CortocircuitO N°6

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Sesto numero dell'aperiodico fiorentino di informazione, analisi, riflessioni

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Così, mentre noi nascevamo, finì ilmondo. Una generazione cresciuta a ca-vallo fra gli infiniti anni ‘80 e i rampantianni ’90, gli anni della Fine della storia,del profetico messaggio dei sacerdotilaici che sancivano la fine del conflitto.Rinchiusa in un eterno oggi, da cui nonpoteva scappare.

Nel 1989 cadde il muro di Berlino, il sim-bolo della divisione del mondo in dueblocchi contrapposti; sancì la vittoriadegli USA e del mondo Capitalista. Ecosì noi crescemmo, ingenui bambini conintorno le lucine del capitalismo ancorpiù accese, per festeggiare la sua Vittoria,nel messaggio univoco del pensierounico, in una società immobile e fermasu se stessa, in cui il conflitto sembravaessersi calmato, non più presente nellosvolgersi della nostra esistenza. Ma i sa-cerdoti della nuova, seppur antica, reli-gione del Consumo e dello Sfruttamento,si sono sbagliati. Mentre continuavamo,con la nostra carta di credito, a correreper consumare e soddisfare quell’im-pulso irrefrenabile che è dentro di noi,qualcosa si è abbattuto sulla nostra quo-tidianità, distruggendola per sempre.Ormai venduti al libero mercato, non ab-biamo capito che il luna park stava perchiudere. E stava arrivando il debito dapagare. Mentre si sta ancora festeggiandola Vittoria del Capitalismo come sistemamondiale, il nuovo millennio si apre congli scontri contro i vertici dei Potenti, checulminano con il G8 di Genova. Il climadi festa finisce definitivamente con l’at-tacco dell’ 11 settembre alle Torri Ge-melle.Si apre la strada per la ghigliottinae il Terrore; ma la Crisi deve ancora arri-vare. Così, in quell’autunno 2008, dagliUSA inizia il germe che porterà all’iniziodella famigerata Crisi.

La nostra vita è sconvolta; finisce l’eradel consumo e del successo facile, dellaCrescita e dello Sviluppo, finisce l’illu-sione della fine della lotta di classe. Sichiude un'era; finisce il mondo per comelo avevano concepito i nostri genitori.Inizia il mondo dove vivremo, mentresiamo nella più grande crisi degli ultimi70 anni. O forse di più, è difficile dirlo:siamo solo all’inizio. Stanno riaffiorandole contraddizioni intrinseche al sistema

Capitalistico. O, meglio, strutturali: un si-

stema che, dopo avere acceso tutte le lu-

cine mentre eravamo bambini, ora che

diventiamo lavoratori ci vuole offrire una

vita di sfruttamento e miseria. Mentre si

festeggiava la vittoria del Capitalismo,

non abbiamo capito che eravamo i topi

che ballano mentre la barca affonda.

Questa manovra finanziaria, questi “at-

tacchi speculativi”, questo debito da pa-

gare, sono solo la punta dell’iceberg che

sta per colpire la nave in cui ci eravamo

riparati, lasciando la rotta a qualcuno che

ne sapeva più di noi: i tecnici e i tecno-

crati del sistema economico. La Crisi ha

colpito la nostra società e ci ha risvegliato

dalla lunga anestesia in cui eravamo ca-

duti. Sconvolti, non sapevamo che i re-

sponsabili di questa crisi avevano già

pronta la Ricetta per uscirne. Nel bom-

bardamento mediatico in cui viviamo ci

siamo lasciati abbindolare, nuovamente.

E questa crisi finanziaria sta cominciando

ad avvolgere ben più aspetti della nostra

mera "vita finanziaria”. Anzi, il nostro

"lato finanziario" è salvo, in quanto, in

momenti già scordati, cioè 2-3 anni fa,

vennero salvate tutte le banche americane

e europee che avevano giocato troppo in

borsa e si trovavano senza soldi. Quindi

potremo continuare a speculare, investire

e giocare in borsa, esattamente come

prima della crisi, in quanto non è stata

fatta alcuna variazione al sistema. Sal-

vato il nostro "lato finanziario”, e rimasti

in debito con questo, arriva il momento

dei sacrifici negli altri aspetti della nostra

vita: salute, scuola, lavoro, dignità, sicu-

rezza di vita, felicità, sogni, speranze. In

tempi di crisi si deve pur tagliare. Quindi

si taglia il diritto ad una scuola pubblica,

si tagliano i diritti lavorativi guadagnati

in mezzo secolo di lotte; si taglia il diritto

a sognare e sperare dei giovani, scagliati

nella precarietà a vita. Si taglia il diritto

ad essere felici, perché, dopo aver lavo-

rato tutto l’anno e tutta la vita, non si

fanno le vacanze: “si deve pagare il de-

bito”. Si taglia il diritto al lavoro, rele-

gando, con la disoccupazione, alla

marginalità e all’insoddisfazione.

Perché nell’Italietta dove il premier, nel

2008, diceva che il peggio era passato,

succede anche questo. E non sembrano

passarsela meglio neanche in Grecia, in

Irlanda, in Portogallo, in Spagna, nei

paesi balcanici, negli ex paesi sovietici.

Che il problema sia un problema struttu-

rale dell’intera Europa? O la favola

dell’Europa benefica regge ancora?

Siamo forse felici che l’Europa ci richie-

derà di portare il debito rispetto al PIL al

60 % entro il 2020, e queste cifre così

vaghe equivalgono a nientemeno che

1000 miliardi, cioè l’equivalente di 17 di

queste finanziarie ”lacrime e sangue”?

Siamo forse felici che l’Europa ci consi-

gli di introdurre nella costituzione l’ob-

bligo di parità del bilancio, cioè di

introdurre legalmente l'impossibilità di

perseguire una qualsiasi politica sociale?

Saranno felici gli indignados che, dopo

aver occupato le piazze per settimane,

hanno ricevuto come risposta bipartisan

questa stessa proposta di modifica costi-

tuzionale? I greci festeggiano ogni giorno

con scioperi generali e scontri in piazza:

l’Europa continua a salvarli, o a legargli

sempre meglio la corda intorno al collo?

Poniamo domande, non riveliamo verità,

perché oggi è più che mai necessario e ur-

gente capire il Reale, che sta mutando

sempre più in modo definitivo. Noi os-

serviamo che gli Stati “periferici” del-

l’Europa stanno perdendo sempre più la

EDITORIALE

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sovranità popolare e nazionale, a favore

degli interessi delle lobby finanziarie,

bancarie e delle multinazionali.

Gli ultimi avvenimenti nazionali e inter-

nazionali, fra cui il declassamento del-

l’Italia e degli Stati Uniti, ci mostrano

come il mondo della Finanza abbia vo-

luto dimostrare pubblicamente la propria

influenza e il proprio potere.Per la prima

volta, assistiamo ad una crisi dove le isti-

tuzioni politiche elette dai cittadini hanno

meno potere decisionale delle istituzioni

economiche non elette. Paghiamo la de-

regolamentazione finanziaria che fu fatta

fra gli anni '80-'90 sotto l’egida di FMI e

Banca Mondiale, richiesta anche per en-

trare nell’Unione Europea. Questa creò

una sorta di “Parlamento finanziario”,

che poteva decidere di punire o premiare

gli stati, facendo o ritirando gli investi-

menti in base all’accondiscendenza e alla

benevolenza degli stessi stati nei con-

fronti dei poteri forti dell’economia.

Infatti, paradossalmente, le maggiori pri-

vatizzazioni e deregolamentazioni del

mercato finanziario e bancario in Italia

furono fatte da coalizioni di centro-sini-

stra, in vista dell’entrata in Europa.

