesi), gli mise alle calca-gna un investigatore privato. Non sappiamo se ladonna fu più felice di conoscere la verità di quelleassenze maritali, o avesse preferito doversela ve-dere, in uno scontro frontale, con le ben meno po-tenti arti femminili, rispetto al potere assoluto emaniacale che la carta aveva sul marito. Il raccon-to, ripreso più volte nella letteratura bibliofila nonsi esprime oltre (fino a diventare oggetto di unavera e propria indagine psico-medica ad opera diG.B.F. Descuret, che nel suo La medicina delle pas-sioni ovvero Le passioni considerate relativamente allemalattie, alle leggi e alla religione, 25 che ricordo nel-la bella seconda edizione napoletana edita da Gio-sué Rondinella nel 1860, tradotta da Tanzini, de-dicava alla vicenda di Boulard l’intero capitoloXIX, Mania delle collezioni).

�Partendo dal povero notaio Boulard sarebbe

auspicabile possibile una controstoria della bibliofi-

ampia bibliografia.13 NANCY CUNARD, These were The

Hours. Memories of My Hours Press, Rean-ville and Paris 1928-1931, foreword by

HUGH FORD, Carbondale and Edwardsvil-

le, Southern Illinois University Press, Feffer

& Simons, 1969.14 ANNA MARIA PALOMBI CATALDI,

L’attività editoriale di Nancy Cunard, «L’E-

sopo», marzo-giugno 2004, 97-98, pp.17-

46.15 LAURA DE MASI, Libertà di stampa,

libertà di parola. Virginia Woolf la scrittricetipografa, «Charta», luglio-agosto 1994,

11, pp. 38-41.16 J. HOWARD WOOLMAR, A Cecklist of

The Hogarth Press 1917-1946, London,

Hogarth Press, 1976, seconda ediz. aggior-

nata e aumentata, 1986.17 Cfr. RICHARD KENNEDY, Io avevo

paura di Virginia Woolf. Un ragazzo allaHogarth Press, Parma, Guanda, 2009.

18 Le foto che ritraggono queste donne

tipografe al lavoro sono riportate in RI-

CHARD-GABRIEL RUMMONDS, Printingon the Iron Handpress, London, The British

Library and New Castle, Oak Knoll Books,

1998, p. 18, 352, 362. 19 Il Bibliofilo [ALBERTO VIGEVANI],

Una signora in tipografia, «Millelibri», gen-

naio 1990, 26, p. 89, ristampato col titolo

Una signora in tipografia e un gentleman

all’inglese, «L’Esopo», maggio 1990, n.45,

pp. 71-72, ma anche in Luigi Maestri. Mez-zo secolo di arte tipografica, presentazione

di ATTILIO ROSSI e GUIDO BALLO, Milano,

Luigi Maestri, 1992, pp. 108-109 [catalogo

della mostra], infine in ALBERTO VIGEVANI,

La febbre dei libri. Memorie di un libraio bi-bliofilo, Palermo, Sellerio, 2000, pp.181-

182.20 ALBERTO VIGEVANI, La febbre dei li-

bri, cit., p. 181. L’Elisabetta Rusconi, citata

da Vigevani, apparteneva ad una famiglia

di tipografi di origine milanese.21 Sull’attività tipografica delle suore di

Ripoli rimando a PIETRO BOLOGNA, Lastamperia fiorentina del Monastero di S.

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24 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2013

lia, costruita cioè a partire dalle testimonianzedelle mogli, sorelle,26 amiche, amanti di bibliofili ebibliofolli, di volta in volta vittime e insieme carne-fici dei loro compagni; e chissà cosa ne verrebbefuori. Mogli di volta in volta comprensive, impa-zienti, indifferenti, gelose, irritate, assassine, per-fide, leggiadre, complici, rispetto alla mania car-tofila dei mariti e compagni. Come la moglie delgiornalista e scrittore Marcello Veneziani che, perpura diabolica vendetta, gli bruciò parte dell’am-pia biblioteca, episodio drammatico da lui stessoraccontato in Aiuto, mia moglie mi brucia i libri.27

�E non di moglie, bensì di cugina trattasi (ma

cambiando i fattori il risultato non si modifica) inquel piccolo gioiello letterario, L’eredità Sigi-smond. Lotte omeriche di un vero bibliofolle, di Octa-ve Uzanne, che Pino di Branco ha dissepolto dallapolvere del tempo nel quale giaceva, pubblican-

dolo di recente in italiano ne La fine dei libri;28 mane esiste ovviamente anche un’edizione per bi-bliofili e bibliofile, curata dal libraio antiquarioGiuseppe Zanasi in 300 copie numerate, con unatavola doppia a colori di Roberto Innocenti e lapresentazione di Carlo Ferrero.29 Per chi non ab-bia letto il racconto di questo raffinatissimo scrit-tore di Auxerre (1852-1931),30 da noi ancora se-misconosciuto, tralascerò di farne il riassunto perinvogliarvi a leggerlo. In esso si tocca con manodove può arrivare la vendetta femminile dell’ado-rabile e perfida Eleonora Stefania Pulcheria Sigi-smond, una vendetta servita fredda, come si deve,in nome di tutte le donne tralasciate e abbandona-te, per colpa dei libri, ovviamente, nei confrontidel povero bibliofilo benché defunto, quando la sisfidi sul terreno della vanità e dell’orgoglio. E co-me dimenticare l’adorabile baronessa ElodiaPandarese dei duchi di Fiumecàlido, bibliofilaeroina della celebre reverie bibliofilo-gastrono-

Jacopo a Ripoli e le sue edizioni, «Giornale

storico della letteratura italiana», 1892-

1893, EMILIA NESI, Il diario della stamperiadi Ripoli, Firenze, Bernardo Seeber, 1903,

MELISSA CONWAY, The Diario of the prin-ting press of San Jacopo di Ripoli, 1476-1484: commentary and trascription, Firen-

ze, Leo S. Olschki, 1999, ROBERTO RIDOLFI,

La stampa in Firenze nel secolo XV, Firenze,

Leo S. Olschki, 1958, NELLO VIAN, Monachein tipografia, in ID., Il leone nello scrittoio.Aneddoti e curiosità letterarie, cit., pp. 49-

50; G. PIERATTINI, Suor Fiammetta Fresco-baldi cronista del monastero domenicanoSant’Iacopo a Ripoli in Firenze (1523-1586), «Memorie Domenicane», LVI, 1939,

pp.101-116, DENNIS E. RHODES, Gli annalitipografici fiorentini del XV secolo, prefa-

zione di ROBERTO RIDOLFI, Firenze, Leo S.

Olschki, 1988, con in Appendice Libri stam-

pati dalla stamperia di S. Jacopo a Ripoli,DENNIS E. RHODES (a cura di), La stampa aFirenze 1471-1550. Omaggio a Roberto Ri-dolfi, Firenze, Leo S. Olschki, 1984 [catalo-

go della mostra], GIUSEPPE OTTINO Stam-peria di Ripoli (1476-86), in ID., Di BernardoCennini e dell’arte della stampa in Firenzenei primi cento anni dall’invenzione di es-sa. Sommario storico con documenti ine-diti, Firenze, Tip. Galileiana di M. Cellini,

1871, pp. 45-48. Vedi anche Dai Fondi dellaBiblioteca Universitaria “Donne tipografe”tra XV e XIX secolo, cit., p. 18. Più in genera-

le FRANCESCO NOVATI, Donne tipografenel Cinquecento, «Il libro e la stampa»,

1907, I; VITTORIO ROSSI, Altre donne tipo-grafe nel Cinquecento, «Il libro e la stam-

pa», 1907, I; TAMMARO DE MARINIS, Don-ne tipografe nel Cinquecento: Giroloma dèCartolari, «Il libro e la stampa», 1909. La

Cartolari, vedova di Baldassarre Cartolari,

sottoscrisse dal 1543 al 1559 un centinaio

di edizioni. In altre città operavano altret-

tante tipografe, come Paola Blado, vedova

di Antonio, stampatore camerale che, in-

sieme al genero Osmarino e al figlio Paolo,

condusse l’azienda dal 1567 fino al 1588. A

Napoli operò invece Caterina De Silvestro,

vedova di Sigismund Mayr, la quale guidò

la tipografia dal 1517 al 1525, quando si

sposò col tipografo Evangelista da Pavia,

vedi ROSARIA CAMPIONI, Dai Fondi dellaBiblioteca Universitaria “Donne tipografe”tra XV e XIX secolo, cit., p. 6. Segnalo infine

l’interessante PAOLA DI PIETRO, La biblio-teca di una letterata modenese del Cinque-cento, Tarquinia Molza, s.n.t. (ma anni ’50).

22 ROSARIA CAMPIONI, Dai Fondi dellaBiblioteca Universitaria “Donne tipografe”tra XV e XIX secolo, cit., p. 6.

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mica di Gino Doria, che da par suo ne scrisse nellontano 1944 in una Napoli ancora distrutta dallaguerra. Il suo racconto, Sogno di un bibliofilo,31 conal centro appunto la baronessa Elodia e la suastraordinaria e incomparabile biblioteca, zia delprotagonista (lo stesso Doria insieme all’insepa-rabile amico, il libraio-editore Riccardo Ricciar-di) è uno dei piccoli capolavori della letteraturabibliofila italiana del primo Novecento. Peccatoche alla fine l’avventura con la zia bibliofila e lasua straordinaria biblioteca in vendita si risolva inun gran bel sogno, dal quale Doria viene brusca-mente risvegliato dalle fiamme del caminetto, nelquale inavvertitamente era scivolato il catalogodel libraio Dura di Napoli, lettura abituale di ognibibliofilo che si rispetti, e che prima di addor-mentarsi stava beatamente compulsando.

aprile 2013 – la Biblioteca di via Senato Milano 25

23 EAD., Dai Fondi della Biblioteca Uni-versitaria “Donne tipografe” tra XV e XIXsecolo, cit., p. 5. Per l’elenco di queste “ve-

dove di” si rimanda a AXEL ERDMANN, Mygracious silence. Women in the mirror of16th century printing in Western Europe,

Luzern, Gilhofer & Ranschburg, 1999, pp.

245-259.24 Edizioni Zanetto, 1998.25 Paris, Béchet et Labé 1841.26 Cfr. La sorella del bibliofilo, in Amor

librorum e curiosità bibliografiche nelle ri-viste italiane degli anni 20’, a cura di MA-

RIO SCOGNAMIGLIO, “Almanacco del Bi-

bliofilo”, n. 4, Milano, Rovello, febbraio

1994, pp. 225-226.27 Pubblicato su “Libero”, 17 marzo

2005.28 Milano, La Vita Felice, 2009.29 Bologna, Edizioni Il fenicottero,

2000. In SBN risulta localizzata una copia

nella sola Biblioteca Europea di Informa-

zione e Cultura di Milano, non ancora ac-

cessibile al pubblico.30 Cfr. SANTO ALLIGO, Il meraviglioso

Octave Uzanne, “Il Sole 24 Ore-Domenica

da collezione”, n. 5, 6 gennaio 2013, p. 35. 31 Pubblicato in prima edizione su “Are-

tusa”, a. I, n. 3, Napoli, Gaspare Casella,

1944, pp. 107-123, ristampato lo stesso

anno come opuscolo autonomo. Segnalo

la recente, ottima ristampa del racconto

con saggi critici di F. Niutta, A. Fratta e G.

Pugliese Carratelli, Napoli, Bibliopolis,

2005.32 Per la bibliografia italiana di questo

romanzo rimando a ALDO LO PRESTI, Il De-litto di Silvestro Bonnard. Bibliografia ita-liana illustrata, Orvieto-Roma, Edizioni

Spine, 2012, stampato in 15 esemplari nu-

merati fuori commercio.33 Cfr. HEIDI ARDIZZONE, An Illumina-

ted Life. Belle da Costa Greene’s Journeyfrom Prejudice to Privilege, New York-Lon-

don, Norton & Co., 2007; vedi anche Belleda Costa Greene in Louis Auchincloss, J. P.Morgan. The Financier as Collector, New

York, Harry N. Abrams Publishers, 1990, pp.

18-21 e infine Cristina De Stefano, I segretidi Belle, “Elle”, 2007, pp. 381-382. La leg-

gendaria bibliotecaria di Morgan figura

anche nel romanzo di Paola Calvetti, Noidue come un romanzo, Milano, Mondado-

ri, 2009, pp. 119-120.34 Cfr. HANS TUZZI, Morte di un magna-

te americano, Milano, Skira, 2013 [Narrati-

vaSkira] e Id., J P Morgan il Magnifico, “Il

Sole 24 Ore-Domenica da collezione”, 10

febbraio 2013, p. 40.35 Cfr. ID., , cit., pp. 154-158 [156].

A lato: catalogo della Libreria Prandi (Reggio Emilia), n. 132

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26 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2013

A ben vedere, però, figure di donna che ri-scattino il povero bibliomane esistono, e non soloin letteratura. Una è l’adorabile, giovane e leggia-dra Jeanne Alexandre, pupilla dell’accademicoSylvestre Bonnard, nell’omonimo romanzo capo-lavoro di Anatole France, considerata, a ragione,la “Bibbia dei bibliofili”;32 e pazienza se poi nel fi-nale il protagonista si macchia del “delitto” del ti-

tolo, e nel quale può incorrere ogni bibliofollebenché animato dalle migliori intenzioni: nascon-dere, cioè, in fondo all’armadio qualche raro volu-me della propria biblioteca, in modo da sottrarloalla vendita alla quale pur si era ridotto per poteroffrire alla giovane una dote adeguata. L’altra fi-gura è quella straordinaria di Belle da Costa Gree-ne, per 40 anni bibliotecaria privata, bibliofila raf-finata ed elegante (“Se sono una bibliotecaria nonvuol dire che devo vestirmi come una biblioteca-ria” disse di sé) e procacciatrice di tesori librari peril magnate e bibliofilo John Pierpont Morgan,fondatore dell’attuale Pierpont Morgan Librarydi New York, tesori che acquistava per suo contonelle aste di mezzo mondo. La Greene fu ancheamante di Bernard Berenson e angelo custode, aNew York, dei tesori milionari del grande ban-chiere. Ad essa è stata di recente dedicata una son-tuosa e illuminante biografia,33 così come al suomèntore, la cui morte avvenne a Roma il 31 marzodel 1913.34 Morgan ebbe, tra altri meriti, anchequello di aver messo a capo delle sue raccolte bi-bliografiche una donna come Belle da CostaGreene, che forse nascondeva il mistero di unaorigine afroamericana35.

�Belle da Costa Greene rappresenta forse l’ar-

chetipo di quell’altra metà della bibliofilia modernache sempre più spesso si tende a sottovalutare tra-scurandone il valore, l’importanza e il duro lavo-ro. Ma un discorso serio e documentato sulla bi-bliofilia, ormai necessario, crediamo debba e pos-sa ripartire proprio da questa assenza, da questamancanza, affrontando finalmente in maniera or-ganica l’universo bibliofilo femminile, che forsenulla ha da invidiare a quello maschile.

