Jules-Verne-racconti Di Ieri e Di Domani

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Jules Verne

FRRITT-FLACC

Titolo originale dell’opera FRRITT-FLACC

(1884)

Traduzioni integrali dal francese di CARLA FRANGI

Prima edizione: 1984

Proprietà letteraria e artistica riservata - Printed in Italy © Copyright 1984 U. MURSIA & C.

2668/AC - U. MURSIA & C. - Milano - Via Tadino, 29

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PRESENTAZIONE

Questo brevissimo racconto, una specie di storia dell’orrore che tuttavia non è priva di un suo risvolto buffonesco, venne pubblicato nel 1884 e ripubblicato due anni dopo in appendice al romanzo Un biglietto della lotteria.

Indice

PRESENTAZIONE 3 Capitolo I 4 Capitolo II 5 Capitolo III 6 Capitolo IV 7 Capitolo V 9 Capitolo VI 11 Capitolo VII 13

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CAPITOLO I

FRRITT!... è il vento che si scatena. Flacc!... è la pioggia che cade a torrenti. Questa muggente bufera curva gli alberi della spiaggia volsiniana e

va a frangersi contro le montagne di Crimma. Lungo il litorale, alte scogliere sono rose continuamente dalle onde di quel vasto mare della Megalocride.

Frritt!... Flacc!... In fondo al porto si nasconde la cittadella di Luktrop. Alcune

centinaia di case, con miradores verdastri, che le difendono alla meglio dai venti provenienti dal largo. Quattro o cinque vie in salita, più burroni che strade, lastricate di ghiaia e ingombre di scorie che provengono dai coni eruttivi dello sfondo. Il vulcano non è lontano - il Vanglor. Durante il giorno, la pressione interna provoca la fuoruscita di vapori sulfurei. Durante la notte, a ondate successive, prorompono fiamme. Come un faro di una portata di centocinquanta kertse, il Vanglor segnala il porto di Luktrop alle imbarcazioni, felzane, verliche o balanze, che solcano le acque della Megalocride.

Dall'altra parte della città s'ammucchiano poche rovine dell'epoca crimmeriana. Inoltre, un sobborgo di stile arabo, una Casbah dalle mura bianche e dai tetti rotondi, terrazze consumate dal calore del sole. Gruppi di pietre cubiche sparsi a caso, simili a un mucchio di dadi da gioco con le punte smussate dall'azione corrosiva del tempo.

Tra le altre costruzioni si nota il Sei-Quattro, bizzarro edificio dal tetto quadrato, con sei finestre da una parte e quattro dall'altra.

Un campanile domina la città, il campanile quadrato di Santa Filfilene, con campane sospese nelle fenditure dei muri, che talvolta vengono scosse dall'uragano. Cattivo segno. Allora la paura si impadronisce del paese.

Questa è Luktrop. Bisogna aggiungere inoltre le abitazioni, delle capanne miserabili,

sparse nella campagna, in mezzo a ginestre e a brughiere, passim, come in Bretagna. Ma qui non siamo in Bretagna. Siamo forse in Francia? Non so. In Europa? Lo ignoro.

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In ogni caso non cercate Luktrop sulla carta - nemmeno nell'atlante dello Stieler.

CAPITOLO II

FROC!... Un colpo discreto fu battuto alla stretta porta del Sei-Quattro, che si apre sull'angolo sinistro della via Messagliere. È una casa delle più comode, se pure si può far uso a Luktrop di questa parola; una delle più ricche, se costituisce ricchezza guadagnare sì e no poche migliaia di fretzer.

Al « froc », rispose uno di quegli abbaiamenti selvaggi che sembrano quasi un urlo, come per esempio l'abbaiare d'un lupo. Poi una finestra a saliscendi si aprì sopra la porta del Sei-Quattro.

— Al diavolo gli importuni! — gridò una voce sgarbata e di cattivo umore.

Una fanciulla, tremante sotto la pioggia, avvolta in un lacero mantello, domanda se il dottor Trifulgas è in casa.

