ISSN 2039-9561 Riforma universitaria, spending review e...

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Quaderni della SIF (2012) vol. 32- 53 Riforma universitaria, spending review e tanto altro Flavia Franconi Prima di tutto, come da tra- dizione, ringraziamo tutti gli autori e tutti coloro che, in vari modi e maniere, hanno contri- buito alla riuscita del giornale e alla sua valorizzazione. Ovviamente un ringrazia- mento del tutto particolare va al Presidente della SIF Prof. Pier Luigi Canonico, al Consi- glio Direttivo tutto ed alla Se- greteria SIF. Un grato ringraziamento va anche a tutti i lettori che ci hanno letto e seguito, e che ci hanno stimolato ad andare avanti con commenti e sugge- rimenti sempre preziosi. In questo numero, si parla del decreto di conversione alla crescita in un articolo del Dott. Massimo Scaccabarozzi, Pre- sidente di Farmindustria, che descrive cosa è cambiato dalla spending review al decreto sul- la crescita per quanto riguarda la farmaceutica. I dottori Luigi Santoiemma e Saffi Giustini, medici di medici- na generale che ricoprono im- portanti ruoli istituzionali, par- lano in maniera chiara e con- cisa dei problemi relativi alle nuove modalità di prescrizione dei farmaci e delle ricadute che ciò impone sull’attività dei me- dici di medicina generale. Marzia Del Re, Anna Elisabet- ta Brunetti, Nicola Silvestris e Romano Danesi poi ci portano ad affrontare argomenti più squisitamente farmacologi- co–terapeutici come l’uso dei fattori di crescita mielopoie- tici nella neutropenia dopo chemioterapia antitumorale, evidenziando le problematiche cliniche in maniera magistrale e credo utile per tutti. Infine, un problema che ri- guarda principalmente i far- macologi universitari in un articolo del Prof. Andrea Lenzi, Presidente del CUN, e del Prof. Fabio Naro, Segretario del CUN e rappresentante dell’area dove è allocata la Farmacologia, che evidenzia alcuni aspetti del- la riforma universitaria specie quelli legati alle procedure di reclutamento e di progressione di carriera. Ora a nome di Quaderni della SIF non mi rimane che augu- rarvi buon anno. Periodico della Società Italiana di Farmacologia - fondata nel 1939 - ANNO VIII n. 32 – Dicembre 2012 Riconosciuto con D.M. del MURST del 02/01/1996 - Iscritta Prefettura di Milano n. 467 pag. 722 vol. 2° ISSN 2039-9561 Riforma universitaria, spending review e tanto altro (F. Franconi) 53 Dalla spending review alla legge di conversione del DL Crescita: un passo avanti per restituire dignità al marchio (M. Scaccabarozzi) 54 La sfida della riforma universitaria (F. Naro, A. Lenzi) 57 Caratteristiche farmacologiche e razionale di impiego dei fattori di crescita mielopoietici (M. Del Re, A. E. Brunetti, N. Silvestris, R. Danesi) 59 Maxiemendamento, spending review, farmaci equivalenti e medicina generale (L. Santoiemma, S. Giustini) 64

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Quaderni della SIF (2012) vol. 32- 53

Riforma universitaria, spending review e tanto altro

Flavia Franconi

Prima di tutto, come da tra-dizione, ringraziamo tutti gli autori e tutti coloro che, in vari modi e maniere, hanno contri-buito alla riuscita del giornale e alla sua valorizzazione.

Ovviamente un ringrazia-mento del tutto particolare va al Presidente della SIF Prof. Pier Luigi Canonico, al Consi-glio Direttivo tutto ed alla Se-greteria SIF.

Un grato ringraziamento va anche a tutti i lettori che ci hanno letto e seguito, e che ci hanno stimolato ad andare avanti con commenti e sugge-rimenti sempre preziosi.

In questo numero, si parla del decreto di conversione alla crescita in un articolo del Dott. Massimo Scaccabarozzi, Pre-sidente di Farmindustria, che de scrive cosa è cambiato dalla spending review al decreto sul-la crescita per quanto riguarda la farmaceutica.

I dottori Luigi Santoiemma e Saffi Giustini, medici di medici-na generale che ricoprono im-portanti ruoli istituzionali, par-lano in maniera chiara e con-cisa dei problemi relativi alle nuove modalità di prescrizione

dei farmaci e delle ricadute che ciò impone sull’attività dei me-dici di medicina generale.

Marzia Del Re, Anna Elisabet-ta Brunetti, Nicola Silvestris e Romano Danesi poi ci portano ad affrontare argomenti più squisitamente farmacologi-co–terapeu tici come l’uso dei fattori di crescita mielopoie-tici nella neutropenia dopo chemioterapia an titumorale, evidenziando le problematiche cliniche in maniera magistrale e credo utile per tutti.

Infi ne, un problema che ri-

guarda principalmente i far-macologi universitari in un articolo del Prof. Andrea Lenzi, Presidente del CUN, e del Prof. Fabio Naro, Segretario del CUN e rappresentante dell’area dove è allocata la Farmacologia, che evidenzia alcuni aspetti del-la riforma universitaria specie quelli legati alle procedure di reclutamento e di progressione di carriera.

Ora a nome di Quaderni della SIF non mi rimane che augu-rarvi buon anno.

Periodico della Società Italiana di Farmacologia - fondata nel 1939 - ANNO VIII n. 32 – Dicembre 2012

Riconosciuto con D.M. del MURST del 02/01/1996 - Iscritta Prefettura di Milano n. 467 pag. 722 vol. 2° ISSN 2039-9561

Riforma universitaria, spending review e tanto altro(F. Franconi) 53

Dalla spending review alla legge di conversione del DL Crescita:un passo avanti per restituire dignità al marchio(M. Scaccabarozzi) 54

La sfi da della riforma universitaria(F. Naro, A. Lenzi) 57

Caratteristiche farmacologiche e razionale di impiego dei fattori di crescita mielopoietici(M. Del Re, A. E. Brunetti, N. Silvestris, R. Danesi) 59

Maxiemendamento, spending review, farmaci equivalenti emedicina generale(L. Santoiemma, S. Giustini) 64

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Spread crescenti ed elevati deficit di finanza pubblica in-ducono molti Governi europei ad adottare politiche di bilan-cio restrittive, concentrate in un orizzonte temporale decisa-mente ristretto. Nel contempo diversi autorevoli osservatori richiedono, con crescente in-sistenza, politiche di sostegno

alla crescita, per evitare che le manovre abbiano un impatto recessivo tale da richiedere altri provvedimenti, che rischiereb-bero a loro volta di peggiorare il quadro macroeconomico. Que-sto ovviamente non significa rinunciare al rigore nei conti pubblici; sarebbe però opportu-no operare in un lasso tempo-

rale più ampio, per evitare ulte-riori effetti negativi sul PIL.

In questo quadro, certamente difficile, durante l’estate è stata approvata la legge sulla spen-ding review, che ha previsto fra l’altro una forte riduzione delle risorse destinate alla spesa far-maceutica pubblica.

Con la legge di conversione

Dalla spending review alla legge di conversione del DL Crescita:

un passo avanti per restituire dignità al marchio

Massimo ScaccabarozziPresidente di Farmindustria

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del dl Crescita il legislatore è ritornato parzialmente sui suoi passi.

Ricostruire il cammino di questi due provvedimenti è uti-le per esaminare l’impatto che la spending review avrebbe avu-to sul settore farmaceutico se appunto non fosse intervenuto il dl Crescita.

