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Corriere Fiorentino Mercoledì 3 Aprile 2019 CULTURE FI 17 I magnifici dodici della Toscana (con i vini buoni sotto i 15 euro) Da oggi con il «Corriere» la guida di Ferraro e Gardini: storie, voti e bottiglie top Citano il Veronelli nel ri- svolto di copertina, giusto per far capire qual è la loro fi- losofia. Già, perché il buon e insostituibile pioniere della scrittura enologica prendeva l’argomento (giustamente) molto sul serio. «Ogni vino — scriveva Veronelli — porta con sé la sua anima. È quindi chiaro che quello nato dalle mani di chi possiede la terra in misura equa, sta meglio». Si apre così, dunque il volu- me I migliori 100 vini e vi- gnaioli d’Italia. Guida all’ec- cellenza del 2019 di Luciano Ferraro — caporedattore centrale del Corriere della Sera e curatore del blog DiVi- ni — e Luca Gardini, miglior sommelier del mondo nel 2010. Il volume (pagg. 262) è in vendita a partire da oggi con il Corriere della Sera a euro 12.90 + il prezzo del giornale (presentazione al Vinitaly in Sala Puccini l’8 aprile alle 15.30). Un elemento importante da sottolineare per quanto ri- guarda la pubblicazione nel- la sua prima parte, è il suo non volere dare dei voti, ma molto più semplicemente raccontare il vino e chi lo produce. Il vino, e in fondo non vi raccontiamo nulla di nuovo, rispecchia da sempre la persona che gli dà vita e che lo forgia, in vigna e in cantina. Come cane e padro- ne, anche vino e produttore si somigliano. È, questo delle storie dei vignaioli, dunque un aspetto nuovo e narrativo che va a completare con un tassello ulteriore la guida della coppia Ferraro/Gardi- ni, sin dalla prima edizione. La seconda parte del volume, a cura di Luca Gardini, dà in- vece i voti ai «Migliori 100 vi- ni», selezionati nove mesi prima della pubblicazione. «È — si legge in apertura delle pagelle — una selezio- ne di assaggi che hanno la- sciato un ricordo, un’emo- zione legata a un vitigno o a un territorio». Ma la vera notizia è che la Toscana stravince in entram- be le sezioni. Gli unici tre vi- ni ai quali Luca Gardini dà 100/100 sono toscani. Bol- gheri Sassicaia 2016 di Tenu- ta San Guido («Dal naso al palato un attacco sinfonico sapido e ovattato che tra- sporta dal bicchiere al centro di un paradiso pagano»), Brunello di Montalcino Cer- retalto 2013 di Casanova di Neri, una delle aziende da sempre favorite di Gardini («Un Brunello irripetibile», «frutto di una maniacale se- lezione in vigna»), Brunello di Montalcino Riserva Ma- donna delle Grazie 2013 («Etichetta che alchemica- mente intrappola il sottobo- sco, ma anche il sottosuolo inimitabile di Montalcino, in un Brunello dalla caratteri- stiche clamorose»). Un quasi 100, 99+, va a un piemontese, Bartolo Riserva Monfortino 2014 di Giacomo Conterno, che — questo lo diciamo noi — è uno dei vini più straor- dinari, fuorvianti e atavici che abbiamo in Italia da sem- pre. Sfogliando ancora la classifica di Gardini, la To- scana svetta nuovamente con Orcia Petrucci Melo 2016 di Podere Forte (98+), Val D’Ar- no di Sopra Galatrona 2016 di Petrolo (98), Oreno 2016 di Sette Ponti (97+), Chianti Classico 2017 di Riecine (97), Brunello di Montalcino Ri- serva 2013 Capanna (96+)… Toscana, dicevamo, trion- fatrice anche nella prima se- zione, per numero di aziende presentate. Sono infatti do- dici i produttori presenti (contro i nove piemontesi), di cui si raccontano: la storia, l’azienda e le informazioni necessarie per andarla a visi- tare, un vino (sempre di prezzo entro i 15 euro in eno- teca: una scelta molto politi- cally correct questa di sce- gliere comunque un vino top, ma che sia alla portata più o meno di tutti) e un sug- gerimento di (eventuale) ab- binamento. Si parte con Francesco Mazzei (patron di tre aziende, ma qui nel caso specifico di Tenuta Belguar- do) e con il suo Vermentino 2018 («Questo vitigno ha bi- sogno di vedere il mare», di- ce), per proseguire con il Chianti di Carlo Dalmonte di Cantine Leonardo da Vinci, con il Canaiolo in purezza 2017 di Tenuta Montecucco, una delle aziende di proprie- tà di Claudio Tipa; il Rosso di Montalcino 2017 di Stefano Cinelli Colombini, il Toscana Rosso di Antonella Manuli, milanese che dalla Terme di Saturnia è approdata in vi- gna, lavorando in biodinami- ca nella sue fattoria La Malio- sa («in cantina lieviti indige- ni, divieto di usare additivi e sostanze chimiche»). Poi c’è anche la storia della coppia di svizzeri (Monika Bett- schart e Thomas Bär) che, ar- rivata in vacanza in Toscana nel 1990, ora produce vino nella propria azienda Gaglio- le. Non potevano mancare i grandi nomi, quelli che pio- neristicamente fecero gran- de la Toscana enologica nel mondo, come la famiglia An- tinori (il vino proposto nella serie sotto i 15 euro è il Villa Antinori 2016). E poi ancora Lamberto Frescobaldi con il suo Pomino Bianco 2016, Eli- sabetta Fagiuoli, veterana della Vernaccia di San Gimi- gnano con i suoi vini che produce nell’azienda Monte- nidoli, Luca Sanjust di Petro- lo, Riccardo Lepri di Tenuta Montauto, Giovanni Folonari di Tenuta Folonari. Premio vignaiolo dell’anno (in que- sto caso una vignaiola) a Pri- scilla Incisa della Rocchetta, la donna del Sassicaia, la cu- stode del mito. © RIPRODUZIONE RISERVATA Premio Vignaiolo dell’anno a Priscilla Incisa della Rocchetta (immagine dal blog DiVini) «Fisicamente può essere spostata ovunque ma quello è il luogo ideale». Michelangelo Pistoletto, che ieri ha tenuto una lectio all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove è stato da poco nominato Accademico d’onore, non vede collocazione migliore per la sua opera «Dietrofront», che quella in cui si trova dal 1984: il piazzale di Porta Romana. La scultura raffigura una figura che tiene in equilibrio sulla testa un’altra: «Una esce da Porta Romana per andare nel mondo così come da Firenze è partito il messaggio della prospettiva nel mondo, arrivando lontano e creando il mondo moderno, che è quello della scienza e della tecnologia: portano grandi benefici ma anche danni alla natura» Così l’opera è «un esempio di sostenibilità». Come molte opere di Pistoletto, codificate dal simbolo del «terzo paradiso», rappresenta due opposti che si uniscono a creare qualcosa di nuovo. «Vogliamo che da Firenze parta qualcosa di nuovo». La scultura dopo i restauri del 1996 e del 2016, da un anno è monitorata da sensori che la controllano. «La statua sta bene — spiega Cristiano Riminesi, tecnico del Cnr — Le vibrazioni del traffico non influenzano sulla stabilità». L’idea è di applicare ora il sistema di monitoraggio anche ad altri monumenti, chiese e palazzi. (Ivana Zuliani) Pistoletto, la lectio all’Accademia di Belle Arti: «Da Firenze parta qualcosa di nuovo» L’artista ha raccontato la sua scultura «Dietrofront» a Porta Romana Info Da oggi è in edicola con il Corriere della Sera «I migliori 100 vini e vignaioli d’Italia. Guida all’eccellenza del 2019. 100 nuove bottiglie per bere bene spendendo meno di 15 euro» di Luciano Ferraro, caporedattore centrale del «Corriere» e curatore del Blog DiVini e Luca Gardini, miglior sommelier del mondo nel 2010. Il volume costa 12,90 euro, più il prezzo del quotidiano Luciano Ferraro, caporedattore del «Corriere della Sera» di Helmut Failoni La famiglia Antinori Stefano Cinelli Colombini Luca Gardini, miglior sommelier del mondo nel 2010 Codice cliente: null

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Corriere Fiorentino Mercoledì 3 Aprile 2019 CULTURE FI17

I magnifici dodici della Toscana(con i vini buoni sotto i 15 euro)Da oggi con il «Corriere» la guida di Ferraro eGardini: storie, voti e bottiglie top

Citano il Veronelli nel ri-svolto di copertina, giustoper far capire qual è la loro fi-losofia. Già, perché il buon einsostituibile pioniere dellascrittura enologica prendeval’argomento (giustamente)molto sul serio. «Ogni vino— scriveva Veronelli— portacon sé la sua anima. È quindichiaro che quello nato dallemani di chi possiede la terrain misura equa, sta meglio».Si apre così, dunque il volu-me I migliori 100 vini e vi-gnaioli d’Italia. Guida all’ec-cellenza del 2019 di LucianoFerraro — caporedattorecentrale del Corriere dellaSera e curatore del blog DiVi-ni — e Luca Gardini, migliorsommelier del mondo nel2010. Il volume (pagg. 262) èin vendita a partire da oggicon il Corriere della Sera aeuro 12.90 + il prezzo delgiornale (presentazione alVinitaly in Sala Puccini l’8aprile alle 15.30).Un elemento importante

da sottolineare per quanto ri-guarda la pubblicazione nel-la sua prima parte, è il suonon volere dare dei voti, mamolto più semplicementeraccontare il vino e chi loproduce. Il vino, e in fondonon vi raccontiamo nulla dinuovo, rispecchia da semprela persona che gli dà vita eche lo forgia, in vigna e incantina. Come cane e padro-ne, anche vino e produttoresi somigliano. È, questo dellestorie dei vignaioli, dunqueun aspetto nuovo e narrativoche va a completare con untassello ulteriore la guidadella coppia Ferraro/Gardi-ni, sin dalla prima edizione.La seconda parte del volume,a cura di Luca Gardini, dà in-vece i voti ai «Migliori 100 vi-ni», selezionati nove mesiprima della pubblicazione.«È — si legge in apertura

delle pagelle — una selezio-ne di assaggi che hanno la-sciato un ricordo, un’emo-zione legata a un vitigno o aun territorio».Ma la vera notizia è che la

