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2018‐2019
John Lockel’empirismo Dispensa per il corso 2018/2019
Storia della filosofia dal Rinascimento
all’Illuminismo
JOHN LOCKE: L’EMPIRISMO
‐ 1 ‐
John Locke: l’empirismo
Razionalismo empirico e razionalismo innatistico:
Locke e Descartes ……………………………………………………… 3
La teoria cartesiana delle idee e dell’io ………………………………. 4
La teoria lockiana delle idee ………………………………………. 7
L’origine empirica delle idee: sensazione e riflessione ……………….. 9
I diversi tipi di idee ………………………………………………………. 13
Idee semplici e idee complesse ……………………………….. 15
Qualità primarie e qualità secondarie ……………………….. 16
Le idee complesse ………………………………………………. 17
I modi ………………………………………………………. 18
Le sostanze ………………………………………………………. 19
La relazione ………………………………………………………. 23
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JOHN LOCKE: L’EMPIRISMO
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John Locke
l’empirismo
Razionalismo empirico e razionalismo innatistico
Locke e Descartes
La teoria della ragione di Locke secondo la quale tutte le conoscenze
originano dall’esperienza, si contrappone alle tesi innatistiche di tipo
platonizzante. Secondo tali tesi i contenuti della conoscenza, sia scientifica
sia morale, sono ricavati a partire da principi e da idee già presenti, anche
se in forma non elaborata, nella mente dell’uomo. Negli anni in cui Locke
opera, tesi innatistiche sono sostenute da filosofi quali i cosiddetti
Neoplatonici di Cambridge o da Herbert di Cherbury, il quale è apertamente
confutato da Locke per la sua concezione di nozioni innate di tipo religioso
comuni ad ogni uomo. Ma l’obiettivo polemico della teoria anti‐innatista
della conoscenza e dell’intelletto elaborata da Locke è innanzitutto il
razionalismo cartesiano. Locke elabora il suo razionalismo su base empirica
in polemica con il razionalismo di tipo innatistico elaborato da Descartes.
La riflessione sulla conoscenza condotta da Locke sorge infatti dalla
profonda conoscenza e rielaborazione critica di alcune tesi centrali della
metafisica cartesiana, in particolare, per quello che riguarda il tema del
nostro corso, la concezione delle idee e dell’io.
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La teoria cartesiana delle idee e dell’io
Secondo Descartes tutti i contenuti del pensiero e tutti gli atti della mente
sono idee, e tali idee sono presenti in maniera immediatamente consapevole
alla mente. L’Io infatti, è identificato e conosciuto come attività di pensiero
cosciente e continua.
La mente è sempre cosciente, ed essere cosciente significa essere
immediatamente cosciente di qualcosa, ossia di un’idea. Tale idea può
essere non soltanto idea di un ‘oggetto’, ma anche una delle diverse forme
di attività del pensiero, una delle sue ‘operazioni’ come dice Descartes, ossia
una volontà, un giudizio, un’immaginazione, una sensazione, eccetera.
Dunque il termine idea copre tutta l’attività del pensiero e tutto ciò che
viene pensato dall’io, in quanto è pensato, ossia a prescindere dal fatto che
l’idea derivi o meno, o che essa si riferisca o meno, a oggetti esterni all’io.
Da ciò deriva anche che, per Descartes, l’io e la sua attività cosciente,
la sua coscienza, bastano perché si diano tutti i contenuti del pensiero: l’io
stesso, che è attinto come esistente mediante il pensare, Dio, il mondo (il
mio corpo e la realtà esterna, compresi gli altri).
L’io è pensiero, o meglio coscienza di pensiero, e come tutti gli altri
pensieri è un’idea. Dunque per Descartes noi abbiamo l’io e tutte le idee,
anche a prescindere dall’avere un corpo (e dunque a prescindere da tutte le
facoltà corporee, sensazioni, immaginazioni, ricordi di cose che sono state
oggetto di sensazioni precedenti, eccetera). Conoscere la verità significa
stabilire la verità delle idee, ossia indagare se i contenuti del pensiero
corrispondono a qualcosa che esiste realmente, poiché in quanto pensieri
esse esistono certamente e sono vere. Vi è un caso privilegiato in cui il
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pensiero, ossia l’idea, corrisponde con certezza immediata alla reale
esistenza, quello dell’io.
Rispondendo ad alcune delle obiezioni che erano state emesse contro
la sua metafisica, le Seconde Obiezioni, Descartes, per chiarire le sue tesi
metafisiche, propone alcune definizioni fra le quali quella di pensiero e
quella di idea:
PENSIERO
Col nome di pensiero io comprendo tutto ciò che è talmente in noi, che ne abbiamo
immediatamente coscienza (=conscii simus). Così tutte le operazioni della volontà,
dell’intelletto, dell’immaginazione e dei sensi, sono dei pensieri. Ma io ho aggiunto
immediatamente, per escludere le cose che seguono e dipendono dai nostri pensieri: per
esempio, il movimento volontario ha, sì, in verità, la volontà per suo principio, ma di per
se stesso, tuttavia, non è un pensiero. [Risposte alle seconde Obiezioni]
IDEA
Col nome d’idea intendo quella forma di ognuno dei nostri pensieri, per la percezione
immediata della quale abbiamo coscienza (=conscius sum) di questi stessi pensieri. In guisa
tale che non posso nulla esprimere per mezzo di parole, quando intendo ciò che dico, senza
che da ciò stesso non derivi la certezza che ho in me l’idea della cosa significata dalle mie
parole. E così io non chiamo col nome d’idea le sole immagini dipinte nella fantasia; al
contrario, non le chiamo qui con quel nome in quanto esse sono nella fantasia corporea,
cioè in quanto sono dipinte in alcune parti del cervello, ma solamente in quanto informano
lo spirito stesso che si applica a quella parte del cervello. [Risposte alle seconde Obiezioni]
Lavorando su tale materiale, ossia sulle idee presenti nell’io,
possiamo distinguere tali idee rispetto alla loro origine. In tal modo ci
accorgiamo, secondo Descartes, che alcune idee provengono da cose esterne
a noi, come per esempio l’idea del Sole o del caldo. Dell’esistenza o meno
di tali cose, o del fatto che esse siano realmente così come le idee ce le
rappresentano, non possiamo dire niente. Noi possiamo soltanto costatare
che esse sono immediatamente presenti alla nostra coscienza. A questo tipo
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di idee Descartes dà il nome di idee avventizie, ossia idee che sembrano
venire da oggetti che sono fuori di noi.
