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Converrà subito riassumere la situazione documentaria sulla fontana, la cui paternità è stata attribuita sia a Pietro Bernini, sia a Gian Lorenzo, sia ad entrambi. a) l documenti di pagamento (1627-9) si riferiscono solo a Pietro Bernini, e non fanno mai il nome di Gian Lo- renzo. b) Il Baglione (1642), che scrive quando Pietro era già morto, e Gian Lorenzo era al pieno della sua gloria, attribuisce la fontana al primo, e non al secondo. Si noti che il Baglione era stato amico di Pietro Bernini e anzi aveva collaborato con lui. Inoltre, ai suoi tempi, la voce pubblica, registrata da una guida (1638), indicava già Gian Lorenzo come autore della fontana: il Baglione, quindi, si oppone ad una attribuzione già in corso. c) L'attribuzione a Gian Lorenzo è ripresa dal Bal- dinucci (1683), il quale però è assai male informato sulle fontane di Roma, descrivendole commette sempre errori, e, parlando della Barcaccia, si riferisce ad un'altra fontana. Come si vede, l'argomento è tutt' altro che pacifico, e la materia è talmente opinabile da permettere pareri di- scordi. Ma l'assegnare la fontana a Pietro Bernini risponde anche ad un'esigenza di buon senso, giacchè Pietro era" Ar- chitetto dell' Acqua Vergine "' e pare strano che, proprio nell' opera che doveva coronare questa sua attività pubblica, passasse in secondo piano volontariamente magari davanti LIBRI RICEVUTI H. BUCHTHAL, Miniature Painting in the Latin Kingdom of jerusalem, with Liturgical and Palaeographical Ap- pendixes by F. Wormald, Oxford 1957 (The Claren- don Press), pp . 163, tavv. 155 in b. e n. Per circa duecento anni, dal 1099 al 1290, nella terra che il sacrificio del Signore faceva apparire a tutti come Santa, vi fu un regno cristiano e latino. Non certo una provincia dell'Europa riconquistata come la Sicilia, cui pure per un breve periodo iniziale può essere ravvicinato, ma sicuramente una impressionante sezione dell'Europa in tutti i suoi strati e un punto di incontro e di incom- prensione con il cristianesimo bizantino. Si sa che l'im- presa generosa ebbe conseguenze incalcolabili per l'Eu- ropa, che uscì dall'iniziativa comune con un sentimento aspro e acuto della inconciliabile discordia delle proprie ambizioni e con il triste risultato dell'indebolimento del- l'impero bizantino, con la conseguenza dell'irruzione tur- ca, che doveva costare secoli di sofferenze e di umiliazioni indicibili. Si comprende come un così denso intreccio di problemi abbia suscitato un interesse costante negli sto- rici, cui gli avvenimenti contemporanei hanno sempre più fornito temi di confronto e di meditazione (si veda so- prattutto l'ultimo, ammirevole contributo di S. Runci- man, A History of the Crusades, Cambridge 1951-54). Infine una delle discipline storiche più recenti, la storia dell'arte, non è stata insensibile al fascino particolare del regno d'Outremer. L'iniziativa artistica in Terra Santa è stata a poco a poco ricostruita nei suoi molteplici aspetti: al figlio : egli an ZI, In questo lavoro, dovette applicarsi con particolarissimo impegno, come il risultato dimostra. Ritornando a questo punto all' accusa rivoltami dal Faldi, mi riesce assai difficile spiegarne le motivaz ioni. Invece che avere espresso un parere da orecchiante, nella mia recensione sono andato, caso mai, contro corrente : arrendendomi al- l'evidenza documentaria, invece che seguire i pareri dei " migliori specialisti Il , i quali, avendo sbagliato tante volte, possono aver errato anche in questo caso, mentre in genere, i documenti, se sono bene interpretati, non sbagliano mai. Inoltre, così facendo, ho contribuito, come dimostra an- che questa polemica, a riaccendere una discussione che sem- brava sopita, ma che in realtà è stata risolta solo dalle os- servazioni, assai pertinenti, del D'Onofrio. Ho quindi la coscienza perfettamente a posto, giacchè prima funzione della critica è di non rassegnarsi alle idee altrui, ma di risalire alle fonti e basare la propria opinione su di esse. Evidentemente, trascinato dal suo fervore di specialista, l. Faldi si è dimostrato più pronto a ripudiare i fasti- diosi documenti - dandoci in cambio con il suo parlare di "prestigiosa escogitazione "' ecc. un brano di cattiva letteratura - che ad adeguare, come dovrebbe essere pri- mo dovere di uno storico, ai documenti le proprie idee. Roma, 5 maggio 1959. E. BATTISTI i castelli, in cui le esperienze costruttive bizantine sono riassunte in modo geniale e reinterpretate secondo le nuovissime istanze dell' architettura romanica e gotica (elenco e bibliografia in S. Runciman, voI. III); le tante chiese, le cui sculture e la cui architettura costituiscono un capitolo né secondario né provinciale dell' arte francese (C. Enlart; P. Deschamps). Ma un punto capitale restava del tutto oscuro, poichè i pochi lacerti di mosaici (Vincent e Abel, e recentemente H. Stern, A. Grabar) erano del tutto insufficienti a tracciare un profilo qualsiasi, e il solo mano- scritto miniato connesso con la Terra Santa, il "Salterio di Melisenda Il del British Museum, restava, malgrado ogni speculazione, tra i più elusivi codici di tutto il Medioevo. Il libro di H. Buchthal ci fa quindi penetrare in un campo del tutto sconosciuto ed è per ciò uno dei raris- simi e insperati libri che, a metà del secolo XX, siano ancora capaci di presentarsi con il profumo, che si cre- deva perduto per sempre, di una terra del tutto nuova. Al "Salterio di Melisenda Il il Buchthal è riuscito a connettere altri quattro manoscritti, che dànno la visione di un intero scrittorio attivo a Gerusalemme sino alla caduta della città nel II 87 ; quindi ha individuato a Na- poli un altro codice indicativo della timida attività dello scrittorio stabilito ad Acri subito dopo; ha poi scoperto uno splendido manoscritto - una grande rivelazione per la pittura del Duecento -, incertamente imitato da altri due di inferiore livello, con cui si ricostruisce il breve periodo di attività durante il recupero della città santa da r89 ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