*La prima parte di questo saggio è stata pubblica-ta nel numero 3, marzo 2013

Belle da Costa Greene (1883-1950) in un ritratto d’epoca

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28 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2013

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aprile 2013 – la Biblioteca di via Senato Milano 29

Il libro sconosciuto

ratura Italiana, trova spazio nellabibliografia locale; vedi la Cremo-na liberata (1741) di FrancescoArisi, più recentemente la mono-grafia di E. Aragona (1961) e l’e-sauriente voce anonima del gran-de Dizionario Biografico degli Ita-liani della Fondazione Treccani.

�Il Barezzi nasce a Cremona

verso il 1560 e muore a Venezia aVenezia nel 1643, lo stesso annodella pubblicazione del Proprino-mio, forse la sua ultima fatica.

Esordisce nell’editoria aVenezia intorno al 1578 come

apprendista nella tipografia di Francesco Ziletti.Più tardi nel 1591, inizia un’attività in proprio

pubblicando, tra altri titoli la Storia del Reame di Na-poli dello scrittore pesarese Pandolfo Collenuccio,aggiornata l’anno successivo dall’erudito napoleta-no Tommaso Costo.

Il Barezzi, con alterne fortune, fu un editorepiù attento alla richiesta del mercato che non allaqualità dell’editing o della stampa con carta comu-ne e caratteri sciupati come si riscontra anche nelProprinomio. Si direbbe un’editoria economica concarta riciclata. Nel contesto delle mode seicente-sche tese alla ricerca del “maraviglioso” e dello stu-

Tra i libri antichi, a un pri-mo sguardo, molti sem-brano datati, inutili, sen-

za interesse. Non è così; habenetsua fata libelli.

Pensavo a queste cose sfo-gliando un piccolo testo enciclo-pedico del seicento dal fantasiosonome: Il / Proprinomio / Histo-rioco /Geografico / e Poetico; / incui per ordine d’Alfabeto si pon-gono quei nomi Propri per / qual-che singolarità più memorabili,che nell’Historia, nella/Geogra-fia, et nelle Faule de’ Poeti regi-strati si ritrovino…, stampato aVenezia in seconda edizione nel1676 da Domenico Miloco. La prima è del 1643; perconfermare il successo editoriale se ne riscontra unanel 1713.

Tutt’ora appare, non molto frequentemente,in cataloghi ed aste antiquarie.

Il testo è adespoto, ma l’autore è il cremoneseBarezzo Barezzi, un personaggio dalle moltepliciattività. Ignorato dalle principali storie della Lette-

Nella pagina accanto: Francesco Hayez (1791-1882)

Aristotele, (1811), Venezia, Galleria dell’Accademia.

Sopra: frontespizio, Barezzo Barezzi, il Proprinomio,

Domenico Miloco, Venezia 1676

NANDO CECINI

SEICENTO MISTERIOSO: IL PROPRINOMIO

Una enciclopedia barocca. Viaggio alla ricerca dei nomi

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pefacente, il Barezzi trova un posto come tradutto-re di alcuni romanzi picareschi spagnoli; una veranovità per il mercato librario veneziano. Il titolopiù fortunato fu il Lazarillo de Tormes (1622), anchese uscì con un’edizione linguisticamente scorretta eappesantita da arbitrari commenti moralistico disapore controriformista.

Se l’intuizione di pubblicare traduzioni di ro-manzi spagnoli risultò positiva per l’attività tipo-grafica, lo fu meno per l’impatto culturale. Nellarecente Storia della Letteratura Italiana, diretta daEnrico Malato, lo studioso Quinto Marini affermache i romanzi picareschi spagnoli, senza però citarel’attività del Barezzi, ebbero un’incidenza limitata asingoli casi, forse alludendo al Lazarillo de Tormes,tuttora considerato un classico.

In genere la critica privilegia l’attività del Ba-rezzi editore e traduttore dallo spagnolo, piuttosto

che i suoi scritti originali, limitati, per altro, a pochiscritti occasionali o a ricerche storiche sugli ordinifrancescani.

Merita invece una certa attenzione il Proprino-mio, ennesima “macchina retorica” della letteratu-ra seicentesca, oggi in via di maggiori riguardi.

Anche questo volume rientra nei progetti delBarezzi sempre attento a soddisfare le richieste delmercato, scrive infatti ne “L’Autore a chi legge”:«Quanto per proprio istinto tende la nostra natura-lezza al desiderio di sapere, tanto più si rendono al-l’intelletto gustosi quei libri; ne’ quali più moltepli-ci si pongono gli motivi della cognitione, Quindi io,che ho sempre procurato (o Benigno Lettore ) didarti in questa parte quella maggior soddisfazione,che m’è stata possibile, havendo con diligenza rac-colto dall’Historia della Geografia e della Poesiatutto ciò che più notabile m’è paruto, n’ho compo-

Da sinistra: Donato Bramante, in un disegno del XVI secolo; Pandolfo Collenuccio in un’incisione del 1610

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sto l’Opera presente».In 480 pagine si elencano 6000 lemmi da Ab-

don «undecimo Giudice degli Hebrei» a Zoroastro«tenuto da alcuni Cham, figlio di Noè». Il Barezzisi rivela appieno un poligrafo del consumo librario,tipico nella Babele della carta stampata nel Seicen-to. Certo è inutile cercare un rigore scientifico im-probabile.

�Ogni voce risponde ad una ricerca approssi-

mativa, tesa comunque, a rivalutare come linea difondo, il prevalere del sapere classico sull’attualitàdel presente.

L’eterna “querelle” polemica tra antico e mo-derno, rappresentata a mezzo il Seicento dagliHoggidiani.

Va anche notato un’evidente disparità nella

redazione delle singole voci; ad Aristotele sono ri-servate due righe, oltre trenta a Platone. Per le cittàitaliane sorprendono le 50 righe per Napoli, le 40 diMilano, le 30 di Venezia, per Roma solo 10 righe.

Altrettanto dicasi della disparità anomala trale 13 righe dell’Europa e le oltre due pagine e mez-za della Spagna, al centro degli interessi culturalidell’autore. Tra i venti toponimi della geografiadelle Marche a Macerata due righe, ad Aqualagna,piccolo centro periferico della provincia di Pesa-ro-Urbino, ben dieci righe. Altrettanto dicasi pergli artisti; primo Raffaello con 18 righe, ma Bra-mante solo due.

Come dire, un libro inutile. Forse no; certo ri-servato a una categoria di flaneur della letteratura,curiosi e attenti alla scoperta di sapori antichi, comeper una cena raffinata, questa volta però riservataallo spirito.

Da sinistra: busto di Platone, Roma, Musei Capitolini; Raffaello Sanzio, Autoritratto, (1509), Firenze, Galleria degli Uffizi

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LE MOSTRE – LO SCAFFALE – L’EDITORE DEL MESE

inSEDICESIMO

L a mostra I grandi capolavori delcorallo, proposta a Palazzo Valledalla Fondazione Puglisi

Cosentino con il contributo dellaFondazione Roma Mediterraneo,riunisce i capolavori assoluti dell’anticaarte del corallo in Sicilia, luogo doverealizzazione di questi meravigliosimanufatti raggiunse l’apice dellabellezza e della maestria artistico

artigianale. I nuclei principali delleopere in mostra testimoniano laricchezza e la qualità di alcunecollezioni fondamentali del settore,quelle della Banca di Novara, del MuseoPepoli di Trapani (destinato ad ospitarel’esposizione, in seconda tappa, dal 18maggio al 30 giugno), della FondazioneWhitaker, e del Museo Diocesano diMonreale, altre raccolte pubblicheaccanto a pezzi singoli, tesori dicollezionisti privati italiani e stranieri.«Certamente è la più importanteesposizione sino ad oggi allestita suquesto interessantissimo tema.Testimonia un artigianato artistico dialtissimo livello», dichiara Alfio PuglisiCosentino. Intorno al rosso prodottodella secrezione di carbonato di calciodi un polipaio compostodall’assembramento di esseri viventiche si sviluppano sul fondo del mare, a

I GRANDI CAPOLAVORI DEL CORALLO. I CORALLI DI TRAPANI DEL XVII E XVIII SECOLO

CATANIA, FONDAZIONE PUGLISI COSENTINO

Dal 3 marzo al 5 maggio

DA MARTEDÌ A DOMENICA, ORE 10-13 e 16-20CHIUSO IL LUNEDÌINGRESSO GRATUITO

TRAPANI, MUSEO PEPOLI

Dal 18 maggio al 30 giugno

Catalogo pubblicato da Silvana Editoriale

LA MOSTRA/1I GRANDI CAPOLAVORI DEL CORALLOIn mostra a Catania, presso la Fondazione Puglisi Cosentino, i più preziosi manufatti siciliani in coralloa cura di gianluca montinaro

A sinistra: Maestranze trapanesi,

Acquasantiera, acq. Zaccarelli, cm 15,8 x 8,7

A destra: Maestraze trapanesi, Ostensorio,

prima metà sec. XVII, rame dorato, corallo,

smalti, cm 48 x 32

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profondità talvolta non elevate e incolonie molto numerose, sono fiorite esi sono radicate infinite credenze,dovute alla doppia natura del coralloquale specie vivente e oggetto preziosocarico di valenze apotropaiche. Questaconvergenza di interessi ha contribuitoalla vera e propria “corsa al corallo” cheha rischiato di far scomparire le coloniepiù raggiungibili, oggi attentamenteregolamentate e salvaguardate nellearee marine protette e talvolta coltivatein appositi vivai subacquei. Secondo lamitologia i coralli si formarono quandoil sangue che sgorgava dalla testarecisa della Medusa venne a contattocon l’aria e si solidificò. La loro formaha suggerito il simbolismo dell’Albero,inteso come origine e asse del mondo ecollegamento tra i diversi mondi,unione dei tre generi della natura,l’animale, il minerale e il vegetale, e

della vita, simboleggiata dal rossosangue. A colpire l’immaginario erano ilcolore, la forma e la misteriosa capacitàdi indurirsi al contatto con l’aria. Inmedicina, tritato, veniva consideratouna panacea per le emorragie e leanomalie del ciclo mestruale e uncoagulante per ferite, ulcere e cicatrici.Ma soprattutto sapeva preservare ineonati dai pericoli del fulmine e dallamorte improvvisa. I suoi rametti posti aforma di croce ne facevano unabarriera contro Satana, i demoni e gliinflussi malvagi. Anche per questo lo sidonava in occasione dei battesimi. Lasua polvere favoriva la dentizione,allontanava ogni malessere e persino lecrisi epilettiche. E, negli adulti, aiutava

vitalità e potenza generatrice. Ma ilcorallo era soprattutto simbolo dellabellezza e perfezione del Creato e perquesto divenne la materia prima,insieme con l’oro, per preziosi,meravigliosi oggetti di culto, per arredisacri e profani. Valeria Li Vigni, direttoredel Museo Pepoli e curatrice dellagrande mostra, ha raccoltomeravigliose realizzazioni in coralloesponendo collezioni inedite. Stupirà lafantasia degli artisti che con il corallo, especificamente con il corallo di Trapaniraccolto, dai fondali delle Egadi, albanco skerki e intorno all’isola diTabarca, con sistemi di raccoltarudimentali talvolta dannosi per interecoltivazioni. Intorno a questa pesca conle coralline si è sviluppato, a Trapani, uncommercio florido e sono sortenumerose botteghe artigiane chehanno saputo creare capolavori digrande valore artistico, quali gioielli, maanche calici, ostensori, crocifissi,reliquari, presepi, scrigni, calamai,saliere e soprattutto elementi diraffinato arredo: specchiere, tavoli dagioco, cornici, sino a monumentalitrumeaux destinati a case principeschee regge, talvolta come doni di Stato.Ma tale fiorente attività si sviluppò perla diffusione del culto della Madonna diTrapani, intorno alla quale crebbe larichiesta dei pellegrini di rosari incorallo. Dalla produzione strettamentereligiosa si sviluppò la produzionemanierista che raggiunse, comel’esposizione ampiamente documenta,vertici di virtuosismo impensabilicreando oggetti che, nelle forme piùfantasiose, continuano a trasmettere alvisitatore le vibrazioni davvero magichedel Rosso Corallo.

Orafo trapanese, Pendente con San Giovanni

Battista, oro, corallo, smalti, perla. Prima

metà sec. XVII (ante 1647), cm. 11 x 6,2

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L a Reggia di Colorno, nelparmense, risanati almeno inparte i danni subiti dal recente

terremoto, ha riaperto i suoi magnificiambienti ad eventi espositivi di rilievo.Questo nuovo corso ha preso il via il 2marzo con la grande rassegnaintitolata Stile Italiano: Arte e Società1900-1930 allestita in Reggia graziealla collaborazione tra Provincia diParma, Comune di Colorno, il Massimoe Sonia Cirulli Archive, New York eAntea Progetti e Servizi per la Culturae il Turismo. Di rilievo la collaborazioneassicurata alla mostra dal Metalabdella Harvard University, nella figuradel suo direttore Jeffrey Schnapp.Oltre 150 opere, molto selezionate vicompongono una moderna

wunderkammer sull’arte Italiana delXX secolo che celebra il “fare italiano”o made in Italy offrendo un punto divista documentato sulla complessitàartistica, creativa ed estetica dell’Italiadella prima parte del Novecento. Comein un prisma la mostra Stile Italiano:arte e società 1900 1930 riflette erifrange, attraverso la molteplicitàdegli ambiti artistici presi inconsiderazione, lo spirito del secolo, inun dialogo continuo tra pittura,scultura, disegni, grafica pubblicitaria,progetti per l’industria e le loroimplicazioni poetiche e filosofiche.Fino a giungere ad una vera e propriasintesi tra le varie espressioniartistiche che ha le sue radici profondenel grande big bang futurista, in

questo modo, affascinando econtinuando ad affascinare moltipaesi nel mondo. I dipinti di Balla,Sironi, Licini, Russolo, Previati, lefotografie di Luxardo, Ghergo e GhittaCarell, le fotodinamiche di Masoero,Munari e Bragaglia, i manifestipubblicitari firmati da EnricoPrampolini, Lucio Fontana, MarcelloDudovich, le sculture di Thayaht, ifotomontaggi di Bruno Munari, lacollezione di libri e manoscrittifuturisti, i disegni di architettura deigrandi razionalisti italiani per lagrande sfida della costruzione di una“città utopica” a Roma, EUR o E 42, ilprogetto di Sant’Elia per una “stazioneper treni e aerei” del 1913, impaginatein questa grande mostra, ci parlanodella nostra avventurosa presenza nelsecolo appena concluso, descrivendole mille sfaccettature di quello che èinternazionalmente riconosciuto comelo stile italiano.«La multidisciplinarità è uno dei grandipregi di questa rassegna, la rendevissuta e nel contempo viva e piena disorprese per i visitatori. A noi piacepensare alla mostra - affermaMassimo Cirulli - come a un racconto,una partitura, una sceneggiatura di unfilm, meglio ancora come unacomposizione d’autore, rivolta inparticolar modo alle nuove

LA MOSTRA/2STILE ITALIANO. ARTE E SOCIETÀ 1900-1930In mostra, a Colorno, una selezione dal Massimo e Sonia Cirulli Archive di New York

STILE ITALIANO. ARTE E SOCIETÀ 1900-1930

REGGIA DI COLORNO (PR)

Dal 2 marzo al 15 giugno

APERTO DA MARTEDÌ A DOMENICA, ORE 10-19.CHIUSO IL LUNEDÌ

Ingresso: 8 euro

A sinistra: Federico Seneca, Coppa della

Perugina, 1924 Litografia. A destra: Renato

Bertelli, Profilo continuo, 1933

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generazioni, le più giovani, quelle che- come diceva Bruno Munari -rappresentano il futuro che è giàpresente qui, adesso, tra di noi.Naturalmente è legittimo chiedersi seesista davvero uno stile italiano e sesia possibile definire alcunecaratteristiche della sua modernità. Trale possibili risposte cerchiamo diabbozzare alcuni fondamenti: unaspetto emozionale che arricchisce unprodotto più artigianale che

industriale e la cui forma spessoderiva in modo pragmatico dallafunzione; la semplicità, ovvero iltentativo di cancellare tutto ilsuperfluo senza essereobbligatoriamente più semplici; lafantasia che fa da contrappeso alleregole troppo rigide dellaprogettualità; l’eleganza, ovvero ilrisultato di un equilibrio compositivo,di una partitura cromatica ed esteticaottenuta per futili motivi, per puro

Sopra: Leopoldo Metlicovitz,

Cabiria, 1914, litografia.