— C'è e non c'è; secondo! — Vengo per mio padre che muore! — Dove abita? — Dalla parte di Val Karniu, a quattro kertse da qui. — E si chiama?... — Vort Kartif.

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CAPITOLO III

UN UOMO austero questo dottor Trifulgas. Poco compassionevole, disposto a curare solo dietro pagamento anticipato. Il suo vecchio Hurzof - un incrocio di bulldog e di cane spagnolo — avrebbe avuto più cuore di lui. La casa del Sei-Quattro, inospitale per la povera gente, apriva la sua porta solo ai ricchi. Del resto, si pagava una tariffa: tanto per il tifo, come per una congestione, per una pericardite o per altre malattie che i medici inventano a dozzine. Ora, il pasticciere Vort Kartif era un poveraccio, che proveniva da una miserabile famiglia. Perché mai il dottor Trifulgas avrebbe dovuto scomodarsi, e in una notte simile per giunta?

— Solo l'avermi fatto alzare — mormorò tornando a letto — varrebbe già dieci fretzer!

Erano trascorsi solo dieci minuti, e il martello di ferro batteva di nuovo alla porta del Sei-Quattro.

Imprecando, il dottore si alzò di nuovo e si affacciò alla finestra. — Chi è? — gridò. — Sono la moglie di Vort Kartif. — Il pasticciere di Val Karniu? — Sì, e se vi rifiutate di venire, egli morrà! — Ebbene, rimarrete vedova! — Ecco venti fretzer... — Venti fretzer, per andare a Val Karniu, a quattro kertse da qui! — Per carità! — Al diavolo! E la finestra si richiuse. Venti fretzer! Un bel guadagno! Rischiare di

prendere un reuma o un indolenzimento per venti fretzer, specialmente quando, domani, ci attende a Kiltreno il ricco Edzingov, il gottoso, la cui gotta frutta cinquanta fretzer per visita!

Con questa gradevole prospettiva, il dottor Trifulgas si riaddormentò di un sonno più sodo di prima.

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CAPITOLO IV

FRRITT!... Flacc!... E poi, froc!... froc!... froc!... Alla raffica si aggiunsero, questa volta, tre colpi di martello battuti

con mano più ferma. Il dottore dormiva. Si risvegliò, ma di quale umore! Aprì la finestra e

l'uragano entrò come una scarica di mitraglia. — È per il pasticciere... — Ancora quel miserabile! — Sono sua madre! — Che la madre, la moglie e la figlia muoiano con lui!... — Ha avuto un attacco! — Che si difenda! — Abbiamo avuto un po' di denaro — riprese la vecchia, — un

acconto per la casa, che è venduta a... Dontrup sulla via Messagliere. Se non venite, mia nipote non avrà più padre, mia nuora perde il marito, ed io il figlio.

Era cosa terribile e pietosa insieme udire la voce di quella vecchia; pensare che il vento le faceva agghiacciare il sangue nelle vene, e la pioggia le bagnava le ossa sino al midollo.

— Un attacco, duecento fretzer! — rispose quel senza cuore di Trifulgas.

— Ne abbiamo appena centoventi! — Allora buonasera! E la finestra si chiuse di nuovo. Ma, pensandoci bene, centoventi fretzer per un'ora e mezzo di corsa,

per una visita di mezz'ora, significherebbero sessanta fretzer all'ora, un fretzer al minuto - guadagno non eccessivo ma tuttavia non disprezzabile.

Invece di tornare a letto, il dottore indossò l'abito di valvetro, calzò gli stivaloni da palude, si coprì col pastrano di lurtana, e dopo aver messo in testa il cappellaccio e aver infilato i guantoni, lasciò accesa la lampada, accanto al suo Codice, aperto alla pagina 197, e spinta la porta del Sei-Quattro, si fermò sulla soglia.

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La vecchia lo aspettava, appoggiata al bastone, con l'aspetto smunto per i suoi ottant'anni di miseria!