Vi sono inoltre idee che sono elaborate dalla nostra mente
componendo altre idee, come quando si costruiscono, assemblando le
caratteristiche di diversi animali, le idee della sirena o dell’ippogrifo. Si
tratta delle idee fattizie, ossia fatte dalla nostra mente.
Vi è però un tipo di idee che non provengono da oggetti esterni all’io;
sono le idee innate. Analizzando alcune di queste idee innate, è possibile
pervenire alla conoscenza dell’io e delle cose estese, ossia delle sostanze, e
di principi evidenti che sono, appunto come tali idee, innati. Il primo grande
principio che si presenta come regola di verità, una volta costatata la verità
dell’idea dell’io è che tutto ciò che si presenta al pensiero come chiaro e
distinto è vero.
Schematicamente, secondo Descartes, le idee, in base alla loro
origine, possono essere suddivise come segue:
INNATE presenti nella mente a prescindere dall’esperienza
AVVENTIZIE provengono da cose esterne all’io
FATTIZIE sono fatte dalla mente, componendo altre idee
Il percorso della metafisica cartesiana consiste nell’indagare e nello
stabilire le condizioni che rendono possibile che a ciò che il pensiero
concepisce come vero corrispondano, nella realtà esterna all’io, oggetti reali.
Il fondamento di tale corrispondenza è il Dio non ingannatore che, secondo
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Descartes, garantisce l’accordo fra le nostre conoscenze certe e l’esistenza
delle cose cui esse si riferiscono, come anche garantisce la certezza dei
principi evidenti che si usano nel pensare. Secondo Descartes tali principi e
tali idee sono innati appunto nel senso che essi sono presenti nella nostra
mente a prescindere dall’esperienza, perché Dio ha stabilito che essi fossero
eternamente veri.
La teoria lockiana delle idee
Locke confuta radicalmente il presupposto del razionalismo cartesiano,
ossia la tesi che i principi evidenti del pensiero e le idee, perlomeno alcuni
tipi di idee come le idee di sostanze, pensanti o estese, siano innate nella
mente umana. Descartes riteneva che solo isolando la conoscenza
dall’esperienza empirica e dai molti errori ed imprecisioni cui essa andava
soggetta fosse possibile fondare un sapere e un conoscere certo, a partire da
contenuti indipendenti dall’esperienza empirica, ossia innati. Locke ritiene
invece che non sia possibile isolare la conoscenza dall’esperienza empirica,
poiché l’esperienza fornisce la base e i contenuti della conoscenza e del
pensiero stesso. Senza l’esperienza empirica vengono a mancare non
soltanto i referenti di qualcosa che si trova al di fuori dell’io (il mio corpo, il
mondo, gli altri) ma anche la possibilità stessa di percepire il mio io, la cui
attività di riflessione è eccitata da tale o talaltro contenuto percepito
mediante l’esperienza stessa.
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Sebbene per Locke, come per Descartes, la conoscenza della nostra
propria esistenza sia una conoscenza intuitiva e una percezione interna
della quale, di fronte a noi stessi, siamo consci con certezza infallibile, tale
conoscenza del fatto che esistiamo non significa che noi sappiamo cosa
siamo, ossia che conosciamo l’essenza della nostra sostanza.
Circa la nostra propria esistenza, noi la percepiamo così semplicemente e certamente che
essa non ha bisogno né è capace di prova. Niente può essere per noi più evidente della
nostra propria esistenza. Io penso, io ragiono, io sento piacere e dolore: può una di queste
cose essere per me più evidente della mia propria esistenza? Se dubito di tutte le altre cose,
questo stesso dubbio mi fa percepire la mia propria esistenza e non mi permette di
dubitarne. Giacché, se so di sentire dolore, è evidente che ho una percezione certa della
mia propria esistenza come dell’esistenza del dolore che sento; o se so di dubitare, ho una
percezione certa dell’esistenza della cosa che dubita come del pensiero che io chiamo
‘dubbio’. L’esperienza ci convince che abbiamo una conoscenza intuitiva della nostra
propria esistenza e una percezione interna infallibile che noi esistiamo. In ogni atto di
sensazione, ragionamento o pensiero, noi siamo consci di fronte a noi stessi del nostro
proprio essere e su questo punto non manchiamo del più alto grado di certezza.
