InOgniDovePiemonte N.6

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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale -70% - NO/VERCELLI - Anno 2013 - N. 6 6 autunno 2013 5 Periodico di cultura, cooperazione e sostenibilità www.inognidovepiemonte.it FEMMINICIDIO. FEMMINICIDIO. IVREA CONTRO LA VIOLENZA IVREA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE SULLE DONNE STORIE DI COOPERAZIONE STORIE DI COOPERAZIONE LA FORZA DI UN SOGNO: L’EREDITÀ DI ADRIANO LA FORZA DI UN SOGNO: L’EREDITÀ DI ADRIANO FRA I BAMBINI DI STRADA IN KENIA FRA I BAMBINI DI STRADA IN KENIA LE VALLI DEL CANAVESE IN AUTUNNO LE VALLI DEL CANAVESE IN AUTUNNO

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2013 Sostenibilità, Cultura, Cooperazione

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n° 6autunno 2013 € 5 Periodico di cultura, cooperazione e sostenibilità

www.inognidovepiemonte.it

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STORIE DI COOPERAZIONESTORIE DI COOPERAZIONE

LA FORZA DI UN SOGNO: L’EREDITÀ DI ADRIANOLA FORZA DI UN SOGNO: L’EREDITÀ DI ADRIANO

FRA I BAMBINI DI STRADA IN KENIAFRA I BAMBINI DI STRADA IN KENIA

LE VALLI DEL CANAVESE IN AUTUNNOLE VALLI DEL CANAVESE IN AUTUNNO

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( 1 )EDITORIALE di Alessandra Luciano

Lo scriveva Giorgio Soavi più di dieci anni fa nel suo volume Adriano Olivetti. Una sorpre-sa italiana, (Rizzoli 2001): «Sono passati qua-rant’anni dalla sua morte e nessun progetto di sopravvivenza è mai stato disegnato, nem-meno sulla carta, o hai mai sfi orato la mente di qualche persona geniale per dare un vol-to non mediocre alla nostra statura morale quotidiana. Ecco perchè Adriano Olivetti è stato un eroe».

Sono passati dieci anni dalla dichiarazione di Soavi e credo si possa dire che la situa-zione non sia mutata. La fi gura di Adriano Olivetti e le sue idee, la sua concezione di impresa umanistica, ma anche di cultura fondata sulla ricerca, l’innovazione e la spe-rimentazione, sono patrimonio storico e eredità preziosa di un passato recente... ma certo non del presente! Le idee di Adriano non si sono tradotte e non si traducono a tutt’oggi in nuovi progetti coraggiosi e in-novativi... Per lo meno nessuna altra espe-rienza in grado di continuare la sua “ope-ra” è emersa in questi ormai cinquant’anni che sono trascorsi dalla sua morte.

Così, forse, la recente realizzazione del-la fi ction La forza di un sogno, che tanto ha commosso e alimentato il fuoco della nostalgia, rappresenta una preziosa occa-sione per chiedersi se le idee di Adriano possano insegnare davvero qualcosa an-cora oggi, e magari indicare una strada per risolvere il declino non solo econo-mico, ma anche culturale e morale degli ultimi decenni. Ma occorrerebbe che la

forza del suo sogno, seducesse anche i sogni dei no-stri tempi. Tempi duri e che richiederebbero, forse, di essere aff rontati con quell’idealismo che pare ormai patrimonio culturale del passato...

Ecco perchè in questo numero autunnale abbiamo voluto intervistare chi ha respirato la forza del sogno di Adriano, proprio perchè radicata negli aff etti fa-miliari e dunque sedimentata nel proprio percorso di vita. E con lo stesso intento abbiamo inteso aff rontare anche altri temi di pressante attualità, dedicando uno speciale al Femminicidio e alle iniziative meritevoli, e senz’altro frutto di una preziosa sinergia tra istituzio-ni, che la città di Ivrea e il Canavese hanno attuato per contrastare la violenza contro le donne.

Aff rontare il problema della violenza di genere nel-le sue radici stratifi cate culturalmente è un esempio concreto di come tradurre, nel contesto del presen-te, la cultura e le idee di Adriano. Solo considerando i problemi nelle loro cause, sempre sedimentate in modelli culturali che condizionano comportamenti, è possibile risolverli. La cultura rende l’uomo libero, diceva Adriano. Anche le donne... Soprattutto le don-ne, che devono imparare a conquistare l’autodermina-zione necessaria a liberarsi da vincoli di dipendenza e subordinazione a modelli culturali.

Un percorso lento, diffi cile, che però può essere dav-vero compiuto solo in quella “comunità di idee e valo-ri” che sognava Adriano...

Buona lettura!

LA FORZA DI UN SOGNO...

( 2 ) SOMMARIO

EDITORIALEpag. 1 La forza di un sogno... di Alessandra Luciano

SOCIETÀ E DIRITTIpag. 4 Femminicidio. Ivrea contro la violenza sulle donne di Giulia Maringoni

pag. 8 Dove trovare aiuto di Giulia Maringoni

pag. 10 L’impegno dell’ASL TO4 di Alessandra Luciano

MONDO COOPERATIVOpag. 14 Storie di cooperazione

pag. 18 Cooperative alleate in Piemonte

pag. 22 Il pane della libertà

pag. 28 Cooperative e Gruppi Soci

( 3 )SOMMARIO

( 58 )

VIAGGI SOSTENIBILIpag. 48 Fra i bambini di strada in Kenia di Arianna Zucco

GUIDA WEEKENDpag. 54 Scialpinismo la montagna sostenibile di Giulia Maringoni

pag. 60 Le valli del Canavese in autunno di Giulia Maringoni

InOgniDovePiemonte

n. 6 - AUTUNNO 2013

Euro 5

Trimestrale di Cultura, Cooperazione e SostenibilitàRegistrato presso il Tribunale di Ivrea n. 3 del 4/7/2012 del Registro periodici

Direttore ResponsabileAlessandra [email protected]

Hanno collaborato a questo numeroSilvia Coppo, Letizia Gariglio,Giulia Maringoni, Arianna Zucco

Progetto grafi coGraphic design - Galliano Gallo

Layout e impaginazioneAlessandra Luciano, Galliano Gallo

Fotocomposizione e stampaTipolitografi a Grafi ca SanthiateseCorso Nuova Italia, 15 b 13048 Santhià ( Vc)tel. 0161 94287 - fax 0161 990136direzione@grafi casanthiatese.it

Direzione e redazione, [email protected]

Foto di copertina:

Opera presentata alla Mostra Sguardi d’amore, realizzata da Beatrice Tomasi, Liceo Artistico Felice Faccio di Castellamonte ( Torino).

CULTURA E SOCIETÀpag. 32 L’eredità di Adriano di Francesca Sales

pag. 38 Storie di donne e scrittura di Arianna Zucco

pag. 44 Vedi che storie di Francesca Sales

Testi e foto di Giulia Maringoni

FEMMINICIDIO

( 4 ) SOCIETÀ E DIRITTI

( 5 )

Ogni giorno una donna viene uccisa, spesso tra le mura della sua casa e per mano dell’uomo che ama, o ha amato. Nel nostro Paese il fe-

nomeno ha assunto dimensioni tragiche, un vero e proprio “femminicidio” che aff onda le sue radici in stereotipi e modelli culturali che autorizzano e giusti-fi cano la prevaricazione dell’uomo sulla donna e che, nonostante i progressi sociali compiuti, sono presenti e diffi cili da sradicare. In Canavese la problematica si è imposta anche nella discussione politica, nella con-vinzione che solo la sinergia di saperi e competen-ze tra istituzioni, mondo associazionistico e privati, possa veicolare il cambiamento verso la realizzazio-ne di una società in grado di garantire il rispetto e la tutela delle donne. Così il Consiglio Comunale di Ivrea ha approvato all’unanimità la mozione proposta dalla Lista Civica “Viviamo Ivrea” contro la violenza sulle donne. La proposta impegna l’Amministrazio-ne a costruire una rete territoriale organizzata, estesa anche ai comuni limitrofi , coinvolgendo tutti i sog-getti istituzionali e associazioni di volontariato per una condivisione di pratiche al fi ne di imprimere una svolta radicale alla gestione del problema. Il primo appuntamento è previsto per il 25 novembre, la Gior-nata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ma le iniziative saranno molteplici e comprenderanno incontri nelle scuole e nei luoghi di lavoro su tematiche di genere, capillare diff usione di informazioni sui servizi di assistenza, l’inserimento sul sito del comune di una rubrica permanente con tutti i recapiti utili alle donne, nonché il potenzia-mento dell’illuminazione pubblica e la creazione di fermate a richiesta per i mezzi pubblici nelle zone più a rischio.«Come recita lo slogan della campagna- ha commen-tato la Presidente del Consiglio Bellurio- ciascuna di quelle donne, prima che un marito, un ex, un aman-te, uno sconosciuto decidesse di porre fi ne alla sua vita, occupava un posto a teatro, sul tram, a scuola, in metropolitana, nella società. Anche ad Ivrea, questo posto vogliamo riservarlo a loro, affi nché la quotidia-nità non lo sommerga». Abbiamo incontrato Francesco Comotto, capogruppo della Lista civica Viviamo Ivrea, per approfondire in-sieme le ragioni della mozione.

Nella pagina accanto:

opera di Lais Tomasin.

Mostra Sguardi d’amore,

Liceo Artistico Statale Felice Faccio di Castellamonte.La mostra sarà aperta sino al 23 Novembre presso il Polo Formativo delle Offi cine H di Ivrea.

Nella pagina successiva:Francesco Comotto

IVREA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

Cosa intende esattamente quando parla di radice cul-turale del fenomeno? Come può l’educazione farsi por-tatrice di un cambiamento tangibile?«Mentre lavoravamo alla stesura della mozione con-tro il femminicidio abbiamo appreso dei dati a dir poco agghiaccianti riguardo il problema della vio-lenza sulle donne. Abbiamo strutturato la nostra disa-mina partendo da dati storici e di costume nazionali, analizzando i pochi elementi normativi disponibili, insieme a numeri e statistiche. Ne è uscito un quadro allarmante che non può che ricondurci ad una visio-ne della donna, nella società italiana contemporanea, distorta e retrograda. Ricordiamo che solo nel 1975 la riforma del diritto di famiglia ha stabilito la parità di diritti fra uomini e donne all’interno della fami-glia e per l’educazione dei fi gli, che solo nel 1981 è stato abolito il “delitto d’onore” (roba da medioevo) e che solo nel 1996 la legge italiana riconosce lo stu-pro come un delitto contro la persona e non contro la morale.Dalla nostra analisi è emerso con chiarezza che le radici del problema sono profonde. Si tratta di un fenomeno, come scrive Rachele Gonnelli: «…che nasce da una tara storica, radicata nel paternalismo familiare che nega la libertà e l’autodeterminazione delle donne e che tende a relegarle nelle case».Il dato più eclatante, che emerge dalla dichiarazioni degli assassini, è quello inerente la “normalità” dei loro gesti, scaturiti, a detta loro, da una sorta di diritto di proprietà sulla donna: Se non può essere mia non sarà di nessun altro. Di certo una visione della so-cietà iper-consumistica basata sull’usa e getta, dove tutto ha un prezzo e tutto si può avere, compreso un essere umano, non migliora la situazione.Un fenomeno sociale di questo tipo non si può cer-to risolvere con qualche legge di tipo emergenziale, serve incidere profondamente nel retroterra culturale. Occorre portare nelle scuole, nei luoghi di lavoro e

veicolare con eventi pubblici temi quali il linguag-gio di genere nei mezzi di comunicazione, il rapporto consapevole uomo/donna oltre che promuovere il ri-spetto delle differenze».

Lei pensa, dunque, che la violenza maschile sulle don-ne sia una questione anche politica oltre che privata?«Certo che sì. Basta guardare la percentuale di don-ne che siedono in Parlamento o che occupano ruoli apicali nella Pubblica Amministrazione come nelle aziende private. Nei posti chiave ci sono quasi sempre uomini. Nella mia esperienza personale ho riscontra-to spesso una certa diffi denza maschile nel lasciare l’ultima parola ad una donna e credo per lo stesso mo-tivo per cui non si considerano i giovani e cioè perché non ritenuti all’altezza. Non per niente abbiamo una delle classi politiche più vecchie e maschiliste del glo-bo. Gli abusi, spesso, avvengono nell’ambito famiglia-re, questo è vero, ma ciò non toglie che la politica non possa fare la sua parte proprio partendo dagli aspetti culturali che sono poi quelli che formano cittadini ci-vili e responsabili che non contemplano minimamen-te la possibilità di alzare le mani sulla propria moglie, partner, amica, compagna. Per intervento della poli-tica non penso tanto a quote rosa imposte per legge che possono anche andare bene, ma sembrano tanto un contentino che non risolve il problema alla fonte. Penso sia necessario lavorare per arrivare ad una so-cietà dove le pari opportunità siano reali, implicite, eff ettive e integrate nel sistema, senza dover agire con il bilancino e con i numeri. Il problema è che oggi la politica, soprattutto in Italia, fa tutto meno ciò che dovrebbe fare per garantire un minimo di benessere e sicurezza ai propri cittadini. C’è molto da lavorare, ma io credo nelle nuove generazioni. Vedo in loro un maggior rispetto tra generi ed anche nei confronti dei più deboli. Sono ottimista».

( 7 )

Da che cosa è nata l’urgenza di aderire all’iniziativa nazionale “Postoccupato”?«“Postoccupato” è un’iniziativa segnalataci da Lisa Gino, che nel nostro gruppo è colei che principalmen-te si occupa di queste tematiche. Ci è subito piaciuta per svariati motivi: la concretezza, l’impatto emotivo, la semplicità, la campagna di comunicazione, il sito web, ma soprattutto la forza del messaggio che lancia. Siamo convinti che uno dei problemi che oggi atta-nagliano la società nella quale viviamo sia lo scarso livello di comunicazione e di conoscenza di quello che ci sta intorno; si preferisce nascondere la polve-re sotto il tappeto piuttosto che aff rontare di petto i problemi.L’egoismo e l’individualismo imperanti ci hanno fatto diventare un popolo di indiff erenti e questo è il peg-gior insegnamento che possiamo dare ai nostri fi gli. Dobbiamo trasmettere loro, piuttosto, che i proble-mi prima si aff rontano prima si risolvono e che non serve mettere la testa sotto la sabbia come abbiamo visto fare dalle classi dirigenti degli ultimi decenni. Ancora oggi, di fronte ad un problema sociale serio, si brancola nel buio assecondando con qualche provve-dimento urgente l’indignazione popolare. “Postoccu-pato” ha il pregio di non nascondere il problema ma di farlo emergere; senza urla, senza clamore, senza demagogia ma cercando di toccare il cuore e la co-scienza delle persone».

Pesa più in negativo l’omertà o le leggi inadeguate?«Non credo abbia un senso scegliere tra due cose così negative quanto, piuttosto, lottare per eliminar-le entrambe. L’antidoto contro l’omertà, il non dire, il rimestare nel torbido, nella società che abbiamo in mente esiste già, e non l’abbiamo certo scoperto noi; è la fraternità, il sentimento, la virtù, la forma menta-le che ci consente di immaginare e di perseguire un mondo di uguali dove non esiste la pretesa di “posse-dere” un’altra persona.Le leggi sono quell’insieme di norme che dovrebbero regolare il vivere civile e diventano necessarie quando una comunità non ha al suo interno gli anticorpi per combattere le ingiustizie. Una società compiuta e con-sapevole non avrebbe bisogno di una legge per sapere che non si deve usare violenza sulle donne, come su nessun altro essere vivente, ma oggi ancora non sia-mo arrivati a quel grado di civiltà. Risolvere problemi sociali e culturali attraverso le leggi rischia, come sta accadendo con il decreto contro il femminicidio, ora in via di conversione in legge in Parlamento, di basar-si esclusivamente sugli aspetti punitivi e ben sappia-

mo come la sola repressione non riesca a fermare fe-nomeni di questa portata. Va anche detto che questo decreto legge è stato messo insieme in poco tempo, sull’ondata dell’indignazione dell’opinione pubblica, ma non è basato solo sul tema femminicidio essendo comprese nel testo norme sulle province, sulla TAV, ecc. e questo la dice lunga».

Cosa può davvero cambiare le statistiche sulla violenza, domestica e sociale, e fare, fi nalmente, la diff erenza?«Ribadisco che è necessario modifi care radicalmen-te le modalità con cui oggi la politica gestisce la cosa pubblica e le nostre vite. Qualunque problema, com-preso quello della violenza sulle donne, non può prescindere da una riduzione delle disuguaglianze a livello locale come a quello planetario e oggi più che mai non possiamo far fi nta di non vedere e di non sentire. Partiamo pure da piccole cose, piccoli gesti ma partiamo, agiamo. Ripristiniamo un minimo di quelle relazioni sociali che sono alla base della civiltà e del rispetto reciproco che oggi sono state spazzate via soprattutto dalla televisione. Spesso basterebbe la condanna morale della società per fermare compor-tamenti deviati e violenti senza il bisogno di inventare nuove norme punitive».