— Dove sono i centoventi fretzer? — Eccoli, e che Dio ve li renda centuplicati. — Dio! Il denaro di Dio! E chi ne ha mai visto il colore? Il dottore

chiamò Hurzof, gli attaccò al collare una piccola lanterna e prese la via del mare.

La vecchia lo seguiva.

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CAPITOLO V

CHE TEMPO di frritt e di flacc! Le campane di Santa Filfilene suonano a distesa, agitate dall'uragano. Cattivo segno! Bah! Il dottor Trifulgas non è superstizioso. Non crede a niente, nemmeno alla sua scienza - tranne che per quello che gli fa guadagnare.

Che tempo, ma che strada anche! Ciottoli e scorie; i ciottoli viscidi, perché cosparsi di alghe, le scorie che crepitano come rosticci. L'unica luce è la lanterna del cane Hurzof, tenue, tremolante. A tratti, getti di fiamme del Vanglor, in mezzo ai quali pare si agitino delle grandi e grottesche figure. Si ignora veramente che cosa ci sia in fondo a quei crateri impenetrabili. Forse le anime del mondo sotterraneo che uscendo si volatilizzano.

Il dottore e la vecchia seguono il contorno delle piccole baie del litorale. Il mare è bianco, di un bianco livido - un bianco di lutto. Esso scintilla mentre la risacca fa spumeggiare le sue onde e pare versi sulla spiaggia dei vermiciattoli luminosi.

Entrambi risalgono così, tra le dune che hanno forma di piccole valli, sino alla svolta del sentiero, cosparso di ginestre e giunchi intrecciati come una selva di baionette.

Il cane si era avvicinato al padrone e pareva gli dicesse: « Eh! Centoventi fretzer da mettere nel forziere! È così che si fa

fortuna! Una precauzione di più al recinto della vigna! Un piatto di più alla cena della sera! E una zuppa di più al fedele Hurzof! Curiamo i malati ricchi e salassiamo... la loro borsa! »

In quel punto la vecchia si fermò. Col dito tremante mostrò, nell'ombra, una luce rossastra. Era la casa

di Vort Kartif, il pasticciere. — Là? — chiese il dottore. — Sì — rispose la vecchia. — Harrauah! — ringhiò il cane Hurzof. Ma ad un tratto il Vanglor tuona, scosso fino ai contrafforti della sua

base. Un fascio di fiamme fuligginose sale sino allo zenit, passando attraverso le nuvole. Il dottor Trifulgas viene gettato a terra dal colpo.

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Bestemmia come un turco, si rialza, guarda. La vecchia non è più dietro di lui. È stata inghiottita da qualche

voragine del suolo, oppure si è dileguata in mezzo alla nebbia? Il cane è ritto sulle gambe posteriori, la gola spalancata, la lanterna

spenta. — Andiamo! — mormora il dottor Trifulgas. Il galantuomo ha ricevuto centoventi fretzer e bisogna guadagnarli.

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CAPITOLO VI

UN PUNTO luminoso, a mezza kertsa. È il lume che arde per il moribondo - forse per il morto. Ecco la casa del pasticciere. La vecchia l'ha mostrata col dito. Non si può sbagliare.

Il dottor Trifulgas cammina a passi svelti in mezzo ai frritt fischiami e ai flacc crepitanti nel rombo della bufera.

Più si avvicina, più la casa gli appare meglio delineata, essendo isolata in mezzo alla landa.

È molto strano vedere quanto essa assomigli a quella del dottore, al Sei-Quattro di Luktrop. Sulla facciata, le finestre hanno la stessa disposizione, e uguale è anche la porticina centinata.

Il dottor Trifulgas va in fretta, quanto gli è concesso dalla raffica. La porta è socchiusa, ha solo da spingerla, la spinge, entra, e il vento la chiude con forza dietro di lui.

Il cane Hurzof, di fuori, urla, tacendo di quando in quando, come i cantori fra un versetto e l'altro di un salmo delle Quarant'Ore.