A destra dall’alto: Thayaht

(Ernesto Michaelles), Compensazione

di Temperamenti (1926), 48x35 cm, olio su

cartone; Fortunato Depero, Mandorlato Vido

(1924) 140x100 cm litografia a colori

Nella pagina accanto, da sinistra:

Enrico Prampolini, Thais Talizhy - Novissima

Film , Roma (1916) 200x140 cm S.A.L.,

Stab. E.Guazzoni Roma, Roma litografia

a colori su carta

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godimento della bella forma». Da Lasantità della luce del 1910 delfuturista Russolo, dal disegno Stazioniper treni ed aeroplani di Sant’Elia del1912 alla fotografia vintage delloSviluppo di una bottiglia nello spazio diBoccioni del 1912 alla Città che sale diLicini del 1914, solo per fare alcuniesempi delle opere che sonocontenute nell’Archivio e che sono quiesposte (molte per la prima volta inItalia), è esplicitato tutto lo sforzodescrittivo ed analitico di inizio secoloverso un mondo inafferrabile, in

continuo mutamento, descrivibile soloattraverso la molteplicità delle suetrasformazioni, un mondo complessoche riflette la profonda esaltazionedella modernità italiana, della velocità,del dinamismo, della urbanizzazione,della industrializzazione. E allorascorrere le immagini che vanno dalProfilo continuo del 1933 di Bertelli alPoeta incompreso di Munari, daimanifesti giallo intenso per laPerugina di Seneca a quelli per la

Campari di Depero, Nizzoli e Munari, èun succedersi caleidoscopico disuggestioni visive, ricordi, passioni,stili con un comune denominatore: lostile italiano. «Difficilmente, anche ilvisitatore più distante dai temidell’arte, potrà rimanere - concludeMassimo Cirulli - indifferente e nonnotare la qualità eccellente di unlavoro che non è solo relegato ad unpassato da ricordare con affetto, mache è ancora vivo nel nostro

patrimonio culturale e industriale,consolidato nel linguaggio visivo diun’intera nazione». Il Massimo e SoniaCirulli Archive, da dove provengonotutte le opere, nasce a New York, cosìcome all’estero vivono e lavorano inprestigiose università alcuni deigiovani professori italiani che sonostati chiamati nell’Advisory Board acontribuire, con le loro ricerchestorico-scientifiche, ad una riflessionesu quanto abbiamo prodotto in Italia.

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L a Fondazione QueriniStampalia, dal 23 marzo al 12maggio, fa rivivere il tempo in

cui la Serenissima era “regina deimari”. La mostra Navi, squeri, traghettida Jacopo de’ Barbari, realizzata graziealla collaborazione e al sostegno diSocietà Duri i Banchi di Venezia,conduce lo spettatore dentro ilbrulichio di attività del porto e deicantieri nautici, gli “squeri”. Nell’epocad’oro dell’antica Repubblica eranonumerosi, concentrati specialmentenel sestiere di Castello. Nascevano lì leimbarcazioni adatte ai fondali bassidella laguna: gondole, sandali, burci. Ivascelli progettati per il mare aperto,dalle navi da carico alle galere da

guerra che le scortavano, prendevanoinvece forma all’Arsenale.

Quest’ultimo campeggia nellaceleberrima veduta di Venezia a volod’uccello del de’ Barbari, di cui laFondazione possiede uno dei primiesemplari. La pianta lo disegnacom’era nell’anno 1500 con le tese, ibacini, le torri e le mura che ancora inparte lo cingono. Proteggevano laflotta e i segreti dell’organizzazioneformidabile del cantiere di Stato, chefu la fabbrica più imponentedell’Europa medioevale.

Nei versi dell’Inferno DanteAlighieri evoca il fervore del lavoroall’Arsenale, per rendere l’idea dellaconcitazione di Malebolge: «Quale nel’arzanà de’ Viniziani / bolle l’invernola tenace pece / a rimpalmare i legnilor non sani, / ché navicar non ponno- in quella vece / chi fa suo legnonovo e chi ristoppa / le coste a quelche più viaggi fece; / chi ribatte daprora e chi da poppa; altri fa remi ealtri volge sarte...».

Proiettati alle pareti, i dettaglisuggestivi della carta, con le rivepiene di vita, i mercantili numerosialla fonda intorno alla Dogana, iltraffico in Canal Grande, le scene diregata, daranno la sensazione dimuoversi nella Venezia marinara diJacopo: e per lo spettatore saràappassionante confrontarli con leriproduzioni virtuali di altre stampe, didipinti e rintracciarli nell’incisioneoriginale di de’ Barbari. Quest’ultima èuna sbalorditiva xilografia in seitavole, di quasi tre metri di larghezzaper un metro e mezzo d’altezza,considerata fin dall’inizio, per lequalità estetiche e la padronanza della

LA MOSTRA/3NAVI, SQUERI, TRAGHETTI DA JACOPO DE’ BARBARIA Venezia, presso la Fondazione Querini,rivivono i fasti della Serenissima

NAVI, SQUERI, TRAGHETTI DA JACOPO DE’ BARBARI

Dal 23 marzo al 12 maggio 2013

APERTO DA MARTEDÌ A DOMENICA, ORE 10-18

Mostra a cura di Cristina Celegon e Angela Munari, con la consulenza scientifica di Guglielmo Zanelli

FONDAZIONE QUERINISTAMPALIA SANTA MARIA FORMOSACASTELLO 5252, 30122 VENEZIA

www.querinistampalia.it

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prospettiva, un capolavoro della storiadella cartografia. L’esemplare dellaQuerini risale al primo stato: porta ladata in numeri romani MD e ilcampanile faro di San Marco vicompare ancora privo di cuspide.

L’affiancano, restaurate, altreopere, tratte dalla spettacolaremiscellanea Arsenale di Venezia eMarina, pressoché inedita, patrimonioanch’essa della Fondazione.

È una raccolta dicentoquarantadue tra acquerelli,disegni preparatori a penna,

acqueforti, bulini. Spiccano per valoredocumentaristico, ma anche perl’eccellenza artistica, i disegni dellaPianta a colori dell’Arsenale, delineatadal perito Filippo Rossi nel 1776. Visono raffigurati tutti i settori diattività del cantiere, dal punto diraccolta dei roveri allo squero dellegaleazze.

Straordinarie immagini dinaviglio veneziano sono riunite inNavi o vascelli di Vincenzo MariaCoronelli, pubblicato nel 1697.La miniatura di una buzonavis dal

Capitulare Nauticum del XIII Secolo èfra le prime raffigurazioni di quel tipod’imbarcazione duecentesca, dallacaratteristica forma circolare.

Chiude idealmente l’esposizione,la Commedia dantesca, aperta su quelCanto XXI dell’Inferno che descrivel’Arzanà, nella prestigiosa edizioneveneziana commentata da CristoforoLandini. È del 1491, l’anno prima dellascoperta dell’America, che avrebbesegnato la fine di un mondo e, conesso, della Venezia ancora trionfantedella pianta di Jacopo de’ Barbari.

Nella pagina accanto a sinistra: Il Bucintoro nella Vera Solennità nel giorno dell’Assensione, che si faceva dal Serenissimo Principe anulamente

ed il ritorno verso il Palazzo, (dopo il 1798) disegno a penna ed acquerello su carta.

Sopra: Squadra di navi, (seconda metà XVIII secolo) disegno a penna ed acquerello su carta, 450 x 615 mm

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U nica istituzione in Italia, ilMuseo di Palazzo Pretorio diPrato ospita un ricco

patrimonio di opere del grande sculturelituano, poi naturalizzato francese eamericano, Jacques Lipchitz. Sonodisegni, bozzetti e sculture concesseall’istituzione pratese dalla Fondazionestatunitense che conserva il patrimoniodello scultore. La mostra L’arte di gesso.La Donazione Jacques Lipchitz a Prato,aperta dal 22 marzo al 26 maggio, èospitata nelle sale restaurate del primopiano di Palazzo Pretorio. Organizzatadal Comune di Prato, è curata daKosme De Baranano, uno dei maggioristudiosi al mondo dello scultorelituano. A completare la granderassegna sono documenti ed immaginidi vita dell’artista.

Jacques Lipchitz (Druskininkai,Lituania, 1891-Capri 1973), lasciata la

natia Vilnius, studiò a Parigi, dove fecepropri i principi del cubismo e sviluppòinnovativi esperimenti sulle formeastratte. Qui frequentò Picasso, Gris,Modigliani prendendo parte attiva nellacomunità artistica che faceva dellacapitale francese l’epicentro dell’artemondiale. Particolarmente interessanti,in questi anni, le sue ricerche sulle“figure smontabili” e sulle strutturearchitetturali. Via via il suo stile assunsetoni più dinamici, con forme più fluidee arrotondate, sino a manifestaretendenze surrealiste. Con l’occupazionetedesca della Francia, l’artista difamiglia ebrea, si trasferì negli StatiUniti per tornare in Europa negli anni‘60 trascorrendo lunghi periodi anchein Italia, a Pietrasanta.La donazione ha avuto origine nel1974: a diventare patrimonio delMuseo di Palazzo Pretorio sono 21sculture e 43 disegni del Maestro.L’esposizione consente di vivere, quasiin presa diretta, la genesi dellemonumentali realizzazioni di Lipchtz,dallo schizzo dell’idea iniziale, aldisegno via via più definito eparticolareggiato, al concretizzarsidell’opera nello studio e tra le mani del

Maestro. Tra le opere in mostra, ilmodello del monumentale cancellodella Roofless Church costruita nel1960 dall’Architetto Philip Johnson inIndiana. Il visitatore può ammirare ilmagnifico portale, ricomposto nelledimensioni reali utilizzando i materialioriginali. Le opere, giunte dagli StatiUniti, sono state restaurate dall’Opificiodelle Pietre Dure di Firenze. Al di làdell’enorme valore artistico, laDonazione Lipchitz rappresenta, perPrato, un notevole apporto, data lavalutazione molto alta delle opere delMaestro sul mercato internazionale.

LA MOSTRA/4L’ARTE DI GESSO. LA DONAZIONEJACQUES LIPCHITZ A PRATOAl Palazzo Pretorio le opere del grande scultore lituano

L’ARTE DI GESSO. LA DONAZIONE JACQUESLIPCHITZ A PRATO

PRATO, MUSEO DI PALAZZOPRETORIO

Dal 22 marzo al 26 maggio

APERTO DAL MERCOLEDÌ AL LUNEDÌ, ORARI 10-13 e 15.30-19.30INGRESSO GRATUITO

www.palazzopretorio.prato.it

Mostra a cura diKosme de Baranano

A sinistra: Jacques Lipchitz, Mother and child,

II, scultura in gesso patinata. A destra: Ritratto

di Curt Valentin, scultura in gesso patinata

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S e Pier Paolo Pasolini è stato ilneorealista della parola,mentre Federico Fellini e

Vittorio De Sica hanno portato ilneorealismo al suo culmine sul grandeschermo, Renato Guttuso è ilmaggiore esponente del realismo inpittura. Attraverso l’attentissimaselezione di opere del Maestro riunitenella mostra che si sta tenendo adAosta, Renato Guttuso. Il Realismo el’attualità dell’immagine (curata daFlaminio Gualdoni con FrancoCalarota), il visitatore può instauraredi persona un dialogo con l’opera diun artista che cerca la verità proprionella relazione con il suo pubblico. Lamostra riunisce oltre 50 opereprimarie di Guttuso, dalla naturemorte della fine degli anni ‘30 e deiprimi ‘40 al drammatico Partigianaassassinata (1954), dal visionarioBambino sul mostro (1966) fino

all’epico Comizio di quartiere (1975).Scrive Flaminio Gualdoni nel saggiointroduttivo al catalogo: «Ora chel’ideologia dell’avanguardismo a ognicosto cede il posto a riflessionimeditate sul secondo dopoguerra, lascelta ispida di Guttuso,un’aristocrazia formale attenta allostesso tempo alle ragioni essenzialidel comunicare, conferma che il senso

della storia può essere continuità enon rottura, far nuova la sostanzadello sguardo e non la pelle del farvedere, riportare l’umano al centro deldiscorso e non limitarsi a un’arte cheparli solo d’arte». Profondamentecoinvolto nel clima sociale e politicodel suo tempo, Renato Guttuso è trale coscienze più autorevoli dell’artedel secondo dopoguerra.