Toscana stravince in entram-be le sezioni. Gli unici tre vi-ni ai quali Luca Gardini dà100/100 sono toscani. Bol-gheri Sassicaia 2016 di Tenu-ta San Guido («Dal naso alpalato un attacco sinfonicosapido e ovattato che tra-sporta dal bicchiere al centrodi un paradiso pagano»),Brunello di Montalcino Cer-retalto 2013 di Casanova diNeri, una delle aziende dasempre favorite di Gardini(«Un Brunello irripetibile»,«frutto di una maniacale se-lezione in vigna»), Brunellodi Montalcino Riserva Ma-donna delle Grazie 2013(«Etichetta che alchemica-

mente intrappola il sottobo-sco, ma anche il sottosuoloinimitabile di Montalcino, inun Brunello dalla caratteri-stiche clamorose»). Un quasi100, 99+, va a un piemontese,Bartolo Riserva Monfortino2014 di Giacomo Conterno,che— questo lo diciamo noi— è uno dei vini più straor-dinari, fuorvianti e ataviciche abbiamo in Italia da sem-pre. Sfogliando ancora laclassifica di Gardini, la To-scana svetta nuovamente conOrcia Petrucci Melo 2016 diPodere Forte (98+), Val D’Ar-no di Sopra Galatrona 2016 diPetrolo (98), Oreno 2016 diSette Ponti (97+), ChiantiClassico 2017 di Riecine (97),Brunello di Montalcino Ri-serva 2013 Capanna (96+)…Toscana, dicevamo, trion-

fatrice anche nella prima se-zione, per numero di aziende

presentate. Sono infatti do-dici i produttori presenti(contro i nove piemontesi),di cui si raccontano: la storia,l’azienda e le informazioninecessarie per andarla a visi-tare, un vino (sempre diprezzo entro i 15 euro in eno-teca: una scelta molto politi-cally correct questa di sce-gliere comunque un vinotop, ma che sia alla portatapiù omeno di tutti) e un sug-gerimento di (eventuale) ab-binamento. Si parte conFrancesco Mazzei (patron ditre aziende, ma qui nel casospecifico di Tenuta Belguar-do) e con il suo Vermentino2018 («Questo vitigno ha bi-sogno di vedere il mare», di-ce), per proseguire con ilChianti di Carlo Dalmonte diCantine Leonardo da Vinci,con il Canaiolo in purezza2017 di Tenuta Montecucco,una delle aziende di proprie-tà di Claudio Tipa; il Rosso diMontalcino 2017 di StefanoCinelli Colombini, il ToscanaRosso di Antonella Manuli,milanese che dalla Terme diSaturnia è approdata in vi-gna, lavorando in biodinami-ca nella sue fattoria LaMalio-sa («in cantina lieviti indige-ni, divieto di usare additivi esostanze chimiche»). Poi c’èanche la storia della coppiadi svizzeri (Monika Bett-schart e Thomas Bär) che, ar-rivata in vacanza in Toscananel 1990, ora produce vinonella propria azienda Gaglio-le.Non potevano mancare i

grandi nomi, quelli che pio-neristicamente fecero gran-de la Toscana enologica nelmondo, come la famiglia An-tinori (il vino proposto nellaserie sotto i 15 euro è il VillaAntinori 2016). E poi ancoraLamberto Frescobaldi con ilsuo Pomino Bianco 2016, Eli-sabetta Fagiuoli, veteranadella Vernaccia di San Gimi-gnano con i suoi vini cheproduce nell’azienda Monte-nidoli, Luca Sanjust di Petro-lo, Riccardo Lepri di TenutaMontauto, Giovanni Folonaridi Tenuta Folonari. Premiovignaiolo dell’anno (in que-sto caso una vignaiola) a Pri-scilla Incisa della Rocchetta,la donna del Sassicaia, la cu-stode del mito.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Premio Vignaiolo dell’anno a Priscilla Incisa della Rocchetta (immagine dal blog DiVini)

«Fisicamente può essere spostata ovunquema quello è il luogo ideale». MichelangeloPistoletto, che ieri ha tenuto una lectioall’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove èstato da poco nominato Accademicod’onore, non vede collocazione migliore perla sua opera «Dietrofront», che quella in cui

si trova dal 1984: il piazzale di PortaRomana. La scultura raffigura una figurache tiene in equilibrio sulla testa un’altra:«Una esce da Porta Romana per andare nelmondo così come da Firenze è partito ilmessaggio della prospettiva nel mondo,arrivando lontano e creando il mondo

moderno, che è quello della scienza e dellatecnologia: portano grandi benefici maanche danni alla natura» Così l’opera è «unesempio di sostenibilità». Come molteopere di Pistoletto, codificate dal simbolodel «terzo paradiso», rappresenta dueopposti che si uniscono a creare qualcosa di

nuovo. «Vogliamo che da Firenze partaqualcosa di nuovo». La scultura dopo irestauri del 1996 e del 2016, da un anno èmonitorata da sensori che la controllano.«La statua sta bene — spiega CristianoRiminesi, tecnico del Cnr — Le vibrazioni deltraffico non influenzano sulla stabilità».L’idea è di applicare ora il sistema dimonitoraggio anche ad altri monumenti,chiese e palazzi. (Ivana Zuliani)

Pistoletto, la lectio all’Accademia di Belle Arti: «Da Firenze parta qualcosa di nuovo»L’artista ha raccontato la sua scultura «Dietrofront» a Porta Romana

Info

● Da oggiè in edicolacon il Corrieredella Sera«I migliori 100vini e vignaiolid’Italia. Guidaall’eccellenzadel 2019.100 nuovebottiglie perbere benespendendomeno di 15euro»di LucianoFerraro,caporedattorecentrale del«Corriere» ecuratore delBlog DiVini eLuca Gardini,migliorsommelier delmondo nel2010.

● Il volumecosta 12,90euro, più ilprezzo delquotidiano

LucianoFerraro,caporedattoredel «Corrieredella Sera»

di Helmut Failoni

La famiglia Antinori

Stefano Cinelli Colombini

Luca Gardini,migliorsommelierdel mondonel 2010

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20 CRONACHE Mercoledì 3 Aprile 2019 Corriere della Sera

«La convivenza è possibile», un piano per i lupiIl progetto presentato dalministro Costa. La replica:ma vanno tutelati anche gli allevatori

«Non servono gli abbatti-menti, ma una strategia». Ilnuovo Piano di conservazionee gestione del lupo in Italia èstato presentato dal ministrodell’Ambiente, Sergio Costa, esi delinea in 22 azioni, tra lequali vengono esclusi in mo-do categorico gli abbattimen-ti controllati previsti dal pre-

cedente piano del 2017, com-presi quelli degli ibridi lupo-cane e dei cani vaganti.Il nuovo Piano lupo è stato

accolto con grande soddisfa-zione da tutte le associazioniambientaliste, che da anni sibattono per la salvaguardiadell’animale che solo 40 anni

fa era sull’orlo dell’estinzionein Italia. «Il ritorno del lupo èstata la pietra miliare del re-cupero della naturalità dellenostre campagne e dei nostriboschi», ha commentato ilWwf. «Fondamentale ora è ilrafforzamento della preven-zione e della repressione delbracconaggio», aggiunge laLega antivivisezione (Lav).«L’approvazione del Piano lu-po è necessaria anche per tu-telare gli allevatori, soprattut-to quelli più virtuosi — dicein una nota l’Ente nazionaleprotezione animali (Enpa),che riconosce però che — distrada da fare ce n’è ancoramolta».Entusiasmi molto minori

nei commenti delle associa-zioni di coltivatori e allevatori.«Bene la gestione del lupo, apatto però di tutelare anchegli agricoltori di montagnache presidiano un territorio arischio di degrado», ha repli-cato Cristiano Fini, presidente

per l’Emilia Romagna di Cia-Agricoltori italiani. «Salviamoanche le migliaia di pecore ecapre sbranate, mucche e asi-nelli sgozzati in tutta la Peni-sola dove la presenza dei lupisi è moltiplicata negli ultimianni con stragi negli alleva-menti», ribatte Coldiretti. «Ciaspettiamo un impegno con-creto e un rapido e adeguatorimborso dei danni (causatidai lupi, ndr) senza se e senzama». «Il Piano lupo deve ga-rantire equilibrio, sostenibili-tà, biodiversità, compresenzasui territori di tutte le specie.Ma proprio di tutte», ribadi-sce Marco Bussone, presiden-te dell’Unione delle comunitàmontane.Anche ilWwf riconosce che

le battaglie a favore del lupodevono «essere accompagna-te da un’intelligente gestionedella convivenza, servonoquindi adeguate compensa-zioni dei danni» senza scor-dare però che occorre com-

battere «disinformazione escarsa conoscenza delle cor-rette misure di prevenzionedei danni» provocati dai lupi.Il ministero, consegnando

alla Conferenza Stato-Regioniil nuovo Piano lupo, ha ag-giornato anche i numeri degliesemplari presenti in Italia.Nella campagna di censimen-to del 2017-2018 sulle Alpi so-no stati segnalati 293 indivi-dui (dai 100-130 del 2015),mentre sugli Appennini la sti-ma media è di 1.580 esempla-ri, pari a quella del 2015. InItalia è presente il 10% dell’in-tera popolazione di lupi in Eu-ropa (Russia esclusa).«La convivenza con i lupi è

possibile: la strada è la pre-venzione dei possibili conflit-ti con gli altri animali e i dan-ni all’agricoltura», assicura ilministro Costa. Intanto i lupiringraziano.