[Saggio sull’intelletto umano, IV, 9, 3; 706‐707]
Sapere che esistiamo perché siamo consapevoli di pensare, non
significa sapere cosa sia la ‘sostanza che pensa’, conoscerne l’essenza, ma
unicamente sapere che siamo una sostanza (che non conosciamo) e che la
sua azione o operazione è il pensare. Tale conoscenza, come tutte le
conoscenze, si fonda sull’esperienza. Infatti allo stesso modo in cui noi
abbiamo la conoscenza intuitiva della nostra esistenza per esperienza,
sempre in base a un dato di fatto e all’esperienza costante sappiamo che nel
sonno profondo il pensiero non ha nessuna idea (diversamente da come
riteneva Descartes, il quale sosteneva che l’anima non smettesse mai di
pensare), e non per questo noi smettiamo di essere tale sostanza:
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nell’oscuro ritiro del sonno profondo, esso (=il pensiero) perde di vista completamente
qualsiasi idea; dal momento che le cose stanno evidentemente così come dato di fatto e
come esperienza costante, io domando se non sia probabile che il pensare è l’azione e non
l’essenza dell’anima. Infatti le operazioni di agenti sono compatibili con intenzioni e
remissioni; ma non si concepisce che le essenze delle cose siano suscettibili di tali
variazioni.
[Saggio sull’intelletto umano, II,1 9, 4; 273]
noi sappiamo con certezza e in modo intuitivo che esistiamo, ma in merito
alla sostanza, noi non sappiamo cosa sia il nostro io. Il pensare infatti,
diversamente da come lo intende Descartes, non è la sostanza del nostro io,
ma un’azione o un’operazione che il nostro io compie. Il nostro io rimane
tale anche se non la compie, anche se non opera; allo stesso modo in cui un
corpo mobile è tale sia che si muova, sia che rimanga in quiete.
L’origine empirica delle idee: sensazione e riflessione
L’idea dell’io, come idea di una sostanza, non ha dunque, secondo Locke,
un’origine autonoma dall’esperienza. Come tutte le idee, essa è fondata
sull’esperienza. La possibilità di percepire l’io come attività è data sempre
dal fatto che l’io abbia esperienza, sia di cose esterne, mediante la sensazione
che si traduce in una percezione di cui si ha coscienza, sia mediante la
riflessione, che è la percezione delle operazioni del nostro spirito in noi stessi.
Senza la riflessione, l’io non ha l’idea di se stesso come sostanza. Sebbene
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ogni atto di pensiero comporti che nel pensare si conosca con certezza di
esistere, per ‘conoscenza intuitiva’ e per ‘infallibile percezione interna’, il
processo genetico e ‘graduale’ mediante il quale il pensiero acquisisce le
idee, ossia i materiali del pensiero, origina sempre dall’esperienza, ossia
dalla sensazione e dalla riflessione.
Per indagare l’origine, la certezza e l’estensione della conoscenza
umana, secondo Locke, occorre delimitare quali siano i poteri dell’intelletto
umano, capire fin dove si estendano e a quali cose essi siano proporzionati.
L’estensione al di fuori del campo di tali limiti non produce infatti
conoscenza, come quando, per esempio – scrive Locke –, si pretende di
riuscire a determinare quale sia l’essenza dello spirito umano.
Tutta la conoscenza origina dall’esperienza. La nostra mente prima
di acquisire i materiali dell’esperienza è una ‘tabula rasa’, un foglio bianco
sul quale non è scritto niente.
Il Libro Primo del Saggio sull’intelletto umano è dedicato a confutare
le tesi secondo le quali esistono idee e principi ‘innati’ (intendendo con essi
affermazioni auto‐evidenti come il tutto è maggiore della parte; e simili). Se
idee o principi logici e morali fossero innati nessuno dovrebbe esserne
sprovvisto, invece l’esperienza mostra che anche i principi che sembrano
più evidenti, come quelli logici, non sono conosciuti dai bambini o dalle
persone non istruite, che pure hanno una mente, un io. Inoltre tali principi
e idee non sono universalmente accettati, poiché vi sono interi popoli che
ne sono sprovvisti.
Se si chiede a un bambino quanto faccia 3+4 egli saprà rispondere
soltanto dopo avere imparato a contare; ossia dopo avere fatto esperienza.
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Perfino i principi logici più evidenti, e fra questi il principio di identità
(fondamentale per stabilire cosa sia l’identità personale) non sono innati ma
acquisiti con l’esperienza. E così pure i principi morali e con essi quelli
religiosi. Di Dio stesso non si ha un’idea innata, ma essa viene formata
mediante la dimostrazione, basata sull’esperienza. I valori morali e religiosi
inoltre, ben lungi dall’essere universalmente riconosciuti, possono essere di
tipo diverso e perfino opposto in popoli e in epoche diverse.
Ciò non significa che tali principi o che tali idee (erroneamente
ritenuti innati) non siano veri, ma che essi vadano ricavati dall’esperienza e
ristretti appunto a quelli ottenuti mediante l’esperienza. Il fatto, per
esempio, che popoli scoperti nelle terre inesplorate dell’America non
abbiano l’idea di Dio, e siano atei, non significa che Dio non esista, ma che
la sua idea e quella della sua esistenza vadano appunto ricavate e
dimostrate sulla base dell’esperienza.
Il conoscere origina non a prescindere dall’esperienza, come era nella
prospettiva innatistica e aprioristica di Descartes, ma dall’esperienza stessa.
Tale conoscere si struttura in maniera razionale, applicando l’intelletto ossia
la riflessione ai materiali dell’esperienza, fin dove è possibile applicarveli.