Sin dalla metà degli anni ‘30 la suascelta è chiara, in nome di unafigurazione che da un lato recuperi inmodo critico l’identità antica dellapittura, la sua capacità di farsiracconto ed emblema, e dall’altro sialo specchio critico di un rapporto

Sopra: Renato Guttuso, Comizio di quartiere,

1975 e a sinistra: Natura morta, 1960

LA MOSTRA/5RENATO GUTTUSO. IL REALISMOE L’ATTUALITÀ DELL’IMMAGINEAd Aosta in mostra i grandi capolavori del pittore siciliano

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intenso, lucido, drammatico anche,con la storia.La precoce scelta antifascista,l’adesione al movimento comunista,ne fanno l’interprete maggiore di unrealismo che non è scelta retorica ecelebrativa, ma testimonianza criticadel proprio tempo, del presenteindividuale e collettivo, di cuirestituire una verità possibile.«Vorrei arrivare alla totale libertà inarte, libertà che, come nella vita,consiste nella verità», scrive Guttuso.E ancora: «Sempre ha contato,soprattutto, per me il rapporto con lecose». Trovare, o credere di trovarequesto rapporto (naturalmente nonstabile né fisso) ha significato, inqualche modo, tentare la possibilità di

comunicare tale rapporto. Un’artesenza pubblico non esiste.Colta tanto quanto anti-intellettualistica, la pittura di Guttusosceglie temi di genere, dalla natura

morta al ritratto al nudo, fondendoregistri che vanno dall’amore per ilRinascimento e il Seicento all’umorepopolaresco, dalla sintesiformalmente forte alla narratività,dall’evidenza potente delle coseall’allegoria. La sua è, anche,partecipazione piena al dibattito delleavanguardie, di cui ha pienaconsapevolezza ma che sempreguarda da un punto di vista di piena,rivendicata autonomia.Riflette sull’espressionismo, instauraun dialogo serrato con Picasso e lesue sintesi brucianti, polemizza con ildisimpegno etico delle correnti a luicontemporanee, perché per lui larealtà «è un rendiconto di ciò che larealtà è, di ciò che è dell’uomo».

Da sinistra: Renato Guttuso: Oggetti, 1963 e I tetti di via leonina con rampicante, 1962-64

RENATO GUTTUSO.IL REALISMO E L’ATTUALITÀDELL’IMMAGINE

AOSTA, MUSEO ARCHEOLOGICOREGIONALE, PIAZZA RONCAS 12

27 marzo-22 settembre

ORARIO: DAL MARTEDÌ ALLA DOMENICA 10.00-18.00

A cura di: Flaminio Gualdoni con Franco CalarotaCatalogo Silvana Editoriale

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accanto alla ricostruzione delle tre“trilogie” che segnano il percorso, “LaSeconda Trilogia”, quella degli oratorisacri di “Conversazione con la morte”,“Interrogatorio a Maria” e “Factum est”;e le due scritte per l’attore FrancoBranciaroli, “La Branciatrilogia prima”,composta da “Confiteor”, “In exitu” e“Verbò” ; e “La Branciatrilogia seconda”,che comprende “Sfaust”, “SdisOrè” e“Regredior”, troviamo il corpus poeticocompleto di questi anni, comprese lepoesie scritte per cataloghi d’arte oedizioni di pregio, in tiratura limitata,nonché i poemetti inediti di “Inringraziamento”. E poi altri testi teatralidi rilievo come “I Promessi sposi allaprova” o romanzi quali “Gli angeli dellosterminio”, nonché la “Traduzione dellaPrima lettera ai Corinti”. Si chiude conuno dei capolavori di Testori i “Tre Lai” eriserva numerose sorprese soprattuttoper gli scritti rari che vengono proposticome ad esempio nella sezione “Città”che comprende scritti di varia naturasul suo rapporto con Milano e perquelli inediti, dal “Verbò”, rappresentatoa teatro, ma mai pubblicato fino a“Regredior”, una rivisitazione dellesituazioni linguistiche e tematiche, giàsperimentate con un altro capolavoro“In exitu”, questa volta conprotagonista un barbone, distesocontro una lastra di marmo del Duomoe la sua discesa agli inferi, in una cittàsempre più violenta e irredenta. Una

LO SCAFFALEPubblicazioni recenti, fra libri, tomi e volumi di piccoli e grandi editori

ricca sezione di “Note ai testi” di FulvioPanzeri ricostruisce la storia el’accoglienza critica di ciascuna opera,anche avvalendosi della consultazionepreziosa dei manoscritti e deidattiloscritti del Fondo Testori, presso laFondazione Mondadori. Testori emergecome un grande scrittore che guardaalle istanze europee, che per la suatotale e sempre nuova sperimentazionedel linguaggio e dei linguaggi, si ponesulla linea dei “grandi” del Novecento,da Beckett a Céline, da Gadda aBernhard.

“Le Odi di Quinto Orazio Flaccotradotte da Cesare Pavese”, a curadi Giovanni Barberi Squarotti,Firenze, Olschki, 2013, pp. 202,19 euro.

Tra il tardo inverno e l’estate del1920 Cesare Pavese portò a termine latraduzione integrale delle Odi di Orazio.La si pubblica ora per la prima voltasulla base dell’autografo conservatopresso il Centro Studi «Guido Gozzano -Cesare Pavese» dell’Università di Torino,con a fronte il testo latino seguito da

Pavese, quellocurato daFriedrich Vollmer(Leipzig, Teubner,1912). Passatageneralmentesotto silenzio, laversione delle Odi

Giovanni Testori, “Opere III(1977-1993)”, a cura di FulvioPanzieri, Milano, Bompiani, 2013,pp. 2466, 42 euro.

Con questo terzo volume siconclude la pubblicazione delle Operedi Giovanni Testori, uno degli scrittoriche hanno segnato la storia dellaletteratura del Secondo Novecento, nonsolo italiano, ma anche europeo. Lo staa dimostrare il complesso della suaopera che con i tre volumi è stataricomposta nel suo incandescenteinsieme. Una “prova inconfutabile” della

grandezza dellascritturatestoriana èquesto terzovolume, che sicompone diquasi 2.500pagine e chericostruiscetutto il percorso

della ricerca letteraria dello scrittore,sempre in relazione anche a quellateatrale o pittorica, in più di undecennio, quello a cavallo tra gli annisettanta e gli anni ottanta, cruciale perl’attività di Testori, per le sue scelteetico-morali, per quella sua inusuale efortemente provocatoria fedeltà allacertezza che “Cristo è Dio che ha fattoirruzione nel fallimento”, per quella suatotale radicalità nel porsi “corpo acorpo” con la realtà. In questo volume

a cura di gianluca montinaro

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ha condiviso il destino della gran partedelle traduzioni dai classici greci elatini, per lo più trascurate o esploratesolo marginalmente dalla critica, che haseguito la via maestra segnata dalletraduzioni dall’inglese. E tuttavia sitratta di un’opera che riscuote unevidente valore scientifico, non soloperché illustra un aspetto della culturae della fisionomia di Cesare Pavese -relativamente agli anni della suaformazione, che finora è rimastoparzialmente in ombra -, ma anche esoprattutto perché testimoniaun’attenzione per i classici e per unclassicismo di tipo per così diretradizionale che ha caratterizzato loscrittore lungo tutto l’arco della suaesperienza.

Massimo Viglione, “Le insorgenzecontrorivoluzionarie nellastoriografia italiana. Dibattitoscientifico e scontro ideologico(1799-2012)”, Firenze, Olschki,2013, pp. 132, 16 euro.

In questo libro si presenta unastoria della storiografia italiana sulproblema delle insorgenzecontrorivoluzionarie (1790-1814). È unlavoro che nessuno ha mai condottofinora in tale ampiezza, sia per lavastità cronologica (in pratica dal 1799a oggi) che per la profondità

concettuale del dibattito presentato.L’autore ripercorre l’intero iterstoriografico di questi due secoli, conprecipua attenzione al grande e anchepolemico dibattito svoltosi in occasionedel bicentenario della RivoluzioneFrancese e dell’invasione napoleonicadella Penisola. Le tematiche e gli autorivengono presentati nella lorocompletezza: nella prima partedell’opera, dalle origini risorgimentali(Cuoco, Botta, Mazzini) alle opere deidecenni del nazionalismo e delfascismo, da Croce e Volpe fino alleopere di stampo marxista dei decennipostbellici. Nella seconda vieneanalizzato tutto il grande e accesodibattito degli ultimi venti anni, che havisto scontrarsi - a volte anche con toniaspri - due scuole interpretative (quella‘filogiacobina’ e quella ‘filoinsorgente’)e anche la nascita di una nuovadifferente impostazione, critica conentrambe le correnti suddette.

Mario Morelli, “Orme di guerra.Lettere e cartoline dal fronte(1912-1919)”, a c. di Laura DelleCave, Firenze, Polistampa, 2013, pp. 128, 12 euro.

«Caro Angiolo, sui terribiliavvenimenti di questi giorni facciosilenzio perché quel che si pensa nonsi può certo scrivere... Ci sarà ancorapossibilità di salvezza per l’Italia,l’esercito e gli Alleati? Speriamo. Hocercato di comunicare con voi conogni mezzo. Speriamo vi siano arrivatemie notizie...». È il novembre del 1917 eil soldato Mario Morelli commenta cosìi tragici eventi della battaglia diCaporetto, in una delle toccantimissive inviate alla famiglia, oggi

pubblicate nelvolume Orme diguerra. Lettere ecartoline dalfronte (1912-1919) a cura di

Laura Delle Cave.Mario Morelli, Capitano Medico del178° Reparto Someggiato, 23° Corpod’Armata, e poi nel 16° Gruppo Alpini,spedisce dal fronte lettere, cartoline,fotografie alla famiglia. A conservarlee renderle oggi pubbliche è la nipoteLaura Delle Cave, già autrice nel 2010del fortunato Ti dirò tutto, edizionefilologicamente accurata del diario diun’adolescente fiorentina nel periododella prima guerra mondiale. Le paginedi questo nuovo libro raccontano lavita di ogni giorno di guerra, ledisfatte e le vittorie, il comportamentodegli alleati e dei nemici, del PapaBenedetto XV e dei laici. Le note cheMorelli invia alla famiglia costituisconouna voce diretta dal fronte, animatada un grande senso di patria e didovere che permetteva di sopravviverenonostante la fame, le privazioni, lamorte degli amici, la lontananza daifamiliari. L’ospedale da campo direttoda Mario segue alterne vicende e sisposta secondo le necessità: Turriaco,Ponte di Legno, Tonale sono le pochelocalità citate per effetto delle leggidella censura. I toni dellacorrispondenza si fanno accesi controgli odiosi invasori, ma anche pieni disimpatia e umana considerazione per iferiti, in un succedersi di avvenimentiche arriva fino al momento in cui la“zona di guerra” diviene “zona divittoria” con la liberazione di Triestedal temuto nemico.

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L’EDITORE DEL MESEOlschki, ovvero 127 anni di editoria,intrecciati alla storia del nostro paese

presente nella produzione della CasaEditrice.

Nel 1890, si rende conto che larealtà veronese non gli assicural’apertura internazionale a cui aspira edecide di trasferirsi a Venezia doveresterà solo sette anni. Una breveesperienza che tuttavia lascerà sempreimpresso sui suoi volumi il marchiodello stampatore veneziano di fine ‘400,Lazzaro Soardi, che porta nel suo logole stesse iniziali del fondatore.

È il 1897 quando decide ditrasferirsi definitivamente a Firenzedove, assieme all’attività antiquaria,decolla quella editoriale con l’avvio dinuove collane di letteratura, linguisticae soprattutto di studi bibliografici, suagrande passione. Nasce quindi “LaBibliofilia” (1899) e la collana degli“Inventari dei manoscritti dellebiblioteche d’Italia”. Nel 1909 fonda latipografia Giuntina per avviarvi lacultura tipografica che porterà allarealizzazione di grandi opere editorialiquali l’edizione monumentale dellaDivina Commedia del 1911, per la qualeottiene da Gabriele d’Annunzio unalunga introduzione.

Gli anni che precedono la grandeguerra sono di grande attività sulmercato antiquario attraverso i nuovicontatti con collezionisti di oltreoceanocome Walters e Morgan, mentre nelsettore editoriale si apronocollaborazioni con d’Annunzio, LandoPasserini, Bertoni e tanti studiosiitaliani e stranieri. Del 1910 è lacostruzione della fastosa villa liberty divia Vanini, sulle sponde del Mugnone,

L a lunga storia della Casa Editriceprende avvio nel lontano 1883,quando Leo Samuele Olschki,

figlio di un tipografo operante nellapiccola cittadina di Johannisburg dellaPrussia orientale, decide di trasferirsi inItalia seguendo il percorso dei tantipersonaggi come Rosenberg & Sellier,Sperling & Kupfer, Hoepli, Rappaport,Bretschneider, Le Monnier, Loescher,Scheiwiller, tutti attratti dal sogno diimpiantare nel nostro paese un’attivitàeditoriale, che possa giovarsidell’humus offerto dagli studi classici edai fermenti post unitari.

La città prescelta è Verona dove,dopo un breve apprendistato in unalibreria locale, Leo fonda nel 1886 lalibreria antiquaria editrice. La nascenteimpresa, volta inizialmente in modoprecipuo all’attività antiquaria, decollarapidamente sfruttando la sua capacitànell’individuare e stimare preziosi cimelitra incunaboli e cinquecentine, abilitàche lo rende presto un punto diriferimento del mercato del libro antico.Nei contatti internazionali concollezionisti e studiosi lo supporta lasua versatilità linguistica che lo vedepadrone di sette lingue, tra cui il grecoe il latino, e lo sostiene anche nell’avviodell’attività editoriale che lo vedefondare nel 1889 la rivista “L’Alighieri”,primo omaggio al grande poeta cheresterà la sua grande passione e unpunto di riferimento a tutt’oggi

Sopra dall’alto: L’Ex libris di Leo; Leo Samuel

Olschki, fondatore della Casa Editrice

di daniele olschki, direttore editoriale di Olschki

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dove organizza conferenze e accogliecollezionisti e autori. L’entrata inguerra segna per lui un passaggiodrammatico per l’ondata digermanofobia che attraversa il paese eche lo travolge per le sue originiprussiane, fino addirittura a veniraccusato di essere una spia tedesca. Ècostretto quindi all’esilio a Ginevra dadove tuttavia continuerà l’attivitàattraverso i sempre più difficili contatticon l’Italia e dove creerà la succursaleginevrina, alla quale attenderà dopo il1928 il figlio Cesare. Alla fine dellaguerra Leo rientra in Italia in unpanorama profondamente cambiato,mentre l’attività antiquaria segna ilpasso e lascia quindi più campo aquella editoriale. Nonostante il suo

carattere accentratore, inizia acoinvolgere i figli nell’attività, vedendofin dall’inizio crescere la propensione diCesare verso l’attività antiquaria equella di Aldo per l’editoriale.