Paolo Virtuani@PVirtus

© RIPRODUZIONE RISERVATALupo In italia c’è la sottospecie Canis lupus italicus

Gli interventiSono 22 le azionipreviste: esclusi gliabbattimenti controllatiprevisti in passato

293EsemplariQuelli segnalatisulle Alpinel censimentosvolto tra il2017 e il 2018.Nel 2015 erano100-130

1.580Lupila media degliesemplari negliAppennini,pari a quellidel 2015

Maschere antigas Una poliziotta con il materiale sequestrato agli anarchici torinesi che avrebbe dovuto essere utilizzato durante la manifestazione del 30 marzo (Fotogramma)

DaTorino alla rete all’esteroGli anarchici incitano all’azioneL’appello dopo il plico bomba alla sindaca: «Alziamo la testa»

di Giovanni Bianconi

ROMA «Se prima si poteva par-lare di un quartiere sotto asse-dio, sabato abbiamo avutoprova di una città sotto occu-pazione», scrivono gli anar-chici a commento della mani-festazione del 30 marzo chesecondo la polizia doveva tra-sformarsi in una devastazionedi Torino impedita solo dalblocco preventivo dei circaduecento militanti più ag-guerriti e attrezzati, fra cuimolti stranieri. Ma «la favo-letta dei buoni e dei cattivinon convince ormai nessunodei tanti che si sonomobilita-ti dallo scorso 9 febbraio —aggiungono —. La consape-volezza, semmai, è che se nonsi trova il modo di alzare la te-sta, facendo fronte a una vio-lenza statale destinata ad au-mentare e che non si esauri-sce certo nella sua propagginearmata, ci ritroveremo con leteste spinte sempre più a fon-do nel cesso, e ci resterà per lopiù la possibilità di annaspa-re, soli e impauriti».Sono incitamenti alla rea-

zione diffusi il giorno dopo lascoperta del plico esplosivoindirizzato alla sindaca ChiaraAppendino, evidentementespedito prima del corteo disabato. E però parte di un’uni-ca strategia — probabilmentesenza registi,ma conmolti in-terpreti, come si addice allemobilitazioni anarchiche —che segue il «9 febbraio», da-ta della prima protesta control’arresto di sei militanti (tredei quali già scarcerati) accu-sati di associazione sovversivae altri reati; ma soprattuttocontro il contestuale sgombe-ro dell’Asilo occupato di viaAlessandria, forse il luogo piùrappresentativo e longevo delribellismo torinese di matriceanarchica. Un simbolo con-quistato nel 1994 e liberatodall’autorità costituita dopo25 anni, carico di significati;basti pensare che lì approdò,nel 1997, Soledad Rosas, la ra-gazza argentina che divennecompagna di Baleno (al seco-lo Edoardo Massari) con cuicondivise le prima lotte con-tro l’Alta velocità in Val di Susae il tragico destino del suici-dio durante la detenzione.Allo smacco subito con lo

sgombero dell’Asilo gli eredidi Sole e Baleno — ormaiun’altra generazione — han-no risposto la settimana scor-sa, entrando in un nuovo edi-ficio pubblico: la scuola di-smessa Salvo D’Acquisto, oc-cupata per avere «uno spazioin cui organizzarsi, cospirare,portare le spore della tensio-ne di libertà dell’Asilo». Nelfrattempo, dopo che sui muridella città erano comparse lescritte contro la sindaca grilli-na («Appendino appesa»,«Appendino la scorta non tibasta») qualcuno ha confe-zionato l’ordigno a strappoche doveva infiammarsi nellemani della prima cittadina ochi per lei: 14 grammi di pol-vere pirica, più omeno la stes-sa quantità, collegata allostesso congegno, utilizzataper i quindici plichi inviati trail 2015 e il 2016 alle aziendeche partecipavano alla gestio-ne dei Centri per immigrati,durante la campagna chiama-ta «i cieli bruciano».

Un indizio che ha già indi-rizzato le indagini verso glistessi ambienti, che negli ulti-mi mesi hanno fortementecriticato anche l’ex questoreFrancesco Messina (da ieripromosso alla guida della Di-rezione centrale anticriminedella polizia), accomunato al-

la sindaca «colpevole» di averdelegato la gestione della cit-tà alle forze dell ’ordine:«Mentre il poliziotto si con-ferma il cane da guardia delpotere, il politico si riduce ir-reversibilmente a chihuahuadella polizia di Stato». Ma aldi là delle responsabilità per

le singole azioni, ciò che gliinvestigatori seguono con at-tenzione è la rete di solidarie-tà e collegamenti che da quasiduemesi è emersa sia a livellonazionale che internazionale.Il giorno stesso dello sgombe-ro dell’Asilo, ad Atene sonostati issati striscioni di solida-rietà ai compagni arrestati,quattro giorni dopo aMadrid,il 17 febbraio a Corfù, l’indo-mani a Pola, in Croazia, e il 19a Berlino. Il 22 febbraio è statooccupato l’Istituto italiano dicultura di Atene, e il 25 sonoapparse scritte sulla facciatadell’ambasciata a Montevi-deo, in Uruguay.In Italia, oltre all’uso della

vernice, c’è chi ha acceso qual-che fuoco contro le macchinedel car sharing sponsorizzatodall’Eni (Roma), contro i ban-comat e gli sportelli delle Po-ste e di Intesa Sanpaolo (Mila-no e Roma), e ha sfregiato unasede della Lega in provincia diVarese, con una firma che fa ilverso al ministro Salvini: «Lapacchia è finita». Lo stessogiorno c’è stato un blitz con-tro il Lavazza store in piazzaSan Fedele, a Milano, e a Mo-naco di Baviera venivano bru-ciate due auto della Siemens.Una diffusa campagna di so-stegno aggressivo alla causa,per così dire, che con l’inviodell’ordigno alla sindaca (for-se non l’unico) potrebbe avercompiuto un preoccupantesalto di qualità.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

La vicenda

● Lunedìmattina unplico esplosivoviene trovato alPalazzo Civicodi Torino. Èindirizzato allasindaca diTorino, ChiaraAppendino. Ilmittente delplico è «ScuolaA. Diaz. Via C.Battisti 6,16145Genova».Destinatario:ufficio dellasindaca

● Dentroci sono unabatteriada 9 volt, ungroviglio di filidi ramee un sacchettocon una decinadi grammidi polvereesplosiva

● Il plicopotrebbeessere statospedito primadellamanifestazioneanarchica del30 marzo, cheseguiva quelladel 9 febbraio

● Gli anarchicihannoprotestatocontro l’arrestodi sei militantiaccusatidi associazionesovversivae altri reatie controlo sgomberodell’Asilooccupato di viaAlessandria

Prato, la donna dal giudice

«Aveva 14 anni, io ero innamorata»

«E ro innamorata di quelragazzino, ho perso latesta. Ma non l’ho sfiorato

sino a quando non ha compiuto 14anni». Davanti al gip di Prato, perdue ore e mezzo, l’operatricesanitaria agli arresti domiciliariaccusata di «violenza sessuale perinduzione» nei confronti di unminore di 14 anni dal quale ha avutoun figlio, ha raccontato la sua verità.E ha giurato al giudice che per leiquella non era una storia solo di

sesso e che a quel ragazzino volevabene davvero. Il giudice le hacontestato le accuse mosse dallaProcura. Lunedì il Tribunale delRiesame deciderà sul ricorsopresentato dai legali della donna,Mattia Alfano e Massimo Nistri, chehanno chiesto la revoca degli arrestidomiciliari. E in settimana saràascoltato anche il ragazzino: le suedichiarazioni avranno valore diincidente probatorio, di rilievo perle sorti della donna. © RIPRODUZIONE RISERVATA

L’indagine

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Piazza Mazzini e area Sardelli, tutto pronto per l’inaugurazione

