InOgniDovePiemonte N.8

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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale -70% - NO/VERCELLI - Anno 2014 - N. 7 8/2014 Periodico di cultura, cooperazione e sostenibilità www.inognidovepiemonte.it TRANSITION TOWNS LE CITTÀ DEL FUTURO Sostenibilità LIGURIA FERITA INTERVISTA ALLO SCRITTORE GIUSEPPE CONTE NOI E GLI ANIMALI L’ANTISPECISMO TRA ANTICHE E NUOVE IDEE Mondo cooperativo COOPERATIVE CONTRO LA CRISI. INTERVISTA A IVAN PESCARIN PRESIDENTE DELLA COOPERATIVA AEG Musica ALBERTO CESA E LA CANZONE TRADIZIONALE PIEMONTESE Weekend IL CASTELLO DI MAZZÈ GLI ANELLI DEI 5 LAGHI DI IVREA

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2014. Sostenibilità, Cultura, Cooperazione

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N. 7

n° 8/2014Periodico di cultura, cooperazione e sostenibilitàwww.inognidovepiemonte.it

TRANSITION TOWNSLE CITTÀ DEL FUTURO

Sostenibilità• LIGURIA FERITAINTERVISTA ALLO SCRITTOREGIUSEPPE CONTE• NOI E GLI ANIMALI L’ANTISPECISMO TRA ANTICHE E NUOVE IDEE

Mondo cooperativo• COOPERATIVE CONTRO LA CRISI.INTERVISTA A IVAN PESCARIN PRESIDENTE DELLA COOPERATIVA AEG

Musica • ALBERTO CESA E LA CANZONE TRADIZIONALE PIEMONTESE

Weekend• IL CASTELLO DI MAZZÈ• GLI ANELLI DEI 5 LAGHI DI IVREA

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Si chiama Baldassarre ed è un cigno, un bellissimo cigno bianco che danza con grazia ed eleganza sullo specchio incanta-

to del lago Sirio. Nessuno sa davvero se questo splendido esemplare sia in realtà prigioniero di un incantesimo e se le sue candide piume na-scondano le sembianze di una bellissima prin-cipessa. Si sa solo che Baldassarre è un cigno un po’ intransigente perché non sopporta che si invada incautamente il suo territorio senza chiedere permesso. Se la prende dunque con i pedalò che transitano sulle sue acque e con i bagnanti che si immergono, anche in stagio-ne fredda, nelle gelide acque del suo lago. Già, perché secondo le leggi dei cigni, il lago è pro-prietà di chi lo abita e ci vive da molto tempo e, quindi, lui quando attacca barche e nuotatori non fa altro che difendere il suo territorio. Del resto, si chiede Baldassarre, che cosa farem-mo noi se un cigno entrasse nella nostra casa incautamente? Certamente chiameremmo la polizia o i vigili, o i carabinieri o lo caccerem-mo via… urlando a più non posso. Dunque, spiega l’avvocato di Baldassarre, perché mai un cigno non dovrebbe fare altrettanto? Ma le sue ragioni non interessano, lui è un animale e noi siamo umani, lui non ha nes-sun diritto e noi li abbiamo tutti, compreso quello di cacciarlo dal suo lago. E poi lui non è in possesso di un permesso di soggiorno sul lago mentre noi siamo cittadini residenti e “italiani” e abbiamo diritto di fare il bagno e di andare in pedalò quando ci pare. Ecco perché Baldassarre sarà espulso dal lago Si-rio e mandato, per ora, in un lago di acco-glienza, in attesa forse di essere rimpatriato, a meno che non riesca ad ottenere il visto per espatriare in un altro lago europeo o, ipotesi ancor più remota, possa acquisire lo status di rifugiato politico… Ma con le leggi italiane sul diritto di asilo queste due probabilità sono molto improbabili. Dunque Baldassarre sarà presto trasferito dal suo lago e la città risolverà definitiva-mente il problema del cigno cattivo, un grande problema questo che si è imposto

nelle decisioni da prendere prima ancora di altre gravi questioni economiche, sociali e sanitarie che pur gra-vano sul territorio…In realtà Baldassarre, clandestino del lago Sirio da moltissimi anni, pur scontroso e con un brutto carat-tere, si è fatto anche molti amici e non solo eporedie-si. Ora sono tutti disposti ad aiutarlo e stanno pro-testando a gran voce perché a lui venga riconosciuto lo status di rifugiato politico, in modo da consentirgli di continuare a vivere nel suo lago. I suoi amici sug-geriscono che, forse, per evitare che Baldassarre faccia danni alle cose e alle persone che transitano sulle sue acque, sarebbe sufficiente pensare a soluzioni che sta-biliscano dei vincoli da rispettare… ovviamente non solo per Baldassarre ma anche per chi frequenta il suo lago. Del tipo: confini chiari da non infrangere, per i bagnanti, i pedalò e… per lui. In fondo, dicono i suoi amici, tutti dobbiamo imparare a convivere, esseri umani e animali, e senz’altro anche Baldassarre sarà disposto ad adattarsi alle regole così civili che devono contraddistinguere la convivenza dei frequentatori del lago, nonché dei boschi e dei prati che lo circondano.La vicenda di Baldassarre, il cigno del lago Sirio, nei pressi di Ivrea, è un poco simbolo di tante altre piccole e grandi vicende, spesso ignorate, che avvengono nel nostro Paese, dove spesso i problemi sono “affrontati” eliminandoli alla radice: ovvero più che essere risol-ti sono sradicati, spostati da un’altra parte, chiusi in confini stabiliti… un po’ come le carceri, i centri di accoglienza, o i grandi siti dove si raccolgono rifiuti tossici e radioattivi.Non so come andrà a finire la storia di Baldassarre, il cigno del lago Sirio che deve essere cacciato perché aggredisce i bagnanti e i pedalò. Forse, questa volta la favola potrebbe finire bene, e il cigno cattivo potrebbe improvvisamente rivelarsi una splendida principessa che attendeva da tempo di essere liberata da un prin-cipe in grado di rompere l’incantesimo che la tiene prigioniera. Chissà, anche questa volta per vincere l’incantesimo forse occorrerà l’amore. Un amore vero, autentico, ma soprattutto capace di distinguere il vero dal falso, ma anche ciò che è giusto da quanto sarebbe ingiusto… Proprio come insegna la favola, la bellissima favola del Lago dei cigni…

EDITORIALE di Alessandra Luciano

Il lago del cigno...

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( 4 ) SOMMARIO

EDITORIALEpag. 3 Il lago del cigno di Alessandra Luciano

IN PRIMO PIANOpag. 6 Liguria ferita. Intervista a Giuseppe Conte di Alessandra Chiappori

MONDO COOPERATIVOpag. 34 Cooperative contro la crisi. Intervista a Ivan Pescarinpag. 40 Gruppo Soci cooperativa AEG di Ivrea: al via i primi progettipag. 44 Informatica cooperativa e sostenibile di Arianna Zucco

SOSTENIBILITA’pag. 12 Transition town: le città di transizione di Giulia Ricca

pag. 18 Prepariamoci a vivere con meno risorse... e più felicità di Francesco Comotto

pag. 22 Noi e ... gli animali? di Letizia Gariglio

pag. 30 Specie animali in via di estinzione di Giulia Ricca

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( 5 )SOMMARIO

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GUIDA WEEKENDpag. 58 L’Anfiteatro Morenico di Ivrea terra di laghi e boschi di Stefano Biava

pag. 60 L’anello dei 5 laghi di Ivrea di Stefano Biava

InOgniDovePiemonten. 8 - 2014Euro 5

Trimestrale di Cultura,Cooperazione e Sostenibilità Registrato presso il Tribunale di Ivrea n. 3 del 4/7/2012 del Registro periodici

Direttore Responsabile Alessandra Luciano [email protected]

Redazione e collaboratori:Ugo Avalle, Gloria Berloso, Stefano Biava,Alessandra Chiappori, Francesco Comotto, Silvia Coppo, Letizia Gariglio,Giulia Maringoni, Giulia Ricca, Arianna Zucco.

Progetto grafico Graphic design - Galliano Gallo

Layout e impaginazione Alessandra Luciano.

Fotocomposizione e stampa GS Editrice di Grafica Santhiatese Corso Nuova Italia, 15 b 13048 Santhià ( Vc) tel. 0161 94287 - fax 0161 990136 [email protected]

Direzione e redazione [email protected]

Foto di copertinaFoto di Tamara Mcdonald

MUSICA INCONTRIpag. 48 Alberto Cesa e la canzone ribelle di Gloria Berloso

APPUNTAMENTI IN LIGURIApag. 52 Il Bistrot dell’ulivo a Badalucco nel Ponente Ligure il 19 e 20 luglio di Alessandra Chiappori

CASTELLI DEL CANAVESEpag. 56 Il castello di Mazzè di Silvia Coppo

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Testi e foto di Alessandra Chiappori

LIGURIA FERITA

( 6 ) IN PRIMO PIANO

«...Qui in Liguria si è agito contro la natura, rendendo impossibile il suo sviluppo armonico. Il rapporto tra natura, paesaggio e civiltà è stato ferito: se colpisci la natura e rompi il suo equilibrio, ecco che lei si ribella, e si riversa sulla ferrovia e sulla strada...».

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Una vita tra la Liguria e il mondo quella di Giu-seppe Conte, poeta e scrittore che sulle pagine dei maggiori quotidiani italiani è intervenuto

senza riserve lo scorso gennaio a proposito dei pro-blemi di dissesto idrogeologico e salvaguardia am-bientale emersi in seguito all’alluvione che ha piegato il Ponente ligure. Lo abbiamo incontrato per parlare con lui di paesaggio, territorio e letteratura.

Partiamo dall’immagine del treno deragliato tra Ando-ra e Cervo, rimosso dopo 40 giorni di linea ferroviaria bloccata. Quell’Intercity è diventato un simbolo del dis-sesto idrogeologico che affligge la Liguria. Qual è il suo punto di vista sulla vicenda?«Quel treno è un simbolo della precarietà e dell’im-potenza di questa regione, è qualcosa che ha tagliato in due questa terra, già per sua natura ai confini del Paese. Certo, ci sono delle responsabilità per questo incidente ma prima c’è stato più di mezzo secolo di speculazione e rapina sul territorio. La linea ferro-viaria interrotta ha dato l’idea concreta di quanto il Ponente avesse ogni via chiusa, è stato un segno forte. Qualche giorno fa ero in autostrada, tornavo a casa qui a Sanremo e mi accorgevo di altri danni causati dalle recenti piogge sull’Aurelia, in alcuni tratti bloc-cata. Con sbotti di rabbia che non può immaginare mi domandavo come fanno le persone a muoversi, ad andare fino ad Albenga in treno, passare sull’Aurelia in bus e utilizzare l’autostrada, finché anche quella re-siste, perché basterebbe un piccolo smottamento per creare problemi anche lì. Io sono abituato a spostarmi, ho potuto vivere in Liguria proprio perché ho sempre avuto la possibilità di muovermi: macchina, treno, aereo… si può dire che abbia sempre fatto il pendola-re. Ecco perché questo fatto del treno l’ho vissuto un po’ come un’offesa, una ferita nei confronti della mia storia personale. E poi penso ai turisti, perché è un danno anche per chi deve arrivare: questo incidente avrà sicuramente effetti negativi sul turismo». Lei è nato a Imperia e attualmente vive a Sanremo: che legame ha con la sua terra?«Ci ho vissuto l’adolescenza e lì ho frequentato il li-ceo classico De Amicis, a Oneglia, prima di andare a studiare fuori con un brusco trasferimento a Milano, dove ho frequentato l’università e dove certo il pas-saggio si è fatto sentire nel clima e poi, naturalmente,

Nella pagina accanto Scorcio del Parasio uno dei borghi storici di Imperia.

Nella pagine successiveIl treno deragliato ad Andora e una panoramica del nuovo porto di Imperia, un’opera che Giuseppe Conte ha definito senza mezzi termini come vera e propria tragedia antropologica.

INTERVISTA A GIUSEPPE CONTE

LIGURIA FERITA

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anche nel paesaggio. L’adolescenza in Riviera era im-mersa in un clima da sogno».

La Liguria, in particolare il Ponente, ha un paesaggio particolare: è una terra che alterna la verticalità delle colline terrazzate all’orizzonte del mare, dove si con-trappongono aprico e opaco, come già aveva descritto Italo Calvino. È una terra fragile dove, scrive lei, “civi-lizzazione e natura mostrano i segni della loro eterna lotta”.«Ne parlavo con Calvino, che ho avuto la fortuna di conoscere e che è tra gli scrittori che mi hanno dato la più grande spinta per crescere. In Liguria la natu-ra non è stata lentamente plasmata dall’uomo, resta selvatica: sopra alcuni posti sono visibili i segni della civilizzazione, ma basta grattare la crosta per ritrova-re la natura. Calvino l’ha dimostrato splendidamente nel suo racconto “La strada di san Giovanni”: bisogna saper scavare e lì riapparirà una natura che negli anni è stata violata, attaccata, distrutta Il cemento però non è sceso dal cielo: chi ha ferito la nostra terra ha guadagnato».

Torniamo a Calvino: in “La speculazione edilizia” ave-va già denunciato la deriva del profitto edilizio che dagli anni Sessanta avrebbe segnato indelebilmente il territorio. È cambiato qualcosa da allora?«La speculazione edilizia in Liguria comanda da 60 anni, il potere per tutto questo tempo è stato nel-le mani dei costruttori. Qualcuno ha permesso che, attraverso lottizzazioni e colate di cemento, si agisse contro il paesaggio. Qui in Liguria si è agito contro la

natura, rendendo impossibile il suo sviluppo armo-nico. Il rapporto tra natura, paesaggio e civiltà è stato ferito: se colpisci la natura e rompi il suo equilibrio, ecco che lei si ribella, e si riversa sulla ferrovia e sulla strada. I costruttori pensano di poter utilizzare la na-tura come se fosse un’entità amorfa acquistabile. Non è vero! La natura è energia vivente, non puoi dire “qui tolgo gli alberi e ci metto del cemento”, perché poi lei si vendica e succede ciò che vediamo: le radici non tengono la terra, la strada frana. Ricordiamo però che c’è un problema a monte: piogge così non venivano prima, sono causate dal riscaldamento globale».

Ultimamente cemento e corruzione sembrano farla da padrone sulla costa ligure, sono tristemente note alle cronache le vicende legate ai porti, in particolare al nuovo grande porto turistico di Imperia. Da imperiese e da intellettuale cosa ne pensa?«Ho assistito al nascere del porto e mi sono espresso subito con un parere contrario: se fate un porto e lo fate avulso dallo spirito della città, come una cosa che ha esclusivamente un valore commerciale, verrà fuori qualcosa di sbagliato. Sia chiaro che in sé l’idea di un nuovo porto non era sbagliata, io non sono contrario al rinnovamento, alla grandezza come concetto lega-to alla nobiltà, ma non mi piacciono le megalomanie. In quel caso si trattava di qualcosa di enormemente speculativo, si voleva lucrare: un porto grande metà città snatura la città stessa, bisogna tenere conto an-che degli abitanti. Oneglia e Porto Maurizio [N.d.R. i due centri storici che costituiscono la città di Im-peria] sono due città legate alle realtà portuali, con

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alle spalle una grande storia di mare: qui non si è tenuto conto di niente, si è messo tutto in mano ai costruttori e quelli che erano interessati al business del porto hanno approfittato di questa vicenda. Quella del porto è stata ciò che io definisco una tra-gedia antropologica. Dubito la nuova amministra-zione possa fare qualcosa di fronte a una tragedia così grande: lo spero, ma ne vedo anche tutte le dif-ficoltà. Il grande molo, per esempio, è qualcosa di smisurato. Io ricordo il vecchio molo lungo, era la città che estendeva il suo braccio verso il mare. Ora è stato sostituito da uno nuovo, più grande, estetica-mente sembra un molo di una città della Florida, è un’opera staccata dal cuore della città e lo dico non da passatista, perché a me piacciono le cose nuove, belle, ma non finalizzate al guadagno. Forse ho un’i-dea un po’ donchischiottesca, ma guardiamo il pro-filo delle nostre città antiche, era armonico, creato dall’insieme delle case costruite come propria abita-zione, non per speculare né guadagnare, ma per sé. Basta dare uno sguardo ai quartieri storici, come il Parasio a Porto Maurizio, e subito dopo considerare invece certi quartieri nuovi frutto della smania di guadagno e dell’avidità fini a se stesse».

Nel 2010 è uscito per Philobiblon un suo libro parti-colare, “Viaggio Sentimentale in Liguria”, una raccol-ta di reportage da diversi luoghi della Costa Azzurra e della Liguria, articoli apparsi su “La Stampa” e “Il Secolo XIX” che esplorano vari aspetti dell’anima dei luoghi. È così, i luoghi hanno un’anima?«Sì esatto, l’intento di quel libro era parlare dell’a-

nima di alcuni luoghi. Pensi all’innocenza cultura-le di alcuni paesi: dalla Danimarca degli amici mi chiedevano se questo mio libro fosse distribuito negli uffici turistici! Loro amano la Liguria, questo libro però non è praticamente conosciuto da nessu-no. In effetti è vero, è un libro che fa uno spot alla Liguria, in fondo viene fuori un paese dell’anima, un paese ancora bello da vedere nel suo arco, nel suo profondo… È un po’ vederla come aveva fatto Mario Soldati nel suo “Regione regina”, esaltarne gli aspetti suggestivi. In fondo noi scrittori critichiamo, ma amiamo la Liguria». Che ruolo ha la bellezza in tutto questo?«La bellezza è energia spirituale, porta con sé l’idea di salvezza del mondo di natura dostoevskijana e che anche papa Giovanni Paolo II aveva affrontato in una lettera agli artisti. Con i miei amici mitomo-dernisti avevo già ripreso questo concetto in tempi non sospetti: la bellezza come nemica della violenza e delle barbarie del mondo. In fondo già Foscolo ve-deva nell’arte e nella poesia una forza civilizzatrice, un elemento di pacificazione. La bellezza è energia e opera nella natura, non si possono separare le due cose: un paesaggio può essere bello, ma un paesag-gio è già un fatto culturale, creato dall’uomo. La natura può essere un gioco di nuvole nel cielo, una cascata, un tramonto, quello è il bello della natura, mentre il bello d’arte è un quadro, una poesia».