Ma le dure prove che Leo è

costretto ad affrontare non sono finitee l’emanazione delle leggi razziali del’38 lo costringe nuovamente a prenderela via dell’esilio a Ginevra, dove moriràil 17 giugno del 1940. Nel frattempo ifigli Cesare e Aldo sono costretti adalienare la tipografia Giuntina e acontinuare l’attività in formasemiclandestina, salvando tuttavia la

sigla con lo stratagemma di attribuirele iniziali del fondatore al motto“Litterae servabitur orbis” e cambiandoil nome della casa editrice in Bibliopolis.Il passaggio della guerra è difficilissimo:alla morte del fondatore si aggiungonola perdita del villino romano di via delleTerme Deciane e soprattutto il crollodella sede fiorentina sotto le minetedesche, disastro che seppellisce granparte dei cimeli bibliografici, dellaproduzione, dei carteggi e con loro diparte della nostra storia. La disgraziatacoincidenza di scegliere sedi incorrispondenza con i ponti, condannaanche la libreria di lungarno Corsini,distrutta dalle mine che fecero saltaresull’Arno il Ponte Santa Trinita. Laripresa pare impossibile, tanto più chele divergenze tra Cesare e Aldoconsigliano nel 1946 una divisionedell’attività con il passaggio a Cesaredella parte antiquaria e ad Aldo diquella editoriale. Quest’ultima, privatadei mezzi di sussistenza, per affrontare

Sopra: la sala del villino liberty di via Vanini.

Accanto da sinistra: la sigla della Casa

Editrice che riporta le iniziali del fondatore;

la libreria di Lungarno Corsini, distrutta dalle

mine tedesche

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nuove pubblicazioni deve alienare ipreziosi incunaboli, e tra loro il famosoCodice Musicale Mediceo, che nellaspartizione era stato riconosciuto alsettore editoriale a compensazione delminor valore dell’attività. Aldo perquanto minato dall’asma e da unasalute claudicante si impegna con tuttele sue forze per far ripartire l’azienda einserisce nel catalogo i filoni a lui caridella musicologia, della storia dellascienza e dell’archeologia, conparticolare attenzione all’etruscologia.

Negli anni del dopoguerranascono, o approdano al nostromarchio, nuove riviste tra le quali“Belfagor” e “Lettere Italiane” che conle sue collane rafforza il settoredell’italianistica sotto la guida di VittoreBranca e Giovanni Getto, mentre ilsettore bibliografico continuaattraverso la “Bibliofilia” diretta daRoberto Ridolfi, la “Biblioteca diBibliografia italiana”, gli “Inventari deiManoscritti delle Biblioteche d’Italia”.Tuttavia la produzione procede a rilentoper la mancanza di fondi e tra il 1945 eil 1950 vengono pubblicati soltanto 20

titoli. Nella nuova sede di via delleCaldaie, aperta nel 1950, apparesempre più difficile far quadrare i contie nel 1959, Aldo si fa tentare dallaproposta dei due fratelli Sindona, Enioe Michele (il banchiere di cui lecronache si occuperanno più avanti) diacquistare l’azienda. La trattativa èlunga e difficile e alla fine non ha esitopositivo per l’incerta situazione deibilanci dell’azienda che consiglia aiSindona di recedere dall’intento. Delusodal fallimento della trattativa estremato dalle cattive condizionifisiche, nel 1962 Aldo decide di ritirarsie passare l’azienda al figlio Alessandro(fig. 8), non prima però di aver avutoun affettuoso incontro con GiovanniXXIII che era stato suo autore nel 1936.

Un anno dopo per chiudere la suaesistenza terrena sceglierà, in ossequioal riserbo col quale aveva condottotutta la sua vita, il giorno in cui l’eventoavrebbe potuto aver meno risonanza: il9 ottobre 1963, giorno dell’immanetragedia del Vajont.

L’eredità della difficile situazioneviene quindi accolta da Alessandro, chedeve garantire il mantenimentodell’attività senza il supportoeconomico della parte antiquaria. Lasua intuizione è quella di far sì che laCasa Editrice diventi il braccio editorialedelle più importanti istituzioni culturaliitaliane. Nascono così le collaborazionicon la Fondazione Cini, l’AccademiaColombaria, la Deputazione di StoriaPatria per la Toscana, la Società distoria del Risorgimento, il CentroNazionale di Studi Leopardiani, l’IstitutoNazionale di Studi sul Rinascimento.L’attività è ormai ripartita e alla metà

A sinistra: Aldo Olschki, seconda generazione

alla guida della Casa Editrice.

Sotto da sinistra: Libri alluvionati nel

novembre 1966; Alessandro Olschki

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un ulteriore impulso con l’apertura dinuove collane e l’aumentata mole dilavoro che ormai si attesta su uncentinaio di titoli l’anno può beneficiaredell’ingresso della quarta generazionedi Daniele e Costanza, ai quali spetta ilcompito di adeguare la produzione astandard più elevati e avviare nuovirapporti editoriali. In un decennio moltecose cambiano nella produzione, cheper quasi cento anni si era mantenutainvariata affidandosi alla caldaimpressione del piombo e allatrasmissione orale dell’arte tipograficada proto a proto. Nasce lafotocomposizione e la stampa in offseta cui si affidano con un po’ diriluttanza le nuove edizioni, cercandoperò di mantenere le regole grafiche etipografiche del passato eimplementando la qualità delle carte,delle confezioni e della stampa.

L’accelerazione dei tempi ci portaoggi ad affrontare una secondarivoluzione e a confrontarci con lanuova frontiera del digitale, un mondoche nega quella ricerca della perfezionenella materialità del libro che era statoelemento imprescindibile negli intentidel fondatore e che fino ad oggi avevacostantemente guidato tutte le

generazioni. È una nuova sfida cheaffrontiamo iniziando ladigitalizzazione del nostro catalogo e ditutte le collezioni delle riviste, conl’intento di garantire ai futuri lettori unsupporto più agile, ma mai svincolatodal suo alter ego su carta, al quale intutti i modi non intendiamo rinunciare.

Volgendo oggi lo sguardo ai 127anni della nostra storia non possiamonon rallegrarci di esser riusciti asuperare prove tanto difficili,mantenendo la Casa Editriceall’interno della nostra famiglia, senzamai venir meno all’assunto iniziale direstare fedeli al settore delle scienzeumane nella massima espressionedella ricerca. Il nostro catalogomantiene ancora disponibili volumi difine Ottocento per un numerocomplessivo di titoli che ha superatole 4000 unità, senza contare le 23riviste delle quali abbiamo disponibilitutti i fascicoli pubblicati in alcunicasi da più di cento anni. Unaproduzione che in larga parte èdestinata al di fuori dei confininazionali, contribuendo a mantenerviva l’attenzione internazionale sullaproduzione culturale umanistica nelnostro paese.

degli anni sessanta escono ogni annopiù del doppio dei volumi pubblicaticomplessivamente nei sei anni deldopoguerra. Il magazzino della sedenon riesce più ad accogliere le nuovepubblicazioni, anche per il nostroassunto di mantenere sempredisponibile tutto ciò che pubblichiamo,e nel ’65 si rende quindi necessarioacquistare un nuovo magazzino alleCaldine, in costruzione al momento, eche ci verrà consegnato solo alla finedel ’66. In attesa dei nuovi spazi ivolumi vengono stipati in un fondo invia Ghibellina, dove purtroppo il 4novembre del ’66 l’Arno, uscito dagliargini, deposita 5,70 metri di acqua efango. È una nuova difficile prova dasuperare che si somma alla necessità diabbandonare la sede in via delleCaldaie, ormai non più sufficiente adaccogliere l’attività e racchiusa nellestrette strade della vecchia Firenze,piene di storia e di fascino, ma troppoanguste per gli spostamenti. Nel 1969viene quindi inaugurata la nuova sededi viuzzo del Pozzetto doveattualmente, nella cinquecentesca villade “Il Palco”, continua l’attivitàdell’azienda.

Nei primi anni ’70 l’attività prende

Da sinistra: Daniele Olschki al Quirinale nel 2011 per la presentazione della nuova edizione della Divina commedia al Presidente Napolitano;

Daniele, Alessandro, Costanza e Serena, terza, quarta e quinta generazione

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da quello che gli è imposto o con-sentito: sanno cosa devono fareed anzi sanno meglio ancora cosanon devono fare. Il loro mondo èsenza libertà ma impregnato disenso».(l) Raramente ho trovatouna frase che meglio racchiudes-se in sé la possibilità di compren-dere storicamente l’esistente,fuori dalla categorie o dalla mo-dellistica. Infatti se la riflessionegiunge a tanta efficacia è perché èduttilmente aperta al presente edal futuro, oltre che verificata sulpassato.

�La cosmo-tecnologia infatti

implicata da Augé per il presentee dalla quale si attende sviluppiulteriori e conseguenti sui duepiani per lui primari della scienzae della relazione antropologica,(2)

non è affatto qualcosa di diversodalla descrizione di una cosmo-logia etnologica o di una antro-pologia di tipo eminentementefilosofico, lui sia pur superandola cosiddetta etnologia culturalista

e rifiutando decisamente la meta-antropologia e l’etnologia-pretesto,ove, rovesciato, il vecchio mitodel buon selvaggio viaggia suicodici di rappresentazione sacra-li e collettivi e si infrange sul“meno-aperto” (emergenza delDespota prima e dello Stato poi)e sul “più repressivo” (surdeter-minazione dei rapporti materialidi produzione e della società diclasse e/o dello psichismo mo-derno marxfreudianamente in-teso). E’ che per Augé, probabil-mente l’induzione e la deduzio-ne, in modo più o meno consape-volmente storico, hanno lavora-to dialetticamente a produrreuna rappresentazione, una nar-razione complessiva che può es-sere validata, con le opportunedisposizioni di genere, in ogni si-tuazione di spazio e di tempo. InLe forme dell’oblio, (Milano, IlSaggiatore, 2000), Augé ha poiben ritmato le dimensioni che,attraverso la consapevolezza, lasperanza o l’illusione, viviamotutti nello spazio-tempo, al di là

Il saggio

«Tutti i gruppi uma-ni hanno cosmo-logie, rappresen-

tazioni dell’universo, del mondoe della società che propongono ailoro membri dei riferimenti perconoscere il proprio posto, sape-re cosa è possibile e impossibile,quello che è permesso e vietato.Questi punti di riferimento pos-sono materialmente inscriversinello spazio (per esempio sottoforma di statue, santuari o luoghinaturali caratteristici), impri-mersi sugli utensili e gli strumen-ti della vita quotidiana, a voltesulla carne, per esempio sotto laforma di scarificazione. I miti svi-luppano le cosmologie e i riti lemettono in opera: le vite indivi-duali si ordinano essenzialmentesul modello così disegnato.Quanto più è forte l’adesione aquesto modello, tanto meno li-bertà è presente, mentre è pre-sente tanto più senso. Gli indivi-dui non hanno voglia di fare altro

SANDRO GIOVANNINI

Marc Augè, in una foto del 2004

Senso e repressionein Marc Augé

La follia della Storia, la logica della natura

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del trascorrere insignificante. Ilritorno, la sospensione e l’inizio, so-no misure che agiscono in noi siacome richiami mitici (mitico-collettivi o mitico-personali), siacome atemporalità del raccontoo del letterario, sia come formerituali che ripetono ed inaugura-no contestualmente il tempovecchio ed il tempo nuovo.

In tutti questi tre elementidello spazio-tempo, o megliodella nostra percezione di esso, ladimensione lineare scolora e pro-gressivamente si perde. Come adire che potrebbe crollare, pro-prio qui, l’inenarrata mistifica-zione di una spazialità o tempora-lità unidirezionale, con la relativaillusione di un senso lineare, co-munque si strutturi (dal meglio alpeggio o dal peggio al meglio): daun prima ad un dopo univoca-mente causali, al posto di una tra-sposizione continua e sostanzial-mente circolare di ritornanti ele-menti (sia pur intesi, ad esempio,

nel senso nella rarefazione o dellaleggerezza dell’ultimo Heideggero della medietà, costitutiva manon escludente, di Noica). Que-sto per tacitare la solita accusa diun fuoriuscire dal circolo erme-neutico crismato dallo storici-smo filosofico, accusa che facil-mente e velocemente viene pun-tata addosso a chi si azzardi ad in-quietarsi di quella mistificazione.Ed, in altre parole, per capacitar-ci a discutere d’una potenzial-

mente efficace atemporalità o su-pertemporalità (concetto percerti versi del tutto assimilabilealla surmodernità di Augé) non li-quidabile subito come metafisi-ca, in quanto innervata e sostenu-ta fenomenologicamente. Ancheper questo Augé considera unacaricatura o peggio una forzatura(consciamente od inconsciamen-te ideologica) il concetto di re-pressione come legato all’emer-genza, sempre molto difficolto-samente investigabile, di ciò chenon sarebbe comunque più una“società primitiva”, che sarebbequindi oltre la “società primiti-va”, e pur considerando abba-stanza plausibili i quadri (peraltroamplissimi) di rappresentazionestorica quali: le bande dei caccia-tori-raccoglitori, le comunità divillaggio, le società lignaticheetc., derubrica (e demistifica) lostesso concetto generale di “so-cietà primitiva”, quale categoriacapace di supportare complessi-vamente similari stili di vita.(3) Maritornaniamo ai più verificabili (eprossimi) processi storici, (sia purapplicati in spazi e tempi diversi:dalle sopravvivenze etnologichepiù o meno dipendenti dal contat-to (con l’altro, ma soprattutto conl’occidente), alle società storica-mente investigate ed applicandoquindi l’equazione senso/libertà,in una valorizzazione che presen-ti la libertà nella sua più spinta

A sinistra, Albert Camus e sotto,

Andrej Aleksandrovic Zdanov

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versione individuale e quindi co-me dice Augé (riferendosi all’oc-cidente): «Abbiamo iniziato asfuggire da questo mondo nelXVIII secolo».(4)

�Resta che il vero problema

del presente (già per noi da tem-po ed in crescendo vertiginosoper tutto un mondo globalizza-to), consiste nella cosmo-tecnolo-gia, come addizionatrice di liber-tà e sottrattrice di senso nellostesso istante e nella stessa sua ra-gione efficace. Anche per questoAugé auspica un aumento dellaproduzione individuale di senso.Ovvero se certifica nelle grandinarrazioni, nelle cosmologie, ilproduttore del senso collettivo,rinviene nel (nostro) tempo pre-sente le tracce che sempre più

marcano le nuove sensibilità del-l’individualismo di massa. Que-sto “individualismo di massa” (esarebbe difficile rappresentarse-lo altrimenti) è, a sua volta, estre-mamente contraddittorio, per-ché, nel mentre subisce inarre-stabilmente il fascino dei non-luo-ghi come luoghi che non dipen-dono «dalle loro intrinseche qua-lità estetiche, ma dal cambiamen-to di scala che vi si esprime. Glispazi del codice rivelano l’assenzadi ogni simbolismo. Al loro inter-no ci sentiamo soli, perduti, divolta in volta liberati o esaltati (li-bertà provvisoria, esaltazionepasseggera). Oppure ne ricono-sciamo l’immagine e vi ritrovia-mo i segni del consumo quotidia-no: sono troppo familiari, troppopieni in un certo senso, e troppovuoti in un altro senso. La co-

scienza della mancanza si è spo-stata: essa non riguarda tanto unsenso perduto, quanto un sensoda ritrovare,(5) “nello stesso tem-po scopre in sé” una sensazione difelicità tanto vaga quanto inten-sa; più quei paesaggi sono “natu-rali” (meno essi devono all’inter-vento umano) più la coscienzache noi ne abbiamo è quella diuna permanenza, di una lunghis-sima durata che ci fa misurare percontrasto il carattere effimero deidestini individuali».(6) Come a di-re che, il massimo dell’alienazio-ne al proposito, può produrre ilmassimo della coscienza del “nonsé” e quindi, paradossalmente(ma spiritualmente neanche tan-to), del sé. Ma in più, c’è anche lanaturale e ben frequentata (ecomprensibile) fuga dalla re-sponsabilità di una posizione

Da sinistra Martin Heidegger (1889-1976) e George Orwell (1903-1950). Nella pagina accanto: Costantin Noica (1909-1987)

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ideologica chiara, nella e di fron-te alla, “trasformazione”, in atto.

