Jules Verne - Gil Braltar

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Racconto

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Jules Verne

GIL BRALTAR

Titolo originale dell’opera GIL BRALTAR

(1887)

Traduzioni integrali dal francese di MARIELLA MUGNAI Prima edizione: 1984

Proprietà letteraria e artistica riservata - Printed in Italy © Copyright 1984 U. MURSIA & C.

2668/AC - U. MURSIA & C. - Milano - Via Tadino, 29

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PRESENTAZIONE

Il racconto, apparso per la prima volta nel 1887 in appendice al romanzo La strada per la Francia, è un bozzetto caricaturale che riconferma la scarsa simpatia dello scrittore per gli inglesi

Indice

PRESENTAZIONE 3 Capitolo I 4 Capitolo II 6 Capitolo III 8 Capitolo IV 10

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Capitolo I

Saranno state almeno sette o ottocento. Di mezza taglia ma robuste, agili, flessibili, capaci di balzi prodigiosi, saltellavano di qua e di là sotto gli ultimi raggi del sole che andava calando dietro le montagne schierate a ovest della rada. Il disco infuocato disparve ben presto, e l'oscurità cominciò ad avanzare in questo bacino, che è racchiuso dalle lontane sierre di Sanorra, di Ronda e dal desolato paese del Cuervo.

Improvvisamente tutta la truppa s'arrestò immobile. Era apparso il suo capo su quel dorso d'asino, molto magro,

costituito dalla cresta del monte. Dal posto di guardia, situato sull'estrema cima di quell'enorme

rocca non si poteva scorgere nulla di quanto accadeva sotto le piante.

— Sriss!... Sriss!... — sibilò il capo le cui labbra, strette come a formare una fessura, diedero a questo fischio una forza straordinaria.

— Sriss!... Sriss!... — ripeté tutta la truppa in perfetto accordo. Uno strano essere, quel comandante, dall'alta statura, vestito d'una pelle di scimmia col pelo all'esterno, la testa ricoperta da una capigliatura arruffata e incolta, il viso nascosto da una barba corta e ispida, i piedi nudi e duri, di sotto, come uno zoccolo di cavallo.

Egli sollevò il braccio destro e lo tese verso la vetta più bassa della montagna. Tutti immediatamente ripeterono questo gesto con una precisione militare, o forse sarebbe meglio dire meccanica — vere e proprie marionette mosse dalla stessa mano. Poi abbassò il braccio e anche gli altri lo abbassarono. Egli si chinò al suolo e tutti quanti si chinarono con identico atteggiamento. Raccolse un grosso bastone e lo brandì: tutti

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brandirono allora un bastone e fecero mulinello come lui — quel mulinello che i maestri di scherma a bastone chiamano « la rosa coperta ».

Poi il capo si voltò, scivolò fra le erbe e si arrampicò sotto gli alberi. La squadra lo seguì arrampicandosi anch'essa.

In meno di dieci minuti i sentieri della montagna, scavati dalle piogge, furono superati senza che la caduta di un solo sasso svelasse la presenza della truppa in marcia.

Un quarto d'ora dopo il capo si arrestò. E ancora tutti si fermarono come se fossero stati inchiodati sul posto.

Duecento metri sotto di loro si vedeva la città, che si stendeva lungo la rada immersa nell'ombra. Molte luci erano sparse nella macchia confusa dei moli, delle case, delle ville, delle caserme. Al di là di questa, i fanali delle navi da guerra, i fuochi delle navi commerciali e dei pontoni, ancorati al largo, si riflettevano sulla superficie delle acque calme. Più lontano ancora all'estremità della Punta d'Europa, il faro proiettava un fascio luminoso sullo stretto.

In quella scoppiò una cannonata, il First gun fire, tirata da una delle batterie costiere. E allora si udì immediatamente il rullo dei tamburi, accompagnato dall'acuto fischio dei pifferi.