Tutti i contenuti mentali che la mente riceve e che il pensiero elabora, come
anche tutte le operazioni del pensiero, sono idee originate dall’esperienza,
e su tale materiale operano l’intelletto e la ragione. L’anima comincia a
pensare quando i sensi le forniscono le idee a cui pensare:
Non vedo dunque alcuna ragione per credere che l’anima pensi prima che i sensi le abbiano
fornito idee a cui pensare; e a misura che queste aumentano di numero e sono ritenute nello
spirito, essa, con l’esercizio, migliora la sua facoltà di pensare in tutte le sue varie parti. In
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seguito, componendo queste idee e riflettendo sulle proprie operazioni, accresce il suo
patrimonio come anche la sua facilità di ricordare, immaginare, ragionare e utilizzare altri
modi di pensare.
[Saggio sull’intelletto umano, II,1; 146]
L’origine di tutte le idee è nell’esperienza; nella sensazione, che è
percezione di cose che sono fuori di noi, e nella riflessione, mediante la quale
lo spirito fornisce all’intelletto le idee delle proprie operazioni, e che si
compie all’interno di noi e a partire dalla percezione.
L’esempio dell’apprendimento del bambino – presentato più volte
da Locke nel corso dell’opera – è utilizzato per chiarire il funzionamento
dell’intelletto umano e il graduale formarsi delle idee nella mente:
Seguite un bambino dalla nascita e osserverete le modifiche che il tempo provoca, e
troverete che egli diventa sempre più sveglio a misura che i sensi man mano forniscono
sempre più idee al suo spirito; troverete che pensa di più, a misura che ha più materiale su
cui pensare. Dopo un poco, egli comincia a conoscere gli oggetti che gli sono più familiari
e che gli lasciano quindi impressioni durevoli. Così viene a conoscere per gradi le persone
con le quali ha a che fare quotidianamente e le distingue dagli estranei; il che è un esempio
e un effetto del suo giungere a ritenere e distinguere idee che i sensi gli trasmettono. E così
possiamo osservare in che modo lo spirito si perfeziona per gradi in queste cose, e
progredisca verso l’esercizio di quelle altre facoltà dell’estendere, comporre e astrarre le
proprie idee e del ragionare intorno ad esse, riflettendo su tutto ciò.
[…]
Se si chiede, dunque, quando un uomo comincia ad avere qualche idea, credo che la risposta
vera sia: quando comincia ad avere qualche sensazione. Infatti, poiché sembra che non ci siano
idee nello Spirito prima che i sensi gliele abbiano trasmesse, concepisco che le idee
nell’intelletto sono coeve con la sensazione: la quale è un’impressione o un movimento prodotto
in qualche parte del corpo che produce qualche percezione nell’intelletto.
[…]
Col tempo lo spirito giunge a riflettere intorno alle proprie operazioni riguardanti le idee
ottenute per mezzo della sensazione, e così immagazzina un nuovo insieme d’idee, che io
chiamo idee di riflessione. Queste sono le impressioni fatte sui sensi da oggetti esterni che
sono estrinseci allo spirito, nonché le operazioni dello spirito, che procedono dai suoi poteri
intrinseci e propri, le quali, quando esso vi riflette, diventano anche oggetti della sua
contemplazione; e sono, come ho detto, l’origine di ogni nostra conoscenza. Così la prima
capacità dell’intelletto umano è che lo spirito sia adatto a ricevere le impressioni che sono
fatte su di esso, sia mediante i sensi, dagli oggetti esterni, sia mediante le proprie
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operazioni, quando riflette su di esse. Questo è il primo passo che un uomo compie verso
la scoperta di qualsiasi cosa e il fondamento sul quale deve costruire tutte le sensazioni che
avrà in modo naturale in questo mondo. [Saggio sull’intelletto umano, II,1; 147‐148]
I diversi tipi di idee
Per Locke il termine ‘idea’ designa l’oggetto del pensiero dell’uomo, ossia
l’oggetto dell’intelletto nel momento in cui un uomo pensa: «the object of
the understanding when a man thinks». Nell’Introduzione del Saggio
chiarisce il modo in cui usa il termine:
[idea] è il termine che serve meglio, credo, per rappresentare qualunque cosa che è lʹoggetto
dellʹintelletto quando un uomo pensa; l’ho quindi usato per esprimere tutto ciò che può
essere inteso per immagine, nozione, specie, o tutto ciò intorno a cui lo spirito può essere adoperato
nel pensare. [I, 1, 8; 66]
Idea sono sia tutti dati della sensazione, ossia le immagini sensibili o
i ricordi, sia le nozioni, ossia concetti astratti, sia infine tutte le specie,
termine in uso nella filosofia scolastica (che Locke contrasta) che indica ciò
che rende conoscibile dall’intelletto la forma sia degli oggetti sensibili
esperiti, sia degli oggetti intelligibili pensati.