Augé racconta come esem-plare l’esperienza che fa Camus aTipasa in Algeria (nel 1952 equindi quando già molte situa-zioni stavano profondamentecambiando), «il ritorno a Tipasa(possiamo immaginare che lo ab-bia rivisitato più volte nel pensie-ro) è dunque per lui una fuga al difuori della storia verso la coscien-za del tempo puro, verso la solacoscienza del tempo. Siamo postioggi dinanzi alla necessità oppo-sta: quella di reimparare a sentireil tempo per riprendere coscien-za della storia».(7) Diciamo alme-no, considerando la concezioneche Augé ha della storia, per nonfarcela scorrere sopra come lapioggia... Comunque se la comu-nicazione interpersonale ed in-tersociale aumenta a dismisuramimando la relazione (entro le«tre figure dell’eccesso» di cuiparla Augé: «la sovrabbondanzadi avvenimenti, di spazio, di indi-vidualizzazione dei riferimen-ti»),(8) spesso solo per darci indi-cazioni del tutto superflue ma re-putate sempre più necessarie,quasi secondo il famoso aforismawildiano, oltre ad esporci ben piùpericolosamente a ben altre veri-ficabilità, ecco che è dal cuoredello stesso processo di aperturache si determina la chiusura, eche il senso diviene insensato e lalibertà una schiavitù.

Diciamo quindi che è que-sto l’orizzonte esistente ed è que-

sto che ci fornisce il miraggio ag-giornato ed usufruibile, oltrechéla direzione ove il vento tira o lamarea monta. Tutto rimescolan-dosi, nella modernità più attorta,non fa che riportarci ad una co-stante che, tutto modificando,tutto lascia sostanzialmente inva-riato, (al proposito del potere,della repressione e dei relativi ecostitutivi rapporti). Il cangianterapporto senso/libertà è circolar-mente verificato nella sua inva-rianza, con buona pace d’ogni de-vota osservanza di minimizzazio-ne o massimizzazione. Infatti

forse è disonesto tradurre, con fa-cilità ideologica, tale rapportocircolare per darne una letturameglio/peggio. Forse è più one-sto dire: diverso nella sostanzialeidentità.(9)

Ma se possiamo applicaretutto ciò alla narrazione fonda-mentale, ovvero alla cosmologiache ci avvolge e ci fa esseri deltempo in cui siamo, più o menoconsapevoli in termini di co-scienza storica, il centro di tuttoquesto è il rapporto tra potere erepressione: «Ora se è evidenteche la definizione e la formazione

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dell’identità dipendono in largamisura dalle configurazioni poli-tiche e sociali (la letteratura con-sacrata alla nozione di persona è aquesto riguardo molto ricca),può sembrare al tempo stesso le-gittimo supporre che questa for-mazione dell’identità sia precisa-mente la peculiarità del potere(quale ne sia la forma) e il segretodella sua efficacia, in tutte le for-me del potere, la figura indivi-duale si inscrive nella configura-zione complessiva che delimita latotalità del possibile e del pensa-bile; questo limite determina,propriamente, l’ideologia per ef-fetto della quale ragione indivi-duale e ragione sociale tendonoad identificarsi in tutte le società.In ogni società, repressione psi-chica e repressione sociale si defi-niscono vicendevolmente. Maquesto non è il postulato dei me-ta-antropologi. Ciò che essi re-spingono, fra l’altro, nella nozio-ne di natura umana è lo schemaintellettuale universalistico chele corrisponde e secondo il qualeforme omologhi possono e deb-bono trovarsi nelle diverse cultu-re, l’evoluzionismo latente oesplicito che sottende i loro dis-corsi pretende che la storia del-l’umanità vada dal più aperto (lasocietà primitiva) al più repressi-vo (lo Stato); una lettura alla ro-vescia del senso della storia per-mette loro, un po’ contradditto-riamente, di fare del secondol’ossessione della prima, negan-dogli al tempo stesso un carattere

di necessità storica».(10) «Il poteresi abbatte sempre su individui»(11)

e, se questo è un fatto antropolo-gicamente verificato, il vero pro-blema è la definizione di quale lo-gica presieda, “nel” potere, per ladeterminazione dei ruoli, sia so-ciali che individuali. Anche per-ché «Dedurre il vissuto indivi-duale concreto dai miti d’origine,dalle cosmogonie, dalle forme ri-tuali o dalle teorie antropologi-che locali è certamente sacrifica-re ad una concezione esegeticadel simbolismo. Quest’ordine in-tellettuale non è espresso, o al-l’occorrenza imposto all’indivi-duo, se non come richiamo all’or-dine».(12)

�Ove il richiamo all’ordine

esplicitamente diviene elementoben più complesso e problemati-co della semplice categoria re-pressione. Se è vero quindi che ilrichiamo all’ordine è ben più com-plessa dimensione della repres-sione pura e semplice ed implicaun riferimento a fattori simbolici,palingenetici e alcune volte per-sino messianici, in tal modo solle-vando parte della responsabilitàcivile dell’individuo, è anche veroche, come Augé dice: «Il totalita-rismo logico-sociale non toglienulla alle difficoltà della pratica eall’angoscia del vivere. La ten-denziale identificazione dell’or-dine sociale, dell’ordine indivi-duale e dell’ordine intellettualemette a confronto le pratiche con

i temibili rischi della necessità re-trospettiva e ineluttabile. Nessu-no è al riparo dal rischio, ma gliindividui sono diversamente ar-mati per fronteggialo e questadisuguaglianza è, in ultima anali-si, sociale».(13)

�In un tale contesto di atteg-

giamento viene da richiamare ilpensiero classico, sul versante piùspecificatamente storico e laico, enel campo della teoria del religio-so la riflessione del pensiero Tra-dizionale secondo la linea UTR.(14)

Cioè a dire che la repressione co-me espressione del potere agiscenon solo per vie esterne, ma prin-cipalmente per vie interne, in-nerva ogni struttura umana, co-munque essa si costituisca e qual-siasi sia il grado, possibile o prati-cabile, d’autocoscienza rispettoallo stesso problema del potere.Certamente alla base del proble-ma della repressione comeespressione del potere c’è il pro-blema ineliminabile ed inaggira-bile delle differenze, sia nelle so-cietà di classe sia nelle societàsenza classi, essendo il potere, an-che per Augé,(15) ben anteriore al-la comparsa delle classi. Le diffe-renze innervano ogni società,qualsiasi sia la sua ideologia, inquanto «l’ideologia è sempreideologia del potere in qualsiasitipo di società. Tutte le società so-no repressive ed impongono allostesso tempo un ordine indivi-duale e un ordine sociale».(16) In

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pagine memorabili Augé coglietutte le contraddizioni del dop-pio orientamento che informal’odierna letteratura in scienzesociali: il neoevoluzionismo equello del rifiuto della dicotomianatura/cultura. E sostituisce, in-tegrandole senza negarle total-mente, tutte le principali vie in-terpretative dell’antropologia inuna nuova sintesi che è quella del-l’ideo-logica, ovvero della logicadelle rappresentazioni in una da-ta società.

�Qui è molto importante an-

che che la simbolica, o come ladefinisce Augé, l’ordine della sim-

bolizzazione, (che costituisce in-trinsecamente la rappresentazio-ne) sia considerata fondamental-mente diacronica, un rapportod’ordine sintattico,(17) che strut-tura secondo un logos complessi-vo (ove simbolica e logica quindisono correlate sempre ma nonsempre in diretta corrisponden-za) la rappresentazione (in sé e disé) del potere.(18) Infatti le formedel potere sono limitate in qualitàdi forme simboliche, indipen-dentemente dall’immensa varie-tà delle scelte paradigmatiche edal carattere non meccanicisticodelle combinazioni sintagmati-che. Perché alla storia si chiedesempre un senso, dice Augé, maquesta richiesta di senso è benprima e ben di più del senso stesso

che si vuol dare alla storia essendoil potere che controlla l’accesso alsenso e questo accesso al senso simuove tra cooptazione ed esclu-sione in una dialettica di apparatisimbolici, ove comunque vieneprivilegiata la narrazione di unpassato eminente. La “storia” di-viene quindi centrale per la nar-razione del potere, in quanto sen-za un senso della storia non si po-trebbe attribuire un senso com-plessivo all’esistente stesso oltreche al potere. Sarà ancora un al-tro potere (un contropotere, uncontrosenso) semmai, a determi-narne una restaurazione od unapossibile fuoriuscita, tramite ri-volte e rivoluzioni. Questo pote-re è connaturato alla cooptazioneed all’esclusione e quindi alla re-

Marc Augé nel suo studio

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pressione proprio perché strut-tura il senso e la storia. E la “sto-ria” «forse non è se non la storiadella creazione del senso e dellesue costrizioni. Non si può riscri-vere la storia ma la si può reinter-pretare. L’attitudine politica o fi-losofica che consiste nel ripren-dere in considerazione, facendo-sene carico, gli elementi passati,nel ripensare la storia, non è dun-que totalmente arbitraria, anchequando mitizza od inventa questastoria, perché con la sua sola esi-stenza essa le attribuisce una pos-sibilità supplementare; va da sé,tuttavia, che la storia non potreb-be interamente dipendere dal-l’attualità e che esiste un confine

tra le metamorfosi storiche diun’istituzione, le quali rivelanoprogressivamente la sua com-plessità e le sue potenzialità, e lericostruzioni arbitrarie che mo-dellano il passato sulle esigenzedel presente. In ogni caso, l’esi-genza del senso passa attraversoun pensiero del passato».(19)

�Capacità sottile d’immette-

re nel dibattito storiografico que-sta potenzialità, che non deve di-venire deviazione o falsificazio-ne, proprio nel momento in cuidiviene convintamene revisione.Ovviamente, come s’intende su-bito, bisogna ben stabilire il con-

fine fra “riscrittura del passato”che è condizionata dai miti trans-eunti, dalle mode ideologiche odalle compressioni geostrategi-che e le vere e proprie falsificazio-ni alla Zdanov o alla Orwell, chestoricamente sono esistite e con-tinuano ferocemente a esistere,che esisteranno ancora e che tuttipossiamo agevolmente constata-re. Ove per di più la validazionedelle mitizzazioni o delle rappre-sentazioni è scelta in base a fattoridel tutto opportunistici.

La “riscrittura del passato”risulta quindi, oggettivamente,di ardua definizione ed una suachiara delimitazione comporte-rebbe comunque qualità quasi

NOTE1 M. Augé, Perché viviamo, 2004, Biblio-

teca Meltemi, pag.11.2Idem, cit.: “L’utopia planetaria che ho

evocato è un’utopia dell’educazione, dellapiena occupazione e della sicurezza pertutti; è un’utopia necessaria e la sola chevalga, con quella della scienza, se si am-mette che la vita individuale degli uomininon ha altra finalità che l’affermazione disé attraverso la relazione con gli altri.”, pag.

129.3M. Augé, Poteri di vita poteri di morte,

2003, Raffello Cortina edit., pag. 9-11.4Perché..., cit., pag. 1l.5M.Augé, Rovine e macerie, Bollati Bo-

ringhieri, pag. 138.6M. Augé, Rov..., cit, pag. 37. 7M. Augé, Rov..., cit, pag. 43. Mi sovvie-

ne al proposito la struggente suggestione

evocata dal racconto di Berto (anche se ap-

parentemente di segno contrario) sulla si-

tuazione sociale di quelle comunità, bian-

che o miste, durante la ritirata finale del-

l’Asse dagli ultimi lembi francesizzati del

Nord-Africa. Il paradossale è che la mul-

tietnicità e la tolleranza “normale” di allora,

sia pur sotto la cupola del colonialismo

classico, si possano persino far rimpiangere

rispetto alle spaventose discrasie e le liqui-

datorie semplificazioni dell’oggi, crismato

da fondamentalismi di opposto segno...

Una sorta di tragica ironia della storia che

colpisce di soppiatto tutti i luoghi ed i nonluoghi del senso comune, oggi ancor più

dominanti di ieri...8M. Augé, Non luoghi, 2002, Elèuthera,

pag, 41.9M. Augé, Poteri..., cit., pag. 180: “Che

siano diverse è evidente. Che siano altre, èuna menzogna.”

10M. Augé, Poteri..., cit., pag. 7.

