Internos novembre 2013 (n° 36)

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inter “E gli anni passano, i bimbi crescono, le mamme imbiancano...” E’ questa la melodia con cui sono stati cullati tanti fon- datori e frequentatori dei Cani Sciolti all’inizio della loro avventura. Oggi sono d’argento gli anni dei Cani Sciolti come i capelli di molti che continuano a ritrovarsi, a frequentare la sede e le montagne ed ad incuriosirsi su tutto ciò che ruota attorno al mondo della montagna. Nel corso di questo anno escursionistico ormai agli sgoccioli si sono avvertiti positivi segnali di rinnovamento, sono en- trate energie nuove che fanno sperare in un proficuo pas- saggio del testimone. continua a pag. 2 > 2.0 Oriana Torelli Domenica 17 novembre 2013 ore 12:30 Castello di Leguigno - Casina Pranzo di chiusura dell’anno escursionistico Per prenotazioni è possibile rivolgersi a: Elio Pelli 340.7273977 Guido Chierici 393.9982799 Da oggi faccio strada io Simone Farini Il brigante Amorotto Elio Pelli Esco di casa e vado... Federico Farini 2 4-5 7 anno XVI - numero II (pubb. n° 36) novembre 2013 Supplemento a “Paese Nostro” - Periodico bimestrale dell’Amministrazione comunale di Cavriago Direttore responsabile Giuseppe Guidetti - AUT. TRIB. REGGIO EMILIA N. 288 DEL 16/10/1970 Periodico di cultura e curiosità sull’ambiente montano della Sottosezione CAI “Cani Sciolti” di Cavriago ( E) Sciolti Click! Clicca sui link inseriti nel testo e visita i siti Web proposti Cani

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Periodico di cultura e curiosità sull’ambiente montano della Sottosezione CAI “Cani Sciolti” di Cavriago (RE)

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inter

“E gli anni passano, i bimbi crescono, le mamme imbiancano...”

E’ questa la melodia con cui sono stati cullati tanti fon-datori e frequentatori dei Cani Sciolti all’inizio della loro avventura.

Oggi sono d’argento gli anni dei Cani Sciolti come i capelli di molti che continuano a ritrovarsi, a frequentare la sede e le montagne ed ad incuriosirsi su tutto ciò che ruota attorno al mondo della montagna.

Nel corso di questo anno escursionistico ormai agli sgoccioli si sono avvertiti positivi segnali di rinnovamento, sono en-trate energie nuove che fanno sperare in un proficuo pas-saggio del testimone.

continua a pag. 2 >2.0Oriana Torelli

Domenica 17 novembre 2013ore 12:30

Castello di Leguigno - Casina

Pranzo di chiusuradell’anno escursionistico

Per prenotazioni è possibile rivolgersi a:

Elio Pelli 340.7273977Guido Chierici 393.9982799

Da oggi faccio strada ioSimone Farini

Il brigante AmorottoElio Pelli

Esco di casa e vado...Federico Farini

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Periodico di cultura e curiosità sull’ambiente montano della Sottosezione CAI “Cani Sciolti” di Cavriago ( E)

Sciolti

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Cani

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2 Novembre2013nosinter

> segue dalla prima pagina

Nel secondo week-end di luglio Aida e Lalla hanno accompagnato un gruppo in Val d’Uina, facen-dosi apprezzare per la puntualità dell’organizzazione, per la scelta della struttura di appoggio, per la padronanza dimostrata nella con-duzione dell’escursione.

A settembre Federico e Simone ci hanno accompagnati in Brenta, sul Sentiero delle Bocchette Centrali. Seri, precisi, bravissimi.Federico ha gestito con il neces-sario sanguefreddo ed in modo corretto un’emergenza; Simone è stato pazientemente a fianco de-gli ultimi, quando una pioggia insi- diosa ha reso meno sicuro il sen-tiero ed i tempi di percorrenza si sono allungati.I maliziosi farebbero notare come la presenza di autorevoli esponenti del CAI abbia influito sulla condot-ta dei capigita. Noi non lo siamo e i fatti ci daranno ragione.