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Converrà subito riassumere la situazione documentaria sulla fontana, la cui paternità è stata attribuita sia a Pietro Bernini, sia a Gian Lorenzo, sia ad entrambi.

a) l documenti di pagamento (1627-9) si riferiscono solo a Pietro Bernini, e non fanno mai il nome di Gian Lo­renzo.

b) Il Baglione (1642), che scrive quando Pietro era già morto, e Gian Lorenzo era al pieno della sua gloria, attribuisce la fontana al primo, e non al secondo. Si noti che il Baglione era stato amico di Pietro Bernini e anz i aveva collaborato con lui. Inoltre, ai suoi tempi, la voce pubblica, registrata da una guida (1638), indicava già Gian Lorenzo come autore della fontana: il Baglione, quindi, si oppone ad una attribuzione già in corso.

c) L'attribuzione a Gian Lorenzo è ripresa dal Bal­dinucci (1683), il quale però è assai male informato sulle fontane di Roma, descrivendole commette sempre errori, e, parlando della Barcaccia, si riferisce ad un'altra fontana .

Come si vede, l'argomento è tutt' altro che pacifico, e la materia è talmente opinabile da permettere pareri di­scordi. Ma l'assegnare la fontana a Pietro Bernini risponde anche ad un'esigenza di buon senso, giacchè Pietro era" Ar­chitetto dell' Acqua Vergine "' e pare strano che, proprio nell' opera che doveva coronare questa sua attività pubblica, passasse in secondo piano volontariamente magari davanti

LIBRI RICEVUTI

H . BUCHTHAL, Miniature Painting in the Latin Kingdom of jerusalem, with Liturgical and Palaeographical Ap­pendixes by F. Wormald, Oxford 1957 (The Claren­don Press), pp. 163, tavv. 155 in b. e n.