Siamo felici che, finalmente, in Italia i

politici parlino di “responsabilità”: vo-

gliamo che venga detto che sono loro i

Responsabili delle scellerate scelte che ci

hanno portato di fronte a questo dramma

economico e sociale, di cui siamo solo al-

l’inizio. Vogliamo che ci dicano che sono

i Responsabili, i mandanti di quei poteri

forti che oggi vogliono che paghiamo la

Crisi creata da loro stessi.

Una Crisi che ha messo in dubbio, dopo

secoli e secoli, il predominio assoluto del

“mondo occidentale”. Una crisi morale e

sociale nel cuore stesso del Capitalismo.

Una crisi che sta investendo i dogmi su

cui si era basato il Capitalismo negli ul-

timi due secoli: lo Sviluppo e il ruolo

dello Stato all’interno della società.

Stiamo assistendo ad una vera e propria

Ristrutturazione del mondo, dove il po-

tere politico sta cedendo il passo al Mer-

cato e alle istituzioni finanziarie. Ed è per

questo che avvertiamo la nostra esistenza

con così grande insicurezza e paura, per-

ché siamo di fronte ad un momento di

cambio storico. Il centro nevralgico del

sistema Capitalistico, Europa e Stati

Uniti, è entrato in una crisi senza prece-

denti. Questo è un cambio storico dove

potremo decidere di assistere impassibili,

guardando al cinema la nostra esistenza,

o cogliere la responsabilità e l’opportu-

nità storica che ci troviamo di fronte.

Questa Crisi sarà l’opportunità data a Noi

di risvegliarci, e di iniziare a pensare di

poter costruire il nostro futuro. E' in que-

sto momento in cui i movimenti sociali e

le persone possono influenzare più che

mai. Potremo decidere se essere Protago-

nisti o Comparse della nostra vita. Però

chiediamo a tutti di avere questa consa-

pevolezza, senza nascondersi dietro pa-

role come “responsabilità” o

“pragmatismo”.

La nostra generazione si trova di fronte a

questo Bivio: saremo noi che potremo in-

fluenzare la scelta della strada da pren-

dere, siamo noi che non dovremo

accettare la “schiavitù del terzo millen-

nio” in cui vogliono costringere gran

parte dell’umanità. Siamo noi che vi-

vremo e che scriveremo il nostro Futuro.

Il sorriso dei nostri figli sarà la nostra

vendetta.

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

-REDAZIONE-

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Come banchieri, industriali e istituzionisovranazionali vogliono farci pagare undebito che non è nostro.

Recentemente l’Europa sta vivendo un

periodo di crisi economica e politica

senza precedenti. In questo contesto, il

24 e 25 marzo scorso il Consiglio Eu-

ropeo ha approvato la proposta della

Commissione Europea per un “Patto

per l’Euro”, una cosetta niente male

che ci ridurrà tutti alla fame. La quasi

totalità di queste misure è stata “sugge-

rita” alla Commissione dalla lobby in-

dustriale e finanziaria Business Europe,

prima che giungesse l’11 marzo 2011

ai capi di Stato e di governo dell’Euro-

zona. I provvedimenti, sempre a danno

dei più deboli, avrebbero poi trovato ri-

scontro nella realtà pochi mesi dopo;

ma andiamo con ordine. L’Italia, in

questa situazione, rappresenta uno dei

paesi più deboli ed esposti alla specu-

lazione internazionale: prima del-

l’estate le agenzie di rating

evidenziavano la fragilità e la poca cre-

dibilità del debito pubblico italiano. La

minaccia di declassamento del ra-

ting, realizzatasi dopo vari annunci,

ha spianato la strada alla messa in atto

di determinate politiche all’interno del

paese. I richiami di Giorgio Napolitano

alla “coesione nazionale” e ai “sacri-

fici” hanno incoraggiato quella che poi

è stata l’intesa trasversale che ha coin-

volto governo, opposizione, sindacati

confederali e Confindustria nell’ac-

cordo del 28 giugno. Con la legge di

stabilità del 15 luglio, poi integrata

dalla manovra correttiva approvata il

14 settembre, il Governo si è piegato

al diktat dei mercati finanziari e delle

istituzioni sovranazionali del-

l’Unione Europea. Dunque, la politica

in quanto tale non conta più nulla, ogni

decisione economica (cioè le principali

decisioni che dovrebbero esprimere la

linea di un governo e sottolineare le dif-

ferenze fra destra e sinistra) viene presa

direttamente da tali “istituzioni”, non-

ché dai famigerati “mercati”. In Italia è

il centrosinistra il portavoce dei mercati

(Prodi), dei governi tecnici (Amato e

Ciampi), dei tagli al welfare, dei pa-

reggi di bilancio e delle privatizzazioni

(D’Alema). Dunque, l’attacco finanzia-

rio all’Italia è messo in atto dai grandi

speculatori internazionali, i quali non

sono i cittadini impauriti che vendono

azioni, ma i fondi d’investimento che

muovono miliardi di euro e determi-

nano il quadro finanziario di un paese.

Quello che salta agli occhi più netta-

mente è che questa cosiddetta crisi fi-

nanziaria, o attacco speculativo

all’Italia, ha di fatto sospeso la demo-

crazia come era conosciuta fino ad ora,

dopo averlo fatto con la Grecia, il Por-

togallo, l’Irlanda e la Spagna (più altre

decine di stati “sovrani” in giro per il

mondo nelle mani del FMI). I governi

in carica non hanno la possibilità di de-

cidere alcunché: chi decide quali poli-

tiche attuare sono alcune strutture

economiche controllate dai fondi d’in-

vestimento, dalle grandi multinazionali

e da alcune grandi banche (l’americana

Goldman Sachs, di cui Mario Draghi

era membro, su tutte). E’ in atto un

colpo di stato contro la democrazia

occidentale, che si sta sperimentando

nei paesi più esposti per “sondare” il

terreno. In pratica, parlare di commis-

sariamento è fin troppo poco: quello

che stanno vivendo i paesi più indebi-

tati dell’eurozona rappresenta alla per-

fezione ciò che hanno vissuto nel corso

dell’Ottocento e del Novecento decine

di paesi del secondo e terzo mondo, con

l’FMI al posto del Fondo Salva Stati

europeo, la Banca mondiale al posto di

quella europea e il governo statunitense

al posto dell’Unione Europea. Tutti

paesi che, di fronte ad un debito pub-

blico sempre più grande e col rischio

dell’insolvenza, si affidavano a strut-

ture finanziarie sovranazionali che ne

determinavano le riforme, ne garanti-

vano la solvibilità e ne indirizzavano le

politiche economico-sociali. Questo

modus operandi, dunque, non è affatto

nuovo e può essere preso a modello per

capire cosa accadrà in Italia. Le opzioni

invocate da mesi come rimedi necessari

per fare fronte alla crisi, volute prima

dalla Confindustria Europea Business

Europe, poi dalla Commissione Euro-

pea e adesso dalla BCE, sono le solite

di questo trentennio: la riforma del

mercato del lavoro, come se non fosse

stato riformato a più riprese in questi

anni e sempre in chiave neoliberista e

precarizzante; l’aumento dell’età pen-

sionabile, da portare a settant’anni; il

I n t e r n a z i o n a l e

Manovre europee... a tempo debito

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Page 5: CortocircuitO N°6

taglio netto dello stato sociale; e, infine,

la cosa più ridicola del mondo: i tagli

alla politica e la soppressione delle pro-

vince, come se tagliare cento o due-

cento deputati rappresentasse un

possibile palliativo. La lettera firmata

da Jean-Claude Trichet e Mario Draghi

che la Banca Centrale Europea ha in-

viato al Governo italiano il 5 agosto

scorso, rappresenta, quindi, un’inge-

renza senza precedenti, un’imposizione

pesantissima che riguarda i contenuti,

il metodo e i tempi di attuazione e che

prescrive addirittura la modifica della

stessa Costituzione italiana (con la vo-

lontà di introdurre, ad esempio, il pa-

reggio di bilancio obbligatorio in

Costituzione, ovvero la fine graduale di

ogni spesa per il sociale). A ciò si ag-

giunge la riforma approvata dall'Ecofin

il 4 ottobre, la quale impone di ridurre

ogni anno del 5% la parte del debito ec-

cedente il 60% del PIL. Ciò si tradur-

rebbe in una tassa di circa 50 miliardi

di euro l'anno, i quali andrebbero ad ag-

giungersi agli 80 miliardi di interessi da

pagare sul debito e alle certe misure re-

strittive che, in un periodo di crisi, ac-

compagneranno ogni legge finanziaria

annuale, creando uno stato di “eccezio-

nalità permanente”. Il tutto senza con-

tare che le solite figure sovranazionali

hanno imposto ulteriori parametri sui-

cidi agli stati membri dell’UE, dopo

averli sapientemente bloccati con la ra-

tifica del Trattato di Lisbona (che non

consente di uscire dall’UE), ovvero:

pareggio di bilancio nel 2014 (antici-

pato di un anno grazie alla letterina del

5 agosto scorso) e debito pubblico al

60% (quello italiano è al 120%). Ma

perché solo oggi banche e speculatori

si accorgono del debito pubblico e de-

cidono di farlo pagare? L’euro ha pri-

vato i governi degli stati membri

della sovranità sulla politica fiscale. I

paesi più esposti alla speculazione,

quindi, non posseggono più i classici

strumenti per fronteggiare le situazioni

di emergenza (come la svalutazione,

molto usata fino agli anni ‘80). Inoltre,

sempre il “Patto per l’euro” prevede

che i governi si impegnino annual-

mente a coordinare le varie manovre fi-

nanziarie sottoposte al “giudizio” (o

meglio al volere) della Commissione

Europea. La fragilità del sistema, poi, è

amplificata più dalla titolarità che

dall’entità del debito. Come in Italia,

dove negli anni novanta il debito pub-

blico era detenuto da soggetti nazionali,

mentre oggi è per la maggior parte nelle

mani di banche straniere (secondo i dati

forniti da Bankitalia il debito pubblico

posseduto all’estero è passato dal

5,59% nel 1991 al 52,4% nel 2011). Gli

speculatori, inoltre, non si preoccupano

degli effetti delle loro azioni sull’eco-

nomia reale, poiché il loro profitto è

completamente scollegato da essa (gra-

zie alla potenza della finanza e degli

strumenti finanziari). Dunque, lo si ca-

pisce oppure no che la politica di sacri-

fici a senso unico, di lacrime e sangue,

di precarietà e di povertà per i popoli

non viene dal singolo governo, come

quello Berlusconi (che è solo un burat-

tino), ma dall’Unione Europea? Lo si

vede oppure no che quella italiana e

quelle europee sono false “democrazie”

perché governi e parlamenti contano

pochissimo rispetto alla feroce dittatura

dei centri di potere economico/finan-

ziari? E lo si nota oppure no che l'op-

posizione parlamentare di Di Pietro,

Vendola, Napolitano e del Pd è com-

plice dei mercati e della BCE? Li avete

mai sentiti fare una critica alla BCE

oltre che a Berlusconi? Bene, se vi siete

resi conto di quello che sta acca-

dendo, è arrivato il momento di

agire.

Manovre europee... a tempo debito

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

Fonti :>>www.carmillaonline.com >>www.contropiano.org

>>www.uninomade.org >>htp://clashcityworkers.org-El Barto-

Page 6: CortocircuitO N°6

L’Europa sottrae sovranità economica ai

governi nazionali per centralizzarla nelle

mani di un apparato sovranazionale.

Per capire il processo di polarizza-

zione in atto in Europa, è necessario

ripercorrere alcuni passaggi storici.

Le prime forme di integrazione eco-

nomica europee furono la CECA (Co-

munità Europea del Carbone e

dell’Acciaio), creata nel 1951, e la

CEE (Comunità Economica Euro-

pea), nata nel 1957 e pilastro della fu-

tura Unione Europea. E’ interessante

notare che il nome della CECA deriva

dalle ricche miniere dell’Alsazia-Lo-

rena, una zona contesa tra Francia e

Germania, in passato scenario di san-

guinosi scontri per appropriarsi di

queste due risorse fondamentali per

l’industria bellica. Il processo di co-

struzione di un'area economica eu-

ropea ha visto come protagonisti i

politici francesi, tra cui spicca Schu-

man, e tedeschi, tra cui Schmidt ma

soprattutto Kohl. Quest'ultimo ha gui-

dato il processo di riunificazione della

Germania, elemento fondamentale

per la creazione dell’Unione Europea.

Infatti, dopo la caduta del muro di

Berlino, si assiste ad un'improvvisa

accelerata del “progetto Europa”. Il 7

febbraio del 1992 viene firmato il

Trattato di Maastricht. Quest’ultimo

rappresenta una tappa fondamentale

del percorso che porterà, nel gennaio

del 1999, all’adozione dell’Euro e a

una politica economica condizionata

dalla BCE (Banca Centrale Europea).

Questo processo d’integrazione è

nato, ed è stato avviato, con un man-

dato politico ben preciso: “l’instaura-

zione di un mercato comune e di

un’unione economica e monetaria”

(art. 2 del trattato che istituisce la

CEE). Non c’è da stupirsi, quindi,

se nel codice genetico di questa Eu-

ropa non c’è traccia di progetti di

costruzione per un’unione politica

e sociale.Vi sono, inoltre, altri difetti

insiti all’UE, che ne rendono fragile

la struttura. Dal punto di vista libe-

rale, per creare un’unione monetaria

che funzioni, sono necessari alcuni

presupposti: la totale mobilità di ca-

pitale, la mobilità della forza lavoro,

una politica finanziaria comune (cioè

la possibilità di ridistribuire le ric-

chezze), un’area economica omoge-

nea, tale che tutti i paesi membri si

possano muovere nella stessa dire-

zione e velocità, e, inoltre, la possibi-

lità di svalutare la moneta. E’ evidente

che, adesso, solo il primo tra questi

punti è rispettato, ed è uno dei motivi

per cui, in Europa, la crisi assume un

carattere così acuto. Inoltre, l’Unione

Europea, non avendo un'unione poli-

tica ma solo monetaria, si comporta

come un’enorme tecnocrazia, in cui

le funzioni strategiche sono occupate

da burocrati non eletti che influen-

zano la politica economica dei paesi

membri. Questo aspetto si è reso

particolarmente evidente prima

con la crisi greca, poi con la lettera

di Trichet all’Italia. Già nel ‘35,

W.M.King, primo ministro canadese,

ebbe a dichiarare: «Una volta che una

nazione rinuncia al controllo della

propria valuta e del credito, non im-

porta chi fa le leggi della nazione.

Fino a quando il controllo dell’emis-

sione della moneta e del credito non

sia restituito al governo, e ricono-

sciuto come la responsabilità più rile-

vante e sacra, ogni discorso circa la

sovranità del Parlamento e della de-

mocrazia sarebbe ozioso e futile». E’

evidente, quindi, che l’Europa è sem-

pre più un’area geopolitica forte-

mente polarizzata, in cui un nucleo

centrale, costituito dall’élite politiche

ed economiche francesi e tedesche,

ben rappresentate all’interno delle

istituzioni economiche europee, det-

tano legge all’interno dei paesi peri-

ferici dell’unione. Questi ultimi sono

gli ormai famosi PIIGS (Portogallo,

I n t e r n a z i o n a l e

Nuclei di potere epe

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Page 7: CortocircuitO N°6

Italia, Irlanda, Grecia e Spagna), eco-

nomie caratterizzate da una disoccu-

pazione crescente e una

deindustrializzazione evidente. Il

caso Greco, su tutti, può aiutarci a

comprendere questo fenomeno, e

rappresenta l’anteprima di ciò che

avverrà negli altri stati periferici.

