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J orge Luis Borges La casa di Asterione E la regina dette alla lu ce un figlio che si chiamò Asterione. Apollodoro, Biblioteca, III, l So che mi accusano di superbia, e forse di misantropia, o di pazzia. Tali accuse (che punirò al momento giusto) sono ridicole. È vero che non esco di casa, ma è anche vero che le porte (il cui numero è infinito) 2 restano aperte giorno e notte agli uomini e agli animali. Entri chi vuole. Non troverà qui lussi donneschi né la splendida pompa dei palazzi, ma la quiete e la soli- tudine. E troverà una casa come non ce n'è altre sulla faccia della terra. (Mente chi afferma che in Egitto ce n'è una simile) . Perfino i miei calunnia- tori ammettono che nella casa non c'è un solo mobile. Un'altra menzogna ridicola è che io, Asterione, sia un prigioniero. Dovrò ripetere che non c'è una porta chiusa, e aggiungere che non c'è una sola serratura? D'altronde, 10 una volta al calare del sole percorsi le strade; e se prima di notte tornai, fu per il timore che m'infondevano i volti della folla, volti scoloriti e spianati, come una mano aperta. Il sole era già tramontato, ma il pianto accorato d'un bambino e le rozze preghiere del gregge dissero che mi avevano ricono- sciuto. La gente pregava, fuggiva, si prosternava; alcuni si arrampicavano 15 sullo stilobate 3 del tempio delle Fiaccole, altri ammucchiavano pietre. Qualcuno, credo, cercò rifugio nel mare. Non per nulla mia madre fu una regina; non posso confondermi col volgo, anche se la mia modestia lo vuole. La verità è che sono unico. Non m'interessa ciò che un uomo può trasmet- tere ad altri uomini; come il filosofo, penso che nulla può essere comunicato 20 attraverso l'arte della scrittura. Le fastidiose e volgari minuzie non hanno ricetta nel mio spirito, che è atto solo al grande; non ho mai potuto ricordare la differenza che distingue una lettera dall'altra. Un'impazienza generosa non ha consentito che imparassi a leggere. A volte me ne dolgo, perché le notti e i giorni sono lunghi. 25 l. Per co mpr endere il racco nto di Borges bisogna tenere presente il mito di Asterione, più noto col nome di Minot a uro, di c ui diamo di seguito le informazioni essenzia li . Secondo la tr adizione più diffusa, Mina sse, fi glio eli Zeus ed E urop a, si fece re di Creta a da nno dei frate lli Racl a mant o e Sarpedonte, e a legittim az ione del suo diritto al trono chiese a Po seidone di far emergere dal mar e un tor o, promettendo di sacrifica rl o. Avendo poi tenuto per il bellissimo anima- le, si attirò la ve nd etta del clio: questi ispirò a ll a spo sa di Min asse, Pa sifae, un'irr esistibile passione per il toro, al quale e ll a si unì intr o du ce nd osi in una vacca !i gnea costruìtale da Deda lo. Da ll'union e na cqu e Asterione, il Minot a uro, mostro dal cor po umano e dalla testa taurin a, che il re rinchiu se nel lab irinto cos truito da Deda lo e dovette nutrire eli ca rn e uman a. Per ve ndicare la morte di suo fi glio Androgeo, eli cui era no responsabili gli Ateniesi, Minasse fece guerr a a cl Atene e, sco nfittala, le impo- se un tribut o eli vittime umane: periodicamente dovevano essere invi at i a Cre ta dei giovinetti e delle giovinette per essere dati in pasto al Minotauro. Per porre termin e a tale stato di soggezione, Teseo, figlio del re ateniese Egeo, si recò a Cre ta fra le vittime designate e, con l' a iuto di Aria nna, fi glia eli Minasse e di Pasifae, penetrò nel labirinto, ucc ise il Minotauro e, d opo essere uscito dall ' intrica to palazzo graz ie allo str a ta ge mma del gom itolo di lana che gli evitò di perdersi, ripartì per Atene con i suoi co mpag ni e con Arianna stessa. 2. infinito: l'ori ginale dice qual/ordici, ma non mancano motivi per in ferire che , in bocca di Asterione, qu es to agget ti vo numerale va le infiniti (N. d. A .) . 3. stilobat e: nel ba samento del tempio classico, è il piano sup erior e del cre pìcl oma , s ul quale poggiano le co lonne. 225