Era l'ora della ritirata, l'ora del rientro a casa propria. Nessuno straniero aveva più il diritto di percorrere le vie della

città se non era scortato da un ufficiale della guarnigione. Per gli equipaggi c'era l'ordine di ritornare a bordo, prima che le porte fossero chiuse. Per un quarto d'ora circolavano delle pattuglie che avevano il compito di condurre al porto i ritardatari e gli ubriachi. Poi finalmente tutto tacque.

Il generale Mac Kackmale poteva dormire fra due guanciali. Sembrava che l'Inghilterra non avesse nulla da temere, in

quella notte, per la sua rocca di Gibilterra.

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Capitolo II

Tutti conoscono quella rocca formidabile, alta quattrocentoventicinque metri, che poggia su una base di milleduecentoquarantacinque, lunga quattromilatrecento. Assomiglia un po' a un enorme leone accucciato con la testa rivolta verso la Spagna e la coda che si immerge nel mare. Il muso mostra i denti - settecento cannoni piazzati nelle sue spaccature - i « denti della vecchia », come si usa dire. Una vecchia che darebbe dei morsi terribili se la si stuzzicasse. Sta di fatto che l'Inghilterra è solidamente appostata là, come a Perin, a Aden, a Malta, a Pulo-Pinang, Hong-Kong, rocche altrettanto solide di cui un giorno o l'altro grazie ai progressi meccanici finirà col fare delle fortezze ruotanti.

In attesa di ciò, Gibilterra assicura al Regno Unito un dominio incontestabile su tutti i diciotto chilometri di questo stretto che la mazza di Ercole ha aperto tra Abila e Calpe, nel punto più profondo del Mediterraneo.

Gli spagnoli hanno rinunciato a riprendersi questo pezzo della loro penisola? Sì, certamente, poiché pare sia inattaccabile per terra e per mare.

Tuttavia c'era qualcuno che s'era ficcato in testa di riconquistare quella rocca offensiva e difensiva. Si trattava del capo della truppa, un essere bizzarro, si potrebbe anche dire un folle.

Quest'hidalgo si chiamava per l'appunto Gil Braltar,1 nome che nella sua mente certo lo rendeva particolarmente predestinato a quella patriottica impresa.

1 In francese Gibilterra si dice Gibraltar e quindi soltanto nella lingua francese risulta chiara l'omonimia tra il personaggio e la rocca inglese. (N.d.T.)

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Il suo cervello non aveva retto, tanto che il posto adatto a lui sarebbe stato un manicomio. Lo conoscevano tutti benissimo, tuttavia, da dieci anni non si sapeva più che cosa fosse accaduto di lui. Forse stava errando per il mondo? In realtà egli non aveva affatto lasciato il territorio che considerava di sua proprietà. Ci viveva alla maniera dei trogloditi sotto i boschi, nelle caverne, e in particolar modo al fondo di quei meandri inaccessibili delle grotte di San-Miguel che, a quanto si dice, comunicano col mare. Lo credevano morto. Invece viveva, ma come quegli uomini selvaggi privi di ragione, che obbediscono soltanto agli istinti animaleschi.

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Capitolo III

Il generale Mac Kackmale dormiva profondamente fra due guanciali, e anche più a lungo di quanto permettesse l'ordinanza; con quelle braccia smisurate, gli occhi rotondi, infossati sotto le folte sopracciglia, la faccia incorniciata da una barba ruvida, il viso grinzoso, le mosse da antropopiteco, il prognatismo accentuatissimo della mascella, egli era di una bruttezza davvero notevole - persino per un generale inglese. Una vera scimmia, ottimo militare, del resto, nonostante il fare scimmiesco.

Proprio così! Egli dormiva nella sua comoda casa a Main-Street, una via tortuosa che attraversa tutta la città dalla Porta di Mare alla Porta dell'Alameda. Forse stava sognando che l'Inghilterra si era impadronita dell'Egitto, della Turchia, dell'Olanda, dell'Afghanistan, del Sudan, del paese dei Boeri, in una parola di tutti i punti del globo utili per lei e ciò proprio nel momento in cui stava per perdere Gibilterra.