Con la spending review è sta-ta approvata, tra l’altro, la pre-scrizione con principio attivo. Una norma che da subito ha determinato un trasferimento di quote di mercato a favore dei medicinali generici, senza al-cun vantaggio per lo Stato, che già in precedenza rimborsava il prezzo più basso tra tutti i far-maci equivalenti acquistati, né per il cittadino, che già prima dell’approvazione della L. 135 poteva scegliere il medicinale dispensato gratuitamente dal SSN, della cui esistenza era ob-bligatoriamente informato.

Affermare che la norma per-mette il trasferimento di quote di mercato a favore dei generici non implica ovviamente un giu-dizio negativo nei loro confron-ti. Il loro accesso al mercato è pienamente legittimo, purché sia frutto delle naturali dinami-che concorrenziali e non di nor-me che creano mercati protetti con vantaggi a danno dei farma-ci off-patent con marchio.

Farmindustria ha fin dall’ini-zio evidenziato le criticità del-la spending review e ha chiesto immediatamente l’abrogazione della norma. Così non è stato ma le modifiche previste con il decreto Crescita sono da con-siderarsi interessanti per via dell’eliminazione di un’ingiusta discriminazione.

Al medico è stata restituita la libertà di indicare in prima bat-tuta il nome di uno specifico medicinale, anche se accompa-gnato dall’indicazione del prin-cipio attivo.

Ed è stata anche restituita di-

gnità al marchio, la cui difesa permette il finanziamento di importanti progetti di ricerca, garantendo una continua inno-vazione nelle terapie.

Il marchio, infatti, oltre ad essere un importante asset pa-trimoniale dell’impresa, rappre-senta l’elemento distintivo della qualità e un segno importante di affidabilità per i pazienti, so-prattutto per quelli più anziani. Riconoscerne il valore è fonda-mentale per sostenere innova-zione, investimenti ed export.

Politiche di contenimen-to della spesa debbono essere compensate da provvedimenti che contrastino efficacemente la recessione.

Detto questo, il Legislatore, con la legge 221/2012, ha evi-tato di penalizzare un settore industriale a elevata tecnologia, che può fornire un contribuito rilevante alla crescita economi-ca.

E che si tratti di un apporto notevole lo dimostrano i dati. Le imprese farmaceutiche co-niugano alta propensione a ri-cerca e innovazione con un’atti-vità manifatturiera di eccellen-za, che si concretizza in elevati investimenti materiali e imma-teriali, qualità dell’occupazione e propensione all’export.

Per la farmaceutica l’Italia è un grande mercato, ma ancor di più un grande produttore. La quota dell’Italia sul totale dei Big Ue è infatti pari al 23% per il valore della produzione e al 18% per le vendite totali. Quanto a farmaci e vaccini, nel nostro Paese si produce più di quanto si consumi. Siamo i pri-mi tra i settori ad alta intensità tecnologica per numero di ad-detti, valore della produzione, investimenti ed export.

Rispetto agli altri comparti manifatturieri la farmaceuti-ca si caratterizza per maggiori investimenti per addetto, sia in produzione (+79% rispetto alla

media manifatturiera) sia in R&S (+638%), più alte espor-tazioni per addetto (+173%) e maggiore valore aggiunto per addetto (+155% rispetto alla media manifatturiera). Venti-cinque miliardi di euro di pro-duzione pongono il nostro Pa-ese al secondo posto in Europa, dopo la Germania, ma in ter-mine procapite siamo la prima nazione tra i Big UE per livello di produzione. La farmaceuti-ca italiana si colloca, insieme a settori tipici del made in Italy e alla meccanica, nel gruppo dei comparti di specializzazione in-ternazionale per la produzione. Quest’ultima rappresenta quin-di un valore certo e consolidato, un vero e proprio patrimonio che l’Italia non può perdere.

Politiche di sostegno alla cre-scita sono necessarie per evitare i potenziali effetti recessivi del-le manovre restrittive.

Per questo motivo provvedi-menti che incidono sul tessuto industriale, interessando anche la farmaceutica, debbono essere ponderati con grande attenzio-ne, per non ridurre le probabili-tà di uscire in tempi ragionevoli da una crisi che sta affliggendo da troppo tempo famiglie e im-prese. L’industria del farmaco sta dando, e continuerà a dare, il proprio contributo.

Il Parlamento, convertendo in legge il DL Crescita, ha ridotto il rischio di penalizzare un set-tore manifatturiero di punta, ha dato prova di saggezza politica e ha restituito speranza ai 65 mila lavoratori del comparto.

Le imprese del farmaco asso-ciate a Farmindustria si augu-rano che ciò rappresenti il mi-gliore viatico per il 2013, con, in aggiunta, la speranza che anche il nostro paese si adegui al resto d’Europa nel riconosci-mento dell’innovazione e nel garantirne l’accesso nei tempi e modi dovuti.

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Quaderni della SIF (2012) vol. 32- 57

La sfi da della riforma universitariaFabio Naro*, Andrea Lenzi**

*Segretario Generale del Consiglio Universitario Nazionale,

**Presidente del Consiglio Universitario Nazionale

La legge di riforma universitaria n. 240/10 del 30 dicembre 2010 fu approvata dopo un lungo iter par-lamentare e rappresenta uno degli atti legislativi più importanti del governo Berlusconi. Il clima po-litico e dell’opinione pubblica in cui nasceva la proposta di riforma era notevolmente avverso al mon-do universitario che, per lunghi mesi, era stato tenuto sotto attac-co da una campagna mediatica senza precedenti tesa a dipingere un mondo accademico autorefe-renziale, corrotto, interessato solo a difendere i propri privilegi cor-porativi. Aldilà di considerazioni superfi ciali, dettate più da un sen-timento scandalistico che da una vera analisi dei problemi dell’uni-versità italiana, vi era però un forte sentire che l’idea dell’autonomia responsabile, iniziata con la rifor-ma Ruberti, fosse stata fortemente

travisata dagli atenei in un’irre-sponsabile gestione delle risorse e del reclutamento. Per queste ra-gioni, le forze politiche al governo sentirono l’urgenza di intervenire con una legge di riforma che, dopo una serie di proposte parlamenta-ri, provenienti sia da partiti della maggioranza sia dell’opposizione, fu presentata al senato il 25 novem-bre 2009. Nell’anno che intercorse tra la sua presentazione e la sua approvazione, il quadro politico del paese mutò considerevolmente e la discussione sulla riforma universi-taria diventò più l’occasione di uno scontro tra le forze politiche che l’occasione di un sereno ragiona-mento su una delle istituzioni più importanti del nostro paese.

Il risultato è stato che gran parte della struttura della riforma risulta condivisibile perché, di fatto, rap-presenta una risposta organica alla

richiesta di cambiamento prove-niente anche dall’interno del mon-do universitario, ma, nel contem-po, ne è scaturito un irrigidimen-to iperprescrittivo in parte legato all’accoglimento di istanze prove-nienti dalle contestazioni esterne al parlamento. Questa tendenza ha portato a norme molto rigide che, ad esempio, regolamentano in modo dettagliato l’organizzazione interna delle università riducendo la libertà degli atenei di darsi mo-delli competitivi alternativi. Que-sto risultato si è ottenuto mediante imposizioni basate su un modello di tipo “autorizzativo” piuttosto che insistendo su procedimenti di accreditamento con successiva va-lutazione dei risultati raggiunti. Lo stesso spirito prescrittivo si riscon-tra nelle norme che regolano sia la formazione, sia le modalità opera-tive delle commissioni di abilita-

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zione nazionale la cui autonomia risulta fortemente ridimensionata.

L’eccessivo dettaglio normativo ha comportato che, nonostante la minuziosità prescrittiva contenuta nell’articolato, si è reso necessario, per l’attuazione della riforma, un gran numero di decreti applicativi che hanno impegnato il governo e il ministero nei due anni a segui-re. Per avere un’idea dei quasi 50 decreti ministeriali necessari per la piena attuazione della riforma si può visionare il sito CUN dove sono riportati i testi pubblicati o in pubblicazione http://www.cun.it/media/115992/tabella_provve-dimentil240_al_13072012.pdf ed i relativi Dossier su specifi ci ar-gomenti sempre nello stesso sito www.CUN.it.