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RAPPRESE NT AZION E

:andami per il mbottirmi be­)Sa: allora an­furono ancora «Julius, vuoi

isse: «Scusa!» one da barba; . Più tardi mi le mollette da )Uona con me pra illavandi-

ncora e sento e il capo! enzio: la neve fa sussultare: ella sua mano azza per sape­enir scaraven­ti! "ultimo mo­. detto: «Que­ietto: «Scusa,

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Jristici e satirici, Jtini, Bompiani)

J orge Luis Borges

La casa di Asterione

E la regina dette alla luce un figlio che si chiamò Asterione.

Apollodoro, Biblioteca, III, l

So che mi accusano di superbia, e forse di misantropia, o di pazzia. Tali accuse (che punirò al momento giusto) sono ridicole. È vero che non esco di casa, ma è anche vero che le porte (il cui numero è infinito) 2 restano aperte giorno e notte agli uomini e agli animali. Entri chi vuole. Non troverà qui lussi donneschi né la splendida pompa dei palazzi, ma la quiete e la soli­tudine . E troverà una casa come non ce n'è altre sulla faccia della terra. (Mente chi afferma che in Egitto ce n'è una simile) . Perfino i miei calunnia­tori ammettono che nella casa non c'è un solo mobile . Un'altra menzogna ridicola è che io, Asterione, sia un prigioniero. Dovrò ripetere che non c'è una porta chiusa, e aggiungere che non c'è una sola serratura? D'altronde, 10

una volta al calare del sole percorsi le strade; e se prima di notte tornai, fu per il timore che m'infondevano i volti della folla, volti scoloriti e spianati, come una mano aperta. Il sole era già tramontato, ma il pianto accorato d'un bambino e le rozze preghiere del gregge dissero che mi avevano ricono­sciuto. La gente pregava, fuggiva, si prosternava; alcuni si arrampicavano 15

sullo stilobate 3 del tempio delle Fiaccole, altri ammucchiavano pietre. Qualcuno, credo, cercò rifugio nel mare. Non per nulla mia madre fu una regina; non posso confondermi col volgo, anche se la mia modestia lo vuole.

La verità è che sono unico. Non m'interessa ciò che un uomo può trasmet-tere ad altri uomini; come il filosofo, penso che nulla può essere comunicato 20

attraverso l'arte della scrittura. Le fastidiose e volgari minuzie non hanno ricetta nel mio spirito, che è atto solo al grande; non ho mai potuto ricordare la differenza che distingue una lettera dall'altra. Un'impazienza generosa non ha consentito che imparassi a leggere . A volte me ne dolgo, perché le notti e i giorni sono lunghi. 25

l. Per comprendere il racco nto di Borges bisogna tenere presente il mito di Asterione, più noto col nome di Minota uro, di cui diamo di seguito le inform azioni essenzia li . Secondo la trad izione più diffusa, Minasse, fi glio eli Zeus ed Europa, si fece re di C reta a danno dei fratelli Raclamanto e Sarpedonte, e a legittimazione del suo diritto a l trono chiese a Poseidone di far emergere dal mare un toro, promettendo di sacrifi ca rl o. Avendo poi tenuto per sé il bellissimo anima­le, si a ttirò la vendetta del clio: questi isp irò a ll a sposa di Minasse, Pasifae, un'irresist ibile passione per il toro, a l quale ell a si unì introducendos i in una vacca !ignea costruìtale da Dedalo. Dall'unione nacque Asterione, il Minotauro, mostro dal corpo um ano e dalla testa taurina , che il re rinchiuse nel lab irinto costruito da Dedalo e dove tt e nutrire eli ca rne umana. Per vendicare la morte di suo figlio Androgeo, eli cui era no responsabili gli Ateniesi, Minasse fece guerra acl Atene e, sconfittala, le impo­se un tributo eli vittime umane: periodicamente dovevano essere inviat i a Cre ta dei giovinetti e delle giovinett e per esse re dati in pasto a l Minotauro. Per porre termine a tale sta to di soggezio ne, Teseo , figlio del re a teniese Egeo, si recò a Creta fra le vittime designate e, con l' a iuto di Arianna, figlia eli Minasse e di Pasifae, penetrò nel labirinto, ucc ise il Minotauro e, dopo essere uscito dall ' intricato palazzo grazie allo stra tagemma del gom itolo di lana che gli ev itò di perdersi, ripa rtì per Atene con i suoi compagni e co n Aria nna stessa.