La porta della camera si aprì bruscamente. — Che cosa c'è? — domandò il generale Mac Kackmale,

rizzandosi sul letto con un salto. — Mio generale, — rispose un aiutante di campo che era

entrato come una torpedine, — la città è invasa!... — Gli spagnoli?... — C'è da crederlo! — Avrebbero osato!... Il generale non finì la frase. Si alzò, si levò il « madras » che

aveva in testa, s'infilò gli abiti, entrò negli stivali, si mise il cappello, cinse la spada, mentre diceva:

— Che cos'è questo rumore? — Sono i pezzi di roccia che cadono come una valanga sulla

città.

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— Questi cialtroni sono numerosi? — Pare di sì! — Certamente si saranno riuniti tutti i briganti del paese per

fare un simile colpo di mano: i contrabbandieri di Ronda, i pescatori di San Rocco, i profughi che si nascondono nei villaggi!...

— C'è da temerlo, mio generale! — E il governatore è stato avvisato? — No! È impossibile raggiungerlo alla sua villa di Punta

d'Europa! Le porte sono occupate e le vie sono ingombre di assalitori!...

— E la caserma della Porta di Mare? — Non c'è modo di arrivarci! Gli artiglieri devono essere stati

bloccati nella loro caserma! — Quanti uomini avete? — Una ventina, mio generale, dei fanti del terzo reggimento

che sono potuti fuggire. — Per San Dunstano! — proruppe Mac Kackmale, —

Gibilterra strappata all'Inghilterra da dei venditori di arance!... Questo non deve accadere!... No! Questo non deve accadere!

In quella la porta della camera si aprì per far passare un essere bizzarro, che saltò sulle spalle del generale.

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Capitolo IV

— Arrendetevi! — esclamò con una voce rauca, che rassomigliava più a un ruggito che a una voce umana.

Alcuni soldati, accorsi dietro l'aiutante di campo, stavano per gettarsi su quell'uomo quando, alla luce della camera lo riconobbero:

— Gil Braltar! — esclamarono. Era proprio lui infatti, l'hidalgo al quale nessuno pensava più

da molto tempo, il selvaggio delle grotte di San-Miguel. — Arrendetevi! — egli urlava. — Mai! — rispose il generale Mac Kackmale. Improvvisamente, nel momento in cui i soldati stavano per

circondarlo, Gil Braltar emise uno « sriss » acuto e prolungato. Allora, il cortile e tutta la casa rigurgitarono d'una massa di

invasori... Chi lo crederebbe? Erano delle scimmie ed erano a centinaia!

Stavano dunque per togliere agli inglesi quella rocca di cui sono le vere proprietarie, quel monte che esse occupavano ancor prima degli spagnoli, ancor prima che Cromwell ne avesse sognato la conquista per la Gran Bretagna? Sì, niente di più vero! Ed erano in numero tale da fare veramente paura, quelle scimmie senza coda, con le quali non si poteva andare d'accordo se non a patto di tollerare le loro bricconate — animali intelligenti e audaci che ci si guardava bene dal molestare, perché si vendicavano (cosa capitata più volte) facendo rotolare enormi massi sulla città.

Ed ora quelle scimmie erano diventate l'esercito al servizio di un pazzo, non meno selvaggio di loro, di quel Gil Braltar, che esse ben conoscevano, che viveva una vita libera come la loro, di quel Guglielmo Tell quadrumane la cui esistenza si

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imperniava sull'unica idea fissa: cacciare gli stranieri dal territorio spagnolo!

Che onta per il Regno Unito se il tentativo fosse riuscito! Gli inglesi, vincitori degli indù, degli abissini, dei tasmaniani, degli australiani, degli ottentotti e di tanti altri, vinti ora da una semplice tribù di scimmie!

