L. Mél. I, p. 8). Zllrss, Les · palauo reale e il Capo. Fra gli edifici spicca la catte drale. 94...

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Le cupole, emisferiche, sono raccordate alla parete senza alcuna membratura in aggetto e la curvatura è stata ottenuta accostando, con movimento a spirale, conci posti di taglio e saldati per meno di un'abbon- dante colata di malta tanto da apparire infissi in questa (fig. 8). Un effetto simile offre la calotta della cupola avanti il mihrab della Grande Moschea di Kairouan. La tecnica edilizia adottata nell'erezione dei muri è un conglomerato di pietre legate con abbondante malta, rivestito da uno strato d'intonaco, di cui rimangono tracce. Questa tecnica muraria, frequente nell'edilizia mi- nore del Val di Mazara fino al periodo normanno, accostata talvolta alla pietra ben tagliata, veniva ado- perata anche in Africa e, secondo alcuni studiosi, è di derivazione berbera. 21 l Che possa essere stata edificata durante il regno normanno non sembra verosimile in quanto in tale periodo non ci sarebbero state ragioni per fortificarsi 111 tal modo in un paese posto non eccessivame nte all'interno e perciò costantemente controllabile da Pa- lermo, sede del potere regio, né sulla costa e quindi non alla mercé d'incursioni dal mare. ln quanto ad una datazione di tale edifi cio in epoca posteriore al normanno, lo escluderebbero le sue proporzioni potché, anche se in epoca federiciana si continuò, nel- l'archi tett ura militare, ad edificare seguendo la stessa pianta, i castelli svevi presentano uno in ver- ticale che risente fortemente d'influenze gottche, 2:1! del tutt .o estra neo a quelli arabi che, anche se di pianta ampia, banno un equilibrio di proporzioni tale per cui mat appaiono volerst imporre sull'ambie nte circostante. Nulla prova che sia stato lbo Mankud a volerne l'erezione. Sono solo congetture suggerite dalle parole di ldrisi. Se il geografo arabo, quando la Sicilia era ormai regno normanno, accenna al c3Sale per riflesso, men- zionando il castello da cui era dominato, evidente- mente nella contrada era ancora vivo il ricordo di Ibo Mankud e molto probabilmente perché questi, tra i capi ribelli, doveva essersi distinto per qualche ra- Che questa ragi one possa essere stata, 9uando il dominio arabo volgeva al tramonto e la Sicilia era devastata dalle lotte tra arabi e berberi, la strenua di- fesa del territorio conquistato, opposta agli arabi di Palermo? In questo quadro troverebbero una spiegazione lo- gica le fortificazioni di Lachabuca, l'attuale Sambuca di Sicilia. 23l A ... , .. S NNA JVUUUA CRNDDT 1) I ruderi del Castello di Calatamauro sono tuttora visibili sulla cima di un monte nei pressi dì Contessa Entellina. Del castell o d1 Battalari, cont rada conosciuta come Patellaro, rimane la zona basamentale, inglobata io una fattoria, costruita con la stessa tecnica del muro posteriore delle terme arabe di Cefalà Dana : strati di pietr.lme e malta alternati a file di laterizi. 2) B. GIACONE, Del Castello arabo " M anzi{ Sindì, ovvero S. 'Marglu!rita Belice, Pal. ermo 1907. 3) lDRtSI, K itab nuzhat al mustaq, trad . M . AMAJU, Roma t88x, p. 2055· 4) Del Castello di Sambuca, esistente fino al 1837, notizie G. GJACONE, Zabw, notizie storiche del casullo dì Zabut, Sciacca 1932, p. 10 $$. 5) In effetti le d istanze sono maggiori e ciò è spiegnbile in quanto Idrisi, nella compila.z.ione della sua opera si rimetteva a qua. nto gli veniva riferito da altri viagguuori. G. GIACONE, op. dt. AMARI B ìbl. a raOO-sicula, p. 181. Nel Nord-Africa la terra coltivabile, irrìgua, viene chia- mata anche attualmente " sinia ,. 9) G. MARçAlS, L'art de 1'/ stam, Paris 1947, p. 55· 10) L. BARBERI, l capìbrevi di Luca Barberi pubblicati per la priTTIIJ volta da Silvestn, Palermo t879-BB, vol. 111, p. 346 ss. 11) G. GJACONE, op. cic., p. 54· 12) G. MARçAJS, N ote sur les rilxlts tn B arberìe, in Mél. d'hist. e.c d'ard1. de I'Occidenc musulman, tome I, Paris 1957, p. 25. 13) St St.IMANB MosTAFA Zllrss, Les "ribat, inst1tution mi· liUlro-religieuse des c6ces nord-c.jrico.ines, io Acadimìt des ìrucri- ptìons et belles lettres, aprile-giugno 19,54, p. 145. 14) A. Le ribat de Sousse, su1vì de notes sur le ribat de M onastir, Tunis r956, p. ABDUI.HAM.ID ABsussAtD, Early l slamic M onuments at Ajdab1yah, io Ubia Antiquo, Tri poli 1964, p. 115 ss. : T his end is flanked by round dome covered towers, whose sides are perforated with l oopholes for arrows ... , (p. 116). 15) A. GABanu.,_Gasr el Heir, io Syrla V/Il, 1927, p. 302 ss. 16) H . STERN, NOtes sur l'architecturt des chdteau.x omeyyades, io Ars islamica, XI-XII, 1946, p. 72 ss. 17) CH. DmHL 1 M anuel d'art byzantin, Paris 1925-26, p. 184; loi!M, L'A/rique oyt.:antine, I, Paris 1896, p. 145· 18) ] AUSSEN ET SAVtGNAC, Les chdteaux arabes de Queseir Amra, Haraneh et Tuba, Paris I922_c p. 115. 1 9) H. STERN, op. ciL., p. !S6. 20) A. A rchiteclllrt de 1'/ friqiya, 1966, p. 137· Si rife- risce al rinvenimento eli una lapide reca. nte un nome legato al periodo del Governatorato abbasside sulla Tunisia: H arthama ben Ayan cfr. Unm, u ribat de Sousse, ci t. 21) G. M..\RçAJs, L'art de 1'/ slam, cir.: •• T oute la oonst ruction est en pierre n. on taì1Jée, mau!riel h3bituel des fondations bèr· bères de meme époque (Siècle Xl), (p. 100); F. Coaò, Vestigia di colonie agricole romane, Roma .. La costruzione [Gasr el Hami r - Libia] ha le caratterisuchc be.rbere, cioè pietre mi- nute cementate con gesso e calce, (p. go). 22) G. DI STEFANO, L'architettura goticcrsveva in Sidlia, Pa- lermo 1935· 23) C. A. GARUFI, Cacalo.to illustrato del Tabulan 'o di Santa Mana Nuova in M onreale, tn Docum. per ser11ire alla Storia di Sicilia, ser. I, vol. XIX, Palermo t!iJ<Y.l, p. 285. ICONOGRAFIA DELLA CATTEDRALE DI PALERMO ANTERIORE AL 1781 N EL 1781 ebbe inizio la radicale trasformazione della cattedrale normanna di Palermo, il monumento più significativo e la più emblematica sintesi dell'archi- tettura di quella intensa stagione artistica siciliana che, iniziatasi in età islamica, si estese, attraverso l'età nor- manna, fino al tempo di Federico II di Svevia. Co- str uita nel n84-85, •> questa chiesa aveva subito, at- traverso i secoli, notevoli alterazioni, in rela4ione al mutare del gusto e del concetto stesso di luogo di culto, ma aveva marttenuto sostanzialmente integro il suo organismo architettonico, superando financo l'ebarocca dras ti camente avversa ad manifestazione d'arte difforme da quelle sue propn e. Le distruzioni tardo-settecentesche sopraggiunsero quando andava maturando, nelle regioru europee di più avanzata cultura, una coscienza medioevalistica, anticipatrice dei nu.merosi revivals storici, che non aveva tuttavia ancora attinto la Sicilia. Quelle distruzioni, realizzate tra il 1781 e il r8ox, al furono condotte nella prospettiva dl un totale rifaci- mento del tempio, il cui nuovo progetto fu affidato a Ferdinando Fuga. Il Fuga e coloro che posero io atto i suoi disegni ebbero un relativo rispetto per l'esterno (magnificato da tutta una letteratura stori co-erudita che aveva avuto inizio io un celebre giudizio discrimi- nante del Pirro 3l), ma riplasmarono l'interno, oblite- rando totalmente ogni antica presenza, oggi è negata ogni possibilità di lettura (fig. 3). Il relativo rispetto dell'esterno comportò il salva- taggio di una parte dei prospetti, delle cinque torri, delle varie aggtUote tre-quattrocentesche ecc., e ne l 93 ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

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Page 1: L. Mél. I, p. 8). Zllrss, Les · palauo reale e il Capo. Fra gli edifici spicca la catte drale. 94 La tavola è, al fine del nostro studio, particolarmente preziosa per due motivi:

Le cupole, emisferiche, sono raccordate alla parete senza alcuna membratura in aggetto e la curvatura è stata ottenuta accostando, con movimento a spirale, conci posti di taglio e saldati per meno di un'abbon­dante colata di malta tanto da apparire infissi in questa (fig. 8). Un effetto simile offre la calotta della cupola avanti il mihrab della Grande Moschea di Kairouan.

La tecnica edilizia adottata nell'erezione dei muri è un conglomerato di pietre legate con abbondante malta, rivestito da uno strato d'intonaco, di cui rimangono tracce.

Questa tecnica muraria, frequente nell'edilizia mi­nore del Val di Mazara fino al periodo normanno, accostata talvolta alla pietra ben tagliata, veniva ado­perata anche in Africa e, secondo alcuni studiosi, è di derivazione berbera. 21l

Che possa essere stata edificata durante il regno normanno non sembra verosimile in quanto in tale periodo non ci sarebbero state ragioni per fortificarsi 111 tal modo in un paese posto non eccessivamente all'interno e perciò costantemente controllabile da Pa­lermo, sede del potere regio, né sulla costa e quindi non alla mercé d'incursioni dal mare. ln quanto ad una datazione di tale edificio in epoca posteriore al re~no normanno, lo escluderebbero le sue proporzioni potché, anche se in epoca federiciana si continuò, nel­l'architettura militare, ad edificare seguendo la stessa pianta, i castelli svevi presentano uno svilu~po in ver­ticale che risente fortemente d'influenze gottche, 2:1! del tutt.o estraneo a quelli arabi che, anche se di pianta ampia, banno un equilibrio di proporzioni tale per cui mat appaiono volerst imporre sull'ambiente circostante.

Nulla prova che sia stato lbo Mankud a volerne l'erezione. Sono solo congetture suggerite dalle parole di ldrisi.

Se il geografo arabo, quando la Sicilia era ormai regno normanno, accenna al c3Sale per riflesso, men­zionando il castello da cui era dominato, evidente­mente nella contrada era ancora vivo il ricordo di Ibo Mankud e molto probabilmente perché questi, tra i capi ribelli, doveva essersi distinto per qualche ra­~ione. Che questa ragione possa essere stata, 9uando il dominio arabo volgeva al tramonto e la Sicilia era devastata dalle lotte tra arabi e berberi, la strenua di­fesa del territorio conquistato, opposta agli arabi di Palermo?

In questo quadro troverebbero una spiegazione lo­gica le fortificazioni di Lachabuca, l'attuale Sambuca di Sicilia. 23l A ... , .. ~-. S

NNA JVUUUA CRNDDT

1) I ruderi del Castello di Calatamauro sono tuttora visibili sulla cima di un monte nei pressi dì Contessa Entellina. Del castello d1 Battalari, contrada conosciuta come Patellaro, rimane la zona basamentale, inglobata io una fattoria, costruita con la stessa tecnica del muro posteriore delle terme arabe di Cefalà Dana : strati di pietr.lme e malta alternati a file di laterizi.

2) B. GIACONE, Del Castello arabo " M anzi{ Sindì, ovvero S. 'Marglu!rita Belice, Pal.ermo 1907.

3) lDRtSI, K itab nuzhat al mustaq, trad . M . AMAJU, Roma t88x, p. 2055·

4) Del Castello di Sambuca, esistente fino al 1837, dà notizie G. GJACONE, Zabw, notizie storiche del casullo dì Zabut, Sciacca 1932, p. 10 $$.

5) In effetti le d istanze sono maggiori e ciò è spiegnbile in quanto Idrisi, nella compila.z.ione della sua opera ~eogratica, si rimetteva a qua.nto gli veniva riferito da altri viagguuori.

6~ G. GIACONE, op. dt. AMARI B ìbl. araOO-sicula, p. 181.

~ Nel Nord-Africa la terra coltivabile, irrìgua, viene chia­mata anche attualmente " sinia ,.

9) G . MARçAlS, L'art de 1'/ stam, Paris 1947, p. 55· 10) L . BARBERI, l capìbrevi di Luca Barberi pubblicati per la

priTTIIJ volta da Silvestn, Palermo t879-BB, vol. 111, p. 346 ss. 11) G . GJACONE, op. cic., p. 54· 12) G. MARçAJS, N ote sur les rilxlts tn B arberìe, in Mél. d'hist.

e.c d'ard1. de I'Occidenc musulman, tome I, Paris 1957, p. 25. 13) St St.IMANB MosTAFA Zllrss, Les "ribat, inst1tution mi·

liUlro-religieuse des c6ces nord-c.jrico.ines, io Acadimìt des ìrucri­ptìons et belles lettres, aprile-giugno 19,54, p. 145.

14) A. L~JNE, Le ribat de Sousse, su1vì de notes sur le ribat de M onastir, Tunis r956, p. ~6; ABDUI.HAM.ID ABsussAtD, Early l slamic M onuments at Ajdab1yah, io Ubia Antiquo, Tripoli 1964, p. 115 ss. : '· T his end is flanked by round dome covered towers, whose sides are perforated with loopholes for arrows ... , (p. 116).

15) A. GABanu.,_Gasr el Heir, io Syrla V/Il, 1927, p. 302 ss. 16) H . STERN, NOtes sur l'architecturt des chdteau.x omeyyades,

io Ars islamica, XI-XII, 1946, p. 72 ss. 17) CH. DmHL1 M anuel d'art byzantin, Paris 1925-26, p. 184;

loi!M, L'A/rique oyt.:antine, I, Paris 1896, p. 145· 18) ] AUSSEN ET SAVtGNAC, Les chdteaux arabes de Queseir Amra,

Haraneh et Tuba, Paris I922_c p. 115. 19) H. STERN, op. ciL., p. !S6. 20) A. L~INB, A rchiteclllrt de 1'/friqiya, 1966, p. 137· Si rife­

risce al rinvenimento eli una lapide reca.nte un nome legato al periodo del Governatorato abbasside sulla Tunisia: Harthama ben Ayan (7Q~7); cfr. Unm, u ribat de Sousse, ci t.

21) G. M..\RçAJs, L'art de 1'/slam, cir.: •• Toute la oonstruction est en pierre n.on taì1Jée, mau!riel h3bituel des fondations bèr· bères de meme époque (Siècle Xl), (p. 100); F. Coaò, Vestigia di colonie agricole romane, Roma 1~28: .. La costruzione [Gasr el Hamir - Libia] ha le caratterisuchc be.rbere, cioè pietre mi­nute cementate con gesso e calce, (p. go).

22) G. DI STEFANO, L'architettura goticcrsveva in Sidlia, Pa­lermo 1935·

23) C. A. GARUFI, Cacalo.to illustrato del Tabulan'o di Santa Mana Nuova in M onreale, tn Docum. per ser11ire alla Storia di Sicilia, ser. I, vol. XIX, Palermo t!iJ<Y.l, p. 285.

ICONOGRAFIA DELLA CATTEDRALE DI PALERMO ANTERIORE AL 1781

N EL 1781 ebbe inizio la radicale trasformazione della cattedrale normanna di Palermo, il monumento

più significativo e la più emblematica sintesi dell'archi­tettura di quella intensa stagione artistica siciliana che, iniziatasi in età islamica, si estese, attraverso l'età nor­manna, fino al tempo di Federico II di Svevia. Co­struita nel n84-85, •> questa chiesa aveva subito, at­traverso i secoli, notevoli alterazioni, in rela4ione al mutare del gusto e del concetto stesso di luogo di culto, ma aveva marttenuto sostanzialmente integro il suo organismo architettonico, superando financo l'età barocca drasticamente avversa ad ~ni manifestazione d'arte difforme da quelle sue propn e.

Le distruzioni tardo-settecentesche sopraggiunsero quando andava maturando, nelle regioru europee di più avanzata cultura, una coscienza medioevalistica, anticipatrice dei nu.merosi revivals storici, che non aveva tuttavia ancora attinto la Sicilia.

Quelle distruzioni, realizzate tra il 1781 e il r8ox, al furono condotte nella prospettiva dl un totale rifaci­mento del tempio, il cui nuovo progetto fu affidato a Ferdinando Fuga. Il Fuga e coloro che posero io atto i suoi disegni ebbero un relativo rispetto per l'esterno (magnificato da tutta una letteratura storico-erudita che aveva avuto inizio io un celebre giudizio discrimi­nante del Pirro 3l), ma riplasmarono l' interno, oblite­rando totalmente ogni antica presenza, sicch~ oggi è negata ogni possibilità di lettura (fig. 3).

Il relativo rispetto dell'esterno comportò il salva­taggio di una parte dei prospetti, delle cinque torri, delle varie aggtUote tre-quattrocentesche ecc., e nel

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Page 2: L. Mél. I, p. 8). Zllrss, Les · palauo reale e il Capo. Fra gli edifici spicca la catte drale. 94 La tavola è, al fine del nostro studio, particolarmente preziosa per due motivi:

contempo, per le notevoli parti nuove, una goffa imi­tazione " in stile , .

Oggi dunque ogni discorso critico sulla cattedrale di PaJermo {ìndilazionabile ormai per l'esatta valuta­zione di un intero periodo storico, dato il carattere pa­radiçmatico del monumento) deve partire da una un­magme quanto più possibile reale della originaria chiesa. Al recupero di quell'immagine conducono in primo luogo le parti superstiti e in secondo luogo le testimonianze letterarie, icono~rafiche e grafiche, ante­riori alla data delle distruziom.

Delle testimonianze letterarie mi occuperò in altro studio; nel presente mi propongo di fare una rassegna di quelle di natura iconografica e grafica.

x - Iconografia anteriore al XVII secolo.

La prima immagine della cattedrale palermitana è quella contenuta nel sigillo plumbeo (mm. 35) che, mediante un cordone di seta gialla, è legato ad un documento del n 87, sottoscritto dall'arcivescovo pa­lermitano Gualtiero Offamilio (l'inglese Walter of the Mill) ed ora conservato nel Tabulario della Cap\'ella Patatina di Palermo. 4> Di tale sigillo diede per pruno, nel 1734, una imprecisa trascrizione grafica il Mongi­tore, 5) e, in tempi più recenti, una fedele l'Engel. 6)

Il Basile nel 193~ ne pubblicò le fotografie. 7)

Si tratta di un' tmmapne del tutto ideale della chiesa, o almeno con un rifenmento cosi vago alla realtà che essa non può rivestire alcun valore di documento iconografico. Bl

La più antica immagine reale che ci sia pervenuta della cattedrale palermitana è quella contenuta nella tavola della Sacra conversazione (cm. 176 x 212) (fig. 4) del Museo Diocesano di Palermo. Il dipinto fu offerto il 20 luglio 1530 dal Senato palermitano alla chiesa di S. Venera come ex-voto in segno di ringraziamento per lo scampato pericolo della peste che aveva infierito m altre città siciliane. D) Vi è raffigurata la Vergine col Bambino tra i santi Rocco, Sebastiano e le sante Cri­stina, Ninfa, Agata, Oliva. In basso è una visione della città di Palermo, nella quale spicca la cattedrale. La chiesa vi appare assai sommariamente descritta. Tut­tavia si può cogliere l'articolazione generale dei suoi volumi: quello della grande torre occidentale, quello delle navate e quello più eminente del santuario. Vi sono notate specificatamente i due archi di collega­mento tra la facciata principale e la torre, le finestre della nave maggiore, la grande finestra circolare (ora cieca, ma allora aperta) nella facciata meridionale del­l'antititolo, e il motivo decorativo degli archi intrec­ciati che l'ignoto pittore estende stranamente anche al distrutto prospetto meridionale della navatella destra, ma che nella realtà si sviluppava, allora come ora, solamente nel prospetto delle absidi.