È possibile secondo lei un’inversione di rotta dell’uo-mo verso la protezione di ciò che finora ha distrutto,

INTERVISTA A GIUSEPPE CONTE

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( 10 ) IN PRIMO PIANO

con un’attenzione spiccata per la bellezza e la sostenibi-lità dell’ambiente? Concretamente, come potrebbe rea-lizzarsi? Quale soluzione vede?«Torniamo alla Liguria: io vedo come soluzione un cambio radicale della classe dirigente, che si metta a servizio del bene comune. Penso che in questo mo-mento non lo stia facendo nessuno. Non parlo però di un aggiustamento, ma di un cambiamento radi-cale, con una cultura nuova: l’ambiente e il clima, per esempio, non sono in agenda, mentre una nuo-va cultura potrebbe riportare l’attenzione non solo sul bene dell’uomo ma sul bene della Madre Terra. In Liguria ce n’è bisogno più che altrove, è una terra dove la natura è ancora forte, esplosiva, ma insieme fragile, perché è stata distrutta nel corso degli anni. Io auspico questo cambiamento, ma non lo vedo, non saprei come indicarlo, e tuttavia voglio essere positivo dicendo che c’è bisogno di lavorare duramente, senza guardare al guadagno come obiettivo primario. Que-sto forse è un discorso più ampio, ma ha comunque molto a che fare con la Liguria, che certo non è una regione estranea alla presenza di certi comitati di af-fari».

Che ruolo attribuisce alla parola scritta?«La parola scritta può testimoniare, come si diceva una volta, ma non è solo una fotografia della realtà, può anche fare delle proposte, essere un elemento di lotta. E con parola scritta intendo libri, giornali, ma anche web. Per esempio nel mio ultimo libro “Il male veniva dal mare” (Longanesi, 2013. N.d.R.), che è un’opera di narrativa, di finzione, mi sono posto il problema dell’ambiente».

Abbiamo citato Calvino e, più in generale, i poeti, gli scrittori e gli intellettuali liguri: fra le loro opere, quali pagine consiglia per ritornare a scoprire la bellezza del-la Liguria?«Partirei da Camillo Sbarbaro, grande e sconosciuto maestro, con “Liguria” e “Alla terra”. Poi, uno su tut-ti, anche se non era del Ponente ma ha rappresentato molto bene la Liguria, è il Montale degli “Ossi di sep-pia”, non però delle ultime cose, quello è un Montale milanese. Naturalmente Italo Calvino, e aggiungerei anche Nico Orengo, senza dimenticare Francesco Biamonti e, tra la nuova generazione che si sta affer-mando, Marino Magliani».

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( 11 )INTERVISTA A GIOVANNI CORTESE

Giuseppe Conte

Giuseppe Conte nasce nel 1945 a Imperia, città dove frequenta il liceo classico E. De Amicis, e si trasferi-sce a Milano dove si laurea in Estetica sotto la guida di Gillo Dorfles, occupandosi di retorica secentesca. Nel frattempo approfondisce i propri interessi lette-rari, scrive poesie, suscitando l’attenzione della criti-ca e, dagli anni Ottanta, inizia a occuparsi anche di narrativa scrivendo diversi romanzi. Temi cari a Con-te sono il mito e la natura, affrontati nei suoi testi in modi differenti ma con continuità. Nel 1994 lo scrittore occupa pacificamente la Basi-lica fiorentina di Santa Croce, ribadendo in un suo discorso il primato della poesia, negli anni successivi è inoltre fondatore del movimento del Mitomoder-nismo. Oltre ai propri scritti ha curato antologie e tradotto opere di Whitman, Tagore, Prévert, Neruda, Blake, Shelley… Ha collaborato con Rai2, scrive e ha scritto per diver-se riviste e quotidiani nazionali, la sua ultima fatica letteraria è il romanzo Il male veniva dal mare, edito da Longanesi nel 2013. ■in alto

Lo scrittore Giuseppe Conte ( foto di Gurgan Ozturk) e il suo ultimo romanzo Il male veniva dal mare, Longanesi 2013. Nella pagina accanto Entroterra ligure a Sanremo.

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Testi di Giulia Riccabbb

Testi di Alessandra Luciano

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TRANSITION TOWNSLE CITTÀ DEL FUTURO

SOSTENIBILITÀ

Testi di Giulia Ricca

Rob Hopkins è uno dei padri del movimento Transition, che dall’Irlanda si sta diffondendo in tutto il pianeta. Il suo fine? Costruire comunità consapevoli e preparate ad affrontare le sfide climatiche del futuro...

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In alto Rob Hopkins fondatore del movimento Transition. (foto di Rob Currie). Vive a Kinsale, (foto a destra) in Irlanda, diventata dal 2005 la prima città europea di Transizione. (foto di Tamara Mcdonald)

ROB HOPKINS E LA SUA RIVOLUZIONE PER FONDARE LE NUOVE CITTÀ DI TRANSIZIONE

Circa dieci anni fa, nel 2003, un professore ir-landese fece progettare ai suoi studenti alcuni piani ipotetici per contrastare le due maggiori

minacce per l’ambiente: il picco del petrolio e il sur-riscaldamento globale. Voleva essere una semplice esercitazione, ma di fronte alle idee messe in campo e al lavoro realizzato professore e studenti si resero con-to del potenziale rivoluzionario di quella iniziativa. Così, decisero di presentare alla loro città quel pro-getto strategico. La proposta venne accolta, e la città si mise all’opera per adottare il piano di indipendenza dal petrolio: nacque così la prima Transition Town. Il professore è Rob Hopkins, ambientalista esperto di permacultura (metodo di progettazione agricola di insediamenti umani che imitano gli ecosistemi natu-rali), e la città irlandese è Kinsale, dal 2005 impegnata in questo progetto rivoluzionario. Da allora, molte città hanno deciso di seguire l’esempio di Kinsale e si sono poste un termine entro il quale raggiungere questa meta epocale: traghettarsi dal modello indu-strializzato, basato sulla disponibilità di petrolio a basso costo e sulla logica di consumo delle risorse, verso una completa autonomia energetica. Il concet-to chiave del progetto Transition è infatti quello della resilienza: la capacità di un certo sistema, specie o or-ganizzazione di adattarsi ai cambiamenti anche trau-matici che provengono dall’esterno senza degenera-re: una sorta di flessibilità rispetto alle sollecitazioni. Ma quali sono i problemi contro cui si organizzano le Transition Towns? Secondo Rob Hopkins, si tratta di due minacce fondamentali, di cui peraltro possia-mo percepire già gli effetti: innanzitutto il picco del petrolio, ovvero la fine della disponibilità di petrolio a basso prezzo. Il picco del petrolio, Peak Oil, fu teo-rizzato per la prima volta da King Hubbert nel 1956. Il picco avviene nel momento in cui viene raggiunta la massima capacità di estrazione dai giacimenti di-sponibili nel mondo. Una volta raggiunto il picco la produzione entra in una fase di declino progressivo e definitivo. Nelle società industrializzate e fortemente dipendenti dal petrolio il raggiungimento del picco

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( 14 ) SOSTENIBILITÀ

senza adeguata preparazione potrebbe portare a una crisi energetica globale e al crollo del sistema econo-mico. Conseguenza dello sfruttamento eccessivo del petrolio è il riscaldamento globale (Global Warming): il progressivo innalzamento della temperatura media del pianeta a causa dell’emissione di enormi quantità di gas-serra. Le emissioni sono conseguenze di mol-tissime attività umane. Sotto accusa sono i motori a combustione, i processi industriali, i sistemi di pro-duzione di energia partendo da fonti fossili, ma anche l’allevamento intensivo di alcune specie animali come i bovini. In particolare la CO2 (anidride carbonica) viene considerata la maggiore responsabile delle va-riazioni di temperatura che stiamo sperimentando. Le città che adottano il progetto di transizione, dun-que, si organizzano per raggiungere il più alto livello di resilienza, per essere completamente in grado di affrontare questi pericoli quando si presenteranno. Una Transition Town è una comunità che lavora unita

guardando il picco del petrolio e il cambiamento cli-matico dritti negli occhi cercando una risposta a que-sta domanda: «Come possiamo aumentare la resilien-za (per mitigare le conseguenze del Picco del Petrolio) e ridurre drasticamente le emissioni di CO2 (per mi-tigare gli effetti del Riscaldamento Globale) in tutti gli aspetti della vita e delle attività di questa città?». Per arrivare alla risposta la comunità mette in atto un processo informativo e creativo di diffusione delle in-formazioni, cerca un collegamento con le realtà già attive nella comunità, relazioni con l’amministrazione locale, collegamenti con le altre realtà di Transizione, forma gruppi che coordinino i progetti…Ma appunto, quali sono i progetti? Forse ci si immagi-na che l’autonomia energetica possa essere acquistata solo a costo di grandi e chissà quali sforzi. Invece i progetti messi in atto sono molto semplici. Probabil-mente molti di noi stanno già lavorando, nella vita di tutti i giorni, per aumentare la propria resilienza: si

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( 15 )LE CITTÀ DI TRANSIZIONE

tratta, magari, semplicemente della coltivazione di un orto, dell’uso di biciclette, di riparare e non butta-re, di utilizzare la pasta madre per il pane, utilizzare auto elettriche o trasporti pubblici, cucinare cibi lo-cali, utilizzare energia rinnovabile nelle abitazioni… l’elenco potrebbe essere infinito. Il progetto di Tran-sizione non fa altro che connettere queste esperienze, organizzando la comunità intorno a queste pratiche. Ad esempio, non tutti possono disporre di terra col-tivabile: in una città di Transizione ci sarà un orto co-mune. Oppure, ci sarà ad esempio un’organizzazione dei trasporti che prevede l’utilizzo comune delle auto oppure un numero di auto elettriche a disposizione dei cittadini. I modelli di Transizione non sono uni-voci: ogni città decide come raggiungere la propria autonomia, in un processo sempre in fieri. Alcune cit-tà in Inghilterra hanno addirittura deciso di adottare una moneta locale…!Il piano delle Transition Town è tutt’altro che utopico: la mappa delle città di transizione si sta allargando esponenzialmente. Nel 2006 è iniziata la transizione anche a Totnes, e a partire da quelle due piccole cit-tà il modello ha contagiato tutti i continenti. In Italia il paese di Monteveglio (BO) è un caso eccezionale, perché l’amministrazione comunale ha assunto un ruolo di primo piano, raccogliendo con entusiasmo le proposte dei cittadini.Il movimento, infatti, parte dal basso: ogni comu-nità può diventare una realtà di Transizione, e non

In alto e nella pagina a fianco:Il comune di Monteveglio nei pressi di Bologna, la prima città di Transizione in Italia.

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( 16 ) SOSTENIBILITÀ

bisogna farsi irretire dalla paura di non farcela, per mancanza di fondi, per il senso di isolamento, perché si sente di non avere le competenze adeguate, per il timore che le istituzioni ostacoleranno il lavoro: i fon-di non servono all’inizio, e arriveranno semmai con l’ampliarsi progressivo dei progetti; si scoprirà, par-lando, che molte persone insospettabili hanno lo stes-so desiderio di riscoprire la cura dell’ambiente; non servono competenze speciali oltre alla positività e alla conoscenza del luogo e delle persone che lo abitano; infine, spesso si scopre con sorpresa che le istituzioni, come nel caso di Monteveglio, desiderano andare in-contro al progetto. Insomma, non resta quindi che iniziare, e passare pa-rola. Per chi desideri formare il proprio “Gruppo Ini-ziale”, tutte le info per come mettersi in contatto con le comunità di Transizione già esistenti, e in generale per come procedere, si trovano su http://transitioni-talia.wordpress.com/. Il sito inglese del movimento è invece http://transitionculture.org/. Su Google Maps, digitando “Transition Italia”, si può trovare l’indica-zione di tutte le città che hanno adottato, stanno adot-tando, o stanno pensando di adottare il modello. ■

In alto: L’ultimo volume di Rob Hopkins. Manuale pratico della Transizione. Dalla dipendenza dal petrolio alla forza delle comunità locali. Arianna editrice 2012.

Nella pagina a fianco:Rob Hopksin.

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( 17 )PIERRE RABHI

Concetti chiave

RESILIENZAIn ecologia e biologia è la capacità di un materiale di autoripararsi dopo un danno, o di una comunità (o sistema ecologico) di ritornare al suo stato iniziale dopo essere stata sottoposta a una perturbazione che l’ha allontanata da quello stato.

PERMACULTURALa permacultura è un metodo per progettare e gestire paesaggi antropizzati in modo che siano in grado di soddisfare bisogni della popolazione quali cibo, fibre ed energia e al contempo presentino la resilienza, ric-chezza, ricchezza e stabilità di ecosistemi naturali.

PEAK OIL La teoria del picco di Hubbert è una teoria scientifica (o modello) proposta, nella sua formulazione iniziale, nel 1956 dal geofisico americano Marion King Hub-bert, che modella l’evoluzione temporale della produ-zione di una qualsiasi risorsa minerale o fonte fossile esauribile o fisicamente limitata. La teoria si propo-ne di prevedere, a partire dai dati relativi alla “storia estrattiva” di un giacimento minerario, la data di pro-duzione massima della risorsa estratta nel giacimen-to. Il punto di produzione massima, oltre il quale la produzione può soltanto diminuire, viene detto picco di Hubbert.

RISCALDAMENTO GLOBALEL’espressione è oggi usata come il sinonimo inglese global warming, ovvero riscaldamento dovuto al con-tributo antropico, decisivo nella fase di riscaldamento del clima terrestre degli ultimi 100 anni. L’effetto serra è l’insieme dei meccanismi che rende la temperatu-ra superficiale di un pianeta superiore a quella che si avrebbe per puro equilibrio radiattivo. L’attività dell’uomo, già dalla rivoluzione industriale, ha in-crementato l’ammontare di gas serra nell’atmosfera modificando l’equilibrio radiattivo. Secondo il comi-tato di esperti delle Nazioni Unite (Intergovernmen-tal Panel on Climate Change) l’attuale riscaldamento non può essere spiegato se non attribuendo un ruolo significativo anche all’aumento di concentrazione di CO2 nell’atmosfera.

Per saperne di piùwww.transitionculture.orgwww.transitionitalia.wordpress.comwww.edithink.com/streaming/fondazionecariplo/hopkins.html

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( 18 ) SOSTENIBILITÀ

PREPARIAMOCI A VIVERE

CON MENO RISORSE

E... PIÙ FELICITÀTesti di Francesco Comotto

I cambiamenti globali sono ormai un’evidenza scientifica. La decrescita più che una nuova ideologia sarà una scelta necessaria, tanto vale prepararsi già da ora in modo intelligente.

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LA NUOVA EDIZIONE DEL LIBRO DI LUCA MERCALLI

L’ultimo libro di Luca Mercalli, giunto ormai alla decima edizione, è un testo importante perchè con linguaggio immediato, e forte capacità di comuni-

care, riesce ad entrare nelle pieghe del rimosso collettivo su tutto quanto concerne le problematiche ambientali, di sfruttamento delle risorse, inquinamento e … Prepariamoci è un monito finalizzato a considerare che il futuro, il prossimo futuro che ci attende, imporrà scelte importanti e una decisa inversione di rotta. In poche parole quella decrescita intelligente e razionale, mirata ad aumentare la capacità di saper affrontare si-tuazioni anche difficili e di privazione, conseguenti ad un mutamento improvviso e radicale dell’attuale situa-zione ambientale, climatica, sociale e politica. Ma certo decrescita e privazione sono parole che spaventano e quando sono evocate, s’immagina un rovinoso “ritor-no alle caverne” piuttosto che pensare semplicemente a stili di vita più sobri e adatti a mantenere gli equilibri degli ecosistemi presenti sul pianeta. Il merito del libro di Mercalli è di spiegare, con la con-sueta chiarezza, e con esempi concreti, come la decre-scita, più che una scelta o una nuova ideologia, sarà una condizione necessaria da affrontare, nei confron-ti della quale è saggio prepararsi in modo intelligente. Come? Nel mondo più semplice: coltivando ortaggi nel proprio orto casalingo, riducendo la quantità di rifiuti domestici prodotti, installando pannelli solari e fotovoltaici sul tetto di casa, riscaldando e raffred-dando le abitazioni con pompe di calore, coibentando bene le superfici disperdenti, utilizzando poco l’auto-mobile e soprattutto non lasciandosi condizionare dai messaggi di una pubblicità martellante che invita al consumo e allo spreco… Tutto questo non rappresen-ta una perdita di benessere rispetto al presente o un tragico ritorno al passato. Si tratta piuttosto di impa-rare a scegliere di adottare comportamenti quotidia-ni più consapevoli che ci permettano di «mobilitare

In alto e nella pagina a fiancoLuca Mercalli nella sua casa in Val di Susa.