La Grecia ha 350 miliardi di debito,

di cui 190 li deve all’Europa (cioè alle

banche francesi e tedesche, detentrici

della maggior parte del debito), e 35

alla BCE. La troika (triade) Germa-

nia, BCE e FMI ha, di fatto, il con-

trollo sul parlamento greco,

imponendo misure d’austerità, priva-

tizzazioni e svendite dei patrimoni

greci, allo scopo di ripagare il debito.

La situazione greca mette in luce la

politica ipocrita dell’UE. Economi-

sti e statisti del continente, non sa-

pendo che pesci prendere, hanno una

sola certezza: rapinare pensioni, sa-

lari, posti di lavoro, servizi pubblici,

isole, riserve auree: tutto quello di cui

ci si può appropriare (privatizzan-

dolo) va preso prima del crollo. Non

solo: i paesi che si sono offerti di

“aiutare la Grecia” hanno imposto un

tasso del 5 per cento sui capitali, che

loro stessi hanno preso a prestito a un

tasso che varia dal 1,5 al 3 per cento.

Un altro modo di fare soldi sulle

spalle delle persone. Questa situa-

zione è insostenibile per un governo,

ed è necessario un organismo sovra-

nazionale (“Meno male che c’è la

troika”, disse poco tempo fa il Mini-

stro delle Finanze greco). I parlamenti

dei paesi periferici a cui sono arrivati

i diktat della BCE non sono stati sem-

plicemente “commissariati”. Qui si

sta parlando di una prerogativa della

politica di uno Stato, cioè quella di

decidere come spendere il denaro

pubblico. Quindi, fatto ancor più

grave, si allontana dalle persone la

possibilità di influire nella politica del

proprio paese, in quanto le decisioni

importanti sono prese altrove. Dietro

le misure d’austerity imposte agli stati

deficitari, ci sono delle conseguenze

sociali devastanti e drammatiche

(poco tempo fa un cittadino greco ha

tentato di darsi fuoco davanti alla sua

banca). La stampa e i politici ci rac-

contano la crisi in maniera fredda, e

l’unica preoccupazione manifestata è

quella di “calmare i mercati”. Licen-

ziamenti, tasse spropositate, tagli ai

salari, sono le misure necessarie per

ripagare “il debito”. Questi signori

stanno giocando con il fuoco. Ogni

qualvolta c'è stata la rottura di

un'unione monetaria si sono registrati

quasi sempre gravi disordini sociali,

o addirittura la guerra civile (Jugosla-

via docet). E’ dunque questa l’Europa

dei popoli? O forse è un'unione di

banchieri, lobby e gruppi d’interesse

mossi dal profitto? Questo progetto

europeo, di palese inclinazione de-

strorsa, non si può semplicemente

modificare, ma va ripensato comple-

tamente.

periferie subordinate

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

Fonti :>> it.peacereporter.net >> www.megachip.info

>> sollevazione.blogspot.com

-Supertramp-

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Mercati. Dietro questo termine vago sicelano nomi e cognomi di finanzieri, ge-stori di fondi pensioni, banchieri, indu-striali e speculatori che, con le loro scelte,influenzano il mondo ben più di quantonon facciano i rappresentanti che noieleggiamo. Ciò non avviene da ieri, ma

neanche dalla notte dei tempi: se si vo-lesse cercare una data di riferimento sipotrebbe prendere il 1971, anno dell’ab-bandono della convertibilità oro-dollaroe della pubblicazione del manifesto diPowell, oppure il 1980, cioè quando Rea-gan, allora uno dei volti più noti del ci-nema e della pubblicità, divennepresidente degli USA; oppure il 1989,momento in cui cadde il muro di Berlinoe con esso l’intero blocco sovietico.Prima le idee e poi le pratiche neolibe-

riste si diffondono nel pianeta. Quel si-stema che per quasi trent’anni, a partiredal dopoguerra, aveva generato e ridistri-buito ricchezza entra in crisi e molte eco-nomie occidentali, a partire dagli USA, siindebitano fortemente per sostenere lapropria crescita. La possibilità per unostato di indebitarsi non è nuova. Nuovesono tuttavia le proporzioni e la plateadegli acquirenti-finanziatori del debito. Ildebito stesso, che Keynes riteva uno stru-mento da utilizzarsi in momenti di crisi,per evitare che questa provocasse una re-cessione, diventa, a partire dagli anni ’80,il motore della crescita economica. Gra-zie alla liberalizzazione dei flussi finan-ziari, l’indebitamento smette di essere

una questione nazionale e diventa glo-

bale. Il mondo della finanza diventa sem-pre più complesso: molte società entranoin borsa, le possibilità di investire aumen-tano a dismisura. Per orientarsi esistonole agenzie di rating che esprimono delleopinioni, così come potrebbe fare cia-scuno di noi, sulla rischiosità di un inve-stimento. Ma esiste una differenzafondamentale: mentre l’opinione del sin-golo cittadino non vincola nessuno, lescelte compiute da Moody’s hanno valoredi organo pubblico: i fondi pensioni degliUsa devono seguire le indicazioni ema-nate da questa agenzia. Ci si potrebbe

aspettare che queste siano organi

super partes. Nulla di più falso. Il con-flitto d’interesse, tanto sbandierato in Ita-lia in riferimento a Berlusconi, è infatti lanorma nei settori finanziari. Nei Cdadelle diverse agenzie sono infatti presentile grandi banche e i più grossi gruppi fi-nanzieri (J.P. Morgan, Goldman Sachs,Deutch Bank, Bnp). È quindi sempliceintuire che il livello di trasparenza all’in-terno del mondo finanziario è tendente azero. Questo sistema, in cui l’arbitro è

uno dei giocatori, tende a provocare

degli squilibri di grandi proporzioni. Ilcaso del debito, che è oggi più che maid’attualità, è emblematico: oggi la Com-misione Europea sta chiedendo a tutti glistati di effettuare finanziamenti per ripor-tare a zero il deficit e iniziare a breve aridurre il debito. La riduzione di questodebito pone gli stati in una situazione diemergenza che obbliga a effettuare tagliin vari settori dell’economia e/o aumentidi tasse. Il problema del debito, presen-tato come frutto delle incompetenti classipolitiche, in particolare dell’Europa me-ridionale, necessita invece di altre spie-gazioni. Chi oggi vuole indietro i suoi

soldi rappresenta gli stessi interessi, ein alcuni casi le stesse persone, che qual-che anno fa hanno causato una parte si-gnificativa di questo debito attraverso lavendita di titoli derivati, lo sfuttamentodelle varie bolle finanziare (immobiliare,verde, Dot-com), la vendita di armi. Ci-

tando rapidamente il caso greco si capi-sce meglio di cosa si sta parlando. Al mo-mento dell’entrata nell’Euro la Grecia,visti i suoi conti non esattamente perfetti,è stata per molto tempo in forse. Dopo ilparere positivo della Goldan Sachs di cuiall’epoca Mario Draghi era vice-presi-dente, lo stato ellenico entra nell’Unionemonetaria. Pochi anni dopo, siamo nel2007, si scopre che i conti presentati dalgoverno di cento-destra erano truccati eche il deficit era non del 5% ma del 15%,ben lontano dal richiesto 3%. A questopunto partono, uno dopo l’altro, i pianisalva-Grecia che comportano privatizza-zioni, aumenti di tasse e licenziamenticome raramente accaduto nella storiamondiale. Mentre Francia e Germaniaimmettono miliardi per “aiutare” la Gre-cia, questa si trova costretta da un lato atagliare qualsiasi aspetto di welfare statee dall’altro a “investire” miliardi in arma-menti prodotti da aziende tedesche e fran-cesi e in interessi che vanno dritti nelletasche dei banchieri.. Nel 2008 miliardidi Euro e di Dollari sono stati immessinel sistema per evitare che il sistema fi-nanziario mancasse di liquidità. Peccatoche oggi lo stesso mondo della finanza cichieda il conto, ed è salato. Ciò che civiene presentata come la necessità di ri-sanare i conti pubblici, non è che la tuteladegli interessi dei Mercati.