Nella mozione si legge dell’intenzione di coinvolgere, ol-tre ai soggetti istituzionali, anche le associazioni di vo-lontariato per una condivisione di saperi e competenze. In che modo il sociale può aiutare la politica a rendere più effi cace la gestione di questa piaga sociale? Avete già pensato a qualche realtà particolarmente attiva e aperta ad accogliere i vostri stimoli?«Nel nostro modo di vivere la politica non c’è distin-zione tra rappresentanti (i politici) e rappresentati (i cittadini) anche perché gli uni non potrebbero esiste-re senza gli altri e i rappresentati di oggi saranno i rappresentanti di domani.Per noi la politica dovrebbe essere condivisione, par-tecipazione, collaborazione a tutti i livelli a partire dal singolo cittadino al mondo del volontariato che è una ricchezza incredibile troppo spesso sottovalutata. Che il sociale operi in sintonia con il politico è per noi la normalità. Chi, meglio di chi opera sul campo, o è esperto in un dato settore, può consigliarci la so-luzione ad un problema? Serve scrollarsi di dosso le barriere ideologiche che troppo spesso hanno tenuto separati mondi simili. Non è più tempo di bandiere e di simboli quanto di cooperazione tra le persone di buona volontà».■

FEMMINICIDIO

( 8 )

DOVE TROVARE AIUTO LA CASA DELLE DONNE DI IVREA

Attiva ormai da decenni contro la discriminazione, la Casa delle donne di Ivrea è impegnata sin dal 1991 contro la violenza di genere, fenomeno trasversale che coinvolge tutti ma per troppo tempo considerato come un problema di serie B. E forse deve far pensare che in tutti questi anni, pur nel silenzio, solo la Casa delle Donne di Ivrea ha rappresentato un punto fer-mo e un luogo di ascolto dove le donne con problemi si sono potute rivolgere per chiedere aiuto. L’impegno delle Casa si è concentrato fortemente sul valore delle relazioni tra donne, sull’ascolto attivo e sulla disponi-bilità ad accogliere e off rire supporto, e soluzioni, per accompagnare il diffi cile cammino delle donne che decidono di dire basta alla violenza. Presso la Casa delle donne di Ivrea molte donne in questi anni han-no trovato l’aiuto necessario per poter cambiare vita e superare momenti drammatici, contando sull’aiuto di professionisti e sulla solidarietà di donne che non hanno esitato ad off rire la loro casa e la loro amicizia a chi necessitava di protezione. Ottavia Mermoz, è so-cia “militante” della Casa da sempre, operatrice dello sportello antiviolenza “Alzati Eva”, ci ha accolti nella struttura, mostrandoci lo spazio fi sico in cui le donne vittime di violenza trovano un porto sicuro, ma so-prattutto un ascolto attento ed empatico di parte che, dopo aver dipanato la matassa e isolato i diversi pro-blemi delle utenti per far luce sulle possibili soluzioni concrete, le aiuta a uscire dai margini e ricominciare la propria vita.

Cosa succede tra le mura di “Casa delle Donne”?«Questa sede è principalmente uno spazio di incon-tro e di confronto dove si off re solidarietà, supporto psicologico ed assistenza giuridica alle donne che vi-vono drammi familiari e sociali. L’attività di preven-zione è il nostro fi ore all’occhiello, la vera e propria ancora di salvezza per la maggior parte delle utenti che vengono a trovarci e che, avendo tutti contro, possono fi nalmente far fl uire liberamente le proprie emozioni represse senza essere giudicate e discrimi-nate. La domanda classica che ci rivolgono è: ma a me chi mi tutela?».

Quali sono gli ostacoli principali per una donna vitti-ma di violenza domestica?«L’autonomia economica delle donne è indispensabile a dar loro il coraggio iniziale per spezzare la catena di

In alto:

il logo della Casa delle donne di Ivrea. Presso la sede

di Via Dora Baltea 1 ad Ivrea le donne che vivono

drammi familiari o situazioni di discriminazione

e violenza sul lavoro o in contesti sociali, possono

rivolgersi per chiedere aiuto, consigli e assistenza

giuridica.

SOCIETÀ E DIRITTI

( 9 )DOVE TROVARE AIUTO

Per saperne di più

[email protected]

www.casadonneivrea.it

tel. 0125-49514Via Dora Baltea 1Orari di segreteria: lunedì e martedì dalle 14.30 alle 16.00mercoledì dalle 17.30 alle 19.00venerdì dalle 9.30 alle 11.00

soff erenza. In secondo luogo i fi gli possono essere un forte limite, rendendo ancor più pesante il fardello dei sensi di colpa. In ultimo a tenere legata la donna alla sua realtà castrante è l’esposizione al controllo sociale, soprattutto nei piccoli paesi».

Quanto è importante il consultorio legale gratuito per le donne?«È fondamentale per far capire loro che il sogno di una vita migliore non è solo un’utopia, ma che, at-traverso strumenti concreti, possono eff ettivamente, passo dopo passo, tirare i capi della matassa con una consapevolezza in più. Il colloquio con gli avvocati le rende più sicure perché maggiormente informate sui rischi reali e le conseguenze delle loro scelte, quindi più capaci di alzare la testa e pretendere una vita di-gnitosa. L’aspetto realmente importante è abituare le donne a costruire una relazione, non legata al momento emer-genziale, ma che possa dar loro una valida bussola per rendere i loro problemi più gestibili e ricostruirsi un ruolo nella società e nella famiglia partendo da ora».

Quest’anno come festeggerete il 25 novembre? C’è qual-che novità in cantiere?«Il seminario “La Voce del Lupo”, che sposta il focus sulla violenza raccontata dagli uomini aprendo uno spazio ancora inesplorato, è il frutto dell’evoluzione, lenta ma tenace, del lavoro di sradicamento degli ste-reotipi portato avanti nelle scuole, il terreno educa-tivo centrale per ogni ragazzo che poi diventerà un adulto capace di condizionare il proprio ambiente. Ogni anno aggiungiamo un tassello, convinti che gli eventi celebrativi siamo importantissimi, non solo per ricordare una ricorrenza e gratifi care coloro che vi hanno partecipato, ma soprattutto per richiamare l’attenzione di tutte quelle persone che non ci sono perché non sapevano, ma che magari avrebbero vo-luto esserci». Un’altra novità riguarda il coinvolgimento della po-lizia municipale nel progetto “Prestami i tuoi occhi”, che parlerà di “Violenza e Stalking” nelle due scuole di Ivrea selezionate dalla Provincia (il Liceo Scientifi -co “Gramsci” e la scuola professionale “Casa di Carità Arti e Mestieri”), un segnale positivo di partecipazio-ne delle istituzioni locali. Il progetto, articolato su due anni scolastici, è basato su un lavoro di informazione,

rifl essione, discussione, attraverso l’impiego di meto-dologie attive come l’indagine sociologica e le lezioni interattive».

Come vede la collaborazione tra istituzioni, mondo po-litico e associazionismo?«Il nostro è un volontariato non istituzionalizzato, ma siamo profondamente consapevoli della delica-tezza del problema e tutto ciò che facciamo non na-sce dall’improvvisazione ma da un impegno serio e trasversale che ci mette in rete con tutte le altre realtà operanti nel settore sociale, come le psicologhe del consultorio familiare, che intervengono in situazioni di stress insostenibile o le assistenti dei servizi socia-li in caso di coinvolgimento di minori. Le istituzioni non possono tenersi fuori dalla gestione di questa piaga sociale, ma anzi, sono una risorsa preziosa per rendere più facile il primo passo verso l’indipenden-za, psicologica ed economica, delle donne e fare, per-ché no, da garanti. La rete è senza dubbio la chiave del successo, l’unico strumento veramente effi cace per sostenere la tutela sociale, soprattutto in quest’epoca di crisi profonda del welfare». ■

( 10 )

VIOLENZA SULLE DONNE: L’IMPEGNO DELL’ASL TO4

SOCIETÀ E DIRITTI

I dati del Canavese confermano le stime nazionali relative alla percentuale di donne che subiscono violenze, le quali spesso avvengono tra le mura si-

cure della propria casa. Nella maggior parte dei casi infatti è proprio il contesto della famiglia ad essere il teatro di forme di abusi, che purtroppo spesso non vengono neanche denunciati poiché il regime di ter-rore a cui le donne sono sottoposte condiziona psi-cologicamente e inibisce anche la capacità di reagire e chiedere aiuto. Spesso le donne che sono vittime di violenze sono combattute psicologicamente tra il su-bire e il giustifi care i compagni abusanti, tendono cioè a cercare di comprendere le diffi coltà psicologiche del compagno, sperando che prima o poi possa cambiare. Ma purtroppo questo non accade mai, soprattutto se si aff ronta in solitudine la diffi cile situazione e non si è accompagnate e sostenute per gestire una realtà che spesso coinvolge anche i propri fi gli. Dunque è importante per le donne capire che occorre chiedere aiuto per iniziare un diffi cile ma necessario percorso di aff rancamento. Prima che sia troppo tardi.Per questi motivi l’ASL TO4 ha attivato nel trien-nio 2010-2012 un monitoraggio fi nalizzato a censi-re le richieste di aiuto da parte di donne sottoposte a violenza. I dati emersi confermano una situazione diffi cile e problematica: sono state ben 687 le donne vittime di violenza seguite dall’ASL TO4, donne che nella maggior parte dei casi si sono rivolte al Pronto Soccorso per essere medicate dopo essere state ferite. Un numero consistente che però non rende conto del mondo di silenzio di tutte quelle altre donne che, pur

Nella pagina a fi anco:

opera di Beatrice Tomasi. Mostra Sguardi d’amore,

Liceo Artistico Statale Felice Faccio di Castellamonte,

in esposizione alla Offi cine H di Ivrea.

I DATI DEL MONITORAGGIO SVOLTO DALL’ASL TO4 DI IVREA

«L’espressione “violenza contro le donne basata sul genere” viene utilizzata in tutta la Convenzione e si riferisce alla violenza diretta contro una donna,

perché donna e perchè colpisce le donne in modo sproporzionato. Si diff erenzia da altri tipi di violenza perchè il genere della vittima è

il motivo principale che motiva gli atti di violenza... In altre parole, la violenza di genere si riferisce a qualsiasi danno

che viene perpetrato contro una donna e che è la causa e il risultato di relazioni di potere diseguali, fondate sulla percezione di diff erenze tra donne e uomini, che determinano la condizione di subordinazione delle donne sia nel settore privato, sia nella sfera pubblica.

Questo tipo di violenza è profondamente radicata nelle strutture sociali e culturali, inscritta in norme e valori che governano la società, ed è spesso perpetuata da una cultura di negazione e di silenzio. .. »

art. 3 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne.Istanbul 11 maggio 2011

( 11 )

( 12 ) SOCIETÀ E DIRITTI

subendo percosse o violenze, decidono di non rivol-gersi alle strutture sanitarie per paura di ripercussio-ni, o per non compromettere i proprio compagni. Si tratta di donne che vivono una profonda soff erenza psicologica, oltre che fi sica e che, spesso, non sono in grado di prendere le decisioni necessarie, le quali ri-chiederebbero di poter essere intraprese con il soste-gno di operatori qualifi cati. Ecco perché l’ASL TO4, da alcuni anni, ha attivato tre équipe multidisciplinari che agiscono su tutto il terri-torio, attraverso un lavoro di rete con i Servizi Sociali, la Sezione Fasce Deboli della Procura e le Associazio-ni di Volontariato interessate alla tematica. L’intento è fornire una risposta coordinata alla problematica del-la violenza contro le donne, attraverso la formazione degli operatori sul problema nei suoi diversi aspetti e rispetto alle conseguenze spesso nefaste sulle vittime. Le tre équipe aff eriscono alla Rete Regionale Contro la Violenza alle Donne e si coordinano perciò anche con le linee di indirizzo regionali. L’ASL TO4 ha siglato inoltre un protocollo di Intesa con la Procura di Ivrea che permette una maggior chiarezza e vie più dirette di collaborazione tra gli operatori e la Magistratura, ciò consente di mantenere con le Forze dell’Ordine contatti diretti su tutto il territorio. Un lavoro che in questi anni ha dimostrato la sua effi cacia e che la Di-rezione sanitaria intende coordinare al meglio con la costituzione di un Coordinamento delle tre équipe, affi nché gli operatori possano off rire le stesse risposte assistenziali su tutto il territorio. Con questa stessa fi nalità è stata attivata una giornata di formazione specifi ca dedicata a: “Gli operatori in rete contro la violenza di genere”, per predisporre per-corsi che accompagnino le donne anche nel periodo successivo alla loro prima richiesta di aiuto, off rendo il sostegno necessario per superare l’emergenza della prima fase acuta e, soprattutto, per aff rontare il perio-do successivo del procedimento penale. L’iniziativa formativa rivolta alle fi gure professionali delle Forze dell’Ordine, Socio-sanitarie ospedaliere e di territo-rio, nonchè di Volontariato sociale, prevede anche una formazione degli operatori sugli aspetti culturali e psicologici che sono causa di forme di violenza sulle donne. Che la violenza di genere sia conseguenza di modelli culturali stratifi cati che predispongono an-tiche, come nuove forme di abuso, è quanto è stato

( 13 )L’IMPEGNO DELL’ASL TO4

approfondito anche nel convegno-dibattito “La voce del lupo”, svoltosi sabato 26 ottobre, organizzato dalle Associazioni “Senonoraquando?” e “Casa delle Don-ne” di Ivrea, con il patrocinio dell’ASL TO4. Il Con-vegno è stato un’ occasione preziosa di confronto sul problema osservato dal punto di vista di uomini im-pegnati nella comprensione dei fattori che scatenano la violenza maschile sulle donne e nella lotta contro la cultura che la favorisce.Proprio perchè non è possibile pensare di aff ronta-re il problema della violenza contro le donne senza intervenire culturalmente per sradicare modelli di comportamento acquisiti per educazione e abitudi-ne, presso il Polo Formativo delle Offi cine H ad Ivrea, dova ha sede il corso universitario di Scienze Infer-mieristiche, è stata allestita la mostra Sguardi d’amore. La mostra propone elaborati artistici degli allievi del Liceo Artistico Felice Faccio di Castellamonte, ed è un’importante iniziativa frutto della sinergia tra ASL-TO4, Università di Torino, Scuole superiori del terri-torio ed Associazioni che lavorano sul problema della violenza contro le donne in Canavese. La mostra sarà aperta sino al 23 Novembre 2013. AL.■

In alto e nella pagina a fi anco:

La campagna di comunicazione sociale contro la

violenza sulle donne per la giornata del 25 novembre

2013.

( 14 ) MONDO COOPERATIVO

STORIE DI COOPERAZIONE

Spaz

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dazi

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AEG

Soc

ietà

Coo

pera

tiva

( 15 )( 15 )

UN SITO CHE RACCONTA OGNI GIORNO UNA STORIA DI COOPERAZIONE DA TUTTO IL MONDO

Nelle storie di cooperazione si può cogliere il valore di esperienze in grado di trasformare concretamente situazioni diffi cili e sottoposte al peso di gravi proble-matiche socio-economiche. Occorre però comincia-re a pensare al movimento cooperativo con sguardo proteso oltre i confi ni nazionali, ovvero verso quelle terre dove la cooperativa è uno strumento essenzia-le per contrastare forme di dominio e sfruttamento economico. Per dare risonanza e diff ondere esperienze vissu-te è nato nel 2012 il sito www.stories.coop, la prima campagna digitale globale che ha inteso fare del-lo storytelling, il mezzo più effi cace per raccontare al grande pubblico l’esperienza cooperativa. Pensata per il 2012 – Anno ONU delle Cooperati-ve – stories.coop, nata per iniziativa di Euricse (Eu-ropean Research Institute on Cooperative and So-cial Enterprise) e ICA (International Cooperative Alliance) si era proposta di raccontare ogni giorno sul suo sito una nuova storia di cooperazione, pun-tando sulla varietà di settori, dimensioni, e nazio-ni dove il fenomeno è presente, al fi ne di contri-buire alla promozione del modello cooperativo, evidenziare il suo contributo allo sviluppo sociale ed economico e sostenere la formazione e la cresci-ta di imprese cooperative a livello internazionale.Al termine del 2012 gli ottimi risultati raggiunti han-no spinto i promotori a migliorare la fruibilità del prezioso archivio fi nora costruito e raccogliere nuovi contributi. E così in ottobre 2013 è stato messo in rete il nuovo sito di  stories.coop, completamente ridise-gnato per migliorare la visibilità delle storie, corre-dendandole anche con materiali inediti, case studies accademici, report giornalistici sui temi chiave per lo sviluppo della cooperazione e analisi approfondi-te sulle cooperative, il loro impatto e le sfi de che le attendono.