Il martedì in sede, c’è un gran via vai di gente: tra una torta, una fetta di salame e un trancio di pizza (innaffiato da buon vino), si socializ-zano scatti fotografici e si rivivono le emozioni delle giornate insieme.C’è speranza.Come direbbe il nostro Toni: «La tradizione continua!».

Internos Pubblicazione n° 36 Novembre 2013

Redazione a cura di Oriana Torellitel. [email protected]

Internos è nato nel 1998da un’idea di Paolo Bedogni

Sottosezione CAI “Cani Sciolti” via Roma, 14 - Cavriago (RE)www.caicavriago.altervista.org

Dalla carta al Web: leggendo il QR Code a fianco con un disposi-tivo mobile connesso ad Internet, si può sfogliare Internos online Del “Gran Pino” di Cavriago ho

già scritto nel 2001 su “Inter-nos”: torno sull’argomento a

seguito di una conversazione con la Guardia Ecologica Volontaria (e socio CAI di Scandiano) Carlo Tognazzi. Da lui ho saputo del censimento de-cennale degli alberi monumentali cu-rato dagli stessi Volontari: il nostro Pino è stato “affidato” a lui ed alla collega Carmen Torsiello.

Innanzitutto, una precisazione “ana-grafica”: i cavriaghesi lo chiamano af-fettuosamente (ma erroneamente) “Gran Pino”; in realtà, si tratta (come riportato dall’apposita targhetta) di un esemplare di ”Cedrus Atlantica”, albero di prima grandezza, originario della catena dell’Atlante (Marocco).

Dotato di foglie lunghe 2 centimetri, appiattite e arcuate di colore verde-glauco, presenta strobili ovoidi di 5-6 centimetri e spesso ombelicati.Introdotto in Italia per la prima volta nel 1842, lo troviamo spesso come ornamento in giardini di ville di fine Ottocento.

Il mio rilievo del 2001 a 1,3 metri da terra, dava una circonferenza del fusto di 5,11 metri; misurazioni più accurate (dati GEV) registrano oggi una misura di 5,38 metri, un’altezza superiore ai 24 metri e, soprattutto, una buona condizione di salute.Auguriamo quindi al nostro Pino an-cora tanti anni di buon respiro!

Paolo Bedogni

Qui Cani Sciolti - Notizie dalla Sottosezione

Il “Gran Pino” di Cavriago

Tre generazioni di Cani Sciolti insieme, alle prese con la manutenzione dei sentieri

Da oggi la strada la fa Simone

Un sabato di agosto sono an-dato con il CAI di Cavriago a sistemare i sentieri per il

Monte Ravino ed il Vallestrina.Il viaggio è stato bello, perché io e Mario Soncini abbiamo parlato di ar-gomenti per me interessanti: corsa, ciclismo e montagna.

Arrivati a Civago, ci siamo distri- buiti il materiale: pali, frecce e la tri- vella, che ho portato io.Poco dopo la partenza, abbiamo af-frontato una salita faticosa alla fine della quale siamo tutti “scoppiati”.Ripreso il fiato ed arrivati sul Ravi-no, abbiamo piantato il primo palo con qualche difficoltà, ma un’idea di Paolo Bedogni ha risolto tutto.Dopo un’altra ora di cammino siamo giunti in cima al Monte Vallestrina, dove io volevo arrivare per primo, ma non ci sono riuscito.La discesa verso il Rifugio Battisti è stata molto tranquilla, anche se Son-cio ad ogni palo ci ha fatto sostituire una freccia.

Al Rifugio ci siamo riposati ed abbia-mo mangiato.Sul sentiero del ritorno mi sono molto divertito, perché il Bedo ha proposto di fare la gara per arrivare alla macchina; così abbiamo impie-gato pochissimo tempo.E’ stata una bellissima esperienza anche se ero il più piccolo, il più coc-colato, ma anche il più allenato.Con i Cani Sciolti c’è sempre da im-parare.