Per circa duecento anni, dal 1099 al 1290, nella terra che il sacrificio del Signore faceva apparire a tutti come Santa, vi fu un regno cristiano e latino. Non certo una provincia dell'Europa riconquistata come la Sicilia, cui pure per un breve periodo iniziale può essere ravvicinato, ma sicuramente una impressionante sezione dell'Europa in tutti i suoi strati e un punto di incontro e di incom­prensione con il cristianesimo bizantino. Si sa che l'im­presa generosa ebbe conseguenze incalcolabili per l'Eu­ropa, che uscì dall'iniziativa comune con un sentimento aspro e acuto della inconciliabile discordia delle proprie ambizioni e con il triste risultato dell'indebolimento del­l'impero bizantino, con la conseguenza dell'irruzione tur­ca, che doveva costare secoli di sofferenze e di umiliazioni indicibili. Si comprende come un così denso intreccio di problemi abbia suscitato un interesse costante negli sto­rici, cui gli avvenimenti contemporanei hanno sempre più fornito temi di confronto e di meditazione (si veda so­prattutto l'ultimo, ammirevole contributo di S . Runci­man, A History of the Crusades, Cambridge 1951-54).

Infine una delle discipline storiche più recenti, la storia dell'arte, non è stata insensibile al fascino particolare del regno d'Outremer. L'iniziativa artistica in Terra Santa è stata a poco a poco ricostruita nei suoi molteplici aspetti :

al figlio : egli anZI, In questo lavoro, dovette applicarsi con particolarissimo impegno, come il risultato dimostra.

Ritornando a questo punto all' accusa rivoltami dal Faldi, mi riesce assai difficile spiegarne le motivaz ioni. Invece che avere espresso un parere da orecchiante, nella mia recensione sono andato, caso mai, contro corrente : arrendendomi al­l'evidenza documentaria, invece che seguire i pareri dei " migliori specialisti Il , i quali, avendo sbagliato tante volte, possono aver errato anche in questo caso, mentre in genere, i documenti, se sono bene interpretati, non sbagliano mai.

Inoltre, così facendo , ho contribuito, come dimostra an­che questa polemica, a riaccendere una discussione che sem­brava sopita, ma che in realtà è stata risolta solo dalle os­servazioni, assai pertinenti, del D'Onofrio. Ho quindi la coscienza perfettamente a posto, giacchè prima funzione della critica è di non rassegnarsi alle idee altrui, ma di risalire alle fonti e basare la propria opinione su di esse.

Evidentemente, trascinato dal suo fervore di specialista, l. Faldi si è dimostrato più pronto a ripudiare i fasti­diosi documenti - dandoci in cambio con il suo parlare di "prestigiosa escogitazione "' ecc. un brano di cattiva letteratura - che ad adeguare, come dovrebbe essere pri­mo dovere di uno storico, ai documenti le proprie idee.

Roma, 5 maggio 1959. E. BATTISTI

i castelli, in cui le esperienze costruttive bizantine sono riassunte in modo geniale e reinterpretate secondo le nuovissime istanze dell' architettura romanica e gotica (elenco e bibliografia in S . Runciman, voI. III); le tante chiese, le cui sculture e la cui architettura costituiscono un capitolo né secondario né provinciale dell'arte francese (C. Enlart; P . Deschamps). Ma un punto capitale restava del tutto oscuro, poichè i pochi lacerti di mosaici (Vincent e Abel, e recentemente H. Stern, A. Grabar) erano del tutto insufficienti a tracciare un profilo qualsiasi, e il solo mano­scritto miniato connesso con la Terra Santa, il "Salterio di Melisenda Il del British Museum, restava, malgrado ogni speculazione, tra i più elusivi codici di tutto il Medioevo.