Il termine idea, in Locke, indica tutti i contenuti del pensiero e anche
le operazioni stesse del pensiero di cui si è consapevoli sia in quanto
percezioni, sia mediante la riflessione:
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Chiamo idea tutto ciò che lo spirito percepisce in se stesso, o che è l’oggetto immediato
della percezione, del pensiero o dellʹintelletto [II, 8, 8; 168]
La prima fonte delle idee è la sensazione, e le idee che vengono dalla
sensazione sono, secondo Locke, i primi atti del pensiero:
quando i nostri sensi vengono in rapporto con oggetti sensibili particolari, trasmettono allo
spirito molte percezioni distinte delle cose, secondo i vari modi in cui quegli oggetti
agiscono sui nostri sensi. E così veniamo ad avere le idee del giallo, del bianco, del caldo, del
freddo, del morbido, del duro, dell’amaro, del dolce di tutte quelle che chiamiamo qualità
sensibili. E quando dico che i sensi le trasmettono allo spirito intendo che dagli oggetti
esterni essi trasmettono allo spirito ciò che vi produce queste percezioni. Chiamo questa
grande fonte della maggior parte delle idee che abbiamo, che dipendono interamente dai
nostri sensi dai quali l’intelletto le deriva, SENSAZIONE. [II, 1, 3; 134]
L’altra sorgente, di tutte le idee è la riflessione:
l’altra sorgente dalla quale l’esperienza trae le idee che fornisce all’intelletto è la percezione
delle operazioni del nostro spirito in noi stessi, così com’è applicato alle idee che ha;
operazioni che, quando l’anima ci riflette e le considera, forniscono all’intelletto un altro
insieme di idee che non potrebbero essere ottenute dalle cose esterne. Tali sono il percepire,
il pensare, il dubitare, il credere, il ragionare, il conoscere, il volere tutte le diverse azioni del
nostro spirito; e giacché ne siamo consapevoli e le osserviamo noi stessi, ne riceviamo nel
nostro intelletto idee altrettanto distinte quanto quelle che ci provengono dai corpi che
agiscono sui nostri sensi. Ogni uomo ha in sé questa fonte di idee; e sebbene non si tratti di
un senso, poiché non ha nulla a che fare con gli oggetti esterni, tuttavia è molto simile ad
esso e potrebbe propriamente essere chiamata senso interno. Ma così come chiamo l’altra
sensazione, chiamo questa RIFLESSIONE, perché le idee che essa ci dà sono soltanto quelle
ottenute dallo spirito quando riflette in se stesso sulle proprie operazioni. Con riflessione
intendo dunque, nel seguito di questo discorso, quella informazione che lo spirito ha delle
proprie operazioni e della maniera in cui queste si svolgono, per cui vengono ad esserci
nell’intelletto le idee di queste operazioni. [II, 1, 4; 134‐135]
Posta la derivazione di tutte le idee dalla sensazione e dalla
riflessione, ossia dall’esperienza, Locke procede però a individuare i diversi
tipi di idee.
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Idee semplici e idee complesse Le idee sono, innanzitutto, semplici o
complesse. Infatti sebbene le qualità che agiscono sui nostri sensi siano
sempre mescolate e non ci sia fra loro una separazione; nel fare esperienza
noi immagazziniamo nella nostra mente idee semplici. Nel caso di una
mela, per esempio, io percepisco simultaneamente ed uniti fra loro il colore
giallo, la forma sferica, il profumo, e così via. Ciascuna delle idee che mi
provengono dal percepire una mela, il suo colore, la sua forma, il suo
profumo, si presentano unite e contemporaneamente in un unico oggetto o
sostanza. Ma nel conoscere tale oggetto io faccio esperienza di tutte le idee
semplici che vi percepisco: colore, figura, odore, eccetera. Dunque tutti gli
oggetti della sensazione – anche i ‘singoli’ oggetti della sensazione – non
sono mai un’unica idea semplice, ma un insieme di idee semplici o come
dice Locke «una collezione di idee». La semplicità delle idee ‘semplici’
consiste nel fatto che esse si presentano al pensiero come uniformi, come
chiare e distinte, e il pensiero non può distinguerle ulteriormente in altre
idee. Posso distinguere nell’idea complessa di mela, le idee semplici di giallo,
di forma sferica, di profumo, e così via; ma non posso scomporre
ulteriormente queste idee semplici in altre idee.
Lo spirito acquisisce le idee mediante la sensazione e la riflessione, e
immagazzinandole le può ripetere, confrontare e unire. Tuttavia l’intelletto
può avere idee semplici unicamente mediante l’esperienza. Il potere
dell’intelletto consiste nel combinare e nel conoscere idee semplici, ma esso
non può inventarne di nuove, né averne se non per mezzo dell’esperienza;
allo stesso modo in cui un cieco non può avere le idee semplici dei colori, e
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in cui un uomo non può conoscere il sapore di un cibo che non ha mai
assaggiato, né il profumo di qualcosa che non ha mai odorato.
Qualità primarie e qualità secondarie Locke sottolinea che nel percepire
le qualità degli oggetti conosciuti e dunque le idee di tali qualità, il colore,
la forma, il gusto, e così via, bisogna distinguere ciò che in tali percezioni è
esterno al soggetto, ossia che appartiene all’oggetto (qualità primarie), da ciò
che invece è interno al soggetto stesso (qualità secondarie). Nelle percezioni
degli oggetti, le qualità primarie appartengono a ciò che si conosce
all’esterno della mente; e che origina un impulso meccanico ricevuto e
trasmesso dai sensi, che costituisce l’impressione sensibile. La mente, nel
percepire, elabora al suo interno tali impressioni sensibili e origina le idee
delle qualità secondarie. La mela ci appare senz’altro gialla, ma il suo colore
è dovuto al fatto che il nostro occhio lo percepisce come tale, ossia che la
nostra mente la percepisce gialla, non al fatto che essa lo sia realmente. Noi
non abbiamo fondamenti certi per stabilire che alcune qualità che
percepiamo corrispondano realmente, al di fuori di noi, alla realtà delle
cose. E ciò riguarda molte delle nostre percezioni: i colori, i sapori, gli odori
eccetera. Nell’ambito delle nostre idee semplici è necessario infatti
distinguere fra qualità primarie e qualità secondarie.