(ndr, il Bedo le gare le propone sempre e solo in discesa...)

Simone Farini

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3 Novembre2013nosinter

Le copiose nevicate dell’ultima primavera hanno reso quasi fia-besco il paesaggio del nostro

Appennino: le faticose marce sulla neve sono state così alleggerite dal-le nostre suggestioni fantastiche, mentre da loro avvolti ci muoveva-mo in scenari immaginifici.

La neve era ancora fresca al Rifugio Zamboni, quando abbiamo deciso di rivolgere la nostra attenzione alla Contessa, montagna famosa soprat-tutto per le sue leggende.Si narra di un castello distrutto che sorgeva sulla sua cima, immagine forse suggerita dall’aspetto simile a rovine degli strati di arenaria spac-cati da migliaia di rigidi inverni.Il castello era abitato da una con- tessa guerriera e crudele, ai cui dis-sidi con il Papa doveva essere messa fine dall’intercessione di un frate.

Questi, al ritorno dalla missione a Roma, trovò però solo rovine fuman-ti: i feroci briganti che infestavano la zona avevano sterminato i castellani e distrutto il maniero con la polvere esplosiva, furiosi per non avervi tro-vato un misterioso tesoro.Una leggenda che, nata in età matil-dica (secolo XI), ha più tardi incorpo-rato elementi di folclore e di cro-naca, come i rimandi alle vicende del bandito Amorotto (secolo XVI), la- sciando ai posteri speranze donchi-sciottesche di ritrovare il tesoro.

Fermandoci sulla Provinciale dopo il ponte della Governara, con tutto il massiccio del Cusna di fronte, ecco spuntare le due cime minori, ben evidenti sul limitare del bosco: Con-tessa e Mongiardonda.La prima cima si erge fra i sentieri storici del CAI 617 e 619, che condu-cono entrambi al Cusna: quindi, im-boccato il 617, superiamo la passe-rella sul Rio Grande e arriviamo al pilone della linea ad alta tensione.

Dopo circa cento metri a sinistra, in prossimità di un faggio secolare, ab-bandoniamo il sentiero CAI e percor-riamo una traccia ben segnata dal passaggio degli animali autoctoni.

Molto panoramica, la via rimane in cresta fra il vallone della Borra a sinistra e la valle del Rio Bibbi a de-stra; bisogna sempre seguire il cri-nale e dirigersi poi verso le tre cime formate da brecciolino di arenaria.

Dalla vetta le possibilità sono molte-plici: si può semplicemente scendere sul sentiero 617 e ritornare con per-corso ad anello; oppure proseguire in cresta e raggiungere il punto di congiunzione dei sentieri 617 e 619, con la possibilità di ascendere al Cusna da un percorso più diretto.Altra divagazione porta a visitare la Valle dei Bibbi, un luogo fantastico, isolato, nascosto e molto interes-sante per appassionati di botanica e raccoglitori di funghi.

Lanciato un sasso nella peschiera, ecco formarsi i cerchi nell’acqua: così anche noi auspichiamo che questi spunti narrativi (l’Amorotto, la Valle dei Bibbi, la Contessa) suscitino la voglia di raccontare, soprattutto nei giovani e non sempre e solo in noi pensionati (che se anche ci definia-mo “diversamente giovani”, abbiamo pur sempre la mente vecchia...).

(ndr, il sasso ha generato un vero maremoto nelle pagine seguenti...)

Tre generazioni di Cani Sciolti insieme, alle prese con la manutenzione dei sentieri

Da oggi la strada la fa Simone

I “Mille” dell’Appennino(da un’idea di) Paolo Bedogni

Contessa leggendariaPaolo Bedogni - Fausto Bertani

foto Claudio Castagnetti

foto Paolo Picciati(it.wikipedia.org)

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4 Novembre2013nosinter

Montagna e storia/1

Il brigante Amorotto detto “Bretta”Elio Pelli

Chi pensava che i simpatici personaggi “Bretta” e “Brega Buiuda” fossero solo il frutto della mente fantasiosa di Paolo Bedogni si dovrà ricredere.