Il libro di H. Buchthal ci fa quindi penetrare in un campo del tutto sconosciuto ed è per ciò uno dei raris­simi e insperati libri che, a metà del secolo XX, siano ancora capaci di presentarsi con il profumo, che si cre­deva perduto per sempre, di una terra del tutto nuova. Al "Salterio di Melisenda Il il Buchthal è riuscito a connettere altri quattro manoscritti, che dànno la visione di un intero scrittorio attivo a Gerusalemme sino alla caduta della città nel II 87 ; quindi ha individuato a Na­poli un altro codice indicativo della timida attività dello scrittorio stabilito ad Acri subito dopo; ha poi scoperto uno splendido manoscritto - una grande rivelazione per la pittura del Duecento -, incertamente imitato da altri due di inferiore livello, con cui si ricostruisce il breve periodo di attività durante il recupero della città santa da

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parte di Federico II (1229-1244); infine ha genialmente ricostruito, su una base rigorosamente stilistica, quasi completamente priva di espliciti elementi esterni, l'atti­vità finale dei miniatori cristiani ad Acri. Va da sé che simili risultati comportano un riesame intelligente e non prevenuto di tutto il materiale noto, spostamenti di attri­buzioni, e quindi ampia conoscenza di tutta la minia­tura occidentale e di quella bizantina e orientale, solide conoscenze storiche e un'imponderabile capacità di in­tuizione la quale, naturalmente, è ben al di là dei requi­siti scolastici sinora elencati. Soltanto la modestia con cui le novità sono presentate, per non dire della complessità della materia, fanno prevedere che saranno necessari alcuni anni prima che questo importante contributo sia apprez­zato in tutto il suo valore. Così, per incominciare dal testo fondamentale, la scoperta del Buchthal dell'esistenza nel "Salterio di Melisenda II di due momenti diversi della cultura bizantina: l'esempio dei Salteri imperiali dell'XI sec. accanto alla pratica pittorica contemporanea, donde quel risultato abnorme, di pitture bizantine che han per­duto tutto ciò che era più intimamente e personalmente bizantino (Basilius' miniatures are frigid statements of fact) è la risposta convincente a un problema che aveva circolato per anni e che sembrava non dovesse venir mai risolto. Nello stesso Salterio, in cui, oltre al miniatore che si firma Basilio, il Buchthal ne individua altri tre, ognuno con caratteri "nazionali II propri (interessante per noi quello che rivela la propria educazione cassinese), l'autore mette in luce alcuni tratti che risulteranno tipici della miniatura d'Outremer: il proposito di emulare la miniatura bizantina, presa consapevolmente ad esempio e non avvicinata casualmente per motivi diversi; la presenza inconfondibile di miniatori di diversa origine, ciascuno dei quali conserva quasi intatte le proprie caratteristiche extra-individuali, pur nel comune tentativo di conciliare Bisanzio e l'Ultima Tule; infine la stessa commissione regale dei manoscritti, che è un fatto così preminente in Terra Santa e che, nota il Buchthal, rispondeva a una consuetudine ormai tramontata in Occidente nel sec. XII, ma ancora ben viva a Bisanzio. Il Buchthal rifiuta l'ipotesi che le diverse presenze nazionali debbano essere giusti-, ficate con particolari affiliazioni ecclesiastiche del priorato di Gerusalemme, ma osserva che può essere difficilmente casuale che la prevalenza di criteri inglesi, nell'organizza­zione dei manoscritti del XII secolo, coincida con la pre­senza, come priore del Santo Sepolcro, di un inglese" William, che fu in seguito vescovo di Tiro.

Si è già accennato al Salterio della Riccardiana, che il Buchthal con convincenti argomenti connette con Fede­rico II individuandone l'occasione nel matrimonio di questi con Isabella d'Inghilterra (1235). Il codice, che è interamente una scoperta del Buchthal, e che è già noto al grosso pubblico per essere stato esposto nel 1953 in una mostra di manoscritti (senza peraltro che se ne men­zionasse lo scopritore) è uno dei più notevoli monumenti dell' arte fridericiana, in cui la fantastica natura del miste­rioso miniatore e lo spirito di Ulisse reincarnato dell'Im­peratore si uniscono in una mistione grandiosa di arte ottoniana e di richiami alla Sicilia Normanna (proprio un ripensamento sui capolavori lasciati dai regni di cui