Fin dall’approvazione della ri-forma, il CUN ha offerto la propria disponibilità a partecipare alla sua realizzazione con quello spirito di servizio istituzionale legato alla sua stessa natura elettiva e di rappre-sentanza, ma anche di consulenza e proposta e che ha sempre con-traddistinto la sua opera in questi anni. In particolare va ricordato come il CUN avesse già prefi gurato nel suo convegno del giugno 2008 molti dei temi ripresi dalla rifor-ma (http://www.cun.it/rubriche/convegno-giugno-2008/convegno-giugno-2008.aspx) e predisposto, con il suo parere generale del 4 novembre 2009 (http://www.cun.it/media/103601/pa_2009_11_16.pdf), il riordino dei settori scienti-fi co disciplinari che diventerà poi la base per la creazione dei settori concorsuali sui quali si basano le attuali procedure di abilitazione.

Anche se non sempre diretta-mente coinvolto nella discussio-ne sui provvedimenti in itinere, il CUN ha collaborato per rendere operativa nel minor tempo possi-bile la riforma e ha espresso il suo punto di vista sia in occasione delle numerose audizione parlamentari per le quali è stato convocato, sia con pareri, mozioni e proposte pro-prie deliberate, dopo ampie discus-sioni, sempre in modo unanime ad horas rispetto alle richieste. Appare quindi evidente che non è stato il

confronto della struttura politica ministeriale con il proprio organi-smo di riferimento che ha rallenta-to in modo cosi evidente (quasi due anni) la stesura e l’approvazione dei decreti collegati alla riforma. È possibile invece ipotizzare che un confronto più ampio con il proprio organismo di riferimento avrebbe forse evitato quei rallentamenti, dovuti a pareri negativi o interlo-cutori espressi da parte degli orga-nismi di controllo, e, forse, anche alcune contestazioni di cui l’appli-cazione della L. 240/2010 è stata, ed è tuttora, oggetto.

Senza entrare nel merito com-plessivo della riforma 240/2010 che riguarda numerosi aspetti dell’or-ganizzazione e gestione del mondo universitario, il cui impianto prin-cipale si può riassumere principal-mente in tre aree (nuova organiz-zazione della struttura di governo degli atenei, nuove procedure di reclutamento e progressione di carriera, alcuni aspetti di forma-zione, ricerca e diritto allo studio), possiamo limitarci ad esaminare uno degli aspetti dove l’azione del CUN è stata più visibile.

L’azione del CUN è stata molto evidente nella traduzione in decre-ti delle norme per le procedure di reclutamento (sia chiamate dirette che abilitazioni), sia con tutto il lavoro preliminare sulla riorganiz-zazione dei settori scientifi co con-corsuali, di cui abbiamo accennato in precedenza, sia con la realizza-zione di interventi tecnici richiesti dalla legge. Per quanto riguarda le chiamate dirette vanno ricordate la defi nizione delle tabelle di corri-spondenza tra le posizioni accade-miche italiane e quelle estere di cui all’articolo 18, comma 1, lettera b) della legge n. 240/2010 che è stato recepito nel Decreto n. 236/2011, pubblicato nella Gazz. Uff. 21 set-tembre 2011, n. 220, e l’individua-zione dei programmi di ricerca di alta qualifi cazione, fi nanziati dall’Unione Europea o dal Ministe-ro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di cui all’art. 29, com-ma 7, della legge n. 240/2010 rece-piti nel D.M. 1 luglio 2011.

Un discorso a parte merita il

punto riguardante le abilitazio-ni nazionali che rappresentano la maggiore novità sul reclutamen-to e della progressione di carriera introdotta dalla legge 240/2010. Il CUN è stato tra i primi a parla-re della necessità dell’abilitazione nazionale come meccanismo che permettesse di costituire un bacino di meritevoli, al quale le università potessero attingere per reclutare docenti che garantissero quei livelli di qualità scientifi ca necessari per il miglioramento del sistema univer-sitario italiano (http://www.cun.it/rubriche/convegno-giugno-2008/convegno-giugno-2008.aspx). Nel-la visione del CUN la priorità as-soluta è che il sistema proceda nel modo più spedito possibile e che si vada verso una normalizzazione delle immissioni in ruolo e delle progressioni di carriera, tanto più necessari nel momento in cui la legge non contempla più il ruolo di ricercatore a tempo indeterminato, ma, in qualche modo, precarizza ulteriormente l’accesso alla carrie-ra accademica. In tal senso va vista la proposta CUN che si può riassu-mere con l’individuazione di livelli minimi quantitativi di produttività per ogni singola Area CUN, neces-sari per proporsi come candidato (http://www.cun.it/media/113271/do_2011_05_24_002.pdf) e che dovevano essere la base per le com-missioni di stabilire se la qualità della produzione fosse di livello tale da garantire i requisiti di abilitazio-ne. La via che è stata scelta invece è stata completamente diversa e si basa sul tentativo di fornire alle commissioni di abilitazione dei pa-rametri rigidi di valutazione che, in qualche modo, ne riducano il potere discrezionale. L’oggettiva diffi coltà di poter stabilire criteri di selezio-ne aggiuntivi rispetto a quelli basati sulle “mediane” della produzione scientifi ca che siano applicabili in modo omogeneo a tutti i settori concorsuali e, al contrario, l’auto-matismo, immaginato da alcuni, dell’attribuzione dell’abilitazione a chiunque possegga i requisiti indi-viduati, sono le Scilla e Cariddi tra le quali dovranno navigare le com-missioni nel prossimo futuro. ■

Quaderni della SIF (2012) vol. 32- 59

Caratteristiche farmacologiche e razionale di impiego dei fattori di

crescita mielopoieticiMarzia Del Re, Anna Elisabetta Brunetti*, Nicola Silvestris*, Romano Danesi

UOC Farmacologia Clinica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa *UOC

Oncologia Medica e Sperimentale, IRCCS Oncologico Giovanni Paolo II, Bari

Introduzione

Le tossicità indotte dalla che-mioterapia possono infl uenzare negativamente l’esito del tratta-mento e, tra queste, la neutrope-nia riveste un ruolo di particolare importanza, in quanto può ma-nifestarsi con febbre e richiedere l’ospedalizzazione del paziente mettendone a rischio la vita. Il tasso di mortalità associato a neu-tropenia febbrile varia dal 2 al 21% ed il rischio di morte aumenta in funzione di vari fattori, tra cui lo stato generale del paziente, il tipo di tumore, la presenza di comor-bilità e le infezioni sopraggiunte. Inoltre, la comparsa di tossicità midollare costringe il clinico a ri-durre la dose del trattamento che-mioterapico o ad interromperlo compromettendo l’effi cacia della terapia antitumorale.