11M. Augé, Poteri..., cit., pag. 10... Anco-

ra: “dall’altra parte rivela il carattere espli-citamente differenziale, implicitamentenon egualitario e manifestamente costrit-tivo della configurazione complessiva incui queste rappresentazioni si articolano, siconiugano, si precisano e si ordinano unarispetto all’altra...” (...) “Ma questa bella lo-gica, di cui il discorso culturalista rende par-zialmente conto, non ha nulla d’armoniosose non l’ideologia che esprime o piuttostoche costituisce. Si tratta dell’armonia stes-sa dell’ordine - ordine indifferentemente,intellettuale, morale e sociale. Essa indivi-dua componenti biologiche e psichiche, de-finisce linee di ereditarietà e regole di eredi-tà, riti e diagnosi, prescrive e proscrive: inbreve stabilisce l’insieme del possibile e delpensabile. E tuttavia, ciò che è possibile nonlo è per tutti allo stesso titolo, ciò che è pen-sabile non lo è per tutti allo stesso modo, la

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sovrumane di onestà intellettua-le, capacità documentativa e di-scernimento spirituale. Ancheperché per sostenere nobilmentema assieme efficacemente la sub-lime inutilità della paidetica, sipuò accettabilmente credere co-me Augé che «la follia della storiaè una follia ripetitiva. Gli orrori siripetono. I progressi della tecno-logia non fanno che amplificarnegli effetti».(20)

�La “postura” stoica, nella

relazionalità civile e quella UTRnella sfera del sacro, sopra ricor-data, ci sembrano, diversamentedal cangiante atteggiamento che

si accalca forsennatamente traimpegno e riflusso, le migliori li-nee anche per sopportare e sup-portare tale “inutilità”, fornen-done una versione efficacementeproduttiva oltreché, appunto,

nobilmente testimoniale. An-che dall’intelligente ed apregiu-diziale controllo dei dati etnolo-gici ed etnografici si può inferi-re un senso organico alla teoriasul potere, confrontandosi pro-duttivamente con ogni visionediversamente orientata, daquelle ontologiche a quelle fe-nomenologiche, da quelle psi-cologiche a quelle sociologiche,da quelle storiche a quelle ideo-logiche. Il merito di Augé è difar interagire, nella sua visione, idati disponibili della ricerca sulcampo e le ipotesi interpretativecon insuperato equilibrio.

somma del possibile e del pensabile costi-tuisce una sistematica delle differenze siain modo esplicito, designando posti e ruoli(il lignaggio, la stirpe, il villaggio, il quartie-re, il padre, il figlio, lo zio, il nipote), sia in mo-do implicito, in quanto, designando questiluoghi rappresentativi, esso ne situa altempo stesso l’altrove e stabilisce con ciòstesso lo statuto di coloro che devono te-nerne conto senza potersene far carico,tutti coloro che non possono riferirsi ad es-sa se non per misurare la propria debolezzae la propria insignificanza rispetto alle lineedi forza e di senso, tutti coloro che la suddi-visione temporale delle genealogie e la ca-sualità delle nascite successive hanno al-lontanato dalle stirpi maggiori e dai fratelliprimogeniti, tutti coloro che hanno solo unaccesso effimero e passivo - per testimo-niare o per subire - allo spazio del potere.”

12) M. Augé, Poteri..., cit., pag. 1l.

13) M. Augé, Poteri..., cit., pag. 74.

14) Unità Trascendente delle Religioni...Almeno per quanto riguarda il piano uni-

versalistico, tradotto da un livello metafisi-

co ad uno ontologico ad uno socio-civile,

più che nella linea del cosiddetto senso del-

la storia. La lettura utr (e non ne diamo una

versione rigida, per intenderci, dogmatica,

ma fluida, secondo un orizzonte compara-

tivo di taglio esoterico, mistico...) interpreta

infatti in una logica ondulatoria il processo

storico accanto alla dottrina tradizionale

dei cicli, che sulla lunga distanza (dipen-

dendo comunque i tempi dai ritmi, i quali

ritmi quindi portano in sé una loro cogenza

causale, che, nel breve medio-periodo, può

essere legittimamente persino letta come

linearmente necessitata ed inequivoca) in-

verte i processi finalisticamente intesi, rin-

novando il respiro cosmico e quindi ren-

dendo quantomeno limitata, se non del

tutto incorretta, l’interpretazione esclusi-

vamente unidirezionale, pur in una sostan-

ziale irrisalibilità ed irreversibilità dei pro-

cessi macrocosmici…

15) M. Augé, Poteri..., pag. 15.

16) M. Augé, Poteri...,cit., pag. 18.

17) M. Augé, Poteri..., cit., pag. 70.

18) M. Augé, Rovine e macerie, 2004,

Bollati Boringhieri, pag. 137: “Gli uominihanno bisogno di poter pensare i loro rap-porti reciproci. Ognuno ha bisogno di poterpensare il suo rapporto con gli altri, o per lomeno con alcuni altri, e, per far ciò, di inscri-vere questo rapporto in una prospettivatemporale. Il senso sociale (il rapporto) habisogno, per svilupparsi, del senso politico(di un pensiero dell’avvenire). In altri termi-ni, il simbolico (il pensiero del rapporto) habisogno della finalità.”

19) M. Augé, Poteri..., cit., pag. 127-129.

20) M. Augé, Rovine..., cit., pag. 135.

George Orwell (1903-1950)

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Il “funzionarismo” e le funzioni

Alla ricerca dell’interpretazione di un termine politico poco noto

Politeia

Se si cerca nei vocabolari laparola “funzionarismo”non se ne trova traccia. For-

se il significato del termine hapoco concorso alla sua “popola-rità” e diffusione, specie nelleburocrazie.

Invece nei primi decennidel secolo scorso il termine“funzionarismo” era frequente-mente impiegato, almeno nelleopere di tre intellettuali di spic-co dell’epoca, non riconducibiliai medesimi interessi culturali:un giurista, Antonio Salandra;un economista, Giustino Fortu-nato; un pensatore politico, An-tonio Gramsci.

Per Salandra il termine fun-zionarismo denotava la situazio-ne dell’ordinamento dello Statomoderno per cui s’incrementavala funzione amministrativa1 e,correlativamente, il personaleaddetto. Funzionarismo signifi-ca così aumento del ruolo e delpotere della burocrazia per cui ilpotere pubblico esercita funzio-ni (crescenti) a mezzo di impie-gati specializzati. Apparente-

distintamente la contrapposizio-ne che così è generata, tra buro-crati e rappresentanza (e sovra-nità) popolare. Questa burocra-zia parassitaria «non concepì iservizi amministrativi se non im-maginandoli pari a quelli di unamacchina, che dovesse agire persolo uso e consumo de’ suoi con-gegni, nel particolare esclusivointeresse di coloro che vi fosseroaddetti, - la macchina per la mac-china» (il corsivo è nostro).

Prevede che, combinando-si nell’ordinamento degli Statimoderni, rapporto gerarchico(cioè di comando-obbedienza) edivisione del lavoro, si sarebbeconcretizzato un assetto poli-cratico dove all’antico feudali-smo «a base locale» sarebbe se-guito nel futuro un feudalismo abase funzionale.

Tale tendenza si sta già rea-lizzando, sosteneva Fortunato,perchè la burocrazia è riuscita a«sottrarre alla concorrenza pri-vata il maggior numero di intra-prese, assumendone direttamen-te l’esercizio: ossia, la tendenza al

mente il significato che ne da Sa-landra è il più “neutro” dei tre;ma subito dopo, da buon libera-le-conservatore, aggiunge con-siderazioni negative2.

Sociologico (e anche più “divalore”) il giudizio di Fortunato.Questi ricorda come vi sia unnesso indissolubile tra proleta-riato intellettuale e funzionari-smo3 che porta alla proliferazio-ne d’impieghi pubblici di dubbia(o inesistente) utilità. Vede poi

TEODORO KLITSCHE DE LA GRANGE*

Antonio Salandra (1853-1931)

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dominio universale della buro-crazia, - il cui trionfo sarebbe laresurrezione, sott’altra forma,dell’antico assolutismo, o, me-glio, della peggiore delle tiran-nie, quella della servilità unifor-me e meccanica».

Gramsci avverte la contrad-dizione dello Stato liberale che daun lato costruisce uno Stato “rap-presentativo” il quale trova ilproprio punto centrale nell’auto-nomia della società civile garanti-ta dalla divisione dei poteri (inprimo luogo) e nella sovranitàpopolare; dall’altro - ed in con-trasto con quella - nell’espansio-ne dei poteri burocratici.4

Dall’altro l’espressione fun-zionarismo connota in Gramsci -sulla scia di Michels - la prevalen-za all’interno del sindacato e delpartito socialista del potere deifunzionari e della conseguenteweltanschauung riformistica e bu-rocratica, in antitesi con lo spiritorivoluzionario.

È superfluo ricordare tuttigli altri teorici dello Stato libe-raldemocratico che hanno mes-so in guardia contro il potereburocratico (da Tocqueville aMax Weber alla scuola america-na di public choice). È invece inte-ressante notare come la diffi-denza nei confronti della buro-crazia era comune nei rivoluzio-nari francesi che avevano a chefare con la monarchia burocra-tica dell’ancien régime.

Ad esempio nel progetto didichiarazione dei diritti propo-

sto da Robespierre alla Conven-zione rileva, ai nostri fini, soprat-tutto l’art. 25 in cui si proclama:«In ogni Stato la legge deve so-prattutto difendere la libertàpubblica ed individuale control’abuso dell’autorità di coloroche governano. Ogni istituzioneche non consideri il popolo comebuono e il magistrato come corrut-tibile è difettosa» (com’è noto, taleespressione non fu inserita nelladichiarazione del 1793, ma ven’erano di analoghe).

E nel discorso pronunziatoalla Convenzione il 10 maggio

1793, Robespierre sosteneva:«Mai i mali della società proven-gono dal popolo, bensì dal gover-no. E non può essere che così.L’interesse del popolo è il benepubblico; l’interesse di un uomoche ha una carica è un interesse pri-vato. Per essere buono il popolo nonha bisogno d’altro che di anteporre sestesso a ciò che gli è estraneo, il magi-strato, per essere buono, deve sacrifi-care se stesso al popolo».5

Anche Saint-just nel rap-porto presentato alla Convenzio-ne a nome del Comitato di salutepubblica il 19 vendemmiaio del-

Dalle quarantadue incisioni che adornano Le guerre della rivoluzione, di Camille

Pelletan, (1846-1915), Robespierre e i suoi amici Saint-Just e Couthon (da sinistra:

Saint-Just, Robespierre e Couthon, poco prima del 9 termidoro), p. 112

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l’anno II (10 ottobre 1973) scrive:«Tutti coloro che il governo impiegasono parassiti; chiunque abbia unacarica non fa niente personal-mente e prende dei collaboratorisubordinati»; e nel successivorapporto del 23 ventoso dell’an-no II (13 marzo 1794) rincara«C’è un’altra classe corruttrice, è lacategoria dei funzionari... Tutti vo-gliono governare, nessuno vuoleessere cittadino. Dov’è dunque lacomunità politica? Essa è quasiusurpata dai funzionari».6

(Anche) a tale riguardo

Marx si rivela uno dei più attenti(e acuti) interpreti dello spiritoborghese. Criticando Hegel equanto da questi sostenuto neiparagrafi 287-297 dei Grudlinienscriveva che la prassi della buro-crazia era proprio il contrario (diquanto teorizzato da Hegel).Notava a tale proposito che inHegel «Poiché l’universale cometale è fatto per sé sussistente essoè immediatamente confuso conl’empirica esistenza, e il limitato èimmantinente preso, in guisaacritica, per l’espressione dell’i-

dea». Cioè Hegel pensa, secondoMarx, che dato che i burocratidovrebbero agire così (secondo larazionalità dello Stato), alloraavrebbero agito così. Di fatto è ilcontrario: la burocrazia, scriveMarx, confonde gli scopi delloStato con quelli burocratici:«Poiché la burocrazia è, secondola sua essenza, lo “Stato come for-malismo”, essa lo è anche secon-do il suo scopo… La burocrazia sipretende ultimo scopo dello Stato.Poiché la burocrazia fa dei suoiscopi “formali” il suo contenuto,essa viene ovunque a conflittocon gli scopi “reali”. Essa è dun-que costretta a spacciare il forma-le per il contenuto e il contenutoper il formale. Gli scopi dello Statosi mutano in scopi burocratici e gliscopi burocratici in scopi statali».

A distanza di secoli da quan-do i costituenti e teorici dello Sta-to borghese hanno pensato e datoforma alle istituzioni liberalde-mocratiche è interessante notarecome queste siano viste spesso inun’ottica distorta: quella fattapropria dal potere burocratico,quando esprime una propria Wel-tanschauung.

Combinando insieme glielementi caratteristici abbiamo

A sinistra: Théodore Chassériau

(1819-1856), Alexis de Tocqueville

(1805-1859), Versailles, Museo di

Versailles. A destra, dall’alto:

Montesquieu in un’incisione di Émile

Bayard (1837–1891); Sadi Carnot in

una fotoincisione di Nicolas Léonard

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che il “tipo ideale” dello Statoborghese consiste in ciò:

a) che vi sia la garanzia deidiritti fondamentali, ovvero lasocietà civile “separata” dalloStato;

b) i poteri pubblici sianodistinti nel senso, notissimo, diMontesquieu;

c) ogni potere di governosia nazionalizzato;

d) che sia consentita – anziincentivata – la partecipazione

dei cittadini ai poteri pubblici(compresi quelli amministrativi).

e) in conseguenza dell’ele-mento sub “a”: ogni potere pub-blico è in linea di principio limi-tato, e ogni azione sociale libera;

f) l’accesso alle cariche pub-bliche è consentito a qualsiasi cit-tadino (conseguenza del princi-pio sub d) (ritenuto tipico di unordinamento democratico già daTucidide ai tempi di Pericle)7.

g) Infine, come conseguen-za sia della democrazia che della“supremazia” del politico, il ver-

tice di ogni ente e di molti organi-smi pubblici è d’estrazione noninterna (burocratica), ma eletto odesignato esternamente (da organiresponsabili verso il corpo eletto-rale). Con la conseguenza di con-trollare e limitare il potere dellaburocrazia (interna).

Se si prova invece a costrui-re il tipo ideale di uno Stato (edella pubblica amministrazione)come da Weltanschauung buro-cratica, abbiamo invece:

a) il perseguimento dell’in-teresse pubblico affidato alla bu-

rocrazia è il fine principale. Soloche, essendo la competenza deiburocrati limitata dalle funzionidell’ufficio, risulta considerato eperseguito non (tanto) l’interes-se generale (che è la sintesi degliinteressi particolari e lo “scopo”principale dell’istituzione- Sta-to) ma il particolare interesse af-fidato all’ufficio.

b) É chiaro che rispetto alcompito del funzionario di tute-lare l’interesse pubblico i dirittidei privati, se si imbatte in quelli,sono di sicuro impaccio e fastidio. A

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parte ogni considerazione “die-trologica”, è chiaro che il compi-to del funzionario è assai facilita-to se non deve rispettarli o la suaazione li può “affievolire”. L’ef-fettività del diritto, uno dei finiprincipali dello Stato, stretta-mente connesso all’ordine socia-le, è quindi vista quale ostacoloall’esercizio della funzione affi-data al burocrate.

c) I controlli; anche questisono d’impaccio all’assolvimen-to del compito.

d) Le responsabilità. Purnon avendo le responsabilità pe-culiari al personale politico (lega-

te alla elezione o nomina e allatemporaneità del mandato), per ilfunzionario essere chiamato a ri-spondere del proprio operato è an-ch’esso impeditivo all’esercizio del-la funzione (del potere). Ragionper cui i tipi di responsabilità de-vono essere limitati (v. l’art. 28 del-la Costituzione italiana, poco ap-plicato) e di preferenza valutate dauffici “interni” alla burocrazia.

Se invece di ricostruire il ti-po ideale di Stato secondo la vi-sione burocratica, lo si fa secon-do gli interessi privati del buro-crate (quelli presi “a misura” delcomportamento della burocrazia

NOTE1 “Quelle funzioni degli Stati moderni,

che, proseguendo particolarmente il fine

di benessere e di coltura, hanno più rigo-

rosamente il nome di amministrative,

vanno d’anno in anno crescendo di nu-

mero, di intensità e di diffusione...” v. Lagiustizia amministrativa nei governi libe-ri, Torino 1904, pp. 8 ss.