2. infinito : l'originale dice qual/ordici, ma non ma ncano motivi per in ferire che, in bocca di Asterione, ques to agget ti vo numerale vale infiniti (N. d. A .) .

3. stilobate: nel basamento del tempio classico, è il piano superiore del crepìcloma , sul quale poggiano le colonne .

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UN ITÀ 4 o LE TEC N IC HE DELLA RAPPRESENTAZIONE

Certo, non mi mancano le distrazioni. Come il montone che s'avventa, corro per i corridoi di pietra fino a cadere al suolo in preda alla vertigine. Mi acquatto all'ombra di una cisterna e all'angolo d'un corridoio e giuoco a rimpiattino. Ci sono terrazze dalle quali mi lascio cadere, finché resto in­sanguinato. In qualunque momento posso giocare a fare l'addormentato, con gli occhi chiusi e il respiro pesante (a volte m'addormento davvero; a volte, quando riapro gli occhi, il colore del giorno è cambiato). Ma, fra tanti giuochi preferisco quello di un altro Asterione. Immagino ch'egli venga a farmi visita e che io gli mostri la casa. Con grandi inchini, gli dico: «Adesso torniamo all'angolo di prima», o: «Adesso sbocchiamo in un altro cortile», o: «Lo dicevo io che ti sarebbe piaciuto il canale dell'acqua», oppure: «Ora ti faccio vedere una cisterna che s'è riempita di sabbia», o anche: «Vedrai come si biforca la cantina». A volte mi sbaglio, e ci mettiamo a ridere en­trambi.

Ma non ho soltanto immaginato giuochi; ho anche meditato sulla casa. Tutte le parti della casa si ripetono, qualunque luogo di essa è un altro luo­go. Non ci sono una cisterna, un cortile, una fontana, una stalla; sono infini­te le stalle, le fontane, i cortili, le cisterne. La casa è grande come il mondo. Tuttavia, a forza di percorrere cortili con una cisterna e polverosi corridoi di pietra grigia, raggiunsi la strada e vidi il tempio delle Fiaccole e il mare. Non compresi, finché una visione notturna mi rivelò che anche i mari e i templi sono infiniti. Tutto esiste molte volte, infinite volte; soltanto due cose al mondo sembrano esistere una sola volta : in alto, l'intricato sole; in basso, Asterione. Forse fui io a creare le stelle e il sole e questa enorme casa, ma non me ne ricordo.

Ogni nove anni entrano nella casa nove uomini, perché io li liberi da ogni male. Odo i loro passi o la loro voce in fondo ai corridoi di pietra e corro lietamente incontro ad essi. La cerimonia dura pochi minuti. Cadono uno dopo l'altro, senza che io mi macchi le mani di sangue . Dove sono caduti restano, e i cadaveri aiutano a distinguere un corridoio dagli altri. Ignoro chi siano, ma so che uno di essi profetizzò, sul punto di morire, che un giorno sarebbe giunto il mio redentore. Da allora la solitudine non mi duole, perché so che il mio redentore vive e un giorno sorgerà dalla polvere. Se il mio udito potesse percepire tutti i rumori del mondo, io sentirei i suoi passi. Mi portas­se a un luogo con meno corridoi e meno porte! Come sarà il mio redentore? Sarà forse un toro con volto d'uomo? O sarà come me?

Il sole della mattina brillò sulla spada di bronzo. Non restava più traccia di sangue.

«Lo crederesti, Arianna? » disse Teseo . «Il Minotauro non s'è quasi di­feso.»

(da L'A ieph, trad . F. Tentori, Feltrinelli)