I dati della letteratura scientifi -ca sono concordi nel dimostrare che una riduzione dell’intensità di dose, a causa di interruzione o riduzione del trattamento, può compromettere la sopravvivenza dei pazienti che ricevono tratta-menti di tipo curativo o adiuvante (1, 2, 3). Il fattore di crescita dei granulociti (G-CSF) stimola la proliferazione e la sopravvivenza dei neutrofi li e dei loro precursori, riducendo l’incidenza, la durata e la gravità degli eventi neutrope-nici in molti tipi di regimi che-mioterapici. In particolare, è stato esaminato il ruolo della profi lassi primaria con G-CSF sullo svilup-po di neutropenia febbrile e sulle sue complicanze in 17 studi clini-

ci randomizzati con 3493 pazienti arruolati ed ha dimostrato che il decesso in seguito ad infezioni è stato osservato nel 2,8% dei con-trolli e nell’1,5% dei pazienti trat-tati con G-CSF. Inoltre il decesso precoce per altre cause durante il trattamento è stato osservato nel 5,7% dei pazienti di controllo e nel 3,4% di quelli trattati con G-CSF (4). Ad oggi le linee-guida per l’uso del G-CSF per la profi lassi della neutropenia febbrile sono state elaborate dell’ASCO (Ameri-can Society of Clinical Oncology), dall’EORTC (European Organisa-tion for Research and Treatment of Cancer) e dall’NCCN (National Comprehensive Cancer Network), ma la reale pratica clinica sembra variare molto dal corretto utilizzo dei fattori di crescita, sia per quan-to riguarda il tempo di inizio e la durata del trattamento, che per la quantità di fattore di crescita somministrata (5, 6, 7). L’utilizzo del G-CSF è stato esaminato in pazienti affetti da tumore del pol-mone e del colon in trattamento chemioterapico e gli autori han-no riportano che la maggior parte dell’uso di G-CSF non era fi naliz-zato alla profi lassi primaria o se-condaria, come da linee-guida, ma veniva somministrato all’occor-renza in risposta alla neutropenia febbrile e lo scopo della chemiote-rapia (palliativa vs curativa) non sembrava infl uenzare la decisione dell’uso di G-CSF (8, 9, 10, 11).

Considerando il ruolo fi siologico del G-CSF nella granulopoiesi e nei relativi modelli biologici della cinetica cellulare del midollo os-

seo dopo chemioterapia, in questo articolo verranno analizzati i dati farmacologici relativi all’applica-zione delle linee guida in clinica per l’ottimizzazione della profi las-si della neutropenia febbrile con G-CSF in pazienti adulti affetti da tumori solidi.

Fisiologia della granulopoiesi

La granulopiesi è un processo fi -siologico che avviene nel midollo osseo a partire da cellule staminali emopoietiche (HSCs) che produ-cono giornalmente circa 120x109 granulociti. Le HSCs sono gene-ralmente quiescenti e solo una frazione di queste entra nel ciclo cellulare per generare i progenito-ri e diventare cellule attive.

La differenziazione completa da HSCs a granulociti è un processo multi-stadio che impiega nel mi-dollo umano circa 7–10 giorni e at-traversa vari stadi di maturazione, durante i quali le cellule acquisi-scono specifi ci aspetti morfologici e vanno incontro alla progressiva perdita del potenziale di prolifera-zione. La differenziazione è guida-ta da fattori di crescita defi niti “ci-tochine ad azione precoce” (early acting, es. il fattore di crescita dei granulociti-macrofagi GM-CSF) e “ad azione tardiva” (late acting, es. il fattore di crescita dei gra-nulociti G-CSF). Il segnale delle citochine early-acting promuo-ve la differenziazione delle HSCs nei progenitori comuni linfoidi o mieloidi. I progenitori comuni mieloidi possono differenziarsi in progenitori dei megacariociti-eri-

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trociti o dei granulociti-monociti, dai quali le citochine late-acting infi ne inducono la differenziazio-ne in neutrofi li, monociti, basofi li ed eosinofi li.

Il primo precursore granulocita-rio identifi cabile è il mieloblasto, una cellula scarsamente granulata con un nucleo molto prominente; le cellule generate dai mieloblasti, cioè i promielociti e i mielociti, sono cellule che si dividono e co-stituiscono, insieme ai mielobla-sti, il pool mitotico (Fig. 1).

Il pool post-mitotico o matura-tivo è invece costituito da meta-mielociti e da neutrofi li immaturi mentre il pool periferico (Fig. 1) è costituito da neutrofi li maturi la cui vita è inferiore a 12-24 ore (8).

Nella famiglia dei fattori di cre-scita granulocitari, il G-CSF è l’in-duttore predominante della diffe-renziazione dei granulociti (12).

Il G-CSF è una proteina secreta da cellule infi ammatorie, reticolo-endoteliali, fi broblasti e cellule dello stroma del midollo osseo. Il G-CSF ha molteplici funzioni; infatti, promuove la proliferazio-ne delle HSCs in sinergia con le interleuchine IL-3, IL-1, IL-6 ed i fattori di crescita delle cellule staminali, nonché la differenzia-

zione delle cellule mielopoietiche nel midollo osseo. Inoltre favori-sce l’attivazione dei neutrofi li, au-mentando la chemiotassi dei neu-trofi li maturi, l’adesione, l’attività fagocitaria, la produzione di supe-rossido e la citotossicità cellulare anticorpo-mediata. Il G-CSF è an-che un elemento essenziale per le granulopoiesi “di emergenza”, in risposta ad infezioni batteriche ed in aggiunta alle normali funzioni dei neutrofi li (12). Per l’uso ot-timale del G-CSF sono state esa-minate molte variabili cliniche, compreso il tipo di trattamento somministrato (13).

Tuttavia, i modelli preclinici sono quelli che hanno offerto le migliori possibilità di lettura dei fenomeni biologici collegati alla fi siopatologia della granulopoie-si. L’importanza del G-CSF nella granulopoiesi è stata dimostrata in studi condotti su modelli spe-rimentali murini; nei modelli animali in cui il recettore del G-CSF (G-CSFR) era geneticamente deleto, gli animali risultavano af-fetti da neutropenia grave (12). Il G-CSFR deriva dalla superfamiglia di tipo 1 del recettore delle cito-chine; a seguito del legame del G-CSF al suo recettore avviene la

dimerizzazione di due catene di G-CSFR al quale segue una rapida fo-sforilazione dei residui di tirosina del dominio intracellulare del re-cettore con conseguente attivazio-ne dei segnali cellulari JAK/STAT, PI3K/PKB/Akt e MAPK, coinvolti nella trasduzione del segnale di proliferazione e differenziazione (8, 12, 15).

Il G-CSFR è espresso dai pro-genitori mieloidi fi no alle cellule mature ed i suoi livelli di espres-sione aumentano con i livelli di maturazione granulocitaria, rag-giungendo il numero massimo nei neutrofi li periferici (Fig. 1) (14). Da questa evidenza ne conse-gue che la sensibilità delle cellule all’azione del G-CSF è massima nelle cellule periferiche e del pool post-mitotico e minima nelle cel-lule del pool mitotico; l’opposto si osserva per quanto concerne la sensibilità agli effetti tossici della chemioterapia (Fig. 1).

Tutte le mutazioni riportate nel gene del G-CSFR e/o nei suoi effet-tori potrebbero giocare un ruolo nella risposta al G-CSF, determi-nando le variazioni interindivi-duali nell’attività del farmaco (16) che possono altresì dipendere dal-la variabilità farmacocinetica e/o farmacodinamica, dall’età, dalla funzionalità d’organo e dalle inte-razioni con terapie concomitanti.

Defi nizione del rischio di neutropenia: dai modelli clinici ai fattori molecolari

Le linee guida American So-ciety of Clinical Oncology (ASCO), NCCN (National Comprehensive Cancer Network) ed EORTC (Eu-ropean Organization for Research and Treatment of Cancer) risulta-no concordi nel riconoscere l’im-portanza della valutazione dei fat-tori di rischio correlati al paziente, quali la presenza di malattia in sta-dio avanzato o la malattia non con-trollata, uno scarso performance status, l’età superiore ai 65 anni, precedenti episodi di neutropenia febbrile, precedenti trattamenti chemioterapici, gravi comorbidità o ancora la presenza di leucopenia

Fig. 1 – Rappresentazione schematica del modello di granulopoiesi umana con indicazione della sensibilità alla chemioterapia citotossica e al G-CSF in rapporto alla densità di G-CSFR.