Bretta è esistito veramente, anzi sono esistiti due Bretta, uno a Parma e uno a Reggio. Di Brega Buiuda invece non si trovano tracce: forse era il soprannome del fratello di Bretta, ma non è passato alla storia...

Ci occuperemo qui del Bretta reggiano, meglio conosciu-to come Amorotto, il cui vero nome era Domenico de’ Bretti (da cui “Bretta”). Figlio di un oste di Carpineti detto ”al Morot” (sopran-nome che lo stesso Domenico adottò), aveva due fratelli Alessandro e Vitale: il primo divenne notaio, mentre Vi-tale si diede come Domenico al brigantaggio.Il giovane “Bretta”, cresciuto tra i tavolacci dell’osteria di suo padre fra ubriachi e gente di malaffare, aveva la vita segnata, anche se - caso raro a quei tempi - sapeva leg-gere e scrivere ed era colto, affabile e gentile.Ma così com’era generoso con gli amici, era altrettanto spietato e crudele con i nemici: infatti il suo primo omi-cidio lo commise ancora adolescente, accoltellando un uomo nella piazza del mercato a Carpineti. Domenico dovette quindi fuggire nei boschi: in pochi anni divenne un sicario al soldo dei vari signorotti che non volevano sporcarsi le mani per eliminare chi dava loro fastidio, macchiandosi di innumerevoli altri delitti.Si stancò presto, però, di questa vita: pensò allora di mettersi in proprio.Per diventare più autorevole e temuto, radunò sotto il suo comando una banda di tagliagole tra i più feroci in circolazione e prese a battere le contrade di montagna derubando mercanti e viandanti che avevano la disavven-tura di incontrarlo.

Famigerato per audacia e crudeltà, era però apprezzato dai montanari cui non torse mai un capello; anzi, se pote-va li aiutava, assicurandosi in questo modo la possibilità di un rifugio sicuro ovunque si nascondesse.Tranne una volta, quando un suo sgherro tentò di tradirlo.

Il fatto andò così. Nelle sue varie alleanze e tradimenti immediati, l’Amorotto si era inimicato Bartolomeo da Valestra, amico di Girolamo Bebbi.Questi decise di vendicarsi di uno sgarbo e organizzò una trappola per uccidere Domenico: convinse uno dei suoi uomini a tradirlo, facendosi da lui indicare dove l’Amorotto andava a dormire; poi, con una decina di ar-mati, circondò la casa e le appiccò il fuoco.Il nostro “Bretta” preferiva dormire da solo e in case iso-late, con un occhio ed un orecchio sempre vigili: non si fidava troppo, visti i tanti nemici che aveva.La notte dell’agguato, sentiti rumori sospetti, sgattaiolò fuori casa nascondendosi nel bosco e si salvò.

Ma la cosa non finì lì: il giorno dopo radunò i suoi uomini, raccontando dello scampato pericolo. Dichiarò di sospet-tare che tra loro ci fosse un traditore e tentò di scovarlo fissandoli dritto negli occhi uno a uno.Individuato in uno di loro uno sguardo sfuggente, lo apostrofò: «Sei tu la spia, me lo ha fatto sapere il Bebbi. Confessa e ti salverò la vita!».Aveva fatto centro, era proprio lui. Vistosi perduto, lo spione confessò in lacrime.L’Amorotto decise allora di usare la spia rea confessa per vendicarsi dei suoi assalitori: la inviò quindi da Girola-mo Bebbi con lo scopo di attirarlo in un tranello presso un casolare di Carpineti.