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l’intero corpus di conoscenza maturato dalla civiltà» rivalutando tutti i saperi e, sopra tutti, «la filosofia che dovrebbe tornare ad assumere il ruolo guida dell’Uomo: dove andare, quali obiettivi porsi, come individui e come collettività, quali limiti fisici rispet-tare, a quale etica conformarsi».Il libro si divide in due parti. La prima, dal tito-lo “Quel che dobbiamo sapere”, affronta una serie di problematiche generali che dovrebbero indurci a prendere coscienza della gravità della situazione nella quale ci troviamo e da più parti definita, sen-za mezzi termini, come il “bordo del precipizio”. Si approfondisce il tema della crisi finanziaria, sociale e globale, e quello dell’inadeguatezza dell’informa-zione per poi affrontare la questione dei limiti fisici del pianeta (con un bellissimo ricordo del pensiero illuminato di Aurelio Peccei, economista e mana-ger torinese scomparso nel 1984 e troppo presto, a torto, dimenticato). Nelle pagine sono immaginati gli scenari possibili se si verificassero quelle catastro-fi naturali (tempeste tropicali, maremoti, frane, ecc.), disastri ambientali e sanitari (come Chernobyl, Three Mile Island, Fukushima, ecc.) che potrebbero coinvol-gerci... e tutto ciò al fine di immaginare le adeguate misure possibili per la loro prevenzione.La seconda parte dal titolo: “Il mio piano B” propo-ne una sorta di vademecum delle buone pratiche che ognuno di noi può mettere in atto da subito per con-tribuire alla salvezza del pianeta. Tulle le iniziative citate sono state messe in atto dall’autore stesso e of-frono al lettore un quadro molto chiaro ed operativo di come si potrebbero attuare una serie di azioni che «non sono ricette né risolutive, né ottimali, ma che ognuno di noi può realizzare subito, senza delegare ad altri».Ogni capitolo si apre con citazioni di intel-lettuali, studiosi, filosofi, artisti e poeti, pertinenti al tema trattato ed alla fine del testo è fornita anche un’appendice contenente documenti/testimonianze molto interessanti oltre ad un racconto dell’autore risalente al 2002. Mercalli, uomo di cultura oltrechè scienziato e stu-dioso, riesce con questo testo, in maniera mirabile, a rendere semplici e comprensibili concetti, che a volte sono per i più complessi ed ostici, stimolando il let-tore alla consapevolezza che una sfida epocale atten-de la nostra società nel prossimo futuro, se si vuole evitare la catastrofe.

In altoPrepariamoci, di Luca Mercalli, Chiarelettere editore, Milano, 2013.

Pagina a fiancoLuca Mercalli nella sua casa in Val di Susa.

SOSTENIBILITÀ

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( 21 )ANNO INTERNAZIONALE DELLA FAO

Vale la pena qui citare uno dei passaggi più intensi del suo saggio: «La società è un sistema complesso, nel quale piccoli stimoli iniziali possono dar luo-go a grandi e rapidi cambiamenti. […] Chissà che i feedback positivi possano salvarci se si innescheran-no a catena nel pensiero di tutti gli abitanti del pia-neta. […] Guardiamo dunque in faccia il precipizio e costruiamo il sentiero per discenderlo, consci che l’imprevedibilità dei dettagli che il futuro ci riserverà chiederà sacrifici, ma offrirà pure nuove opportunità e forse più felicità».Non ci resta che augurare a tutti una buona lettura.

Il libro si intitola: Prepariamoci. A vivere in un mondo con meno risorse, meno energia, meno abbondanza … e forse più felicità. Chiarelettere editore, Milano ■

Per saperne di più

Luca Mercalli è climatologo, presiede la Società Meteorologica Italiana Onlus, associazione scientifica fondata nel 1865. Dirige la rivista di meteorologia “Nimbus”, è docente a contratto di climatologia in varie università ed è consulente dell’Unione Europea. Ha condotto oltre 1300 conferenze, scrive su La Stampa, Donna Moderna e Gardenia. Collabora dal 2003 con il programma Rai3 “Che tempo che fa”. Tra i suoi libri: Prepariamoci (2011), Clima bene comune (2013).

Per info: www.nimbus.it

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Testi di Giulia Riccabbb

Testi di Alessandra Luciano

NOI E... GLI

ANIMALITesti di Letizia Gariglio

Foto di Giulia Ricca

È stata redatta nel 1978 a Parigi, ed è la Carta universale dei diritti degli animali... La conoscono in pochi, ma ha sancito l’inizio di una radicale rivoluzione etica e filosofica nel nostro rapporto con il mondo animale.

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LA LUNGA STORIADEL NOSTRO RAPPORTOCON GLI ANIMALI

Siamo abituati a considerare lo sfruttamento dell’ambiente da parte dell’uomo come un dato di fatto, talmente ovvio da apparire indiscutibi-

le. Anzi, se ci soffermiamo a pensarci, ci viene subi-to in mente che l’uomo, in fondo, è del tutto simile a ogni altro essere di qualunque altra specie e ci sentia-mo accomunati da un destino comune con gli altri esseri viventi. Ciascun elemento del creato, ciascuna presenza, infatti, vive grazie allo sfruttamento di al-tri elementi: il pidocchio approfitta della rosa, il lupo dell’agnello, lo squalo si nutre del pesce, il polpo man-gia il granchio che mangia l’alga, ma la lontra mangia il granchio che mangia l’alga che mangia il plancton animale che mangia quello vegetale che si sviluppa con la luce... Insomma, ad una prima, semplice rifles-sione salta subito all’evidenza che la vita, ogni forma di vita, si realizza a spese di qualche altra forma di vita. La vita, insomma, si nutre della vita.Tuttavia non è un pensiero di questo tipo che l’uomo fa o ha fatto, né quando si arroga oggi il diritto di de-cidere della vita di altri animali né quando si è forma-to la convinzione, nel corso della storia dell’umanità, di avere diritto di appropriarsi della vita degli animali per conseguire un proprio vantaggio. Per farlo – ieri e oggi - si è dovuto tenacemente attaccare non tan-to all’idea di essere uguale a loro nel destino che in-gaggia il contrasto fra forme di vita, quanto piuttosto all’idea di essere superiore agli animali, perché dotato di intelletto e di parola. Per assumersi decisioni nei confronti delle vite animali inoltre ha dovuto desen-sibilizzarsi nei confronti di tutti i messaggi inviati da-gli animali per manifestare le loro emozioni, espresse attraverso sguardi, comportamenti, gesti, grida, suoni di dolore. La sensibilità l’ha riservata, solo qualche volta, ai suoi animali domestici: cosa che poi è tutta da vedere.Così, nella storia del rapporto fra uomo e animali si sono alternate, una dopo l’altra, posizioni filosofiche che hanno creato maggiore o minore vicinanza: più si andava accentuando il divario fra l’uno e gli altri, tanto più si manifestavano forme drastiche di utiliz-zazione degli animali da parte dell’uomo. Già il filosofo greco Teofrasto faceva una distinzione importante sulla nozione di sfruttamento degli ani-

NOI E ... GLI ANIMALI

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( 24 ) SOSTENIBILITÀ SOSTENIBILITÀ

mali e delle piante, quando affermava che alle piante non si faceva alcun male, dal momento che i frutti sarebbero comunque caduti a terra: c’è differenza – sosteneva - tra l’uccidere l’animale e il cogliere senza distruggere! Molti secoli dopo invece il signor Derscartes (Car-tesio, diciamo noi) abbandonava scrupoli di questo genere, quando paragonava gli animali alle macchi-ne, agli orologi, agli automi. È a questo magnanimo filosofo che dobbiamo la definizione di bruti privi di pensiero e, dunque, a lui riconosciamo un’ottima base per impostare diritti assoluti dell’uomo sugli animali.Bisogna arrivare fino ai giorni nostri per veder rina-scere l’idea di rispetto nei confronti degli animali, in quanto esseri viventi, sensibili e senzienti.Occorre arrivare fino al 1978 perché sia redatta La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Animale, proclamata a Parigi presso la sede dell’UNESCO il 15 ottobre 1978. La Dichiarazione esprime norme di etica nei confronti del mondo animale, in un’ottica complessivamente negativa del mondo, perché «...minacciato di distruzione e nel quale violenza e cru-deltà esplodono in ogni istante».La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Animale costituisce un bel passo avanti, proponendo regole di comportamento dell’uomo nei confronti degli ani-mali, tuttora condivisibili dal punto di vista teorico. Tuttavia, come tutte le idee largamente condivisibili non basta a istituire la reale acquisizione di compor-tamenti.

Chi non condivide, infatti, il concetto di rispetto per gli habitat e gli animali selvatici, o quella dell’opportu-nità di rinunciare all’uso di animali per divertimento o pseudocultura? Però quando l’idea va a toccare e di-sturbare abitudini incancrenite, il discorso finisce con l’aleggiare su un piano puramente teorico. Infatti, fino al non usare animali per fare pellicce potremo trovare una buona base di concordanza di idee, ma siamo tut-ti d’accordo a non usare gli animali a fini alimentari? E a non usarli per fare ricerca (per esempio medica, o cosmetica, o industriale)? Qui la differenziazione di idee già si pronuncia.Dal punto di vista teorico ognuno di noi può trovarsi d’accordo sul rifiutare lo sfruttamento degli animali a fini consumistici, sul non procurare loro dolore, sevi-zie o torture, ma dal dire al fare ... Certo tutti vorremmo realizzare il concetto di benes-sere animale ... ma come facciamo con la nostra bi-stecca? ■

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( 25 )IL MONDO A RISCHIO INSOSTENIBILITÀ

Nella pagina accanto Kevin Richardson è conosciuto come l’uomo che sussurra ai leoni, ma il suo impegno a favore di questa specie dimostra quanto anche un animale così temuto come il leone possa instaurare con l’essere umano un rapporto di empatia. ( foto Archivio K.Richardson).

L’ANTISPECISMOANTICHE SCRITTUREE NUOVE IDEESUGLI ANIMALI

Nonostante le buone idee contenute nella Di-chiarazione Universale dei Diritti dell’Animale sappiamo che oggi negli allevamenti gli ani-

mali vengono troppo spesso tenuti senza alcuna for-ma di rispetto per loro in quanto esseri viventi, in grado di sentire, percepire, provare emozioni, i quali necessitano di movimento e, perché no, persino di gioco. Se la sognano una vita dignitosa; se la sognano una morte dignitosa! Sono chiusi in gabbie, in box ristretti, accatastati in stie condominiali multi-piano, costretti in condizio-ni di sovraffollamento estremo, vivono senza alcuna attenzione per le loro esigenze fisiologiche; non viene loro concessa possibilità di movimento o di sposta-mento; vengono mutilati, sfruttati fino allo stremo delle forze nelle loro possibilità riproduttive, sono imbottiti di ormoni, costretti ad assumere antibiotici e medicine, privati di relazioni con i loro simili, di qualunque forma di espressione affettiva, vengono nutriti con alimenti chimici, artificiali, inadegua-ti, talvolta in contrasto con la loro stessa natura (si costringono erbivori a nutrirsi di derivati di carne, per esempio), vengono in ogni modo privati della possibilità di sfamarsi e dissetarsi secondo esigenze e tempi individuali e naturali. La sofferenza, fisica e mentale, è il loro pane quotidiano. Vengono uccisi a poche settimane o pochi mesi di vita, in condizioni che qui è meglio non descrivere, ma che nei macelli si conoscono molto bene. A chi importa che siano individui, che abbiano diritto alla vita, che sentano, comunichino, amino? Non apriamo il discorso vivi-sezione né quello sulla sperimentazione su animali: già così ce n’è abbastanza.In netto contrasto con gli aspetti più deleteri della realtà, parallelamente al peggioramento progressivo e continuo di queste situazioni, si fa un gran parlare di antispecismo e di diritti degli animali.Che cos’è l’antispecismo? Prendiamo la definizione secondo Wikipedia, che certamente non è la più dotta, ma è la più consultata. Dice: «L’antispecismo è il movimento filosofico, poli-tico e culturale che si oppone allo specismo». Il primo autore a parlare di specismo fu lo psicologo Richard Ryder. Sostenne l’esigenza di smascherare il più grave errore morale che contraddistingue la so-cietà occidentale antropocentrica, ossia il rifiuto di

NOI E... GLI ANIMALI

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( 26 ) SOSTENIBILITÀ E ANTISPECISMO

riservare un trattamento egualitario agli esseri non umani solo per ragioni connesse all’assenza di un le-game di specie.Il documento Proposte per un Movimento antispeci-sta, anch’esso reperibile in rete, dice: «Come l’anti-razzismo rifiuta la discriminazione basata sulla raz-za e l’antisessismo quella basata sul genere sessuale, l’antispecismo respinge quella basata sulla specie, sostenendo che la sola appartenenza a una diversa specie non giustifica eticamente il diritto di dispor-re della vita, della libertà e del lavoro di un essere senziente». D’accordo. Ma qui cominciano subito le grane: che cosa vuol dire che l’antispecismo rifiuta la discriminazione basata sulla specie? Già, perché pare ovvio da subito - a me sembra proprio così - che il soggetto dell’azione discriminare non sia in real-tà lo specismo, come concezione bensì l’uomo. E sul fatto che l’uomo discrimini alcune specie animali a proprio vantaggio non ho alcuno dubbio: si tratta di una discriminazione bestiale (mi si consenta l’inge-nuo gioco di parole), che ha come uno scopo il puro vantaggio economico. In realtà la definizione che abbiamo riportato solle-va molti interrogativi e forse, per capire, occorre fare riferimento ad una concezione che l’uomo si è dato, fin dall’antichità, attorno a se stesso come centro del mondo e al suo rapporto con il mondo animale.L’idea di rappresentare quanto di meglio fosse pre-sente nel mondo, anzi, di fungere da faro, da luce, il pensiero di essere il centro dell’universo, si è formata nell’homo sapiens quando già era sapiens da molto tempo. Dal punto di vista storico l’idea dell’antropo-centrismo e del dominio sul mondo animale nasce nel Neolitico, all’incirca diecimila/dodicimila anni fa, periodo nel quale l’uomo, in precedenza raccogli-tore e cacciatore, decideva di insediarsi stabilmente in territori dedicandosi all’agricoltura e all’alleva-mento; alle mutate condizioni sociali danno in se-guito manforte le affermazioni contenute nei testi religiosi giudaico-cristiani, che proclamano il domi-nio dell’uomo sulla natura e sugli altri esseri viventi.Infatti nella Bibbia, in Genesi si trova: «E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra so-miglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra;

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( 27 )IL MONDO A RISCHIO INSOSTENIBILITÀ

soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uc-celli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”. E Dio disse: “Ecco io vi do ogni erba che pro-duce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde”». E nel Salmo 8,5-9 troviamo: «Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi? Ep-pure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi; tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna; gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che percorrono le vie del mare».È appunto il concetto dell’uomo come padrone del-la terra che ha creato il dubbio che le Scritture Sacre abbiano legittimato nell’uomo il senso di arroganza, di insensibilità e, non ultima, la facoltà di procedere liberamente nello sfruttamento delle specie animali. Ora nuove e più morbide interpretazioni teologiche spingono a vedere nell’uomo non già il padrone, ma il custode delle altre specie viventi, ma mi sento di affermare senza ironia che è un po’ tardi.L’idea filosofica antispecista che si fa oggi strada, guadagnando via via un numero sempre maggiore di adesioni, si oppone nella teoria e nella pratica all’op-pressione degli animali e rifiuta che l’appartenenza alla specie umana possa giustificare da parte dell’uomo l’esercizio del diritto di disporre della vita, del lavoro e della libertà di esseri appartenenti ad altre specie, e nega che le capacità di sentire, avere relazioni, intera-gire siano prerogative esclusive della specie umana. ■

Per saperne di più

Felice Cimatti, Filosofia dell’animalità, Laterza 2013.

Felice Cimatti, Leonardo Caffo, Soltanto per loro, I saggi di Lexia, Aracne 2012.

Andrew Linzey, Teologia animale,Cosmopolisi 1998.

www.manifestoantispecista.org

In alto e nella pagina a fiancoEsther è una... maialina fortunata. Era stata acquistata come porcellino d’India, ma Esther cresceva a vista d’occhio, giorno dopo giorno. L’affetto per lei ha avuto la meglio e i suoi padroni hanno deciso di tenerla nella loro famiglia, con cani e gatti di casa. La scoperta è che Esther si comporta come un aniamle domestico, è pulita, intelligente ed empatica con un forte senso di attaccamento ed amore per chi la accudisce... Per conoscerla meglio www.estherthewonderpig.com

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( 28 ) SOSTENIBILITÀ E ANTISPECISMO

Quando nella Oratio de hominis dignitate Pico della Mirandola scriveva della superiorità dell’uomo su ogni altra creatura («...familiare

alle superiori, sovrano delle inferiori; interprete del-la natura per l’acume dei sensi, per l’indagine della ragione, per la luce dell’intelletto, intermedio fra il tempo e l’eternità… di poco inferiore agli angeli ...») certamente pensava ad un uomo libero da gioghi medievali, in grado di operare la propria evoluzione spirituale, che avrebbe consentito il ritorno dell’a-nima umana ai principi biblici ed evangelici: in una parola il ritorno a Dio. Non credo che facesse riferi-mento agli allevamenti intensivi di animali, né alla pratica della vivisezione, o alle molte forme di bruta-lità di cui l’uomo moderno si è fino ad oggi mostrato maestro nei confronti del mondo animale. Non credo neppure che intendesse spingere l’uma-nità a superare le proprie barriere biologiche né a fare lo scopo dell’antropocentrismo quello di portare all’estremo la strumentalizzazione e l’utilizzazione delle specie diverse da quella umana. L’uomo però l’ha fatto, come del resto ha spinto nella direzione del-lo sfruttamento dell’uomo stesso, prendendo a prete-sto differenze di razza, colore della pelle, tratti somati-ci e culturali, genere – maschile e femminile, in favore sempre del primo, s’intende – e così via...L’antropocentrismo ha alcune colpe, va detto, ma non ha da solo tutte le colpe della montagna di ef-feratezze che la specie umana ha costruito contro il mondo naturale.Tanto per dare a Cesare quel che è di Cesare, va detto intanto che l’antropocentrismo è decisamente demodé. Quale uomo oggi si sente mi-sura del mondo? Alzi coraggiosamente la mano chi si percepisce proprio così. Metta il dito sotto la mano chi si può affermare che l’uomo è padrone del mon-do. Di tanto in tanto, è vero, qualcuno afferma che l’umanità è in grado di raggiungere qualunque obiet-tivo, magari attraverso i mezzi messi a disposizione dalle scienze a dalle tecnologie. Molti hanno sognato e di tanto in tanto ancora sognano che la tecnologia consenta all’uomo di superare ogni barriera, persi-no quelle poste dalla limitatezza biologica del suo corpo; qualcuno spera di trasformare, di cambiare il corpo umano avvicinandolo sempre di più non a quello animale, ma ad una macchina. A tal propo-sito i risultati sono andati sfumando, allontanandosi dall’orizzonte, e si sono via via concretizzati risultati molto diversi, che hanno visto a poco a poco le mac-chine avvicinarsi sempre di più a corpi organici.