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basale o il coinvolgimento del mi-dollo osseo nel processo neoplasti-co per l’uso dei fattori di crescita mieloidi fi lgrastim, lenograstim o peg-fi lgrastim (5, 6, 7). In partico-lare, il ruolo dell’età come possibi-le cofattore di suscettibilità a com-plicanze legate alla neutropenia è stato ampiamente esaminato in diversi studi che hanno dimostra-to che il fattore età, da solo, non è un indicatore affi dabile del rischio di complicanze da trattamento; tuttavia questa tipologia di pazien-ti necessita di una valutazione ge-riatrica globale (11). Diversi studi clinici, disegnati per ottenere una stima dell’incidenza della neutro-penia sulla base dei suddetti fatto-ri di rischio, sono stati realizzati allo scopo di identifi care i pazienti a maggior probabilità di mielosop-pressione, quelli che subivano una riduzione dell’intensità di dose e/o che presentavano neutropenia feb-brile durante la chemioterapia per tumore della mammella, linfoma non Hodgkin (LNH) e vari tipi di neoplasie (17). Lyman e collabo-ratori hanno valutato la probabi-lità di un episodio di neutropenia febbrile sulla base del numero di fattori di rischio e hanno pertanto dimostrato che il rischio di neu-tropenia febbrile era inferiore nei pazienti che presentavano meno di tre fattori di rischio, mentre risul-tava maggiore durante il primo ci-clo di chemioterapia (18). Succes-sivamente, gli stessi autori hanno sviluppato e validato un modello prospettico di analisi del rischio clinico di neutropenia febbrile in pazienti con neoplasie solide o lin-fomi (19). I risultati di questo stu-dio hanno confermato che, dopo opportune modifi che per tipo di tumore ed età, i fattori di rischio indipendenti più rilevanti nell’am-bito di un’analisi multicentrica comprendevano una precedente chemioterapia, l’alterazione del-la funzionalità epatica e renale e bassi valori iniziali di conteggio dei leucociti/granulociti. Al fi ne di identifi care potenziali biomarca-tori predittivi di risposta al G-CSF, sono stati condotti studi genetici e funzionali sui fattori di crescita.

Martìn-Antonio P. hanno analiz-zato le caratteristiche genetiche associate alla mobilizzazione delle cellule CD34+ in 112 soggetti sani trattati con G-CSF (fi lgrastim, 10 mg/kg per 5 giorni), riscontrando che le varianti genetiche di VCAM1 e CD44 erano associate con il nu-mero di cellule CD34+ mobiliz-zate nel sangue periferico dopo somministrazione di G-CSF (20). Gli autori hanno concluso che la variabilità genetica delle mole-cole coinvolte nella migrazione e nell’homing delle cellule CD34+ infl uenza il grado di mobilitazione di queste cellule, sottolineando la complessità delle variabili che de-vono essere prese in considerazio-ne nella scelta di un trattamento.

Uso del G-CSF per la profi lassi primaria e secondaria della neutropenia febbrile

Le linee guida disponibili identi-fi cano tre categorie di trattamento a rischio di sviluppare la neutro-penia febbrile: alto (> 20%), in-termedio (10-20%) e basso rischio (<10%) (21). Le linee guida sono coerenti nel consigliare la profi -lassi primaria con G-CSF quando il rischio di neutropenia febbrile è del 20% o superiore, nessuna pro-fi lassi quando la probabilità è del 10%, mentre nella categoria con rischio del 10-20% è necessaria la valutazione individuale. Dopo il primo ciclo di chemioterapia, secondo le linee guida NCCN ed EORTC, la valutazione del rischio deve essere effettuata prima di ogni ciclo successivo. Se si verifi -ca un episodio di neutropenia feb-brile o di neutropenia dovuto alla chemioterapia, il paziente verrà considerato ad alto rischio. La pro-fi lassi secondaria dovrebbe essere effettuata in quei pazienti che svi-luppano una neutropenia febbrile, anche se si tratta di soggetti trat-tati con regimi chemioterapici che rientrano nella categoria a basso rischio, oppure quando si ritiene importante mantenere l’intensità di dose. Tuttavia, la riduzione della dose o un ritardo nella sommini-strazione dovrebbero essere presi

in considerazione nel caso di pa-zienti che ricevono chemioterapia con intento palliativo o in coloro che presentano tossicità non-ema-tologiche di grado 3-4.

Schema ottimale di somministrazione del G-CSF in rapporto alla fi siopatologia della granulopoiesi

Le linee guida internazionali con-cordano circa l’inizio (24-72 ore dopo la somministrazione di un re-gime chemioterapico mielotossico), il dosaggio e la durata della sommi-nistrazione del G-CSF. In particola-re, l’impiego del G-CSF deve essere proseguito sino al raggiungimento di un conteggio assoluto dei neu-trofi li (ANC) di almeno 2-3x109/l, in accordo con le linee guida ASCO. Il pegfi lgrastim, ossia la formula-zione del fi lgrastim coniugata con PEG (polietilenglicole), che con-ferisce una lunga durata d’azione, deve essere somministrato in una singola dose 24 h dopo la chemio-terapia. Infatti, questa modifi cazio-ne molecolare del fi lgrastim limita effi cacemente la fi ltrazione renale e riduce la degradazione metabolica che si verifi ca a livello epatico. Al contrario delle forme non pegilate del G-CSF, il pegfi lgrastim è prin-cipalmente catabolizzato dai neu-trofi li per cui la concentrazione del farmaco è regolata dal conteggio dei neutrofi li. La durata della tos-sicità midollare e della conseguen-te neutropenia sono infl uenzate dalle condizioni del paziente e dal regime terapeutico impiegato (13), specialmente per quanto riguarda il dosaggio e il tipo dei singoli far-maci citotossici utilizzati che pos-sono avere effetti divergenti sulla sintesi del DNA e sulla numerosità delle cellule staminali midollari. Le cellule staminali ematopoietiche, il pool mitotico ed i neutrofi li circo-lanti sono regolati da un feedback negativo: all’inizio del trattamento chemioterapico si assiste alla deple-zione del compartimento mitotico, mentre in misura minore vengono danneggiate le HSCs, ed i comparti-menti post-mitotico/differenziativo e periferico (Fig. 2). Per compen-

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sare il danno sul pool mitotico una frazione signifi cativa di HCSs en-tra nel ciclo cellulare, causando in tal modo la diffusione del danno al compartimento delle HSCs e ridu-cendo il pool post-mitotico dei neu-trofi li: tale fenomeno conduce alla neutropenia (8). Infatti, al nadir del trattamento i compartimenti mito-tico e post-mitotico risultano com-pletamente impoveriti di cellule (Fig. 2) ed i livelli di neutrofi li ini-ziano ad aumentare solo quando il farmaco citotossico viene eliminato dall’organismo e, a causa della neu-tropenia stessa, avviene una produ-zione compensatoria endogena di G-CSF che raggiunge il suo mas-simo in corrispondenza del nadir (22). I chemioterapici infl uenzano il tempo e l’inizio della neutrope-nia in modo differente tra loro. Per esempio, la neutropenia che deriva dagli agenti alchilanti e dalle antra-cicline si sviluppa dopo 1-3 settima-ne a causa del loro effetto precoce sulle cellule progenitrici; al contra-rio, la neutropenia si manifesta im-mediatamente dopo il trattamento chemioterapico quando si impie-gano farmaci come l’idrossiurea, la ciclofosfamide, la doxorubicina e l’etoposide. Il G-CSF ricombinante comporta un tempo di transizione più breve nel passaggio da cellula staminale adulta a neutrofi lo ma-turo, portando all’immissione in circolo di un numero maggiore di neutrofi li circolanti funzionali (23). Poichè è accertato che gli effetti del G-CSF sul midollo osseo sono legati alla popolazione di cellule che compongono il pool mitotico e post-mitotico, è possibile pensare che la somministrazione del fattore di crescita risulti effi cace se effet-tuata poco dopo la chemioterapia ed al contrario inadeguata quando eseguita al nadir, cioè quando le cellule midollari sono fortemente ridotte (8) (Fig. 2).