URGDT

( 16 ) MONDO COOPERATIVO

Il nuovo sito è stato presentato uffi cialmente in occa-sione della Conferenza internazionale delle Coope-rative a Cape Town. I contenuti di Stories.coop sono prodotti sotto la licenza creative commons per facili-tarne al massimo l’utilizzo e la condivisione, al fi ne di raggiungere e ispirare un pubblico sempre più vasto.Nel suo primo anno di vita il sito ha avuto oltre 200.000 visite e un pubblico internazionale che ha cliccato le sue pagine da tutti e cinque i continenti, ma con una netta percentuale di click da America, Italia, Inghilterra, Argentina e Francia. Nelle sue pagine sono documentate oltre 450 storie di cooperative di ogni settore, di qualsiasi dimensione, e localizzate in ogni parte del mondo: più di 300 racconti scritti, 100 video, oltre a fotografi e e slide, inviate dal-le cooperative stesse o raccolte e rielaborate da autori.Le testimonianze raccontano di imprese colletti-ve che operano in vari settori tradizionali (credito, agricoltura, abitazione, commercio) o nella fornitura di servizi di interesse generale (servizi sociali, sanità, inserimento lavorativo, educazione). I risultati otte-nuti da queste imprese spesso superano quelli delle aziende for-profi t e di quelle pubbliche. Ma non è solamente una questione di successo e fatturati, in molti casi queste cooperative hanno rappresentato una soluzione sostenibile a situazioni di sfruttamen-to, denutrizione, violenza, disagio sociale, degrado o alla mancanza di investimenti, di credito, di servizi.Le storie raccolte nel sito sono anche una fonte di idee imprenditoriali innovative, una rifl essione sul pressante tema della sostenibilità e una riserva di best practices di potenziale interesse per studiosi e istituzioni.Tra le novità del nuovo sito la possibilità di inviare la propria storia in modo più semplice, di fare ricerca attraverso un archivio meglio strutturato, la presen-za di materiale e documentazione per ricerche e ap-profondimenti e la segnalazione di case studies par-ticolarmente interessanti per ricercatori e studenti universitari. Il sito è rigorosamente in inglese e, per agevolare i nostri lettori, proponiamo in queste pagine in ogni numero la storia di una cooperativa italiana al fi ne di diff ondere e dare voce ad esperienze valide che non sempre sono adeguatamente conosciute e che posso-no rappresentare un esempio da imitare per altri.■

Pagina a fi anco:

Francesca Cavallini Presidente della Centro TICE,

Società Cooperativa di ricercatori.

Pa

Fr

So

La storia che abbiamo scelto

di presentare riguarda una

cooperativa di ricercatori

universitari italiani che

hanno creato un Centro

di ricerca a Piacenza.

Il Centro è organizzato attraverso

la formula della Cooperative

del sapere, istituzione recente

in Italia che rappresenta la

nuova frontiera della professioni

intellettuali nel nostro Paese.

Si tratta di una possibilità che

consente a ricercatori, studiosi

e professionisti, di organizzare

il lavoro di ricerca e consulenza

in forma cooperativa.

( 17 )STORIE COOPERATIVE

Lettera di Francesca Cavallini Presi-dente della Cooperativa TICE inviata al sito www.stories.coop

Volevamo essere dei ricercatori. Abbiamo voluto ap-plicare le conoscenze scientifi che sull’educazione che avevamo appreso tra i banchi. Volevamo aiutare i bambini, le famiglie e le scuole per raggiungere i loro obiettivi educativi. Non ci bastava “essere creativi”, o proporre l’ascolto e il supporto psicologico, volevamo ri-uscire eff ettivamente a fare qualcosa di effi cace. Dopo aver studiato e praticato in USA, acquisendo le migliori competenze per la pratica intensiva, abbiamo pensato che i ricercatori italiani non dovrebbero lasciare il loro Paese, ma al contrario dovrebbero combattere attiva-mente la fuga dei cervelli, rimanendo in Italia e lavo-rando come pionieri.Molte banche, istituzioni e politici ci hanno detto che eravamo troppo giovani, troppo idealisti, erano molto dubbiosi, ma volevamo tutto e abbiamo deciso che, nonostante la crisi economica, proprio questo fosse il momento perfetto per iniziare a lottare per la ricerca e il progresso, per investimenti più effi caci utili ad aiutare le famiglie, gli ospedali e le scuole.Non è possibile realizzare un simile progetto da soli e siamo stati fortunati a trovare alcune persone incre-dibili che lavorano con noi. Così abbiamo creato una nostra opportunità di lavoro e ricerca attraverso lafor-mula della cooperazione.Oggi siamo in otto ricercatori a far parte della coo-perativa, nostro obbiettivo è diff ondere la scienza del comportamento in Italia e lavorare nel campo della formazione. Colloboriamo con trenta professionisti e stiamo aiutando novanta bambini con disabilità, o che presentano comportamenti problematici, e le loro fa-miglie, le scuole e gli insegnanti. Facciamo fronte alle esigenze di quasi cento studenti, coprendo tutte le fasce d’età: dall’asilo all’università. Abbiamo appena aperto il nostro terzo TICE Learning and Research Centre, e non potremmo essere più entusiasti.Sempre di corsa, sempre in lotta, sempre felici,

Francesca Cavallini (presidente) e Fabiola Casarini (regista).

Tratto da:http://stories.coop/stories/tice-a-cooperative-that-is-also-an-applied-research-centre/

Per saperne di piùTICE Cooperativa Sociale Centro di Ricerca e ApprendimentoVia Fratelli Bandiera, 30/B  29015 Castel San Giovanni (PC)www.centrotice.it

La cooperativa TICE Learning and Research Centre si trova a Piacenza. È un centro di innovazione e ricerca scientifi ca, che studia le modalità di apprendimento al fi ne di migliorare e gestire strategie educative anche a distanza, attraverso la rete. I ricercatori che ne fan-no parte lavorano per creare un franchising di ricerca e di interventi educativi da espandere in tutt’Italia ed hanno già ottenuto importanti risultati.Gli studiosi sperimentano la scienza dell’apprendi-mento Aba (Scienza di comportamento applicata) e ricevono richieste di formazione, intervento o assi-stenza, da parte di insegnanti provenienti da struttu-re pubbliche e private che vogliono correggere il loro metodo di insegnamento. Nati come laboratori di ri-cerca, sviluppo e validazione di tecnologie educative i Centri Tice sono supervisionati dalla Facoltà di Psi-cologia di Parma.

( 18 ) MONDO COOPERATIVO

COOPERATIVE ALLEATE IN PIEMONTE

Le cooperative piemontesi uniscono le forze per aff rontare insieme la crisi. Dal luglio 2013 è attiva anche in Piemonte l’Alleanza delle cooperative piemontesi.

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Si è costituita anche in Piemonte, il 5 luglio 2013 presso la Casa della Cooperazione in Corso Francia 329, l’Alleanza delle Coopera-tive del Piemonte, con un patto stretto tra le grandi e storiche associazioni di cooperative piemontesi: Legacoop. Confocooperative e AGCI. È questa una scommessa fondata sull’accordo e sulla condivisione dei valori della cultura cooperativa, che consente di unire le forze per aff rontare e superare la diffi cile crisi economica che coinvolge soprattutto le cooperative attive nei settori socio-sanitari. Si tratta di un patto stretto tra le tre più impor-tanti associazioni cooperative regionali, le quali aggregano complessivamente 1.885 imprese di diversi settori (abitazione, agroalimentare, co-struzioni, culturali, distribuzione, lavoro, servizi, sociali e sanitarie) e producono fatturato per un valore di 13.700.000.000 Euro; ne fanno parte ol-tre 1.057.000 Soci, di cui 62.500 sono stabilmente occupati all’interno delle cooperative stesse.I cooperatori delegati delle tre associazioni di cooperative piemontesi hanno eletto presiden-te dell’Alleanza Cooperative Italiane piemonte-si Giancarlo Gonella, che presiede anche Legacoop Piemonte, e i due copresidenti Domenico Paschet-ta di Confcooperative Piemonte e Alberto Garret-to di AGCI Piemonte.Il movimento cooperativo piemontese nella sua variegata composizione ha in questi dif icili anni rappresentato una importante barriera contro gli effetti della crisi economica, il dato interessante è

IL MOVIMENTO COOPERATIVO PIEMONTESE DIMOSTRA DI SAPER DARE RISPOSTE CONCRETE ALLA CRISI ECONOMICA

Nella pagina accanto:

Anna Di Mascio di Legacoop alla manifestazione delle

Cooperative sociali a Torino.

( 20 ) MONDO COOPERATIVO

che le imprese cooperative in Piemonte hanno in-crementato il numero dei dipendenti del 12% in più, rispetto agli anni passati. Ciononostante an-che nella nostra regione si rilevano problematiche serie soprattutto per le cooperative socio-sanita-rie che vantano un credito di 505 milioni di euro nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni per ritardi di pagamento, i quali vanno dai 390 giorni in media per le ASL e i Consorzi Socio Assistenzia-li, ai 280 giorni per i Comuni. Il processo di unifi cazione delle più grandi associa-zioni cooperative rappresenta anche un importante valore culturale, rappresenta infatti simbolicamente la capacità di volgere lo sguardo ai fermenti innova-tivi e solidali che hanno segnato l’inizio della storia della cooperazione in Italia, negli anni che hanno preceduto la scissione avvenuta nel 1919 tra imprese cooperative rosse, di parte comunista, e cooperative bianche, d’ispirazione cattolica. Sebbene i valori di fondo e le pratiche, nonché l’eti-ca, che ispirano la gestione delle imprese cooperative fanno si che ci si possa accordare su programmi e pro-spettive comuni, questo processo di unifi cazione non comporta un pericolo di omologazione e di perdita di specifi cità. L’intento che ha motivato questa unione è un bisogno avvertito da tutte le tre associazioni coo-perative di far sentire la voce della cooperazione che

deve parlare in modo suffi cientemente unito, e altret-tanto incisivo, per riuscire ad avere peso suffi ciente a livello politico e istituzionale, sia nel rapporto con gli enti locali, sia, a maggior ragione, con la Comu-nità Europea. Dunque la cultura che si è stratifi cata nel corso di oltre cento anni sia nelle cooperative rosse, sia nelle imprese legate al mondo cattolico, che sono le due componenti maggioritarie dell’Alleanza, rappresenta un importante patrimonio identitario in grado di poter contribuire ancora allo sviluppo socio-economico del Paese.La nuova Alleanza delle cooperative piemontesi con-dividerà le strutture che si occupano di questioni le-gali e di rapporti sindacali, e una delle prime questioni che sarà aff rontata collegialmente sarà quella inerente ai ritardi di pagamento delle prestazioni sanitarie da parte della Pubblica Amministrazione. Ecco perché le tre centrali di rappresentanza cooperativa si sono mosse insieme quest’anno per chiedere (e in parte ot-tenere) il saldo dei crediti.Per quanto concerne invece le cooperative agricole e di distribuzione, sono già in atto alleanze pensate per condividere le diff erenze di presenza sul mercato: se le realtà di Legacoop sono più forti nella distribuzio-ne e nelle costruzioni, quelle di Confcooperative con-tano più imprese agricole e casse di credito.Per le politiche agricole e sociali le cooperative atten-

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Nella pagina accanto:

Elena Boggio di Legacoop alla festa della Cooperative

Piemontesi.In alto:

Il Presidente dell’Alleanza delle Cooperative Piemontesi

Giancarlo Gonnella.

dono che l’Unione Europea indichi le linee guida che dovranno ispirare le scelte e le pianifi cazioni sino al 2020, tenendo conto che oggi il nuovo polo industria-le e produttiva del mondo si sta defi nendo in oriente e l’Europa tende ormai a rappresentare una sorta di periferia dell’impero. Ciò non signifi ca che abbia un ruolo secondario nel mercato internazionale, ma certo per avviare una pro-fi cua ripresa che possa coinvolgere le piccole come le grandi cooperative piemontesi, occorre saper misura-re il proprio ruolo e capire la direzione verso la quale indirizzare investimenti. Dunque anche la coopera-zione dovrà pianifi care la propria attività d’impresa considerando sempre lo scenario internazionale. Ecco perché, per tutti i cooperatori, diventa impor-tante inserirsi nei circuiti turistici-gastronomici, in-tercettando fl ussi di viaggiatori che ancora non co-noscono il Piemonte, ed essere presenti nelle realtà della ricerca, dello sviluppo e della costruzione di infrastrutture atte a favorire gli scambi e i commerci internazionali. Una scommessa questa che s’inserisce nella pianifi -cazione regionale di rivalorizzazione dei territori in grado di incentivare forme di turismo culturale e so-stenibili.■

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( 22 ) MONDO COOPERATIVO

IL PANE DELLA LIBERTÀ

Cooperazione, mercato equo solidale e carceri...Ecco la scommessa vincente della cooperativa torinese Pausa Cafè, da anni attiva all’interno delle carceri piemontesi per proporreai detenuti percorsi di rinserimento sociale e lavorativo.

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Lavorare in carcere, apprendere un mestiere e, soprattutto, vivere un progetto di educazione ai valori della sostenibilità e del recupero di pro-

fessioni antiche. La cooperativa Pausa Cafè, attiva a Torino dal 2004, ha maturato un’esperienza in grado di rappresentare risposte concrete ai diffi cili problemi che coinvolgono il nostro sistema carcerario, off ren-do percorsi lavorativi all’interno del carcere che di-venteranno un vero e proprio lavoro quando la pena sarà del tutto scontata.Infatti se il sovraff ollamento è una delle emergenze del presente, non di meno il proporre ai detenuti au-tentici percorsi di rieducazione utili al futuro riinse-rimento nella società è il problema di base a cui le istituzioni non sanno o non riescono a rispondere.Molto spesso i problemi iniziano proprio quando si fi nisce la pena, si deve superare la paura della socie-tà e soprattutto imparare ad accettare regole di con-vivenza civile e l’autorità di chi le fa osservare. Ecco perché uscire dal carcere più che sancire la fi ne di tut-ti i problemi, spesso rappresenta un nuovo dramma umano e sociale e, se i detenuti non hanno punti di riferimento sul territorio, è facile ritornare a commet-tere reati. Le misure alternative alla detenzione oggi sono spesso contenitori vuoti, formule giuridiche che consentono ai condannati di rimanere fuori dal carcere ma non forniscono loro un solido sostegno e percorsi attraverso i quali riconsiderare i propri com-portamenti sbagliati.Il progetto di Pausa Cafè intende dare risposte con-crete a questi problemi e off re a chi ha avuto modo di cominciare il percorso lavorativo intra-moenia,

Nella pagina accanto:

il pane prodotto dai detenuti del carcere di ASTI che è

stato distribuito al Salone del Gusto nel 2012.

COOPERAZIONE E... CARCERE

( 24 ) MONDO COOPERATIVO

(cioè dentro il carcere) di proseguirlo anche quando sarà ritornato in libertà, attraverso la partecipazione attiva all’interno della cooperativa in qualità di so-cio-lavoratore. Ma questo è solo uno dei fi ni a cui la cooperativa si dedica con molta energia, il secondo importante obbiettivo della sua missione sociale lo si può indovinare proprio a partire dal nome di questa cooperativa torinese che opera ormai da anni nelle case circondariali Lorusso e Cotugno di Torino, e Ro-dolfo Morandi di Saluzzo.