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21Mercoledì 3 Aprile 2019

IL PRIMO GIORNALE DEGLI IMPRENDITORI, DEGLI OPERATORI E DEI PROFESSIONISTI DELLA TERRA E DELL’AGROINDUSTRIA

con

CELELE

in edicola

LA PPACFISCCALFISCCALAgricoltura

OPERATORI E DEI PROFESSIONISTI DELOPERATORI E DEI PROFESSIONISTI DEL

OggiOggi

Unicredit misura il peso del made in Italy. I produttori sono 45 mila

Il vino vale 11 miliardi Al Nord prevalgono le Ig, al Sud i vini da tavola

DI ANDREA SETTEFONTI

Oltre 11 miliardi di euro di fatturato, spic-cata specializzazione produttiva, al Nord

si concentra gran parte della produzione Dop e Igp, mentre al Sud si realizzano i 2/3 della produzione nazionale di vini da tavola. Ma anche elevata propensione all’export, grazie a vini IG e spumanti, tanto che l’Italia è il secondo esportatore mondiale. E produce sempre più biologico, ormai pari al 16% dell’intera superfi cie naziona-le dei vigneti. È lo spaccato del vino italiano che emerge dall’Industry Book 2019 di UniCredit, ricerca che Ita-liaOggi anticipa in esclusiva. Quello del vino è un settore in continua crescita con circa 2 mila imprese industriali per un giro di affari di circa l’8% del fatturato nazionale del food&beverage, e una fi liera di oltre 300 mila aziende agricole, di cui circa 45 mila vinifi ca-trici. L’intero comparto, sot-tolinea l’Industry Book di UniCredit, denota una pro-pensione all’export elevata, il 19,8% del totale export

mondiale in valore, per 6,2 mi-liardi di euro generato sui mer-cati esteri con il 54% del fattu-rato totale, in aumento rispetto al 51% del 2017. Esportazioni che salgono al 58% per Dop e Igp e al 63% per gli spumanti. Dal lavoro svolto dal corporate marketing di Unicredit, emer-ge che tuttavia l’export soffre di un eccesso di concentrazione di mercati con tre Paesi che as-sorbono il 53,6% delle vendite: Stati Uniti, Germania e Gran Bretagna. Il vino italiano vive un buon momen-to, le aziende hanno saputo collocarsi con un prodotto di qualità ed un prezzo in-termedio tra il premium francese e il low pri-

ce della Spagna e questo ha permesso al made in Italy di ritagliarsi un ruolo da protago-nista. Ma c’è da fare di più. In particolare le aziende si devo-no organizzare per affrontare nuovi mercati. Inoltre occorre trovare una struttura finan-ziaria che possa far crescere le aziende perché le piccole im-prese hanno diffi coltà ad anda-re all’estero. Quello del vino è un settore nel quale Unicredit crede molto. Come sottolinea

Andrea Casini, co-head commercial banking Italy

di UniCredit. «Grazie a una forte focalizzazione con specialisti e servizi dedicati, nel 2018 abbia-mo triplicato le nuove erogazioni a favore del settore, superando così i 320 milioni di euro.

Un impegno a favore del vino italiano nel mondo

che spazia dal soste-gno alla filiera,

con interventi di Reverse Factoring, a

finanziamenti realizzati per l’invecchiamento del prodotto, studiati ad hoc sulle esigen-ze delle aziende vinicole». Da un punto di vista dei bilanci, l’indebitamento delle imprese vinicole è prevalentemente dato da debiti bancari, tra il 70 e l’80%, ci sono pochissime obbligazioni. Esiste, quindi, la possibilità di ristrutturare il debito con fonti diverse, come i mini bond. Per quanto riguarda le prospettive, per il prossimo quinquennio l’Oiv (Organiz-zazione mondiale del vino) stima un fatturato globale in crescita dell’1,5% annuo, tale da superare nel 2023 i 350 miliardi di dollari. Anche per l’Italia l’outlook si conferma moderatamente positivo, gra-zie soprattutto alla domanda estera mentre per i consumi interni le stime rimangono più caute. Guardando ai singoli Paesi, secondo un’elaborazione UniCredit su dati Nomisma Wine Monitor i mercati più interessanti per l’export di vino italiano nel 2020 saranno la Cina (+11,9% vini fermi e +18.4% spumanti), il Canada (+6,5 e +14,6%) e il Giappone (+4,2 e +12,2%).

da Bruxelles ANGELO DI MAMBRO

Nestlé scommette sugli analoghi della carne e lan-cia il suo hamburger vege-tale in Europa entro aprile. Fatto con proteine da soia e grano, estratti vegetali da barbabietola, carota e pe-perone, nei prossimi giorni l’imitazione del macinato di manzo troverà posto ne-gli scaffali dei surgelati di Austria, Belgio, Danimar-ca, Finlandia, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia. Poi, in autunno, lo sbarco negli Usa.

Una mossa, quella della multinazionale svizzera, che arriva il giorno dopo l’avvio della sperimenta-zione oltreoceano della ver-sione veggie del whopper, dagli anni 50 icona della catena fast food americana Burger King. Notizie che confermano la scommessa della grande industria ali-mentare sugli analoghi del-la carne, prodotti fatti con materie prime vegetali, ma lavorati per imitare in tut-to e per tutto gusto, colore e consistenza di hamburger e bistecche.

L’entusiasmo dell’in-dustria non trova tutti d’accordo nel vecchio con-tinente. Lunedì gli eurode-putati della Commissione agricoltura dell’Europarla-mento hanno approvato il rapporto sull’organizzazio-ne comune dei mercati del-la nuova Pac chiedendo che anche le denominazioni dei prodotti a base di carne sia-no riservate solo ad alimen-ti realmente fatti di carne, come già accade con latte e prodotti caseari. Ma l’arrivo sul mercato degli «hambur-ger» vegetali, su cui inve-stono giganti dell’industria planetaria della carne come Tyson Foods, sembra al momento inarrestabile. L’of-ferta di Nestlé si aggiunge ai prodotti dell’azienda olan-dese Vegetarian Butcher (3 mila punti vendita in 14 paesi) e dell’americana Be-yond Meat, che con i suoi Beyond Burgers è già presente sugli scaffali nella catena di supermercati bri-tannica Tesco.

MA L’UE FRENA

Carni veg,l’industria accelera

Conegliano Valdob-biadene mette al bando il glifosato. È la novità più di rilievo della 9ª edizione del protocollo viticolo, il do-cumento che propone e pro-muove un sistema virtuoso di difesa integrata della vite. L’area che dà origine al Prosecco Docg diventa la più estesa in Europa che ha vietato l’uso della sostanza chimica.

Nasce Rosautoctono, l’istituto del vino rosa au-toctono italiano. Ne fanno parte i Consorzi di tutela di Bardolino Chiaretto, Valtè-nesi, Cerasuolo d’Abruzzo, Castel del Monte, Salice Salentino e Cirò. Tra gli obiettivi, la creazione di un Osservatorio con l’ausilio di Valoritalia e Federdoc. Il ne-opresidente è Franco Cristo-foretti. In Italia il vino rosa rappresenta oggi il 6% dei consumi, mentre ogni cento bottiglie vendute in Francia più di trenta sono di rosé.

DI VINO

Record di export agroalimentare italia-no in Qatar: è cresciuto del 290,6% in dieci anni. Lo afferma Coldiretti su dati Istat in relazione alla visita del premier, Giusep-pe Conte, nell’ipermercato della catena Lulu del paese arabo, dove per la prima vol-ta sono in vendita prodotti a marchio Fai «Firmato dagli agricoltori italiani», con un spazio a loro dedicato.

«In riferimento al qua-dro pluriennale finan-ziario abbiamo espresso la premura, che non siano de-curtati i fondi per la politica agricola comune, che nel no-stro paese ha un equilibrio delicato; perciò non si deve ridurre il fi nanziamento». Lo ha detto il presidente del Consiglio, Giuseppe Con-te, al termine dell’incontro a palazzo Chigi con il pre-sidente della Commissio-ne europea Jean-Claude Juncker

FLASH

L’Italia produce troppo vino e fa fatica a venderlo, le canti-ne non si svuotano e un’altra vendemmia abbondante come quella del 2018 potrebbe essere un serio problema soprattut-to per la tenuta dei prezzi. Ed ecco la proposta dell’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari: ridurre le rese di produzione per ettaro anche dei vini varietali, quelli senza indicazione geografi ca. Come sottolinea Ruenza Santan-drea, responsabile del Coordinamento Vini dell’Allean-za, 480 cantine per il 58% di tutto il vino italiano, «vogliamo lanciare una serie di proposte per evitare che l’universo produttivo si trovi a dover subire passivamente l’andamento del mercato». Per Santandrea, «fare più qualità di per sé non è suffi ciente. Quindi proponiamo la riduzione delle rese massime di produzione di uva per ettaro per i vini senza Ig con indicazione della varietà e facciamolo per iniziare a dare qualche regola e quindi qualche forma di tutela e garanzia, anche al comparto dei vino da tavola». L’obiettivo è «portare le rese dalle attuali 50 ton/ha a livelli più ridot-ti. Diciamo poco più della resa massima per ettaro che le medesime varietà esprimono nelle Igt più produttive». Ma non basta. Importante è anche pensare ai vini a denomi-nazione e «verifi care se le rese massime uva/ettaro siano ancora attuali». Tra gli aspetti da non sottovalutare, «la riserva vendemmiale, negli anni buoni per mettere da par-te vino se l’anno successivo dovesse esserci un’improvvisa gelata, una grandinata o un altro incidente» e lo stoccaggio

«da usare perché la qualità va gestita e perché la quali-tà deve essere remunerata e, soprattutto, remunerativa».