In sintesi, si può ragionevolmen-te affermare che la tempistica ot-timale di somministrazione del G-CSF dovrebbe avvenire:1. dopo la clearance del chemiotera-

pico, poiché l’effetto proliferativo del G-CSF può aumentare il nu-mero di cellule midollari chemio-

sensibili;

2. quando il numero di cellule del pool mitotico midollare è ancora rilevante;

3. per un numero di giorni suffi ciente a stimolare la proliferazione delle cellule del pool mitotico che, a causa della loro scarsa sensibili-tà al G-CSF per bassa densità del G-CSFR, richiedono una stimola-zione prolungata per espandersi effi cacemente e ripopolare il pool post-mitotico e periferico (Fig. 2). Infatti, la somministrazione di singole dosi G-CSF intorno al nadir provoca una dismissione di cellule del pool post-mitotico e un transitorio incremento dei granulociti maturi in circolo; in assenza di una stimolazione effi -cace delle cellule del pool mito-tico, il pool post-mitotico viene esaurito e l’effetto di incremento dei neutrofi li circolanti si esauri-sce rapidamente (Fig. 2).

4. Se vi è un intervallo di diversi gior-ni tra la fi ne dell’effetto biologico del G-CSF e la chemioterapia (bi-sogna evitare “l’effetto priming” che si verifi ca quando il G-CSF viene somministrato poco prima della chemioterapia in quanto ciò rende il pool mitotico altamente sensibile ai farmaci citotossici).

Differenze di formulazione tra G-CSF

Negli ultimi anni sono stati condotti diversi studi di confron-to su fi lgrastim, lenograstim e pegfi lgrastim in termini di effi ca-cia, sicurezza e/o rapporto costo-effi cacia. Una meta-analisi di Ly-man e collaboratori ha osservato simili profi li terapeutici circa la prevenzione della neutropenia febbrile per entrambe le formu-lazioni non pegilate di G-CSF (fi lgrastim e lenograstim) (24). Un numero crescente di dati sug-gerisce che il pegfi lgrastim è più effi cace del fi lgrastim. In pazienti con carcinoma mammario trat-tate con epirubicina e docetaxel (una combinazione che comporta un rischio neutropenia febbrile del 38% senza G-CSF) è stata di-

mostrata una minore incidenza di neutropenia febbrile in coloro che ricevevano pegfi lgrastim in confronto alle pazienti trattate con fi lgrastim (iniziato il giorno 2 e proseguito sino al raggiungi-mento di una conta di neutrofi li superiore 10x109/l o per un totale di 14 giorni) (25, 26). In uno dei due studi la differenza risultava si-gnifi cativa (p<0,029 vs fi lgrastim) (25). Lo studio GEPARTRIO ha confrontato l’effi cacia della pro-fi lassi primaria con pegfi lgrastim associato o meno a ciprofl oxacina rispetto a fi lgrastim o lenograstim o ciprofl oxacina in monoterapia in pazienti con carcinoma mamma-rio in trattamento con regimi di chemioterapia contenenti doceta-xel, doxorubicina e ciclofosfamide (27). In questo studio il pegfi lgra-stim con o senza ciprofl oxacina era signifi cativamente più effi cace rispetto al G-CSF non-pegilato a somministrazione giornaliera nel prevenire neutropenia sia di grado IV che febbrile. Nei pazienti con neoplasie linfoidi trattati con re-gimi di chemioterapia dose-dense è stato dimostrato un effetto equi-valente di pegfi lgrastim e fi lgra-stim nel prevenire la neutropenia febbrile (28). Un’analisi in 2200 pazienti trattati con una varietà di regimi chemioterapici ha con-fermato che la profi lassi prima-ria con pegfi lgrastim rispetto alla pratica clinica mostra una minore incidenza di neutropenia febbrile (29). Inoltre, una meta-analisi di cinque studi randomizzati, con-dotti per confrontare pegfi lgra-stim con fi lgrastim in termini di prevalenza della neutropenia feb-brile, della neutropenia di grado 4 o di dolore osseo, ha concluso che una singola dose di pegfi lgrastim fornisce risultati migliori rispet-to ad una terapia di 10-14 giorni con fi lgrastim (30). Vi sono alcune considerazioni da fare, almeno dal punto di vista biologico, per l’in-terpretazione di questi risultati. Il pegfi lgrastim, pur non potendo es-sere valutato con i metodi classici di binding recettoriale, ha un’af-fi nità marginalmente inferiore al G-CSFR rispetto al fi lgrastim, pur

Quaderni della SIF (2012) vol. 32- 63

Fig. 2 – Sensibilità alla chemioterapia e somministrazione di G-CSF.

mantenendo un’elevata selettività grazie alla presenza della compo-nente idrofi la del polietilenglico-le. Al contrario, il lenograstim ha un’affi nità recettoriale maggiore al G-CSFR ma questo non è di-pendente da modifi cazioni della catena aminoacidica ma dalla pre-senza della componente glucidica che crea condizioni di maggiore adesività alle glicoproteine delle membrane cellulari, pur potendo-si creare le condizioni di minore specifi cità recettoriale. In sintesi, l’effetto clinico del trattamento con fattori di crescita agonisti del G-CSFR dipende fortemente dalla lunghezza della loro emivita bio-logica e dalla continuità del tratta-mento che permette la stimolazio-ne delle cellule progenitrici grazie alle quali si mantiene una adegua-ta numerosità e vitalità della linea cellulare mielopoietica (8).

Conclusioni

La neutropenia e la conseguen-te riduzione dell’intensità di dose costituiscono un serio problema nella gestione del paziente onco-logico. Ci sono evidenze sia fi sio-logiche che cliniche che l’utilizzo del G-CSF contribuisce a prevenire la neutropenia febbrile e a miglio-

rare la mielotossicità indotta dalla chemioterapia. È importante che il G-CSF venga somministrato se-condo le linee-guida internazionali al fi ne di ottenere il massimo bene-fi cio, come suggerito dai modelli fi siopatologici preclinici che sotto-lineano la necessità di un utilizzo profi lattico del G-CSF, con schemi di somministrazione a dosi multi-ple suffi cientemente prolungati o la mono-somministrazione di peg-fi l-grastim, adeguati a ripopolare effi -cacemente i compartimenti cellula-ri danneggiati dalla chemioterapia.

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Maxiemendamento, spending review, farmaci equivalenti e medicina generale

Luigi Santoiemma*, Saffi Giustini**

*Medico di MG Bari Commissione Appropriatezza Regione Puglia **Consulente AIFA «Cure primarie», CTR

Regione Toscana, Area Nazionale del Farmaco SIMG

Partiamo dal testo, per non sbagliare…:

TESTO DEL Dl 95/2012 (COORDINATO CON LE MODIFICHE INTRODOTTE DAL SENATO)TITOLO IIIRAZIONALIZZAZIONE E RIDUZIONE DELLA SPESA SANITARIAArticolo 15.(Disposizioni urgenti per l’equilibrio del settore sanitario e misure di governo della spesa farmaceutica)

11-bis. Il medico che curi un paziente, per la prima volta, per una patologia cronica,ovvero per un nuovo episodio di patologia non cronica, per il cui trattamento sonodisponibili più medicinali equivalenti, è tenuto ad indicare nella ricetta del Serviziosanitario nazionale la sola denominazione del principio attivo contenuto nel farmaco. Ilmedico ha facoltà di indicare altresì la denominazione di uno specifi co medicinale a basedello stesso principio attivo; tale indicazione è vincolante per il farmacista ove in essa siainserita, corredata obbligatoriamente di una sintetica motivazione, la clausola di nonsostituibilità di cui all’articolo 11, comma 12, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1,convertito, con modifi cazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Il farmacista comunquesi attiene a quanto previsto dal menzionato articolo 11, comma 12.