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Federico era l'erede. Si ricordi, a questo proposito, che proprio al Buchthal dobbiamo la ricostruzione dello scrit­torio siciliano del periodo normanno, punto di partenza per ogni futura attribuzione alla Sicilia di opere bizan­tineggianti), in una presa diretta sul patrimonio artistico bizantino, che, come osserva il Buchthal, non è più l'oc­casione di faticosi tentativi di imitazione, ma entra come uno stimolo profondo in un organismo che è ormai in sé completo e maturo (the Byzantine models are no longer painstakingly imitated; they serve merely as a source of inspiration ... (they) do no more than assist the finest qualities of the westren tradition to come fully into their own). È tanto più significativo, perciò, che anche in questo manoscritto sia possibile rinvenire alcuni riferimenti alla tradizione stabilita dal " Salterio di Melisenda "' con cui si dimostrano i legami esistenti tra tutti i manoscritti sin qui raccolti, e cioè la legittimità di ricostruzione dello scrittorio del Santo Sepolcro.

Il seguito della produzione di codici per le chiese latine d'Oltremare si svolge ad Acri. Un solo manoscritto può essere con sicurezd riferito, sulla base della liturgia, a questo scrittorio, ed ' è un Messale nella biblioteca capito­lare di Perugia, anc~' esso esposto nella mostra su ricor­data, dove compariva con l'inverosimile attribuzione alla scuola del Maestro di San Francesco, mentre è indubbia­mente veneto.

Il fatto sorprendente in questo manoscritto è il sovrap­porsi di una precisa influenza francese alla base fonda­mentale italiana. S~ppiamo, naturalmente, che durante ' tutto il Duecento i 'contatti tra Venezia e la Francia fu­rono vi vissi mi non soltanto nella miniatura, ma addirit­tura nella produzione letteraria; ma il fatto nuovo è che nel nostro caso ques'to incontro avvenga proprio in Terra Santa. Anzichè l'arrivo dei pittori occidentali che tentano per la prima volta l'incontro con le forme bizantine, ab­biamo qui l'arrivo di pittori italiani sul cui bizantinismo già aggiornato si innestano le ultime novità francesi. Lo stesso codice presenta, secondo l'acuta analisi stilisti ca del Buchthal, anche il caso inverso, e cioè di un pittore fran­cese che tenta di adeguarsi allo stile del maestro veneto. Sono così poste le basi stilistiche di questi ultimi anni della miniatura latina d'Oriente. Anche qui, però, a sol­levare improvvisame~te il tono artistico a un livello non locale è l'intervento diretto di un grande monarca. A San Luigi d'Angiò il Buchthal attribuisce infatti l'iniziativa del più importante manoscritto riferito allo scrittori o di Acri: la celebre Bibbia dell' Arsenal. Si tratta di uno dei più celebri codici del Duecento, di sfolgorante bellezza, ma che per i suoi espliciti riferimenti classicisti, in una direzione diversa da quelle delle contemporanee correnti della pittura francese, per il suo fitto intrico di Occidente e di Oriente, con soluzioni, anche iconografiche, assolu­tamente uniche, era rimasto praticamente indefinito e non localizzato per gli storici. Con impressionante precisione, il Buchthal ci toglie quasi in ogni caso l'illusione di tro­varci di fronte a una autorevole copia di un perduto ciclo di illustrazione tardo antica. Resta da vedere dove S. Luigi avesse potuto trovare un artista così colto e dove questi avesse potuto consultare un numero così grande di codici di primaria importanza. Ma già il Basilio