Le qualità ‘primarie’ sono la solidità, l’estensione, la figura, il
movimento o la quiete e il numero. Esse sembrano corrispondere ad aspetti
oggettivi della conoscenza della realtà, ossia sono ‘similitudini’ degli
oggetti reali.
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A seconda di tali qualità primarie gli oggetti della sensazione
originano impressioni diverse che diventano, nella nostra percezione, qualità
secondarie, quali i colori, i gusti, i suoni, e così via. Tali qualità appartengono
propriamente ed esclusivamente al soggetto che le percepisce e non
all’oggetto percepito.
le idee delle qualità primarie dei corpi sono similitudini di esse e […] i loro modelli esistono
realmente nei corpi, ma […] le idee prodotte in noi dalle qualità secondarie non hanno
rassomiglianza con esse. Non cʹè, nei corpi stessi, nulla di simile a queste idee. Nei corpi
cui diamo un nome in base ad esse, [tali qualità] sono soltanto il potere di produrre quelle
sensazioni in noi; e ciò che è dolce, blu o caldo nellʹidea, non è, nei corpi che chiamiamo
con questi nomi, che una certa mole, figura o movimento delle parti. [II, 8, 15; 171]
La mela non è gialla, ma le particelle di cui è costituita sono disposte
in modo tale da originare in me, attraverso l’impressione sensibile della
vista, l’idea del giallo; la mela non ha un profumo, ma le particelle di cui è
costituita sono disposte in modo tale da originare in me, attraverso
l’impressione sensibile dell’odorato, il profumo; e così via.
Le idee complesse Come le idee semplici, anche le idee complesse
traggono la loro origine dall’esperienza, ossia dalla sensazione e dalla
riflessione. Esse sono ricavate dall’intelletto che elabora il materiale
dell’esperienza combinando o separando idee semplici che conserva nella
memoria. Così se lo spirito nei confronti delle idee semplici rivela una certa
passività, esso rivela, per contro, nel formare le idee complesse la sua
attività, che consiste nel combinare le idee semplici fra loro, nell’unire idee
semplici o complesse, o nel metterle una accanto all’altra per poterle
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considerare insieme pur senza unirle (ossia nell’istituire relazioni); nel
separare da esse alcune idee, per esempio relative alle circostanze di tempo
e di spazio, per ottenerne idee generali e astratte, come quelle che si usano
nel linguaggio, per esempio le idee, e le parole, come uomo, animale, fiore, e
così via.
Ma mentre lo spirito è interamente passivo nel ricevere tutte le sue idee semplici,
esso esercita per conto suo numerosi atti mediante i quali altre idee sono foggiate con le
idee semplici, quali materiali e fondamenti di esse. Gli atti con cui lo spirito esercita il suo
potere sulle idee semplici sono principalmente questi tre: I) Combinare varie idee semplici
per formarne una complessa; così sono formate tutte le idee complesse. 2) Mettere assieme
due idee, semplici o complesse, e giustapporle in modo da vederle insieme senza unirle;
cosi lo spirito ottiene tutte le sue idee di relazioni. 3) Separare le idee da tutte le altre che le
accompagnano nella loro esistenza reale, e questo si chiama astrazione: in tal modo sono
formate tutte le idee generali. [II, 12, 1; 201]
Le idee complesse sono di tre tipi: idee di modi, idee di sostanze, idee
di relazioni.
I modi Le idee di modi, sono idee che pur essendo complesse, ossia
composte di varie idee semplici, non si riferiscono a cose che esistono di per
sé, in maniera indipendente, ma appunto a modi di essere o modificazioni
di altre sostanze: per esempio, il triangolo, è una modificazione dell’idea
semplice di linea, che viene ripetuta per tre volte; il numero, è la ripetizione
dell’unità; ma sono modi anche idee complesse come la gratitudine, o
l’omicidio.
I modi possono essere semplici o composti. I modi semplici sono
variazioni o combinazioni della medesima idea semplice (per es. le figure
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geometriche ottenute dalla linea, o i numeri ottenuti dall’unità); i modi
composti sono invece combinazioni di diverse idee semplici; per esempio,
scrive Locke, la bellezza consiste di una certa composizione di colore e
figura che causa piacere in chi la guarda; il furto è il mutamento clandestino
nel possesso di una cosa.
Fra i modi semplici ci sono innanzitutto quelli che derivano dalle
idee di spazio e di tempo, come la distanza, l’immensità, la figura, il luogo,
l’estensione – che per Locke è diversa dal corpo, la cui caratteristica è la
solidità, ossia la resistenza all’eliminazione della distanza fra le sue parti –,
la durata, la successione, e così via.