I n t e r n a z i o n a l e

La Borsa o la vita!

Come Debito, Finanza e Mercati influenzano le nostre vite.

8

Fonti : >>il sole 24 ore >>www.comedonchisciote.org-C.C.-

Page 9: CortocircuitO N°6

Dal 2008 stiamo assistendo ad una crisi

che si sta abbattendo sulle economie prin-

cipalmente del mondo occidentale: una

crisi in gran parte finanziaria che inevi-

tabilmente si ripercuote sull'economia

reale e sulle politiche dei governi. Gli at-

tori del mondo della finanza ne stanno

uscendo indenni mentre il pagamento dei

loro debiti ricade sui cittadini, sempre più

impoveriti e sfruttati. Anche l'Unione Eu-

ropea, attraverso la BCE e la Commis-

sione, ha un ruolo chiave nel proteggere

e aiutare le banche e inoltre impone agli

stati membri manovre economiche duris-

sime per i cittadini. Anche i governi

fanno la loro parte attuando politiche di

austerity e attaccando i diritti dei lavora-

tori per smantellare lo stato sociale e far

pagare a chi ha già pagato. Le mobilita-

zioni contro queste politiche si sono sus-

seguite in tutti i paesi europei, dagli

scioperi ai blocchi della produzione, dalle

lotte alle grandi opere (la lotta contro la

TAV in Val di Susa) fino alle mobilita-

zioni studentesche.

In Islanda, alla fine di quest'estate, il

FMI abbandona l'isola: è la risposta alla

rivoluzione iniziata nel 2008. A seguito

del fallimento della maggiore banca del

paese (Landsbanki) e della sua naziona-

lizzazione, lo stato arriva ad un passo

dalla bancarotta e accetta un debito di 2

miliardi di euro con FMI per ripagare i

creditori inglesi e olandesi; il governo

cerca di farlo pagare alla popolazione che

si riversa, come in tanti altri paesi, nelle

strade. Dal governo conservatore si passa

ad uno socialdemocratico ma i discorsi

sono gli stessi: risanare il debito (3,5 mi-

liardi di euro per 300 mila abitanti). La

vittoria dei “No” al referendum sul paga-

mento del debito è schiacciante: il debito

é dichiarato “detestabile”e viene riscritta

la costituzione, dando ascolto ai cittadini

attraverso social network e mail. E' solo

la prima battaglia, la guerra non è ancora

finita!

A Londra il 7 agosto 2011 la polizia uc-

cide un ragazzo: la rivolta ha inizio!

Quattro giorni di riots scuotono il paese;

non sono solo le vetrine a saltare in aria,

ma è il volto perbenista del governo Ca-

meron che taglia il welfare e usa metodi

repressivi contro i rivoltosi (1 morto, 16

mila poliziotti per strada, centinaia di fer-

mati). Nasce nelle periferie londinesi, di-

venute ormai ghetti per mancanza di

politiche sociali, dove la disoccupazione

giovanile è alle stelle e l'impossibilità di

vivere in modo dignitoso provoca rabbia

e indignazione.

Anche nella parte meridionale dell'Eu-

ropa la protesta si fa sentire: la politica

“socialista” di Zapatero davanti alla crisi

cede ai ricatti della BCE e porta avanti

tagli alla spesa pubblica e misure di au-

sterity. In questo clima si inseriscono gli

indignados, accampandosi nelle piazze e

creando un nuovo modo di autogestione

e di dibattito assembleare, un insieme di-

somogeneo che porta avanti una critica in

modo pacifico. Dopo le cariche e la cac-

ciata dalle piazze, la mobilitazione con-

tinua nei quartieri, rendendo partecipe

tutta la popolazione colpita dai tagli e

dalle politiche antisociali.

Dall'altro lato del Mediterraneo, dopo

l'assassinio di Alexis, un ragazzo di

quindici anni, da parte della polizia nel

dicembre 2008, il movimento greco si è

rafforzato e ha iniziato una mobilitazione

per contrastare il programma di austerity

voluto dall'UE e accettato prima dal go-

verno conservatore e successivamente da

quello socialista. Misure che si abbattono

sulla gran parte della popolazione con

tagli e tasse insostenibili, licenziamenti

di massa (100 mila nel pubblico im-

piego), servizi e beni comuni privatizzati

fino alla vendita di alcune isole e di una

parte del Pireo. Nonostante scontri, de-

nunce e arresti, durante l'estate si sono

verificati in tutto il paese scioperi, bloc-

chi della produzione e decine di manife-

stazioni: attualmente sono stati occupati

6 ministeri e più di 500 scuole.

Tutte queste mobilitazioni, pur avendo

pratiche e modalità molto diverse tra

loro, hanno un tratto distintivo molto si-

mile: la netta opposizione contro la vo-

lontà di far pagare il debito ai lavoratori

e alla parte più povera della società. E'

ormai tutta la vera Europa, quella com-

posta di lavoratori e studenti, a lottare

contro il pagamento del debito, lo sman-

tellamento dello stato sociale e per il su-

peramento di questo sistema economico.

Estate 2011: c’è aria di crisi, un vento di

rivolta si aggira per l’europa

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

Fonti : >>il manifesto >>www.contropiano.org

Rivoluzione pacifica in Is-

landa, riots a Londra, piazze

occupate in Spagna e rivolte

sociali in Grecia. Sara’ tutto

una casualita’? Non sara’

mica colpa della crisi?

-Aziz & Flo-

Page 10: CortocircuitO N°6

E’ una giornata di ordina-ria protesta in Cile. Dallatelevisione il presidentePiñera con una nota dipaternalismo ammonisceil paese: “Tutti vogliamoeducazione, sanità emolte altre cose gratis,ma vorrei ricordarvi cheniente è gratis nella vita.C’è sempre qualcuno chedeve pagare”. Parolesante.

Il Cile ha finora vantato l’economia più

sviluppata dell’America Latina, il “mira-

colo” per le scuole di economia di tutto

il mondo, e questo grazie al sostegno dei

finanziamenti statunitensi. Ma, come ri-

corda il suo presidente, tutto ha un

prezzo: e anche il Cile ne ha pagato uno

molto caro, quello del modello neolibe-

rista della dittatura di Pinochet. A partire

dall’11 settembre 1973, giorno del colpo

di stato appoggiato dagli americani

Nixon e Kissinger, nonché dalla CIA,

contro l’ex presidente Salvador Allende,

la società cilena è stata velocemente tra-

sformata in un vero e proprio esperi-

mento economico, una “succursale degli

Stati Uniti”, dalla quale i cittadini cileni,

stremati da diciassette anni di dittatura,

non sono riusciti a liberarsi neppure in se-

guito alle dimissioni di Pinochet, che in-

dicendo un plebiscito ha aperto le porte

al nuovo regime politico. Nessuna uscita

di scena brutale, tanto che alla sua morte

gli sono state concesse le esequie militari

(i funerali di Stato furono negati dall’al-

lora Presidente della Repubblica, la so-

cialista Michelle Bachelet). Di qui

dunque il passaggio al governo demo-

cratico della Bachelet e a quello attuale

di Sebastiàn Piñera, dove però la parola

“democrazia” ha assunto un senso tutto

suo: questa è infatti assolutamente dipen-

dente da una rigida dittatura economica

ed è fondata su una Costituzione redatta

in tempo di regime. Sembra incredibile

che nonostante i vent’anni di Concerta-

ciòn (Concertaciòn de Partidos por la De-

mocracia) poco o nulla sia cambiato e

che nessuno si sia ricordato di mettere

mano a un documento di questo calibro.