Nella chiesa palermitana dei Santi Cosma e Damia­no è una grande tavola (cm. 204 X 307) (fig. 5) raffi­gurante il Ringraziamento di Palermo pe_r la libera.zione dalla peste de/1575. 10l Il campo del dtpinto è occupato per cuca quattro quinti dalle tmmagiru del Padre Eter­no, di Cristo, della Vergine, dei santi Rocco e Seba­stiano e di due sante palermitane. Nella parte inferiore è una processione di Cristo in croce che ha sullo sfondo l'immagine dei quartieri palermitani compresi tra il palauo reale e il Capo. Fra gli edifici spicca la catte­drale.

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La tavola è, al fine del nostro studio, particolarmente preziosa per due motivi: l'alta sua datazione e l'inso­lito punto di vista dal quale è vista la chiesa. L'alta datazione ci consente, come ora si dirà, di rilevare lo stato dell 'ambiente prima delle trasformazioni seicen­tesche; il punto di vista ci dà l'immagine, assoluta­mente unica, della parte absidale della chiesa stessa.

Dello stato del prospetto absidale anteriore alle tra­sformazioni tardo-settecentesche, non possediamo, ol­tre a questo dipinto, che le brevissime descrizioni del­l' Amato n) e del Mongitore. n) È vero che nella sua restituzione ideale ci viene in soccorso la notevolissima estensione delle sussistenze, essendo questa la parte della chiesa originale meno manomessa; ma, mancando tutto il settore centrale dell'antititolo in corrispondenza dell'abside maggiore, un corpo unico cioè senza corri­spondenze simmetriche, le ipotesi ricostruttive hanno un largo margine di incertezza. A r.iprova di ciò valga l' ipotesi assolutamente fantastica del Calandra, riferita dallo Zanca, I3) di una seconda elevazione dell'abside centrale fino al filo dei merli dell'antititolo.

li dipinto, nonostante il carattere abbreviato della rappresentazione, ci permette di avvicinarci notevol­mente alla realtà. Vi si scorgono anzitutto le absidi nel loro attuale aspetto, con il particolare spicco delle ca­lotte emisferiche e con il marcato rilievo dei merli quasi tutti sulla medesima linea. Tra le due torri ango­lari si stende la compatta cortina del prospetto orien­tale dell'antititolo, caratterizzato dalla ritmica succes­sione delle finestrelle dell'ambulacro nel grosso del suo muro; quelle finestrelle che, ora in gran parte cieche, erano nel monumento originario fondamentale motivo figurale, rilevato dal contrasto tra il vuoto del loro vano e il pieno del paramento murario. Non è un caso che l'ignoto pittore metta, in un'immagine assoluta­mente sintetica, solamente in rilievo questo motivo. A guardare oggi il muro dell'antititolo soprastante le absidi, che manca purtroppo dell'intera parte centrale sostituita nel tardo Settecento da una rozza imitazione in stile, sorgono dubbi sul suo assetto originale. Era tale parte centrale arretrata, a filo o avanzata rispetto alle parti laterali ? Il dipinto in esame ci induce a pensare, a prima vista, data la serie ininterrotta delle finestrelle, ad una assoluta continuità della superficie verticale di tutto questo prospetto. Però, a ben guar­dare, in corrispondenza dell'abside mag~ore, sono se­gnate due linee perpendicolari che distinguono, in corrispondenza delle absidi, tre settori del prospetto stesso. Si può pertanto avanzare la ipotesi che il settore centrale fosse su di un piano verticale diverso da quelli laterali. A mio parere, per ragioni di corrispondenza con lo spiccato aggetto dell'abside maggiore e per com­plesse ragioni statiche relative agli archi trasversali tnterni dell'antititolo, questo settore centrale non po­teva che essere in aggetto. Qua comunque val~a accen­nare al problema che merita una trattazione ptù ampia.

Il dipinto ci dà una immagine assolutamente unica di tutto il quartiere dell'Alto Cassaro, uno dei più q,ualificati dell'intera città per la presenza degli altis­stmi episodi architettonici del palazzo reale e della cattedrale. Sull 'importanza di questo documento ico­nografico della città tardo-cinquecentesca, da mettere anche in relazione con le prime coeve piante prospet­tiche palermitane, non è qua il caso di soffermarsi. Ciò che conta, ai fini di questo studio, è notare che esistono in questo documento pittorico tutti gli ele­menti che servono a mettere in rilievo la dimensione

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urbana della cattedrale. Una dimensione complessa, già da me rilevata in altro studio, l4) che l'ignoto pittore ha sentito e riprOJ?Osto nella dialettica dei volumi edilizi e degli spazi vian fedelmente riprodotti.

La piazza della cattedrale ha come fondale il pala~~o arcivescovile e s'aRre sul Cassaro che porta fino alla Porta Nuova, nel! aspetto che questa aveva prima del 1583 ~uando fu edificata quella attuale. ''l Del tutto unica l immagine del palazzo arcivescovile edificato nel 146o dall'arcivescovo Simone di Bologna e non ancora tocco dalle trasformazioni della seconda metà del Sei­cento; vi fanno spicco tanto il portale che la trifora che ora si mostrano mortificati dai grossi balconi ba­rocchi. Le finestre di varia dimensione, in parte ancora esistenti, e la rustica loggia in alto davano a questo edificio un carattere pittoresco assai lontano dall'aulica forma che gli diede l'età barocca. La piazza della cat­tedrale ba un recinto di basse mura con pochi varchi fiancheggiati da alti pilastri; altri pilastri, con manie­ristico culmine a piramide, sono agli angoli.

Le piante tardo-cinquecentesche contengono anche esse l'immagine della cattedrale palermitana. •6l Esse sono quella del Presbiter Horatius Maiochus, edita a Roma da Claudio Duchetti nel 158o, quella incisa da Mario Cartari e pubblicata a Roma nel 1581 e l'altra, senza data, ma probabilmente coeva o di poco poste­riore, incisa dal senese Matteo Florimi ed edita a Siena. Esse fanno capo probabilmente a studi e disegni, ora smarriti o non più esistenti, condotti, come ho avuto modo di rilevare altrove, ' 7) tra il 1577 e il 158o da rilevatori romani, nell'ambito della cultura manieri­stica della Sicilia.

Della carta del P resbiter Maiochus non sussiste oggi che la testimonianza di Nino Basile che ne possedette un esempla.re, smarrito prima che fosse pubblicato o riprodotto. •8> Sono le altre due carte, quelle del Car­tari e del F lorimi (fig. 6), che ci consentono di avere una definitiva immagine della cattedrale palermitana. Si tratta di piante che, entro lo schema geometrico del tessuto viario, sviluppano assonometricamente gli alzati. Data la vastità del campo rilevato, tale sviluppo asso­nometrico è fortemente abbreviato, sommario e im­preciso, giacché ciò che importava al disegnatore non era la singola unità edilizta o monumentale, ma la veduta d'assieme nella quale quella singola unità con­correva con il suo impegno volumetrico. Vano sarebbe dunque cercare in queste carte una soddisfacente defi­nizione formale della cattedrale. Esse vanno qua r icor­date perché sono testimonianza fondamentale della si­tuazione nella città di quel monumento che impegnava considerevolmente lo spazio esterno e costituiva un fondamentale polo urbanistico. Mi sono proficuamente servito di quelle carte allorché ho studiato la dimensio­ne urbana della cattedrale di Palermo e in is,Pecie ho potuto riscontrare in esse le notizie sulla s1tuazione dei luoghi fomite da taluni documenti scritti del secolo XVI. '9l

Vi si legge chiaramente il ruolo che nella dialettica dell 'articolazione urbana dell'Alto Cassaro aveva la chiesa, in relazione soprattutto con l'imponente pre­senza del Castello Soprano (palauo reale), cioè con l'altro polo della vita politica, sociale ed economica del tempo. Vi è individuata l'aggregazione, in unità fun­~ionale e spaziale, della chiesa con il suo piano sul lato meridionale. Questo è ancora definito da un recinto murano che con la chiesa delimita uno spazio quadran-

golare, esteso dal Cassaro all'attuale via dell' Incoro­nazione, che era quello tradizionale della grande mo­schea gami con santuario e sahn. Ma è altresì chiaro che il prospetto del nuovo palauo arcivescovile, co­struito da Simone di Bologna nel r46o, ha già rotto il carattere concentrato di quel piano, rivolgendolo all'uso di fornire respiro, oltre che alla chiesa, alla veduta privilegiata di quello statico manufatto archi­tettonico.

Fra l'altro la risonanza e la reciproca relazione con i vuoti del piano del Palazzo e del Cassaro sono nelle carte espressamente rilevate e servono ad individuare un più esteso discorso urbanistico.

Del periodo compreso tra il 1575 e il 1686 non mi è riusoto di rinvenire alcun documento iconografico, ad eccezione delle piante cittadine delle quali si dirà avanti. Mi auguro che nel futuro venga in luce qualche raffigurazione della chiesa, specialmente nello stato in cui essa era prima delle manomissioni della metà del Seicento.

Certamente sarebbe prezioso quel dipinto del 1624 del pittore Vincen~o La Barbera nel quale erano raffi­gurati S. :Ar,atone papa inginocchiato sulle nubi e sotto di lui ' la facciata meridionale del Duomo, col suo piano, fuori del quale si vedeva "dipinto il modo come amministravasi il SS. Viatico nel tempo della peste,. ao) Doveva essere un'immagine dettagliata e fedele della chiesa se è vero ciò che afferma l'Amato, :n) cioè che si vedeva, presso la porta meridionale entro il portico, una lapide posta vi nel 1574- Al tempo dei due eruditi settecenteschi il dipinto era conservato nella sa~restia, ivi portato nel 1652 dalla settima cap­pella sirustra, "ut pestilentiae memoriam abolerent,. ~l Il lugubre so~getto forse fu fatale al dipinto che venne distrutto o alienato, verisimilmente al tempo delle tra­sformazioni tardo-settecentesche.

2 - Le stampe del Montalbo.

Il volume di Francesco Montalbo, Noticias funebres de las magestuosas exequias, que hiro la felicissima ciudad de Palermo, cabeça coronada de Sicilia, en la muerte de Maria Luisa de Borbon nuestra seilora reyna de las Espaifas, stampato a Palermo nel 1686, in folio, con­tiene 27 tavole di vari incisori, delle quali quattro riguardano la cattedrale palermitana. Esse sono fra i documenti iconografici pu) validi, per scrupolo e fe­deltà all'originale, per la ricompos~tone ideale del mo­numento quale era sullo scorcio del XVII secolo. Delle quattro tavole due riguardano l'esterno e due l' interno.

La tavola tra le pp. 32 e 331 disegnata ed incisa da Antonino Grano (notizie dal 1682- morto nel 1718), è una vasta veduta d'insieme, a grande formato (cm. 68,5 X 49,4), del paesaggio urbano che s'articola attor­no al piano del palaz~o reale (fig. 7) ; è d'ecce~ionale interesse per la storia dell'urbanistica palermitana. 21)

La cattedrale fa spicco nel quadrante destro in alto con la articolazione dei suoi netti volumi, visibili, nella loro parte alta, al di là della cortina di edifici che cir­condavano, sui lati meridionale ed occidentale, la sua piazza. Per quanto il punto di vista sia lontano dalla chiesa e vicino al palazzo reale, pure risulta evidente che questi due grossi manufatti edilizi sono, con pari grado, i maggiori protagonisti di questa qualificata

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scena cittadina. Ricorre cioè quella doppia presenza, integrata in un rapporto dialettico, che ho rilevato già nelle carte tardo-cmquecentesche.

Ma la stampa chiama a dar animazione e veridicità a questo, che era il più nobile fra i quartieri cittadini, anche tutta un' e~ia di media e piccola mole, rac­colta a formare quel vitale spazio urbano che dà ra­gione d'esistere all'architettura maggiore. La medesima presenza della natura verde e dei monti al di là del paesaggio di pietra, registra la condizione essenziale di una città ancora chiusa dalle mura, circoscritta dalla campagna e tuttavia non cosl lontana da questa da allontanarla e rifi.utarla.

A bene osservare, la cattedrale vive ancora in un con­testo urbano nel quale le forme barocche non si sono pronumiate come altrove, in altri quartieri cittadini, dove in ispecie le cupole delle chiese hanno fornito tensione plastica e mutevole espansività all'edilizia. La stampa rileva ancora la pertinema di una architettura stereometrica, quella della cattedrale, con l'architettu­ra, anch'essa bloccata, dell'ambiente che la circonda. L'avvento della Maniera italiana, lresente con la Porta Nuova (realiz:tata a cominciare da I58~), l'ospedale di S. Giacomo (dal I58g), la facciata pnncipale del pa­lazzo reale (16oo), e quello del Barocco non hanno sconvolto l'ordine delle premineme dei grossi monu­menti di origine normanna, cioè il palazzo reale stesso e la cattedrale.

La stampa è dunque di eccezionale interesse per la formulazione di un discorso sullo spazio esterno della chiesa. Ma non esaurisce in ciò il suo valore di testi­monianza. Difatti, ove si voglia fermare l'attemione solamente sulla lettura della cattedrale come episodio architettonico a sé stante (fig. 8), questa imma.gine gra­fica, congiuntamente all'altra che segue in questa ras­segna, si rivela preziosa nella indicazione delle caratte­ristiche essemiali che il monumento possedeva prima della sua manomissione tard<rsettecentesca. Vi è in­denne la originaria articolazione dei volumi stereome­tricamente definiti: l'alto e geometrico corpo del san­tuario bilancia quello compatto della grande torre occi­dentale. Le emergenze delle torri angolari oltre la linea dei tetti accusano chiaramente il carattere di innesto posteriore ed anomalo di questi ordini alti dette torri stesse. Questo apporto di una cultura più tarda di quella originaria normanna è, con quell'altro dell'edi­cola campanaria della grande torre, facilmente elimi­nabile in una ricomposizione ideale del semplice e sigil­lato discorso del totale organismo architettonico del primitivo tempio normanno. La natura tridimensionale della rappresentazione realizzata nella incisione per­mette un apprezzamento generale della chiesa, laddove le altre stampe, di cui avanti si parlerà, riguardanti prospetti e brani architettonici parziali, consentono la lettura analitica delle parti. Degli elementi figurali e dei vani di luce la stampa dà soltanto una sintetica traccia, arbitraria nel numero degli elementi che costi­tuiscono le sequeme; ciò che essa lascia apprezzare è il carattere ermetico di quelle cortine murarie, variate da una serie di movimenti dei piani compatti che si risolvono in effetti pittorici di superficie e non inci­dono mai plasticamente. Caratteristica questa che col­loca ineqwvocabilmente la cattedrale palermitana nel contesto dei monumenti normanni, uniti tra di loro dalla certezza di uno stile che realizza un linguaggio consapevole, cui sono del tutto estranei scarti e speri­mentazioni linguistiche.

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Emerge dalla stampa, ancora del tutto salva~uardata, la fUtl%ione di fortezza che caratterizzò la chiesa nella sua prima ideazione e nella nascita. La linea dei merli svela l' intera percorribilità delle parti alte, a ridosso appunto di quei merli, e in connessione di tutti quegli altri percorsi che, variamente attuati, specialmente nel grosso dei muri, rendevano questa chiesa un capolavoro di architettura militare.

La tavola compresa tra le pp. 42 e 43 (cm. 37,5 X 53,9) (.fig. g), d'anonimo incisore, è l'unica immagine della facciata principale della chiesa che sia pervenuta, rela­tivamente al periodo considerato in questo studio. Le gramaglie appostevi per l'occasione delle esequie dis­simulano fortunatamente soltanto quelle parti della facciata dove il paramento murario ha liscia stesura di conci e lasciano quindi in tutta evidenza sia le arti­colate strutture sia gli elementi figurali. Le une e gli altri sono posti in evidenza, anche in virtù del netto disegno, con relativa fedeltà al monumento.

Al fine del recupero ideale della chiesa precedente alle manomissioni tardo-settecentesche, anche questa stampa è di notevole interesse. Io essa le finestre, sia quella cinquecentesca centrale che le due trecentesche laterali, ora cieche, mostrano chiaramente di essere munite di infissi reticolari con piccoli vetri. Questi infissi erano stati posti in tutte le finestre della chiesa nel 1658, allorché l'arcivescovo Pietro Martinez Rubio aveva devoluto a questo scopo la somma di 200 scudi, statl%iati, come era costume, dal Senato palermitano per erigere un arco trionfale al suo primo ingresso in città. :14}

Afferma l'Amato 25) che la bifora centrale era stata accecata nel 1652 al tempo dell'arcivescovo Martino de Leon, evidentemente in relazione alle pesanti ma­nomissioni della nave maggiore che si ebbero in quel­l'anno, specialmente con l'aggiunta di una grande cor­nice sottostante la linea d'imposta delle finestre (vedi oltre}. Essa si presenta nella stampa fornita di vetrata al pari delle altre della facciata; è evidente che dopo il x652 ebbe la fUtl%ione di illuminare non più l'interno della chiesa, ma lo stretto ambulacro che costituisce il passaggio più basso fra quelli che uniscono le due torri scalarie ai lati del prospetto principale della chiesa.

Nella stampa la facciata principale della chie.sa ter­mina in alto con la bella serie di archi a pieno centro intrecciati, tuttora esistenti. Nella ricostruzione tard<r settecentesca a quegli archi fu sovrapposto un muro costituito da due filari di ruvidi conci tufacei, sormon­tato da una lunga cornice liscia sulla quale si impo­stano i merli. La forma di questi ultirru fu imitata da quella dei merli della nave mag~ore che allora furono distrutti (vedi oltre). 11 muro fu 1mposto dalla maggiore altezza del tetto tard<rSettecentesco, più alto di quello originale di palmi 7,6, cioè cm. 191. ~

I falsi merli purtroppo mescolano, qui come altrove, la loro presenza a quella delle arcate cieche che costi­tuiscono nel loro insieme un brano fra i più significativi fra 9uelli originari normanni superstiti. Questo motivo degli archi intrecciati, risolti con leggero movimento di piani, appena percorsi dal brivido plastico degli archivolti e dalla modanatura orizzontale corrente sulla linea d'imposta degli archi, serve a stabilire una ine­quivocabile parentela linguistica della cattedrale paler­mitana con l'architettura fatimita dell'Africa settentrio­nale, nel cui alveo rimase sostanzialmente la maggiore

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architettura della Sicilia normanna. Oggi le ghiere di questi archi banno del tutto perduto le tarsie laviche che le ricoprivano con delicati. effetti cromatici; ma la traccia di quelle rabescature è ancora presente nel solco dell'intaglio geometrico del tufo. a7)

Giammai merli erano esistiti al culmine di questa facciata e ciò per l'ovvia ragione che i merli degli edifici medioevali avevano una precisa giustificazione funzio ­nale e non erano semplicemente decorativi. I merli non avevano ragione dì essere in ~uesta parte della chiesa-fortezza, che era coperta e difesa dalla grande torre occidentale, organicamente collegata dagli anditi percorribili sugli estradossi dei due grandi archi. D'al­tro canto nessun passaggio esisteva alla quota del log­giato cieco ad archi intrecciati né a quota superiore.