Se avveniva una simile catastrofe, al generale Mac Kackmale non sarebbe rimasto che farsi saltare la testa! Non si sopravvive a un simile disonore!

Tuttavia, prima che le scimmie, chiamate dal fischio del loro capo, avessero invaso la camera, alcuni soldati erano riusciti ad impadronirsi di Gil Braltar. Il pazzo, dotato di una forza straordinaria, resistette, e fu solo dopo grande fatica che lo si poté ridurre all'impotenza. Gli fu strappata la pelle da scimmia fittizia così che fu cacciato quasi nudo in un angolo, imbavagliato e legato, nell'impossibilità di muoversi e anche di parlare. Allora Mac Kackmale si lanciò fuori della casa deciso a vincere o a morire, secondo la regola militare.

Ma il pericolo continuava ad essere gravissimo anche all'esterno. Uno sparuto gruppo di fanti era riuscito a raggiungere la Porta di Mare e ora marciava verso l'abitazione del generale. Ci fu un grande sparare fucilate in Main-Street e nella piazza del Commercio. Ma il numero delle scimmie era tale che la guarnigione di Gibilterra rischiava di dover quanto prima ceder loro la piazza. Nel qual caso se gli spagnoli facevano causa comune con le scimmie, si sarebbe dovuto abbandonare i forti, disertare le batterie, e le fortificazioni non avrebbero più visto neppure un difensore e gli inglesi, che avevano reso imprendibile la rocca di Gibilterra, non avrebbero più potuto sperare di riprenderla.

Inaspettatamente sopraggiunse un cambiamento improvviso. Difatti, alla luce delle torce che illuminavano il cortile, si

potevano vedere le scimmie battere in ritirata. Alla testa della truppa marciava il suo capo che brandiva il bastone. Tutte le

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scimmie, imitando i suoi movimenti delle braccia e delle gambe, lo seguivano con lo stesso passo.

Gil Braltar era dunque riuscito a liberarsi dai legami e fuggire dalla camera, dov'era custodito? Ormai era impossibile dubitarne.

Ma dove si stava dirigendo ora? Andava, forse, verso la Punta d'Europa, alla villa del governatore, per assalirla, costringerlo così alla resa.

No. Il pazzo e la sua banda discendevano Main-Street. Poi, dopo aver superato la porta dell'Alameda, attraversarono diagonalmente il parco e risalirono i pendii della montagna.

Un'ora dopo, nella città non restava più neppure un invasore di Gibilterra.

Cos'era dunque successo? Lo si seppe ben presto quando apparve, sul limitare del parco,

il generale Mac Kackmale. Era proprio lui, il generale, che, prendendo il posto del pazzo,

aveva diretto la ritirata della truppa, dopo essersi avvolto nella pelle di scimmia del prigioniero. Assomigliava talmente ad un quadrumane, quel bravo guerriero, che la tribù stessa si era ingannata!

Semplicemente un'idea geniale che fu subito ricompensata con l'invio della croce di San Giorgio.

Quanto a Gil Braltar, il Regno Unito lo cedette in cambio di denaro sonante a un certo Barnum, che fece la sua fortuna conducendolo nelle principali città dell'Antico e Nuovo Mondo. Anzi questo Barnum lascia addirittura credere che egli metta in mostra non già il selvaggio di San-Miguel, ma il generale Mac Kackmale in persona.

Tuttavia quell'avventura è stata una bella lezione per il governo di Sua Graziosa Maestà. Essa ha infatti capito che, se Gibilterra non poteva essere presa dagli uomini, era però in balia delle scimmie. Perciò l'Inghilterra, sempre pratica, ha deciso di

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non mandarvi che i più brutti fra i suoi generali, affinché le scimmie potessero sbagliare ancora.

Questo provvedimento le assicura, a quanto pare, il possesso indeterminato di Gibilterra.