Il Cile resta quindi tutt’oggi il paese

con il reddito pro capite più alto del-

l’America Latina ma anche quello con la

più alta disuguaglianza nella distribu-

zione della ricchezza e la seconda univer-

sità più costosa al mondo, i cui tanti segni

+ della macroeconomia si scontrano con

quelli – della macro vita reale delle per-

sone: non esistono politiche sociali, tutto

è votato alla privatizzazione e al libero

profitto. Dopo le proteste degli anni

passati, a maggio di quest’anno qual-

cosa sembra essere cambiato. Partita

come una delle tante mobilitazioni stu-

dentesche che si infuocano per qualche

mese per poi svanire, stavolta la scintilla

è scattata davvero e il movimento guidato

dalla Confech (Confederaciòn de Estu-

diantes de Chile) si è unito alle voci dei

civili che ormai da anni assistono alle

continue riforme e iniziative del governo

nel campo dell’istruzione pubblica, della

sanità e delle pensioni senza però toccare

la Costituzione di stampo fascista. Tanto

che in realtà la protesta è nata dagli atti-

visti del movimento ambientalista contro

la costruzione in Patagonia delle cinque

megacentrali del progetto HydroAysén,

cui si sono immediatamente uniti i movi-

menti studenteschi per la riforma della

scuola pubblica. Presi in causa anche i

minatori, che, di fronte alla possibilità

che anche la Codelco (Corporaciòn Na-

cional del Cobre, ovvero del rame) venga

nuovamente privatizzata, hanno scelto di

scendere in piazza a quarant’anni esatti

dal giorno in cui Salvador Allende aveva

nazionalizzato le miniere di rame. Tutti

sono coinvolti, non ci sono solo studenti

I n t e r n a z i o n a l e

Bienvenido en Chile: dell’America Latina

10

Page 11: CortocircuitO N°6

e lavoratori contro leggi e istituzioni,

ma anche il sorriso amico delle persone

che li incontrano. La popolazione cilena

non punta il dito contro quegli “inutili e

sovversivi”, come il presidente del partito

di Piñera Renovaciòn Nacional li ha de-

finiti, ma sono con loro, insieme nella

sfida di cambiare una società che a loro

non appartiene. E nello specifico, contro

un’università oggi quasi interamente pri-

vata, per frequentare la quale molti stu-

denti ricorrono al debito e anche chi

riesce ad arrivare alla fine dei corsi e alla

laurea si ritrova davanti 15-20 anni di rate

da pagare, leggi sul lavoro, politiche so-

ciali, limitate agli assegni per gli indi-

genti, politiche tributarie ad oggi a

vantaggio dei grandi redditi, una costitu-

zione che ha bisogno di liberarsi dei re-

taggi del regime. Le risposte del

governo sono state finora insufficienti

e marginali, ad esempio la sostituzione

di alcuni ministeri come quello dell’Edu-

cazione e un generale rimpasto di go-

verno o la proposta di un piano di 21

punti per quanto riguarda la riorganizza-

zione dell’istruzione cilena, concessioni

per placare il conflitto sociale ormai in

atto ma che altro non fanno che “metterci

sopra una toppa”, restando di fatto sordi

alla precisa richiesta di un cambiamento

strutturale. Dopo le proteste del 4 agosto,

le più forti dall’inizio delle mobilitazioni,

il 28 e il 29 agosto è stato indetto uno

sciopero nazionale portato avanti dai

maggiori sindacati studenteschi, tra cui la

Confech citata sopra, e dal più grande

sindacato cileno dei lavoratori (Central

Unica de Trabajadores de Chile). Alla

fine dei due giorni il bilancio è stato di

1394 arresti, centinaia di feriti e Manuel

Gutierrez, un ragazzo di quattordici anni,

è rimasto ucciso dalla pallottola di un ca-

rabinero. Nuovi arresti e scontri alla re-

cente manifestazione del 29 settembre.

“Una causa nobile, grande, bella” l’ha de-

finita Piñera. Parole confortanti. Peccato

che la risposta non lo sia stata altrettanto.

C’è sempre qualcuno che in questa vita

paga per far sì che la macchina del

profitto possa sempre continuare a cre-

scere, ma quello che il presidente forse

non ricorda è che quella di cui parla non

è la vita, ma una vita, quella che ci è stata

imposta e che si nutre di disuguaglianze

sociali, povertà, guerra, oppressione, in

poche parole, una vita piegata alle leggi

del capitalismo.

Bienvenido en Chile: dietro “il miracolo” dell’America Latina

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

Fonti :>>www.unimondo.org >>htp://it.peacereporter.net

>>htp://fech.cl -Bet & Frida-

Page 12: CortocircuitO N°6

Il nome di Isaac Boxtel, floricoltore

olandese del '600, ai più non dirà molto.

Figura fra il mito e la realtà, fu al centro

di una delle prime speculazioni della

storia economica, una delle più straor-

dinarie bolle speculative della storia, le-

gata a un fiore che ancora oggi è

conosciuto come “ il fiore che fece im-

pazzire gli uomini”: il tulipano. L’elite

olandese si innamorò di quel bellissimo

fiore, ritenendolo uno degli oggetti fon-

damentali per una vita dignitosa. Gli

speculatori non si fecero aspettare, e il

prezzo dei bulbi raggiunse cifre impen-

sabili( il prezzo più alto a cui arrivò un

bulbo è stimabile intorno ai 300.000

euro attuali), poiché si pensava che

quella mania sarebbe stata eterna. Nel

1636 il tulipano fu addirittura quotato

in Borsa e l’entusiasmo era quello che

di solito caratterizza i giochi d’azzardo.

Il 5 febbraio 1637 il gioco si ruppe:

qualcuno ritenne irreali le quotazioni

dei bulbi e cominciò a vendere: fu il pa-

nico. La bolla era scoppiata e in due

giorni il valore dei tulipani si ridusse

del 90%. Per chi non l’avesse ancora

capito, le bolle speculative sono anti-

che quanto il Capitalismo. In realtà

l’intero sistema capitalistico è scosso

periodicamente da crisi cicliche e ine-

vitabili. La storia moderna del Capita-

lismo è la storia delle sue Crisi, che

portano a momenti di instabilità poli-

tica e sociale, a guerre ma anche a mo-

menti di fervore rivoluzionario.

L’inizio di crisi cicliche e devastanti

comincia nell’800, il secolo dell’affer-

mazione del Capitalismo come unico

sistema. La “ primavera dei popoli” del

’48 fu frutto della crisi economica del

46-47, una crisi di sovrapproduzione

che arrestò lo sviluppo capitalistico eu-

ropeo. Essa fu aggravata dal tentativo,

fallito, di speculare sul prezzo dei beni

alimentari. Oggi come ieri, la Crisi e

speculazione finanziaria vanno di pari

passo.Tempo trent’anni, e il mondo

fu scosso da una nuova crisi, molto

più potente negli effetti di qualsiasi

altra vista prima, e passò alla Storia

come Grande Depressione( 1873-

1895). La crisi ebbe inizio con il falli-

mento della grande banca newyorchese

di Jay Cooke, la quale diede inizio a

un’ondata di panico che si diffuse in

tutti i paesi industrializzati.

La Crisi fu nuovamente di sovrap-

produzione; gli effetti furono però to-

talmente diversi. Mutò la natura stessa

del sistema economico, aprendo la fase

del cosiddetto “capitalismo organiz-

zato”; iniziò una fase in cui gli impren-

ditori accettavano l’intervento dello

stato e in cui la risposta dei governi fu

l’innalzamento delle barriere doganali.

La crisi portò alla necessità di nuovi

mercati, e così iniziò quello che noi stu-

diamo come Imperialismo, cioè la con-

quista da parte europea di Africa e Asia.