Lavorare in carcere

Pausa Cafè è infatti una cooperativa sociale, la cui missione è favorire i processi di sviluppo sociale ed economico equo, sostenibile e partecipativo, con spe-ciale attenzione all’inclusione dei soggetti svantag-giati, nel Nord e nel Sud del mondo. Oltre a lavorare con i detenuti torinesi, opera da anni in Guatemala al fi anco delle comunità indigene e delle cooperati-ve di produttori di caff è, in Messico ed in Costa Rica nella cura e nella valorizzazione della produzione di cacao. Si tratta di comunità che sono storicamente escluse dai benefi ci del proprio lavoro, intento della cooperativa è fornire a queste popolazioni condizioni complessive per migliorare condizioni di vita, valo-

rizzare il legame con i territori, tutelare la cultura e la tradizione, nonché la biodiversità, intesa come parti-monio coevoluto dell’umanità. Attraverso la costitu-zione di partenariati internazionali, e con particolare attenzione alla rete di economia solidale, Pausa Cafè si propone di avvicinare i produttori ai consumatori, accorciando la fi liera produttiva e riducendo le inter-mediazioni, importa cioè direttamente cacao e caff è acquistandoli direttamente dai produttori e corri-spondendo loro un equo contributo per il loro lavoro. Ecco perchè Pausa Cafè svolge la propria attività produttiva all’interno di due istituti penitenziari di Torino e Saluzzo, dove procede alla trasformazione della materie prime importate: torrefazione di cacao e caff è, con l’intento di fornire opportunità di crescita professionale alle persone recluse, fi nalizzate al rein-serimento sociale attraverso percorsi tesi a ridurre le possibilità di recidive. I detenuti, regolarmente assunti dalla cooperati-va, sono impegnati in tutte le fasi della lavorazione del caff è e del cacao e sono affi ancati da persona-le qualifi cato in grado di off rire loro un percorso formativo e di avviamento al lavoro. Il primo labo-ratorio è nato nel 2004 all’interno del carcere del-le Vallette di Torino (Casa Circondariale “Lorus-so e Cotugno”), in un locale di circa 200 metri

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Nella pagina accanto :

il caff è prodotto nel carcere delle Vallette a Torino.In alto:

un produttore di cacao in Guatemala.

quadrati dove è stato allestito il reparto di torre-fazione, stoccaggio e confezionamento del caff è.Un successivo ampliamento, reso possibile dalla con-cessione di nuovi spazi contigui da parte della direzio-ne della Casa Circondariale, ha consentito di aprire il laboratorio di lavorazione del cacao. Il successo dell’i-niziativa è stato immediato, al punto che oggi i locali sono diventati piccoli per accogliere i macchinari ne-cessari ad eff ettuare tutte le lavorazioni previste. Nei locali della Casa Circondariale di Torino si svolgono attualmente le lavorazioni del caff è, dalla tostatura al confezionamento del prodotto fi nito, e della massa di cacao. Ma presto partiranno i lavori di ampliamento dei locali che consentiranno di concludere il ciclo di lavorazione del cacao, per giugenre sino alla produ-zione di cioccolata nelle sue varie forme.Il progetto cooperativo di Pausa Cafè, squisitamente piemontese, ha dunque duplici vantaggi, rappresenta un percorso rieducativo per i detenuti, ed è un con-creto aiuto per le popolazioni sfruttate del Sud del mondo. Infatti cacao e caff è sono materie prime, il cui prezzo è soggetto all’andamento del mercato interna-zionale. Le variazioni di domanda ed off erta dettano

le quotazioni delle borse merci di Londra e di New York, ma solo il 5% del suo valore è destinato ai pro-duttori, signifi ca che per un chilogrammo di cacao il cui costo è mediamente 2 Euro, solo 40 centesimi spettano come guadagno ai produttori. Se poi si con-sidera il costo fi nale del cioccolato e del caff è il dato è ancora più paradossale, perché i produttori non be-nefi ciano in nessun modo dei profi tti relativi al com-mercio di cacao e caff è. I passaggi compiuti dalle fave di cacao, così come per il caff è, prima di essere tra-sformate in cioccolata sono molteplici. I primi inter-mediari sono solitamente i trasportatori, cioè persone in possesso di un semplice pick-up che prendono in consegna i sacchi di fave da trasportare al mercato: in Messico questi individui vengono chiamati signi-fi cativamente “Coyotes”. Al porto chi prende in con-segna il carico è detto l’esportatore, sarà questa fi gura ad intrattenere rapporti con le aziende trasformatrici e a preparare i carichi per le navi. Il 20% delle fave di cacao transita dall’Olanda che è il principale paese produttore di semilavorati, polvere, burro e liquore di cacao, usati per i dolciumi. Il mercato è dominato per l’80% da sole sei multinazionali: Mars (Usa), Philip Morris (Usa, proprietaria di Kraft , Jacobs, Suchard, Cote d’Or e Milka), Herskey (Usa), Nestlé (Svizze-ra), Cadbury-Schweppes (Regno Unito) e per fi nire l’italiana Ferrero. Queste aziende e poche altre sono le uniche in grado di eff ettuare tutta la lavorazione dalle fave al cioccolato. I piccoli artigiani e le picco-le aziende sono costretti ad acquistare i semilavorati dalle ditte specializzate in questo tipo di lavorazione e in Italia solo una è in grado di farlo. Ecco perché l’acquisto diretto delle materie prime dai produttori e una lavorazione svolta senza esternaliz-zazioni, ma completamente in proprio, consente da

( 26 ) MONDO COOPERATIVO

( 27 )IL PANE DELLA LIBERTÀ

una parte di pagare il prodotto primario senza specu-lazioni e, dall’altra, di off rire il prodotto fi nale ad un prezzo molto più competitivo.Pausa Cafè acquista le sue materie prime concordan-done i prezzi direttamente con i produttori. L’acquisto avviene svariati mesi prima della consegna, garanten-do in questo modo ai produttori di avere mezzi eco-nomici necessari per portare avanti la loro attività, ed avviene secondo i principi ed i prezzi del Commercio Equo e Solidale.Inoltre, Pausa Cafè conferisce ogni anno ai produttori il 50% degli utili generati dalle vendite dei prodotti fi nali.

Il Pane libero

La più recente iniziativa di Pausa Cafè concerne an-che la panifi cazione. Nel carcere di San Michele ad Alessandria infatti è stato allestito un laboratorio di panifi cazione dove si produce pane con farine inte-grali e biologiche. Se ne producono 300 chilogrammi al giorno per un totale di circa 10 tonnellate al mese.  Il progetto, ideato dalla cooperativa, ha come partners Coop Piemonte, Liguria e Lombardia, ed Eataly, che commercializzano il pane nei rispettivi punti vendi-ta. La particolarità del progetto consiste nella qualità delle farine: sono tutte rigorosamente di provenienza piemontese e rispettano gli standard di lavorazione ecosostenibili, ovvero derivano da grano macinato a pietra, procedimento che permette di mantenere tutte le proprietà nutritive del germe. Il risultato è un pane di qualità, i cui ingredienti sono: acqua, farina e sale, quest’ultimo di provenienza francese, è anch’esso di tipo integrale, ovvero non è trattato.   Anche nel carcere di Alessandria il panifi cio è stato ricavato da un grande locale opportunamente allesti-to allo scopo e dotato di una grande cella frigorifera dove viene fatto levitare il pane, due macchine per impastare e dare forme. La cottura del pane avviene in forno a legna, che per altro è uno dei più grandi d’Europa. Al momento solo sono 5 i detenuti adibiti alle lavorazioni, ma si tratta di lavoratori regolarmen-te assunti dalla cooperativa Pausa Cafè che hanno im-parato il mestiere dal maestro panifi catore Giovanni Mineo. Il pane della libertà può essere regolarmente acquistato in tutti gli ipermercati Coop del Piemonte Nord ovest, al costo di 3 euro per un pezzo da 800 grammi.■

Per saperne di piùwww.pausacafè.orgPer chi volesse trascorrere serate diverse Pausa Cafè ha aperto un Bistrò a Grugliasco in Corso Torino n. 78.É aperto da martedì a sabato dalle ore 18 alle ore 1,30.

Nella pagina accanto:

La coltivazione del cacao in Guatemala.

In alto:

lavorazione del pane nel carcere di Alessandria.

( 28 ) MONDO COOPERATIVO

COOPERATIVE E GRUPPI SOCILa partecipazione dei Soci alla vita della Cooperativa garantisce coesione sociale e sviluppo... anche nelle attività di impresa.

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La vita di una cooperativa è essenzialmente intrec-ciata alla partecipazione attiva dei suoi Soci. Solo così possono essere garantiti processi di innova-

zione e creatività nelle attività socio-culturali, le quali sono destinate a riverberarsi positivamente anche sul successo delle attività di impresa. Ecco perché nella gestione manageriale di una cooperativa molta atten-zione è investita nella pianifi cazione di progetti utili a creare tra i Soci possibilità di partecipazione, occasio-ni di crescita culturale e sociale, in grado di radicare la cooperativa nel contesto dove opera. La responsa-bilità sociale di un’impresa cooperativa, di per sé, è un fatto che fa parte della sua stessa missione aziendale, la quale non può considerare la pianifi cazione delle proprie politiche aziendali senza considerare anche la necessità di contribuire alla crescita e allo sviluppo del territorio dove la cooperativa opera. La formazione di Gruppi Soci non è dunque una novità nel mondo della cooperazione, ed è oggi patrimonio ormai con-solidato dell’esperienza di molte cooperative; si tratta di realtà che interagiscono propositivamente con i C.d.A. al fi ne di individuare attività e progetti socio-culturali da inserire nelle pianifi cazioni aziendali. Ne parliamo con Gianni Cimalando, Vicepresidente di AEG Società cooperativa, che ha lavorato a lungo per rendere attiva anche in AEG la realtà del Gruppi Soci.

Come verrà attuata in AEG la realizzazione dei Grup-pi Soci?«Tengo a precisare innanzi tutto che non si tratta di un’idea nuova; più volte negli anni è stata già propo-sta dai precedenti C.d.A. di AEG. La diff erenza rispet-to al passato è che l’attuale C.d.A. la sta realizzando

NELLA COOPERATIVA AEG DI IVREA NASCE IL GRUPPO SOCI

In alto:

il Vicepresidente di AEG Società Cooperativa di Ivrea

Gianni Cimalando.

( 30 ) MONDO COOPERATIVO

concretamente. Non nascondo dunque che ne sono molto orgoglioso, perché siamo arrivati fi nalmente alle fasi conclusive del progetto, considerando che l’ 8 novembre si è svolta la prima assemblea dei Soci che consente di avviare questa importante attività so-ciale».

Perché lei ritiene così importante attivare la partecipa-zione dei Soci alla vita della cooperativa che già gode di strutture e pianifi cazioni atte a garantire i processi di democratizzazione e coinvolgimento dei Soci?«Il Gruppo Soci avrà funzioni ancora più specifi che e fi nalizzate. Orientativamente penso che la funzione del gruppo potrà essere quella di gestire gran parte dell’attività sociale e comunitaria della cooperativa che sino ad oggi era stata assolta all’interno del C.d.A., quando non era delegata a qualcuno al suo interno, che aveva il compito di organizzare le attività socia-li e culturali. Si trattava dunque di attività che erano pianifi cate da un gruppo molto ristretto di Consiglie-ri della cooperativa, o da un solo Consigliere che si occupava di questo aspetto. L’attuale C.d.A. intende rovesciare questa impostazione per dar vita ad un gruppo di Soci al quale riconoscere la possibilità non solo di fare proposte sul piano organizzativo per pos-sibili iniziative da intraprendere, ma anche quella di disporre delle risorse che si ritengono necessarie per realizzare i progetti proposti».

Dunque questo rappresenta un’importante delega da parte del C.d.A. al gruppo Soci, che diventa anche re-sponsabile del successo o meno dei progetti da realiz-zare. Come è regolata questa nuova funzione nell’orga-nizzazione istituzionale della cooperativa?«La possibilità di aderire al Gruppo Soci è aperta dal mese di maggio 2013; come C.d.A. abbiamo predi-sposto i moduli di adesione reperibili nella nostra sede di Via dei Cappuccini e al Punto Soci in Via Pa-lestro, o possono scaricabili dal sito www.aegcoop.it. Ad oggi hanno aderito circa settanta Soci. Paral-lelamente abbiamo lavorato per predisporre la bozza del Regolamento, che l’8 novembre è stato sottoposto al Gruppo Soci per l’approvazione ma anche per inte-grazioni o miglioramenti da apportare. Ne consegue che il Regolamento non è imposto dal C.d.A.; occor-reva però poter presentare al Gruppo una base da cui partire per la sua elaborazione».

Quali sono i punti chiave del Regolamento?«Direi che l’elemento cardine di questo regolamento è di dare al Gruppo Soci la possibilità di presentare annualmente il programma delle attività che inten-de svolgere ed unitamente a ciò di corredarlo con il preventivo di spesa che quel programma prevede. Devono essere programmi di attività prevalentemen-te socio-culturali, utili e fruibili sia dai Soci sia dai cittadini; valgano quali esempi l’organizzazione di convegni su temi specifi ci, gite sociali, attività dopo-

( 31 )COOPERATIVE E GRUPPI SOCI

lavoristiche, attività della festa del cooperatore, attivi-tà di formazione o ludiche pensate appositamente per i bisogni e gli interessi delle persone».

L’impegno del Gruppo Soci a collaborare con il C.d.A. consente a chi lo desidera di potersi poi candidare an-che per la gestione delle attività d’impresa della coope-rativa?«Partecipare al Gruppo Soci è un’occasione che ga-rantisce buona coesione tra Soci e C.d.A., ma rappre-senta anche una possibilità per i Soci che vogliono impegnarsi nella cooperativa, di evidenziare le loro capacità, al fi ne di potersi proporre anche per le ele-zioni del futuro C.d.A.. È nostro intento, in prospet-tiva, contribuire a creare fi gure di amministratori che abbiano già avuto la possibilità di partecipare alla vita reale e al funzionamento della nostra cooperativa. Ecco perché riteniamo che una delle fi nalità della co-stituzione del Gruppo Soci sia anche quella di coin-volgere Soci giovani che possano condividere i valori cooperativi e concretamente rappresentare una solida base per il futuro della nostra cooperativa».

Quanti giovani e quante donne hanno già accettato di far parte del Gruppo Soci e come è organizzato al suo interno, considerando che le adesioni sono in numero così alto?«Devo dire che tra i primi settanta Soci che hanno manifestato la volontà di far parte del gruppo il rap-porto tra giovani ed anziani è equilibrato, inoltre il 25% circa è rappresentato da donne. La struttura che si desidera attivare deve avere la caratteristica di esse-re assolutamente agile, quindi ognuno può iscriversi ed entrare a far parte del Gruppo Soci senza compli-cazioni. L’attività del Gruppo sarà suddivisa in sotto-gruppi di lavoro specifi ci per aree tematiche, ognuno dei quali esprimerà un portavoce, fi gure che a loro volta esprimeranno un loro coordinatore, in modo che si possano defi nire le fi gure dei delegati incari-cati di interfacciarsi con il C.d.A.. Perché si costitu-isca un gruppo di lavoro è necessaria la presenza di almeno dieci Soci che condividono l’interesse per un determinato progetto. Tutte le persone che intendono proporsi possono farlo con molta facilità, non ci sono procedure particolari da osservare, basta compilare il modulo e apporre la propria fi rma. Ovviamente le prescrizioni burocratiche sono utili perché abbiamo

voluto creare una formula di adesione che garantisca essenzialmente a tutti libera adesione e trasparenza».

Come C.d.A. che tipo di attività auspicate possano es-sere proposte e gestite dal Gruppo Soci?«Tutte quelle attività che rispondono essenzialmente alle esigenze del territorio; il Gruppo Soci deve rap-presentare un anello di intermediazione tra C.d.A. e territorio canavesano, deve poterne recepire le esi-genze e in qualche modo off rire risposte a bisogni. È fondamentale che le sollecitazioni siano sensibili ad etica e valori utili alla comunità e al territorio, credo che questo fattore potrà essere garantito da un gran-de numero di persone partecipanti al Gruppo Soci. Si tratta infatti di persone che sentendo il bisogno di dedicare un po’ del proprio tempo agli altri, potran-no anche essere sensibili ai bisogni reali del territorio. Indubbiamente noi auspichiamo che queste preziose risorse umane, patrimonio sociale della nostra coo-perativa, possano trovare un canale per poter realiz-zare concretamente le loro capacità ed aspirazioni».

Tutto questo ricorda molto progetti simili, pur con le specifi che caratteristiche, che hanno contraddistinto l’e-sperienza olivettiana qui in Canavese…«Mi sembra bello, anche se non necessariamente vo-luto, che proprio nel momento in cui si ripropongono la fi gura e i valori di comunità di Adriano, la nostra cooperativa che in fondo, almeno nei suoi vertici, a quei valori si ispira da anni, dia vita ad una struttura che intende rimettere in circolazione proprio quelle idee… Il progetto di Adriano era grandioso e lungi-mirante, forse proprio per questo non si è realizzato. Il nostro è senz’altro un progetto meno grandioso, direi che intende poter essere più vicino alla possibi-lità di essere realizzato nella quotidianità, ma anche se meno lungimirante e meno ambizioso, forse, gode della pragmaticità che, spero, lo aiuterà ad essere re-alizzabile».■

Nella pagina a fi anco:

la Festa della cooperazione di AEG svoltasi nel mese di

maggio 2013.