Arturo Centofanti

Santandrea: c’è troppo vino

Supplemento a cura di LUIGI CHIARELLO

[email protected]

Andrea Casini

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23Mercoledì 3 Aprile 2019MercM E R C AT O A G R I C O L OPatto tra fi ere. Dopo Forlì occhi su Cremona e Piacenza

Parma si espandePrende la gestione di Fieravicola

DI MARIANGELA LATELLA

Alla vigilia di Cibus Connect, che apre i battenti il prossimo 10 aprile, fi ere di Par-

ma sigla l’accordo con Fiera di Forlì e ottiene la gestione di Fieravicola. Con questa partnership, Expo-Parma scippa l’evento al polo fi eristi-co riminese e sposta su di sé il baricentro delle Expo agroa-limentari. Il contratto siglato rappresenta un format inedi-to di joint venture fieristica che, per la sua ‘fl essibilità’, è già in odor di replica con altri quartieri fi eristici con eventi distrettuali, come Piacenza (che vuole mantenere e rilan-ciare il gioiello GeoFluid, ad esempio) o Cremona (leader nella zootecnia con la fi era del bovino da latte). In sintesi, il modello Parma e Forlì è una strada per consolidare alcuni eventi distrettuali. «L’accordo concluso», ha spiegato a Italia-Oggi Antonio Cellie, ceo di Fiere di Parma, «rappresenta un format inedito tra le part-nership fi eristiche dal momen-

to che si tratta di un affi tto di ramo d’azienda. Creeremo una società terza che assumerà la gestione in toto degli eventi e, in particolare, di Fieravicola, senza che quest’ultima ven-ga trasferita dalla sua sede tradizionale, ossia Forlì. Con questo modello non dovremo entrare nell’equity della socie-tà fi eristica forlivese, la quale a sua volta non è costretta ad espropriarsi di un suo asset. Allo scadere dei cinque anni di test, in caso di esito positi-vo, valuteremo se fare una call per defi nire nuove compagini azionarie del progetto fi eristi-co, che si è creato o continuare così». Intanto, in questi cinque annui, il polo parmense inve-stirà tra i 500 mila e gli 800 mila euro in attività di marke-ting e promozione, che fanno da contraltare ai circa 2 mln di euro che il comune di Forlì ha messo in campo per il restyling del polo fi eristico.

«Con questo accordo», preci-sa Gianluca Bagnara, pre-sidente della Fiera di Forlì, «non abbiamo dovuto cedere la proprietà dell’evento, come

ci chiedeva Rimini. Si tratta di un elemento importante per-ché le fi ere devono essere an-corate ai territori e ai distretti che rappresentano; in questo caso quello avicolo forlivese, eccellenza italiana. Il punto successivo dell’intesa prevede progetti congiunti di inter-nazionalizzazione, anche nel quadro del comitato Aefi , l’as-sociazione degli enti fi eristici italiani. Stiamo ragionando su un brand che identifi chi il sistema Paese, con cui parte-cipare ad eventi internazionali con la rappresentanza di ogni distretto dell’agroalimentare made in Italy. Tra i primi paesi target, ci sono quelli dell’Africa subsahariana, come Angola o Mozambico, che hanno ne-cessità di tecnologie made in Italy, con cui implementare il loro primario. Lo stesso vale per l’approvvigionamento ali-mentare, perché il loro siste-ma produttivo estremamente frammentato e disorganizzato non è in grado di supportare il massiccio processo di urba-nizzazione delle neo-metropoli africane».

IL CONSORZIO AGRARIO DI CREMONA e il Consorzio Casalasco del Pomodoro hanno siglato un ac-cordo con Timac Agro Italia, controllata della multinazionale francese Roullier, in base al quale quest’ultima metterà a disposizione il suo centro di ricerca per sviluppare fertiliz-zanti innovativi in grado di migliorare la resa quali-quantitativa del pomodoro da industria italiano, ampliando così i margini di guadagno delle aziende agricole.

COLDIRETTI, FILIERA AGRICOLA ITALIANA e Consorzio Agrario dell’Umbria hanno siglato un patto con

Novamont per dar vita a una fi liera italiana dell’olio di girasole altoleico per la produzione

di biolubrifi canti, bioplastiche e bioerbicidi. Per il 2019 i 1.200 ha a girasole altoleico dell’Umbria produrranno 2.500 tons di se-

mi che saranno lavorati dalle bioraffi neria Novamont.

IL GRUPPO FERRERO compra la divisione biscotti, snack alla frutta, gelati e crostate da Kellogg company per 1,3 mld di dollari (1,16 mld di euro) in contanti. Lo ha annunciato una nota della società, nella quale si specifi ca che questi business hanno generato un fatturato di circa 900 mln di dollari nel 2018. Ferrero acquisirà in portafoglio i marchi Keebler, Famous Amos, Mother’s, Murray, Little Brownie Bakers. In acquisizione anche il busi-ness degli snack alla frutta Kellogg`s, compresi gli snack Stretch Island e Fruity, insieme a coni gelato e crostate Keebler’s.

IL TORREFATTORE REGGINO CAFFÈ MAURO ha chiuso il 2018 con un fatturato di 20,3 mln euro. Terminata la lunga fase di ristrutturazione aziendale, l’azienda punta a raggiungere i 23 mln euro di qui al 2021, grazie al consolidamento del canale horeca in Italia e all’estero e dell’e-commerce. Nei programmi anche l’apertura di un fl agship store a Milano.

IL CONSIGLIO REGOLATORE DELLA DO CAVA ha deciso d’au-mentare da 10 a 30 euro/ha il contributo ai produttori per sviluppare n progetto di differenziazione delle tipologie di vino in funzione delle caratteristiche delle diverse zone di produzione.

LA DIVISIONE CACAO DELLA MULTINAZIONALE AMERICANA CARGILL ha siglato un accordo per acquisire il gruppo

belga Smet, specializzato nella produzione di corpi cavi e decorazioni in cioccolato. La fi nalizzazione dell’operazione, i cui dettagli fi nanziari non sono

stati resi noti, è attesa entro il primo semestre di quest’anno.

Luisa Contri

RISIKO AGRICOLO

Consolidare in primo luogo la lea-dership in Europa. E, al contempo, la-vorare per incrementare il presidio dei mercati extra Ue. Continuare a crescere attuando politiche improntate all’eccel-lenza del prodotto abbinate a strategie di tutela dell’ambiente, in collaborazio-ne con la base agricola. Sono queste le priorità della Mutti, azienda parmense oggi primo trasformatore italiano di po-modoro con quasi 285 mln di tonnellate nei tre stabilimenti di Chiarugolo-Pr (284,5 tons), Pomodoro 43044 (ex Copador) di Collecchio-Pr (200 mila tons) e Fiordago-sto di Oliveto Citra-Sa (50 mila tons).

«Veniamo da oltre 20 anni di crescita costan-te», ha detto Francesco Mutti, amministratore delegato e azionista di riferimento dell’azienda di famiglia col 75,5% delle quote custodite dalla cas-saforte di famiglia, la Red Lions. «I risultati 2018, nonostante un mercato domestico

in contrazione del 4%, sono stati più che soddisfacenti, con un +2,8% sul fron-te interno e un+17% su quello estero. Abbiamo chiuso l’esercizio con un fat-turato di 308 mln di euro, pari a una crescita del 16,7%, riconducibile al con-solidamento di «Pomodoro 43044», ma soprattutto al fatto che il consumatore italiano e straniero sta premiando la nostra scelta di perseguire l’eccellenza del prodotto. Non per niente siamo ac-creditati di un quota del 29,4% sul mer-cato domestico, ossia più del triplo del

nostro principale competitor (Ci-rio, ndr). E di una del 10,6% a livello Europa, dove siamo pri-ma marca in Francia, Svezia, Danimarca, Norvegia, Finlan-dia e Slovenia e seconda mar-ca in Germania. Puntiamo a crescere del 10% anno su anno di qui al 2022, incrementando progressivamente il peso del-

le esportazioni, che oggi rappresentano il 35% dei ricavi e il 40% dei volu-mi, ma che fra 4 anni dovreb-bero superate il 50% a valo-

re, grazie anche agli investimenti in atto in Australia e negli Usa, dove all’inizio del 2018 abbiamo aperto una fi liale sul-la quale investiremo circa 10 mln euro in tre anni».

Pur lavorando per garantire solidità alla sua azienda, anche con l’appoggio di lungo periodo del socio Verlinvest, il family offi ce dei proprietari del gruppo AbInbev entrato nel capitale di Mutti nel 2016, Francesco Mutti non guarda solo ai risultati economici e a soddisfare il consumatore con una qualità e un’in-novazione adeguata. Vuole anche creare valore per il territorio.

Si spiegano così le diverse iniziative improntate alla sostenibilità ambien-tale portate avanti negli anni. «Dei ri-sultati ottenuti in termini di riduzione dell’uso d’acqua e d’emissioni di CO2 non parlo ormai neppure più. Sono pra-tiche diventate un tutt’uno della nostra cultura aziendale, al pari della nostra scelta di non realizzare nuovi capanno-ni, ma di acquistarne di dismessi per evitare un’ulteriore cementifi cazione delle nostre campagne, anche quan-do questo comparta costi in più per il micro trasporto. Ora siamo impegnati in un nuovo e articolato progetto per preservare la biovidersità negli agro-

ecosistemi del pomodoro attraverso la realizzazione e il mantenimento di aree verdi come siepi, alberi e boschet-ti, l’allestimento di nidi per rondini, balestrucci e rondoni, e la costruzione di laghetti e stagni. Così intendiamo contribuire a restituire spazio alla na-tura, a garantire l’alimentazione e la riproduzione della fauna selvatica e a mantenere la biodiversità della fl ora e la ricchezza del paesaggio».

Guardando al prossimo futuro, Mutti esclude la quotazione in Borsa, almeno fi ntanto che i rapporti con il socio Ver-linvest si manterranno buoni come lo sono oggi. E non progetta d’andare a produrre pomodoro all’estero. «Ci vo-gliono almeno 10 anni», afferma Mutti, «per arrivare a far sì che gli agricoltori producano pomodoro secondo gli stan-dard di qualità che abbiamo fi ssato per il prodotto a nostro marchio, e per al-meno altri 7 anni sarò impegnato in prima persona per raggiungere questo traguardo insieme ai conferitori di po-modoro degli stabilimenti di Collecchio e di Oliveto Citra. Ho già compiuti 50 anni. Andare a produrre all’estero non è quindi nel mio orizzonte tem-porale…».