NON TUTTE LE COLPE SONO DELLE TEORIE

Nella pagina accanto Dian Fossey ha dedicato la sua vita allo studio dei gorilla. Fu uccisa brutalmente nella sua capanna, da ignoti, ma si ritiene che la sua attività a favore e tutela dei gorilla sia stata la causa del suo assassinio in Ruanda. ( foto archivio Gorilla Fund Inernational).

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( 29 )IL MONDO A RISCHIO INSOSTENIBILITÀ

Insomma, per gli uomini diventa sempre più difficile riconoscersi al centro dell’universo, stelle più luminose fra le altre della galassia. Ma l’antropocentrismo, sotto sotto, rimane ancora una malattia, una patologia che si è cronicizzata, ma non sparita del tutto. Perché? Perché è tanto di più di un semplice modello cultura-le. Intanto è il cardine di tutta la filosofia occidentale. Inoltre è un retaggio che si fonda sulla storia stessa dell’umanità, sul funzionamento degli organi senso-riali, percettivi, elaborativi della specie umana. Ciò che tuttavia forse sta cambiando (vivaddio se ha comincia-to a cambiare) è la costruzione di una relazione con ciò che è fuori di noi, che è altro, sapendo che la nostra base prospettica non è la realtà, o almeno non è tutta la realtà. Non solo, il mondo degli oggetti e degli animali attorno a noi inizia ad essere percepito dall’uomo non più come una creazione dell’umanità, né come pura emanazione del suo intervento, né come risultato del-la sua cultura. Una nuova coscienza comincia, seppur timidamente, ad affacciarsi: che uomo, cose e animali siano collegati da una rete che tutto unisce e che crea contaminazione e ibridazione. Scrive il filosofo pos-thumanista Roberto Marchesini: «L’animale è presente e vivo nella nostra cultura, ma non sotto forma di og-getto quanto piuttosto di partner capace di traghettare l’uomo al di fuori del destino genetico verso quell’im-

menso repertorio … che chiamiamo cultura». Ma se è vero che l’uomo non può arrogarsi il diritto di essere il re del mondo, se è vero che la teoria antro-pocentrica deve essere superata, non è male chiedersi: quale altra specie si pone la domanda sul benessere e i diritti delle altre specie? ■

Per saperne di più

Dichiarazione universale dei diritti degli animali www.mclink.it/assoc/lida/carta.htm

The Dian Fossey Gorilla Fund Internationalwww.gorillafund.org

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( 30 ) PARCHI DEL PIEMONTE

SPECIE ANIMALI IN VIA

DI ESTINZIONETesti e foto di Giulia Riccaa

É in Piemonte il più grande centro italiano per la salvaguardia delle specie

minacciate dal pericolo dell’estinzione...

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Il Parco faunistico “La Torbiera” è considerato il più importante centro italiano per la salvaguardia delle specie minacciate di estinzione. Si trova ad Agrate

Conturbia, in provincia di Novara, all’altezza dell’e-stremità meridionale del Lago Maggiore. L’ambiente di torbiera è un territorio interessante di per sé, tanto che le torbiere stesse oggi sono protet-te da leggi specifiche, per la loro natura lacustre: la torbiera si forma quando le parti morte di vegetali si accumulano sul fondo del lago e, raccogliendosi sul fondo, diventano torba, conferendo allo specchio d’acqua il caratteristico colore opaco o grigio scuro. Il Parco faunistico si estende appunto intorno al lago centrale, circondato da un bosco planiziale: il tipo di ambiente presente anticamente nella  pianura Pada-na e che oggi sopravvive solo in limitate aree scam-pate al disboscamento e alla conversione agricola dei secoli XIX-XX. Il bosco paludoso del Parco è uno dei pochi lembi di terra che sono riusciti a salvarsi, con tutte le loro caratteristiche originali, dall’azione dell’uomo: i boschi paludosi fino al secolo scorso oc-cupavano grandi aree, ma bonifiche e canalizzazioni di corsi d’acqua li hanno ridotti a pochi tratti. Il Parco perciò copre un’area notevole che segue la conforma-zione del territorio. Nell’area protetta, distinta dalla parte visitabile dal pubblico, il bosco si apre in radure frequentate da caprioli, volpi, faine, rettili (prima fra tutte la vipera comune), falchi di palude… Le zone umide sono popolate anche da anfibi (tritone), ardei-di, anatidi e rettili (biscia d’acqua). Il Parco faunistico vero e proprio ospita invece numerose specie minac-

IL PARCO FAUNISTICOLA TORBIERA SUL LAGO MAGGIORE

Nella pagina accantoIl leopardo persiano dell’Amur specie protetta nel Parco La Torbiera. In altoIl cane procione ospitato nel Parco La Torbiera.

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( 32 ) PARCHI DEL PIEMONTE

ciate e in via d’estinzione. Le aree sono state realizzate per il benessere degli animali, che possono trovare ri-fugio nella folta vegetazione e godendo di ampi spazi che consentono loro una discreta autonomia. Visitare il Parco è quindi un’esperienza unica e piacevolissima, oltre che un modo per contribuire ai progetti di studio e conservazione delle specie nei luoghi di origine. Ma, nonostante tutto, non può che essere anche doloroso passeggiare tra le specie più diverse – cervi, lontre, daini, ma anche tigri e leopardi delle nevi – costrette a convivere nello stesso ambiente, per quanto pregevo-le; nella cattività come unica alternativa a un destino di scomparsa definitiva… Il Parco offre l’opportunità, come si spera, di trasformare questa riflessione amara nell’occasione di riscoprire il significato della cura nei confronti del bios, della vita in sé: l’unico sentimento umano che potrebbe permettere a questi esemplari di tornare ad abitare liberi nei loro luoghi d’origine.

Le specie ospitate nel Parco sono davvero varie e ognuna è presentata con le sue caratteristiche e la sua storia, e con la segnalazione del livello di rischio di estinzione a cui è sottoposta in questo momento. Il panda rosso (o panda minore) è senza dubbio uno degli animali più belli del Parco. I suoi habitat reali sono le foreste temperate  dell’Himalaya, il Nepal, il Tibet meridionale, Sikkim e Assam in India, Bhutan, le montagne settentrionali della Birmania, le monta-

gne Hengduan del Sichuan e le montagne Gongshan dello Yunnan nella Cina sudoccidentale. La Zoologi-cal Society of London, in base a criteri di unicità evo-lutiva  e di esiguità della popolazione, lo considera una delle 100 specie di mammiferi a maggiore rischio di  estinzione. Alcuni laghetti del Parco sono abitati dalla lontra, (nella foto in alto) una specie che in Italia è ormai estremamente rara.Il cane-procione, altro esemplare ospitato nel Parco, è il più antico membro conosciuto della famiglia dei canidi. Nonostante la somiglianza con il procione, da cui deriva anche il suo nome, non è suo parente. La popolazione dei cani procione è diminuita negli ulti-mi anni a causa di caccia, urbanizzazione, e l’aumento di altri animali associati alla civiltà umana, domesti-ci o abbandonati, e le malattie con cui possono con-tagiarli; in Cina inoltre sono anche cacciati per la pel-liccia. Anche in Italia sembra siano commercializzate pellicce di questo animale, con il nome di Murmaski o Murmanski (dalla regione russa da cui provengo-no: Oblast’ di Murmansk).Ma un vero e prorio “tesoro” del Parco è rappresenta-to dal leopardo dell’Amur, o leopardo persiano (Pan-thera pardus saxicolor Pocock, 1927), detto anche leopardo del Caucaso, è la sottospecie di leopardo originaria di Caucasia, Turkmenistan e Iran setten-trionale, ma in tutto il territorio ne rimangono meno di 1200 esemplari adulti. Fino alla metà del XX se-

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Per saperne di più

PARCO FAUNISTICO LA TORBIERA

Via Borgoticino, 19 28010 Agrate Conturbia (Novara)Tel. +39 0322 832135-6Fax. +39 0322 832525Cell. +39 340 3610539www.latorbiera.it

VISITE DA APRILE A SETTEMBRE

colo i leopardi erano relativamente comuni in quei territori. Oggi le roccaforti di questi animali sono i terreni impervi e scoscesi della Riserva di Khosrov, situata a sud-est di Yerevan sulle pendici sud-orien-tali dei Monti del Gegham, dove tra l’ottobre 2000 e il luglio 2002, sono state trovate le impronte di non più di 10 esemplari. Fino a poco tempo fa i leopardi vive-vano anche sulla Catena di Meghri, nell’estremo sud dell’Armenia, dove tra l’agosto 2006 e l’aprile 2007 venne immortalato da una trappola fotografica un unico esemplare; i successivi sopralluoghi sul campo alla ricerca di impronte, però, non riscontrarono la presenza di altri leopardi. Le prede presenti in questa zona potrebbero sostenere una popolazione di 4 - 10 leopardi, ma il tasso di bracconaggio e degli influssi esterni causati dall’allevamento del bestiame, dalla raccolta di vegetali e funghi commestibili, dalla de-forestazione e dagli incendi causati dall’uomo è così elevato che supera di gran lunga il limite di tolleran-za dei leopardi.E poi ci sono cerbiatti, cervi, caprioli di varie spe-cie che possono muoversi liberamente all’interno del Parco in un habitat per loro adatto a riprodursi al riparo di cacciatori e insidie ambientali, che stanno ormai minacciando anche la sopravvivenza di queste specie dei nostri boschi e delle nostre Alpi. ■

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COOPERATIVECONTRO LA CRISI

«Le cooperative per partire hanno bisogno di pochi finanziamenti

ma di molta forza intellettuale, di forza innovativa che nasca dalle idee...».

Nella foto in altoFoto storica dei primi Soci della cooperativa Aeg di Ivrea, nel primo decennio del ‘900.

Nella pagina a fiancoIl Presidente di AEG Ing. Ivan Pescarin

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La storia di AEG Società Cooperativa s’intreccia lungo tutto il corso del ‘900 con i grandi eventi che hanno segnato il “secolo breve”. Infatti Ivrea,

“piccolo ombelico della modernità”, non ha visto na-scere solo la fabbrica Olivetti, la più grande impresa umanistica del secolo, ma anche una delle cooperative di consumo più longeve del nostro Paese.Si dimentica spesso che AEG è nata come Società Co-operativa proprio mentre ad Ivrea la fabbrica Olivetti prendeva stabilmente dimora in via Jervis, e che ha condiviso con la grande impresa quel forte slancio verso il futuro, che ha segnato la storia del Canavese. Ma oggi non si può non constatare come, a differenza dal modello d’impresa olivettiano, quello cooperativo di AEG sia stato in grado di adattarsi di più alle velo-ci trasformazioni che hanno segnato il secolo appena trascorso, dimostrando una incredibile flessibilità, nonchè grande capacità di superare momenti di crisi, per adeguarsi a cambiamenti rapidi e non facili. Ecco perchè nel 2014 AEG, oggi la più grande co-operativa italiana di servizi energetici, può guarda-re con determinazione al futuro di una regione in rapida trasformazione, forte della sua identità coo-perativa fondata su valori consolidati e, soprattutto, sulla capacità di offrire al Canavese strategie utili a fronteggiare questi difficili momenti di crisi. É con questo spirito che la storica cooperativa di Ivrea si prepara al consueto appuntamento con i suoi Soci: l’Assemblea annuale chiamata quest’anno a pronun-ciarsi su importanti questioni. Ne parliamo con il Presidente Ing.Ivan Pescarin.

ASSEMBLEE DEI SOCI AEG INTERVISTA AL PRESIDENTEIVAN PESCARIN

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Presidente è prossimo l’appuntamento per i Soci con l’assemblea annuale, che quest’anno prevederà due vo-tazioni…«Il primo appuntamento è rappresentato dalla prossima Assemblea ordinaria che, come da tradi-zione, dovrà pronunciarsi sul bilancio annuale. Sarà presentato il bilancio sociale economico, il cui con-suntivo attesta che la situazione economica di AEG è migliorata rispetto all’anno precedente, si registra infatti il 30-40% in più circa di utile netto di bilan-cio. Il ristorno del Socio sarà dunque confermato. Ovviamente questi dati tengono conto degli investi-menti in varie attività come le sponsorizzazioni per il territorio, che sono state intraprese anche in mi-sura maggiore rispetto all’anno precedente. Si tratta ovviamente di stime generali, perché i dati precisi saranno ufficializzati dopo l’approvazione del C.d.A. A questo importante appuntamento seguirà la con-vocazione dell’Assemblea straordinaria che avrà come ordine del giorno due punti sostanziali: il pas-saggio, o transizione, dell’impianto di distribuzione di attuale proprietà della cooperativa alla società unipersonale di Aeg Reti s.r.l. controllata al 100% nel capitale sociale, un atto dovuto in conseguenza della legge Letta promulgata nel 2000, che prevede la sud-divisione delle società del gas in società di vendita e società di gestione impianti; ci sarà quindi da votare la revisione e l’aggiornamento dello Statuto socia-le. Sono due assemblee importanti che si svolgono come sempre nel mese di maggio».

Su quali aspetti inerenti lo Statuto dovrà pronunciarsi l’Assemblea straordinaria?«Per quanto concerne l’aggiornamento dello Statuto sociale è richiesta un’attenzione particolare dei Soci, si tratta di una carta fondamentale nella vita di una cooperativa che ne deve garantire la democraticità, e nella quale sono stabilite le modalità attraverso le quali i Soci condividono e partecipano alla vita della società cooperativa. L’aggiornamento interessa que-gli aspetti specifici di una cooperativa di consumo, la quale considera come Soci coloro che si avvalgono dello scambio commerciale di prodotti. Un primo aspetto che si propone di modificare dell’at-tuale Statuto prevede che si riconosca come Socio con diritto di voto in assemblea solo un componente della famiglia alla quale si forniscono i servizi energetici di AEG. Sino ad oggi la possibilità di votare era estesa anche ad un altro familiare, con le modifiche che in-tendiamo proporre si definiscono meglio i requisiti del Socio, semplificando così l’articolo 5 dello Statuto attuale. Il Socio è identificato in modo più completo come quella figura che, oltre ad essere titolare di un contratto di fornitura, è anche fruitore indiretto dei beni gas ed elettricità. Questa modifica è pensata per dare la possibilità didiventare Soci anche agli uten-ti che vivono per esempio in un condominio. Infatti sino ad oggi l’unico titolare di un contratto con AEG non può che essere il condominio, anche se AEG for-nisce ad ogni famiglia che vive in quel condominio

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gas metano e/o energia elettrica. Ma sino ad oggi que-ste famiglie non avevano i requisiti per essere Soci. Secondo la modifica che intendiamo proporre il con-dominio stipula il contratto con la cooperativa, ma non per questo ha la qualifica di essere Socio, questa qualifica la possiedono invece i fruitori dei servizi erogati: cioè i condomini. La loro posizione di Soci viene meglio chiarita nello Statuto, come anche quella dei dipendenti della cooperativa, e della società, che secondo le nuove proposte potranno essere Soci pur senza stipulare con AEG un contratto di fornitura. Un altro punto interessante delle modifiche allo Sta-tuto, che è già in atto ma deve essere confermato, è inerente al fatto che la cooperativa di consumo non distribuisce dividendi sulla quota di associazione, cioè azioni sociali, in quanto la cooperativa di consu-mo riconosce una sola azione per Socio.La questione della quota di ristorno Soci è un altro capitolo importante delle modifiche allo Statuto: do-vrà essere calcolata sul contributo di margine lordo che ciascun Socio, tramite lo scambio commerciale, mette a disposizione della cooperativa per affrontare i costi indiretti, come l’uso dell’edificio, ecc. Questo margine sarà poi oggetto di valutazione in relazione alla tipologia del contratto stipulato dal Socio, per esempio nel caso del Socio che usa gas ed elettrici-tà per uso domestico, il suo margine avrà un peso maggiore, mentre un’impresa che consuma di più sarà stimata con un peso inferiore...». La nostra coopera-

COOPERATIVE CONTRO LA CRISI

tiva non prevede Soci sovventori, cioè Soci azionisti che mettano a disposizione un capitale da investire, i quali proprio per questo fatto dovrebbero avere faci-litazioni nel C.d.A e riconoscimento di interessi sul capitale investito. Questa caratteristica non è mutata nello Statuto rispetto al passato.Ulteriori modifiche sono proposte relativamente alle modalità di eleggere i Consiglieri, nonché in relazio-ne alla loro durata in carica. Per questo preciso aspet-to il C.d.A ha analizzato i suggerimenti dei Soci, in particolare quelli suggeriti dal gruppo Soci di recente costituzione, e le cui proposte di modifica saranno presentate alla valutazione dei Soci».