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del "Salterio di Melisenda" doveva aver avuto accesso alla biblioteca imperiale di Costantinopoli e tanto maggiori erano le possibilità di consultare le fonti bizantine a metà del sec. XIII, quando ancora era visibile a Venezia un codice del tipo della Genesi Cotton e quando - si ricordi, ad esempio, un foglio di appunti nella biblioteca di Stoc­carda, studiato dal Weitzmann - i sistemi di lavoro degli artisti bizantini e di quelli occidentali si erano di tanto avvicinati. Nello stesso tempo, i legami del miniatore della Bibbia dell' Arsenal con lo scrittorio di Acri sono solida­mente confermati dalla somiglianza con la sua arte, e dalla possibilità di una sua effettiva presenza, nello stesso codice di Perugia, di pochi anni più tardo, la cui apparte­nenza ad Acri è documentata, e in cui quindi si può vedere un riflesso della inconsueta personalità della Bibbia dell' Arsena!. Infine questo sconosciuto miniatore ha quasi voluto certificarci la sua presenza nei luoghi, con i suoi precisi ritratti di Orientali che suonano come un enigma­tico: fuit hic. Benchè nessun altro codice di tutti quelli che il Buchthal riconnette allo scrittorio di Acri raggiun­ga l'altezza di questo, tuttavia vi sono evidenti alcuni procedimenti dedotti dal maestro, nel criterio della scelta attraverso le fonti occidentali e bizantine, nello stesso curioso interesse per la singolarità dei costumi asiatici locali. In questi ultimi codici, che formano due gruppi compatti, non senza relazioni tra loro e non privi di con­tatti con i manoscritti precedenti, il Buchthal sottolinea giustamente come tutti gli elementi tipici della miniatura del Regno Latino appaiono definitivamente elaborati, ripresi con una alacrità e con una spinta ambiziosa che contrasta con la situazione di sfacelo e di fine del Regno e con il progressivo isolamento dall'Occidente, documen­tato dalla relativa scarsezza di apporti di codici, e di idee, nuovi. Le ultime grandi imprese dello scrittorio sono: l'illustrazione della "Histoire Universelle" e quella del grande testo "nazionale" la "Storia d'Oltremare" di Guglielmo di Tiro. Sono testi francesi, destinati a lettori laici, così come in francese era la Bibbia dell' Arsenal, evidentemente destinata all'ambiente di corte di S. Luigi.

Ma le indicazioni che l'analisi del Buchthal sa trame non hanno un interesse soltanto locale: l'illustrazione del­l'" Histoire Universelle" ci testimonia l'aspetto del ciclo francese originale meglio di qualsiasi altro manoscritto sinora noto; le sue prove nell'illustrazione mitologica (un coraggioso tentativo di aggiornamento con le nuove ten­denze italiane e francesi), proprio perchè compiute in circostanze eccezionali, riflettono in maniera interessante gli antichi originali. Notevoli sono le conclusioni che da questi manoscritti si possono trarre circa la miniatura bi­zantina dell'epoca, ancora così poco nota, i cui documenti risultano inaspettatamente abbondanti ad Acri in questo periodo. È una primizia inattesa anche la segnalazione di un codice già noto della Biblioteca Vatican a per il quale il Buchthal propone il Regno Latino di Costantinopoli come luogo di esecuzione (è questo il primo manoscritto latino per il quale si possa fondare il nome di una scuola di cui ancora non si sa nulla) e in cui sono evidenti le derivazioni proprio dal repertorio palestinese.

Così si conclude, per ora, la ricerca su duecento anni di miniatura latina in Terra Santa.

Il Buchtal ha innalzato un insostituibile 'osservatorio alla frontiera tra l'Occidente e Bisanzio. Benchè, come sottolinea l'A., il regno latino non risulti essere stato il centro a cui l'Occidente attingeva le proprie conoscenze del mondo orientale (la difficoltà con cui elementi mus­sulmani penetrano, solamente assai tardi, in questa mi­niatura è indicativa), tuttavia in nessun altro luogo questo incontro era apparso così rivelatore. C. BERTELLI

L. MONTALTO, Il problema della cupola di Sant' Ignazio in Boll. del centro di studi per la storia dell' Architettura. N. II, 1957, p. 33 ss.