Luisa Contri

Mutti punta dritto sui mercati extra Ue, ma il pomodoro resta made in Italy

Francesco Mutti

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24 Mercoledì 3 Aprile 2019 M E R C AT O A G R I C O L ONuova tendenza nell’alimentare: scuole e pubblicazioni verticali mirano a rafforzare le fi liere

Spunta l’università di prodottoCorsi specialistici di pizza, birra, farina per generare valore

DI DANIELE COLOMBO

Storytelling. Oggi è la parola magica per far lievitare il valore del prodotto. Senza quello

è diffi cile sventolare il vessillo della sostenibilità economica e permettere alle fi liere di stare in piedi. Nascono così le Uni-versità di prodotto. Ci crede a questo progetto Petra-Molino Quaglia, 42 mln di euro di fat-turato annuo, 4 mila quintali di farine prodotte ogni giorno. A Identità Golose ha presentato il nuovo format, l’Università della farina, che segue quella della Pizza. A Vighizzolo d’Este, in provincia di Padova, un antico molino di famiglia su cinque piani, non più produt-tivo, è stato trasformato in una scuola. Da settembre ospiterà i corsi per dare lezioni a tutti gli attori della fi liera. Saranno 14 giorni di full immersion di-stribuiti in un mese e mezzo. «Mettiamo insieme le esigenze dei produttori della farina e gli utilizzatori: facciamo da trait d’union e sistema», spiega Pie-ro Gabrieli, direttore marke-ting di Petra-Molino Quaglia. Oggi il prezzo basso condiziona tutta la fi liera e il prodotto fi na-le. Il valore pende troppo verso l’arte bianca di trasformazione. La maestrìa è necessaria, ma l’artigiano deve essere in grado di capire che tipo di farina sta scegliendo, perché utilizza quel-la, con quali varietà di cereali. Per remunerare il contadino in

modo congruo. Il consumatore che paga qualcosa in più per la pizza o il pane diventa, così, parte di un progetto di valoriz-zazione». L’esempio di come si possa produrre valore è rappre-sentato da Petra Evolutiva, farina di grano tenero biologico e siciliano, il prodotto di punta dell’azienda. È stato sviluppa-to con Simenza, associazione che riunisce 180 soci produttori dell’Isola. «A loro retribuiamo quattro volte il prezzo del grano italiano. Siamo così partecipi di un progetto di fi liera cui diamo

valore per far vivere il con-tadino». Con l’Università

della farina l’azienda intende replica-re la fortunata Università

della pizza. Che ha innesca-to una rivoluzio-

ne della materia prima, facendo fare un

salto di qualità a migliaia di pizzaioli, a benefi cio di tutti gli attori della fi liera. Il risulta-to è anche fi nito nero su bianco con un Almanacco. Il volume ha immortalato i 15 pizzaioli che più hanno applicato le idee innovative nella preparazione degli impasti, da Renato Bo-sco a Simone Padoan.

Dal food al beverage. Dopo una fase di start up, a Identità Golose ha fatto il suo debutto ufficiale l’Università della birra. La sede è a Lambrate, circa 1.200 metri quadri di spazio per aule di formazione e laboratori. Un progetto mes-so in piedi da Heineken Ita-lia. L’obiettivo è lo stesso, ma più concentrato sulla filiera commerciale. Il clima spinge

a maggiori consumi di birra. Negli ultimi cinque anni la cre-scita è stata del 44,5% secondo una ricerca commissionata da AssoBirra ad AstraRicer-che. E conquista le donne (il 70% delle italiane beve birra). In base al secondo Rapporto di Osservatorio Birra, il set-tore vale quasi 9 miliardi, più di quello dei salumi, fermo a 8 miliardi. «Siamo una scuola di formazione interna all’azien-da Heineken Italia e non rila-sciamo diplomi o certifi cati», ci tiene a sottolineare il direttore, Massimo Furlan. «Lo scorso anno abbiamo portato in aula mille persone e quest’anno puntiamo a raddoppiarlo. A catalogo abbiamo una dozzina di corsi che mediamente dura-no una giornata: sono monote-matici più una piattaforma di e-learning. Il mercato della bir-ra è in aumento e c’è necessità di spiegare meglio le diverse caratteristiche: la cultura di prodotto fa capire il valore che c’è dietro». Occorre insomma alzare il livello di conoscenza e innovazione. Il consumatore è sempre più esigente. A Identità Golose, Heineken ha lanciato la nuova Birra Messina Cri-stalli di Sale. Una lager con cristalli di sale siciliano, da fi ne marzo sul mercato, frutto della partnership con la Cooperati-va Birrifi cio Messina. In oc-casione della Milano Design Week Heineken presenterà poi una collezione di bottiglie di design uniche e numerate in versione «unlimited», la cui etichetta è stata creata con l’in-telligenza artifi ciale. Non è più tempo per accontentarsi di sole bionde o rosse.

SIMONA CASELLI RICONFERMATA ALLA GUIDA DI AREFLH, l’associazione delle regioni europee dell’ortofrutta. Asses-

sore regionale dell’Emilia Romagna, sarà affiancata dal presidente del collegio dei produttori Jean-Louis Moulon, anche lui riconfermato nella carica. Del consiglio di amministra-zione ne fa parte anche la Aop Finaf di Villanova di Castenaso (Bo). Dentro Arefl h per l’Italia ci sono Basilicata,

Emilia-Romagna, Piemonte, Trentino e Valle d’Aosta. Per i produttori, oltre a Finaf, ne fanno parte Assomela, gruppo Viva, Cio, Romandiola, Aop Italia, Ciop e Aop Piemonte. contact@arefl h.org

LUCA BERNAREGGI, eletto presidente dell’Ancc-Coop (As-sociazione Nazionale Cooperative di Consumatori). 56 anni, milanese, Bernareggi è al suo primo mandato nazionale. È stato presidente di Legacoop Lombardia e vicepresidente vicario di Legacoop nazionale. Al fi anco di Bernareggi ci sarà il vicepresidente Adriano Turrini, presidente di Coop Al-leanza 3.0. [email protected]

MARCO VALLE E STEFANO SACCHETTO sono stati nominati rispettivamente ma-naging director e chief operating offi cer di Cioccolatitaliani. Marco Valle, dopo il percorso in Lavazza è passato a Bosca Spumanti 1831 in qualità di general manager. Stefano Sacchetto ha avuto

esperienze in McDonald’s, Eni, Venchi e Percassi F&B. [email protected]

MATTEO BOSO è stato eletto presidente dell’associazione Oi Carne Bovina-Oicb. La nomina di Boso, allevatore veneto, è avvenuta in concomitanza con l’ingresso in Carne Bovina-Oicb anche dell’as-sociazione tra produttori di alimenti zootecnici-Assalzoo. Carne Bovina-Oicb è stata costituita a novembre 2018 da Assograssi, Fiesa-Confesercenti, Cia, Confagricoltura, Copagri e Uniceb.

CAMBIO DELLA GUARDIA alla guida dei pensionati di Anp Cia Toscana. Dove Enrico Vacirca, eletto all’unanimità, prende il posto di Alessandro Del Carlo, da qualche mese nominato presidente nazionale di Anp Cia Vacirca, nato a Prato 67 anni fa, è entrato in Cia (allora Costi-tuente Contadina), nel 1977 come vicepresidente di una cooperativa giovanile. [email protected]

NUOVO PRESIDENTE PER AGRITURIST PIEMONTE. Si tratta di Lorenzo Morandi, titolare dell’agriturismo Tenuta La Fisca-la a Spinetta Marengo (AL), una dimora risalente al 16esimo secolo, e di un’azienda agricola a indirizzo cerealicolo.

DIEGO SCARAMUZZA, veneto, è stato confermato presiden-te di Terranostra. 49 anni, di Venezia, promotore dell’Accademia degli Agri-chef di Campagna Amica, chef, Diego Scaramuzza sarà coadiuvato da due vice presidenti, Stefania Grandinetti e Gabriele Maiezza. Fanno parte della giunta esecutiva, Simone Ferri Graziani, Cristina Scappaticci, Elena Tortoioli e

Filippo De Miccolis. [email protected]

ANTONIO MANCA, enologo della Cantina Trexenta di Sernobi, in provincia di Cagliari, è stato eletto vice presidente dell’Assoenologi Sardegna, l’associazio-ne di categoria dei tecnici vitivinicoli presieduta da Mariano Murru. La cantina, nata nel 1956 dall’idea di 23 viticoltori trexentesi, ha oggi circa 200 ettari di vigneto. Manca è l’enologo della Cantina Trexenta da cinque anni. [email protected]

POLTRONE IN ERBA

Il pecorino sardo sbarca a Parigi. L’evento è previsto per il prossimo 12 aprile, quando i for-maggi pecorini prodotti da 14 allevatori di ovi-ni della provincia di Nuoro, verranno venduti sul mercato parigino. È una sorta di «rivincita» dopo le manifestazioni di protesta di un mese fa, che hanno avuto come esito l’aumento del prezzo del latte ovino pagato alla stalla a 74 centesimi al litro. L’iniziativa è stata presentata nei gior-ni scorsi a Bitti, in provincia di Nuoro, in occasione di «Bi-thi di Barbagia». E ha avuto due pro-motori d’eccezione: Flavio Briatore e Oscar Farinetti, disponibili a vende-re i prodotti caseari made in Barbagia. Specie Farinetti, che già vende i pecorini sardi negli store Eataly di mezzo mondo. «I pastori della Sardegna fanno fatica a vendere i loro prodotti in quantità interessante», ha afferma-to; «l’obiettivo è riuscire a invertire le propor-zioni entro 4-5 anni e vedere trasformato tutto il latte prodotto». Il 12 aprile proprio Farinetti aprirà un nuovo centro Eataly a Parigi dove saranno presenti i pecorini della provincia di

Nuoro. Briatore, che da anni sponsorizza i pro-dotti sardi nel suo locale Billionaire di Porto Cervo, ha aggiunto: «Abbiamo un prodotto che direttamente dall’isola va alla distribuzione, senza passaggi intermedi, in catene d’eccel-lenza come Eataly e Cipriani. Ora bisogna attaccare il mercato, avere un prezzo congruo assieme alla qualità, aumentare i quantitativi.