La stampa ha inoltre importantissimo valore di do­cumento per ciò che riguarda l'assetto dei volumi, ora totalmente scomparsi, della chiesa nelle sue parti più alte, sia della navata centrale che del santuario. Difatti essa lascia vedere, in successione, oltre il piano della facciata, il culmine del tetto a doppio spiovente della grande nave, il corpo cubico della parte alta del coro con la relativa copertura lignea a doppio spiovente ed un pinnacolo reggicroce, le due ali dell'antititolo la cui copertura era o piana o a due leggeri spioventi in re· lazione al soffitto ligneo ad alveolature dell'antititolo stesso. a8J Sia del coro che dell'antititolo c'è, nella stam· pa, l'indicazione del fondamentale motivo architetto· nico che marcava all'esterno l'ermetica stesura delle pareti: quello cioè dei piatti archi ciechi, in questo caso accostati e non intrecciati. Non manca l'indica­zione dei rosoncini a tarsie laviche, inscritti nella parte alta degli archi stessi. La foggia e la continuità del si­stema dei merli sono altresì chiaramente visibili ed attestano la percorribilità, dietro di essi, di questa parte eminente della chiesa.

La stampa i.nfi.ne consente di cogliere un apprezza­mento sintetico che dalle parti alte dell'edificio, oggi totalmente inesistenti, si allarga ad abbracciare la cat­tedrale nella sua totalità. Vi si figura cioè quel generale taglio nitido e bloccato dei volumi che connotavano essenzialmente la chiesa. La qual cosa viene apprezza­ta, anche se forse non valutata, dall'autore della stampa che pur viveva in un'epoca in cui l'architettura si muo­veva univocamente in un ben diverso senso dello spazio.

La tavola compresa tra le pp. 92 e 93 (centimetri 36,3 X 49,3) (fig. Io), disegnata ed incisa da Vincenzo Bongiovanni (notizie dal 1686- morto poco avanti il 1720), mostra soltanto un dettaglio della navata mag­gtore della chiesa: due arcate con la soprastante pa.rete quasi interamente ricoperte da ridondanti gramaglie ed adornate di stemmi, candelabri, statue allegoriche, festoni. La nera stoffa fascia i gru{>pi tetrastili, forman­do frequenti sbuffi, pende dagli mtradossi degli archi assieme alle ghirlande, è tirata sul cornicione che se­gnava la linea d'imposta delle finestre in modo da consentire l'ap~oggio di una serie di uguali candelabri, dissimula più m alto interamente tutta la zona delle finestre.

La stampa sarebbe irrilevante al fine della restitu· zione dell'immagine ideale dell'interno della cattedrale, se non presentasse il rilievo del plinto dei gruppi te­trastili nonché le basi delle colonne stesse con la parte più bassa del fusto. Tali plinti, che reggevano i fasci di quattro colonne delle venti arcate della navata mag-

~iore, erano, secondo la testimonianza del Maia, ::19)

1.0 conci d i calcare tufaceo. Erano larghi, secondo il Montalbo, 30) palmi 5, cioè cm. 127,8. A detta dell'Ama­to, 3l) avevano forma quasi cubica essendo leggermente più larghi che alti (cm. 142 circa X 127,8). Nella stampa i plinti sono J?iuttosto schiacciati con netta prevalenza della dimenstone orizzontale su quella verti­cale. Non mostrano alcun segno delle linee di giuntura dei conci; ciò può essere spiegato dal fatto che, ancora nel x686 anno in cui fu disegnata ~uesta immaç_ine, esistesse quel rivestimento in lastre dt pietra di Billie­mi che, come dice il Maia, 3al era stato apposto ai plinti stessi in previsione di trasformare in pilastri i gruppi tetrastili. L'Amato 33) e il Moogitore 34) co­munque affermano che al loro tempo ormai non sussi­steva che un solo plinto con tale rivestimento, quello avanti la cappella di S. Rosalia.

Nella stampa inoltre i plinti hanno una modulata membratura orizzontale, tanto lungo La linea di base che sul piano d'appoggio delle colonne. D ifficile dire se tali elementi, che davano una caratterizzazione clas­sicheggiante ai plinti, fossero originali o facessero parte delle trasformazioni seicentesche.

Delle colonne poggianti sui plinti sono chiaramente disegnate le basi d'appoggio costituite da un elemento quadrangolare sottile in spigoli vivi e da una gola entro due tori. Tutto ciò, indubbiamente appartenente al­l'edificio originale, rientra nella morfologia delle co­lonne di tipo classico usate nell 'architettura della Si­cilia normanna nonché nell'intera area dell'architettura islamica nord-africana, alla quale va in generale riferita l'architettura siciliana di quel periodo. Si tratta di un elemento stilistico tardo-antico trapassato, quasi senza variazioni, in parecchie culture artistiche medioevali.

Il Montalbo, nel testo che si riferisce a questa stam­pa, 3') d dà una notizia interessante per la ideale rico­struzione dell'interno della chiesa: la luce degli archi della navata maggiore era di palmi 22 cioè m. 5,62.

La stampa compresa tra le pp. 94 e 95 (cm. 37 X 53,8) (fig. I t), diSegnata ed incisa da Antonino Grano, mostra la parte centrale del santuario della chiesa (cioè il coro, la parte mediana dell'antititolo e l'abside maggiore) dal normale punto di vista della navata maggiore e sull'asse principale dell'intera sequenza degli spazi in­terni. La stampa ba lo straordinario merito di cogliere, in rigorosa successione prospettica, la ritmica degli spazi e quella delle strutture che li diaframmano, di proporci cioè, in forma dinamica, il coordinamento sin­tattico del discorso architettonico svolto in questa parte eminente della chiesa. Le gramaglie che coprono ~i superficie 36> lasciano tuttavia in evidenza l'essenzsale gioco delle strutture che modelJano lo s~azio; l'addobbo funebre cioè, nascondendo le pareti, ti soffitto ligneo del coro compresi i pennaccht alveolati, e il grande retablo marmoreo cinquecentesco dell'abside, rende ancor più omogenea l'articolazione di quelli che sono gli elementi portanti dell' intera architettura.

Si provi ad eliminare idealmente i pesanti rivesti· menti in StUCCO, aeposti ai pilastri del COrO nel 1652, 37)

e s'immagini l'agtle slancio delle sottili colonne che, in doppio ordine, s'annicchiavano agli spigoli dei pi­lastri stessi, per avere una idea abbastanza vicina al reale di questa che era la parte più organica e più qua­lificata della chiesa. Si legga la stampa contemporanea­mente alla lettura del testo descrittivo del FazeUo (1558): " ... absides columnae amplissimae ingentesque,

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duplici ordine grandi mole et profusissimo sumptu sustinent, quae et capita extendunt inaurata ... ,. 38>

La stampa ci permette dunque di cogliere di tutta questa parte della chiesa una lettura pertinente. li grande 1mbocco dell'arco trionfale, rialzato di alcuni gradini, con pilastri originariamente animati dal du­plice ordine di colonne slanciatissime, con il teso arco a triplice ghiera piatta, rappresentava la prima pausa e la rigorosa cormce ad un tempo del complesso e ca­librato svolgimento del meditato discorso architetto­nico che si concludeva nell'abside maggiore attraverso un restringimento graduale della visione verso il suo nodo focale sul fondo. E non era soltanto il muoversi sapiente delle quinte dell'alzato, ma lo stesso pavi­mento, salendo, come chiaramente mostra la stampa, per gradini, 3\ll marcava l'intera scansione dei piani prospetti ci.

Come ho già rilevato per la facciata principale, anche per questo interno non può non mettersi in evidenza la sensibilità del disegnatore nel cogliere l'essenza di questa architettura e di averla posta a base della sua rappresentazione ..

A volere ora soffermarsi su qualche particolare, è da notare come ciascun arco riveli dalla stampa l'espan­dersi delle ghiere per fasce successive, nel solito modo dell'aggetto controllatissimo di piani sempre nel senso della superficie e mai della profondità.

La stampa mostra interamente dissimulata da veli funebri la copertura lignea del coro. Di essa non pos­sediamo alcuna altra immagine ad eccezione di un esi­guo particolare dei pennacchi nella stampa dello Schia­vo (fig. 17). Sappiamo da talune testimonianze lette­rarie, quelle cioè di Giacinto Fortunio 40) e del Mongi­tore, 4~1 che quella copertura era interamente !ignea e a guisa di cupola. La stampa conferma queste testimo­nianze letterarie, in quanto mostra i teti funebri di­sposti ad ombrello in evidente corrispondenza con il soffitto reale.

Sappiamo dall'Amato 42) che tre pareti alte del coro, quelle settentrionale, occidentale e meridionale, ave­vano delle loggette con quattro archi ciascuna in corri­spondenza di un ambulacro. Queste loggette sono nella stampa interamente nascoste sotto i velami funebri. Ma è da rilevare che la stampa non mostra, perché anch'essi nascosti dall'addobbo funebre, ancl1e i log­giati che, nell'an ti titolo, fiancheggiavano l'arco della grande abside, e che appaiono invece nella stampa dello Schiavo (fig. 17).

3 - La serie delle stampe della navata maggiore.

Numerose sono le incisioni tardo-seicentesche e set­tecentesche che ci hanno lasciato l'immagine di un dettaglio della navata maggiore della cattedrale paler­mitana con il suo addobbo festivo, sia per l'annuale celebrazione della festa della patrona S. Rosalia (il cosiddetto " Festino ,), sia per altre eccezionali occa­sioni di tripudio o di mestizia cittadina. Sono stampe che interessano principalmente il costume e che evo­cano assai facilmente il ricordo di quella politica a base di " feste, farina e forca , che resse a lungo la Sicilia.

L'interno della cattedrale veniva, in quelle occasioni, " distrutto, da un ricchissimo a{'parato, che riplasma­va in forme e spazi architettomci conformi al gusto del tempo, la antica e deprecata architettura " gotica , della chiesa. Una forma di rivincita su quella fastidiosa " anticaglia , che, nonostante i tentativi di camuffarla

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sotto strati di intonaco, di stucco e di colore, o più precariamente sotto tele, cartoni e legni colorati, ghir­lande, sculture ecc., tenacemente persisteva a turbare l'esteticità barocca, assolutamente indisponibile a qual­siasi recupero storico. L'accanimento di quella distru­zione, mediante camuffamento più o meno posticcio, fu costante durante l'età barocca e si risolse nella di­struzione reale del I781, proprio alle soglie del nascente storicismo romantico.

Il camuffamento della originaria architettura visibile nelle stampe ha una duplice natura. Vi è quello asso­lutamente effimero, bastevole a durare per lo spazio di tempo di una cerimonia o di una festa, e vi è l'altro, più consistente, introdotto n.el tentativo di modificare stilisticamente l'aspetto della chiesa.

Il primo si ripeteva annualmente, come si è detto, in occasione delle feste di S. Rosalia e dei Sepolcri del Giovedl santo, e frequentemente per celebrazioni tristi o liete relative a re, regine ed arcivescovi. Dei danni che recavano alla chiesa, e in ispecie alle scul­ture e al pavimento musivo, le squadre di artigiani che costruivano quelle " macchine , , esistono varie testi­monianze e documenti, 43) ma ciò non interessa questo studio.

Il secondo camuffamento, quello stabile, era stato frutto delle profonde alterazioni introdotte nell'interno della chiesa nel 1536, al tempo dell'arcivescovo Arnal­do Albertino, allorché le pareti erano state coperte di stucco, 44) e più specialmente nel 1652, al tempo del­l'arcivescovo Martino de Leon, quando si era proce­duto ad un profondo rimaneggiamento dell'insieme. 45)

Come afferma lo stesso arcivescovo Martino de Leon nel suo Sinodo del 1652 " Nos inducto marmorato tectorio, laxatisque fenestrarum angustiis ad lumen excipiendum, et ad arcendas temporum iniurias, vitreis clatris obseptis, additisque ad parietes coronis in ele­gantiorem, et splendidiorem formam aere nostro rede­gimus et exornavimus , , e come spiegano l' Auria, 46l l'Amato 471 e il Mongitore, 48> i lavori di rifacimento del 1652 erano consistiti, relativamente alla nave mag­giore, nelle seguenti opere :

I) rivestimento con pietra di BilJiemi di tutti o di una parte degli zoccoli dei gruppi tetrastili (vedi quanto detto avanti a proposito della stampa del Montalbo);

II) aggiunta di otto mensole (due per faccia) e di una aggettante cornice su di esse nei piedritti dei grandi archi;

III) ~giunta di scudi decorativi nelle vele degli stessi archi;

IV) sovrapposizione di un'alta trabeazione consi­stente in una serie di cornici in stucco correnti sulle arcate e culminanti in alto, a filo della linea d'imposta delle finestre, in un cornicione aggettante palmi sei, cioè m. 1,53, e steso tutt'intorno alle pareti della nave maggiore per palmi 562 cioè m. 148,34;

V) riduzione a monofore delle venti finestre della navata maggiore, mediante la eliminazione di tutti gli elementi inscritti entro l'arcata esterna, cioè delle co­lonnette, dei relativi archi e dei rosoncini decorativi; 49)

VI) accecamento della finestra verso l'interno in corrispondenza della bifora della facciata principale. 5°)

Nella nave maggiore successivi interventi erano con­sistiti nell'aggiunta, nel 1658, di grate a vetri nelle finestre e di affreschi negli spazi compresi tra le finestre stesse. Questi affreschi con figure di santi palermitani erano stati dipinti nel x66I e rifatti nel r683 da Anto­nino Grano; tre di essi erano stati rinnovati nel 1725

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da Filippo Randazzo. 51) Nel 17?9• al tempo dell'arci­vescovo Giuseppe Gasch, l'arclutetto Francesco Bo­namico aveva coperto le navatelle con volte a vela che l'Amato s:al e il Mongitore 51) dicono in mura tura. Queste volte erano dieci per ciascuna navatella, tante cioè quante le arcate che dividevano le navate. Le rela­tive campate furono determinate, nel senso trasversale alle navatelle, da nuovi archi che, sull'asse dei gruppi tetrastili, s'appoggiano da un lato ai piedritti delle arcate della nave maggiore e dall'altro al muro divisorio delle cappelle. "')

Le stampe che saranno esaminate qua di seguito sono tutte successive ai su accennati lavori di trasfor­mazione dell'interno della chiesa. Riguardano sempre una sola parte della navata principale, generalmente due arcate con la sovrapposta parete, che ba visibil­mente valore esemplativo e modulare, essendo agevole moltiplicarla fino al completamento ideale dell'appa­rato dell'intera navata. Questo sistema di rappresen­tare dettagliatamente ed efficacemente, medtante un elemento campione, l'intero campo SJ'aziale della na­vata, una volta inventato, risultò cosl1doneo allo scopo che divenne motivo iconografico costante e base idea­tiva dei numerosi disegni che furono ripetuti per lungo corso di anni nei secoli XVII e XVIII.

In talune stampe il camuffamento con ornamenti po­sticci è tale da mostrare una totale reiovenzione di ogni parte architettonica, sia strutturale che decorativa; io tal'altre è leggibile, pur con qualche difficoltà, la reale architettura della chiesa. È superfluo aggiungere cbe, allo scopo che questo studio si propone, sono proprio queste ultime staml?e che offrono maçgiore interesse.

Qua di seguito st elencano, io ordine cronologico, ciascuna contraddistinta da una lettera dell'alfabeto, le stampe di questa serie da me fino ad oggi rinvenute, con l'avvertenza che tale elenco è destinato ad accre­scersi per successivi rinvenimenti che tuttavia, ritengo, difficilmente potranno apportare contributi nuovi alla conoscenza della reale architettura della chiesa.

Vorrei inoltre raccomandare di tenere presente, nella lettura di questa serie, anche la stampa dello Schiavo (fig. 17) della quale si parlerà in modo particolare più avanti.

a) Di questa serie la più antica stampa da me rin­venuta è quella inserita tra le pp. 92 e 93 del volume di Michele del Giudice, Palermo magnifico nel trionfo dell'anno 1686 rinovando le feste dell'invenzione della gloriosa sua cittadina S. Rosalia, edito a Palermo nel 1686. È una incisione (cm. 38 X 23) (fig. 12) di ignoto autore, presumìbilmente Antonino Grano. In essa è il solito dettaglio delle due arcate della nave ma.ggiore con il fastoso apparato dovuto al celebre architetto Paolo Amato (1634-1714) che ininterrottamente, dal 1671 al 1713, essendo architetto del Senato palermi­tano, ebbe l'annuale incarico di trasformare fantasio­samente la cattedrale in occasione delle feste di S. Rosalia .. ssl Delle reali strutture della chiesa sono visi­bili i plinti dei gruppi tetrastili (ma gli ornamenti, come specifica lo stesso Del Giudice, sono coperti da pitture simulanti i marmi mischi 56>), e gli archi a sesto acuto.

Nella stampa la navata laterale appare suddivisa in campate coperte da volte a vela cbe poggiano, trasver­salmente alla navata stessa, su archi a pieno centro. Tutto ciò è evidentemente ~osticcio; ma è indicativo della viva istan%3 e della asptrazione che si ebbe allora di coprire in siffatto modo le navatelle della chiesa.

Difatti nel 1709, come si è detto, una tale copertura fu definitivamente realizzata io muratura. In mancanza di testimonianze iconografiche della costruzione defi­nitiva, valga questa stampa che la prefigura.

b) La stampa (cm. 23 X 37,2) inserita tra le pp . .14 e 15 del volume anonimo, ma di Francesco Strada, Ec{) festiva dei monti che fan risonare per il mondo le glorie e i trionfi della gloriosa patrona S. Rosalia vergine palermitana per le solennità annuali dell'invenzione di lei rinovate l'anno 1689 ... , edito a Palermo nel 16go, fu incisa da Vincenzo Bongiovanni su dise~no di Paolo Amato. Nel testo è detto che l' Amato "dtede un'altra forma alla chiesa, diversa da quella [chel alla giornata si gode ,. Nulla difatti appare della reafe architettura del monumento.

c) La stampa (cm. 23 X 39) inserita tra le pp. 45 e 46 del volume anonimo, ma di Giuseppe Maria Polizzi, Gli Horti Hesperidi tributarii nella solennità del­l' anno 1190 alla vergine patrona S. Rosalia liberatrice di Palermo sua patria da l morti/ero dragone della pesti­lenza estinto dalla fragranza delle di lei odorose reliquie, è di un anonimo mcisore, forse il Bongiovanni. Paolo Amato "formatone, come è solito, il disegno, pre­siedette "alla struttura e direzione di tutto l'apparato; a cui molto pure giovò l'assistenza e l'opera di Casi­miro Lisciandrello ,,. L'erezione dell'apparato richiese appena venti giorni. s7)

d) La stampa (cm. 23 X 27) posta all'inizio del volume anonimo, ma di Ippolito Falcone, I trionfi del Tebro superati da quelli dell'Oreto nella solennità del­l'anno 1691 consagrata alle glorie di S. Rosalia vergine palermitana e patrona, edito a Palermo nel .x6gt, fu mcisa da tal Scannarella su disegno di Paolo Amato che aveva, come al solito, apprestato l'intero apparato a causa del quale, avverte il Falcone, s8l " non st vede muro della chiesa ,.

e) La stampa (cm. 23 X 46) inserita tra le pp. 38 e 39 del volume anonimo, ma di Pietro Vitale, n tempio della pace dedicato alle glorie di S. Rosalia vergine palermitana per la solennità dell'anno 1707, edito a Pa­lermo nel 1707, fu disegnata ed incisa da Vincenzo Bongiovanni. Il camuffamento della chiesa, dovuto come al solito a Paolo Amato, 59) è totale e copre anche il soffitto ligneo della grande nave. Questo totale " annientamento , della reale architettura della chiesa, esteso anche al tetto, era avvenuto, come con molto compiacimento afferma il Vitale, &) per la ~rima volta nel 1704 e fu ripetuto costantemente negh anni suc­cessivi.

f) La stampa (cm. 23 X 38) (fig. 13) inserita tra le pp. 28 e 29 del volume Le simpatie dell'allegrezza tra Palermo... e la Castiglia.. manifestate nella presente relazione delle massime pompe festive de' palermitani per la vittoria ottenuta contro i collegati su le campagne di Prihuega a 11 dicembre 1710 ... di Pietro Vitale, edito a Palermo nel 17II, è certamente, al nostro scopo, la più interessante della serie. Fu incisa da Francesco Cichè su disegno di Paolo Amato. L'apparato festivo è eccezionalmente sobrio e lascia in tutta evidenza ogni struttura ed ogni elemento figurale della reale archi­tettura. Proporzioni, rapporti e misure sono assai vicini alla realtà ed hanno quasi valore di rilievo.

n plinto d'appoggio del gruppo tetrastilo ha forma parallelepipeda, quasi cubica, che ci è indicata dalle fonti letterarie, ci~ palmi 5 e mezzo per 5· cioè cm. 142 X 127,8 (per queste misure si veda quanto è stato detto a proposito di una stampa del Montalbo).