( 32 ) CULTURA E SOCIETÀ

L’EREDITÀ DI ADRIANOTesti e foto di Francesca Sales

( 33 )( 33 )

Ha commosso ed entusiasmato una platea pro-fondamente toccata nel vedere rispecchiata in uno schermo la propria storia recente…

così dolorosamente soff erta. La fi ction trasmessa su Rai Uno, La forza di un sogno, dedicata alla fi gura di Adriano Olivetti, è stata presentata in anteprima pres-so le Offi cine H di Ivrea con la partecipazione di Luca Barbareschi e di Laura Olivetti. Una fi ction riuscita, ben confezionata, dall’impianto narrativo solido e in-trigante, che ha il merito di puntualizzare le idee chia-ve della fi losofi a olivettiana. Ma certo la proiezione ha riaperto le vecchie ferite, mai del tutto rimarginate, degli eporediesi e dei canavesani tutti che nelle fab-briche, e negli uffi ci della Olivetti, hanno trascorso una parte importante della loro vita. Una vita intensa che si era nutrita di stimoli e fi ducia nei confronti di un futuro pregno di umanesimo e benessere, un so-gno che poi si è improvvisamente spezzato. E ancor oggi spesso ci si dibatte nella ricerca di giustifi cazio-ni sulla fi ne di quell’utopia che poteva rappresentare un’alternativa diversa a quanto è accaduto negli ultimi cinquant’anni del Novecento. E non solo per il Cana-vese, ma per l’Italia tutta. È anche per questo che in questi decenni molti hanno scritto e documentato la loro esperienza, o quella vis-suta dai proprio genitori, nella fabbrica di Adriano, in un tentativo di salvaguardare la memoria di un uomo, e di un periodo straordinario della storia del Canave-se che ancora avrebbe molto da insegnare ai giovani. Fra le tante interessanti pubblicazioni merita di essere segnalata quella di Ugo Avalle Il segreto di Adriano Olivetti per i più giovani, un piccolo volume di lettu-ra molto piacevole e coinvolgente che ha il merito di parlare di Adriano ai giovani. Abbiamo incontrato Ugo Avalle subito dopo la proie-zione della fi ction presso le Offi cine H di Ivrea, dove lavora occupandosi di formazione e ricerca, per rifl et-tere con lui a proposito di quegli aspetti della fi gura di Adriano Olivetti che sono meno esplorati ed appro-fonditi da ricerche e studi storici.

PARLARE DI ADRIANO AI GIOVANI,ECCO IL SEGRETODEL VOLUME DI UGO AVALLE

Nella pagina accanto:

Luca Barbareschi durante la presentazione della fi ciotn

La Forza di un sogno, alle Offi cine H di Ivrea.In alto:

Ugo Avalle autore del volume Il segreto di Adriano Olivetti

spiegato ai giovani.

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( 34 ) CULTURA E SOCIETÀ

Il suo interesse per Adriano Olivetti e soprattutto per il suo pensiero, prende spunto da una prospettiva poco frequentata nelle biografi e e nei saggi dedicati ad Adriano Olivetti ed ha a che fare con la dimensione della religiosità. Nel suo volume lei dedica un capitolo a questo tema e, certamente, può essere una chiave in-terpretativa molto interessante per comprendere meglio la portata del sogno di Adriano e la forza con la quale si è dedicato alla realizzazione della sua visione. Può parlarci di questo aspetto calato anche secondo una prospettiva del presente?«È una domanda complessa e ancor più rispondere: bisognerebbe prima parlare e condividere il signifi -cato della parola “fede”, di “morale”, di “coscienza” e così via, ma questo richiederebbe molto, molto più spazio. Potrebbe sembrare un paradosso inserire in un lavoro dedicato ai più giovani un intero capitolo (seppur semplice, spero) sulla religiosità di Adriano Olivetti, ma non mi è stato possibile evitarlo: tratteg-giare una personalità così complessa, per certi versi ermetica, richiede una visione globale che non può fermarsi alla note biografi che classiche. Per com-prendere alcune azioni, alcune scelte apparentemente poco razionali o poco motivate dobbiamo risalire alle forze che concorrono a determinare quel risultato. Già Pascal parlava di ragioni della ragione e ragioni del cuore. Ma veniamo al punto: Adriano conobbe il pensiero ebraico e quello valdese per ragioni familiari (papà ebreo e mamma valdese- per altro fi glia di un colportore) il che già potrebbe essere, per chiunque, un buon motivo di confusione. Attraverso amici, tra cui mio padre, conobbe il pen-siero cattolico arrivando a stringere rapporti anche con fi gure del clero eporediese e non solo. Ma tutto questo non gli bastava ancora perché nessun pensie-ro religioso gli permetteva di quietare la sua sete di risposte: risposte sul senso della vita, sulla soff erenza dell’uomo, sul signifi cato stesso della preghiera, sul-le grandi disomogeneità socio culturali e molti altri grandi interrogativi che nascono in ogni uomo e a cui la religione e la fi losofi a tentano di dare timide rispo-ste. Risposte che talvolta fi niscono, come nel caso di Adriano, per accrescere l’ansia e una sete insaziabile. Mio padre, fraterno amico di Adriano per molti anni, spesso ci raccontava simpatici aneddoti: in un trasferimento notturno in moto-carrozzella durante

In alto:

la copertina del volume Il segreto di Adriano Olivetti

spiegato ai giovani edito da Ilmiolibro.it.

Iinformatico e docente universitario, nonchè

co-fondatore dell’Accademia dell’hardware e del

software “Adriano Olivetti”, Ugo Jacopo Avalle è uno

studioso profondamente legato alla sua terra e alle sue

tradizioni. Per motivi anagrafi ci non ha mai conosciuto

Adriano Olivetti, ma ne ha assimilato il messaggio

attraverso i genitori e gli amici di famiglia. I suoi

interessi di ricerca sono orientati a tradurre nel suo

lavoro, come nelle sue passioni, i principi e i valori della

fi losofi a olivettiana.

( 35 )L’EREDITÀ DI ADRIANO

laguerra Adriano fece fermare il mezzo una decina di volte o poco più per domandare a papà qualche cosa su Kant, su Platone e, particolarmente, su Sant’Agosti-no. Dopo poco il viaggio riprendeva, ma … fi no alla domanda successiva… “ va a spiegare “all’Ingegnè” (così lo chiamava) che c’era una certa fretta di arrivare a destinazione!” “Se Adriano avesse incontrato - mi ripeteva spes-so papà, - l’islam o il luteranesimo o altro credo, ne avrebbe certamente approfondito la conoscenza alla ricerca delle risposte alle sue domande”. Un uomo fondamentalmente triste, sempre alla ricer-ca di risposte, ma con un grande fardello da gestire (che più e più volte tentò di rifi utare con ogni mezzo): la ricchezza derivata da quell’ebraismo imbarazzante (il ghetto di via Arduino non era certo un orgoglio) e la responsabilità di tanti, tantissimi canavesani impe-gnati nell’azienda di famiglia. Una responsabilità qua-si da “buon padre di famiglia”. Una famiglia fatta da tante, tantissime famiglie.Con questi elementi è facile ipotizzare un pensiero che suona come: se non posso essere felice io proviamo almeno a rendere meno diffi cile la vita di chi mi cir-conda, il territorio che mi ha visto nascere, i loro cari, … il mondo. E questo è stato il suo dramma interno. Tutto questo per dire che la sua preoccupazione quasi maniacale verso il benessere dei dipendenti e familia-ri, verso i più deboli, i malati, verso il territorio che lo circondava è tutta riassunta in una sola defi nizione che mio padre ripeté molte, moltissime volte parlando di Adriano Olivetti: “un uomo per gli altri uomini” e null’altro. Una ricchezza vissuta quasi come una colpa, una ricchezza che, in mille modi, si sentiva in dovere di “restituire” ai meno fortunati. Una condizione che non lasciò mai spazio al suo “io” e, ancor meno, a col-tivare una famiglia: di famiglie a cui pensare ne ave-va migliaia. Insomma, un “caring” diremo oggi, una “presa in carico” che solo la sua coscienza (di uomo) gli aveva imposto e la sua “condizione” di imprendito-re gli permetteva di alimentare. Una forza interna che ha determinato tutto il suo agire, le sue notti insonni a scrivere, a parlare, a confrontarsi con menti eccelse di mezzo mondo. E qui il discorso si fa molto lungo …».

Alcuni considerano l’esperienza olivettiana un’utopia fallita ovviamente per il suo carattere idealistico, altri la considerano una visione troppo avanzata per un mdello

di società inadeguato ad accoglierla. Cosa crede possa avere davvero condizionato la fi ne dell’esperienza oli-vettiana qui in Canavese?

«Sono domande alle quali servirebbe un libro per la risposta ! In estrema sintesi posso dire che utopista, idealista, non adeguato al modello di società sono conside-razioni nate a posteriori: nel ‘55 era considerato un grande personaggio, oppure un visionario, sicura-mente un imprenditore fuori dagli standard che sta-va proponendo un’alternativa sociale funzionale, ef-fi cace, gradita. Chi fra i suoi operai non lo adorava! Quindi socialmente ed economicamente integrata al sistema “canavese”. Al tempo stesso però un modello molto pericoloso nella lettura degli altri imprenditori che conoscevano invece un modello esclusivamente orientato al profi tto personale (come logico del resto). Mi ha colpito a questo proposito conoscere dalle pa-role del buon Caglieris (suo esecutore testamentario) che il patrimonio personale era ridicolo, di gran lunga inferiore a quello di molti suoi dirigenti. La scomparsa assolutamente prematura di Adriano (non mi soff ermo sulla disgrazia naturale o forzata) non ha dato il tempo a nessuno di crescere nel suo pensiero (tutt’altro che facile) comprendere la forza interiore che ne motivava le scelte per tentare almeno di proseguire il percorso. Preferisco pensare ad una bella esperienza tragicamente interrotta (è suffi ciente rifarsi alla sorte di due fra i tre direttori che l’hanno sostituito: scomparsi anch’essi in situazioni dramma-tiche mai chiarite) ma assolutamente non fallita. Il fallimento è un’altra cosa».

Secondo lei il patrimonio culturale, sociale ed educativo dell’esperienza Olivetti quanto si è sedimentato nel tes-suto socio-culturale del Canavese?«Profondamente sedimentato: ancora sopito, ma pre-sente ed immutato nell’humus canavesano. Prova ne è che alcune belle iniziative sono nate in questi anni e altre germineranno, ne sono certo. Fra queste possia-mo citare il “Polo per la formazione e ricerca Offi cina H”, una realtà formativa che nasce ad Ivrea che pro-muove in ogni occasione, seppur con i limiti di una realtà che non ha risorse proprie, lo spirito olivettiano. L’impostazione del lavoro, l’attenzione e cura verso gli

( 36 ) CULTURA E SOCIETÀ

ospiti, i temi trattati, l’apertura verso la cultura e la crescita sempre e comunque sono contestualizzazioni di quel pensiero … e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Possiamo poi citare l’Accademia che, inaugura-ta nei 2011 come piccola associazione locale, sta ora ampliandosi verso scenari nazionali grazie ai crescen-ti riconoscimenti che la comunità della libera cono-scenza (nata anche sull’esempio olivettiano) gli sta ri-conoscendo. Potremmo poi parlare della bella storia di Arduino come di molte altre esperienze ugualmen-te degne di nota. Un humus vivo, quindi, che oggi ha bisogno di giovani, giovani e ancora giovani. Per questo motivo, anticipando una domanda che è facile aspettarsi, non perdiamo occasione - dalla scuola elementare all’università – di parlare di Olivet-ti, del suo modello fi losofi co, morale, sociale anche attraverso i mille esempi che la storia di Adriano ci fornisce ogni giorno e in ogni occasione. Oserei dire “indipendentemente dal contesto”. Perché è realmen-te così ! Il libro di cui parliamo oggi, un progetto già dello scorso anno, è sicuramente un microscopico tri-buto in questo ottica. Un piccolo lavoro che raccoglie una sfi da diffi cile: Raccontare Adriano Olivetti ai più giovani attraverso il loro linguaggio, il loro modello mentale, i loro valori perché questo è un passaggio essenziale. Speriamo d’esserci riusciti. Altri progetti sono in cantiere».

Molti “olivettiani” aff ermano oggi di cercare di tra-durre nelle loro attività di impresa i valori e le idee di Adriano. Secondo lei è davvero così o ci si riferisce all’e-redità olivettiana ormai solo più come ad una sorta di moda o di etichetta, che non si traduce davvero in una

concezione fi losofi ca d’impresa umanistica?«Non posso rispondere in modo diretto a questa do-manda perché porterebbe inevitabilmente ad una contraddizione in termini. I valori, le idee, ma soprat-tutto la motivazione interna che spinge ad operare secondo quelle regole valoriali, morali o fi losofi che, sono qualcosa che emerge, semmai dall’agire, ma dif-fi cilmente dall’”aff ermare”. È un po’ come raccontare quante volte uno si reca alla Santa Messa o quanto ha versato in benefi cenza. La benefi cenza è autentica proprio per il gesto anonimo. Nel ’58, mi pare, mio padre accompagnò Adriano presso un piccolo artigiano fabbro per alcuni lavo-ri. Quest’ultimo rimase così colpito dalle parole di Adriano tanto da continuare a seguirlo, leggerlo, per imparare e poi trasmettere l’insegnamento ai fi gli e …. oggi è bella impresa che pensa e vive il modello di Adriano Olivetti, ma questo lo dicono i fortunati dipendenti. Per il responsabile è “il modello” pater-no, nulla più. Ma è una azienda che ha superato in-denne questa pesante crisi. Rimane il fatto che oggi “rinunciare” davvero e ridistribuire gli utili da parte di un imprenditore non è facile. Non dimentichiamo che Adriano ebbe la fortuna di poter contare su utili formidabili e anche, in alcuni momenti della vita, un patrimonio familiare importante dal quale ha sempre attinto. Sicuramente ho sentito imprenditori parlare e assimilarsi al modello olivettiano senza sapere nep-pure chi fosse o di cosa si occupasse Olivetti, ma que-sto … è parte del gioco».

Lei si occupa di formazione, sarebbe ancora utile oggi diff ondere tra i giovani il senso dell’esperienza olivettia-

( 37 )L’EREDITÀ DI ADRIANO

na? Voglio dire la fi losofi a d’impresa di Olivetti può es-sere un modello d’impresa ancora valido per il futuro?«Ho già risposto in parte nella precedente domanda e confermo l’importanza di raccontare ai giovani. Rac-contiamo l’esperienza olivettiana (e vorremmo farlo ancora di più) perché da quelle esperienze, quelle scelte talvolta audaci, quelle dichiarazioni complesse talvolta criptiche deve passare (o ci auguriamo che passi) un modello, un modo di pensare, un modello mentale che è quello Olivettiano. Credo sia diffi cile insegnare le sensazioni, le emozio-ni, il modello morale, mentre è più semplice costruire un contesto che favorisca le emozioni da provare, le sensazioni da riconoscere. Non sono certo un economista e non sono in grado di giudicare l’effi cacia di un modello d’impresa olivet-tiana oggi (anche se ci sono eccome), credo però che sia più importante oggi trasmettere una fi losofi a di vita. Se poi questa deve diventare modello d’impresa, gestione della famiglia, rapporti sul lavoro, o cos’altro dipende dal soggetto e dalle sue capacità di contestua-lizzare adeguatamente il pensiero acquisito».

Secondo lei la città di Ivrea, e il Canavese tutto, sanno davvero valorizzare anche da un punto di vista della memoria storica e architettonica il patrimonio dell’e-sperienza olivettiana?«Vorrei fare una considerazione: a molti sarà capita-to di recarsi a Mirandola, piccola cittadina del mo-denese, accorgendosi immediatamente che esiste il bar Pico, il ristorante Pico, il cinema intitolato al grande studioso del quattrocento. Più prosaicamen-te basta recarsi a Brescello, un paesino sperduto nelle nebbie reggiane, per incontrare il bar Peppone, il bar Camillo, un simpatico museo “inventato” e costruito sui resti cinematografi ci dell’opera del grande Gua-reschi. Cosa signifi ca intitolare un bar, un ristoran-te, una scuola, una biblioteca ? In entrambi i luoghi (ma potremmo citarne molti altri), varcata la soglia del paese, si respira l’aria di quel tempo, le atmosfere che l’intera comunità, attraverso quei semplici gesti di “omaggio” alla storia che li ha baciati, vogliono comu-nicarci. Il paese tutto ha compreso che la fortuna va coltivata, alimentata, mantenuta perché rappresenta la ricchezza, il lavoro di tante famiglie e la notorietà stessa del paese e del luogo (e, badate bene, stiamo parlando di un fi lm).