In questo senso pos-siamo far qualcosa di importante per promuovere i peco-rini sardi». Così 14 allevatori di Bit-ti, Orune, Sarule, Nule e Bultei, pun-tano a trasformare autonomamente l’intera produzio-ne di latte ovino e a fare 1.500 quintali di formaggio. Nelle

intenzioni, lo sbarco a Parigi è solo il primo passo della «rivincita» degli allevatori sardi; un passo che vuol rappresentare una svolta nel mercato dei formaggi, col prodotto di nic-chia che passa direttamente dal produttore al consumatore, presentandosi con autorevolezza all’estero. E non più solo nei mercati italiani e isolani.

Paolo Caboni

Il pecorino dei pastori sardi sbarca a Parigi

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25Mercoledì 3 Aprile 2019MercM E R C AT O A G R I C O L OAsse Tunisia-Lega Araba. Roma all’angolo. La Spagna sostiene la guida uscente

Italia inerte sul governo dell’olioIl tunisino Ghedira verso la riconferma al vertice del Coi

DI ALBERTO GRIMELLI

Nello scontro tra Italia e Spagna al Consiglio oleicolo internazio-nale (Coi), chi potreb-

be beneficiarne è il tunisino Abdellatif Ghedira, attuale direttore esecutivo dell’or-ganismo internazionale e lo spagnolo Jamie Lillo, attuale direttore aggiunto, mettendo così nell’angolo il nostro Pae-se. Proprio Ghedira, con una lettera uffi ciale ai capi delega-zione degli Stati membri, si è autocandidato alla guida del Coi fino al 2023. Una mossa senza precedenti che avviene dopo che la Tunisia è riuscita a ricomporre le frizioni interne al

mondo arabo, ottenendo anche l’appoggio della Turchia. Deci-sivo l’apporto della Lega Ara-ba, con il segretario generale Aboul Gheit che, nel corso di un incontro a Madrid presso la sede dell’ambasciata tunisina in Spagna con alti funzionari del Coi, ha assicurato l’attivo supporto della Lega per la ri-conferma di Ghedira. Un at-tivismo che, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, si manife-sterà soprattutto in Egitto, nel corso della programmata riu-nione del Comitato consultivo del Coi a fi ne aprile, alla quale, per la prima volta, parteciperà anche la Lega araba come os-servatore. I tempi della lettera di Abdellatif Ghedira non sono casuali, visto che il prossimo 8 aprile a Bruxelles si riuni-rà il Comitato prodotti di base dell’Unione europea che, all’ordine del giorno, ha anche la questione del rinnovo del vertici del Consiglio oleicolo internazionale, in scadenza a fi ne anno. Secondo accordi di-

plomatici precedenti, la guida del Coi spetterebbe all’Italia e su queste basi il nostro mini-stero degli esteri ha bloccato il blitz spagnolo di fi ne gennaio per una riconferma del ticket Ghedira-Lillo. Ora, però, l’Italia nicchia. Infatti, il responsabile relazioni esterne della direzio-ne generale della Farnesina per l’Ue, Amedeo Trambajolo, che ha il dossier Coi sul proprio tavolo al ministero degli esteri, non ha ancora ricevuto da Feli-ce Assenza, direttore generale per le Politiche internazionali ed europee al Ministero delle politiche agricole, il nome del candidato italiano a direttore esecutivo del Consiglio oleico-lo internazionale. Uno stallo

che potrebbe pregiudicare le possibilità dell’Italia di far valere gli accordi diplo-matici precedenti. Il tutto avviene proprio mentre tra Italia e Spagna, nel corso del Comitato degli esperti del Comitato consultivo del 26 marzo scorso, sono volati gli stracci sul panel test. Se, a parole, la Spagna sostiene il metodo di analisi organo-lettico per la classifi cazione degli olivi di oliva, nei fatti cerca di depotenziarlo, ri-

fi utando l’ipotesi italiana di un arbitrato Coi nel caso di giudizi diversi tra comitati di assaggio. Sempre più spesso, infatti, ac-cade che gli oli extra vergini di oliva, così classifi cati da comi-tati di assaggio spagnoli, ven-gano poi contestati da panel di altre nazioni, dando luogo a contenziosi che sfociano sui me-dia e nei tribunali. La proposta iberica, invece, vorrebbe che il risultato analitico di un comita-to di assaggio sia insindacabile per un periodo variabile tra i 6 e i 12 mesi. Uno scontro tecni-co che, in realtà, nasconde forti interessi commerciali spagnoli. La Spagna, da qualche anno, sta infatti erodendo quote di mercato all’Italia sui mercati internazionali, con una politica di qualità e prezzi bassi.

È colpa dell’Italia se l’Unione europea non stan-zia più fondi per combatte-re l’emergenza Xylella fa-stidiosa in Puglia, che sta uccidendo milioni di olivi. È quanto hanno scritto i commissari europei per la salute e la sicurezza alimentare e per l’agricol-tura e lo sviluppo rurale, Vytennis Andriukaitis, e Phil Hogan, e Genna-ro Sicolo, presidente di Italia Olivicola. Nelle tre pagine i commissari mostrano una disponibi-lità di Bruxelles a stan-ziare ulteriori fondi, fi nora «erogati solo in misura li-mitata» per la «carente at-tuazione» della decisione Ue 2015/789, contenente le misure per arginare la Xylella. Nella stessa lettera i commissari si dicono disponibili a prendere in considerazione, «qualora l’Italia ne faccia uf-fi cialmente richiesta», «la possibilità di erogare ai proprietari delle piante distrutte indennizzi di importo pari al valore delle stesse». Attual-

mente è lo stato italiano, con risorse proprie, come previ-sto dal decreto 7874 del 10 agosto 2018, a garantire in-dennizzi per i danni causati da Xylella. Nella risposta a Italia Olivicola che, facen-do una stima dei danni e delle risorse necessarie per far ripartire l’olivicoltura pugliese, ha chiesto l’eroga-zione di 500 mln di euro da parte di Bruxelles, sono indi-cate alcune vie per arrivare a questo risultato, a partire dalla modifi ca del Psr Pu-glia. I commissari hanno poi aperto a un confronto con i direttori generali euro-pei Anne Bucher e Jerzy Plewa, rispettivamente DG Sante e DG Agri. «Chiedere-mo al ministro delle politiche

agricole, Centinaio, e al pre-sidente della regione Puglia,

Emiliano, di accompagnarci negli incontri tec-nici con i direttori generali per dare risposte concrete e rapide al territorio distrutto dalla Xylella», ha dichiarato Gennaro Sicolo.

Alberto Grimelli

Zero fondi Ue alla Xylella? Colpa dell’Italia

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sviluppo economico e il lavoro, Luigi Di Maio, il ministro per il Sud, Barbara Lezzi, e il sottosegretatio alle politiche agricole Alessandra Pesce, ottenendo lo stanziamento di 300 milioni di euro che si andranno ad aggiungere ai 30 milioni già previsti dal decreto emergenze del ministro delle politiche agricole, Gian Marco Centinaio. In particolare il ministro Lezzi ha annunciato di aver già pronto l’emenda-mento per arricchire il decreto in fase di conversione in legge. Promettendo ulteriori fondi per l’olivicoltura nel decreto cre-scita, che verrà approvato presto dal Consiglio dei ministri, Di Maio ha anche garantito una celere approvazione del decreto emergenze alla Camera: «10 giorni per presentare gli emendamenti e 5 o 6 per quelli in Aula».

Per l’olivicoltura 300 mln

lLautocandidatu-ra di Ghedira su www.italiaoggi.it/documenti

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agLa lettera dei commissari europei

Abdellatif Ghedira

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La testa di agnello lasciata da ignoti al cancello della sede del Parco di Pescasseroli in Abruzzo, dove Andrea Gennai (in alto a destra) dirige il settore anti-abusi nel Parco. A destra, il foglio con le minacce

nel mirino in abruzzo il vecchio capo di san rossore

Minacce di morte all’ex direttore del Parcoper la battaglia anti abusi: «Atto mafioso»Testa di agnello e la scritta «Ti demoliamo» contro Gennai. Lui: «Dovrei denunciarli per avermi dato del senese»

niente più abbattimenti

Il ministero: vietato sparare ai lupi ma la Toscana vuol stoppare il piano

Francesco Turchi

PISA. Una testa di agnello scuoiata e sanguinante appe-sa all’inferriata insieme a un foglio con insulti e minacce di morte. Un gesto intimida-torio nei confronti del pisa-no Andrea Gennai, 49 anni, attuale responsabile del ser-vizio tecnico del Parco nazio-nale d’Abruzzo, Lazio e Moli-se ed ex direttore – dall’apri-le 2013 al settembre 2016 – del Parco di Migliarino, San Rossore e Massaciuccoli. A fare la macabra scoperta so-no state le dipendenti all’a-pertura del Centro visita del Parco a Pescasseroli (L’Aqui-la).