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Le basi delle colonne hanno la medesima foggia dise­gnata nella stampa del Montalbo ora ricordata, sono cioè costituite da una gola entro due tori e da un sottostante elemento quadrangolare sot6le e a spigoli vivi. I fusti lisci delle colonne sono quelli originali tanto celebrati perché di granito egizio. Ciascuno mi­surava, compresa la base ed escluso il capitello, palmi 14, cioè cm. 358. 6 •> I capitelli, anch'essi originali, sono corinzi, con una rosetta in alto al centro di ciascuna faccia; sono di tipo tardo-antico o di reimpiego o di nuova fattura ad imitazione dell'antico, come era spesso in uso nell'arte islamica fin dalle origini e in quella islamico-normanna. Sappiamo dall'Amato &~J che erano alti palmi due, cioè cm. 51. Anch' esso un elemento originale, visibile nella stampa, è il pulvino unico so­vrapposto ai quattro capitelli. Quale fosse la foggia originale di tali pulvini non è possibile dire ed è so­prattutto impossibile stabilire se la plastica modanatura w aggetto, che nella stampa appare nella parte supe­riore, sia originale o frutto delle superfetazioni deco­rative del 1652. Propenderei per la sua originalità data la analogia con i pulvioi della nave centrale della cat­tedrale di Cefalù.

I piedritti, compresi tra i pulvini e gli archi, appaio­no nella stampa quasi interamente camuffati dagli stucchi del 1652. Questi comprendono le mensole, due per faccia, citate dall'Amato 63) e dal Mongitore, 64)

una prima modulata cornice e, poco più in alto, dopo una fascia liscia, una maggiore cornice vivacemente aggettante e appoggiata su di una modanatura a den­telli. Dall'Amato 65> sal?piamo che l'insieme costituito dal pulvino e dal piedntto, fino alla maggiore cornice. era alto palmi Io, cioè cm. 255· Di tutte le modanature che decoravano il piedritto nessuna era, con certezza, originale, giacché non è difficile congetturare una asso­luta continuità di superfici tra i corpi dei piedritti e quelli de~li archi, nella solita funzione di slancio che i piedritu hanno in tutte le opere architettoniche d'età normanna.

Gli archi a sesto acuto, "a terzo punto, come li definisce l'Amato 66) cioè '' aventi il centro al terz.o del raggio , , 6?J sono nettame.nte disegnati nella stam­pa. T uttavia non è visibile, perché col?erta da una rabe­scatura pos6ccia, la loro triplice ghiera piatta de~ra­dante, rilevabile chiaramente nella stampa dello Schiavo di cui si dirà più avanti. Sappiamo dall'Amato 68) che gli archi erano alti palmi 46, cioè m. u,76. Si tratta evidentemente della distanza dal pavimento al vertice dell'arco.

Questa stampa riporta, meglio di qualsiasi altra, l'alta trabeazione in stucco compresa tra la linea che tocca il vertice degli archi e la linea d'imposta delle fi­nestre. Come è stato detto, questo consistente elemento architettonico era stato aggiunto tutt'intorno alle pareti della navata ma~giore, nel I652. È impossibile oggi affermare se l'onginaria parete della chiesa normanna avesse qualche modanatura orizzontale, alla quale fece, in qualche modo, riferimento la nuova trabeazione. Allo stato attuale delle nostre conoscenze ed in attesa di un saggio esplorativo nella trabeazione tardo-sette­centesca che ricalca la sagoma di quella seicentesca, è forse meglio evitare ogni congettura e pensare, in ana­logia alle altre coeve chiese normanne dj Sicilia, le pareti interamente lisce.

La trabeazione, il cui massimo aggetto era di cm. 153, era composta, dal basso verso l'alto, da una prima modulata cornice (nella stampa in parte occultata da

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un'açgiunta decorativa posticcia), da un'alta fascia li­scia {anche in questo caso le decorazioni sono posticce), e da una seconda cornice a dentelli sulla quale pog­giava un cornicione anch'esso dentellato. Questo cor­nicione era alto dal pavimento, secondo il Polizzi, 159J quasi palmi 6o, cioè m. 15,34, mentre secondo l'Ama­to, 70) tale altezza era di palm1J4' cioè m. r3,8I. Affer­ma inoltre il Polizzi che tra · cornicione e il soffitto ligneo era una distanza di palmi 25, cioè m. 6,?9• mentre per l'Amato tale distanza era di palmi 30, etoè m. 7,67. Poiché, come avanti s'è detto, secondo l'Ama­to, gli archi della nave erano, alloro vertice, alti m. u,76 e il cornicione era alto m. 13,81, si può dedurne, per differenza, che la trabeazione fosse alta cm. 205.

Sull'asse ver6cale delle arcate, sulla linea del corni­cione, sono le finestre che davano luce alla navata maggiore della chiesa e che erano in numero di dieci per ciascun lato, tante cioè quante le arcate. Esse ap­paiono munite di quegli infissi reticolari con piccoli vetri, sistemati nel 1658, dei quali s'è detto a proposito delle finestre della facciata principale. 7 •) Il vano delle finestre non è quello che sarebbe risultato dalla sem­plice eliminazione delle parti inscritte entro l'arcata a doppia ghiera del muro esterno. Difatti tale vano sa­rebbe dovuto essere ogivale. È probabile che esso, ogivale verso l'esterno, avesse verso l'interno la sagoma indicata dalla stampa e che l'infisso fungesse da dia­framma. In altre parole la deprecata " goticità , delle finestre non si mostrava all'interno della chiesa dopo la riforma del 1652.

Nella stampa sono, attorno alle finestre, chiaramente indicate le modanature che ne formano le eleganti mo­stre, chiuse in alto da un'aggettante cornice di fluido disegno. Sebbene nessuna fonte letteraria faccia cenno di tali mostre, sembra indubbio che esse, anche perché app11iono costantemente in altre stampe di questa serie esaminata (v. oltre), facessero parte dell'apparato de­corativo in stucco apposto nel 1652.

Sappiamo dall'Amato ?al che le finestre erano alte palmt 12 e 8 diti o oncie, cioè m. 1,96.

Tra le finestre, sull'asse verticale dei gruppi tetra­stili, sono visibili nella stampa delle immagiru df81~te di santi. Sono sormontate da una cornice mis · ea che sembra avere la medesima consistenza delle altre che chiudono in alto le mostre delle finestre, anzi de­termina con quelle una linea fluida e quasi continua. Poiché tale cornice appare, nella medesima foggia, an­che in altre stampe di questa serie, è del tutto proba­bile che non fosse posticcia e che anch'essa facesse parte deçli stucchi del 1652. È ben difficile dire se le tmmagint dipinte fossero quelle a fresco di cui avanti s'è fatto cenno, ovvero dei cartoni dipinti sovrapposti agli affreschi.

g) La stampa (cm. 37 x 50,8) (fig. 15) inserita tra le pp. 8 e 9 del volume anonimo, ma di Pietro Vi­tale, La maestà del dolore nella capitale del regno di Sicilia su' l'esequie celebrate in Palermo nell'ottobre del 1711, edito a Palermo nel 171 x, fu incisa da .Francesco Cichè su disegno di Paolo Amato, autore dell'intero apparato funebre della chiesa che nasconde totalmente l'architettura reale. L'incisione è per qualità una delle più pregevoli della serie.

h) La stampa (cm. 23 X 35,4) (fig. 14) inserita tra le pp. 66 e 6y deì volume di Pietro Vitale, La Feli­cità in trono su l arrivo, acclamatione e coronatione delle reali maestà di Vittorio Amedeo, duca di Savoja e di Anna d'Orleans ... , edito a Palermo nel 1714, fu dise-

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gnata da Paolo Amato ed incisa da Francesco Cichè. L'addobbo festivo è assai ricco e copre interamente le colonne; comunque parecchi elementi della reale archi­tettura della chiesa sono visibili, quali la parte alta dei piedritti degli archi, gli archi ogivali, la grande trabea­zione e le finestre. Per essi si rimanda alla stampa di cui alla lettera f.

i) La stampa (cm. 23,8 x 36,6) inserita tra le pp. 26 e 27 del volume anonimo L'armeria e la galleria della augustissima casa d'Austria aperte ed esposte per illustrare la solennità di S. Rosalia vergine palermitana celebrata nell'anno 1721, edito a Palermo nel 1721, è di anonimo incisore e raffigura il solito dettaglio dell'ap­parato della nave maggiore opera di Andrea Palma che nell'occultare totalmente le strutture del duomo aveva seguito le orme di Palo Amato. Il Palma (x664-1730), architetto del Senato palermitano dal 1714, ave­va avuto il primo incarico dell'addobbo appunto in quell'anno. 73)

l) La stampa (cm. 24 x 36,5) inserita tra le pp. xo e II del volume anonimo, ma di Michele Del Giudice, Il corteggio degli angeli che applaude al merito e alla gloria di S. Rosalia vergine palermitana nella trionfai solennità del1725 ... , edito a Palermo nel 1725, fu incisa da Francesco Cichè su disegno di Andrea Palma. La chiesa appare interamente coptrta dall'apparato dovuto al Palma.

m) La stampa (cm. 27,7 x 37,3) (fig. x6) allegata al volume di Pietro La Placa, Relazione delle pompe festive seguite in Palermo... nella celebrità delle regie nozze di Carlo di Borbone ... con Man'a Amalia ... , edito a Palermo nel 1739, fu incisa da Antonino Bova su disegno di Nicolò Palma ed è una di quelle che, in massimo grado, re~istra la vanificazione della reale ar­chitettura della chiesa. Questa incisione, che è artisti­camente la più pregevole della serie, mostra una totale reinvenzione, in termini di accesa espressività barocca, di strutture e formule decorative, ed un movimento plastico che annulla la presenza della parete reale della nave. Certamente le qualità scenografiche di questa effimera architettura svela lo straordinario tempera­mento di Nicolò Palma (x693-1779), uno dei più alti architetti del Settecento palermitano.

Alla presenza di questa stamP.a ben comprendiamo, anche se ci riesce difficile giustificare, l'itinerario della ideologia architettonica che doveva condurre alla di­struzione tardo-settecentesca della cattedrale palermi­tana. Si osservi, fra l'altro, come la multidimensionalità dello spazio creato dall'apparato posticcio contrasti ra­dicalmente con la univoca dimensione della chiesa normanna. L'artista barocco sente di possedere la ca­pacità di esprimersi con un discorso tanto ricco e so­nante che st arroga il diritto di sopraffare la voce della lontana architettura normanna, anzi di metterla a ta­cere del tutto. Insomma la vecchia cattedrale fu, nelle metamorfosi barocche, soltanto un supporto, uno sche­letro, per le " macchine , della incessante invenzione degli architetti sei-settecenteschi. Né molto importava che tali " macchine, fossero effimere, giacché qu~li artisti creavano nella mobilità del tempo, in ternuni esistenziali, sia le opere stabili che quelle destinate ad essere immediatamente distrutte, ed evanescenti erano i confini tra il reale e il fantastico.

In questa stampa la impaginatura, presente in tutta la serie, di due arcate accostate ed esattamente incluse nel campo inciso, viene efficacemente variata. Una sola arcata prende posto al centro e ha modo di sviluppare

tutto il suo respiro scenografico, mentre le due semi­arcate allargano infinitamente, oltre i limiti reali del disegno, la risonanza di quel respiro.

4- L'interno della cattedrale nella stampa dello Schiavo.

Il volume di Domenico Schiavo, Descrizione delle solenni acclamazioni e giuramenti di fedeltà prestati al re Ferdinando Borbone e gli altri sovrani di Sicilia, edito a Palermo nel 1760, contiene, tra le pp. 104 e 105, una incisione (cm. 43 X 36) (fig. 17) dell'interno della chiesa. Fu disegnata ed incisa da Antonino Bova (no­tizie dal 1726 al 1761). Essa ha un interesse eccezio­nale in quanto è l'unica testimonianza grafica di questo interno nella articolazione delle sue strutture e del suo spazio. La veduta è dal privilegiato punto di vista dell'in~resso principale e la piramide prospettica con­verge m un punto di fuga rialzato posto sull'asse verti­cale dell'abs1de principale. L'ordine prospettico non è tuttavia rigoroso, non essendo del tutto dominato dal­l' incisore, in ispecie dove s'affacciano, oltre le arcate della navata maggiore, gli scorci della navata destra. Ciò comunque toglie poco al valore documentario del disegno. Vorrei osservare preliminarmente che questa incisione offre la importante possibilità di collocare nell'insieme dell'edificio i dettagli delle stam\)e prece­dentemente descritte e viceversa Q.Uei dettagli servono a precisare la lettura di questo ins1eme.

Fortunatamente la chiesa si mostra quasi priva di apparati posticci, ad eccezione dell'alta earete 10 stoffa dietro il trono reale e di quella dietro il gruppo dei senatori palermitani indicatt col numero 19. Ma l'una e l'altra non sono di grave impedimento nella lettura. È superfluo inoltre avvertire che lo scopo della rap­presentazione non fu quello di mostrare l'interno della chiesa1 bensi quello di fissare l'immagine della solenne cerimonia. Da ciò deriva la evidente sproporzione, anche in termini di misure reali, tra ~;ti elementi umani della folla e quelli dell'edificio, e denva altresl la man­cata raffigurazione delle parti più alte della chiesa che per noi sarebbe stata di immenso interesse. Infatti il tetto della navata maggiore è del tutto escluso e si intravvedono appena i pennacchi della copertura !ignea del coro.

La stampa ha il pregio fondamentale di conservarci il senso e la natura dell'intero invaso dello spazio in­terno. Vi è scandita la successione ritmica degli archi della nave, il bilanciato e solenne equilibrio dei ~randi archi del coro con la Loro implicita funzione di mqua­drare l'abside, la rigorosa convergenza verso il nodo focale dell'altare delle linee sulle quali scorre obbliga­toriamente la visione, la corsa verso quella meta degli stessi J?avimenti che ritmicamente si rialzano, mediante gradini, procedendo verso il fondo.

La stampa attesta, in questo senso, che, nonostante le pesanti manomissioni seicentescbe, la chiesa con­servava la vitalità del suo organismo architettonico originale e che ancora esprimeva l'altissimo suo lin­guaggio anche ad un artista, quale era l'autore di questo disegno, vivente in una atmosfera di gusto e di cultura ben diversa da quella in cui era nato il monumento.

La stampa si mostra inoltre utilissima e assai ricca di " notizie , anche alla lettura analitica delle sue parti.

I gruppi tetrastili, i pulvini e i piedritti della navata principale sono individuati in tutti quegli elementi, originari ed aggiunti nel 1652, che abbiamo avuto modo di leggere in talune delle stampe descritte e special-

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mente in quella di cui alla lettera f del paragrafo 3· Gli archi della navata stessa mostrano chtaramente le tre originarie ghiere piatte disposte su piani degra­danti. Nelle loro vele sono quegli scudi decorativi che erano stati aggiunti nel x652 come ricorda l'Amato. 74l

Nella parete sinistra della nave si vede, appena accen­nata nelle sue linee essenziali, la grande trabeazione che correva sul vertice degli archi e sulla quale mi sono soffermato a proposito della stampa sopra ricordata.

La incisione ci ha anche conservato l'immagine dei due immensi organi, opera di Raffaele La Valle ( 1543-r6:u), costruiti negli anni 1578-t588 al tempo del­l'arcivescovo Cesare Marullo, e celebrati concordemen­te dalla letteratura erudita sei-settecentesca 75l come, a detta del Paruta, " i più nobili istrumenti armoniosi, che habbia l'Europa, senza la forma dell'apparenza esteriore che eccede ogni bellezza ordinaria ,. ?6l Gli organi occupavano gli ultimi due archi, a destra e a sinistra, prossimi al coro, e le sovrastanti pareti della nave, occultandone, come ci dicono l'Amato e il Mon­gitore, 77l le relative finestre.

Al di là de~li archi del lato destro, sono visibili nella stampa le arttcolate strutture della nave laterale destra e delle cappelle; esse indicano chiaramente la sistema­zione che nel 1709, come si è detto, era stata data alle navatelle mediante la costruzione di archi trasversali e di volte a vela. Vi è inoltre in questa stampa la pre­ziosa indicazione delle finestre delle navatelle, poste al di sopra delle coperture delle cappelle. Sulla disposi­zione di queste finestre avrò modo di ritornare esami­nando le testimonianze iconografiche dell'esterno della chiesa. Intanto da questa stampa appare chiaro che erano esattamente inquadrate nella lunetta che la volta a vela determinava nella parete della navata laterale, soprastante la cappella. Poiché queste finestre erano a coppia, il loro asse di accostamento verticale era in corrispondenza dell'asse verticale delle arcate della na­vata maggiore. La loro capacità illuminante era per­tanto sfruttata al massimo a vantaggio della navata maggiore, verso la quale la luce si versava senza inter­rompimento e senza pesantl ombre, fondendosi all'altra che cadeva dalle finestre della navata maggiore. C'è pertanto da desumere che la luce penetrasse nella chiesa originaria copiosa e diffusa, attenuando gli ef­fetti chiaroscurali delle numerose plastiche strutture architettoniche ed ammorbidendo la consistenza della viva pietra di guei numerosi paramenti murari che erano in vista. Queste finestre erano bifore; gli infissi reticolari a vetri, appostivi nel 1709, 78l dissimulano la colonnina centrale.