Ma perché ad Ivrea questo non succede? Sembra quasi che esista una “vergogna” tutta eporediese verso la famiglia che, innegabile, ha determinato lo sviluppo e la fortuna economica di quasi tutti gli eporediesi (e non solo). Una fortuna che, a tutti i co-sti, vogliamo seppellire con cura. Quando poi, qua e là torna fuori un segno ecco pronto chi ci versa una palata di terra. Praticamente NESSUNO dei nostri ragazzi in età scolare sa chi e cosa è stato il mondo Olivetti. Non esiste una statua, una piazza decente, un segno che ricordi quel glorioso passato. Le per-sone che si recano ad Ivrea, per fortuna, trovano i fabbricati industriali (che sono diffi cili da nascon-dere) attorno ai quali però non è nato nulla. Non è nato un turismo culturale, non è nato un marketing olivettiano, non c’è neppure un museo perché i po-chi soldi che rimangono sono destinati alle lacche giapponesi. Iniziative come il MAM sono state ab-bandonate. Luoghi “gioiello” come il convento sono merce di scambio, luoghi storici come la Fabbrica dei mattoni rossi sono abbandonate da decenni, la Nave è stata venduta. E così via. È vero che ci vo-gliono soldi, ma i soldi non bastano. Ci vogliono buone idee, buoni progetti, poi i soldi si trovano, ma soprattutto, serve l’orgoglio di appartenere a quel passato, l’orgoglio di essere nati da quell’humus e quella cultura e la doverosa riconoscenza verso per-sone che, in qualche modo, hanno voluto che noi nascessimo proprio qui, in questo luogo, coccolati da una “proprietà” che stravedeva per l”altro”, per il territorio, per l’ambiente».

Però ora con questa fi ction le cose sembrano poter cambiare non crede?«L’ augurio che faccio ad Ivrea e a tutti noi è che que-sta fi ction, della quale sarà opportuno poter parlare in prossime occasioni di dibattiti collettivi, possa davvero diventare un trampolino o quantomeno uno spunto, uno stimolo per rifl ettere, per trovare coraggio, per riconoscersi e ripartire concretamen-te come città e come comunità. Dispiace un po’ che questo “momento” non sia un “prodotto locale”, spe-riamo riesca ugualmente a far germinare vecchie ra-dici sopite. Il “but” diceva la nonna, ci serve il “but”. E attendiamo fi duciosi».■

Nella pagina accanto:

Laura Olivetti e il Sindaco di Ivrea Carlo Della Pepa

durante la presentazione della fi ciotn La Forza di un

sogno, alle Offi cine H di Ivrea.

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( 38 ) LIBRI - INCONTRI CON L’AUTORE

STORIE DI DONNE E SCRITTURA

testi di Arianna Zucco

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DONNE E SCRITTURA NE PARLIAMO CON ALESSANDRA LUCIANO

È in libreria la collana editoriale Volti di donna, edita da Amargine edizioni di Ivrea, che proporrà una serie dedicata alla letteratura femminile. Si tratta di agili volumetti ognuno dei quali si concentra su un’autri-ce proponendone la biografi a corredata da una bre-ve antologia di brani delle opere più signifi cative. La caratteristica dell’opera sarà di esporre con un lin-guaggio immediato, fruibile e divulgativo, i risultati di una ricerca scientifi camente rigorosa, il cui scopo è valorizzare la specifi cità della scrittura al femminile così come si è espressa nella storia culturale europea. I volumetti di sessanta pagine, e al costo di 5 euro, sono curati da Alessandra Luciano che ha già pub-blicato due importanti saggi inerenti fi gure di donne scrittrici: Anime allo Specchio, Aracne editrice 2010, dedicato a Marguerite Porete e L’estasi della scrittura, Mimesis editrice 2013, fresco di stampa, dedicato a uno degli ultimi romanzi di Marguerite Duras.La collana proporrà ad ogni uscita tre autrici le quali, pur appartenendo a epoche storiche e contesti cul-turali diversi, sono in qualche modo unite da un fi lo che ne avvicina le esperienze. In questo modo i vo-lumetti intendono proporre alle lettrici e ai lettori, “i volti di donne” così come possono essere colti attra-verso quello specchio immaginario che è la scrittura, di cui queste autrici si sono servite per dare corpo al loro sentire interiore. La collana, oltre a rappresentare un’opera unica in Italia dedicata a tracciare possibili percorsi nel vasto panorama della storia della lette-ratura al femminile, ingiustamente posta ai margini della storia della letteratura uffi ciale, si propone di avvicinarsi ai testi di donne per cogliere quei legami sottili, e non sempre evidenti, che uniscono esperien-ze e modi di sentire la scrittura, anche se vissuti in ambienti e contesti storici diversi e spesso lontani. Il progetto non intende realizzare una tradizionale an-tologia storica, ma penetrare nel vissuto di donne che della scrittura hanno fatto occasione per vivere un’e-sperienza in grado di trasfi gurarsi in letteratura. Ne parliamo direttamente con l’autrice.

In alto:

Alessandra Luciano curatrice della collana Volti di

donna, edita da Amargine edizioni di Ivrea.

Dottore di ricerca in Scienze del linguaggio e della

comunicazione, Alessandra Luciano è specializzata in

Semiotica letteraria. Giornalista e scrittrice, dirige il

periodico Inognidove.

Nella pagina a fi anco:

Marguerite Duras.

( 40 ) LIBRI - INCONTRI CON L’AUTORE

La nuova collana Volti di donna che sta curando per le edizioni Amargine si apre con volumetti dedicati a tre scrittrici: Eloisa, Emily Dickinson e Marguerite Du-ras… Perché proprio loro? Sono vissute in epoche di-stanti una dall’altra e soprattutto ad un primo sguardo non avrebbero nulla in comune: Eloisa era una mona-ca, Dickinson una poetessa e Duras è stata una grande scrittrice contemporanea…«C’è un fi lo che le unisce, in realtà, pur a distanza di secoli e nonostante le rispettive esperienze di vita e dell’amore. Intanto hanno condiviso la passione per la scrittura, e della scrittura hanno fatto non solo uno strumento per testimoniare la loro esperienza di vita, ma anche l’occasione per dare un senso e uno spa-zio di espressione al loro modo di sentire la passione, spesso impedita da vincoli culturali. Intendo dire che nelle vicende di queste tre donne c’è un dato comune: tutte e tre hanno vissuto il dolore di amori impossibili da poter vivere nella realtà. Eloisa era una monaca, la sua vicenda è nota, ma lei ha sempre amato Abelardo al quale ha indirizzato le note lettere che poi sono sta-te raccolte nell’Epistolario pubblicato nel XIII secolo che raccoglie la loro corrispondenza. Emily Dickin-son era una poetessa, all’età di trentacinque anni ha deciso di rinchiudersi nella sua stanza per scrivere poesie, anche lei ha vissuto degli amori impossibili che però hanno trovato uno spazio di espressione nei suoi versi e nelle lettere che ha inviato ai suoi amanti. Un po’ diversa è invece la vicenda di Marguerite Du-ras, molto più complessa da questo punto di vista an-che perché molto più vicina alla nostra esperienza di donne del presente. Il volume della collana che la ri-guarda considera uno dei suoi ultimi romanzi, Emily L., attraverso il quale lei rivolge un lungo discorso al suo compagno di vita, Yann Andrea, uomo con il quale sta vivendo un amore in qualche modo segnato anch’esso dall’impossibilità di essere vissuto, perché tra loro ci sono più di trent’anni di diff erenza… Dun-que, anche in questo caso, la scrittura rappresenta una sorta di mondo possibile dove quest’amore, che lei vive nella sua estrema diffi coltà, può trovare modo di esprimersi per riversarsi sul suo compagno».

C’è un fi lo ideale dunque che unisce queste tre scrittrici?«Il fi lo sottile che le unisce non solo è ideale ma anche concreto: Emily Dickinson aveva nella sua libreria l’Epistolario di Abelardo ed Eloisa, nella traduzio-

In alto:

i primi tre volumi della serie Volti di donna da

novembre in vendita in libreria.

Nella pagina accanto:

ritratto di Emily Dickinson.

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ne inglese, e il romanzo di Marguerite Duras Emily L., è centrato sulla vicenda di una poetessa a cui il marito distrugge la poesia più importante che stava scrivendo. Beh, questa poesia è una parafrasi di una reale poesia di Emily Dickinson, la n. 258 dei Poems. Credo che proprio la scrittura abbia consentito a tutte loro di poter dare un senso all’impossibilità di vivere un’esperienza perché impedita da limiti e vincoli ai quali non potevano sottrarsi, scrivere ha consentito loro la possibilità di vivere quell’esperienza pur nella dimensione immaginaria che ha preso corpo grazie alla scrittura. In ciò queste donne è come se si fossero reciprocamente riconosciute, pur nelle rispettive dif-ferenze storiche e culturali, visto che hanno vissuto in epoche molto lontane le une dalle altre».

Dunque qual è il tratto in cui secondo te queste tre don-ne sono simili?«Eloisa è la prima donna, di cui abbiamo testimo-nianza nella nostra cultura, che ha trovato il modo di dare un senso alla vicenda dolorosissima della sepa-razione da Abelardo attraverso la scrittura. Al tempo di Eloisa pochissime donne sapevano scrivere e tanto-meno leggere, e lei rende conto per altro di un modo di vivere la sua esperienza interiore dell’amore e della sensualità, con una capacità di introspezione psico-logica di una contemporaneità straordinaria, le sue rifl essioni sono coraggiose e molto vicine alla nostra esperienza del sentimento. Emily Dickinson era una donna altrettanto coraggiosa, ha scelto la solitudine di una stanza non per ritirarsi dal mondo, ma per po-ter vivere nel modo più libero la sua profondissima e

raffi nata sensibilità poetica, che per altro non è stata capita se non negli ultimi decenni del Novecento. Oc-corre considerare che la Dickinson ha anticipato di alcuni decenni quelle innovazioni del linguaggio po-etico che poi si sono espresse appieno solo nel secolo successivo. Il suo modo di vivere la passione nulla ha a che vedere con il modello romantico fatto di rinun-cia e malinconia che contraddistingueva il suo tem-po. Emily Dickinson amava in modo intenso e appas-sionato vivendo appieno la propria libertà interiore senza falsi pudori, libertà che solo nel Novecento, e solo dopo le rivoluzioni femministe, le donne hanno conquistato come dato culturale».

E di Marguerite Duras cosa si può dire invece? «Duras è un personaggio complesso oltreché una scrittrice straordinaria che non sarebbe possibile in-quadrare in poche e sintetiche defi nizioni, ecco per-ché io mi sono interessata di lei solo per quel che ri-guarda l’ultima fase della sua produzione letteraria, quando lei era anziana e la sua vita è stata segnata da due fattori chiave: l’alcolismo e la storia d’amore con Yann Andrea più giovane di lei di quasi trent’an-ni. Emily L. è stato scritto in questo periodo ed è un romanzo poco noto anche perché è stato considerato un testo segnato ormai dalla decadenza intellettuale della sua autrice, mancherebbe insomma di coerenza narrativa e risentirebbe della sua mancanza di luci-dità. Un giudizio immeritato perché in realtà il ro-manzo ha una sua sottile intelligenza e rappresenta, a mio parere, una sorta di testamento spirituale di Duras, nel senso che lei attraverso questo testo por-

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ge un discorso sulla scrittura, al suo compagno Yann Andrea, giovane scrittore che non riusciva a scrivere. Bisogna considerare che la loro storia d’amore, così diffi cile e travagliata, ma che comunque è durata sino alla morte di Duras, è stata possibile tra loro proprio perché la scrittura ne è stata l’occasione, ed Emily L. è la testimonianza più pregnante di questo incontro, ideale certo, ma che ha reso forte tra loro un legame intensissimo».

In che senso ritieni che la scrittura in Emily L. abbia rappresentato una possibilità di incontro tra i due amanti?«Credo sia stata proprio la possibilità di condivide-re un immaginario che ha poi dato corpo alla storia della poetessa che perde la sua poesia più importante. Nel romanzo questa storia la inventano insieme men-tre stanno dialogando in un bar nel porto di Quille-beuf in Normandia, dove realmente i due si recavano molto spesso. Beh, c’è poi da dire che Duras non riu-sciva più a scrivere da sola e dettava dunque il roman-zo direttamente a Yann Andrea, dunque la scrittura di questo romanzo si è come intrecciata direttamente alla loro vita insieme. Infatti attraverso la scrittura di questo romanzo, e la storia della poetessa, Duras giunge a fare un discorso al suo compagno sull’amore e sulla sua diffi coltà, ma anche un discorso sull’im-portanza della scrittura come risorsa interiore a cui attingere. Insomma la scrittura si rivela una possibi-lità che la vita concede, il cui potere è di trasferire su un piano diverso l’esperienza concreta, certo un piano non reale, ma la scommessa è che pur nella sua irreal-tà la scrittura, come la lettura, è in grado di suscitare passioni, sentimenti, emozioni, che si stratifi cano in esperienza vissuta. Dunque in crescita personale, in patrimonio interiore. Ecco il fi lo segreto che a mio parere unisce Duras ad Emily Dickinson e ad Eloi-sa: pur nell’impossibilità dell’amore loro non rinun-ciano ad amare, perché riescono a trovare il modo di vivere la passione grazie alla scrittura. Il rapporto tra Dickinson e Duras è ancora più concreto, credo che vada scorto anche nel rapporto tra la fi gura di una scrittrice e quella di una poetessa, Duras infatti in Emily L. sfi da continuamente i confi ni del linguaggio tra prosa e poesia, il suo stile di scrittura scivola con-tinuamente dalla prosa alla poesia e viceversa».

In alto:

la copertina del volume L’estasi della scrittura, di

Alessandra Luciano, edito da Mimesis editore.

Nella pagina a fi anco:

un ritratto fotografi co di Marguerite Duras

e Yann Andrea negli anni Novanta.

LIBRI - INCONTRI CON L’AUTORE

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Tu hai anche scritto un saggio su questo romanzo di Duras che hai intitolato L’estasi della scrittura…Il saggio, pubblicato da Mimesis editrice, entra nei se-greti del testo il quale se ad un primo livello di lettura pare sconnesso e un po’ illogico, analizzato nelle sue strutture profonde si rivela invece coerente e motiva-to. Duras in questo suo scrivere che intreccia le storie di due donne, una scrittrice e una poetessa, e che si dipana attraverso un dialogo tra lei e il suo compagno, mette in gioco una strategia che è perfettamente logi-ca: ciò che tiene insieme tutte queste storie, ambienti e personaggi, apparentemente distanti gli uni dagli altri, sono le metafore attraverso le quali si rendono poeticamente le atmosfere e le descrizioni dei luoghi nonché l’esperienza dei vissuti. Ebbene queste meta-fore sono le stesse sulle quali si intreccia la struttura della poesia di Emily Dickinson, per altro parafrasata nel romanzo, senza mai essere direttamente citata se non per un solo verso in inglese. Il mio lavoro ha ri-costruito la tela tessuta attraverso il ricorrere di meta-fore e fi gure poetiche per mettere in luce una precisa architettura logica e coerente del romanzo… Ebbene anche la poesia di Dickinson riferisce di un momen-to particolare relativo ad uno stato di coscienza, a un modalità del sentire che non è traducibile in nessun linguaggio e dunque può esprimersi solo attraverso metafore…».

Pensi che Duras abbia costruito questo romanzo in modo consapevole al fi ne di produrre l’eff etto che ne scaturisce?«No, io penso che lei lo abbia scritto davvero in modo inconsapevole ed ispirato. Lei stessa confes-sa di aver scritto questo romanzo in due momenti e di aver inserito la storia della poetessa solo quando il romanzo era già fi nito perché si era svegliata una notte con l’idea di dover inserire quella vicenda nel testo già pronto per essere consegnato. Quello che io trovo molto interessante in questo romanzo è che no-nostante questo testo risenta davvero di una scrittura in qualche modo incoerente e allucinata, ciò che ne emerge è invece un discorso perfettamente coerente e logico. Ora credo che un’analisi di questo tipo di

scrittura inconsapevole, apparentemente illogica ma che si trasfi gura in letteratura, in realtà testimonia un’esperienza che noi tutti viviamo in alcuni momen-ti della nostra esistenza. L’analisi attenta a procedere oltre ciò che apparentemente potrebbe sembrare irra-zionale, potrebbe essere utile per capire il linguaggio del sogno o i discorsi allucinati della follia, a loro vol-ta apparentemente senza senso logico. Insomma mi piacerebbe molto, se ce ne sarà l’occasione, approfon-dire il rapporto tra semiotica, letteratura e psicoana-lisi, perché credo che la metafora poetica possa essere anche considerata come un modo di manifestazione di un vissuto inconscio che trova un suo codice per potersi esprimere, ma questo è un discorso molto complesso».