Strano! Si direbbe che il dottor Trifulgas sia ritornato a casa sua. Non s'è smarrito, tuttavia! Non è tornato indietro! È proprio a Val Karniu, non a Luktrop. Eppure, qui c'è lo stesso corridoio, a volta, basso, la stessa scala di legno a chiocciola, la stessa ringhiera, già consunta dall'attrito delle mani.

Sale. Arriva al pianerottolo. Davanti alla porta, esce dal basso un debole chiarore, come al Sei-Quattro.

È un'allucinazione? Alla vaga luce, riconosce la sua camera, il canapè giallo, a destra, il cassone in legno di vecchio pero, a sinistra, lo scrigno ben chiuso che doveva accogliere i centoventi fretzer. Ecco la sua poltrona dagli orecchioni di cuoio, ecco la tavola con i piedi storti, e, sopra, accanto al lume che sta per spegnersi, il Codice, aperto alla pagina 197.

— Che cosa ho dunque? — egli mormora. Che ha? Ha paura. La sua pupilla è dilatata. Il corpo è come

contratto, rimpicciolito. Un freddo sudore agghiaccia la sua pelle ed egli rabbrividisce.

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Ma affrettati! Occorre dell'olio, altrimenti la lampada si spegnerà, e insieme a lei anche il moribondo!

Sì, il suo letto è là, a colonne, col baldacchino, lungo quanto è largo, chiuso da cortine a fiorami. È possibile che sia il giaciglio di un miserabile pasticciere?

Con mano tremante, il dottor Trifulgas afferra le cortine, le solleva, guarda.

Il moribondo, con la testa fuori delle coperte, è immobile, i suoi minuti sono contati.

Il dottore si piega su di lui. Ah! che grido, al quale risponde, dal di fuori, il sinistro latrato del cane.

Il moribondo non è il pasticciere Vort Kartif!... È il dottor Trifulgas!... È lui colpito da congestione, proprio lui! Apoplessia cerebrale, con rapida effusione di sierosità nelle cavità del cervello e paralisi della parte opposta a quella ove è avvenuta la lesione.

Sì! È lui, proprio lui, per lui son venuti a cercarlo, per lui sono stati pagati centoventi fretzer! Lui, che per l'insensibilità del suo animo, si era rifiutato di andare a prestare le sue cure al pasticciere povero! Lui che sta per morire!

Il dottor Trifulgas è come impazzito; si sente perduto. Gli strani fenomeni continuano a succedersi rapidamente. Non solo tutte le funzioni di relazione vanno cessando in lui, ma i moti del cuore e della respirazione stanno per arrestarsi. Eppure non ha ancora interamente perduto conoscenza!

Che fare? Diminuire la massa del sangue con un salasso? Il dottor Trifulgas è morto se esita...

Si salassava ancora, in quel tempo, e, come adesso, i medici guarivano dall'apoplessia tutti quelli che non ne sarebbero morti.

Il dottor Trifulgas prende l'astuccio, ne leva il bisturi, punge la vena del braccio del suo alter ego; non vien sangue al suo braccio. GB fa delle forti frizioni al cuore, ma si ferma il movimento del suo. Gli scotta i piedi con pietre calde, ma i suoi si raffreddano.

Allora il suo alter ego si alza, si dibatte, emette un rantolo supremo... E il dottor Trifulgas, benché sia ricorso a tutti gli espedienti della

scienza, muore nelle proprie mani. Frritt!... Flacc!...

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CAPITOLO VII

LA MATTINA, nella casa Sei-Quattro, si trovò un cadavere, quello del dottor Trifulgas. Lo si mise nella bara, e fu trasportato in gran pompa al cimitero di Luktrop, dove aveva mandato tanti altri, secondo regola.

Il vecchio Hurzof, a quanto si dice, da quel giorno, corre la landa con la lanterna riaccesa, urlando come un cane smarrito.

Io non so se ciò sia vero, ma avvengono delle cose molto strane in questo paese della Volsinia, precisamente nei dintorni di Luktrop!

Del resto, ve lo ripeto, non cercate questo paese sulla carta. I migliori geografi non hanno ancora potuto mettersi d'accordo sulla sua latitudine, e nemmeno sulla sua longitudine.