Quantunque non sia consuetudine di questa rivista, so­prattutto per ragioni di spazio, dar conto di studi e con­tributi che appaiano sotto forma di articoli, è grato fare una eccezione per questo importante studio di Lina Mon­talto, che ripropone, e assai opportunamente, un problema già più di un ventennio fa esposto dall'A. in questo stesso Bollettino d'Arte (1934) e in Capitolium (1935) : quello del restauro della grande tela nella quale, con perfetta finzione prospettica, Padre Pozzo diede vita e illusoria realtà all'antico progetto di Orazio Grassi di una cupola che degnamente coronasse la fabbrica innalzata a gloria del nuovo santo gesuita.

La storia della cupola della chiesa di S. Ignazio è lunga, complicata di intralci imprevedibili che vanno da ragioni statiche e da arbitrarie modifiche apportate ai progetti di Orazio Grassi da parte di un assistente ai lavori, a ragioni più pratiche, ma non meno determinanti, di "Borsa" come Girolamo Rinaldi tenne a sottolineare in un suo parere sollecitato a proposito di un secondo progetto pre­sentato dal medesimo Padre Grassi. E tale storia è rico­struita punto per punto dall'A. sulla scorta di informa­zioni ricavate dalle carte e dai documenti di archivio. Un problema, quello della cupola che doveva coronare la chiesa gesuitica, senza soluzione, qualora non fosse in­tervenuta la fantasia ardita del Pozzo a risolverlo in modo imprevisto mediante una tela, ove l'accortissimo scorcio prospettico delle finte membrature creava la perfetta illu­sione di una conclusione architettonica dell'edificio. La tela è ancora oggi al suo posto ma, danneggiata gravemente nel 1891 per lo scoppio di una polveriera, non è più visi­bile, celata com'è da un velario: e l'interno dell'edificio appare, a chi vi si inoltri fino all'incrocio del transetto, a un tratto mutilo, dopo il prestigioso " sfondato" del vol­tone della navata. Un restauro che permettesse alla" pro­spettiva" sapiente di riassumere tutto il proprio signi­ficato nei confronti della nobile architettura della chiesa, sarebbe perciò un'opera quanto mai opportuna e merite­vole; e al voto espresso ancora una volta in tal senso dall'A. non può che associarsi chiunque abbia a cuore la sorte dei nostri monumenti. m. v. b.

G. MARCHINI, La Galleria Comunale di Prato, ed. Firenze 1958.

A cura del Comune e della Associazione turistica pra­tese, il Catalogo della Galleria di Prato - redatto da Giuseppe Marchini al quale si deve anche il nuovo

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ordinamento del 1954 nei saloni del Palazzo Pretorio -si viene ad affiancare alle iniziative più vaste assunte quanto mai opportunamente, già da qualche anno, nei confronti di Musei e Gallerie di maggiore rilievo, al fine di dotare le raccolte italiane di cataloghi che illu­strino con criteri storici e scientifici le opere in esse conservate.

La raccolta comunale di Prato, per le opere esposte nelle sale a seguito della selezione operata durante l'ultimo ordinamento, è pertanto illustrata in ogni singolo pezzo mediante" schede" nelle quali - dopo un sommario cenno circa i singoli artisti - l'A. dà conto dei dati storici relativi all'opera, e di questa compie un esame critico che chiari­fichi al lettore caratteri stilistici e l'attribU2;ione dell'opera stessa: inoltre, ed è questo pregio non piccolo per un ca­talogo di modesta veste, sono state riprodotte quasi tutte le opere esposte, permettendo così al visitatore, e allo studioso, di aver sottomano e raccolto insieme il materiale necessario a ripensamenti e conclusioni.

Il lavoro compiuto dal Marchini, degno e meritevole in ogni senso, ha permesso all'A. di giungere ad alcune " riscoperte" e a precisazioni non certo di secondaria importanza: ed è il caso della ' Madonna e Santi' qui per la prima volta attribuita al Signorelli, del 'Noli me tangere' del Battistello, del quadro con 'Rovine' attribuito al Codazzi, della 'Comunione della Madda­lena' per la quale si propone la suggestiva attribuzione al Mola. m. v. b.

HANS S. SECKER, Diego Rivera, pp. 315, 269 ill.ni in b.e n. e 15 a colori. Verlag der Kunst, Dresden 1957.