La stampa dello Schiavo mostra una organica visio­ne della parte centrale del santuario della chiesa, cioè della parte mediana o coro, del titolo, della parte me­diana dell'antititolo e dell'abside centrale. Questa parte della chiesa era in origine distinta da quella anteriore, cioè dalla navata maggiore, dal grande imbocco del­l'arco trionfale, dagli spessi pilastri sui quali esso insi­steva e dall'arresto, a livello di pavimento, costituito da due gradini 79) e dal muro di iconostasi. Si artico­lava in profondità su una prima lunga pausa rappre­sentata dal corpo centraliuante del coro provvisto di quattro grandi archi simmetrici e di un soffitto ligneo cupoliforme, su di una più breve pausa rappresentata dallo spazio centrale dell'antititolo chiuso anch'esso da pilastri, e infine sulla convergente spazialità dell'abside maggiore. Questo svolgimento dell'originario spazio di questa parte della chiesa rimaneva, al tempo in cui fu

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disegnata questa stampa, sostanzialmente integro, ed esso fu recepito dall'artista. Ciò che la stampa invece non poteva più recepire era il vibrante effetto chiaro­scurale offerto dalle slanciate e sottili colonne (v. la ricordata testimonianza del Fazello), annicchiate in doppio ordine negli spigoli di tutti questi . pilastri in cornspondenza degli intradossi degli archi. Tra le ma­nomissioni effettuate nel 1652 al tempo dell'arcivescovo Martino de Leon, certamente una delle più pesanti era quella relativa a questi pilastri nei quali le colonne annicchiate erano state sepolte sotto uno spesso strato di intonaco. Sol Lo stretto rapporto funzionale ed espres­sivo tra i due elementi pilastro-arco era stato spezzato, e il pilastro con la sua rigidezza e il suo notevole in­gombro volumetrico, umiliava e deprimeva l'arco. An­che qua, come ho già rilevato per la navata maggiore, tutto il sistema di modanature che occupa il piedritto degli archi era frutto dell'intervento rimodellatore del 1652. Era in ispecie la cornice superiore, fortemente aggettante, che annullava, sulla linea d'imposta degli archi, la continuità di questi con le loro strutture verti­cali d'appoggio.

Questa stampa dello Schiavo integra l'altra, già esa­minata, del Montalbo, a vantaggio della quale è tut­tavia da rilevare una più immediata ed icastica inci­sività del generale discorso architettonico raffigurato. Ma in quest'ultima le gramaglie lasciano in evidenza solamente le strutture; mentre nella prima sono anno­tati taluni particolari e talune aggiunte che sono estre­mamente preziosi, data la mancanza di altra iconogra­fia. È opportuno notare analiticamente tali indicazioni.

Tra la navata principale e il coro, sollevati su due gradini, sono i plutei marmorei. Essi rappresentano la ultima trasformazione dell'originario muro di icono­stasi che indubbiamente esisteva nella chiesa originaria e separava il luogo del clero officiante da quello dei fedeli. Ci informa l'Amato, 8I) senu indicaztone della fonte, che quell'originario muro era alto palmi 8, cioè m. 2,04, ed aveva una porta in centro, e aggiunge che esso era stato ridotto a palmi 4, cioè m. 1,02, nel 1466, e poi tolto del tutto e sostituito da una ringhiera in ferro. I plutei marmorei che si vedono nella inci­sione, non ancora esistenti al tempo dell'Amato, sono da collocare rertanto in un periodo compreso tra il 1728, data de libro dell'Amato stesso, e il 176o, data della stampa.

Nella stampa è l'unica immagine dei due troni, quello reale a sinistra e quello arcivescovile a destra, nello stato in cui erano prima della loro quasi totale distruzione tardo-settecentesca. Da un documento ri­cordato ma non trascritto dal Perricone Sa) si apprende che nel 1472 lo scultore Pietro da Bonate rifece il trono regio. Sappiamo inoltre da un documento pub­blicato dal Di Marzo 83l che gli scultori Giacomo e Fazio Gagini e Fedele e Scipione di Carona si obbliga­vano in solido, il 7 novembre del 1544, a scolpire e sistemare " segiam unam marmoream in loco ubs sedit rev.mus et ill.mus dominus archlepiscopus panormi­tanus ,. I due troni dunque furono rifatti nspettiva­mente nel 1472 e nel 1544; il loro rifacimento dovette essere pressocché totale anche se forse furono riutiliz­zati taluni elementi originari normanni. Questa nuova forma rinascimentale ci viene documentata dalla incisione.

Sia l'Amato 84> che il Mongitore 8s) ci danno di questi due troni una dettagliata descrizione sulla quale è pos­sibile constatare la veridicità dell'immagme grafica,

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~iacché non vi è alcuna divergenza tra le due fonti di mformazioni. Da esse si evince che l'uno e l'altro trono si presentavano sollevati da cinque gradini, avevano ai fianchi l'uno, quello regio, due transenne, l'altro, quello arcivescovile, due balaustrate; 86) il loro dossale era chiuso in alto da una " piegatura ... a forma di tosello , nella quale era simulato un "cielo tempestato di stelle e di rose d'oro, e su di questo era un'edicola chiusa da un timpano triangolare. Sia la " piegatura , che, come si può desumere dalla stampa, era un baldacchino marmoreo leggermente aggettante, sia la soprastante edicola classiche~giante, mostrano chiaramente carat­teristiche formalt rinascimentali e servono pertanto a datare all'epoca del documento rinvenuto dal Di Marzo i due troni.

Un dato prezioso che ci fornisce ancora questa inci­sione è quello relativo al soffitto !igneo del coro. Sap­piamo dalle già citate fonti letterarie che tale soffitto ligneo era cupoliforme, " lavorato mirabilmente , co­me dice il Fortunio, "da maestro scalpello di non ordi­nario artifice, come aggiunge il Mongitore. &7l Nella stampa si vedono i pennacchi a stalattiti, indubbiamente appartenenti alla primitiva costruzione normanna.

Altro dato preztoso è quello relativo al grande ambu­lacro che, correndo nel grosso del muro, si svolgeva attorno all'intero santuario, affacciandosi sia verso l'interno che verso l'esterno della chiesa. Si vede chiaramente nella incisione, ai due lati del vertice dell'arco dell'abside maggiore, il loggiato mediante il quale l'ambulacro si manifestava verso l'interno della chiesa.

Questa stampa ci dà infine l'unica immagine del grande retablo marmoreo che occupava interamente la abside maggiore, l'antistante campata e risvoltava verso le pareti dell'antititolo. Su questo distrutto retablo, scolJ?ito tra ~ ~5IO e ~ I574• opera. dei Ga~ini, non è qua il caso di dtlungarst dopo lo studto del Di Marzo. 88)

5 - La cattedrale nelle piante prospettiche sei-settecente­sche di Palermo.

I cartografi della Palermo seicentesca vissero a lungo della eredità lasciata loro dai rilevatori tard<rcinque­centeschi. Anche se numerose sono le piante prospet­tiche di Palermo del XVII secolo, 89) non mette conto qua ricordarle, appunto perché non furono frutto di nuova indagine dal vero. T uttavia un cenno meritano due di queste vedute.

La prima è quella disegnata da Domenico Gallello e contenuta tra le pp. 3I4 e 3I5 della 3• parte dell'opera di Giovan Battista Romano e Colonna, Della congiura dei ministri del re di Spagna contro la fedelissima ed esemplare città di Messina, edita a Messma nel I678. La seconda (cm. 24 x 39) è quella contenuta tra le pp. 82 e 83 del già citato volume del Del Giudice, Palermo magnifico ... ; in essa è raffigurato l'altare mag­giore della cattedrale, nella rifusione posticcia dell'ar­chitetto Paolo Amato, nel cui centro è rappresentata prospetticamente la citt.à di Palermo. 90) In entrambe queste stampe la cattedrale palermitana e il vicino ca­stello soprano (cioè il palazzo reale) hanno un partico­lare SJ?icco sul compatto paesaggio urbano palermitano. Cioè t due monumenti hanno, in queste rappresenta­zioni che pur sono scarsamente documentative, quel ruolo egemonico sulla restante edilizia urbana che era allora sentito dalla coscienza dell'artista nella quale si proiettava quella dei cittadini del tempo.

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La prima pianta settecentesca di Palermo (centimetri I I I X 67) della quale abbiamo notizia, in cui sia spe­cificato il nome del rilevatore, risale al 1723, stampata a Palermo presso Antonino Epiro. Si tratta di una pianta che, come è specificato in una iscrizione in essa contenuta, fu " fatta e delineata da Paolo Corso Inge­gnere, un tempo capo mastro della regia corte e del­l'eccellentissimo Senato, ed al presente capo mastro dell'illustrissima Deputazione del regno,. Poiché è una pianta geometrica, cioè priva di qualsiasi raffigu­razione di alzati, non interessa questo studio. Tuttavia essa va ricordata perché dovette certamente costituire la base di una successiva serie di piante prospettiche, delle quali si ricordano qua brevemente, in ordine cronologico, le principali.

Una pianta (cm. 38 X 58) incisa da Antonino Bova ed allegata al volume di Antonino Mongitore, Palermo ammonito, penitente e grato nel formidabil terremoto del primo settembre 1726, edito a Palermo nel I727; una pianta (cm. I4,2 x I7,2), senza il nome deU'incisore, allegata al volume in due parti, Le antiche porte della città di Palermo non più esistenti di Gaetano Giardina, e Le Porte della città di Palermo al presente esistenti di Lipario Triziano (A. Mongitore), edito a Palermo nel I732; una pianta (cm. 3717 X 25,4) incisa da An­tonino Bova e allegata al volume di Arcangelo Leanti, Lo stato presente della Sicilia, edito a Palermo nel I]6I.

In tutte queste piante appare una raffigurauone della cattedrale e della sua ptazza assai sommaria ed abbreviata e pertanto di scarso interesse. Inoltre essa è pressocché uguale nelle varie stampe e ciò indica che i vari incisori fecero riferimento ad un unico testo.

È invece di un certo interesse la documentazione delle trasformazioni che aveva subito l'ambiente urba­no della cattedrale nel settore nord-occidentale, là dove cioè nel tardo Cinquecento era stata colmata la bassura del Papireto ed era stato impiantato un nuovo quartiere cittadino a griglia, sulla base di una intensa opera di utilizzazione privata delle aree. 9') Questo nuovo quartiere, in luogo notevolmente sottomesso rispetto alla grande chiesa, fu da questa caratterizzato e dominato senza che di riscontro imponesse qualche sostanziale modifica alla situazione scenografica del monumento.

La cartografia settecentesca palermitana ebbe il suo ca~lavoro nella pianta della città edita nel 1n7 93l e, in ongine, destinata a corredare l'opera di Francesco Maria Emanuele e Gaetani, marchese di Villabianca, Palermo d'oggigiorno, rimasta inedita e pubblicata soltanto nel 1873-74 dal Di Marzo. 93) La pianta (cm. 84,6 x 74) (fig. I), fu disegnata dal regio in~egnere Nicola Anito e incisa da un tal Garofalo. Fu tl frutto di un accu­rato rilevamento ed è pertanto attendibilissima. Pos­siede inoltre qualità formali di gran lunga superiori a quelle delle altre piante sei~settecentesche di Palermo.

Si tratta di una pianta " geometrica , , cioè priva di rappresentazioni di alzati, e pertanto interessa solo indirettamente questo studio. Tuttavia è da rilevare che essa dà una precisa nozione della collocazione della cattedrale palernutana nel generale contesto di una città che aveva raggiunto, nella seconda metà del Set­tecento, dopo la crisi determinata dall'avvento della Maniera 94l e dalla furia costruttiva barocca, un suo equilibrio nell'ambito delle mura e nella netta deter­mmazione delle sue due maggiori vie a croce. La pianta cioè è la più veridica e nello stesso tempo la più sen­tita e cosciente immagine di una città che oggi è andata

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per gran parte perduta, con grave contraccolpo sui suoi maggiori episodi edilizi fra i quali era, in pnmo luogo, la cattedrale. La dimensione urbana di questo monu­mento vi è dunque puntualmente registrata. La chiesa inoltre non solo mostra la sua articolazione planime­trica, ma dà anche evidetlUI alla connessione, mediante i due archi sul prospetto principale, al corpo dell'edi­ficio arcivescovile. Fatto questo che era stato vaga­mente accennato dalle piante tardo-cinquecentesche ma ignorato dalle successtve.

6 - La piazza della cattedrale durante l'atto di fede del 1724.

Il volume di Antonino Mongitore, L'atto pubblico di fede solennemente celebralo nella città di Palermo a 6 aprile 1724 dal tribunale del S. Uffizio di Sicilia, edito a Palermo nel 1724, contiene, tra le pp. 22 e 23, una acquaforte (cm. 45,5 x 40) (fig. 18), disegnata e incisa da Francesco Cichè, che illustra, con ogni det­ta~lio di particolari, il " teatro, !igneo, eretto dall'ar­chttetto Tommaso Maria Napoli (1655 ? - 1725) nella piazza della cattedrale, per la celebrazione di quell'atto di fede. Un "teatro, che, come afferma il Mongi­tore, 95) " per la magnific:etlUI e ben intesa struttura riuscì superbissimo ,.

È qui appena il caso di affermare come la tragica cerimonia avesse il sostegno di un apparato scenogra­fico tipicamente barocco, realizzato, oltre che dalla vasta piazza, da questo " teatro , ligneo, articolato in vari e gerarchicamente disposti settori, con tribune e palchi, pulpiti, altare, stanza riservata alla sentetlUI, ecc. Ciò che invece importa rilevare in questo studio è la testimonianza iconografica offerta dalla stampa della piazza in generale e della chiesa in particolare.

La piazza è raffigurata da un angolo visuale insolito, cioè tenendo le spalle al monastero dei Settangeli e avendo alla destra il fianco meridionale del duomo. La scelta di tale angolo visuale, che defila la chiesa sottraendole il ruolo egemonico che generalmente ha nelle vedute di questo spazio urbano, fu dettata dalla necessità di raffigurare nella sua completezza il posticcio " teatro , ligneo dal lato dove esso offriva minor osta­colo alla vista. Questa stampa trae da ciò la sua uni­cità e il suo particolare valore.

L'invaso della piazza ba, sull'asse del Cassaro, un varco oltre il quale s'intravvede il baluardo del pa­lazzo reale e la torre di S. Ninfa; ma nell'insieme essa è rappresentata con le caratteristiche di una scenogra­fia urbana chiusa e bloccata dal rigido fondale del pa­lazzo arcivescovile. Questo, costruito, come s'è detto, nel 146o dall'arcivescovo Simone di Bologna, era stato profondamente trasformato al tempo dell 'arcivescovo Giannettino Doria, cioè tra il x6og e il 1642, e, poco oltre la metà dello stesso secolo, al tempo dell'arcive­scovo Pedro Martinez Rubio. La raffigurazione di questo edificio, come del resto anche quella degli altri, è nella stampa alquanto sommaria e tuttavia sod­disfa le esi~enze figurative che nella economia del­l'opera il ptttore si era proposto. Cioè le architetture furono delineate e messe a fuoco nella loro " ve.ridi­cità , solamente quanto bastasse per corroborare la azione scenica che aveva luogo principalmente nel " teatro, ligneo. Al nostro fine ciò è indubbiamente un grosso limite che l'illustrazione possiede. Ed esso è sensibilmente evidente nella parte visibile della cat­tedrale. E non è tanto la distanza prospettica nella

quale è posta la chiesa, quanto l'estrema semplifica­zione e la arbitraria reinvenzione dei suoi elementi, che hanno pertanto un assai modesto valore docu­mentativo.

Il '' teatro , ligneo occupa la metà sud-occidentale della piaz1:a; difatti resta visibile la fontana detta dei Tre Vecchioni che era al suo centro e della quale dirò nel se~uente paragrafo. li recinto della piazza mostra la serte delle statue seicentescbe ed un basso muro che fungeva anche da sedile e che, come si dirà avanti, fu successivamente sostituito da una balaustrata.

Il medesimo libro del Mongitore contiene, tra le pp. 42 e 43 e le pp. 54 e 55, due acqueforti disegnate ed incise da Francesco Cichè dove sono raffigurate le processioni che ebbero luogo il 5 e il 6 aprile del 1724, snodandosi tra la cattedrale e il palazzo del S. Uffizio, cioè il trecentesco castello dei Chiaramonte. In en­trambe queste grandi stampe, che hanno la medesima misura del campo inciso (cm. II5 X 40), è, in alto a destra, una immagine della cattedrale e della antistante piazza (fig. rg), occupata dal " teatro, !igneo già ri­cordato. Le architetture vi banno una definizione som­maria e il duomo vi appare in una strana disposizione prospettica che realizza simultaneamente un'immagine lungo i due principali assi longitudinale e trasversale. Il punto di vista è quello solito dal Cassaro verso la chiesa.

7- Tela della cattedrale nel Museo diocesano di Palermo.

Questo dipinto ad olio (cm. 155 X 77) (figg. 21-23) è conservato presso il Museo diocesano di Palermo. Se ne sconosce l'autore che è certamente un artista locale. Fu realizzato in data anteriore al 1744 quando fu posta al centro della piazza della cattedrale la statua di S. Rosalia, opera di Vincenzo Vitaliano, 96> che qua ancora non si vede né, costituendo un fatto religioso ed artistico assai cospicuo, poteva essere ignorata dal pittore. Non si vede d'altro canto, nella piazza stessa, la celebre fontana detta dei Tre Vecchioni (allegoria dei tre promontori siciliani, Lilibeo, Pachino e Peloro) che, secondo la legçenda popolare, era stata qua eretta nel I 195 a memorta del parto di Costanza d'Altavilla avvenuto, sotto una trasparente tenda di seta, al co­spetto del popolo che dubitava che la anziana regina potesse ancora avere dei figli. Era allora nato Federico, il futuro imperatore. La presetlUI di quella fontana nella piazza era stata ricordata da viaggiatori ed eruditi fin dal XVI secolo lnl ed è segnata in alcune piante di Palermo tardo-cinquecentesche e in molte seicentesche.

Sappiamo che la fontana nel 1685 era stata trasfor­mata dal " marammiere , Giovanni Rodolone con la aggiunta, in alto, della statua dell'Immacolata. 91!> Essa era nella piazza della cattedrale nel 1713, anno in cui fu rilevata la pianta di Palermo di Paolo Corso che servi di base alle successive, come già è stato detto. In questa pianta la fontana è compresa al n. 3 di un elenco " De' fonti e statue di marmo esistenti dentro e fuori la città per suo ornamento " , con la seguente indicazione: "Fonte nel piano della Madrice Chiesa con quattro statue di marmo "' Le quattro statue sono evidentemente quelle dei Tre Vecchioni e dell'Im­macolata.

La fontana era ancora nel pia.no della cattedrale nel 1724, come si P.Uò vedere nella incisione del Mongi­tore (fig. r8), già descritta nel precedente paragrafo di questo studio.

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Nel 1728 però scrive l'Amato 99) che essa era stata trasferita altrove, progettandosi allora l'erezione di una colonna onoraria o a S. Rosalia o alla Vergine. Dice l'Amato: " Fonte alibi translato, conscituenda erat columna , , dove quell' '' alibi ,. potrebbe anche indi­care un altro posto nella medesima piazza. Stando dunque alle date certe, il dipinto del Museo diocesano di Palermo va collocato tra il 1724 e il 1744, anni in cui è documentata la presenza nella piazza di due fatti di rilevante valore artistico, storico e religioso che il pittore non poteva in ogni caso ignorare e che invece sono assenti nell'opera.

D'altro canto tale datazione tra il terzo, il quarto e gli inizi del quinto decennio del XVIII secolo, può risultare del tutto convincente alla luce di talune consi­derazioni sulla natura, lo scopo e le caratteristiche del dipinto, in relazione alla riscoperta che allora fece la letteratu.ra erudita della maggiore chiesa palermitana.

Anzitutto è da osservare che l'ignoto pittore rice­vette l'incarico preciso di raffigurare esclusivamente la cattedrale palermitana; quindi questa costituì l'oggetto e lo scopo dell'or.era. Cioè essa interessò per sé stessa, quale fatto specifico e sufficiente, e non fu coinvolta solamente quale scenario e teatro di avvenimenti o celebrazioni. lo tutta la iconografia della cattedrale an­teriore al 1781, finora conosciuta, sono solamente questo dipinto e la stampa del Leanti, della quale st dirà avanti, ad avere questa particolare natura.