Perché ti appassiona così tanto questo andare a scavare nella vita di scrittrici e nelle loro opere? «Ma… io trovo che si attinge sempre una grande ric-chezza ad entrare così profondamente nelle vita di donne, attraverso la loro scrittura. A volte la scrittura consente di dire ciò che sarebbe inconfessabile e sa-rebbe destinato a morire con noi, invece quando di-venta letteratura questo qualcosa di segreto attraversa il tempo, le epoche, i secoli. È vero che non possiamo confondere l’opera con la vita, e soprattutto con l’au-trice, ma io sono convinta che in alcuni casi, e per certe autrici, vita e opera si siano intrecciate così inti-mamente da non poter davvero distinguersi più l’una dall’altra. In un certo senso la scrittura è come la vita, o forse concede l’illusione di poter sospingere la vita oltre la sua inevitabile fi ne. Del resto leggendo le let-tere di Eloisa scritte nove secoli fa noi partecipiamo ancora oggi del suo sentire e della sua vicenda… E poi io credo che l’esperienza di donne scrittrici abbia una sua specifi cità, traduca un modo di sentire e vive-re la femminilità anche se questa è stata condizionata da modelli culturali. C’è qualcosa che nella scrittura riesce a fi ssarsi oltre le convenzioni del periodo sto-rico nel quale si vive e dunque si scrive, ed è questo qualcosa che fa sentire vicine, e simili a noi, anche

donne che sono vissute molto tempo fa». ■

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( 44 ) LIBRI - INCONTRI CON L’AUTORE

Testi di Francesca SalesFoto di Letizia Gariglio

VEDI CHE STORIE

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Esce a fi ne mese nelle librerie, con distribuzione na-zionale, un libro in formato album di un centinaio di pagine, dal titolo “Vedichestorie”; l’editore è la Nuova Ipsa di Palermo. I lettori della nostra rivista conosco-no l’autrice, Letizia Gariglio, che fa parte del nostro gruppo di giornalisti e scrive sulla nostra testata. Sue sono anche le illustrazioni del libro.Vedichestorie sono storie per bambini che seguono la crescita dei loro personaggi, coetanei dei lettori cui i racconti sono dedicati, in cui si aprono squarci di vita reale e dove si alternano, come nella vita reale, soddisfazioni e diffi coltà, successi e delusioni. I mes-saggi contenuti nelle narrazioni però portano nel loro complesso valori positivi.Le Vedichestorie hanno una particolarità rispetto a tanti altri libri per bambini: contengono principi e in-segnamenti di matematica vedica. Non possiedono caratteristiche puramente didattiche, ma all’interno di ogni storia i giovani lettori fanno l’incontro di una tecnica particolarmente interessante di calcolo arit-metico.Il libro in uscita è dedicato ai bambini nell’età della scuola elementare, contiene tre storie: nella prima si scopre perché i numeri si scrivono così, nella seconda e nella terza si impara a calcolare alla velocità del ven-to la tabellina del nove e di tutte le tabelline dal sei in poi (quelle più diffi cili da imparare mnemonicamen-te!), facendo diventare il procedimento veramente un gioco da ragazzi! I protagonisti sono i fi li conduttori delle storie, si muovono nelle loro avventure consen-tendo ai giovani lettori di proiettarsi e identifi carsi in loro, e mentre crescono, crescono anche le diffi coltà che essi aff rontano.Ma che cos’è la Matematica vedica? È intanto un sistema di calcolo veloce, che consen-te di eseguire oralmente i calcoli più semplici come quelli complessi, con sorprendente facilità e rapidità.A che cosa si deve l’aggettivo vedico? Ebbene sì, que-sto metodo modernissimo, per così dire rivoluziona-rio, questa assoluta novità, è legata agli antichi poemi dei Veda e data almeno tremila anni. Tremila anni fa gli uomini colti della cultura indiana conoscevano tecniche di calcolo mentale che in seguito sono state

In alto:

Letizia Gariglio.

Nella pagina a fi anco:

illustrazione dell’autrice.

LA MATEMATICA VEDICA SPIEGATA AI BAMBINI

( 46 ) LIBRI - INCONTRI CON L’AUTORE

in parte dimenticate, off uscate dal velo dell’ignoran-za, infi ne rese apparentemente inutili nel mondo con-temporaneo dall’uso delle calcolatrici.Risvegliate, al pari di una Bella Addormentata, nel Novecento, ad opera di una delle quattro guide spi-rituali dell’India, hanno permesso di ricordare che la mente umana, addestrata bene, può essere più veloce delle calcolatrici. E di dimostrarlo.All’inizio del Novecento fu fondamentale lo studio e l’intervento dello Shankaracharya Sri Bharati Krishna Tirthaji. In India gli Shankaracharya sono le grandi guide spirituali; le massime autorità dell’Induismo sono quattro, una per ciascun quadrante della grande nazione (sud, nord, est, ovest); il valore e l’importanza della loro carica è pari a quella del Papa per la Chiesa Cattolica, anche loro vengono chiamati dai fedeli “Sua Santità”, ma anche “Maestro del Mondo”. Dunque fu questa guida spirituale a rivelare al mondo contem-poraneo gli adombrati insegnamenti di matematica contenuti nei Veda. Egli ritenne che fra le parole dei poemi si nascondessero sedici Sutra, cioè sedici grup-pi di versi, la cui esatta interpretazione apre la cono-scenza a tutto lo scibile matematico.È una matematica completamente diversa da quella occidentale, perché si basa sull’uso e sulla stimolazio-ne di entrambi i lobi del cervello, il sinistro ma anche il destro, adopera la visualizzazione, è educativamen-te effi cace perché sviluppa l’intuizione e dà spazio alla sperimentazione: non c’è mai una sola strada percorribile nel sistema di calcolo, ma strade diver-se, che vanno (non è solo un modo di dire) da destra a sinistra o da sinistra a destra. La grande fl essibilità consente un avvicinamento giocoso ad alcuni aspetti che la razionale matematica occidentale e maschile (impegna il lato sinistro del cervello) non permette.Dal 2007 la Matematica Vedica si insegna nelle Uni-versità indiane, ma ora anche in alcune australiane e statunitensi e sta avendo grande successo in tutto il mondo, suscitando notevoli interessi in campo edu-cativo.Intervistiamo Letizia Gariglio, l’autrice del libro che contiene le prime tre storie di matematica vedica fra le diciotto da lei scritte e che la Casa editrice si propo-ne di pubblicare interamente con uscite periodiche.

Per saperne di più:

Letizia Gariglio

Vedichestorie. Storie di matematica vedica

con illustrazioni dell’autrice

Nuova Ipsa Editore

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Letizia, sapevo del tuo amore per la scrittura, ma non per la matematica. Come si spiega la scelta di un tema così particolare?«Hai detto bene. Fatico anch’io a spiegarmelo. La mia personale mancanza di predisposizione per la mate-matica è storica: tutti i miei amici la conoscono. Io sono esattamente come il protagonista dei miei rac-conti, Dante, un appassionato di lettura e di lettera-tura e un povero disgraziato nell’apprendimento della matematica. Ed esattamente come lui sono stata “mi-racolata” dal mio incontro con la matematica vedica. Ho avuto il primo approccio con la matematica vedi-ca nel 2007/08, e si è trattato di un impatto guardin-go e sospettoso, dati i miei precedenti. Ma a mano a mano che fi ccavo il naso nel materiale con cui venivo a contatto, la curiosità e la fi ducia aumentavano. Non è stato del tutto semplice avvicinare la materia, ho dovuto ricercare materiale fra un continente e l’altro: Asia, America e Australia, ma in quel momento an-cora nulla nella vecchia Europa. Facendomi strada fra un testo e l’altro (nessuno in italiano), sono arrivata a capire e, immediatamente dopo, a desiderare di pas-sare le preziose informazioni ai più giovani. Del resto, io sono stata per tanto tempo un’insegnante e non ho mai abbandonato il piacere di condividere con i più giovani. Siccome scrivo, il modo più naturale è stato quello di inventare delle storie».

A quale età si rivolgono le storie?«Partono dai sei/sette anni circa (prima elementare) delle prime storie, poi le tecniche illustrate raggiun-gono le diffi coltà che presenta la scuola media nelle ultime storie. È soprattutto l’aritmetica il cuore dell’in-teresse. Sappiamo come l’uso delle calcolatrici ci ab-bia addormentati, abbia messo in pensione, ancora prima di avviarla al lavoro, la biocalcolatrice umana, rendendola obsoleta. Ebbene, la matematica vedica è in grado di risvegliarla, anche se non vogliamo com-petere con i matematici indiani, che per mezzo della vedica calcolano più velocemente dei computer».

Ma è vero che tutte le conoscenze matematiche negli antichi Veda sono racchiusi in 16 formule?Già, in 16 Sutra: impararli, ricordarli e applicarli può togliere un bel po’ di ruggine alla nostra calcolatrice mentale. I Sutra sono sempre stati lì, racchiusi fra le antiche Scritture Indiane, prima trasmessi per millen-ni oralmente e poi in forma scritta. Sono stata molto colpita quando ho posto attenzione al fatto che Su-

tra e sutura, cioè cucitura, hanno la stessa etimolo-gia: i Sutra servono a cucire, a tenere insieme le co-noscenze. Nel nostro caso, nel caso delle storie che io ho raccontato, interessano le conoscenze base, gli attrezzi fondamentali per eseguire calcoli orali con percorsi fl essibili, così da poter sviluppare il pensiero divergente. Per usare un’immagine del nostro tempo i 16 Sutra funzionano come chips programmati per il nostro computer: essi seguono i processi attraverso cui la nostra mente lavora. È ciò che ha svelato Sri Bharati Krishna Tirthaji, morto nel 1960, regalando al mondo contemporaneo una grande ricchezza che, come tante altre conoscenze, era ormai così off uscata da essere riservata a pochissimi, avendo assunto i ca-ratteri delle conoscenze esoteriche. La formulazione dei Sutra rimane molto criptica, ma siamo stati molto aiutati nell’interpretazione. Nei miei racconti svelo il contenuto di alcuni Sutra, talvolta facendo esplicito riferimento ad essi: in questi casi li ho tradotti in ita-liano cercando un modo giocoso e piccole rime. Spie-go chiaramente come usarli, anche per mezzo di illu-strazioni. Tuttavia ho posto molta cura nel tracciare il racconto: in fi n dei conti è l’aspetto della parola quello che caratterizza un autore».

E a livello delle tue storie e dei bambini che cosa suc-cede?Gli insegnamenti si inseriscono in maniera discreta nel racconto, in modo che lo snodarsi della vicenda necessiti, ad un certo punto della narrazione, della nuova conoscenza vedica. Un gruppo di bambini, fra cui due protagonisti, Dante e Stella, si muovono attraverso le loro vicende di vita e di scuola: hanno qualche pena familiare, come molti bambini di oggi, patiscono la fretta e lo stress, il sovraccarico di attivi-tà, ma possono contare sui valori dell’amicizia, mal-grado qualche incomprensione fra mondo maschile e femminile, sono curiosi e in contatto con il mondo, anche quello lontano. Nelle prime storie imparano a usare il corpo come aiuto conoscitivo, più avanti si addentreranno nei contenuti segreti dei Sutra, faran-no persino un incontro con i nemici della conoscenza umana, si trasformeranno in agenti segreti, svolge-ranno indagini; alla fi ne, arriveranno persino ad ac-quistare un’isola. Così le conoscenze vediche avranno modo di spostarsi da un continente all’altro. Un po’ per volta, insomma, tra un Sutra e l’altro, imparano a crescere. Che magia!» ■

VEDI CHE STORIE

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FRA I BAMBINI DI STRADA IN KENIATesti di Arianna ZuccoFoto di Giovanni Jervolino

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L’esperienza di Evaluna Petronella, a fi anco dei bambini di strada in Kenia. Studentessa in Scienze Sociali si dedica da alcuni anni al volontariato nelle ONG che si occupano di progetti di cooperazione internazionale.

( 50 ) VIAGGI SOSTENIBILI

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Nella pagina a fi anco e pagine successive:

bambini di strada a Nairobi.

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Un viaggio di conoscenza, alla scoperta del con-tinente nero e delle tante realtà che cercano di dare un’opportunità di vita migliore ai bambini

che provengono dalle famiglie più povere e disagiate della zona di Nairobi. Evaluna - studentessa di Servi-zio Sociale presso l’Università di Torino – racconta la sua esperienza di viaggio solidale, di sviluppo alla pace e alla cooperazione.

Dopo esperienze come i campi di lavoro in Bosnia, cosa è stato a spingerti proprio in Kenya?«La motivazione è stata duplice. Da un lato il lavoro a contatto con i bambini che svolgo in Italia, basato sul-la capacità di gestire la relazione, sulla comprensione che nasce anche solo da un piccolo gesto o uno sguar-do, mi ha spinto a cercare il confronto con bambini di altre culture, per arricchire il mio bagaglio di espe-rienze. Dall’altro, sono stata guidata anche da quella che è da diversi anni una forte passione – la danza afro – cosa che da tempo aveva fatto scattare quella voglia di andare alla scoperta del continente nero, di cui spesso si sa poco e la cui percezione è viziata da stereotipi e pregiudizi».

È un viaggio che hai aff rontato da sola o sei partita in gruppo?«Mi sono appoggiata all’Associazione Pole Pole onlus, attiva a Torino dal 2003. Grazie a raccolte fondi, mo-stre e vendita di artigianato africano sostiene progetti rivolti alle fasce più povere della popolazione, non solo in Africa, ma anche in Italia. A luglio siamo par-titi in una ventina alla volta di Nairobi, tutti studenti universitari, per lo più di medicina».

INTERVISTA A EVALUNA PETRONELLA

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Qual è stato il fi lo conduttore dell’itinerario di viaggio?«L’area che abbiamo esplorato è stata relativamente circoscritta rispetto all’intero paese: ci siamo mossi sulle orme del padre comboniano Renato Kizito Se-sana, il fondatore di tutti i centri che abbiamo visitato, per avere uno spaccato il più possibile completo del-la situazione sociale. Dalla città di Nairobi ci siamo quindi spinti alle due grandi baraccopoli di Kibera e Korogocho, per poi passare qualche giorno nelle di-verse strutture di aiuto come i centri di prima acco-glienza per i bambini di strada Kivuli Ndoge e Ndugu Mdogo Rescue Center, il Kivuli Center per ex bambini di strada o Anita Home, il centro femminile, più spo-stato rispetto alla città proprio per tutelare le ragazze, spesso vittime di violenze, abusi o coinvolte in giri di prostituzione».

Presso i centri che avete visitato avete incontrato bam-bini di età diverse, dai piccoli agli adolescenti, bambine e ragazzine più mature, ma tutti accomunati da una storia diffi cile alle spalle. Da quale contesto sociale pro-vengono solitamente i bambini ospiti dei centri di acco-glienza e formazione? «I bambini di Kivuli Center sono i più grandicelli, frequentano la scuola e corsi di formazione profes-sionale che forniscono concrete possibilità di lavoro. Molti di loro sono bravissimi acrobati, hanno ideato un spettacolo che hanno portato anche in Italia!Ma le situazioni più diffi cili sono quelle alle spalle dei bambini più piccoli dei centri di Kivuli e Kivuli Ndogo: sono tutti ex bambini di strada provenienti dalla ba-raccopoli di Kibera, la seconda baraccopoli più gran-de al mondo. Vengono quindi da famiglie disagiate, molto povere, con genitori alcolisti e violenti, spesso sono scappati di casa oppure orfani. Dormono anco-ra per strada e non vanno scuola, alcuni posso avere problemi di aggressività o di dipendenza da droghe. Il centro, gestito da un’assistente sociale, li aiuta in que-sta prima fase di rinascita (così chiamata anche dai bambini, molti dei quali decidono addirittura di cam-biare il proprio nome per indentifi care questa nuova fase della loro vita). L’obiettivo è far loro interiorizzare le regole fondamentali di convivenza, farli disintossi-care e per quanto possibile far lasciar loro alle spalle le soff erenze subite, per poter entrare nel centro vero e proprio - il Kivuli centre appunto – ad iniziare la loro nuova vita».

VIAGGI SOSTENIBILI

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Come si svolge la giornata tipo di un volontario in un centro di aiuto per bambini di strada?«La giornata in un centro per i più piccoli è artico-lata in tre fasi, che seguono la routine quotidiana dei bambini. La mattina dalle 8 fi no a ora di pranzo i volontari partecipano al gioco libero e alle attività con il ballo e la musica prodotta con dum dum – tam-buri di latta riciclata. Le canzoni e le danze costitu-iscono un momento di grande valore per la piccola comunità dei bambini, dal forte potere aggregante. Verso mezzogiorno, i volontari aiutano a rotazione in cucina e poi pranzano con i bambini in quello che con tutta probabilità è per loro l’unico pasto della giorna-ta, mentre nel pomeriggio contribuiscono alla gestio-ne delle attività ludico didattiche che accompagnano i bambini al momento dell’uscita, intorno alle 16.00. Questo è il momento più diffi cile: sai che i bambini de-vono tornare in strada e non puoi far niente per evitarlo.Molto rilievo viene dato anche alle operazioni di igie-ne personale e al lavaggio dei vestiti; ogni settimana inoltre si procede alla rasatura dei capelli, cosa che non è molto gradita, ma contribuisce a far capire loro l’importanza di mantenersi in buone condizioni igie-niche».