Le modalità di elezione del C.d.A. subiscono radicali trasformazioni?«La nostra cooperativa ha una storia che ha sempre preferito la votazione per preferenza. In molte co-operative invece i candidati sono scelti in relazione alla lista cui appartengono, si vota cioè la lista nel suo insieme e non i singoli candidati. Le due modalità di votazione sono oggetto di valutazione da parte no-stra, diciamo che per quanto concerne questo argo-mento, tutto è ancora in discussione, così come sulla durata in carica dei Consiglieri si sta riflettendo con-siderando che la legge sulle Società non pone nessun vincolo di rieleggibilità nè per i Consiglieri, nè per le cariche che si eleggono nel C.d.A. Noi abbiamo con-siderato i suggerimenti, che ci sono stati

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proposti dai Soci, i quali sono più orientati a porre dei limiti temporali nel succedersi di elezioni continue e consecutive. Questi temi saranno materia di discus-sione nei giorni che precederanno la convocazione delle assemblee, la bozza dello Statuto con evidenziati i punti in discussione per le modifiche è stata inviata a molti Soci direttamente a casa, e per chiunque voglia consultarla sono anche è disponibile presso il Punto Soci di Via Palestro ad Ivrea e presso la nostra sede centrale di Via dei Cappuccini, inoltre il documento sarà scaricabile in formato pdf dal sito www.aegco-op.it. Insomma intendiamo fare in modo che tutti i Soci che verranno in assemblea per votare, possano avere la possibilità di aver letto le modifiche proposte allo Statuto Sociale, al fine di esprimere un voto con cognizione di causa. Ovviamente anche la bozza di bilancio del 2013, ovvero la versione sintetica riclassi-ficata del bilancio economico, potrà essere consultata nelle nostre sedi o scaricata dal sito».

Da quanto tempo lo Statuto Sociale non subisce mo-difiche?«Lo Statuto è stato modificato l’ultima volta nel 2009. Io penso che in questa occasione la partecipazione dei Soci alla votazione dovrà essere il segnale di un rinnovato interesse a partecipare alla vita della coope-rativa, in virtù delle dimensioni assunte oggi da AEG che non opera più solo in Canavese, ma su tutto il territorio nazionale. Si è infatti estesa la rete dei nostri rapporti commerciali con il mondo intercooperativo a livello nazionale, nonché con società vicine al mon-do della cooperazione come le catene Conad. Ci sono poi rapporti con Enti pubblici che hanno assegnato ad AEG l’appalto per la fornitura di energia elettri-ca tramite loro società controllate scr . Per esempio tutti gli Enti pubblici potranno avvalersi di questa contrattazione che noi siamo in grado di offrire e che è risultata la più economica rispetto a quelle propo-ste da vari partecipanti ai bandi: cioè fornire energia elettrica che proviene da fonti rinnovabili agli Enti ed Istituzioni che lo richiedano. La nostra cooperativa non è più il moscerino di anni fa, è diventata un’a-pe che sta volando su un territorio più vasto e che, pur mantenendo salde le sue radici canavesane, dovrà per la sua sopravvivenza poter volare anche fuori dal Canavese. Io sono ottimista perché la cooperativa ha ancora spazi per evolvere nel mondo e mercato in-

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tercooperativo, poiché sono tante le cooperative e le società di mutuo soccorso con le quali sarà possibile instaurare rapporti commerciali ed essere oggetto di attenzione da parte nostra per instaurare occasioni di scambio commerciale».

Tutto questo che ricaduta potrà avere sul territorio? C’è la concreta possibilità che si formano altre cooperative in grado di beneficiare delle nuove prospettive di mer-cato aperte da AEG?«La ricaduta sul territorio non sembra poter essere nell’immediato così facile, proprio per le caratteristi-che di questo territorio, nel senso che è arduo riuscire a far decollare cooperative di produzione lavoro, o manifatturiere ed agricole. Il nostro impegno per ora tende a rimanere sulla carta, in Canavese l’auto-im-prenditorialità è ancora una condizione da stimolare, poco praticata. C’è una radicata mentalità che ancora guarda ad attendere al posto fisso da dipendente, è una caratteristica che si trascina anche per la storia di questo territorio dove sono state presenti imprese che hanno offerto occupazione soprattutto nella ma-nifattura».

Come si può stimolare questo processo finalizzato a stimolare una cultura imprenditoriale che rappresenta anche una difficile sfida per il Canavese?«Noi reputiamo a livello di cooperazione che l’auto-imprenditorialità sia la strada per superare la crisi, ma occorre la volontà di buttarsi nella mischia, ovvia-mente le attività di impresa saranno aiutate se sono in grado di proporre progetti con le gambe adatte a poter diventare realtà cooperative efficienti. Nel no-stro territorio realizzare piccole cooperative potrebbe essere l’elemento in grado di aggregare intelligenze forti. Le cooperative hanno bisogno di poco finan-ziamento ma di molta forza intellettuale, di forza in-novativa che nasca dalle idee. Si può anche pensare di costituire cooperative agricole per un ritorno all’agri-coltura, ma in Canavese più che su coltivazioni estese sarebbe più saggio concentrare attività su prodotti di maggior valore come l’orto-frutta, la coltivazione estesa si adatta poco al Canavese a causa del fraziona-mento di proprietà terriere molto divise.Si potrebbe investire e creare cooperative attive anche nei servizi, per esempio nella manutenzione elettri-ca, idraulica, impiantistica di riscaldamento e raf-

freddamento. Potrebbero costituirsi cooperative che aggregano i molti artigiani che oggi lavorano sepa-ratamente, offrendo al mercato territoriale così una filiera completa di servizi, piuttosto che una catena di sub-appalti. Ma anche tipicamente nel campo sani-tario potrebbero essere attivate forme di cooperative, aggregando studi medici che condividono strutture e costi, in grado di offrire ai cittadini servizi sanitari a costi più accessibili. Altre possibilità di creazione di nuove cooperative potrebbero attivarsi nell’interven-to per l’assistenza automobilistica ecc ecc. AEG con l’iniziativa 1milione ha predisposto una disponibilità finanziaria consistente per sostenere idee che abbia-no possibilità concrete di continuità, certamente non possiamo rischiare capitali in tentativi non sufficien-temente pensati e razionalizzati. A questa possibilità ha già attinto una cooperativa di calibrazione di stru-menti di controllo di misure fisiche: pressione gas, atmosfera ecc, proprio qui in Canavese; un’altra pros-sima a partire fa parte della filiera di Cascine Praie, un’altra ancora gestisce ad Alpette attività alberghiere e di ristorazione, nonché di intrattenimento musicale e servizi turistici. È nata proprio dove c’è l’Osserva-torio astronomico, in un albergo che aveva raccolto l’eredità del dopoguerra e dell’iniziativa partigiana, è stato dedicato infatti a Titola. Qui c’è anche l’Ecomu-seo del rame, e da qui parte il sentiero che da Alpette conduce al Santuario di Belmonte, che era anche un antico percorso usato dai partigiani durante la Re-sistenza. Un’altra cooperativa che potrebbe nascere potrebbe avere sede al Movicentro qui ad Ivrea, per la gestione del servizio bar, edicola e vendita bigliet-teria... Ci sono molte possibilità da cogliere, ma occorre iniziativa e senso pratico e una grande capacità di guardare con ottimismo e forza al futuro di questo territorio».■A.L..

 

COOPERATIVE CONTRO LA CRISI

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GRUPPI SOCIAL VIA I PRIMI

PROGETTI

Cooperazione e partecipazione: sono attivi i primi gruppi Soci della Cooperativa AEG di Ivrea.

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Vice presidente a che punto siamo con l’attività dei Gruppi Soci?«La prima assemblea destinata a elaborare il rego-lamento per la costituzione dei Gruppi Soci di AEG si era riunita per la prima volta l’8 novembre scorso, registrando una partecipazione massiccia di circa 90 soci. In quell’occasione io avevo sottoposto la bozza re-golamento che, in seguito, è stata elaborata dai gruppi Soci, con ulteriori osservazioni e l’aggiunta di emen-damenti. In una seconda riunione si è quindi appro-vato in modo definitivo il regolamento. Da quel mo-mento il Gruppo Soci esiste a tutti gli effetti, abbiamo destinato una sezione appositamente dedicata sul sito www.aegcoop.it e sono stati attivati per ora, dopo le prime due riunioni, quattro dei cinque gruppi di lavo-ro previsti».

Quali sono le ragioni che motivano o meno l’attivazione di un gruppo?«Innanzi tutto devono partecipare al gruppo un nu-mero minimo di aderenti. Infatti il gruppo che non si è attivato non registra ancora un numero sufficiente di adesioni. Per regolamento affinchè un gruppo pos-sa partire i suoi appartenenti devono essere almeno in numero di dieci».

E gli altri gruppi che invece hanno raggiunto il numero stabilito di partecipanti di cosa si occuperanno?«Sono stati attivati quattro gruppi: il primo si occupa di arte, cultura, sport e svago, il secondo ha un’attivi-tà dedicata ad elaborare i possibili indirizzi della co-operativa, il terzo ha elaborato uno studio e proposte concrete per la redazione dello statuto e il regolamento della cooperativa, e il quarto gruppo si dedica invece ad iniziative e tematiche di innovazione e socialità. I gruppi si sono dati una scrittura autonoma con un loro coordinatore e si riuniscono nelle nostre sedi, o pres-so il Punto Soci di via Palestro o qui in sede centrale in via dei Cappuccini. Tutti i gruppi hanno già fatto almeno tre incontri e stanno lavorando con grande se-rietà ed impegno».

SONO IN PIENA ATTIVITÀ I GRUPPI SOCI DI AEG

GRUPPO SOCI AL VIA I PRIMI PROGETTI

Nella pagina accantoIl Vicepresidente di AEG Gianni Cimalando.

Nella pagine seguentiL’incontro dei Soci di AEG per la formazione dei Gruppi Soci nel novembre 2014.

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Quali sono i progetti in cantiere o che sono già in fase d’opera?«Al momento l’unico progetto pronto ad essere realiz-zato consiste nella proposta del gruppo che si occupa di arte, cultura e svago, che prevede di organizzare tra le altre cose anche viaggi culturali per i Soci. Le due prime mete individuate sono Praga e Berlino. Ovvia-mente per questi viaggi i Soci usufruiranno di sconti sul costo previsto di agenzia. Sono viaggi aperti a tutti coloro che desiderano partecipare, naturalmente. Per quanto concerne gli altri progetti ciascun gruppo sta lavorando per presentare proposte concrete di attività che il C.d.A di AEG valuterà per definire le modalità di incentivazione e sostegno alle iniziative proposte».

Quali sono le idee in cantiere dunque?«Ce ne sono di interessanti ed innovative, per esem-pio il gruppo socialità vuole realizzare un orto sociale per distribuire poi i prodotti a Soci bisognosi ovvia-mente a titolo gratuito. Il gruppo di studio sullo Sta-tuto di AEG ha lavorato molto seriamente sulla bozza di statuto generale della nostra cooperativa, si tratta delle modifiche allo statuto che come C.d.A sottopo-niamo all’Assemblea dei Soci per le proposte di mo-difica. Il gruppo ci ha fatto pervenire controproposte che come C.d.A abbiamo attentamente considerato. Questi gruppi svolgono per la cooperativa un ruolo fondamentale, non si limitato ad inviare al C.d.A im-pressioni generali, ma osservazioni puntuali e propo-ste concrete. Questo è un aspetto molto importante da valorizzare nell’attività dei gruppi Soci, perché ciò consente di evitare che i Soci vengano in assemblea

a votare proposte di modifica statutaria senza aver avuto la possibilità di riflettere sulle modifiche pro-poste. Con l’attività del gruppo Soci che si è occupato di analizzare le modifiche proposte per lo Statuto di AEG, si è concretamente data la possibilità ai Soci, che sono interessati e che desiderano partecipare, di fare le osservazioni che hanno ritenuto più adatte in merito alle modifiche proposte».

Come garantirete l’informazione capillare dell’at-tività dei gruppi Soci a tutti i soci di AEG? «Intendiamo fare in modo che tutto quanto sia rego-larmente pubblicato sul sito di AEG, in uno spazio apposito dedicato al gruppo Soci, compresi i verbali delle riunioni, in modo che proposte ed attività ab-biano la massima divulgazione. É in fase di appron-tamento anche un Forum apposito sul sito di AEG in modo che i Soci che desiderano collaborare, ma non riescono o non possono partecipare alle riunioni, possano dire la loro in merito ai temi proposti espri-mendo opinioni e suggerimenti».

Lei ha fortemente sostenuto questa idea di attivare gruppi Soci come motore indispensabile alla vita de-mocratica della cooperativa, cosa si aspetta ora che questa realtà è concretamente attivata?«Mi aspetto di ricevere contributi che ci consentano di stabilire un rapporto più stretto con i Soci, in qual-che modo anche più meditato e che faccia sì che le iniziative siano appunto decise in modo ampio e col-lettivo, non solo delegate alla decisione del C.d.A, ma condivise a livello più ampio. Soprattutto la funzione

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dei gruppi Soci, per me almeno, è di rappresentare un momento di confronto e riflessione sull’attività e decisioni della cooperativa anche a livello di azioni di impresa, in modo che non ci si riduca a confron-tarsi solo in occasione dell’assemblea annuale, ma si trovino nel corso dell’anno spazi di confronto e dia-logo, adatti a consentire ai Soci di essere veramente informati su quanto la cooperativa sta facendo... Que-sto ovviamente nel rispetto dei ruoli e delle funzioni, perché un conto è la condivisione un conto è la de-cisione, ma al C.d.A ovviamente sta a cuore riuscire a condividere le proprio scelte il più possibile con i Soci... al fine di attuare nella pratica quella democra-zia attiva e partecipata, che deve essere alla base della vita cooperativa».

Per quanto concerne i rapporti di AEG con il movi-mento cooperativo…«Noi al movimento cooperativo crediamo fortemen-te, ma crediamo ad un movimento non ideologizzato, che invece sia animato da valori che abbiano come base il rispetto e la dignità della persone. Ecco perché in questo momento, che è una fase storica di gran-de unificazione delle tradizionali divisioni all’interno delle associazioni cooperative, noi abbiamo deciso di aderire oltre che a Legacoop anche a Confcooperati-ve. Con questo intento siamo andati a Roma apposi-tamente, in occasione della nascita dell’Alleanza delle Cooperative Italiane, che riunisce oggi le grandi e sto-riche centrali cooperative del nostro Paese. Quindi ci sembra che il mondo della cooperazione si sia muo-vendo in controtendenza rispetto a quanto avviene in

GRUPPO SOCI AL VIA I PRIMI PROGETTI

altri contesti istituzionali e di rappresentanza dove, anziché riunirsi, si tende a dividersi…».

Per quanto concerne invece il vostro impegno green, verso l’approvvigionamento di energia elettrica da fonti di energie rinnovabili? «Abbiamo adottato il “logo green” Future Friendly Certified, attraverso il quale ci impegniamo a for-nire agli Enti pubblici, che ce lo richiedono, energia verde che proviene cioè da fonti rinnovabili. Siamo attrezzati a fare questo anche perché siamo entrati nel Consorzio delle cooperative idroelettriche del Arco alpino e di conseguenza siamo in condizioni di approvvigionarci di energia idroelettrica, la quale giunge direttamente da fonti rinnovabili italiane. At-tualmente l’energia elettrica che fornisce AEG pro-viene per il 20% da fonti rinnovabili e, nel futuro, siamo intenzionati a aumentare questa percentuale».

Un’ultima domanda: quanto i giovani partecipano at-tivamente alla vita della cooperativa e come pensate di poterli coinvolgere di più?«Stiamo facendo un grande sforzo per raggiungere e coinvolgere attivamente target di Soci, e di clienti, più giovani che abbiamo un’età compresa almeno tra i 35 e 50 anni. Per fare questo abbiamo in cantie-re molte iniziative tra cui la possibilità di diventare clienti soci aderendo direttamente attraverso il sito di AEG! E tra non molto sarà possibile vedere la bol-letta anche via web...».■

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INFORMATICACOOPERATIVA E SOSTENIBILE Testi e foto di Arianna Zucco

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A 25 anni di distanza dalla nascita del web - fat-ta risalire convenzionalmente alla deposizione della sua proposta da parte dell’allora scono-

sciuto professore inglese Tim Berners-Lee - sono oggi più di 2,5 miliardi le persone connesse a livello mon-diale. A cavalcare l’onda della inarrestabile espan-sione delle tecnologie informatiche, sono le azien-de produttrici di hardware e software che - avendo capito le enormi potenzialità della rete dal punto di vista dello sviluppo economico - prevedono il con-tinuo rilascio di nuovi programmi ed applicativi. Ciò implica la necessità di computer e infrastrutture tecnologiche sempre più performanti, in un circolo vizioso senza sosta che porta gli utenti – siano essi imprese, pubblica amministrazione o semplici privati - a spendere sempre di più per mantenere aggiornata la propria dotazione tecnologica e a incrementare di conseguenza la montagna di rifiuti informatici tossici e difficilmente smaltibili che danneggiano l’ambiente.In questo contesto si inserisce l’operato della coope-rativa Binario Etico di Roma che si pone l’obiettivo di un’informatica sostenibile, non solo dal punto di vista ambientale, ma anche in relazione alla possibilità di accesso alle informazioni e ai servizi in modo sicuro ed economico.Ne parliamo con l’Ing. Davide Lamanna, Presidente di Binario Etico.