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5 Novembre2013nosinter

Gli uomini di Bebbi, nuovamente pronti all’agguato, furo-no però circondati da sessanta briganti fedeli a Domeni-co che incendiò la casa: Bebbi e i suoi uomini, costretti a uscire, furono trafitti dalle spade.Il traditore pensò di averla fatta franca, ma l’Amorotto lo prese per il bavero e infilzandolo con un pugnale disse: «Tu non devi sopravvivere a costoro che hai tradito!».

Uno dei rifugi preferiti era la Rocca del Predario, ora chiamata Torre dell’Amorotto. Quel che rimane, dopo il terremoto del 1920, è visibile poco prima di Civago.Questa rocca faceva parte del Castello delle Scalelle, fondato nel 1250 circa dalla famiglia dei Dallo, forse sui ruderi di un avamposto longobardo o bizantino.Un aneddoto racconta che un giorno due guardie sor-presero l’Amorotto solo nella Torre: vistosi spacciato, finse di chiamare rinforzi, facendo capire di non essere solo; le guardie, temendo di essere circondate, se la det-tero a gambe levate tra le risate di Domenico...Secondo una leggenda montanara, l’Amorotto nascose un tesoro nei pressi della Torre: ma solo chi fosse riuscito a menare una mucca per la coda fino alla Rocca avrebbe trovato il tesoro... Come a dire che solo i citrulli potevano credere a una simile panzana.

L’Amorotto, per coprire le proprie malefatte, si buttò anche in politica, offrendo i propri servigi alla fazione guelfa e persino allo stesso Papa Giulio II, il quale lo ripagò con alcuni privilegi: la riscossione delle gabelle ed il Castello delle Carpinete.Il “Papa guerriero”, in continua lotta con gli Estensi, dopo la scomunica del 1510, gradiva mettere una spina nel fianco al Duca di Modena e Reggio Alfonso I d’Este proprio nelle sue terre.

Le prebende per l’Amorotto furono poi confermate da Papa Leone X ed al nostro “Bretta” non parve vero di poter continuare le sue scorrerie con la benedizione pa-pale: gli ordini erano di derubare e saccheggiare i pos-sedimenti ghibellini ed estensi; tuttavia, l’Amorotto ama-va indulgere nelle sue malefatte e queste “deviazioni” lo portarono a scontrarsi con il governatore del Papa a Reg-gio, il celebre Guicciardini.Questi gli diede una caccia spietata, cercando di fare ter-ra bruciata intorno a lui, ma la protezione del Papa fu più forte e “Bretta” rimase un intoccabile.

Le cose cambiarono alla morte di Papa Leone X (1521): il successore, Papa Adriano VI, pur eletto come neu-trale tra i cardinali filofrancesi e filoimperiali in quanto precettore di Carlo V, era ben visto anche dalla fazione ghibellina; il Guicciardini, finalmente con le mani libere, si affrettò a mettere una taglia di 200 ducati d’oro sulla testa dell’Amorotto e la cancellazione di tutti i reati a chi l’avesse ucciso.Qualche residua protezione cardinalizia e soprattutto l’aura di terrore che circondava il brigante, unita alla gra-titudine dei montanari, gli permisero di spadroneggiare ancora per l’Appennino, in barba alle truppe papali.

Reggio finì poi sotto il comando militare di Alberto Pio da Carpi, che pensò bene di affidare il controllo della montagna proprio all’Amorotto.Domenico non perse tempo a regolare i conti con i propri nemici: prima incendiò Albinea uccidendo il Bongiovan-ni; poi si volse contro Cato da Castagneto, capo della fazione estense della montagna, uccidendo anche lui e tutta la famiglia nel castello di Fanano.Sfuggita di mano alla signoria cittadina, la faida mon-tanara scoppiò ed inondò di sangue le valli: si giunse, il 5 luglio 1523, alla battaglia di Riva nel Frignano: si scontrarono le soldataglie di Virgilio, zio di Cato, con le bande dell’Amorotto e la lotta fu feroce.Virgilio fu ucciso dal genero di Domenico.