Un atto intimidatorio nei confronti di Gennai che, ol-tre ad essere in lizza per la di-rezione dell’ente, sta portan-do avanti dal momento del suo insediamento una batta-glia contro gli abusi edilizi all’interno del parco, attra-verso una serie di ordinanze di demolizione. E nel mes-saggio – scritto in stampatel-lo con un pennarello blu su un foglio bianco – affisso ac-canto alla testa di agnello, si fa riferimento proprio a que-sto tipo di attività: «Gennai pezzo di m... tornatene a Sie-na dai tuoi figli o va a finire che noi demoliamo te».

Non si tratta dunque – co-me ha sottolineato anche l’ente in un comunicato stam-pa - «né di una bravata, né di una minaccia generica o per-sonale. È un chiaro riferi-mento alle attività di repres-

sione di abusi messe in atto dall’ente, che prende di mira il responsabile dell’ufficio di-rettamente impegnato nei procedimenti».

Dopo il ritrovamento, le di-pendenti hanno allertato il servizio di sorveglianza e so-no stati chiamati i carabinie-ri che hanno provveduto a fa-re i rilievi all’ingresso del cen-tro visite del parco da cin-quantamila ettari. Gennai ed altri funzionari sono stati ascoltati dagli inquirenti, che hanno anche visionato i filmati delle telecamere di

sorveglianza che potrebbero aiutare a far luce su quanto accaduto e ad individuare i responsabili.

Nel frattempo al quaranta-novenne pisano sono arriva-ti centinaia di messaggi di so-lidarietà, compreso quello del presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio che ha condannato «un ge-sto di vigliaccheria verso chi quotidianamente svolge il proprio lavoro a tutela di un area protetta, riferimento di migliaia di turisti», mentre il presidente dell’ente, Anto-

nio Carrara, ha parlato di «at-to tipicamente mafioso, che colpisce il Parco e le attività di controllo del territorio e re-pressione di abusi che si stan-no realizzando e che, eviden-temente, disturbano gli inte-ressi di qualcuno che ricorre a gesti di intimidazione».

Gennai, presidente dell’As-sociazione italiana direttori e funzionari delle aree pro-tette, da quando è tornato in Abruzzo (dove aveva già la-vorato negli anni Novanta) nel gennaio 2017, ha inizia-to la battaglia per la legalità

all’interno dell’area del Par-co, con una serie di ordinan-ze di demolizione di edifici abusivi, che prevedono – in caso di inosservanza – la con-fisca dei terreni sui quali rica-dono e la distruzione degli immobili da parte dell’ente, con spese a carico del pro-prietario. Un’operazione di tutela del territorio che l’ha fatto finire nel mirino.

«È un momento delicato – spiega lo stesso Gennai – pre-ferisco non commentare quanto è accaduto. Ovvia-mente le tante manifestazio-ni di vicinanza che mi sono arrivate in queste ore mi han-no fatto piacere», di fronte a un gesto intimidatorio che però non gli ha tolto l’ironia: «Perché mi hanno scritto di tornarmene a Siena? Guar-di, non lo so proprio. Eviden-temente sono anche ignoran-ti in geografia. Anzi... dovrei denunciarli solo per avermi dato del senese, visto che so-no pisano».

Gennai, che è anche docen-te universitario a Pisa e alla Sapienza a Roma, è in corsa per la poltrona di nuovo di-rettore del Parco nazionale, insieme a Luciano Sammaro-ne e Pietro Oieni: il tris di can-didature è sul tavolo del mi-nistro dell’ambiente Sergio Costa, che sceglierà tra i no-mi proposti dal Parco. «Non so – conclude il funzionario – se c’è un collegamento tra questo atto intimidatorio e la possibilità che io venga no-minato direttore. Ma io vado avanti». —

BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Roberto Giovannini

ROMA. Niente abbattimenti, niente doppiette, niente piombo per uccidere i lupi che di tanto in tanto si incro-ciano con il bestiame negli al-peggi di montagna. Nel nuo-vo “Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia”, elaborato dopo molti mesi di discussioni e confronti dal ministro dell’Ambiente Ser-gio Costa per sostituire quel-lo risalente ormai al 2002, non c’è dunque il paragrafo sugli “abbattimenti controlla-ti”, contemplati nel piano consegnato nel 2017 dal mi-nistero guidato all’epoca da Gianluca Galletti, che aveva provocato accese polemiche.

Allora erano gli ambientali-sti a protestare contro una mi-sura punitiva per una specie fondamentale per la biodi-versità, salvatasi per un pelo dall’estinzione, e tutelata da rigide norme italiane ed euro-pee per ben 48 anni. Stavolta protestano invece le associa-zioni degli allevatori, e proba-bilmente lo faranno anche la Regione Veneto e la provin-cia di Trento, tutt’e due a gui-da leghista: il Carroccio da tempo ha deciso di cavalcare la protesta di chi di tanto in tanto trova una pecora o una mucca all’alpeggio mangiata dai lupi.

I danni (nell’ordine di 200 mila euro annui, non certo in-gentissimi) sono sempre eco-nomicamente compensati,

ma ormai la questione è di-ventata simbolica, e dunque politica. E non è affatto detto che il Piano del ministro Co-sta – già entrato nel mirino della Lega, e che vede anche una certa freddezza da parte della provincia di Bolzano e della Regione Toscana – rie-sca a superare il vaglio della Conferenza Stato-Regioni, che dovrà formalmente ap-provarlo. «Non servono ab-battimenti, ma una strategia che abbiamo delineato in 22 azioni di mitigazione», spie-ga il ministro Sergio Costa, precisando che «la conviven-za con i lupi è possibile», e che la strada è quella di «una prevenzione attiva e diversifi-cata dei possibili conflitti» con greggi o altri animali pre-

da o di eventuali danni all’a-gricoltura. Tra le 22 azioni in-dicate si prevede un maggio-re contrasto al bracconaggio e la prevenzione delle ibrida-zioni tra lupi e cani, causa dei maggiori contrasti con le atti-vità produttive sul territorio; un maggiore coinvolgimen-to del ministero dell’Ambien-te nel monitoraggio attraver-so il suo istituto di ricerca Ispra, e una diffusa informa-zione e comunicazione pub-blica dell’impatto dei cani va-ganti e degli ibridi lupo-cane sulla conservazione della specie. Attualmente, si legge nel piano, sulle Alpi si stima ci siano 293 individui (erano 100-130 nel 2015), mentre sugli Appennini sono 1.580 animali in media. L’Italia ospita circa il 9-10% dei lupi d’Europa, non considerando la Russia. Soddisfatte le asso-ciazioni ambientaliste da Le-gambiente al Wwf, a Lav ed Enpa, sino agli Animalisti ita-liani che parlano di “grande vittoria” e che chiedono subi-to la ratifica, avvertendo che rimarranno vigili sino al via li-bera definitivo esercitando

ulteriori pressioni sui deciso-ri. «Le Regioni favorevoli all’abbattimento dei lupi», in particolare Toscana e la Pro-vincia di Trento «si mettano l’animo in pace e votino ri-spettando la crescente sensi-bilità dei citta dini sui diritti degli animali», dice una nota di Animalisti italiani. Si gio-ca la carta “animalista” (ma sul lato delle vittime) anche la Coldiretti, che chiede di salvare «le migliaia di pecore e capre sbranate, mucche sgozzate e asinelli uccisi».

Ma ovviamente l’associa-zione agricola si muove a tu-tela degli allevatori delle zo-ne dove cominciano a farsi ri-vedere i lupi (e forse i lupi-ca-ni ibridi, considerati molto più pericolosi dagli scienzia-ti): «Non si possono costrin-gere alla fuga migliaia di fa-miglie che da generazioni po-polano le montagne, ma an-che i tanti giovani che fatico-samente sono tornati per ri-pristinare la biodiversità per-duta con il recupero delle sto-riche razze italiane». Ma for-se, chissà, c’è spazio per tutti, uomini e lupi. —Un lupo (immagine d’archivio)

Andrea Gennai, pisano, clas-se ’70, è stato a Pisa uno dei più prolifici e più scomodi di-rettori che la storia del Parco di San Rossore annoveri. In-stancabile e soprattutto in-flessibile contro abusi, è stato insieme all’ex presidente Fa-brizio Manfredi, denunciò la gestione allegra delle risorse dell’ente. Arrivato nel 2013, si accorse subito che qualco-sa nei conti non tornava e por-tò tutto in procura. Dal suo esposto è nata un’inchiesta e ora un processo che accusa la passata governance di aver utilizzato i bilanci del Parco come un bancomat. Imputati sono ancora oggi per pecula-to, abuso d’ufficio e falso ideo-logico l’allora presidente Ser-gio Paglialunga, 65 anni, di Pi-sa, da tempo al vertice del par-co delle Foreste Casentinesi e l’ex ragioniere capo, Vittorio Monni, 67 anni, pontederese, che secondo la Procura usava i soldi del Parco per offrire prestiti ai dipendenti. Dopo la laurea a Pisa, ha lavorato al Parco Nazionale in Abruzzo, alle Foreste Casentinesi, a San Rossore, datre anni inse-gna all’università e dal 2018 alla Sapienza di Roma, oltre ad essere dal 2010 consulen-te tecnico della trasmissione Rai Geo.

chi è

Lo scienziato che denunciò i bilanci “allegri”

Il toscano sotto attacco

6 ATTUALITÀ MERCOLEDÌ 3 APRILE 2019

IL TIRRENO