Quaderni della SIF (2012) vol. 32- 65

Premessa

Queste considerazioni sull’im-patto, nell’attività del Medico di Medicina Generale, del provvedi-mento su riportato saranno prive di qualsiasi riferimento a valuta-zioni di tipo sindacale.

Non siamo titolati e competenti a sviluppare rifl essioni sulla coe-renza regolatoria di questo prov-vedimento con l’Accordo Col-lettivo Nazionale che disciplina il lavoro del Medico di Medicina Generale. Altri, più competenti di me in questo settore, esporranno le loro tesi.

Cercheremo, invece, di capire le ragioni in termini farmaco-economici del provvedimento e la loro coerenza con altri aspetti già regolati della prescrizione in Medicina Generale

Ambito applicativo dell’articolo in questione

Patologie croniche avviate per la prima volta a trattamento o nuovi episodi di patologie acute, trattabili con medicinali equiva-lenti (ovvero a brevetto scaduto), sia “branded” che generici iden-tifi cati con la Denominazione Comune Internazionale seguita dal nome del titolare della A.I.C., Autorizzazione all’Immissione in Commercio (esempio: Norva-sc, Amlodipina Teva, Amlodipina Doc, etc).

Dato il riferimento a ricette del SSN, va inteso che la norma si ri-ferisca a farmaci di classe A o co-munque rimborsabili dal SSN.

Soggetti interessati

I Medici che possono prescrive-re farmaci sul Ricettario SSN, ov-vero Medici di Medicina Generale (MMG) e Pediatri di Libera Scel-ta (PLS); in passaggio in cura da parte di ambulatori specialistici dotati di ricettario regionale.

Obblighi

Sembra impossibile leggere una

norma senza dover fare una ese-gesi attenta di quanto scritto e decifrare il contenuto con molta fatica. Anche in questo caso sem-bra ci tocchi…

Dunque:• il primo periodo fi ssa l’’obbligo

per il prescrittore di indicare in ricetta, nelle condizioni su esplicitate, solo la Denomina-zione Comune Internazionale (indicata come denominazione del principio attivo: amlodipina, lansoprazolo, levofl oxacina…);

• il secondo periodo, nella sua prima parte, afferma che “altre-sì” il prescrittore ha facoltà di indicare, se vuole, uno specifi co medicinale contenente il prin-cipio attivo in questione. Nella seconda parte, invece, afferma che, questa seconda possibilità, diventa vincolante per il farma-cista “ove in essa sia inserita” la clausola “non sostituibile” seguita da una sintetica motiva-zione del perché non sia sostitu-ibile.

A questo punto le letture possibi-li sono due:1. il prescrittore dovrà prescrivere

esclusivamente il principio atti-vo (la DCI) e, solo se ritiene che lo stesso non sia sostituibile, potrà prescrivere qualsiasi spe-cialità contenente quel princi-pio attivo dandone indicazione scritta – e motivata – al farma-cista.

2. il prescrittore può prescrive-re sia il principio attivo che la specialità medicinale corrispon-dente e solo nel caso che voglia che quest’ultima sia non sosti-tuibile darà indicazione scritta – e motivata – al farmacista.

Sembra impossibile non riuscire a scrivere una norma che non ri-chieda un successivo chiarimento ma, non sappiamo perché, ci riu-sciamo veramente di frequente.

In attesa dell’inevitabile circolare di chiarimento, mettiamo da parte gli aspetti “interpretativi” e pro-viamo a vedere cosa cambia que-sto provvedimento nell’attività del MMG (o PLS).

Impatto sull’attività del MMG

Esaminiamo separatamente l’obbligo di riportare in ricetta la denominazione del farmaco e quello di riportare in ricetta una sintetica motivazione dell’even-tuale non sostituibilità.

Non con tutti i programmi ge-stionali è possibile per il MMG (e per il PLS) riportare in ricetta la DCI del farmaco che si vuole pre-scrivere.

La prescrizione infatti, identi-fi ca farmaco, dosaggio, titolare della AIC e numero di autoriz-zazione, cosa che permette una elaborazione statistica puntuale e dettagliata dei fl ussi prescrittivi.

In particolare, l’implementa-zione della ricetta elettronica e il suo invio in tempo reale ai server regionali obbligano a for-nire questi elementi identifi cativi della ricetta stessa, indispensabili per sapere, ad esempio, in tempo reale quali e quante prescrizioni vengono effettuate, che percen-tuale è ascrivibile a farmaci bran-ded a brevetto scaduto e quale a generici, eliminando la necessità di lente e tardive immissioni, ri-cetta per ricetta, nei databases amministrativi, di quanto spedito in farmacia.

Ovvero, faremmo, o meglio fa-remo, un bel passo indietro nella possibilità di monitorare la spesa per la farmaceutica e di introdur-re meccanismi correttivi.

La ricetta elettronica è un ob-bligo di legge; lo è anche il ma-xiemendamento del Decreto in esame: se due leggi mi chiedono di fare ognuno l’opposto dell’al-tro forse è il caso che ad una delle due si ponga rimedio.

Non sostituibilità e sintetica motivazione

Già la normativa in vigore fi s-sa per il prescrittore l’obbligo di esplicitare la non sostituibilità quando ritiene che il paziente debba ricevere proprio quella specialità medicinale e non un

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farmaco equivalente ad essa. Abbiamo già esaminato, anche

sulle pagine di Quaderni della SIF e, in ampio dettaglio, sul sito www.asco.it, quali sono ancora le “aree grigie” della normativa sui farmaci equivalenti e forse non è il caso di ritornarci ancora.

Volendo a tutti i costi indicare qualche situazione che possa mo-tivare a riportare questo vincolo in ricetta, si potrebbe far riferi-mento a casi, successi a chi scri-ve e a molti Colleghi, di pazien-ti che, avendo ricevuto in tempi differenti dalla stessa farmacia due equivalenti diversi dello stes-so principio attivo, assumevano contemporaneamente entrambi, pensando si trattasse di farmaci diversi.

Forse è una preoccupazione propria della Medicina Generale e non percepita nei consessi isti-tuzionali, quella della tutela della fragilità anche socio-culturale di alcune fasce della popolazione di utilizzatori di farmaci, ma credo che essa sia ben legittima.

Quindi il problema della non sostituibilità è strettamente cor-relato a quello della sostituibilità “selvaggia” e solo per fi ni econo-mici, consentita dalla attuale nor-mativa.

Potrebbe essere interessante, specie nel futuro molto prossimo di una “dematerializzazione” del-la ricetta, guardare alla esperien-za di altri Paesi.

Ad esempio, nel North Carolina in USA, il farmacista è tenuto a erogare la stesso generico forni-to per la prima volta, a pazienti che assumano farmaci ad indice terapeutico ristretto, come antie-pilettici o anti-aritmici.

Oggi in Italia questa misura precauzionale sarebbe inappli-cabile ma, a breve, con la ricetta elettronica sarà assolutamente possibile che la storia prescrittiva di un paziente “viaggi” con la sua ricetta.

Se sul “non sostituibile” co-munque le idee sono abbastanza chiare, sulla sintetica motivazio-

ne sono ancora molto oscure. A chi serve? È una comunicazione per il pa-

ziente?Se c’è una cosa che è ben pre-

sente nel DNA della Medicina Generale è il counselling, opera-zione pressoché sconosciuta in qualsiasi set ospedaliero/speciali-stico, e che noi quotidianamente ci danniamo a far stare nei 6,5 minuti medi della consultazione in MG…

Quindi non serve al paziente.È una comunicazione per il

farmacista? Al farmacista comu-nichiamo la raccomandazione di non sostituire il farmaco, ma non credo sia utile la condivisione di una scelta basata su motivazio-ni cliniche che oggettivamente non competono al farmacista né questo è un gesto che scarichi dal medico la completa responsabili-tà della sua decisione.