Le sostanze Le idee complesse di sostanze sono «combinazioni di idee
semplici che si ritiene rappresentino cose particolari distinte, sussistenti di
per se stesse» (II, 12, 6). Secondo Locke le sostanze esistono e costituiscono
il ‘sostegno’ o ‘ciò che sta al di sotto’ (significati appunto, questi, del termine
sostanza) delle qualità che noi percepiamo di esse. Tali ‘sostrati’ delle cose ci
rimangono, tuttavia, nella loro essenza profonda nella loro «costituzione
interna», sconosciuti, anche se a partire da essi noi percepiamo le idee, ossia
le idee semplici che riscontriamo mediante l’esperienza. Ecco perché le
sostanze ci sono conosciute soltanto in quanto «collezioni di idee» ossia
raggruppamenti di idee che noi percepiamo, e mediante le idee complesse
che l’intelletto forma. Le sostanze sono il «sostegno di quelle qualità che
sono capaci di produrre idee semplici in noi» (II, 23, 2). Noi facciamo
esperienza di idee semplici che costantemente vanno insieme ossia la cui
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caratteristica è la coesistenza in maniera continuativa, e di conseguenza
siamo persuasi che tali idee semplici appartengano a una sola cosa:
Poiché lo spirito, come ho già detto, è fornito di un gran numero di idee semplici, a esso
convogliate dai sensi così come si trovano nelle cose esterne o dalla riflessione sulle proprie
operazioni, esso si accorge anche che un certo numero di queste idee semplici vanno
costantemente insieme. Presumendo che esse appartengano ad una cosa sola, e poiché le
parole si adattano alle apprensioni comuni e sono usate per un rapido scambio, queste idee,
così unite in un solo soggetto, vengono chiamate con un nome solo; che inavvertitamente
ci capita in seguito di menzionare e considerare come una sola idea semplice, mentre
invece è una complicazione di molte idee messe assieme. Infatti, come ho detto, poiché non
immaginiamo in quale maniera queste idee semplici possano sussistere da sole, ci
abituiamo a supporre che ci sia qualche substratum in cui sussistono e dal quale risultano,
che chiamiamo perciò sostanza. [II, 23, 1; 350]
L’idea quindi alla quale diamo il nome generale di sostanza, non è altro che il sostegno
supposto ma sconosciuto di quelle qualità che scopriamo esistenti, che non possiamo
immaginare sussistano sine re substante, senza qualcosa per sostenerle; e chiamiamo perciò
quel sostegno substantia; il che, secondo il vero valore della parola, in inglese comune si
dice star sotto o sostenere. [II, 23, 2; 351]
Noi abbiamo le idee complesse di sostanze corporee o spirituali, in
base alle qualità e alle operazioni che percepiamo di esse: del corpo abbiamo
l’idea come di una cosa che ha estensione, figura e capacità di movimento;
dello spirito abbiamo l’idea come di una cosa che è capace di pensare, di
comprendere, di volere, eccetera. Tuttavia l’idea di sostanza che otteniamo
non dipende dal fatto che noi conosciamo cosa sia il ‘sostegno’ di tali
qualità, ma solo dal fatto che ne ricaviamo l’idea come sostrato da cui tali
qualità sono tenute insieme in modo continuativo. Il ragionare, il temere, il
pensare, il dubitare, il volere, il potere di muoversi noi li percepiamo e li
riconduciamo a una sostanza che chiamiamo spirito. E il fatto che mediante
tali operazioni noi veniamo a conoscerlo è sufficiente affinché ne abbiamo
JOHN LOCKE: L’EMPIRISMO
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un’idea chiara, sebbene non veniamo a conoscere cosa sia la sostanza
spirituale. Allo stesso modo noi non conosciamo la sostanza materiale che
tiene unite le diverse qualità che riscontriamo nei corpi se non come una
causa, sconosciuta, della loro connessione e coesistenza continuata.
Così Locke descrive le idee delle sostanze e il modo in cui le
otteniamo:
le nostre idee specifiche delle sostanze non sono altro che una collezione di un certo numero
di idee semplici, considerate come unite in una cosa sola. Queste idee delle sostanze, sebbene
siano solitamente semplici apprensioni e i loro nomi semplici termini, sono in effetti
complesse e composte. Così, l’idea che un inglese indica col nome di cigno è un colore
bianco, un collo lungo, un becco rosso, zampe nere, un piede unito, e tutto ciò di una certa
dimensione, con la capacità di nuotare nell’acqua e di produrre un certo suono e, forse,
all’uomo che abbia osservato a lungo questa specie di uccelli, qualche altra proprietà: che
vengono tutte a risolversi in idee semplici sensibili, unite tutte in un soggetto comune.
[II, 23, 14; 360]
A partire da idee semplici delle operazioni del nostro spirito, il nostro
intelletto compone le idee delle sostanze spirituali, che sono chiare quanto
lo sono quelle delle sostanze materiali:
mediante le idee semplici prese da quelle operazioni del nostro Spirito che osserviamo
quotidianamente in noi stessi, quali il pensare, intendere, volere, conoscere, e il potere di
iniziare un movimento ecc., che coesistono in una sostanza, siamo in grado di foggiare
l’idea complessa di uno spirito incorporeo. E così, mettendo assieme le idee del pensare, del
percepire, della libertà, e il potere di muovere se stessi e altre cose, abbiamo una percezione
e una nozione delle sostanze incorporee altrettanto chiare quanto quelle che abbiamo delle
sostanze corporee. Infatti, mettendo assieme le idee del pensare e del volere, o il potere di
iniziare o di sospendere il moto corporeo, e unendo ciò alla sostanza, di cui non abbiamo
alcuna idea distinta, otteniamo l’idea di uno spirito incorporeo; e mettendo assieme le idee
di parti solide coerenti e del potere di essere mosso, insieme alla sostanza, di cui non
abbiamo ugualmente alcuna idea positiva, otteniamo l’idea della materia. L’una è un’idea
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altrettanto chiara e distinta quanto l’altra: infatti l’idea del pensare e di muovere un corpo
è chiara e distinta quanto le idee dell’estensione, della solidità e dell’essere mosso. La
nostra idea di sostanza, in entrambi i casi, è ugualmente oscura o non c’è affatto: si tratta
di un non so che di supposto, a sostegno delle idee. [II, 23, 15; 360‐361]
Le idee fondamentali (primarie) del corpo:
Le idee primarie che abbiamo, peculiari al corpo, in quanto distinto dallo spirito, sono la
coesione delle parti solide e quindi separabili, e il potere di comunicare il movimento mediante un
impulso. [II, 23, 17; 361]
Le idee fondamentali (primarie) dello spirito:
Le idee che abbiamo pertinenti e peculiari allo spirito, sono il pensare e la volontà, ossia il
potere di mettere un corpo in moto mediante il pensiero e, come conseguenza di questo, la libertà
Infatti come il corpo non può non comunicare il suo movimento mediante impulso ad un
altro corpo che incontra a riposo, così lo spirito può porre i corpi in movimento o astenersi
dal farlo, come meglio gli piace. [II, 23, 18; 361]
Le idee di esistenza, durata e mobilità sono comuni ad entrambi i tipi
di sostanze.