È stato diffi cile costruire un rapporto con i bambini, conquistarne la fi ducia? E con gli adulti come è andata?Diffi cile? «Assolutamente no, una cosa che mi ha stupito molto infatti è stata la loro fi sicità e la loro richie-sta di aff etto. Vista la situazione di diffi coltà da cui provengono, mi aspettavo fossero molto più rigi-di nei confronti degli adulti, per di più “muzungu” [n.d.r. termine dispregiativo per bianco] come noi! Anche gli adulti locali si sono dimostrati molto di-sponibili e cordiali nei nostri confronti. È stato bel-lo poi stringere amicizia con le nostre guide - spesso poco più giovani di noi, ex-ospiti del centro - che ci hanno aiutato a comprendere meglio la società che ci circondava».

Ti è mai capitato di sentirti impotente di fronte alle tante vite, alle tante storie che hai conosciuto? «L’episodio che più mi ha stretto il cuore, ed eff etti-vamente la parola impotente descrive bene come mi sono sentita, è stato quando una bambina, già grandi-cella, di circa dodici anni, mi si è avvicinata per stra-da e molto timidamente mi ha chiesto da che paese venissi; poi ha pronunciato altre frasi in quell’inglese con commistioni africane che non sono proprio ri-uscita a capire. Quando allora, molto dispiaciuta le ho detto: “Sorry but I don’t understand . What do you want?” lei mi ha risposto “A house.” E poi è andata via. Non la rivedrò mai più».

Dopo questa esperienza, tornerai in Africa?«Queste due settimane in Kenya sono state signifi -cative come viaggio di conoscenza; il rapporto che sono riuscita a creare con le persone del posto e con i miei compagni è stato ricco e coinvolgente, ma devo ammettere che sicuramente mi è rimasta la voglia di tornare per un’esperienza più radicale. Talvolta mi sono sentita comunque soltanto un’ osservatrice, una visitatrice – per quanto solidale, consapevole e rispettosa sia delle persone che dell’ambiente - a volte un’intrusa. Vedere con i propri occhi la realtà africana è sicuramente un primo passo, ma non si può sapere quanto sia duro trasportare 25 chili di acqua per 14 ki-lometri fi nché non sei tu in prima persona a farlo». ■

Associazione Pole Pole Via San Secondo 54, 10128 Torinowww.associazionepolepole.orgpolepole@associazionepolepole.org

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SCIALPINISMO LA MONTAGNASOSTENIBILE

Testi e foto di Giulia Maringoni

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Lo sci-alpinismo si sta aff ermando come l’alternativa sostenibile all’oneroso e meccanizzato sci da pista.Ma per essere sciatori ad impatto “green”, occorre aver maturato una coscienza ecologica ed aver acquisito una conoscenza approfondita dell’ecosistema alpino .

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Sono stati gli scandinavi ad inventare gli sci, loro li utilizzavano come necessario mezzo di loco-mozione invernale, particolarmente adatto ad

aff rontare la risalita di percorsi su neve, anche senza l’ausilio di pelli di foca, risparmiando così la fatica di andare... a piedi. Dunque è solo all’inizio del ‘900 che sciare è diventato uno sport di moda, dando il via alla costruzione dei primi impianti di risalita sulle Alpi, e al turismo invernale che tutti conosciamo. Il moderno sci-alpinismo non è sostanzialmente diverso da quello che si praticava nel secolo scorso pur essendosi evolute, nel tempo, le tecniche e i materiali ed essendone mutati i fi ni, oggi più indirizzati verso la pratica dello sport agonistico. Già nel 1933 si cominciavano ad organiz-zare le prime edizioni di quella che sarebbe diventata la più importante competizione di sci-alpinismo come disciplina agonistica, mentre solo a partire dal secondo dopoguerra si è estesa a macchia d’ olio la tendenza a fare dello sci uno sport di massa.

Etica e sostenibilità a braccetto

Lo sci-alpinismo, attività meno onerosa rispetto allo sci da pista “meccanizzato”, ha rubato a quest’ultimo gradualmente la scena, diventando l’alternativa privi-legiata per chi ama spazi poco aff ollati e rifi uta forme di abuso degli spazi naturali, i quali per essere attrez-zati necessitano di strutture imponenti che stravolgo-no la morfologia del paesaggio. In sostanza gli amanti dello sci-alpinismo sostengono un contro-modello di sviluppo basato sulla valorizzazione del patrimo-nio naturale e culturale dei territori. Inoltre mentre le piste nelle stazioni sciistiche restano aperte solo 5 mesi l’anno, lo sci alpinismo si può praticare anche in autunno e primavera. Il desiderio di fuggire dalla confusione delle città per trovare pace lungo percorsi che si spingono sulle cime più solitarie, il rifi uto di adeguarsi ai ritmi dei grandi esodi invernali, il piace-re di dedicarsi ad un’attività eco-responsabile, spiega perchè la passione per lo scialpinismo si stia radican-do sempre di più. Non manca, d’altro canto, chi ritie-ne lo sci-alpinismo responsabile di gravi danni all’e-cosistema montano, perchè infastidisce gli animali, danneggia le loro tane e sradica i giovani arbusti. Ma la questione, ovviamente, è molto complessa e chiama in causa il senso di responsabilità e consapevolezza di chi pratica questo sport.

GUIDA WEEKEND SOSTENIBILI

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Impronta ecologica soft

Certo è che l’innevamento stagionale che è molto meno cospicuo di un tempo, non consente più di sciare a quote basse dove, eff ettivamente, l’azione di disturbo dell’irresponsabile di turno, potrebbe esse-re rilevante. Le nuove strade forestali, evitate quando nevicava molto, oggi essendo poco innevate consen-tono di inoltrarsi attraverso i boschi verso gli altipiani dove la neve è più densa, perché si è modifi cata e me-tamorfi zzata con il paesaggio. Inoltre a queste altezze l’ambiente è costituito solo da pietraie o pascoli liberi. In queste zone dunque sciare non ha alcun impatto sul territorio: la traccia degli sci si dilegua in breve e neppure i resti di una recente sciolinatura possono defi nirsi inquinanti. In sostanza l’impatto sull’ecosi-stema è davvero modestissimo. Nonostante il diritto a frequentare la montagna, d’e-state come d’inverno, sia legittimo, non si può negare che, indipendentemente da che cosa si intenda per ecologia, l’impatto della presenza umana, seppur mi-nimo, rappresenti potenzialmente un danno per l’eco-sistema. La ricetta migliore per far sì che il passaggio degli sci-alpinisti degradi il meno possibile l’ambiente naturale alpino è mantenere sempre la consapevolez-za che si sta attraversando uno spazio da rispettare. L’ignoranza, e la conseguente arroganza, oggi, non sono più tollerabili. Per esempio occorre ricordare che se si scorge nel bosco un animale selvatico, come una lepre o una pernice bianca, occorre allontanarsi ed osservarlo da lontano e non invece seguire le sue orme... Gli altri comportamenti escursionistici responsabili non dovrebbero neanche dover essere ricordati, ma vale la pena farlo comunque: vietato abbandonare ri-fi uti, uscire dai sentieri segnati nei boschi e lungo i confi ni boschivi; obbligatorio invece rispettare i se-gnavia, le indicazioni ed i suggerimenti sugli itinera-ri, nonchè usare i mezzi pubblici per raggiungere le località alpine. ■

SCIALPINISMO

Nella pagina precedente:

escursioni in alta Valchiusella.Nella pagina a fi anco:

momenti di preparazione all’escursione.

( 58 ) GUIDA WEEKEND SOSTENIBILI

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Per approfondire:

Guida Sci-alpinistica del Canavese,

131+20 itinerari, III edizione,

Amateis Dario, Caresio Davide,

Editore Cai Sezione di Rivarolo

SCIALPINISMO

Contatti

SCUOLE E CAI DEL CANAVESEGuide Alpine Gran Paradiso Canavese www.4026.it

Scuola Valle dell’Orco www.scuolavalleorco.it

Cai Ivrea www.caiivrea.it [email protected] Tel. 0125.45065

Cai Cuorgné www.caicuorgne.it [email protected]

Cai Chivasso [email protected] Tel 011.910.20.48

Cai Rivarolo www.cairivarolo.it [email protected] Tel. 346.8745832

Scuola Valle Orco www.scuolavalleorco.it

Scialpinismo SOS sicurezza

Pur essendo diventato uno sport potenzialmente alla portata di tutti è comunque indispensabile aff rontarlo con la giusta preparazione, preferibilmente insieme a guide alpine locali esperte o ad istruttori di scialpini-smo del CAI (Club Alpino Italiano). Il rischio di travolgimento da valanga, infatti, non è da sottovalutare, e richiede una buona conoscenza della coesione del manto nevoso, oltre che dell’esposizione ed inclinazione del pendio. A questo riguardo, utile e fondamentale è accompa-gnarsi con l’utilizzo di un Arva con sonda e pala per la precisa localizzazione dei travolti ed il loro veloce dis-seppellimento al fi ne di ridurre la percentuale di ipoter-mia ed asfi ssia. Consigliabile, poi, consultare il bollettino nivologico di competenza territoriale sulle condizioni meteorologi-che previste oltre ai forum on-line sui siti specializzati.

( 59 )SCIALPINISMO

( 60 )(( 6660000 ))))

LE VALLI DEL CANAVESE IN AUTUNNOTesti e foto di Giulia Maringoni

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Percorsi nel cuore delle valli del Canavese, attraverso sentieri antichi e lungo gli argini di torrenti impetuosi. L’autunno in montagna rivela il suo fascino misterioso, intriso di profumi di terra, legna bruciata e muschio. Il tutto a poche ore dal chiasso delle città...

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Per assaporare l’autunno in tutta la sua magia di colori e profumi, vale la pena dedicarsi a pas-seggiate inusuali, su sentieri antichi che si im-

mergono in boschi e paesaggi dalla bellezza struggen-te. Nelle valli che circondano il Canavese è possibile trascorrere giornate nel silenzio e nella pace, e fare escursioni attraverso percorsi che spesso non sono inclusi nei circuiti turistici di massa. Proprio per questo addentrarsi nei boschi e lungo i sentieri che si inerpicano verso le vette, è un’occasione preziosa per godere di paesaggi dalla natura incontaminata e co-noscere modi e stili di vita ancora genuini. Non sarà diffi cile incontrare in questo periodo il ritorno delle mandrie dai pascoli montani, o fare sosta in caratteri-stiche trattorie dove gustare le specialità locali...

VALLE SOANA - Parco Nazionale Gran Paradiso. Un anello tra boschi e le silenziose borgate alpine di Andorina e Nivolastro nella selvaggia “ Valle Fan-tastica”. Gita adatta a tutti che attraversa boschi di latifoglie e di conifere, cappelle votive, vedute pan-oramiche, mulattiere cadute nell’oblio e case diroccate testimoni di un tempo che sembra essersi fermato, un piccolo mondo rimasto intatto, isolato dal fondovalle e costruito nel pieno rispetto dell’ambiente come solo gli avi sapevano fare.Partenza: Valprato Soana 1116mArrivo: Novolastro 1423 mTempo complessivo: 3hDiffi coltà:E (Escursionistico)Punti d’appoggio: Lo Chalet” (0124-435240) e “Trat-toria Alpina”di Valprato. Centro Visitatori di ed Eco-museo della Fucina del Rame lungo il “Sentiero Na-tura” (0124-901070;[email protected]) di Ronco Canavese.Cani: non permessiCuriosità: I “magnin”, ovvero gli stagnai e calderai itineranti, fi ore all’occhiello della produzione arti-gianale della Valle Soana, portavano sulle piazze dell’Italia settentrionale e dell’Europa la loro mer-canzia di pentole, padelle e paioli in rame battuto al maglio.

GUIDA WEEKEND

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VALLE ORCO - “Su e giù per i dolci pendii di Mares”Facile escursione che porta alle leggendarie Rocche di San Martino attraverso una meravigliosa faggeta con eff etto balconata mozzafi ato sulla pianura canavesana e le silhouette del gruppo del Gran Paradiso. Partenza: Alpette, località Balmassa (957m)Arrivo: Cima Mares (1654m)Tempo complessivo: 4hDiffi coltà: E (escursionistico)Punti d’appoggio: “Antica Locanda del Ramo Verde” (0124-809120) ad AlpetteCuriosità: Si racconta che in tempi lontani sul pi-anoro erboso oggi chiamato “Pian delle Masche”, dis-seminato di piccole baite e dalla Chiesa di San Ber-nardo, le “Masche” si incontrassero al chiar di luna piena a danzare tutta la notte.

VALLE SACRA- Anello da Frassinetto a Santa Elis-abetta per il “Pian del Lupo”Dopo aver attraversato l’antica borgata di Chiapinet-to, ammirando i porticati e la caratteristica architet-tura, si prosegue sulla sterrata che conduce alla chie-setta alpina di Santa Croce e si sale verso il Pian del Lupo. L’itinerario si snoda attraverso fi abeschi boschi di betulle fi no a giungere alla spalla erbosa da cui il sentiero digrada dolcemente verso il Santuario di Santa Elisabetta.Partenza: Frassinetto, fraz. Chiapinetto (1113m)

Punto intermedio: Pian del Lupo (1400m)Arrivo: Santa Elisabetta (1211m)

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Tempo complessivo: 4hDiffi coltà: E (escursionistico)Punti d’appoggio:Agriturismo “La Baita Fiorita” (0124-801205) a Frassinetto e ristorante“Minichin” (0124-690037) a Santa ElisabettaCuriosità: Il Santuario di Santa Elisabetta venne eret-to nel 1797; all’inizio si era scelto il pianoro più basso, meno esposto a venti e bufere, ma gli operai dovettero desistere dall’impresa, trovando distrutto quanto co-struito il giorno prima per alcune settimane. Fu un lavoro prodigioso, quasi eroico: bisognava trasporta-re tutto a spalle per sentieri aspri e diffi cili!

VALCHIUSELLA “Lungo i sentieri dei Partigiani”Passeggiata della memoria dall’abitato di Brosso al Monte Cavallaria, sulle tracce dei partigiani che tra questi monti lottarono per la loro patria e la libertà, attraversando boschi di betulle, castagni e noccioli avvolti dai profumi dell’autunno. Dal Pian dei Muli (1300m), circondati da pascoli alpini e dalle baite ri-coperte di “lose”, si può godere di una vista panora-mica insuperabile sull’Anfi teatro Morenico di Ivrea, le cime della Valchiusella, fi no ad abbracciare la vetta della Quinzeina (“La Bella Dormiente”).Partenza: Brosso, Torrente Assa (785m)Arrivo: Monte Cavallaria (1464m)Punti d’appoggio: Trattoria “El Fornel”ad Alice Su-periore (0125-78453)Tempo complessivo: 4hDiffi coltà: E (escursionistico)Curiosità: In una notte di settembre del 1944 l’aereo che portava 13 giovani pugliesi per dare un aiuto ai partigiani in lotta, si schiantò contro le pendici del Monte Cavallaria e quello che doveva essere un soste-

Puoi farlo secondo il calendario previsto per la tua zona** e il tipo della tua utenza*** in 3 semplici mosse:

Da oggi c’è un nuovo modo di comunicare la lettura del tuo contatore gas ad AEG Coop:via SMS!*

digita il tuo codice utenza(rilevabile dalla tua bolletta in alto a destra)e lascia uno spazio

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340 111 8346che AEG Coop ha attivato appositamente

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della fatturazione. Cordiali saluti. AEG Cooperativa”.b - “Il codice UTENZA digitato non è valido. Cordiali saluti. AEG Cooperativa”.c - “Periodo non valido per la comunicazione della lettura. La invitiamo a rilevare nuovamente la lettura e comunicarla nel periodo compreso tra … e il ... Cordiali saluti. AEG Cooperativa”.

* Il costo di ciascun SMS è soggetto alle tariffe del tuo gestore.

** di fornitura. Per ulteriori informazioni vai su www.aegcoop.it nella sezione relativa alle autoletture Gas.

*** (Autorità per ) e il consumo storico del cliente. Le letture dei misuratori Gas da parte delle imprese di distribuzione vengono

): - Tutti i mesi per i clienti grandi con consumi superiori a 5.000 mc/anno- ( ) per i clienti medi con consumi da 500 5.000 mc/anno- ( ) per i clienti piccoli

tra le quantità consumate realmente e le quantità fatturate.

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