Binario etico: una scelta di naming che è già una di-chiarazione di intenti.«In effetti è così. Volevamo un nome che ci identi-ficasse come una realtà che fa informatica in modo critico e sostenibile. Questo ci è piaciuto perché gioca su un doppio senso, anche se devo dire che non tutti lo colgono: “binario” rimanda infatti al linguaggio in cui sono scritti i programmi per i computer, compo-sto da 0 e 1, mentre “etico” ci colloca naturalmente nel settore dell’Altra Economia, esprimendo quindi la nostra scelta di campo.

BINARIO ETICO A ROMA LA PRIMA COOPERATIVA DI INFORMATICA SOSTENIBILE

INFORMATICA COOPERATIVA E SOSTENIBILE

Nella pagina accantoIl manifesto della cooperativa romana Binario Etico.Grafiche di Riccardo Russo, illustratore di Binario Etico.

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Il trashware, cioè il recupero di computer e in generale componenti informatici dismessi, è una delle vostre at-tività core. Su quali principi si basa?«Con l’attività di trashware, la nostra cooperativa in-tende porre l’attenzione sull’urgente necessità di tec-nologie ecocompatibili. Da un punto di vista pratico siamo quindi in grado di riconvertire computer uti-lizzati per compiti specialistici in azienda (come ser-ver di rete, cluster per il calcolo distribuito, firewall e centralini telefonici) a computer utilizzabili da un utenza privata. Con la stessa logica recuperiamo an-che stampanti, monitor ed altre periferiche hardware. I computer vengono riqualificati ed ottimizzati grazie all’impiego di software libero: sono economici, affida-bili e supportati da un servizio di assistenza on-site. Siamo così in grado di proporre ai privati che non possono permettersi un computer nuovo, ma non vo-gliono restare esclusi dalle potenzialità della rete, dei pc a prezzi assolutamente accessibili, dai 100 ai 300 euro.La promozione del riuso in ambito tecnologico ha sì lo scopo di ridurre l’impatto ambientale legato alla produzione e allo smaltimento delle apparecchiatu-re elettriche ed elettroniche, ma anche quello di dare una risposta alle nuove forme di diseguaglianza legate allo sviluppo della società dell’informazione».

Qual è il Cliente tipo che si rivolge a voi per acquistare i pc rigenerati? «Non c’è un target standard di privati che si rivolgo-no a noi. Sono giovani, ma anche meno giovani, che

hanno una certa sensibilità per l’ambiente e la voglia di recuperare gli apparecchi con cui hanno lavorato magari per anni. Molti dei nostri clienti si rivolgono a noi anche per avvicinarsi al mondo del software li-bero, perché spinti dalla necessità di dare un nuovo senso all’informatica e dunque anche all’informazio-ne, basato sulla partecipazione e sulla condivisione, piuttosto che sul controllo centralizzato di pochi predatori a corto di idee. I nostri clienti aziendali sanno che possiamo offrire servizi affidabili, comple-ti e sicuri, molto di più delle soluzioni proprietarie. Inoltre, invece di pagare costose ed inutili licenze, che alimentano il mercato parassitario della rendita, preferiscono pagare i nostri servizi di assistenza e di personalizzazione».

In tema di sostenibilità ambientale, il riciclo delle ap-parecchiature informatiche si accompagna al cosiddet-to GreenIT: di cosa si tratta?«La GreenIT - o informatica verde - è l informatica ecologicamente sostenibile. Si basa su tecniche di progettazione di sistemi informatici efficienti, quindi con impatti ambientali limitati o nulli.L’obiettivo è duplice: da un lato un risparmio econo-mico, dall’altro buone prestazioni tecnologiche.Rendere i prodotti IT, le applicazioni e i servizi “verdi” è sì una pratica economica, ma anche un imperativo ambientale legato alla nostra responsabilità sociale, anche e soprattutto alla luce del riscaldamento globa-le in atto, dovuto per la maggior parte alle emissioni di gas serra».

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( 47 )INFORMATICA COOPERATIVA E SOSTENIBILE

Al filone “verde”, affiancate la promozione e la pro-duzione di software opensource, il cosiddetto softwa-re libero. Di che cosa si tratta? Quali sono i vantaggi rispetto alle soluzioni proprietarie per gli utenti che adottano il software libero? E qual è la motivazione per chi invece il software libero lo produce e poi lo met-te a disposizione della comunità di utenti?«Il Software Libero è un bene comune, la proprietà è di tutti e questo lo rende al contempo una risorsa e una tecnologia completamente indipendente da un punto di visto strategico. L’obiettivo è facilitare l’ac-cesso ai sistemi, alle applicazioni e ai dati, anche in un’ottica di trasparenza e di maggiore partecipazione pubblica.Il vantaggio più importante per tutti è la libertà. La libertà di eseguire il programma per qualsiasi scopo, di studiarlo e modificarlo come si preferisce, la liber-tà di ridistribuire copie del programma in modo da diffonderlo il più possibile e aumentare la possibilità di evolverlo e dunque la libertà di migliorare il pro-gramma. L’utente sa quindi che il software è verifica-bile e di conseguenza non è possibile che contenga trappole che non possano essere scoperte. Il risultato è che il software risulta praticamente inattaccabile da virus. Il continuo processo migliorativo lo porta ad essere sempre più sicuro, sempre più adatto alle necessità che mutano nel tempo, dei singoli e della comunità tutta, con prestazioni sempre migliori, mo-tivo per cui si adatta anche ai vecchi computer. Non essendo in mano a nessun gruppo in partico-lare, non c’è il rischio che il fallimento di un sogget-to ne determini la morte, o che a prevalere nel suo sviluppo siano biechi appetiti commerciali, piuttosto che reali utilità: nella maggior parte dei casi infatti è totalmente gratuito.Chi contribuisce al suo sviluppo, sa che se non lo facesse, tutto questo sarebbe impossibile. Anche un piccolo contributo, se aggiunto alle centinaia di mi-gliaia di piccoli contributi, può creare e mantenere nel tempo un prodotto che nessuna multinazionale, con qualunque disponibilità di capitali, può lontana-mente pensare di eguagliare.In questo ambito, Binario Etico offre soluzioni com-plete e personalizzate per la migrazione da software

proprietario a software open source di sistemi ope-rativi, applicativi e servizi informatici per l’ufficio all’interno di aziende, pubbliche amministrazioni e organizzazioni di terzo settore».

Binario etico oggi è una realtà che impiega quattro per-sone ed è inserita in diversi network di imprese a livel-lo nazionale. Come è nata l’idea? E come siete passati dall’idea all’impresa?«Tutto è iniziato con il progetto Trashware sviluppato insieme a Ingegneria Senza Frontiere - Roma e al Di-partimento di Informatica e Sistemistica de La Sapien-za. Abbiamo condotto con l’Università una ricerca sull’ottimizzazione delle prestazioni dei computer ob-soleti attraverso il Free Software e iniziato una speri-mentazione che ci ha portato a individuare – insieme a ISF-Roma - una serie di realtà sociali della periferia romana che avevano esigenze informatiche, senza il budget per soddisfarle. Li abbiamo ascoltati e poi ab-biamo riqualificato e consegnato in tutto 70 computer a 15 di queste realtà. Le consegne erano il momento più emozionante della nostra attività.Verificato che la cosa funzionava, ci siamo chiesti se sarebbe potuta diventare la nostra attività lavorativa. Così abbiamo partecipato a un bando del Comune di Roma e siamo riusciti a entrare nell’incubatore di im-prese sociali InVerso, imparando a fare impresa».

Quali sono i progetti per il futuro di Binario Etico?«Stiamo rafforzando la nostra rete di relazioni, esat-tamente nello spirito del Software Libero. Le cose si fanno insieme agli altri, da soli non si va molto lon-tano. C’è un ecosistema di imprese che fanno Open Source e curano aspetti complementari o singergici ai nostri, che stiamo tentando di valorizzare insieme.Stiamo inoltre sviluppando applicazioni e piattafor-me per gli Open Data e il Cloud Computing, che sia-no sostenibili per l’ambiente e per la privacy. Poter ac-cedere ai dati ambientali, statistici, geografici significa poterli utilizzare per creare servizi e prodotti innova-tivi, sviluppando dunque una risorsa importante per il territorio, anche dal punto di vista economico».■

Nella pagina a fianco I Soci della Cooperativa Binario etico.

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( 48 ) MUSICA INCONTRI

ALBERTO CESA E LA CANZONE RIBELLETesti di Gloria Berloso

Cantautore e fondatore del gruppo folk Cantovivo, è stato l’artefice della rinascita della musica tradizionale piemontese.

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L’UOMO, IL MUSICISTA E LA SUA IMMENSAEREDITÀ CULTURALE

Nella pagina accantoAlberto Cesa e la sua inseparabile ghironda.

In altoI due recenti volumi a cura di Ita Cesa:Con la ghironda in spalla, e Il canzoniere del Piemonte.

La canzone popolare, il canto di protesta, la can-zone politica hanno ancora motivo d’esistere di fronte alle condizioni sociali del nostro Paese?

Le nostre canzoni nate negli anni sessanta e settanta hanno ancora motivo di esistere! Perchè la storia si ripete ed ispira sempre i vecchi ed i nuovi cantautori.All’inizio degli anni ottanta la casa automobilistica Fiat di Torino iniziava a preannunciare il licenzia-mento di migliaia di lavoratori. Un movimento im-menso di solidarietà si formò ovunque e nella sua stessa città, il canzoniere della protesta per eccellenza, suonò con gli operai davanti i cancelli della fabbrica. Era Alberto Cesa e fino alla sua scomparsa avvenuta nel gennaio 2010, ha continuato a cantare-politico… Oggi la Fiat praticamente non esiste più, è cambiato anche il nome. Non si vedono nemmeno più i lunghi cortei di operai, studenti e personalità illustri che sfi-lano per una causa che potrebbe cambiare definitiva-mente il volto sociale del nostro Paese. Il folk è nato tra gli anni cinquanta e sessanta, in Ame-rica con Woody Guthrie, Pete Seeger, Phil Ochs, Tom Paxton… in Italia con Cantovivo, Alberto, Fausto Amodei, Ivan della Mea, Dario Fo, Giovanna Marini, Gualtiero Bertelli e l’approccio al folk unificò molti movimenti di protesta con la musica. Oggi molti di questi protagonisti non ci sono più ma hanno lasciato un patrimonio culturale immenso per chi vuole com-prendere le ragioni dell’impegno a cui si sono dedicati.Per il Cantovivo, Alberto Cesa ha impegnato tren-tacinque anni della sua vita e stava preparando due pubblicazioni, che sarebbero rimaste nel cassetto se dopo una difficile ripresa e con grande amore, Ita Cesa non avesse suscitato un vivo interesse per l’enor-me patrimonio culturale che Alberto ha lasciato. Infatti il 14 dicembre 2010 è uscito il primo libro Con la ghironda in spalla, con due CD Fogli Volanti e Il Canzoniere dei ribelli, che raccontano le storie vissute

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( 50 ) MUSICA INCONTRI

da Alberto, ma nati soprattutto per condividere fatti che la storia non racconterà mai! Il secondo libro Il Canzoniere del Piemonte, uscito più tardi, compren-dente due CD, contiene testi, traduzioni, spiegazioni, partiture, di ogni singolo brano e appunti, riflessioni ed annotazioni sui temi principali della musica popo-lare ovvero la festa, il lavoro, la partenza…Con la pubblicazione dei libri, i CD, il Premio Alberto Cesa (Spilimbergo, Folkest), i dibattiti e gli incontri, le pubblicazioni di alcuni giornali specializzati, e il sincero apporto di alcuni amici che della musica fan-no una ragione di vita, è forte l’intento di diffondere quella parte di cultura, sia italiana sia internazionale, fondata sulla ricerca di valori di umanità, solidarie-tà e generosità, che da sempre affondano radici nella storia dei popoli.Davanti a questi nostri uomini di cultura così prezio-si, e all’immenso patrimonio che Alberto Cesa ci ha lasciato, non si può rimanere indifferenti. Ognuno di noi, giovane o vecchio, dovrebbe essere coinvolto at-tivamente nella comunicazione del messaggio cultu-rale e musicale dell’autorevole ed importante progetto del cantautore di Caselle. Le sue canzoni folk rispecchiano le ballate piemontesi e provenzali, i racconti dei cantastorie, le filastrocche, la musica di balli popolari come le polche, le monfer-rine e le gighe e le ninne nanne; le sue musiche sono

arrangiate con strumenti acustici e con grande devozione nei confronti delle loro origini medie-vali  (ghironda, organetto, flauti, violino, chitarra, basso, mandola, fisarmonica, dulcimer, percussio-ni). Il canto è molto importante sia quando Alberto canta da solista sia quando lo fa in coro; la conti-nua ricerca di tradizioni popolari, di altre culture anche d’oltre confine e la straordinaria esperienza di Alberto Cesa  ha fatto incontrare generi diver-si. Alberto Cesa ha fatto migliaia di concerti nelle piccole e grandi piazze di tante città italiane, ma ha anche partecipato a Festival Folk internaziona-li facendosi conoscere per la sua generosità, il suo impegno nel sociale, la sua umiltà ma anche per la sua voce, bella e calda. Lo stesso Ivan Della Mea diceva che la voce di Alberto era più bella della sua! Alberto ha cantato con Miriam Makeba e con Alan Stivel, ha incantato il pubblico della Svizzera, del Belgio, dell’Austria, della Germania, del Portogal-lo, della Spagna, della Scozia e dell’Olanda.  Dopo ogni concerto Alberto lasciava sempre una traccia indelebile perché chi lo incontrava capiva che era un uomo vero e gentile ed un autentico artista. La sua musica, ogni sua realtà espressiva, la coralità di Cantovivo hanno offerto momenti di popolare bellezza con la semplicità di dialogo e di messin-scena che nella loro sintesi raggiungevano la voluta efficacia.

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Ma socialmente che cosa ha espresso Alberto Cesa? Difficile rispondere con esattezza. Alberto ha imper-sonato la lotta dell’uomo tra l’impegno sociale e l’eva-sione. Se da un lato vedeva la necessità di un impegno costante per cambiare certe strutture cancerogene, dall’altro si era allineato con tutti coloro che sull’onda di un riscoperto romanticismo, si rifugiavano in leg-gende, favole per rifuggire dal predominio della ratio poderosa. Intelletto sofisticato e chiaramente ipersen-sibile, evoluto culturalmente verso tutte quelle forme di avanguardia letteraria e musicale, è così che si è formato Alberto Cesa. Il suo interesse per la musi-ca folk è nato per ragioni politiche, sociali, culturali e soprattutto musicali. Politiche, per quella parte del mondo popolare che da secoli cerca di affermare la propria dignità storica e culturale. Musicali, perché il folk è un’espressione coinvolgente, semplice e allo stesso tempo complessa ed affascinante.Le canzoni di gusto popolare contenute nell’album CD postumo uscito a dicembre 2013 ne sono un esempio: Cantautori contro la guerra “Folk & Peace” progetto e direzione di Alberto Cesa, Ballate e canzoni per voce sola e uno strumento.Alberto ha instaurato amicizie profonde con molti ar-tisti importanti, studiosi, uomini politici, giornalisti ma anche con persone comuni: studenti, operai, gen-te di strada; adorava insegnare ai ragazzi la musica, a far percepire la sensibilità verso un violino, una ghi-ronda, una chitarra, un organetto e tutti gli strumenti che lui ricercava e conosceva.

Nella pagina accanto e a fiancoAlberto Cesa durante una registrazione e il manifesto del concerto di presentazione della raccolta Folk & Peace, Cantautori contro la guerra.

Renato Scagliola, grande amico di Alberto e gior-nalista della Stampa (hanno anche diviso emozioni suonando insieme), ha dichiarato che la testimonian-za di Cesa, con i libri e i CD, pubblicati dopo la sua scomparsa, è importante per il suo lavoro appassio-nato e costante di ricercatore e musicista e perché è un documento sociologico di anni lontani, nei quali si è sviluppato e accresciuto l’interesse per la musica popolare e politica, un piccolo mondo se vogliamo, dal quale sono germogliati filoni musicali diversi che oggi hanno tanti nomi esotici.La ricerca di canti popolari non è semplice, e mettere insieme i pezzi di un mosaico, presi ascoltando operai e contadini, è un lavoro difficile, soprattutto quando arriva il momento di riproporli. Con Alberto Cesa si aveva l’impressione, al contrario, che questo lavoro fosse svolto con facilità e semplicità: la sua voce calda e pastosa riempiva di tonalità l’ambiente, i suoi occhi stringevano tutti sotto lo sguardo sorridente, e sem-brava sempre di essere con un amico che ti ricordava episodi ora belli ora tristi, ma specialmente quegli altri che dovevano essere sempre presenti nella tua mente. Una personalità come quella di Cesa avrebbe sicu-ramente sfondato se avesse scelto una delle tante vie commerciali, ma l’essere rimasto ancorato ad un certo mondo dà credibilità al suo lavoro ed a quello di coloro che in certa musica popolare riescono ad identificare il motivo conduttore del film della vita.■

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( 52 ) APPUNTAMENTI IN LIGURIA

IL BISTROT DELL’ULIVO...Testi e foto di Alessandra Chiappori

Ritornare alla terra, all’agricoltura, alle tradizioni culinarie dell’entroterra ligure. Ecco come un incontro tra amici, può trasformarsi in uno degli eventi culturali, e sostenibili, più piacevoli dell’estate ligure.