Il dipinto fu l'immagine visiva di un fatto culturale emergente nell'ambiente erudito palermitano, proprio in quegli anni in cui esso è da collocare cronologica­mente. Nel 1728 vide la luce la lucida e monumentale opera sulla cattedrale palermitana del gesuita Giovanni Maria Amato, De Principe Tempio Panormitano, e qualche anno dopo il canoruco della cattedrale Antonino Mongitore iniziava l'altrettanto monumentale opera sul medesimo soggetto alla quale lavorò fino alla morte, avvenuta nel 1743, e che fu portata quasi al compi­mento, ma si trova ancor oggi inedita. Si trattò di due opere nelle quali il recupero filologico del monumento è condotto con uno scrupolo inusitato in quei tempi, probabilmente sotto la spinta, giunta anche in Sicilia, del rinnovamento degli studi storici, aUora in atto in vari centri di cultura in Italia.

In entrambe le opere fatti e cose che riguardano la chiesa, sono annotati con equilibrato spirito cataloga­rivo, con distacco scientifico e con tutto quello scrupolo, nella ricerca deUe fonti e della letteratura erudita, che i tempi consentivano; un processo di spassionalizza­ziooe che si contrappone alla univocità della contempo­ranea cultura. In quei libri è una sostanziale rivaluta­zione del medioevo, non solo nella sfera degli avveni­menti politici e civili, ma anche in quella del gusto e degli interessi artistici. Non si può dire che emerga coscientemente il " gotico , come linguaggio autono­mo e compiuto, ma è certo che esso non è più inviso e non risulta ostico al gusto di questi eruditi come lo era a quello dei loro immediati predecessori. Non vi è certo una posizione medioevalistica, ma vi è certa­mente un'equanime attenzione verso tutte le epoche storiche " cristiane,. L'anima "gotica, della catte­drale palermitana viene colta e no.n osteggiata: anzi, più di una volta, i due autori si rammaricano del poco rispetto che i loro contemporanei nutrono per quella venerabile architettura. 100)

Il processo di oggettivazione della materia trattata e lo scrupolo documentaristico, oltre all'interesse speci-

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fico per il monumento nella sua individualità, contras­segna il dipinto in esame. Il pittore usò il medesimo occhio indagatore ed analizzatore che usavano i due eruditi. Verrebbe di pensare che il committente del dipinto fosse uno dei due eruditissimi prelati. Non è ipotesi inverosimile che fosse il Mongitore stesso ad ordinare l'opera e a darne i criteri di attuazione. Afferma egli nel suo manoscritto, nel capitolo dedicato al " lato esteriore meridionale , , che è proprio quello rappre­sentato nella tela: '' Ma meglio esprimerà la vaghezza e architettura di questo fianco esteriore il disegno che ne riporto, per esporlo aU'occhio de' lettori,. 10 1) Pur­troppo nel manoscritto non esiste il disegno, certa­mente una delle tavole che egli pensava dovessero cor­redare la sua opera, sull'esempio di ciò che il Del Giudice aveva fatto per la sua monografia sul duomo di Monreale. '02) Ma tra la promessa illustrazione e la tela di cui ci occupiamo è ben possibile che esistesse una parentela, nel senso che il dipinto poteva esser nato dalle attente rilevazioni grafiche promosse dal Mongitore.

Comunque stiano le cose, è certo che il dipinto giunto fino a noi è il più preciso documento iconografico della cattedrale palermitana prima del 1781. Conviene per­tanto compierne una lettura attenta ed esauriente.

La piazza della cattedrale, definita nel suo ambito spaziale al tempo dell'arcivescovo Simone di Bologna, tra il t446 e il 1465, allorché era stata ampliata anche in relazione alla costruzione nel 1400 del nuovo pa­lazzo arcivescovile, 103) appare nel dipinto con gli attri­buti formali che le erano stati dati durante il corso del XVII secolo. Cosl la descrive il Mongitore: " Lunga palmi 4001 larga palmi 300, viene chiusa da un recinto di basse mura con intermessa di varie uscite e ingressi, con sedili dalla parte interiore, onde si rende molto commoda per potervi passeggiare o starvi a sedere. Viene poi ornata da 16 statue ... ,. I04) Le statue di santi e dottori della chiesa, posti a coppia ai lati de~li ingressi e agli angoli del recinto, erano state scolptte negli anni dal 1655 al 1673. IOS) Le basse mura con sedili saranno sostituite da una balaustrata marmorea del cui completamento nel 1700 ci dà notizia il Villa­bianca. lo6}

La piazza è chiusa sul lato occidentale dal palazzo arcivescovile che, costruito nel 1400 da Simone di Bologna, era stato profondamente trasformato, come si è detto, nel XVII secolo, al tempo degli arcivescovi Giannettino Doria e Pedro Martinez Rubio. 10'7)

In questo medesimo lato occidentale della piazza è chiaramente visibile, al di là degli archi, accostata al lato settentrionale della grande torre, la casa della Ma­ramma, o fabbriceria del duomo, eretta nel 1610. to8)

L'immagine che il dipinto fornisce della grande torre occidentale è interessante soprattutto perché essa ce ne dà lo stato anteriore a due trasformazioni: quella della metà del XVIII secolo registrata nella stampa del Leanti (vedi avanti), e quella del 183~ quando fu fatta tabula rasa di tutto ciò che stava al dt sopra della linea d'imposta degli originali merli e furono costruiti i cam­panili " in stile.,. Sul corpo parallelepipedo della ori­ginaria torre della chiesa gualteriana (u84-1I85), il di­pinto mostra tutto ciò che è descritto dall'Amato: il coronamento merlato, i pilastri di sostegno di talune cam{'ane sul lato orientale (l'Amato in verità parla di archt, forse mai esistiti), ed una grande edicola campa­naria su quello settentrionale. Questa edicola era stata costruita al tempo dell'arcivescovo Diego Aedo (arci-

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vescovo dal 1589 al r6o8), e compiuta nel 1612 dal cardinale Giannettino Doria; da.nneggiata da un ful­mine era stata ricostruita nel 1657 e fornita di una copertura a piramide i cui lati erano stati coperti da un manto dt mattoni maiolicati con l'emblema della cattedrale, cioè l'aquila bicipite. '09)

Importante notare la esistenza degli ori~inari merli, a linea arcuata continua, che indicano chtaramente la n.atura militare della torre, costruita in uno con la chiesa e inclusa nel sistema dei percorsi alti delle scolte armate mediante il collegamento praticabile dei due archi. La distruzione di questa corona di merli, non più esistenti nella stampa del Leanti del 176I, è stata pregiudizievole alla lettura dell 'intero edificio e per­tanto la testimonianza fornita dal dipinto è preztosa.

Sulla faccia orientale della torre, di fronte alla porta maggiore della chiesa, si vede la porta e il soprastante balcone che erano stati costruiti nel 1659 dall'arcive­scovo Martinez Rubio per un più immediato collega­mento tra la chiesa e il palazzo arcivescovile. uo)

Il dipinto mostra, con ricchezza di dettagli, i pro­spetti meridionali della navata maggiore, della navata destra e delle cappelle addossate a quest'ultima. Di questi tre prospetti sussiste oggi, fortemente mutilato e manomesso, quello della navata maggiore. Su di essi è da aggiungere che la letteratura erudita è imprecisa e notevolmente lacunosa. Pertanto la lettura di questa parte del dipinto riveste un particolare interesse nella restituzione ideale del monumento. m)

Esaminiamo separatamente i tre prospetti.

Prospetto delle cappelle. Nella cattedrale palermitana i due corpi delle cappelle erano stati aggiunti alle due navi laterali dal XIII secolo in poi. Come si rileva dal dipinto, il corpo sul lato mertdionale presentava in ortgine un muro di prospetto continuo, che a metà del Quattrocento era stato interrotto dall'inserimento del grande portico. n muro, in conci squadrati, era privo di aperture per oltre la metà della sua altezza; nella parte alta si aprivano le monofore che, inquadrate da semplici lesene, erano due per ciascuna cappella, ed erano poste sul medesimo asse delle bifore delle navate laterali. Talune coppie di monofore appaiono tamponate e ciò è in evidente relazione con le trasfor­maztoni e le aggiunte nelle corrispondenti cappelle. n muro è chiuso in alto da una do~pia modanatura oriz­zontale e da una serie di merli a profilo curvilineo rubricato da una cornice continua.

Può conside.rarsi una prosecuzione del muro delle cappelle quello che riveste, sul lato destro del santua­rio, il piccolo corpo parallelepipedo del reliquiario. La sua colonnina angolare è tuttora esistente.

Durante i lavori tardo-settecenteschi di rifacimento questo muro di prospetto fu ricostruito in avanti, fu innalzato e gli fu dato l'attuale aspetto che imita gros­solanamente quello originale.

Prospetto della navata destra. L'originale muro ester­no di questa navata (come l'altro simmetrico della na­vata sinis tra) è andato totalmente distrutto, né quello che oggi si vede, tardo-settecentesco, ha, per aspetto, posizione ed altezza, alcun rapporto di imitazione con l'antico d'età normanna. Questo allineava una serie di venti bifore ogivali contigue la cui disposizione in rap­porto alle strutture interne della chiesa e la cui fun­zione illuminante sono state specificate a proposito della stampa dello Schiavo. Le bifore erano uguali per

dimensione e ricchezza di motivi decorativi; questi erano di natura plastica nel rilievo delle colonne e degli archi, e di natura pittorica nelle tarsie laviche. Le ta.rsie erano presenti nello spazio circoscritto dalle o~ive, nella ghiera (che è da supporre doppia e su due ptani) delle arcate, e nelle interposte vele.

Correva sul vertice delle finestre una fascia di deco­razione a tarsie laviche entro due lisce e continue mo­danature, del tutto simile a quella della navata mag­giore (vedi oltre). Coronava ques to muro una serie di merli a profilo curvilineo finemente rubricato dalia solita cornice continua.

Molte delle bifore di questo prospetto appaiono nel. dipinto tamponate. Ci informa l'Amato che queste fi­nestre " gotiche , erano state accecate nel 1652, al tempo delle grandi trasformazioni dell'interno della chiesa, ma che erano state riaperte, ad eccezione di cinque di esse, e munite di infiss1 con vetri, nel 17og. 112>

Prospetto della navata principale. Come s'è detto, dei muri della navata maggiore sussiste solo una parte. Per ciò che riguarda questo prospetto meridionale, avanzano ai nostri giorni quattordici archi a contare dalla facciata principale ed escludendo gli ultimi tre che sono tardo-settecenteschi. Anche la fascia a tarsie laviche che le sovrasta è originale. Nella cattedrale norrnanna questi archi erano venti, oltre una arcata cieca, più piccola, accosto alla facciata princil?ale.

Si ri leva chiaramente nel dipinto che l'asse verticale di questi archi non corrisponde a quello delle finestre della navata minore. Difatti abbiamo avuto modo di notare che l'asse verticale delle dieci finestre di ciascun lato della nave maggiore coincideva con l'asse delle ar­cate della navata stessa. In esatta corrispondenza con quest'ultimo asse, era quello verticale di giuntura delle coppie di finestre delle navate laterali.

Nel dipinto una metà circa degli archì circoscrivono il vano delle finestre che sono chiuse dai soliti infissi reticolari; gli altri archi sono totalmente o parzialmente ciechi. L'Amato u3) e il Mongitore 114) affermano che la navata principale aveva in ori~ine venti finestre per lato, tante cioè quanti erano glt archi del prospetto, e che nel 1652 metà di esse erano state alternativa­mente tamponate; cioè era stata mantenuta la luce soltanto a quelle sul vertice deJle arcate della navata maggiore. La pittura in esame lascia supporre che la operazione di tamponamento non era stata cosi rego­lare come scrivono i due eruditi.

Nelle vele degli archi di questo prospetto è visibile nel dipinto una ricca decorazione a tarsia, della quale non abbiamo alcuna traccia nel muro tuttora esistente. Fu un'aggiunta del pittore ? Si può solamente osser­vare che è ben strano che questo prospetto meridionale differisca dall 'altro settentnonale dove, anche nelle vele degli archi, è presente la decorazione tarsica.

11 dipinto dà la possibilità della più esauriente let­tura del santuario, nella çenerale articolazione dei vo­lumi e nei dettagli figuralt e decorativi. Sebbene questa parte della chiesa sia stata meno devastata delle altre, tuttavia l' ingombrante innesto dell'attuale transetto e della cupola da un lato e la totale distruzione del coro e quella parziale delle ali del titolo, costituiscono oggi un forte ostacolo alla ricomposizione ideale della chiesa originaria. Si osservi viceversa nel dipinto la coerente disposizione dei volumi delle parti alte, che abbiamo avuto modo di notare a proposito della stampa del Montalbo. Sarà agevole distinguere il santuario origi-

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nario normanno, semplice nella sua stereometria e nella ermetica fermeua delle sue pareti appena percorse dal brivido delle lisce modanature, dalle aggiunte più tarde, intensamente chiaroscurali, rappresentate dagli ultimi ordini delle torri angolari e dai vari corpi degli ambienti

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2 - Pianta tardo-settecentesca della cattedrale dl Palermo (trascrizione Zanca)

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di servl%10 della chiesa, in primo piano, sul fianco destro del santuario.

In particolare il dipinto mette in evidenza il meditato rapporto di compenetrazione tra il corpo delle navate e quello più eminente del santuario, ottenuto con l'ab­bassamento delle ali del titolo al livello della navata maggiore e la penetrazione fra di esse dell'unitario e più alto organismo a T del coro-antititolo. Che questo fosse concepito in unità è dimostrato dal trattamento omogeneo delle superfici murarie, tutte animate nelle varie facce, dai medesimi archi ciechi, dalla medesima doppia modanatura che corre sui loro vertici e dalla medesima linea di merli del tipo curvilineo più volte descritto. Non è difficile peraltro indovinare il percorso dell'ambulacro che si snodava nel grosso dei muri di ~uesta parte alta della chiesa e che si affacciava al­l esterno mediante esigue monofore.

Dell'ala destra del titolo, quella cioè che conteneva le tombe dei monarchi, il dipinto dà l'immagine del­l'intero prospetto, le cui quattro finestre erano però, già allora, fortemente manomesse, come ci avverte l'Amato, us) essendo state abbassate ed allargate. La presenza inoltre nel di~into di lesene, può far pensare ad un occultamento, m età barocca, del paramento murario originale e ad una sua rifigura~ione. u6) Co­munque erano indubbiamente originali la fascia oriz­zontale, forse a tarsie laviche, e i sovrastanti merli curvilinei che coronavano questo corpo della chiesa.

8 - Veduta della cattedrale nella stampa del Leanti .

Si tratta di una stampa (cm. 29 X rg) (fig. 20), dise­gnata ed incisa da Antonino Bova ed allegata al I vo­lume dell'opera di Arcangelo Leanti, Lo stato presente della Sicilia o sia breve e distinta descrizione di essa, edito a Palermo nel 1761. È l'ultima immagine che ci sia pervenuta prima che avesse inizio nel 1781 la di­struzione della chiesa. Il suo notevole valore documen­tative è accresciuto anche dalla precisa datazione. D'altro canto anche questa stampa, come il dipinto del Museo Diocesano, ha il precipuo merito di rappre­sentare esclusivamente la chiesa, con l'intento di dame un'immagine fedele. Ad essa quindi vanno attribuite quelle qualità e quella natura che bo avuto modo di nlevare nella pittura. Per questa ultima anzi il carat­tere illustrativo di un'opera letteraria può essere sola­mente congetturato in relazione ai disegni che la pre­pararono, mentre per la stampa è un dato di fatto rncontrovertibile, essendo nata per accompagnare un testo letterario, cioè il Libro periegetico del Leanti. Quest'ultimo d 'altro canto s'inserisce, ad un livello divulgativo, nella serie di scritti eruditi sui monumenti siciliani dei quali abbiamo fatto un cenno limitatamente alla cattedrale palermitana. Il Leanti insomma senti il biso~no di dare un'immagine della massima chiesa pa­leroutana sotto l'evidente interesse che, sul piano scien­tifico, per la chiesa stessa era stato suscitato dall'Amato e dal Mongitore.

È da supporre che l'autore di questa incisione, il Bova, abbia conosciuto il dipinto del Museo diocesano, del quale riutilizzò, dal medesimo punto di vista, la generale scenografia. Operando in un campo più limi­tato (notevole è la differenza tra le dimensioni della tela e quelle dell'incisione), egli diede eviden~, nel fedele contesto dei volumi, a quelle linee generali e a queJie strutture figurali dei paramenti murari che caratteriz­~vano fondamentalmente la chiesa. Fu costretto per-

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tanto a sintetizzare o ad eliminare taluni dettagli deco­rativi. Ma la sua sintesi non comportò quel pesante travisamento della realtà che era abituale nelle raffigu­ra~ioni del tempo.

Il Bova, al pari dell'ignoto pittore della tela, oggetti ­viz~a la materia trattata. Inoltre usa, nell'acqu.is~ione del monumento, uno spirito filologico che lo induce a qualche ricompos.i~ione ideale, come quella che riguarda gli archi della navata maggiore esattamente indicati in numero di venti ed alternativamente ciechi ed aperti, o quella delle monofore delle cappelle tutte egualmente aperte, mentre sappiamo dal dtpinto che ~ tampoJ?~menti dei vani luce presentavano qualche trregolar1ta.

In vero, nel lavoro di recupero della immagine della cattedrale palermitana quale era prima del 178r, oc­corre tener sott'occhio assieme questi due documenti icono~rafici che evidentemente st integrano. Pertanto nella illustraùone della stampa del Leanti non rileverò tutto ciò che essa ha in comune con il dipinto, giacché per essa vale il discorso precedentemente fatto, ma rileverò le differen~e. Queste sono di due specie: una prima dovuta ad una diversa trascr~ione dei dati offerti dal monumento ed una seconda dovuta al suo diverso stato tra le due letture a distanu di tempo.

Nella seconda specie rientrano le notevoli trasforma­rioni della pia~4a dovute all'arricchimento del suo ap­parato scultoreo e il fantasioso aggiornamento al gusto settecentesco della edicola campanaria sulla torre occi­dentale. La piazu ha, tra i Fiedistalli delle statue, la balaustrata marmorea che vi era stata posta, in luogo dei rustici muretti, nel 176o; ha in centro la nuova, già ricordata, " macchina , scultorea di S. Rosalia, opera di Vincen~o Vitaliano, eretta nel 1744, e ai lati due fontane gemelle; delle quali una è presumibilmente quella dei Tre Vecchioni gtà descritta.

Le. differen~e della prima specie, queJie cioè dovute ad una diversa trascruione dei dati del monumento, sono tutt'altro che rilevanti e ciò depone a favore delJa attendibilità delle due rappresen~ioni. Tuttavia esi­stono e vanno rilevate, tralasciando ovviamente quelle che riguardano parti della chiesa ancor oggi esistenti, quali ad esempio il corpo tesoro-antisagrestia sensibil­mente diverso nelle due opere. Nei muri di prospetto delJe navate si noti, nella stampa del Leaoti, la diversa annotazione delle ghiere degli archi della nave mag­giore rispetto a quelle della nave minore: le prime sono doppie, come è tuttavia riscontrabile nella realtà, le altre invece semplici. Nel dipinto viceversa i due ordini di archi hanno la medesima conformazione. Ancora: nella stampa del Leanti sembra che le arcate della nave ma~giore abbiano delle colonnine anniccbiate agli spi­goli dei piedrjtti, quelle della nave minore banno invece arcate lisce in tutto il loro sviluppo. Nel dipinto non esiste differenza tra i due ordini di arcate.