È una comunicazione diretta alla Istituzione?

Allora è sbagliata la scelta di usare uno strumento come la ri-cetta per trasferire motivazioni di appropriatezza prescrittiva.

Oltre tutto la ricetta elettronica non prevede uno spazio di testo “libero” non codifi cabile a meno che, in un delirio di burocratiz-zazione smodata, non vogliamo immaginare una serie di moti-vazioni di non sostituibilità co-difi cate e numerate… Un delirio, appunto.

Ma non si voleva deburocratiz-zare il lavoro del medico?

Serve come “deterrente” contro non sostituibilità?

Sì. Ma non si dovrebbe fare.Allora a cosa può/potrebbe ser-

vire questa norma?Finora, abbiamo elencato una

serie di insostenibilità/inutilità di questi nuovi obblighi prescrittivi.

Proviamo, anche spostandoci su altri punti di osservazione, a esa-minare i possibili utilizzi/vantag-gi della norma in questione.

È evidente che l’idea sarebbe quella di “blindare” la prescrizio-ne di generici.

Sappiamo che, anche se il mercato degli equivalenti è in continua crescita in Italia (vedi OsMed 2011) esiste ancora una prescrizione elevata di equivalen-ti “branded” rispetto ai generici puri, a differenza di quello che si registra in altri Paesi europei o nel Nord America.

La classe medica italiana è ac-cusata spesso di mantenere una irragionevole diffi denza verso il mondo del farmaco generico e di favorire ancora il farmaco griffa-to, anche se questo prevede una differenza monetaria a scapito dell’utilizzatore. Anche di que-sto in passato ci siamo occupati e continuiamo a sostenere che gran parte dei problemi siano stati le-gati, da un lato, alla scarsa prova di “comunicazione” da parte isti-tuzionale sul tema del farmaco equivalente e, dall’altro, proprio dalla sostituibilità in farmacia, come detto prima, fonte di fre-quente confusione e rischio per il paziente.

In realtà questa operazione non porterà benefi ci economici diret-ti alle fi nanze pubbliche perché la spesa eccedente ricade già ora sulla spesa privata dell’utilizzato-re.

Si stima che la spesa per la com-partecipazione della differenza di costo tra equivalente “branded” e non branded sia di circa 700 mi-lioni di euro all’anno e gravi sulle tasche dei cittadini.

Vero. È una grossa cifra, specie se vi-

sta nell’insieme che, però, se divi-sa per ogni cittadino italiano vuol dire circa 12 euro all’anno…

Non sembra più così ragguar-devole, se serve ad un cittadino ad evitare il rischio di un cambio continuo di scatole, colori, nomi.

E, in ogni caso, per le fi nanze pubbliche continua a essere più vantaggiosa la prescrizione del farmaco “branded” a brevetto scaduto o, comunque, di quello che prevede una differenza a ca-rico dell’utente, dato che la legge (sconto al SSN dal 1,5 al 3,75%

Quaderni della SIF (2012) vol. 32- 67

sul prezzo di riferimento per far-maci a brevetto scaduto di costo superiore a quello più basso, DL. 24/11/2006) prevede in questi casi un ulteriore sconto da appli-care al rimborso del costo del far-maco destinato al farmacista.

In realtà, l’unico, sostanzioso benefi cio atteso da un rafforza-mento del mercato del generico in Italia è creare una ulteriore tendenza verso il basso del costo dei farmaci a brevetto scaduto fa-vorito dalla acquisizione di quote maggiori di mercato.

Benefi cio reale, ma visto in una prospettiva di medio termine.

A breve, non produce risparmio.Però, il problema non è questo. Il problema è far crescere la si-

curezza e la fi ducia nel farmaco generico da parte del prescrittore e le strade sono sempre le stesse:• ridurre la variabilità della so-

stituibilità in farmacia. Per ot-tenere questo risultato l’infor-matizzazione di tutti i percorsi di salute dei cittadini, farmaci, diagnostica, riabilitazione, rico-veri è irrinunciabile e proprio la ricetta elettronica può costitui-re un volano virtuoso;

• la tracciabilità del farmaco sulla confezione: titolare A.I.C., pro-duttore, sede dello stabilimen-to. Se le legge la impone anche sulle merendine, perché non sui farmaci?

Se il nostro paziente continue-rà a ricevere lo stesso generico ricevuto la prima volta e potrà leggere sulla scatola da chi e dove viene prodotta la compressa che ogni giorno assume io sarò lieto di limitarmi a scrivere il principio attivo sulla mia ricetta (anche se,

come si diceva prima, dovremo risolvere qualche problema di ri-cetta elettronica…).

In conclusione, un provvedi-mento da chiarire, che non fa cre-scere la fi ducia nel farmaco gene-rico e che non produce risparmio per la collettività, almeno nel bre-ve periodo.

Resta da chiedersi, perché?Un sospetto/un dubbio/una cer-

tezza: forse chi ha pensato questa strategia non frequenta la vita re-ale dei 60 milioni di cittadini ita-liani, forse da troppo tempo non fa anticamera nello studio del proprio medico di famiglia e non è spesso in farmacia a ritirare le pillole.

Eppure alcuni dettagli sul set di cure primarie, prescrizione dei farmaci compresa, poteva cono-scerli meglio.

Bastava chiederli a chi, ogni giorno, si confronta con essi.

A un Medico di Medicina Gene-rale, per esempio.

Honni soit, qui mal y pense...

Postfazione

I tempi necessari alla pubbli-cazione di queste note ci hanno dato la possibilità di valutare, a regime, gli effetti del DL 95/2012, titolo III, art. 15, ovvero, cosa è successo di interessante.

Le software-houses che distri-buiscono i nostri programmi di studio hanno provveduto a imple-mentare quanto disposto dal DL e ogni medico può decidere se pre-scrivere solo la DCI del principio attivo, la DCI e il nome di un pro-dotto branded o solo quest’ultimo se ritiene di esplicitare la non so-

stituibilità dello stesso. Natural-mente questa preimpostazione andrà scelta come default delle ricette, non essendo sostenibile che, ricetta per ricetta, il prescrit-tore modifi chi le impostazioni di stampa.

Quindi si è defi nito questo sce-nario:

la stragrande maggioranza dei prescrittori ha impostato le op-zioni in maniera da stampare entrambe le denominazioni (DCI e marchio brand) non rinuncian-do, quindi, a indicare comunque il marchio, anche per facilitare il compito del paziente di collegare il nome del farmaco fi nora assun-to con la denominazione del pro-dotto equivalente proposto e, in caso, erogato, in farmacia. Solo un manipolo di pochissimi irri-ducibili continua una lotta a di-fesa della non sostituibilità, pre-scrivendo solo il brand.

Risultato fi nale: NON È CAM-BIATO NIENTE. 1) Il Farmacista, come in passato,

continua a proporre la sostitu-zione, in caso di quota a carico dell’utente, che rimane libero di aderire o meno alla proposta e di accettare la sostituzione con l’equivalente;

2) Permane alto il ivello di con-fusione sui farmaci equivalenti (possibile? Purtroppo sì);

3) Assogenerici continua a lamen-tare la scarsa affezione del pre-scrittore italiano per il farmaco equivalente e non registra una impennata recente nei volumi di vendita.

L’avevamo detto e scritto, non è la strada giusta… ■

68 - Quaderni della SIF (2012) vol. 32

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