A questo punto Locke riassume il suo modo di intendere la sostanza
come inconoscibile in sé (sia quella degli spiriti sia quella dei corpi) e come
sostrato ‘supposto’ delle idee che l’intelletto conosce unicamente mediante
l’esperienza. Mediante tali idee l’intelletto conosce in maniera chiara e
distinta le qualità primarie: le parti solide coerenti e l’impulso, per il corpo;
il pensare e il potere di agire, ossia il potere di iniziare o fermare vari
movimenti, per lo spirito.
JOHN LOCKE: L’EMPIRISMO
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Per concludere: la sensazione ci convince che ci sono sostanze estese solide e la riflessione,
che ci sono sostanze pensanti; l’esperienza ci assicura dell’esistenza di tali enti, e che l’uno
ha il potere di muovere un corpo mediante l’impulso, l’altro mediante il pensiero. Di ciò
non possiamo dubitare. Come ho detto, l’esperienza ci fornisce ad ogni momento idee
chiare sia dell’una che dell’altra cosa. Ma al di là di queste idee, quali sono ricevute dalle
loro fonti proprie, le nostre facoltà non vanno. Se vogliamo indagare più oltre sulla loro
natura, le loro cause e la loro maniera, non percepiamo la natura dell’estensione più
chiaramente di quella del pensare. Se vogliamo spiegarle più a fondo, l’una è facile quanto
l’altra; e concepire la maniera in cui una sostanza che non conosciamo possa, mediante il
pensiero, porre un corpo in movimento, non è più difficile del concepire come una sostanza
che non conosciamo possa, mediante l’impulso, porre un corpo in movimento. Sicché non
siamo in grado di scoprire in che cosa consistano le idee pertinenti al corpo, più di quanto
lo siamo per quelle pertinenti allo spirito. Mi sembra quindi probabile che le idee semplici
che riceviamo dalla sensazione e dalla riflessione siano i confini dei nostri pensieri, al di là
dei quali lo spirito, per quanti sforzi faccia, non è in grado di avanzare di un passo; né può
fare alcuna scoperta quando vuole sbirciare nella natura e nelle cause nascoste di quelle
idee. [II, 23, 29; 368‐369]
La relazione Le idee di relazione sono idee che lo spirito ottiene
confrontando fra loro idee semplici o complesse. Tali idee si originano
quando lo spirito considera una cosa accostandola a un’altra. Idee di
relazione sono spesso introdotte da termini relativi cui ne corrispondono
altri che hanno un’indicazione reciproca: padre e figlio; maggiore e minore;
causa ed effetto. Vi sono tuttavia altri termini che pur essendo
apparentemente assoluti contengono relazioni, per esempio: vecchio,
imperfetto, grande…
Tutte le idee di relazione sono costituite (come tutte le idee
complesse) di idee semplici, e la relazione si riconduce sempre a idee
semplici; e poiché ciascuna cosa e ciascuna idea semplice può essere
considerata sotto moltissimi aspetti, il numero delle relazioni che nel
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pensare vengono istituite fra idee è praticamente infinito. Inoltre,
diversamente dalle idee di sostanze, che il nostro intelletto, come si è visto,
coglie senza sapere cosa siano, la natura delle relazioni è conosciuta in
modo chiaro. L’intelletto nel confrontare cose qualsiasi fra loro stabilisce
un’idea chiara della relazione; per esempio di grandezza, se considera due
cose di diversa dimensione; di parentela, se considera due persone
congiunte, e così via:
Le idee delle relazioni sono quindi suscettibili, almeno, di essere più perfette e distinte nel nostro
spirito di quelle delle sostanze. [II, 25, 8; 380]
Idee fondamentali di relazioni, che usiamo nel pensare e nel riflettere sono
le relazioni di causa ed effetto (noi stabiliamo la relazione, non conosciamo
l’essenza o la natura della causa); le relazioni di tempo, di luogo e di
estensione, che includono sempre almeno due termini relativi fra i quali
vengono stabilite relazioni.
Il caso dell’identità personale è, come vedremo, un caso privilegiato
di idea di relazione. L’io è conoscibile come identità personale in quanto
idea di relazione, non in quanto sostanza. Come sostanza l’io è un sostrato
‘supposto’ di cui conosciamo le operazioni o l’attività senza sapere cosa sia;
come identità personale invece, l’io consiste di relazioni che conosciamo in
maniera chiara e che possiamo determinare.