Di grande interesse sono, in entrambe le opere, i dati per la lettura di quelle parti del santuario oggi scomparse. La parte alta del coro differisce solamente per il diverso numero delle arcate cieche che nel di­pinto sono, esclusa la semiarcata angolare, otto e nella stampa sono appena cin~ue. L'ala destra del titolo ha, nel su.o prospetto meridJonale verso la pia~za, in en­trambe fe figurazioni, quattro arcate che nel dipinto sono, come abbiamo avuto modo di rilevare, mano­messe e, in parte, tamponate, e nella stampa appaiono viceversa integre. Poiché sappiamo dall'Amato, come

..

si è detto, che le manomissioni esistevano e sono esi­stite fino a pochi anni addietro, n 7) è evidente il fatto che il Bova effettuò un ideale ripristino.

Della medesima ala destra del titolo merita un esame più attento la facciata occidentale, quella su cui s'in­nestava la navata laterale. Nel dipinto questa navata, con evidente errore prospettico, è tutta schiacciata contro il muro della nave centrale; inoltre presenta una sola arcata, in parte tam(>Onata, del tutto uguale a quella del prospetto meridionale. Nella stampa invece è ben visibile prospetticamente l'innesto della navata destra nel titolo ed inoltre sono segnati ben quattro vani di diversa foggia: uno centrale circolare, due ret­tangolari ai lati ed altri due accostati in basso. Sap­piamo dall'Amato che io questo muro erano due fine­stre, più alte che larghe, al di sopra delle quali era una finestra circolare. n 8) Nella stampa del Leanti si vedono in basso le due monofore accostate e su di esse la finestra circolare. Resta indecifrabile la presenza dei due vani rettangolari ai lati della finestra circolare, dei quali non v'è cenno alcuno nella pur accurata descri­zione dell'Amato.

Infine è notevole, nella stampa del Leanti, l'annota­~ione del tetto dell'ala destra del titolo; esso è a doppio spiovente e sorretto evidentemente da un. sistema di capriate lignee che sappiamo dall'Amato n9) sostene­vano all'interno un soffitto ligneo cassettonato.

9 - Rilievo planimetrico tardo-settecentesco della catte­drale.

Esso fu fatto in un anno imprecisato, certamente di poco anteriore all'inizio dei lavori di trasformazione del duomo. Si tratta di un pnde disegno, già con­servato presso il Museo DaZ~Onale di Palermo, ed in atto irreperibile.

Ne diede per primo notizia il Di Marzo nel x88o, quando era m possesso degli ingegneri G. Battista e Francesco Palaz~otto, ai quali era pervenuto dal loro antenato Emanuele Palaz40tto autore del gruppo di campanili " in stile , sulla torre meridionale (1840-44). Il Di Marzo ne pubblicò allora una riduzione fotogra­fica ridisegnata dal Terri e corredata da una scala metrica. uo) Recentemente è stato ridisegnato e pub­blicato dallo Zanca. tar) Qua viene riprodotto in questa ultima trascr~ione che risale al 1942 (fig. 2).

Si tratta di un rilievo preciso e fondamentale per oçni studio sulla cattedrale palermitana. Non risulta difficile enucleare l'originario edificio da tutte le ag­giunte posteriori che nella pianta sono accuratamente registrate. Il carattere obiettivo di questo docume.nto grafico rende superfiuo qualsiasi commento esplicativo.

GIUSEPPE BELLAFIORE

t) G. ~lU.LAFIORE, Sulla datazione della cattedrale di Palermo, in Palladto, N. S., a. XVIII, I-IV, Roma r968, pp. 42-46.

2) Sulla storia delle manomissioni tardo-settecentesche della cattedrale, v. N. BASll.l!, lA cattedrale di Palumo: l'opera di P. Fuga e la llllrità sulla distruzione della tribuna di Antonillo Gagini, Firenze 1926.

3) R. Pll!RO, Sicilia sacra, Palermo 1733, tomo I, p. n 1. 4) A. MoNGITORB, Bullae, privilegia et in.strumuua panDrmi­

tanae metropo/itanae ecclesiae {1/ustrata, Panormi 17341 pp. 53-55·. A. GAROFALO, Tabularium regiae ac imperialis cape/lae D. Petn in regio panormitano palatio Panormi, Pa.lermo 1835, P· 39·

5) A. MONGITORE, Bul/ae, cit., p. 54· 6) A. ENGEL, Recherches sur la numism.atil]!lll et la sigillographie

des Norm.ands de Sidle et d'Jta/ie, Paris 1882, p. 1o8.

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7) N. BASILE, La cupola immaginaria della cattedrale di Pa­lmna, Pa.lumo 1935· Si tratta di uno scritto con il quale lo scru­poloso autore contrastò le pretese del soprintendente ai monu­menti del tempo, F. Va.Jenti, che progettava di costruire una cupo­la emisferica suJla cattedrale palennitaru~.

8) Si veda =logamente il si2illo della chiesa di Monreale, in G. L . LELLO, Historia della crnesa di M onreale, Roma 1596. dove la basilica raffigurata è del rutto diversa da queJla reale.

g) 11 dipinto aJ)partiene ancor oggi aJla chiesa palermitana d1 S. Venera della Compagnia della Pat'e.

ro) 11 dipinto è attualmente in deposito presso il Museo dio­cesano di Palermo. Nel recente opuscolo, Resrauri di opere d'arte mobili ed affreschi (rQ65-rg6g), a cura della Soprimendetl%:1 alle Gallerie délla Sicifìa-, Palermo 1972, p. 8, la tavola è attribui ta a G. Albina deuo il Sozzo.

11) G. M. AMATO, De Principe Tempio Panormitano, Panormi 1728< pp. 102, 184, 370.

121 A. MoNGITOR.E, Storia sacra di tulle le chiese, conventi, monasteri, ospedali ed altri luoghi pii della ciad di Palermo, vol. I, La cattedrale di Palermo, manoscritto nella Biblioteca comunale di Palermo ai segni Qq E 3, pp. 124-1a5.

13) A. ZANCA, La cattedrale di Palermo, Palermo 1952, p. 82. 14) G. BE1.1.AFIORE, Dimensione urbana della catcedrale di Pa­

lermo, in Annali del Liuo G. Garibaldi di Palermo, 3-4, Palermo 1966-67, pp. a29-242·

15) Della distrutta Porta Nuova, antecedente queJla auuale1 v. una descrizione in G. GIARDINA, Le antiche_por_te della citta di Palmna non piiJ esistenti, Palermo 1732, pp. 68-0g. L'allegato disegno cl mostra quella porta in una !orma assai simile a quella raffigurata nel dipinto.

r6) Per la cartografia palermitana, v. R. LA DuCA, Cartografia della ciUd di Palermo dalle origini al 1860, Palermo 196a.

17) G. BELLAFIORE, La Maniera italiana in Sicilia, Palermo 1963. pp. 22-23, 37·

18 R. LA DuCA, Cartografia, cit., pp. 33 e 55· 19 G. BEI.LAFIORE, Dimensione urbana.!. cit., pp. 71 e 88. 20 A. MoNGITORE, La cattedrale di Palermo, cit., p. 569. 21 G. M. AMATO, De Principe Tempio, cit., p. 386. a2 G. M. AMATo, De Principe Tempio, cit., p. 357· 23 Questa stampa è stata pubblicata per la prima volta in­

tegralmente nel volume di G. BELl.AFJoR.E, Idea di Palermo barocca, Palermo 1971, tav. VII.

24) G. M. AMATo, De Principe Templo, cit., p. 1o6. A. M ON­GITOR.E, La cattedrale di Palermo, cit., p. 147·

25i G. M. AMATo, De Principe Tempio, c1t., p. 94· a6 N. BASILB, lA cattedrale di Palermo, cit., p. 148.

. 27 È q_uesta l'~~ parte ?riginale non investita dai pesanti rifaomenu restaurauvr recenu.

a8) Sulla fog~ dJ questo soffitto !igneo dell'antititolo, v. G. M. AMATo, De Principe Tempio, cit., pp. 113, 149, 167, 185, ago, 293, e A. MoNaiTORB, La cattedrale di Palermo, cit., p. 16o.

29) F. A. MAIA, Isola di Sicilia passeggiata, manoscritto nella Biblioteca comunale di Palermo ai segni Qq D 87, cap. 28, p. 379·

30) F. MONTALBO, Noticias Funebres, eit. nel testo, p. 53· 31) G. M. AMATo, De Principe Tempio, cit., l?· ro8. A. MoN­

GITORI!, La cattedrale dl Palermo, cit., dà la m1sura del lato di base in palmi 5 (cm. 127,8) a p. 128, ma a p. 1a9 afferma che tale misura è di palmi 5 e mezzo (cm. 142). Egli a p. 1a9 13Scia in bianco l'indicazione dell'altezza; evidentemente si ripromeueva di controllare questo dato prima di dare alle stam('e il manoscritto.

32) F. A. MArA, Iscla di Sicilia passeggiata, at., p. 379: "zoc­colo di pietra d'intaglio: oggi incrostati di nostra pietra di Bil­liemi ,.

33~ G. M. AMATO, De Principe Tempio, cit., p. 104. 34 A. MoNGITOR.E, La cattedrale di Palermo, cit., . 130. 35 F. MONTALBO, Noticias Funebres, cit., p. 53: • ... Jlez arcos,

cuyo cJaro es de veyntidos palmos ... ,. 3iP. MoNTALBo, Noticias Funebres, cit., pp. 92 e 94· 37 G. M. AMATo, De Principe Tempio, cit., pp. 105 e 135· 38 T. FAZELLo, De rebus siculis, Palermo 156o, p. 175. 39 Di questi gradini è una precisa descrizione in G . M. AMA-

To, Pnncipe Tempio, cit., pp. 1~5, 144, rso, e in A. MoNGI-TOR.El La couedrale di Palermo, crt., Pf.· 15a, 157, 162.

401 ANONIMO (ma G. M. FORTONJO , Descrizione del trionfo fatto in Palermo celebrandosi a 15 luglio di quest'anno 1652/'in­venzione di S . Rosolia, Palermo t65a, p. 8: "Siegue poscia il! coro, di forma quasi ovata, nei lati del quale s'nlzano a sostenere l'immensa cupola (che è ... lavorata mirabilmente) quattro gran pilastroni.:: J''

41~ A. MONCtTOR.E, La cattedrale di Palermo, cit., p. 152. 42 G. M. AMATo, De Principe Tempio, cit., p. 135· 43 G. M. AMATO, De Principe Tempio, cit., pp. 157-159, ri­

porta il bando dell'u a11osto 1716 del vicerè conte Annibale Maffei che vietava l'erezione di " macchine, festive addosso al retablo gaginesco; il bando fu riconfermato dal vioe.rè Lavie­fuille il 22 gennaio 1748 (M escolanze de.fla cattedrale palermitana,

IIO

manoscritti presso la Biblioteca comunale d1 Palermo ai segni Qq E 49, p. 1). A. MoNGITOR.E, La cattedrale di Palermo, cit., p. 131: "Ulumamente (il pavimento musivo) è stato deformato aalle maccbi.ne erette in vari tempi per li sontuosi funerali dei Re, Regine, e Arcivesco'!l.J e da sepolcri, che annualmente si fanno il Giovedl Santo. vero è che la cura dei Ministri della Chiesa averebbe potuto raffrenare la licenza e l 'ignoranza defili artefici, sol intenti al loro commodo senza curare la defomutl\ che irreparabilmente cagionava ,. V. anche I. A. DE C10ccms, Sacrat regiae visitationes per Siciliam, Palermo 1836, p. 14, e N- BASILE, La cauedrale di Palermo1 cic., pp. xo-13.

44) Sotto il portico meridionale ael duomo è una iscrizione che ricorda la consacrazione della chiesa il zo agosto 1536, dopo che essa era stata imbiancata ed intonacata di calce. V. anche G. M. AMATO, De Principe Tempio, cit., pp. 81 e 104, e A. MON­GITOR.E, La cattedrale dt Palemw, cic., p. 107.

45) Riportato da G. M . AMATO, De Principe Tempio, cit., p. 104, e da A. M oNGJTORE, La calledrale di Palermo, cic., p. 146.

46) V. AURlA, Dian·o delle cose occorse nella ciud di Palermo e nel regno di Sicilia, in Biblioteca storica e letteraria di Sicilia, vol. V, p. 35·

47) G . M. AMATo, De Principe Tempio, cit., pp. 94, 104-106. 48) A. MONGITOR.E, La catcedrale di Palermo, cit., pp. 130,

146, 147· 40) G. M. AMATo, De Principe Tempio, cit., pp. 105-1o6 e

A. MONOITOR.E, La cattedrale di Palerm.o, cìt., pp. 14~147, ba­sandosi su di una resr1monianza dJ A. MArA, Sicilia passeggiata, cit., p. 379 r. e v., nella quale si parla di quattro colonne, due di marmo e due di pomdo, sostengono che tall finestre fossero tri­fore. Secondo l'Amato le due colonne di marmo erano ai lati, quelle di porfido in mezzo. U Mongitore aggiunge al suo scritto anche un piccolo disegno semplificativo di una trifora. La que­stione sollevata dall'Amato e dal Mongitore che anche le arcate cieche comprese tra le finestre raochìudessero in origine delle finestre bifore, e che fossero stare chiuse dal medesimo arcivescovo Martino de Leon, non interessa questo studio.

50) G. M. AMATo, De Principe Tempio, cit., Pl'· 94 e u6. 51) A. CASALETTI, Le pompe trionfali celebrate in Palermo, Pa­

lermo x667. p. 12. G. M. AMATO, De Principe Tempio, cic., p. to6. A. MONOITOR.E, La cattedrale di Palermo, cit., p. 147·

52) G. M. AMATO, De Principe Tempio, cit., p. 104, trae la notizia da una cronaca manoscntta relativa al collel!io gesuitico di Trapani di tal Rirla, nella quale era scritto che il Bonamico era "venuto prìma in Palermo per il disegno di quella madre­chiesa, e poi in Trapani,. Il medesimo architetto, aggiunge l 'Amato, fece la cupola della cappeJla di S. Rosalia, nella navata sinistra, che era stata eretta nel r626 su progetto di Mariano Smiriglio. V. anche F. BARONlO MANFREDI, De Maìestate Pa­normitana, Panormi 1630, libro 3°, cap. a•, p. 104.

53) A. MoNGJTORE, La cattedrale d1 Palermo, cit., p. 304-54) G. M . AMATO, De Principe Tempio, ciL, p. 104. A. M oN­

GITORE, La cattedrale di Palermo, cit.1 p. 304. A. MONGITORJ!1 Diario palermitano, in Biblioteca stortca e letteraria di Sicilia, vol. VIII, p. 86: " In quest'anno (1709) l'arcivescovo di Pa­lermo fr. d. Giuseppe Ga.Sch copri l 'ali della cattedrale di pietra a volta, che prima era.n coperte di legno, ben lavorato e dipinro ma per l'anuchiù guasto. Vi spese scudi 1440, per atto in notar Antonino Fede a 28 febbraio 1710,.

55) M . DEL GnrorCB, Palermo magnifico, ci t. nel testo, p. 76 ss., nel é!escrivere con vertiginosa prosa l'apparato della chiesa, tesse un caldo elogio dell'Amato e fa talune singolari dissertaZioni sull'architettura. L'ultimo apparato dell'Amato fu quello del 1714, come afferma P. VtTALE, S. Rosalia chiamata a coronare /e preropative dell'animo di Vittoria Amedeo re d{ Sicilia nella solennita dell'anno 1713 ... , Palermo 1714, p. 23·

56) M . DEL Grumes, Palermo magnifico, cit., p. 93· 57) G. M. POLIZ7.1, Gli Horci H esperidi, cit. nel testo,

PP· 25 e 35· 58) I. FALcom, l trionfi del Tebro, cit. nel resto, p. 5· 59) Notevole la " fecondità delle idee , di questo architetto

nella continua invenzione di nuovi apparati festivi, messa in rilievo nel testo illustrato dalla stampa. Dice P. VITALE, Il tem­pio della pace, cit. nel testo, p. 39: ''A tal Architettura s'adatta ogn'anno per la soUennitl\ deUa Santa, sempre variato e nuovo apparato, e comparisce non più veduta l 'inventione del dise~no. Sopra di che non deve cadere daJla memoria e dalla meravtglia la fecondità dell'Idee nell'ing~no del Dottor D. Paolo Amato celebre e virtuosissimo lnge,:n•ere deJla Citù, il quale per lo spazio non interrotto d'anru trentacinque ha dato sempre al Duomo una nuova e pomposa veduta, ed ogn'anno ba su~rato se stesso nella novità più magnifica dell'Apparato. In quest Anno però ... sembra che abbi toccato le mete del non più oltre. .. ,.

6o) P. VrTALE, Il tempio della pace, cit., p. 44· 61) A. INvEaES, Annali della felice cittd d1 Palermo, prima se­

dia, corona del re e capo del regno di Sicilia, tomo III, Palermo r65r, p. 449· G. M. AMATo, De Principe Templo, cit., p. 1o8.

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~ - P<lltrmo, MaRO drouw.no - S. Convers.t:JOnt ~acoLln)

5 - Palermo, Cluao dci SS Cmma c DamU111D - Rtngr~ummto dA P.tltrmo ~r u hbtn:Jonr .Sdi.J peste dd 1575 (p;uttc:oi.Jrr)

6 - M. Fkmma Pun~ w P.Uermo. c. r~So (puucowt)

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1· ~ - A . Cr;ano: Il puno del P.1Ll.:.:o, mClSIOnt (1686)

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• r ~ ../'(,

o - Prospeuo pnnci~t ddb autdnlt d! Palmno (1686)

11 - A. Cìr.tDO: P.uucobn dd ~ru.lllO (1686) 12 - Oenaaho ddb IUV.lla ctnlralt (r686)

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1~, 14 - F. C1cht. Due de1ugù deii.J IU\'.IU ctnrr.ale (1711 t 1714)

15 - F. Cichè: Dtu.aaho dtllil IU\':11.1 cen1ule (1711) r6 - A. Bov;a: Dtll:~gho delb n;JV;at:~ ctnlrale (1739)

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17 - A. Bov.t: Catredròllt dJ Palermo, LDitrno (l ']6o)

18- F. Cich~: La p1.1%:a ddl.t cmedrale d1 P.tltrmodunott l'at­to di fede del 1724

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19- F. Ctch~:: Proccsssone in ()('C.lS!Ont drii'.1HO dt fede del 1724 (partacobre)

:zo - A. Bo\·.1 : La auwnle da P.lltrmo (1-,61)

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62~ G. M. AMATO, De Principe Tempio, cit., p. 1o8. 63 G. M. Al.u.To, De Principe Tempio, cit., p. 104. ~ A. Mo.NCITOR.E, La cartedrale d1 Palermo, cit., p. 130. 65 G. M. AMATO, De Principe Tempio, cit., p. 1o8. 66 G. M. AMATo, De Principe Tempio, cit., p. 104. 67 A. ZANCA, La cattedra/t di Palermo, cit., p. 22. 68) G. M. AMATO, De Principe Tempio, cit., p. 1o8. 6g) ANONIMO (ma G. M. POLt7.ZI), u Aquile confederate con­

tro i nemici della religione cristiana poste dall'aquila panormitana souo la protettione della potentissima patrono S. Rosolia nell'anno 1684, Palermo 1684, p. 15.