In edizione impeccabile e ricca di illustrazioni in grande formato (il volume misura cm. 24,5 X 32), la Verlag der Kunst di Dresda ha pubblicato nel 1957 una monografia su Diego Rivera che è la prima monografia sul pittore apparsa in lingua tedesca, e comunque uno dei libri più completi per la conoscenza dell'opera del grande messi­cano, morto, com'è noto, recentemente. L'autore è uno studioso appassionato della pittura parietale (fin dal 1934 ha pubblicato il suo " Gebaute Bilder II) e come tale non poteva ignorare le grandi decorazioni che - più che in qualsiasi altro paese - si sono andate creando nel Messico negli ultimi quarant'anni per opera di Orozco, Siqueiros e Rivera. La presente monografia è uscita dopo anni di studio sull'antica e moderna pittura messicana e dopo un lungo soggiorno negli Stati Uniti e nel Messico, dove - egli dichiara - ha potuto esaminare di persona quasi tutta la enorme produzione del Rivera (si calcolca che egli abbia affrescato circa 5000 m2 di superficie!) e

raccogliere il maggior numero possibile di nOtiZie, spesso con grande difficoltà, dato il carattere di quel popolo" che non si preoccupa troppo della verità II. L'A. ha seguito l'attività del Rivera dai primi anni fino al 1954-55, ivi comprese le ultime fasi costruttive della "piramide di Pedragal", che, iniziatasi nel 1943, è ora alla fine, ed è stata innalzata dal Rivera per costodirvi la sua preziosa collezione di sculture antiche e farne dono al popolo messicano. Presentati alcuni esempi di dipinti in qualche modo significativi per lo sviluppo dell'attività dell'artista, il Secker ha dedicato un capitolo al grande maestro del Rivera, José Guadalupe Posada, che, assieme alla tecnica pittorica e all'amore per la pittura a carattere popolaresco, insegnò al Rivera a confidare nel socialismo e a concepire la pittura al servizio della lotta di classe. La infaticabile attività del Rivera-pittore nei suoi lunghi anni di vita (nacque nel 1886) è seguita dall'A. senza mai dimenticare le vicende del Rivera-uomo e quelle politiche del Messico. Importanti gli anni che il Rivera passò a Parigi, dove strinse amicizia cOn Picasso, Braque e Modigliani e si avvicinò alla pittura cubista; ma ancora più importante - fondamentale anzi per la sua formazione pittorica -la " scoperta" che il Rivera fece in Italia dei grandi cicli di affreschi, specialmente il Giotto della Cappella del­l'Arena (p. 51 ss.) le cui composizioni del 'Noli me tangere' e del ' Compianto sul Cristo' l'A. trova ripe­tute dal Rivera nell" Agitatore' e nel ' Pianto sull' eroe rivoluzionario' eseguiti a Chapingo; della 'Disputa' di Raffaello il Rivera si sarebbe ricordato nell' affresco, eseguito ugualmente a Chapingo nel 1923, rappresentante la ' Benedizione della scienza agraria' (p. 68).

Non è certo possibile dare qui un'idea di tutti gli af­freschi, anzi dei "murali" (date le tecniche speciali e nuovissime adottate) eseguiti dal Rivera - che, come abbiamo detto, ha letteralmente riempito della sua pit­tura scuole e Ministeri del suo paese - e che le nitide fotografie del volume ci rappresentano con grande ric­chezza di particolari. Attraverso di esse si può ricostruire anche la storia del Messico rivoluzionario; e non si può non condividere l'idea espressa dall'A. nella prefazione che il fatto che un governo non comunista abbia permesso agli artisti una tale propaganda marxista è un singolare esempio di de-mocrazia. In ogni caso la funzione storica dei " muralisti" messicani, con il Rivera in testa, è stata e sarà ancora di certo per molto tempo quella di agevolare da parte del popolo messicano la presa di coscienza di se stesso, delle proprie radici nazionali e della propria storia.

Non sarebbe dispiaciuto - e sarebbe stato utile - se il volume fosse stato completato da una schematica bio­grafia del pittore. C. MALTESE

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