L’Amorotto perse 150 uomini della sua banda e fu egli stesso ferito gravemente alla gola dal prete Giovanni, zio di Virgilio.Mentre cercava di arrivare al Castello di Carpineti, Do-menico si imbatté in due dei suoi più acerrimi nemici, Te-baldo Sessi ed Antonio Pacchioni.Non ebbe scampo: uno lo trafisse con la lancia e l’altro gli tagliò testa e mano, portando poi questi trofei a Spilam-berto mentre la gente cantava: “Allegramente su! / Più alcun non piagna / Ch’egli è potato il Morro e la Castagna” (indicando con “Morro” l’Amorotto e con “Castagna” Vir-gilio da Castagneto).

Amorotto/”Bretta” è ancora oggi un personaggio ben presente nella cultura popolare: “A n’ha fàt pes che Brè-ta!” è una locuzione con cui si indica infatti un criminale particolarmente efferato ed incallito. Note bibliografiche:Andrea Balletti, Storia di Reggio nell’Emilia (1925)Alessandro Gaspari, La torre dell’Amorotto

Civago, la Torre dell’Amorotto (foto Carlo Baja Guarienti)

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6 Novembre2013nosinter

Fra i cultori della montagna, è noto che l’imponen- te gruppo dell’Adamello è stato teatro dei più alti combattimenti in quota nel corso della guerra con-

tro l’Austria-Ungheria.Una battaglia ininterrotta per oltre tre anni, condotta in estate ed in inverno in un ambiente estremo (con pic-chi di temperatura compresi fra i -25° e i +30°: facile in-tuire quanto ne conseguiva in termini di disagi e soffe-renze), senza peraltro portare significativi cambiamenti nell’andamento strategico della guerra.

Questo non impediva che gli scontri ravvicinati fossero feroci, spesso fino al reciproco annientamento: non si sparava più perché non c’era più nessuno, tranne pochi superstiti che si accordavano per il recupero dei rispettivi morti e feriti prima dell’arrivo dei nuovi rincalzi.Si tratta di episodi tutt’altro che infrequenti fra i nostri Alpini e i Kaiserjäger tirolesi, affiancati da altre truppe etniche del variegato Impero austro-ungarico: gruppi iso-lati, a stretto contatto con il nemico, soldati lontani dalle gerarchie che andassero oltre il tenente o il capitano di compagnia. Così, in situazioni particolarmente disperate, al rigorismo militare si sostituiva un ragionato buon-senso teso ad evitare inutili spargimenti di sangue.

Gran parte dell’Adamello era disseminato di baracca-menti grandi e piccoli. Tutti i principali colli, valichi, dossi e cime erano costantemente presidiati, anche durante gli inverni decisamente rigidi di queste zone, quando la neve copriva i pali delle piccole teleferiche di servizio ai rifornimenti: grandissime erano quindi le difficoltà dei genieri e degli addetti alla logistica a mantenere effi-cienti ed assistiti i reparti in prima linea.Le opere di difesa predisposte dagli Jäger nei primi giorni di guerra resero tutto il settore assolutamente imprendibile (pur con alterne vicende) fino al crollo mili-tare nel 1918. Gli austriaci trassero vantaggio anche dalla miopia dei nostri strateghi: le cronache del tempo e i rapporti stilati evidenziano lo stupore e la totale incre-dulità degli alti comandi imperiali di fronte a strategie avulse da ogni logica.

La storiografia concorda sulla grande importanza di que-sti territori, relativamente all’importante arteria di comu-nicazione con Tonale e Stelvio, per gli scambi socio-eco-nomici fra Camuni, Triumplini e Stoeni delle Giudicarie.Da qui nei secoli transitarono i Romani, Carlo Magno, il Barbarossa, gli Asburgo e Napoleone.Dal secolare dominio di Venezia, si passò all’Austria, fi-nanco alla Baviera (con la sollevazione dei sudtirolesi di Andreas Hofer), un breve periodo sotto il Regno napo-leonico d’Italia, poi dal 1814 ancora agli Asburgo fino alla Grande Guerra.