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Si chiama Bistrot dell’ulivo, spremitura a freddo, pensieri in libertà, si svolge dal 2010 in estate, immerso nella dolce natura degli uliveti di Ba-

dalucco, ed è un raro e prezioso momento di riflessio-ne organizzato con la semplicità e la convivialità di un incontro tra amici. La differenza è che ad averlo pensato sono Franco e Rossella Boeri, nomi dietro al più noto olio Roi, mar-chio dell’olivicoltura ligure famoso per essere stato selezionato da Slow Food come ambasciatore del Po-nente ligure e della qualità dell’olio di oliva nel mon-do. Scopo del Bistrot è di far propria la filosofia del-la cura per la qualità e del recupero delle tradizioni, unendo “menti illuminate” per ritrovarsi a parlare e riflettere sulla coltivazione nell’entroterra ligure e più in generale sul mondo dell’agricoltura. Ogni anno, nell’ambito di questi piacevoli incontri, viene confe-rito un attestato di merito e stima a una famiglia che ha deciso di fare propria la filosofia del ritorno alla terra, inaugurando piccole realtà legate alla coltura di alcune specie, oppure di non smettere, nonostante difficoltà e fatica, di fare agricoltura in quella che è la culla dell’olio Roi, la Valle Argentina. «Siamo convinti che il miglior modo per poter tute-lare il territorio e non far scendere le fasce a valle sia coltivare le campagne – spiega la famiglia Boeri-Roi – c’è bisogno di qualcuno che si impegni a tenerle pu-lite: solo così non franeranno e non creeranno pro-blemi». Il riferimento è ai problemi che l’alluvione del gen-naio 2014 ha portato a tutto il territorio ligure, senza risparmiare gli uliveti Roi, parzialmente coinvolti in frane causate dalla cattiva manutenzione delle strade intrapoderali che, gonfie d’acqua piovana, sono di-ventate torrenti in piena e si sono riversate sulla terra ferendo un territorio già fragile.

QUANDO LA CULTURA SI COLTIVA. IL BISTROT DELL’ULIVO A BADALUCCO IL 19 E 20 LUGLIONEL PONENTE LIGURE

In alto L’illustrazione del’edizione del Bistrot dell’ulivo 2014, firmata da Milo Manara. Propone Il viso di una delle “ragazze di Manara”, affascinante ed eterea come sempre nello stile dell’autore, mentre gusta il frutto di un’oliva.

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( 54 ) APPUNTAMENTI IN LIGURIA

Un tema, quello del ritorno alla terra, sempre attuale e spesso protagonista di storie felici, come quelle che si raccontano al Bistrot dell’ulivo. Dopo la prima edi-zione “prova” del 2010, la manifestazione ha esordito con gli attestati di stima l’anno successivo, segnalando “La Cascina di Arzene”, di Fiorenzo e Valeria Pucci, che a Carpasio hanno deciso di allevare mucche come facevano i nonni anni prima, per produrre formaggi artigianali. La seconda edizione, nel 2012, ha premiato “Antica Distilleria Cugge”, di Agaggio, che ha ripreso la tra-dizionale coltivazione e distillazione della lavanda, le piante officinali e aromatiche, altra piccola coltivazio-ne caratteristica della Liguria, hanno invece portato l’attestato, nel 2013, all’azienda agricola “Castellaro-ne” di Doriana e Romeo, a Montalto Ligure. E se da una parte ci si confronta con il significato pro-fondo del coltivare, dall’altra si intreccia il ritorno alla natura con la cultura, visto l’alto numero di persona-lità del mondo artistico che negli anni hanno preso parte al Bistrot, portando il loro punto di vista e colo-rando l’atmosfera con parole, immagini, note. Gli incontri, che sono sempre moderati da Antonio Silvia, del sanremese Club Tenco, hanno visto infat-ti partecipare negli anni nomi come il presidente di Slow Food Carlin Petrini, il patròn di Eataly Oscar Farinetti, ma anche il fumettista Sergio Staino, i pro-duttori musicali Paola Farinetti e Stefano Senardi, il cantautore Gianmaria Testa, la presidente di Emer-gency Cecilia Strada, l’autore Pietro Galeotti, i giorna-listi Michele Serra, Sergio Farinelli, Giovanna Zucco-ni, Maria Bianucci, Maso Notariani, Gigi Garanzini, Giovanni Choukhadarian, il fotografo Roberto Cog-giola, il regista Silvio Soldini. A ogni edizione del Bi-strot è stato inoltre associato un manifesto d’autore: il 2010 ha salutato le locandine firmate da Sergio Stai-no, a cui sono seguite nel 2011 quelle di Francesco Rubino, nel 2012 quelle di Annalisa Braggio fino al 2013 che ha vantato la matita di Altan.Con questa manifestazione Roi non vuole solo guar-dare al futuro, intercettando strade e soluzioni per un settore di certo non facile, ma al passato, riscoprendo

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( 55 )IL BISTROT DELL’ULIVO

e valorizzando le radici culturali di un territorio che ha costruito la propria fortuna sull’olivicoltura. Tant’è che all’appuntamento non mancano mai i rappresen-tati delle istituzioni, a partire dal presidente della Re-gione Claudio Burlando, segno positivo per la sfida intrapresa da Roi, che per primo opera nel rispetto dei cicli naturali della pianta e del territorio, valoriz-zando le coltivazioni tipiche – l’oliva taggiasca - e por-tando il nome della Liguria in tutto il mondo. ■

In alto e nella pagina a fiancoL’edizione del Bistrot dell’ulivo 2013.

Per saperne di più

IL BISTROT DELL’ULIVO 19-20 LUGLIO A BADALUCCO

Via Argentina sud 1,10010 - Badalucco ImperiaTel. +39 0184 808004www.olioroi.com

Come arrivare:Il frantoio Roi è raggiungibile in pochi minuti dallo svincolo autostradale di Arma di Taggia dell’Autostrada A10 dei Fiori, proseguendo sulla statale 548 per Badalucco-Triora. L’aeroporto interna-zionale di Nizza (Francia) dista 80 km, quello internazionale di Genova 140 km. Per chi arriva in treno, si consiglia di scendere alla stazione Taggia-Arma e proseguire in autobus o taxi (10 km) per Badalucco.

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( 56 ) CASTELLI DEL CANAVESE

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( 57 )LA CANZONE RIBELLE

IL CASTELLO DI MAZZÈBorgo antico e polo museale, il castello di Mazzè rappresenta un autentico gioiello storico e artistico del Piemonte. Con la sua storia millenaria rappresenta una delle mete più ambite del turismo culturale in Canavese.

Testi e foto di Silvia Coppo

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( 58 ) CASTELLI DEL CANAVESE

L’origine di Mazzè è antichissima, probabilmente da far risalire ai primi stanziamenti che i Liguri avevano creato sulle loro strade di transumanza, nel X secolo a.C., poste solitamente accanto ai fiumi. La pianura circostante a quel tempo era probabilmente occupata da una sorta di palude, nel cui centro scorreva la Dora Baltea. Prima i Liguri, poi i Celti, la bonificarono, allo scopo di ricavare terreni adatti all’agricoltura. Note-voli ritrovamenti antichi sono una stele sulla sponda del fiume, datata al VI secolo a.C., una cripta ritua-le celtica e fondazioni romane ora visibili nel Museo sotterraneo del Castello. L’etimologia del nome di Mazzè deriverebbe dal nome della dea celtica Mat-tiaca, da noi conosciuta come Morgana, in quanto si presuppone che a Mazzè esistesse un centro di culto a lei dedicato. La presenza dei romani in zona risale almeno al 141 a.C., quando le legioni romane si erano scontrate con tribù salasse acquartierate a Mazzè e ne avevano occupato il fortilizio più tardi trasformato in Castello. Questa costruzione era posta a controllo del territorio e a difesa di un sottostante ponte romano che univa le due sponde della Dora. La storia del Castello attuale risale all’anno 1100, quando l’imperatore Enrico IV di Sassonia investe del feudo di Mazzè la famiglia comitale canavesana dei Valperga. I Valperga costruiscono il Castello sui resti del fortilizio di epoca romana e lo abiteranno per più di settecento anni, fino all’estinzione con la morte di Carlo Francesco nel 1840, che viene sepolto nella par-rocchiale adiacente.Nel 1859 l’intero edificio è acquistato dai conti Bru-netta d’Usseaux. A fine Ottocento, il conte Eugenio Brunetta d’Usseaux (dotato di molte cariche, tra cui quella di Ufficiale dell’Ordine di Malta, e cultore di esoterismo) promuove grandi lavori al Castello, recu-perandone l’aspetto medioevale con l’aiuto dell’archi-tetto Giuseppe Velati Bellini. Morto il conte nel 1919, il Castello viene abbandonato tra una compravendita e l’altra finché, dagli anni Settanta, è abitato e gestito da privati. Nel 1981 il Ministero dei Beni Culturali decreta il Castello e il relativo bosco parco monumen-to nazionale.Il Castello di Mazzè, che appare diviso in due e ornato di giardini, è un singolare esempio di doppia residen-za castellana: il cosiddetto Castello piccolo, risalente al Trecento, è da sempre la residenza del proprieta-

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( 59 )THE REPAIRMAN

rio, mentre il Castello grande del Quattrocento aveva funzioni militari, poi divenne la residenza degli ospiti e sede di fastosi ricevimenti. Attualmente i percorsi di visita alla dimora storica includono le dodici stanze del Castello Grande, i giardini panoramici e il Museo sotterraneo che presenta le antiche prigioni, originali strumenti di tortura e una cappella mortuaria. Il rivellino posto sopra l’ingresso principale, un tem-po punto di osservazione e controllo strategico sul Castello, consente ora di ammirare un ampio panora-ma: in lontananza il Monferrato da Casale fino a To-rino e la sagoma della basilica di Superga, mentre più vicino si scorgono i parchi secolari delle grandi ville settecentesche del centro storico di Mazzé. Si osserva inoltre la parrocchiale dei Santi Gervasio e Protasio, fondata nel Quattrocento dai conti Valperga di Mazzé come cappella privata all’interno dell’originaria cinta di delimitazione del feudo, quindi ampliata e rico-struita in parte nel corso del Seicento e a fine Otto-cento in stile barocco; accanto sorge il campanile, già torre civica, costruito nel 1744 da Giovanni Massa di Caluso, ammirato per la sua sobria bellezza persino dal re Carlo Felice di Sardegna.

All’interno del Castello grande, il salone più ampio e più antico è la cosiddetta Sala delle Armi per la pre-senza di alabarde, picche, spade e spadoni, nonché di una splendida armatura da parata del Seicento. In ori-gine il salone era luogo d’addestramento dei giovani della corte al duello e alla guerra. Da qui, attraverso lo Scalone d’onore, si scende al primo piano nobile in cui, prima di accedere a tre eleganti sale settecente-sche, si può osservare la Sala del Trono, considerata la più importante del Castello. Questa e altre stanze sono state accuratamente restaurate per volere del conte Eugenio Brunetta d’Usseaux insieme alla moglie, la nobildonna russa Jekaterina di Zeyffart, imparentata con i Romanov. La sala prende il nome dalla presenza di un raffinato trono ligneo quattrocentesco, i cui mo-tivi decorativi sono stati replicati nel tardo Ottocento sul rivestimento ligneo dello stesso ambiente in cui sono operativi diversi artisti già attivi al Borgo me-dievale di Torino per l’esposizione internazionale del 1884. Il bellissimo pavimento ottocentesco in cerami-ca, che simula un accostamento di tappeti orientali, trae ispirazione dalle origini e dai viaggi che compiva la moglie del conte.

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( 60 ) CASTELLI DEL CANAVESE

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( 61 )SCIALPINISMO

Si ricorda infine, sulla destra dell’ingresso principale del Castello grande, la lapide marmorea con gli stem-mi di re Vittorio Emanuele II e di Napoleone III a me-moria dell’evento decisivo della seconda Guerra d’In-dipendenza del lombardo veneto. Era l’aprile del 1859 e dagli spalti orientali (che oggi corrispondono ai giardini panoramici) Vittorio Emanuele II (che sarà il primo re dell’Italia unita), insieme allo stato maggiore di Napoleone III, decide l’allagamento della pianura vercellese aprendo i canali d’irrigazione già esistenti e trincerando la sponda destra della Dora Baltea tra Mazzè e Saluggia. Così è stata respinta l’avanzata delle armate austriache che marciavano su Torino. ■

Per saperne di più

PER VISITARE IL POLO MUSEALE DEL CASTELLO DI MAZZÈ

Via Castello 10, 100135 Mazzè

Tel. +39 011 9830765

[email protected]

VISITE DA APRILE A SETTEMBREIn altoIl Museo della tortura all’interno del castello. ( Foto fornita dal Polo museale)

Nella pagina a fiancoScorcio panoramico del Parco del castello..

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L’ANFITEATRO MORENICO DI IVREATERRA DI LAGHI E BOSCHITesti e foto di Stefano Biava

GUIDA WEEKEND SOSTENIBILI

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L’ANFITEATRO MORENICO DI IVREATERRA DI LAGHI E BOSCHI

Una terra sospesa tra boschi e laghi, un piccolo mondo incantato dove il tempo pare non scorrere mai... Tra profumi, stormire di fronde e folate improvvise di vento, si può camminare per ore attraverso i sentieri antichi dei nostri avi.

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Le colline rocciose che si estendono a nord della città di Ivrea sono una delle caratteristiche pe-culiari dell’Anfiteatro Morenico di Ivrea, uno dei

più importanti complessi di origine glaciale presenti in Europa. La bellezza e la suggestione del luogo pos-sono regalare, a chiunque decida di scoprirlo, sorprese ed emozioni inattese. Nonostante la prossimità con il centro cittadino di Ivrea, l’area in questione permette di entrare a diretto contatto con un ambiente natu-rale che conserva un ecosistema stupefacente. L’im-portanza di questo territorio è tale che, nell’ambito della direttiva 92/43/CEE istituita per tutelare la di-versità biologica, l’area è stata raggruppata sotto il SIC (sito di importanza comunitaria) Laghi di Ivrea (sic it1110021). Quest’area, che si estende in una superficie di circa 21 chilometri quadrati, rappresenta infatti uno scrigno di tesori sotto vari aspetti: geologico e natura-listico in primis ma anche paesaggistico, archeologico e architettonico.

Un ambiente unico al mondoLa straordinarietà del luogo è ascrivibile fin dalla sua origine. Le colline rocciose infatti costituiscono uno dei rari affioramenti rocciosi di granulite basica a li-vello mondiale. A differenza delle morene, genera-te dall’azione di trasporto ed accumulo da parte del Ghiacciaio Balteo, le colline rocciose hanno subìto l’azione erosiva del ghiacciaio che in questo caso ha svolto un’azione di modellamento. Testimoni di questa azione sono le numerose rocce montonate sulle quali poggiano isolati massi erratici.Il risultato sono una serie di colli, alti anche oltre 200 m, arrotondati e perfettamente levigati, alternati a conche di varia dimensione e profondità. Alcune di queste conche racchiudono cinque piccoli laghi, tutti molto profondi, alcuni stagni e alcune torbiere. Una di queste torbiere è conosciuta localmente con il nome di Terre Ballerine.

GUIDA WEEKEND SOSTENIBILI

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Le cinque perleL’aspetto più evidente del territorio è costituito dalla presenza di questi cinque piccoli laghi dal grande fa-scino, il mondano Lago Sirio, il selvaggio Lago Nero, il suggestivo Lago Pistono, l’appartato lago di Campa-gna e il più cittadino Lago San Michele.La presenza dei laghi e la bellezza del luogo sono un buon motivo per conoscere a fondo questo picco-lo lembo di Canavese. Ottimo compagno di viaggio in questa scoperta, il libro “Anfitetatro Morenico di Ivrea. Guida all’alta via e alla via Francigena Canave-sana”, scritto da Matteo Antonicelli, può rivelarsi uno strumento indispensabile per addentrarsi nella fitta rete di sentieri presenti in quest’area. Un territorio che consente la pratica di svariate attività sportive come jogging, mountain bike, escursionismo, running ed equitazione. Tra le manifestazioni sportive più amate, in primavera si svolge la corsa “Tra i Laghi” che ri-chiama ogni anno un grande numero di appassionati di questo sport.

SCIALPINISMO

Nella pagina precedenteIl Lago Nero e il Castello di Montalto Dora.

Nella pagina a fianco e in altoEscursioni lungo le sponde del lago di Campagna.

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( 66 ) GUIDA WEEKEND SOSTENIBILI

GLI ANELLI DEI 5 LAGHITesti e foto di Stefano Biava

Kilometri di passeggiate lungo i sentieri che congiungono i cinque laghi dell’Anfiteatro Morenico di Ivrea, attraversando boschi e prati. Qui ci si immerge in un mondo incontaminato, abitato da innumerevoli specie vegetali e animali.