Ma le conseguenze politiche non si

fermarono qui: il mix fra Imperiali-

smo e barriere alla dogana portò una

forte ostilità fra gli Stati, che culminò

nella prima guerra imperialistica e ca-

pitalistica. Si sta parlando della prima

Guerra Mondiale. Finite le “prede”, i

“gatti” iniziarono ad azzuffarsi fra di

loro. Che l’uscita dalla Crisi sia

l’espansione dei mercati o una guerra

non è una prerogativa della crisi di fine

‘800. La risposta e la conseguenza alla

crisi del ’29 furono la Seconda Guerra

Mondiale. La Grande Crisi inizia con

il “giovedì nero” di Wall Street a cui

fece seguito il “martedì nero” ; fu una

crisi sia di sovrapproduzione che finan-

ziaria. Tutti noi abbiamo l’immagine

della carriola piena di marchi di un

uomo tedesco che va a comprare il

pane.. Come reagirono gli Stati? I Paesi

ne uscirono come avevano fatto anni

prima, cioè alzando le barriere doga-

nali, senza peraltro riprendere i ritmi di

crescita ante-crisi. E la Germania? La

Germania ne uscì rilanciando l’indu-

stria, scelta che seguirono poi tutti i

paesi e che dette una “boccata d’ossi-

geno”. Peccato che, anche se i mercati

festeggiavano, l’industria che scelsero

per il rilancio dell’economia fu quella

bellica; e così nuovamente una guerra

rilanciò l’economia mondiale.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale

venne imposto dagli Stati Uniti il si-

stema di Bretton Woods che si pose

come obbiettivo la stabilità economica

e finanziaria. Il diffondersi delle idee

keynesiane portò i paesi a controllare

attivamente il ciclo economico. Si

pensò che il tempo delle recessioni e

delle crisi fosse finito. Il mondo attra-

versò un boom economico senza prece-

denti ( l’età dell’oro del capitalismo)e

il futuro pareva sempre più roseo; ma

I n t e r n a z i o n a l e

Paura e de l i r io a lBreve Storia di Crisi e speculazioni finanziarie. O meglio, del

12

Page 13: CortocircuitO N°6

già negli anni ’70 si prospettò una

nuova recessione. La decolonizzazione,

la crisi petrolifera, la ristrutturazione e

l’innovazione tecnologica di molte

grandi aziende innescarono una fase re-

cessiva per l’economia mondiale.

Gli effetti di tale recessione furono

molteplici: essa sancì la vittoria di un

nuovo paradigma economico, il Neo-

liberismo, e concluse un lungo periodo

di crescita, a cui mai più tornerà l’eco-

nomia-mondo. La deregolamentazione

finanziaria portata avanti dal Neolibe-

rismo e la bassa crescita dell’economia

reale, portarono a un effetto che diven-

terà poi perverso: l’aumentare vertigi-

noso e senza precedenti del volume

d’affari dell’economia finanziaria e

speculativa. Tale fenomeno fu accele-

rato dalla caduta dell’Unione Sovietica

e dalle nuove scoperte tecnologiche che

integrarono il mondo come mai nella

storia. Negli anni ’90 divenne possibile

muovere miliardi e miliardi di yen, dol-

lari, franchi, sterline, nello stesso

giorno e con un solo click. Fu l’inizio

del disastro: seguendo i saggi e rassi-

curanti “consigli” di FMI e Banca

Mondiale tutti i paesi effettuarono la

deregolamentazione finanziaria e ban-

caria. Tutto il mondo divenne terreno di

conquista degli speculatori e gli Stati

non avevano più poteri regolativi sul-

l’economia , in nome dell’ideologia

della Supremazia del Mercato. I rom-

banti anni ’90, gli anni della Vittoria del

Capitalismo, dello sviluppo e della pro-

sperità, furono in verità anni che metà

dell’umanità non vorrebbe ricordare.

Perché per quanto giornalisti e politici

“progressisti” si scordano di ricordarci,

mai ci fu un decennio attraversato

da così tante sistematiche e continue

crisi. Il decennio inizia con la crisi ban-

caria svedese dell’inizio degli anni ’90,

accompagnato subito dopo dalla crisi

della sterlina del ’92. Tempo di calmare

i mercati, che una nuova crisi finanzia-

ria si abbatte sul mondo. Il Messico nel

’94 inizia a non reggere più il cambio

con il dollaro, è forse necessaria una

svalutazione, il Mercato si impaurisce.

Ritiro degli investimenti occidentali, il

paese inizia il tracollo, e gli avvoltoi at-

taccano la carcassa ancora viva. Inizia

quindi il cosiddetto “ effetto tequila”

che sbanda i mercati, per anni, da con-

tinente a continente. Si succede così la

crisi asiatica( ’97-98) , si inasprisce la

recessione giapponese iniziata nel ’92

a causa di una bolla speculativa e infine

inizia la crisi debitoria russa( ‘98). Fi-

nito qui l’effetto tequila? No, i Mer-

cati continuano a essere “sballati”, e gli

avvoltoi ancora assetati. Si torna in Sud

America. La crisi finanziaria colpisce

Brasile e Ecuador; ma più che altro col-

pisce il “ pupillo” degli Stati Uniti e del

FMI: l’Argentina. Dopo esser stato

preso come esempio per dimostrare

l’efficienza del libero mercato e la

bontà dei consigli degli istituti finan-

ziari, due anni dopo la laurea ad hono-

rem( data dall’Università di Bologna) a

Cavallo, artefice della rivoluzione neo-

liberale argentina, nel 2001 il Paese è

obbligato a dichiarare default. Alcune

domande sorgono spontanee: sono er-

rori del Mercato, o il problema è strut-

turale al sistema economico? La Crisi

del 2008 era quindi così imprevedi-

bile? Prima della Crisi, negli Stati Uniti

si esaltava il ruolo innovativo e trai-

nante che aveva il mondo della Fi-

nanza, come se negli anni ’90 il sistema

finanziario non avesse distrutto la vita

di centinaia di milioni di persone. Ma

nello stesso tempo aveva arricchito una

piccola minoranza di banchieri e spe-

culatori; quella stessa minoranza che ha

poi chiesto l’aiuto degli Stati per non

fallire, e che oggi continua a dettare

legge. Inoltre ci chiediamo: come mai

nessuno ha seguito gli “ avvertimenti”

degli anni ’90? Come mai i politici e

giornalisti ci dicono che “c’è la crisi,

dobbiamo fare sacrifici” quando è evi-

dente che il problema è strutturale e in-

trinseco al sistema? I premi Nobel per

l’economia non sono riusciti a “ preve-

dere” questa crisi? Il problema è che

chi ha causato la Crisi, oggi ci dà la Ri-

cetta per uscirne, nella solita salsa neo-

liberale “ austerity e privatizzazioni”. E

politici, giornalisti e premi Nobel sem-

brano più gli scribacchini di corte o al

più i segretari, che individui critici e li-

beri. Ma la Storia continua, come con-

tinua il Capitalismo, come continua la

Storia delle sue Crisi. Aspetteremo la

prossima, o addirittura l’ultima crisi,

quella che devasterà definitivamente il

mondo umano e ambientale, prima di

ribellarci? Noi siamo già pronti per

questa.

a l L ibero MercatoBreve Storia di Crisi e speculazioni finanziarie. O meglio, del Capitalismo

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

-Jules-Fonti :

>>www.finanzainchiaro.it >> www.borsaedintorni.it

>>cronologia.leonardo.it >>www.resistenze.org

Page 14: CortocircuitO N°6

Quest'estate l'Europa cominciava a pre-

occuparsi della traballante situazione

economica italiana, che vantava un de-

bito pubblico di oltre il 120%. Una let-

tera a quattro mani, dal contenuto

segreto (fino alla pubblicazione del 29

settembre) e indirizzata al governo ita-

liano, stava per stravolgere l'equilibrio

sociale di un intero paese. I mittenti

erano Trichet e Draghi: il primo attuale,

il secondo futuro presidente della Bce,

nonché ex presidente della banca d'Ita-

lia ed ex direttore del tesoro. La lettera

intimava di procedere celermente verso

una “normalizzazione”, in senso neoli-

berista, della situazione economica del

paese, atta ad allineare l'Italia con i ca-

noni economici europei. In cambio la

Bce avrebbe proceduto all'acquisto dei

titoli di stato italiani. Un decreto che

garantisca una maggiore produttività,

privatizzazioni e meno rigidità nelle

norme sui licenziamenti dei contratti a

tempo indeterminato. La ricetta euro-

pea per tirare fuori dal baratro i

paesi in cui la crisi del sistema capita-

lista ha avuto i suoi effetti più nefasti,

è di riproporre la solita salsa. Il governo

italiano ci ha aggiunto un po' di pepe

con la sua sana incompetenza.