2 “L’autorità, se anche preordinata a

difesa e integrazione della libertà, non si

esercita senza diminuzione della libertà

stessa. E quanto più essa si divulga, quan-

to maggiore cioè è il numero e di conse-

guenza inferiore la qualità degli individui

che la esercitano, tanto più grave e fre-

quente è il pericolo ch’essa ecceda, e che

non sia raffrenata la naturale tendenza dicoloro che ne dispongono ad abusarne e adisviarla a fini personali” in La giustiziaamministrativa nei governi liberi, Torino

1904, pp. 8 ss.3 “Proporzionalmente così alla popo-

lazione come ai pubblici servizi, lo Stato

italiano annovera il maggior numero

d’impiegati, specialmente di quelli che

hanno mansioni esecutive, triste espres-

sione del nesso indissolubile che è in Ita-

lia fra il proletariato intellettuale e il fun-

zionarismo, due escrescenze parassitarie

di un organismo debole e malato”. I servizipubblici e la XXII legislatura ne Il mezzo-giorno e lo Stato italiano Bari 1911 p. 417.

4 “Tutta l’ideologia liberale, con le sue

forze e le sue debolezze, può essere rac-

chiusa nel principio della divisione dei po-

teri, e appare quale sia la fonte della debo-

lezza del liberalismo: è la burocrazia, cioèla cristallizzazione del personale dirigen-te, che esercita il potere coercitivo e che aun certo punto diventa casta. Onde la ri-

vendicazione popolare della eleggibilità

di tutte le cariche, rivendicazione che è

estremo liberalismo e nel tempo stesso

della sua dissoluzione”.Note sul Macchia-velli Roma 1971 p. 119 v. anche p. 408.

5 E proseguiva: “Il governo è istituito

per far rispettare la volontà generale; ma

gli uomini che governano hanno una vo-lontà individuale, e questa cerca sempredi dominare. Se essi impiegano in questo

senso la forza pubblica, il governo non è

che il flagello della libertà. Dovete conclu-

dere, quindi, che principale obiettivo di

ogni Costituzione deve essere difendere

la libertà pubblica e quella individuale

contro lo stesso governo... Hanno procla-

mato con grande solennità la sovranità

del popolo e intanto l’hanno incatenato; e

mentre riconoscevano che i magistrati

sono i suoi mandatari, li hanno trattati

come i suoi dominatori e i suoi idoli. Tuttisono stati d’accordo nel presupporre il po-polo insensato e ribelle, e i funzionari pub-blici essenzialmente saggi e virtuosi”, IGiacobini, p. 40, Firenze 1978 (i corsivi so-

no nostri).6 v. I Giacobini, Firenze 1978, pp. 81 e

87 (i corsivi sono nostri).7 v. K. Marx Critica della filosofia hege-

liana del diritto pubblico, Roma 1989, pp.

63-64 (i corsivi sono nostri).

dagli economisti della scuola dipublic choice e da Fortunato) lasintesi più efficace l’ha data pro-prio l’economista lucano: lo Sta-to (e più ancora l’ufficio) è vistodal funzionario come una granmacchina, che al contrario diquella di Carnot, adopera tuttal’energia consumata per far muo-vere i propri ingranaggi e cioè arendimento “zero”. Quanto piùsi avvicina al rendimento suddet-to, tanto più è apprezzata dai bu-rocrati (ovviamente il contrario èper gli utenti). Fine prima parte

*Avvocato, autoredi numerosi saggi e libri

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«Ha il tic di dete-stare le personeinfelici, perchè

non vuole esserlo, nemmenoper lo spettacolo delle sofferen-ze altrui», diceva l’abate Galianidi Madame Géoffrin. Nellagrande tela di Lemonnier, Pri-ma lettura dell’“Orfano cinese” diVoltaire nel salotto di MadameGéoffrin, si trovano schieratiquasi tutti gli intellettuali deltempo. La padrona di casa, ve-stita con voluta modestia, incontrasto con le sue rivali ari-stocratiche, guarda assorta nelvuoto.

�Non era l’unica tra le gran-

di dame parigine a temere gliagguati della tristezza. Madamedu Deffand guardava con so-spetto un invitato che parlavastrascicando penosamente leparole: «Quell’uomo ha l’ariad’annoiarsi mortalmente diquel che dice». La noia è il veronemico del XVIII secolo. Si te-

me che sia contagiosa; si ignoraquando sopraggiunge e quandoscompare. Non si sa quale abis-so si nasconda dietro il suo ma-linconico vuoto.

Il bonheur, la felicità, cheera l’ossessione degli abitantidel XVIII secolo, doveva essereprotetto e nutrito. L’Encyclopé-die, dopo aver consigliato diprendere, prima della tazzina dicaffè, un bicchiere d’acqua, perrendere lassativa la bevanda, nerilevava le qualità positive. Quelliquido scuro sembrava «ralle-grare la mente, renderla piùpronta al lavoro, svagarla e dis-siparne i dispiaceri».

La seduzione era l’emble-ma del rapporto dell’epoca conil bonheur, cui si avvicinava comeun cacciatore timoroso di spa-ventare la selvaggina o di rovi-narla. Ma l’altro nemico dellagioia è il tempo. Non a caso, harilevato Mauzi, bonheur signifi-ca anche bonne heure, alludendoall’irripetibile immersione nelpresente degli uomini del secolo

dei Lumi. Le tante donne ritrat-te di spalle da Watteau sono laconsapevolezza dello scorrereincessante del tempo: se ne è ap-pena presa coscienza che già èlontano.

�La petite maison, la raffinata

dimora in cui i libertini accoglie-vano le loro amanti, era una pic-cola fortezza contro l’assedio deltempo. Nei disegni di Fragonardogni radura si tramuta in un bou-doir. Le tende, i quadri e i mobiliarcuati ed imbottiti di ogni stan-za sembrano creati apposta per ilradioso istante della seduzione.Gli specchi moltiplicano i piace-ri all’infinito in un’eco vellutatasempre uguale e sempre diversa.Le spesse volute delle pesanticortine dei letti calano a incorni-ciare gloriosamente le diversetappe della conquista. Il pittore-sco disordine delle lenzuola èquello della piena di una passio-ne pronta a risolversi nell’attimodel godimento.

Da l’Erasmo: pagine scelte

Un’ossessione del XVIIIsecolo: l’oro del “bonheur”

Donne, scrittrici, pittori, libertiniGIUSEPPE SCARAFFIA

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In quell’epoca golosamen-te concentrata sul presente,‘Frago’, come lo chiamavano gliamici, cercava di sorprendernead ogni passo la rigogliosa pie-nezza e la fulminea generosità.Bandite la nostalgia e la speran-za, si chiedeva al tempo, con avi-da meraviglia, tutto quel che po-teva offrire. Gli attimi di piacere

si concatenavano come le perledi una collana. Non a caso l’au-tore di Point de lendemain, Do-minique-Vivant Denon, era ungrande collezionista e l’inven-tore del Louvre. Il cacciatore difelicità settecentesco non cerca-va, come i romantici dell’Otto-cento, un’impossibile pienezzadi felicità. Sapeva bene che il

mosaico del bonheur si componeuna tessera alla volta, come unaspregiudicata collezione.

�Nello sguardo delle fan-

ciulle di Boucher il materiali-smo si traduceva in una sensualeserenità. Con un movimentospontaneo la saggezza abbrac-

Jean-Honoré Fragonard (1732-1806), L’istante desiderato o Gli amanti felici, olio su tela, collezione privata

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ciava la dissipazione e l’inco-stanza. Lo sbriciolarsi della roc-cia non evocava in Diderot ilfantasma della dissoluzione fi-nale, ma quello tenero dell’a-dulterio. Come può resistere lafedeltà, si chiedeva il filosofo, senemmeno la pietra riesce a sot-trarsi all’usura degli elementi?

�La vita amorosa era un

continuo schivare la noia. «Ci sipiace, ci si prende. Ci si annoia,ci si lascia», diceva il principe di

Ligne, per cui Goethescrisse il Requiem per l’uomo più

felice del secolo. Coraggioso sottole armi, abile nelle trattative,squisito nella conversazione,Ligne sapeva padroneggiare lepassioni, godendo del loro slan-cio senza soggiacervi. La vivaci-tà delle infinite battute che co-stellavano i suoi discorsi era ilriflesso di una completa aderen-za al presente. Scusandosi con ilre di Polonia per un ritardo, dis-se: «Sire, la colpa è di una dellevostre più belle suddite. Il suosegreto verrà mantenuto, per-chè non riesco a ricordarmene ilnome che è di cinque o sei silla-be diaboliche da pronunciare».

Ligne morì serenamente, du-rante il congresso di Vienna.Aveva chiesto, ricevuto e dato alsuo tempo tutto quello che po-teva riceverne e dargli: una feli-cità vivida e leggera, come unafiamma bassa ma sempre viva,uguale e diversa.

�Se Don Giovanni nel Sei-

cento si misurava con la divinità,Casanova, come la miglioreparte del suo secolo, si misuravacon l’inafferrabile dolcezza delpresente. E la sfuggente volut-tuosità della donna gli sembrava

Jean-Honoré Fragonard, Amore abbraccia l’Universo; olio su tavola, Tolone, Musée des Beaux-Arts

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Jean-Honoré Fragonard Le tre Grazie, olio su tela, Grasse, Musée Fragonard

incarnare perfettamente questadimensione temporale. Per se-durre le sue prede, Giacomonon esitava davanti ad alcunmezzo, da una lieve violenza aldenaro, offerto generosamenteprima per vincere le resistenze epoi, appagato il desiderio, perdare paternamente una dote allapupilla.

�Eppure la modernità, da

Schnitzler a Fellini, sembra nonriuscire a fissare in tutto il suofulgore la spensierata grandezzadi Casanova, la straordinaria, in-

sopportabile pienezza vitale dellibertino, in cui il secolo si erarealizzato con una completezzasospetta, abbinando all’arte l’in-ganno, alla seduzione il genio.Nulla sfuggiva all’alchimia concui il Settecento cercava di tra-sformare qualsiasi suo aspettonell’oro del bonheur. Anche se è ilsecolo del piacere, l’epoca deiLumi era una delle più pronte asciogliersi in un pianto ristora-tore, che diventava subito un’oc-casione di godimento e una pro-va di una qualità cui tenevanomolto: la sensibilità. Tutti eranosensibili. Luigi XVI aveva inau-

gurato ‘la monarchia sensibile’.Mentre la filosofia si esibiva neisalotti, sul palcoscenico trionfa-va la ‘commedia lacrimosa’, alta-re dei buoni sentimenti. Nel-l’Encyclopédie di Diderot – am-piamente dedito al vizio delle la-crime – riso e pianto sono acco-munati nella descrizione fisiolo-gica. Entrambi sono manifesta-zioni di piena positiva del senti-mento. «Tutti i generi vanno be-ne – diceva Voltaire – trannequelli noiosi».

Tratto da L’Erasmo, n.32, Ottobre –Dicembre 2006, I cinque sensi

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Hanno «comperato unascatola con colori e mati-te». E hanno disegnato il

loro piccolo universo, con la fuga-ce dolcezza dell’attimo e il ponde-rato gesto dell’eterno. Così è la fa-miglia Iaccarino. Come spersa,nelle fluttuanti tinte di una di-mensione favolistica: quella delDon Alfonso. Ma così è ancheSant’Agata sui due Golfi, piccolopaese abbarbicato fra Penisola Sor-rentina e Costiera Amalfitana: unluogo che è dimensione a sé, comeil minuscolo pianeta abitato dal Pic-colo Principe protagonista dell’o-monimo racconto di Antoine deSaint-Exupéry (novella di cui la Bi-blioteca di via Senato conserva unabella edizione Gallimard del 1946).

Una dolcezza indefinita, uncandido languore, una sottile ma-linconia pervadono il pergolato e ilgiardino del Don Alfonso, am-mantato da caldi colori mediterra-nei. Splendente nei blu e accecan-te nei bianchi delle sue ceramichedi Vietri. Mentre Livia, insieme alfiglio Mario, vi accoglieranno conla spontaneità del candore, già Al-fonso, con l’altro figlio, Ernesto, sa-ranno in cucina, con la misura del-la serietà: già perché la vita, comel’arte, «è una questione di discipli-

ro mondo del Piccolo Principe.Solo un grande vino bianco, co-me lo Chardonnay di Ca’ del Bo-sco (forse il più grande biancod’Italia), può dialogare con suc-cesso con questi piatti. Spettroolfattivo, ampiezza gustativa,lunghezza ed equilibrio lo rendo-no complice ideale per emozionisenza fine: «è così misterioso ilpaese delle lacrime!». Sarà anco-ra Livia, con il suo coinvolgenteentusiasmo e il suo cuore da bam-bina, a narrare della piccola tenu-ta di Punta Campanella: un luogomagico, a pochi chilometri daSant’Agata, a picco sul mare, oveAlfonso coltiva gli ortaggi e lafrutta del ristorante. Vi trascineràlì, col sorriso della purezza. E al-lora, sospesi fra cielo e mare, nel-l’azzurro più intenso, anche noisaremo finalmente bambini. «Mipiacciono tanto i tramonti. An-diamo a vedere un tramonto…».E guarderemo quel grande spet-tacolo con occhi più puri che mai,sospesi fra cielo e mare. Guarde-remo la «dolcezza del tramonto»attraverso gli occhi di Livio e Al-fonso, Mario ed Ernesto. Occhipuri e vibranti nell’emozione. Equella vista rimarrà sempre lì, innoi, scolpita in un eterno ricordo.

Bvs: il ristoro del buon lettore

Il sorriso di Livia e AlfonsoCome fanciulli: la purezza e le emozioni della cucina

na». Ernesto lo sa. Lo ha impara-to fin da giovane. Il rigore gli ap-partiene: «è molto più difficilegiudicare se stessi che gli altri».

I piatti raccontano storie dipiacere e di gusto ma in essi «l’es-senziale, invisibile agli occhi» va«cercato col cuore»: così nelsoufflé di mozzarella di bufala co-me nell’antica degustazione diantipasti di nonna Titina. Le sto-rie crescono in ampiezza con lezeppole d’astice e deflagrano nelcomplesso (e straordinario) gela-to di anguilla con caviale e taglia-telle al profumo di rosa. E infineun sottile “concerto di limoni”,come fosse un vivaldiano pizzica-to d’archi, spalanca le porte al pu-

GIANLUCA MONTINARO

Ristorante Don Alfonso 1890Corso Sant’Agata, 11Sant’Agata sui due Golfi (Na)Tel. 081/8780026

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