Montagna e storia/2 - Sul Sentiero dei Fiori

Guerra bianca in AdamelloPiero Sassi

Bambini-soldatonelle file austriache

Su tutti i fronti di media e alta mon-

tagna i cani sono stati usati in larga

misura per trainare slittoni carichi di materiali di ogni

tipo per le truppe avanzate.

Gli animali ar-rivavano in quota ghiacciaio con la

teleferica e venivano poi condotti ai canili

Anche i muli giun-gevano in teleferica

fino alle quote di ghiacciaio o di valico

attrezzato.

Poi i muli scesi dalla teleferica venivano condotti alle stalle

sul ghiacciaio.

Da qui servivano per gli approvvigiona-

menti e rifornimenti in prima linea

Baracche italiane arroccate in prima

linea sulla cresta del Castellaccio

(Trento)

Tipico esempio di postazione avanzata

con le baracche e i camminamenti let-

teralmente incollati alla parete

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7 Novembre2013nosinter

A piedi da Barco al “tetto” del nostro Appennino

Esco di casa e vado sul Cusna!testo e foto di Federico Farini

Quando mi hanno chiesto di raccontare la mia “pirlata”, come la definisco, ho detto

che non avevo scalato l’Everest.Risposta: «La tua idea è più originale, ormai sull’Everest ci vanno tutti...».

Il pensiero di uscire di casa da Bar-co per andare a piedi sul Cusna, la cima più alta e rappresentativa del nostro Appennino, da qualche anno mi girava per la testa, ma ogni volta non mi sentivo pronto.

Quest’anno mi sono buttato.Partito da Barco alle 3 di mattina in direzione Ciano, ho notato che cor-rere di notte con i paesi addormen-tati ha un fascino particolare.

La paura di non farcela si è subito trasformata in una grande carica che mi ha fatto arrivare a Trinità alle prime luci del giorno.Con un’alba stupenda mi sono diret-to verso Gombio, in una vallata sco-nosciuta ai più, ma bellissima.

Sempre di corsa ho raggiunto Fe-lina, poi una lunga (e tanto so- spirata) discesa fino a Gatta.Da lì solo salita, salita e salita.

Passati paesi con nomi poco familiari come Carniana, Meruzzo, Razzolo, Minozzo, Montefelecchio e sco- perti posti meravigliosi, dopo 50 chilometri sono finalmente arrivato a Valbucciana: lì mi aspettava mio fratello, proprio all’inizio del “no-stro” sentiero 623, che mi avrebbe portato al “traguardo” scavalcando i monti gemelli Prampa e Cisa.

Con la croce del Cusna nel mirino, ho fatto l’ultima salita quasi di corsa.In cima un urlo liberatorio mi ha fat-to dimenticare tutte le salite che ho corso per allenarmi.Con l’immancabile bottiglia di vino (come da manuale dei Cani Sciolti) ho brindato alla mia “pirlata”.

Gli sforzi si sono poi conclusi a metà pomeriggio al Rifugio Battisti, dopo 75 chilometri e circa 3.200 metri di dislivello positivo, dove una meravi-gliosa cena medioevale mi ha fatto riprendere le 4mila calorie perse.

Un piccolo effetto collaterale questa “passeggiata” l’ha provocato: ogni volta che dico “Esco di casa”, qualcu-no mi ricorda di non andare troppo lontano...

Page 8: Internos novembre 2013 (n° 36)

presenta

Sottosezione CAI“Cani Sciolti” - Cavriagocon il patrocinio del Comune di Cavriago

Oltre i quattordiciOttomila

con la straordinaria partecipazione diSILVIO “GNARO”MONDINELLI

MultisalaNovecentovia del Cristo, 5

Cavriago - RE

Martedì 3 dicembreore 21:00