70) G. M. AMATO, De Principe Tempio, cit., p. 1o8. 71) In talune fotografie deJI'inizio di questo secolo sono visi­

bill degli infissi di legno e vetro che ernno1 assai verisimilmente, quelli stessi del 1658, tuttavia assai rlf:~tu e riparati.

72) G. M. AMAro, De Principe Tempio, cit.1 p. to8. 73) ANoNIMo (ma G. CAFORA), L'Ester palermitana S. Ro­

saUa applaudita con giubilo universale della Sicilia nel magnifico trionfo dì Conca d'oro in quest'anno 1728 ... , Palermo 1728, p. 6o, afferma che l'apparato del duomo del 1728 era la quindicesima invenzione di Andrea Palma e pertanto la prima rìsaliva al T715.

74) G. M. AMATO, De Principe Tempio, clt., p. 104. 75) A. lNvEcES, Annali, cit., tomo III, p. 451. F. BARomo E

MANFREnt, De maiestare panormirana, Panormi 1630, libro I, p. 181: " Duplex organum extat, cu1 piane non modo Sicilia tota, sed ne Italia quidem universa habet quid simile. Opus organarij illius eminentissimi Raffaelis la Valle Panormitani ci­vis u:. G. M. Al.u.To, De Principe Tempio, cir. , pp. 123-126. A. MONCtTORll, La cattedrale dj Palermo, cit., pp. 143-145.

76) O. PAROTA, Relotione delle feste fotte in Palermo nel 1625 per lo trionfo delle gloriose reliquie d1 S. Rosalia, Palermo 165r.t.P· 7· n> G . M. AMATO, De Pnncipe Tempio, cit., p. 100. A. MON· CITORE, La cattedrale di Palermo, cit., p. 147·

78) G. M. Al.u.To, De Prùtcipe Tempio, at., p. 289. 79) G. M. AMATo, De Principe Tempio, cit., p. 135· A. MoN­

CITORE, La cattedrale di Palermo, ciL, p. 1:;2. 8o) G. M. Al4ATo1 De Principe Tempio, at., p. t35· A. MoN­

CtTORE, La catttdrate di Palermo, cit., p. 152. Sulla esistenza dì queste colonne, oltre alla cit. testimoruanza del FazeUo, v. A. INVI!GES, Annali, clt., tomo III, p. l$50·

81) G. M. AMATO, De Principe Tempio, cit., p. 135· 82) E. PERIUcoNE, Gli stalli corali della cattedrale dl Palermo,

Palermo 1928, p. 13; il documento è presso l'Archivio di Stato, registri del Protonotaro del regno di S1cilia, registro n. 71, c. 37, v. a. 38, anno 1472-73.

83) G. D1 MARzo, l GaJ/ini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI, Palermo 188o-18S3, n, p. 25_2, docum. CCII.

84) G. M. AMATo, De Princtpe Tempio, cit., pp. 144-146: " In 2 pllis jUJtta chorum erecu 2 throni: ad latus dexterum Regius pal. 5 altus, Pontificali sublimior ... thronus candido to­tus ex marmore possidet gradus 5 marmoreos ... ad throni latera constitutae tabellae 2 marmoreae, o~e canceJlato fulgentes: ter­gum musivum rotundis porpbyrencis lapidibus coruscat supra Ruos angeli 2 vol.antes auream in centro coronam continent li­liatam ex.inde caelum stellis, rosisque au.reis varìatum, opere retic~to; inde epistylium, ubi stantes angeli 6 tenent scutula 3 ... alterum sequitur ep.istyHum in quo lemma: Prima sedes corona regis et regni caput; mole tympanum ... ,. "Ex adverso regii solii Antistitum thronus pal. 4 altus, illo bumilior, candido coilfectus marmore, possidens gradus 5--· ad throni latera appositae colu­mellae marmoreae; tergum marmoreum arcu.atum ... in suprema (parte) caelum stellis, rosisque aureis, opere reticulato, conspi­cuum: caelo imminet epistylium ... elCinde alterum epistylium ... mox tympanum ... ,.

85) A. MoNCITORE, La cattedrale di Palermo, cit., pp. 157 e 159: "Il solio reale ... ha cinque scalini di marmo; alto dal pavi­mento 5 palmi. Nei suoi fianchi gli fan r!_paro due gran tavole di marmo, lavorate a craticola lunghe palnu 10 alte 4- La spalliera è messa a mosaico, con podidi e diaspri... La piegatura della spalliera che si piega a forma di rosello è disposta (a) forma dì cielo tempestato di stelle e rose d'oro. Sopra detta copertura s'alza a dar finimento al solio un timpano con due cornici, in mezzo a quali in un:! fascia si legge a lettere ben grandi Prima sedes carona regis et regni caput. .. In alto timpano a triangolo ... ,. " ... il solio arcivescovale pur tutto di marmo; ha 5 scalini di marmo; alto dal pavimento palmi 4· Nel mezzo ha la sede arci­vescovale; dall'uno e dall'altro fianco vien chiuS:! da balaustrate di marmo alte ~ palmi. Il dorsale è pure di marmi con vari la­vori ... Indi si ptega il tosello in forma di cieJo infiorato di steUe e rose d'oro; fra due cornici v'ha una fascia in cui sta scritto a lettere grandi Trinacriae prima metropolis sedes ... NeJ timpano superiore son tre scudi ... TetiilÌrul questo in un timpano trian­golare. .. ,.

86) Nel rifacimento dei troni seguito alle manomissioni tardo­settecentesche queste due balaustrate furono ricomposte ai due lati del trono regio.

87) G. M. FORTUNIO, Descrizione del tn'onfo, cit., p. 9· A. MON­CITORE, La cattedrale di Palermo, cir., p. 152.

88) G. Dr MAazo, l Gagini e la sculrura in Sicilia nei secoli XV e XVI, Palermo t88o, I, pp. 215~51.

89) Vedile in R. LA DuCA, La cartografia, cit.. 90) Altra immagine prospettica della città è nel frontespizio

del medesimo volume del Del Giudice; ma in essa la cattedrale non ha un particolare rilievo.

91) G. BEllAFloBE, lA Maniera italiana, cit., p. 88. 92) Ebbe due ristampe, con qualche aggiornamento, nel 1783

e nel t79r. 93) Biblioteca storica e lmeraria di Sicilia, Il serie, voli. III,

IV e V. La pianta è stata r~entemente pubblicata in G. BELLA­FlORE, Idea di Palermo barocca, cit., tav. ru.

94~ G. BEU.AFtORE, La Maniera italiana, cit., passirn. 95 A. MoNCITORB, L'atto pubblico, eit. nel testo, p. t . 96 V. aggiunte ad A. MoNCITORE, DiarioJ. cit., in Bto1ioteca

storica e letteraria, cit.1 vol. X, pp. 93--9+ v. anche una nota anonima aggiunta ad A. MoNCCTORl!, La cattedrale di Palermo, cit.1 p. 78. Il dipinto in questione è da accostare a tutta una sene dì vedute di Palermo realizzate da uno o più pittori paler­mitani nella prima metà del Sett~ento: due conservate nel Museo Pepoli di Trapani, e quattro nelle Galleria nazionale deJla Sicilia a Palermo. V. scheda di F. NEGRI ARNoLDr, in Boli. d'Arte, 1968, P· 161.

97) V. la prim:! notizia in G. A. FlLOTEO oscu OMODllt, De­scrizione della Sr'cilia, in Biblioteca storica e letteraria di Sicìlio, vol. XXIV, p. 200, opera serina tra il 1556 e il I557· V. anche N. BASILE, Palermo feliclssi"fTU!, J?alermo 1938~ vol. Ili, pp. 73~·

gS) G. M. AMATo, De Pnnape Tempio, or., p. 394· A. MON-crroRE, La cattedrale di Palermo, cit., pp. 84-85.

99) G. M. AMATO, De Principe Templo, cit., p. 394· 100~ V. nota 43· 101 A. MoNGITORE, La cattedrale di Palermo, cic., p. 73· 102 M. DEL GIUDICE, Descrizione del rea/ tempio e monastero

di S. Maria la Nuova di Monreale, Palermo 1702. 103) P. RANZANo, Opusculum de auctore, primordiis e1 progrwu

/tlicis urbis PonDrmi (serino nel 1470), Panormi 1727 (a cura di A. Mongitore), p. 48, ed anche in .Raccolto di opuscoli di autori siciliani, Palermo 1767, tomo IX, pp. 1--56. T. FAZ.ELLo, De rebus siculis, cit., p. 1']6. A. INvl!CES, Annali, cit., tomo U, P-47 e tomo III, p. 451. G. M. AMATO, De Principe Tempio, cit., pp. 210 e 386. A. MoNCITORE, La cattedrale di Palermo, cit., p . 75· G. BELLAFJORE, La Maniera italiano1 cit., p. 17.

104) A. MoNcrrou, La cattedrale di Palermo, cit., p. 74· 105) V. AORIA, Diario, cit., in Biblioteca storica e letteraria,

cit., vol. V, l'· ~5, e relnuva nota a cura di G. Di Marzo. G. M. Ali.ATO, De Pnncipe Tempio, cit., pp. 386-387. A. MONCITOR.E, lA cotudrale di Palermo, cit., pp. -,6Jn.

1o6) Vll..LABtANCA (P. M. EMANUELE E GAErANI, MARCHl!SI! DI VILLABIANCA)f Diario, in Biblioteca storica e letteraria di Si­cilia, vol. XV11 , pp. 39 e 69. Nel t?6o furono completati i lati nord-orientale e sud-occidentale.

107) G. M. AMATo, De PrinciP,e Tempio, cit., p. 2$6: "[Gian­nettino Doria] in orientali palaui (arcivescovile] faCie suis exci­tavit sumptibUs marmorea 6 podia, tesser.is illustrata,; p. 286: [Pedro Martinez Rubio] ad Jaevum [cioè meridionale] sui pa­Jatii latus erigens 6 marmorea podia, secundum undequaque per­fecit ordinem ,.

1o8) G. M. AMATO, Dt P~cipe: Templo, ci~., p. 398. H •

109) G. M. AMATO, De Pnncrpe Tempio, ac., p. 398: DI-scoperto in apice (della torre) plures emicant pinnae ad instar araum, supra quas in parte orie.ntali, 1714 extructi arcus lapidei pal. 20 alu, aere campana tegeotes; aquilonari in parte alteram pro maximo aere campano turrim ... ,. A. MoNcrroR.E, La cat­tedrale di Palermo, cit., p. 637: " In 9.uesto campanile vi son ro campane, la maggiore è in posto piu alto delle altre; stava sotto una cupola sostenuta da quattro ben (X?Sti pilastroni, e si solleva in alto a focma piramidale: al di fuor1 è ricoperta di mat­toni che chlaman valemiani, disposti a formare per og.ni lato una aquila con due teste, arme della chiesa, a color d'oro in campo verde; fu fatta dall'arcivescovo Aedo, e perfezionata dal Card. Doria,.

no) G. M. AMATo, De Principe Tempio, cir., p. 398: H Orien­tali in facie solarii Rubius Archiep. 1659, reserans januam et podium, voluit suo a palatio missam aspicere in aro maxima celebratam ,. A. MONGITOBE, lA cattedrale di Palermo, cit., pp. 842-843: " [L'arcivescovo Rubio) aprì la porta di riscontro alla porta maggiore deJla canedrale: a CUI si scende con una scala <lal secondo ordine di esso Arcivescovado ... Sopra essa porta si fece un gran balcone con ferrata da cui si vede buona pane della chiesa,.

1 u) G. M. AMATO, De Principe Tempio, cit., p. 101, dà que­sta descrizione dei tre prospetti che è bene tenere presente nella lettura della stampa: " ... exhibet ... tres ordines, sacellorum, navis minoris ac mediae, coruscantes extitio opere, ' basso ri-

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Page 28: L. Mél. I, p. 8). Zllrss, Les · palauo reale e il Capo. Fra gli edifici spicca la catte drale. 94 La tavola è, al fine del nostro studio, particolarmente preziosa per due motivi:

lievo ', columnis ìnoumeris ex marmore Pan. Tusculo, Thoe­baìco, Porphyretico, pinnisque • medi ', arcium instar coronatos. lpsae sacellorum fenestrae binis ex Pan. lapide, majoris navis columnis 2 irradìant marmoJ'eis ". n2~ G. M. AMATo, De Principe Tempio, cit., p. 289. 113 G. M. A:Nu.To, De Principe Tem lo, c:it., p. 105. n4 A. MoNGITORE, La cattedrale pdermìcana, cit., pp. r46-

14f~5) G. M. AMATO, De Principe Tempio, cit., p. 299. n6) G. M. AMATo, De Principe Tempio, cit., p. 101, afferma

che nel prospetto meridionale della chiesa, dove mancava la de­corazione a rilievo, era stato dato uno strato di stucco.

117) G. U. AAAT~L .. L'architettura arabo-normanna e il rina­scimento in Sicilia1 Milano 1914, p. 65, riporta una fotografia del prospetto memlionale dell'ala destra del titolo anteriore agli ultimi r'estauri.

u8) G. M. AMJJo, De Principe Tempio, cit., p. 299. 119) G. M. AMATO, De Principe Tempio, cit., pp. II3, 186,

293· 120) G. DI MARzo, l Gagini, cil.., vol. I, pp. 216-217 e vol.

Il, tav. X, I. 121) A. ZANCA, La cattedrale di Palermo, cit., p. 17.

UN'OPERA PERDUTA DI VINCENZO DANTI

I L NUovo interesse con il quale la critica recente riconsidera la personalità di Vincenzo Danti, sia

come scultore, sia come trattatista, •> ci induce a con­tribuire a questa nuova valutazione dell'artista con una nota su di uno scomparso lavoro, uno dei non molti eseguiti pe.r la città natale.

Nel 1515 l'Arte della Mercanzia di Perugia otteneva dal Capttolo della Cattedrale di S. Lorenzo la Cappella di S. Bernardino nello stesso Duomo.

Nel 1474 la decorazione di tale cappella era stata affidata ad Agostino di Duccio, ma forse i lavori non dovettero mai essere stati portati a termine, poiché non sembra che sia stata allora officiata - non lo era certamente nel 1483, nove anni dopo l'allocazione al maestro fiorentino - e nel 1515, quando venne con­cessa alla Mercanzia, era " abbietta, et malamente tra­slata et demolita ,. 2)

Soltanto più dl quarant'anni più tardl, 1'8 novembre 1559, l'architetto e scultore Lodovico Scalza da Orvieto - fratello del più noto I ppolito - ed il maestro mu­ratore Giovanni di Domenico da Firenze si impegna­vano con l'Arte della Mercanzia ad eseguire una grande mostra d'altare, secondo un disegno fornito dai due; l'architettura doveva essere realizzata tutta in stucco ad eccezione della parte più bassa, dall'altare sino a terra, che doveva invece essere in travertinOj la mostra doveva avere un'altezza di circa 32 piedi perugini (m. n,68) ed essere larga quanto il vano della cappella; il pre.zzo stabilito era di 525 scudi; il materiale di ri­sulta delle precedenti strutture doveva rimanere di proprietà det due a.rtisti, ad eccezione di una figura di S. Bernardino, appartenente evidentemente alla deco­razione agostinesca; ma questa scultura non è giunta sino a noi. 3)

I lavori dovettero tuttavia protarsi a lungo, poiché ancora nel 1567 l'Arte • • deve dare scudi trenta, pagati a Maestro Lodovico Scultore, et per lui a Vincentio di Giulio dl Dante per resto delle statue et dell'opera fatta a detta Cappella ,. 4) D Panti partecipò quindi al lavoro con la esecuzione delle statue - che, come vedremo, erano in numero di tredici - e con altra " opera , , probabilmente nelle parti decorative, in collaborazione con to Scalza; in conseguenza il paga-

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mento, alquanto modesto, doveva essere la soluzione finale di un ben più consistente compenso. Né l'ese­cuzione dell'opera del Danti, per la sua ampiezza ed importanza, c1 sembra possa restringersi cronologica­mente al 1566, come annotato dal Venturi, 5J nessuna indicazione in tal senso essendo nel documento che pubblichiamo. U Danti dal 1557 era alla corte di Cosi­mo I, ma dovette mantenere frequenti contatti con la citt.ì natale: così nel '6I dirige i lavori di riparazione della Fontana Maggiore e ne ottiene in compenso una bottega al Campo Battaglia, chiaro segno di una sua attività artistica a Perugia, che appunto potrebbe com­prendere, negli anni dal '61 in poi, anche le statue per la Mercanzia; né sembra che l'episodio della statua etrusca dell'Arringatore, avvenuto nel '66, abbia in­terrotto questi contatti. 6)

Il grande altare della Cappe.lla di S. Bernardino ri­mase intatto sino quasi alla fine del Settecento, quando " per vieppiù decorare la nobiltà di questo quadro [la Deposizione del Barocctl e la chiesa nuovamente abbellita, stabili il Collegio della Mercanzia di far so­stituire all'antico altare di stucco il presente di scelti marmi. Si esegui il disegno dal giovane perugino ar­chitetto Giovanni Cerrini e il lavoro dal marmorario Innocenza Elisi da S. Ippolito nel 1796 e 97 ,. 7l

Della grande mostra c'è tuttavia fortunatamente ri­masto un accurato disegno in scala, settecentesco, 8> che qui si pubblica per la prima volta (fig. I) e che in basso reca la scritta: " Prospetto dell'Altare spet­tante al Nobil Colle~io della Mercanzia esistente nella Chiesa Cattedrale di S. Lorenzo di Perugia ideato ed in quanto alle Statue eseguito dall'Architetto e Scultore Vincenzio Dante e rapporto ai Festoni e Mascheroni mandati ad effetto da Ludovico Scalza nell'anno 1565 e da Vincenzo Ciofi disegnato prima della sua demoli­zione seguita nell'anno 1793,. Insieme alla scritta è la scala in piedi perugini, che indica come il comples­so avesse l'altez7;a di 36 piedi- quattro in più di quella indicata nell'impegno del 1559, e pertanto di m. 13,14 - e la larghe~a di 19 piedi, cioè di m. 6,g3.

Il progetto architettonico della mostra viene attri­buito dal Ciofi - un architetto perugino della fine del secolo XVIII - aUo stesso Danti; ma gli stretti legami con gli altari dei Magi e della Visitaz;ione nel Duomo di Orvieto sembrano invece confermare la paternità dello Scalz;a. Di grande interesse appaiono le tredici statue, anche se naturalmente il disegnatore settecen­tesco non ha potuto rendere gli effettivi valori plastici e stilistici delle sculture dantiane. I due Vescovi nelle nicchie in basso si richiamano evidentemente alla sta­tua di Giulio III, gettata dal Danti nel 1555, per Io slargarsi dei ricchi manti sulle ginocchia; la stessa impostazione delle due figure sovrastanti. Il disporsi bilanciato ed armonico dei sei nudi reggifestoni in alto ci sembra rappresenti la più complessa soluzione del genere per l'età manieristica; ma il Cristo portaban­diera sul fastigio riteniamo sia di eccezionale impor­tanza, poiché prelude a due opere del Giambologna: il marmoreo Cristo Risorto del Duomo di Lucca, del 1577-'79• e l'Angelo in bronzo del fastigio dell'altare della Capr,ella Salviati nel S. Marco di Firenze, ese­guito fra il 1579 e il 1589, già attribuito ad Adriano de Vries o a Hans Reichel, ma per il Pope-Hennessy opera autografa del Giambologna, che vi adatterebbe al tema religioso il tipo del celebre Mercurio del I s8o. 9)

Certamente non è da escludersi il contrario, suggeri­menti cioè dello scultore fiammingo all'a.rtista perugino

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