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( 67 )ANFITEATRO MORENICO DI IVREA

GLI ANELLI DEI 5 LAGHI

Il progetto “Anelli dei 5 laghi”, coordinato dal La-boratorio Territoriale di Educazione Ambientale di Ivrea, nasce da un accordo stipulato tra i comu-

ni di Cascinette d’Ivrea, Chiaverano, Montalto Dora e Ivrea con lo scopo di valorizzare l’intera area dei cinque laghi tramite una serie di sentieri pedonali. Un’apposita segnaletica, perfettamente integrata nel sistema segnaletico dell’Anfiteatro Morenico di Ivrea consente di esplorare un territorio di estrema bellezza e dal fragile equilibrio nel quale si alternano ambiente boschivo, ambiente lacustre e ambiente arido e dove sono presenti numerosissime specie animali e vegeta-li. In tale ambito sono stati identificati e tracciati cin-que anelli, ognuno contraddistinto, nella segnaletica, da uno specifico colore: l’Anello del lago Sirio e delle Terre Ballerine (colore verde); l’Anello del Lago Nero (Blu); l’Anello di Montresco (rosa); l’Anello del lago Pistono (arancione) e l’Anello del lago di Campagna (viola).

Il lago di CampagnaIl nostro viaggio alla scoperta dei cinque laghi parte proprio dal lago di Campagna. Base di partenza per scoprire questo gioiello dalle mille sorprese è il picco-lo comune di Cascinette d’Ivrea. Le due aree attrezza-te, nei pressi del cimitero, sono facilmente accessibili dalla strada che collega Cascinette con Chiaverano. In entrambe le aree sono presenti tavoli e sedie in ce-mento mentre le fronde degli alberi presenti rendono particolarmente piacevole la sosta. Il lago di Campa-gna si trova per metà nel territorio comunale di Ca-scinette d’Ivrea e per metà in quello di Chiaverano. L’anello che permette di percorrerne il periplo com-pleto è contraddistinto da una segnaletica di colore viola. Percorrendolo in senso orario, con partenza dalla prima area attrezzata, si entra subito in contat-to con un habitat ideale per molte specie di uccelli, ivi presenti in maniera stanziale (alcune di esse per il solo periodo invernale). In questo primo tratto, che collega le due sponde attrezzate, il tracciato dell’anel-lo è in comune con quello della Via Francigena che collega Ivrea con Viverone. Dopo una breve salita in uno splendido ambiente boschivo si raggiunge un pa-noramico promontorio dove è d’obbligo una sosta per ammirare il panorama offerto dal sottostante lago e dal dirimpetto Castello San Giuseppe, arroccato sul

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( 68 ) GUIDA WEEKEND SOSTENIBILI

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Nella pagina precedenteIl lago di Campagna

Nella pagina a fiancoIl lago Nero.

SCIALPINISMO

Monte Albagna. A destra l’inconfondibile centro sto-rico di Chiaverano e il profilo rettilineo della Serra di Ivrea. La successiva discesa richiede un minimo di attenzione. Si attraversa la seconda area attrezzata, contraddistinta da un grande prato e da un canneto e si prosegue su un sentiero in salita che percorre per intero la sponda meridionale del lago. A circa metà di questo sentiero è presente un picchetto in legno, sul quale campeggia un punto esclamativo su fondo giallo. Questa indicazione segnala che è necessario prestare un po’ di attenzione, soprattutto in inverno oppure in caso di pioggia, in quanto, per qualche de-cina di metri, la traccia di sentiero presenta un fondo roccioso. Una ripida discesa e un successivo tratto in piano conducono a un piccolo ma suggestivo rio, im-missario del lago stesso, che si attraversa tramite una piccola passerella in legno. Da qui in poi si percorre un altro tratto in salita che conduce ad un bivio dove a sinistra il sentiero conduce al lago Sirio. Proseguen-do verso destra, in discesa, si prosegue con l’anello del lago di Campagna. Da qui in poi il tracciato abbando-na momentaneamente le sponde del lago per adden-trarsi in un ambiente prettamente boschivo. Questo lungo tratto si conclude sbucando sulla strada asfalta-ta a circa metà strada tra Chiaverano e Cascinette. Da qui, proseguendo verso destra, in pochi minuti si è di nuovo in prossimità della sponda del lago di Cam-

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( 70 ) GUIDA WEEKEND SOSTENIBILI

pagna la cui sponda settentrionale è contraddistinta da un fitto canneto, ambiente particolarmente amato dagli uccelli. Superata una curva, in prossimità della prima abitazione posta sulla destra, è possibile ritor-nare al punto di partenza della nostra escursione.

Il lago NeroIl più isolato dei cinque, il Lago Nero è immerso in un ambiente selvaggio e misterioso, dove è possibi-le entrare a contatto con una natura esuberante. L’e-scursione che porta alla scoperta del lago Nero può essere intrapresa da Bienca nei pressi di Chiaverano. È possibile anche raggiungere il lago partendo dalla piazza del municipio di Montalto Dora: in questo caso bisognerà seguire le indicazioni per l’anello del lago Pistono e ivi giunti, il sentiero di collegamento per il lago Nero.

L’Anello del Lago NeroL’anello del lago Nero, la cui segnaletica è di colore blu, ha inizio a Bienca frazione di Chiaverano immer-sa in un paesaggio di grande bellezza: prati, vigneti, boschi di castagno, muretti a secco e tratti di mulat-tiera creano una suggestione del tutto particolare. Questo primo tratto aggira il “Maresco di Bienca”, ba-cino lacustre di origine romana utilizzato per alimen-tare l’acquedotto dell’antica Eporedia, l’attuale Ivrea. Per gli appassionati di archeologia in questo tratto sono ancora visibili i resti dell’acquedotto romano. In poco meno di un’ora si giunge al bivio dal quale si inizia la discesa verso la conca del lago Nero. Seguen-do a destra la stretta strada a tratti asfaltata si giunge nei pressi dell’unica abitazione presente, la Casa del Pescatore. Aggiratala sul retro si costeggia il lago fino al bivio Monte Andrina, dove si innesta il sentiero provenien-te da Biò (frazione di Borgofranco d’Ivrea). Si conti-nua a percorrere verso sinistra la sponda del lago sino a giungere al panoramico “Roc del Pian d’Audarela” contraddistinto da un masso erratico. Da qui è possi-bile tornare a Bienca percorrendo a ritroso il sentie-ro dell’andata. In alternativa, seguendo le indicazioni dell’anello del lago Pistono, è possibile giungere in poco tempo sulle sponde dell’omonimo lago e da qui raggiungere il centro di Montalto Dora.■

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( 72 ) MONDO COOPERATIVO

L’autore

Matteo Antonicellinato a Gioia del Colle, si è forma-to alpinisticamente nel Canavese ove risiede. È stato coordinatore dell’attività escursionistica della sezione di Ivrea del CAI e tra i primi in Italia a conseguire la qualifica CAI di “Accompagnatore di Escur-sionismo”. Per conto della Regione Piemonte è “Rilevatore di Sentieri” della Rete regionale dei Percorsi Escursionistici per la costituzione del Catasto regionale. È autore di altre guide escursionistiche.

PER I CICLOESCURSIONISTIPer descrivere l’aspetto tecnico e la difficoltà, si utilizzano le seguenti sigle: TC - MC - BC – OC. È opportuno evidenziare che questa classifica-zione riguarda esclusivamente i percorsi di tipo escursionistico e non è riferita ad altre discipli-ne, quali ad esempio downhill o free-ride.

TC = TuristicoPercorso su strade sterrate dal fondo compatto e scorrevole, di tipo carrozzabile.

MC = Per cicloescursionisti di media capacità tecnicaPercorso su sterrate con fondo poco sconnes-so o poco irregolare (tratturi, carrarecce…) o su sentieri con fondo compatto e scorrevole.

BC = Per cicloescursionisti di buone capacità tecnichePercorso su sterrate molto sconnesse o su mu-lattiere e sentieri dal fondo piuttosto sconnesso ma abbastanza scorrevole oppure compatto ma irregolare, con qualche ostacolo naturale (per es. gradini di roccia o radici).

OC = Per cicloescursionisti con ottime capacità tecnicheCome BC ma su sentieri dal fondo molto scon-nesso e/o molto irregolare, con presenza signi-ficativa di ostacoli.Per “sconnesso” si intende un fondo non com-patto e cosparso di detriti; si considera “irre-golare” un terreno non scorrevole, segnato da solchi, gradini e/o avvallamenti.

ESCU

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SETTORE 2 LA MORENA SUD ORIENTALE DA VIVERONE A MAZZÈ

E9 IC dI CARAVINO

Caravino m 261

Innesto AV Frontale Est, Masino m 392

170 m 40 m 4,1 km

E 1h andata

TC (tratto MC) 20’ andata

pista forestale, sterrato

Nel progetto iniziale della ATL l’IC di Caravino raggiungeva l’Alta Via AMI al castello di Masi-no dopo aver percorso la via conosciuta come “Strada delle 22 curve”, un lungo sterrato che risale l’appendice morenico centrale di Masino. Nel frattempo questa via, diventata privata, non è più percorribile. Il percorso descritto è dunque un’alternativa ed è stato pianificato con l’inten-to di mantenere gli obiettivi iniziali.Da Piazza Marconi, al centro di Caravino, si per-corre Via Casale (attenzione ai sensi unici) e al primo bivio si svolta a sinistra per proseguire su Via Cavour. Dopo le strettoie nel centro del paese, in coincidenza di uno slargo con picco-lo parcheggio, si lascia la strada principale che porta a Settimo Rottaro e si piega a destra su Via Roiera. Sullo sfondo si osservano le colline e il profilo del castello di Masino, meta di que-sto itinerario. Con le ultime abitazioni termina il tratto in asfalto e si inizia a percorrere uno sterrato nel bosco. In leggera discesa si giun-ge ad una biforcazione ove si prosegue diritto. Dopo un tratto pianeggiante si inizia progressi-vamente a salire restando costantemente in un tratto di bosco con riferimenti irrilevanti. Ad un bivio con una marcata via che si sviluppa sulla sinistra, si prosegue diritto fino ad un’altra bifor-cazione. Qui si abbandona la traccia più marcata e si segue una pista forestale che prosegue in leggera salita verso destra. Subito dopo ed un centinaio di metri più avanti si presentano altre diramazioni. In entrambi i casi si trascurano le

vie laterali e si prosegue diritto con la vegetazio-ne che è costantemente compatta, ad eccezione di un’area, dopo un tratto di salita più marcato, dalla quale si possono osservare le montagne del Biellese, il gruppo della Colma di Mombaro-ne, La Serra e le montagne della Valchiusella. Ripreso il cammino si raggiunge un bivio poco marcato ove si cambia direzione. Fino a questo punto la progressione di massima è stata verso est, sud-est e con un profilo altimetrico ondu-lato, ma poco significativo. Ora cambia sia la direzione (ci si dirige dapprima verso sud e poi verso ovest) sia l’ascesa, che diviene molto mar-cata, con alcuni tratti non ciclabili a causa della pendenza e del relativo fondo non omogeneo. Il bivio ove si lascia il fondovalle e si inizia la risali-ta del versante morenico è poco evidente e non

presenta alcuna segnalazione. Un riferimento è rappresentato da un grosso albero proprio sul ciglio della via a pochi metri dal bivio. L’albero è molto più grande della media degli altri della zona ed è semiavvolto dall’edera.Superato l’albero si gira a destra e si inizia l’ascesa lungo un sentiero che a volte presenta il fondo scavato dallo scorrere irruento e rovinoso dell’acqua piovana che si raccoglie dai limitati ma ripidi versanti laterali. Oltre il tratto ripido si prosegue lungo un falsopiano seguendo una stretta traccia dal fondo inerbito che porta ad incrociare la strada provinciale SP80 che colle-ga Caravino a Cossano Canavese. Attraversata la strada, sulla parte opposta si segue la pista forestale che entra in un folto bosco. Con ascesa moderata e uniforme si percorre un lungo trat-

to fino ai ruderi della chiesa di Sant’Eusebio. Da segnalare a metà circa di questa ascesa, un var-co nella vegetazione verso valle, che consente di osservare da buona posizione uno spicchio della piana all’interno dell’Anfiteatro con il pa-ese di Azeglio e il profilo de La Serra. Superato l’edificio si costeggia per alcune decine di me-tri il muro di sostegno di una strada asfaltata fino al punto in cui il sentiero va ad esaurirsi sull’asfalto. Qui si gira a destra e si rientra nel bosco, costeggiando stabilmente un muro a secco, fino ad un prato presso il cimitero di Ma-sino. Proseguendo ancora diritto si raggiunge la chiesa di San Rocco ad un incrocio. Di fronte una palina AMI, con la targhetta LGS di Masino, segnala l’Alta Via che sulla destra, costeggia le case di Masino e conduce al castello.

Il Castello di Masino.® Foto di Stefano Biava

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118 SETTORE 3 LA MORENA SUD OCCIDENTALE DA MAZZÈ A PONTE PRETI 119

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Lago di Candia

Chiusella

Chiusella

dora Baltea

dora Baltea

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Casellodi San giorgioCanavese

Casellodi Albiano d’Ivrea

Casellodi Scarmagno

A5

A5

A4/5

VISChE

PONTESULLAdORABALTEA

MAzzÈ

CALUSO

BARONECANAVESE

CANdIACANAVESE

ORIOCANAVESE

VILLATE

SCARMAgNO

PEROSACANAVESE

SAN MARTINOCANAVESE

MONTALENghESAN gIORgIOCANAVESE

PONTEPRETI

AgLIÈ

BAIRO

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VIALFRÈ

TORRECANAVESE

CUCEgLIOMERCENASCO

STRAMBINO

ROMANOCANAVESE

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CARAVINO

MASINO

VESTIgNÈ

SAN gIUSTOCANAVESE

STRAMBINELLO

Parco Naturale del Lago di Candia

SCHEDA TECNICA: 224 pagine interamente a colori, oltre 200 fotografie, formato 152x210 mm

Anfiteatro Morenico di Ivrea. Guida all’Alta Via e alla Via Francigena Canavesana. Autori Matteo Antonicelli e Stefano Biava ISBN 978 88 97867 17 3 Lineadaria Editore, Biella

Una dettagliatissima guida per scoprire, a piedi oppure in bicicletta, l’Anfiteatro Morenico di Ivrea e gli oltre 450 chilometri di sentieri e di antiche strade attraverso le pro-vince di Torino, Biella e Vercelli. L’Alta Via e gli oltre 70 itinerari di collegamento descritti nelle pagine del libro consentono a escursionisti e ciclisti un tuffo in un emo-zionante paesaggio ricco di suggestioni naturalistiche e storiche. Da Andrate a Brosso, attraverso i laghi di Vive-rone e Candia Canavese, attorniati da splendidi castelli, tanti sono gli spunti per mettersi in cammino e scoprire a fondo questo affascinante territorio che custodisce im-portanti tracce archeologiche e naturalistiche. La guida inoltre descrive i tracciati completi dell’Alta Via dei cinque laghi di Ivrea in un’area che rappresenta un vero scrigno naturalistico. Completa l’opera la descrizione del percorso canavesano della Via Francigena che da Pont St Martin conduce a Viverone.L’opera è arricchita da una serie di testi di approfondimento curati da alcuni tra i maggiori esperti nel loro campo: Franco Gianotti per la geologia, Enrico Gallo per l’archeologia e Diego Marra per gli aspetti naturalistici. Emozionanti fotografie a colori e testi curatissimi completano un’opera fondamentale per chiunque voglia conoscere a fondo un territorio che, grazie alla sua eccezionale conformazione geolo-gica e alla straordinaria ricchezza a livello naturalistico, è unico al mondo.

LA GUIDA

La Via Francigena era il percorso che a

partire dall’Alto Medioevo, collegava Can-

terbury in Inghilterra a Roma, da sempre

cuore della cristianità. Un suggestivo iti-

nerario, lungo 1900 chilometri, che i pel-

legrini provenienti dall’Europa del nord

percorrevano per raggiungere Roma, sede

del Papato. L’itinerario francigeno non co-

stituiva però solo un tracciato devozionale

ma anche una via utilizzata da mercanti,

eserciti, uomini politici e artisti rappresen-

tando in tal senso un canale di scambio

di merci e di idee che ha permesso il con-

solidamento delle basi dell’unità culturale

europea avvenuta tra il x e il xiii secolo.

Nel 990 d.C. l’Arcivescovo Sigerico, di ri-

torno da Roma a Canterbury — dopo aver

ricevuto l’importante investitura da parte

di Papa Giovanni XV— la percorse per in-

tero e annotò tutte le 79 tappe, una per

giorno, che lo riportarono in Gran Breta-

gna attraverso l’Europa.

La Via Francigena Il Consiglio d’Europa nel 2004 ha di-

chiarato il tracciato della Via Fran-

cigena Grande Itinerario Culturale

Europeo al pari del famoso Cam-mino di Santiago de Compostela in Spagna. Tra le tappe annotate sul diario di Sigerico, dove Ivrea

risulta la quarantacinquesima tappa da

Roma, grande importanza assume il per-

corso della Via Francigena Canavesana

“custodita” dall’Associazione La Via Fran-

cigena di Sigerico, nel contesto geografico

dell’Anfiteatro Morenico, che congiunge

il tratto valdostano a quello vercellese con

uno sviluppo di circa 50 chilometri.

Lungo questo percorso esistevano

numerose tappe per il ristoro del-

lo Spirito e del corpo. Ancor oggi è

possibile incontrare una serie di

testimonianze dell’architettura

romanica che ci consentono di

rivivere le suggestioni del tempo.

Il nostro percorso inizia in Valle d’Aosta

nello splendido borgo di Pont St Martin

che custodisce numerosi gioielli architet-

tonici, a partire dal maestoso ponte roma-

no edificato nel I secolo a.C. in onore di

San Martino di Tours, il castello Barain-

ge e le rovine del Castello di Pont-Saint-

Martin detto Castellaccio, sito su di un

® Foto di Stefano Biava

200 SETTORE 6 LA VIA FRANCIGENA201

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DA CAREMA A IVREA

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