Nasce un lungo iter burocratico che ci

porta fino al 14 settembre, data in cui

passa la tormentata manovra finanziaria

con voto di fiducia. Il risultato è un'ac-

cozzaglia di tagli e tassazioni (per un

totale di 54 miliardi) che colpiscono

tutti i cittadini con prospettive di cre-

scita inesistenti, come ha ben presto ca-

pito Standard and Poor's, declassando

il debito italiano. Il famoso contributo

di solidarietà, ridimensionato dopo

l'impetuoso sciopero dei poveri calcia-

tori, rimane infatti una banalità, che

maschera come equa e giusta l'intera

manovra. Convinzione che cade per i

pochi volenterosi che si accingono a

leggerla. L'articolo di impatto più im-

mediato sul mondo del lavoro è forse

l'articolo 8. Questo, che poco ha a che

fare col pareggio di bilancio, sancisce

deroghe dal contratto nazionale sulle

norme riguardanti i licenziamenti (in

pratica, l'abolizione dell'articolo 18

dello statuto dei lavoratori). L'azienda

può stipulare a livello territoriale un

contratto di lavoro con norme auto-

nome peggiorative:

“1. I contratti collettivi di lavoro sotto-

scritti a livello aziendale o territoriale

da associazioni dei lavoratori [...]pos-

sono realizzare specifiche intese [...]. 2.

Le specifiche intese [...] possono ri-

guardare la regolazione delle materie

inerenti l'organizzazione del lavoro e

della produzione incluse quelle relative

[…] alle modalita' di assunzione e di-

sciplina del rapporto di lavoro […], alle

conseguenze del recesso dal rapporto di

lavoro (licenziamenti ndr). [...]2-bis. Le

specifiche intese operano anche in de-

roga alle relative regolamentazioni con-

tenute nei contratti collettivi nazionali

di lavoro. ”.

Le specifiche intese saranno finalizzate

ad una maggiore produttività, occupa-

zione e competitività. Un giochino che

lega il destino del lavoratore a quello

dell'azienda. Lo responsabilizza ren-

dendo il dipendente teoricamente più

portato a volere il bene dell'azienda. Un

concetto meritocratico che ripropone, a

livello generale, il medesimo modello

capitalista che ci ostinano a far credere

il migliore.

Dunque l'articolo 8 elimina qualsiasi

necessità di stipulare un contratto

nazionale. In realtà Confindustria e i

tre moschettieri (Bonanni, Agneletti e

Camusso) hanno ultimamente confer-

mato l'accordo del 28 Giugno. Questo

N a z i o n a l e

Posta Prioritaria Dalla lettera di Trichet e Draghi allo sciopero del 6 settembre: storia di un'estate travagliata

14

Page 15: CortocircuitO N°6

aumenta il dubbio che tale accordo nonsia in netta contrapposizione con l'arti-colo 8 della manovra (in cui, tra l'altro,è citato due volte). In effetti, già nel-l'accordo del 28 giugno si apriva alle

deroghe dal contratto nazionale. Te-stimonianza di questo fatto è anche ilcommento di Marcegaglia all'accordo,che apostrofa: "i contratti aziendalisono ora più forti ed esigibili". LaCIGL ha scelto il momento più inop-portuno per rientrare nelle contratta-zioni con Confindustria, insieme aCISL e UIL, in opposizione, oltretutto,alle posizioni della base del sindacato.È infatti difficile pensare che la FIOM,dopo un anno di dure lotte contro il ma-nager più pagato della storia che puntaal modello sindacale americano, apraalla “tregua dello sciopero”. C'è chidice all'interno della CIGL che l'ac-cordo del 28 Giugno estenda a tutti i la-

voratori il modello Marchionne. Il sin-dacato si trovata ad assumere una posi-zione assai difficile: da una parteriavvia la contrattazione con Confindu-stria per non venire superata da CISL eUIL, dall'altra indice uno sciopero,quasi come per dare un contentino ai la-voratori, contro la manovra.Confindustria poteva forse pensare al-l'inizio dell'estate di avere la situazionein pugno, con l'amico Draghi a dare or-dini a Tremonti, e i sindacati subordi-nati ai propri interessi. A metterle ibastoni tra le ruote è proprio Berlu-sconi, tanto che il Sole 24 ore ne hapubblicamente chiesto le dimissioni.Non sembrano convincere i provvedi-menti sulle liberalizzazioni, e l'instabi-lità e l'incompetenza del governofrenano ancora di più un'auspicabile ri-presa dei mercati. La Marcegaglia,guardandosi attorno sconsolata, nota

Bersani che le fa l'occhiolino. La con-tromanovra del PD, nonostante sia deltutto inapplicabile e atta a fare pubbli-cità populista ad un partito fantasma,difende l'accordo del 28 Giugno (in cuiConfindustria è l'unica vincitrice) valu-tandolo incompatibile con l'articolo 8.Inoltre, riguardo alle privatizzazioni,promuove “un pacchetto di interventiper rafforzare e dare operatività imme-diata alle misure di liberalizzazione deiservizi professionali, della distribu-zione dei farmaci, della filiera petroli-fera, del RC auto, dei servizi bancari,delle reti energetiche, dei servizi pub-blici locali”. Ciò smaschera comemossa demagogica l'appoggio al refe-rendum di Giugno del partito democra-tico, le cui posizioni potrebbero tuttosommato risultare congeniali all'im-prenditoria italiana.Ci ritroviamo a pagare i danni della

speculazione delle grandi multinazio-nali, dei grandi imprenditori, che pernon uscire dal circuito della finanza checonta, svuotano le tasche alla gente co-mune. Il debito italiano non sarà dichia-rato detestabile: Confindustria, e ciòche rappresenta, potranno così conti-nuare a speculare, cosicché tra qualchetempo, quando ci accorgeremo nuova-mente che i conti non tornano, torne-ranno a chiederci soldi. Questamanovra non è né la prima, né sarà l'ul-tima. Subito prima di questa ce ne èstata una a Luglio, da 70 miliardi, ap-provata in due giorni grazie alla colla-borazione del PD, che ha promesso emantenuto, rispondendo all'appello di“coesione nazionale” del presidenteNapolitano, di non fare emendamenti.In futuro ce ne saranno altre, perché imiliardi si possono bruciare in ungiorno a piazza affari e perché il pareg-gio di bilancio è talmente lontano chequesta finanziaria non è che una goccianell'oceano.

Dalla lettera di Trichet e Draghi allo sciopero del 6 settembre: storia di un'estate travagliata

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

Fonti :>www.sensasoste.it >accordo del 28 Giugno delle pari sociali>testo della

finanziaria del 7 setembre e aggiornata al 14>contromanovra del PD

-f.R.-

Page 16: CortocircuitO N°6

In Val di Susa si sta giocando una par-

tita importante per il futuro dei suoi

abitanti e dell'intero paese. Quella che

vi vogliamo raccontare è una storia

di lotta e di resistenza, di oppressione

e di militarizzazione, di mafia e di spor-

chi interessi. Sono ormai vent'anni che

il progetto TAV (Treno ad Alta Velo-

cità) è stato approvato e che il suolo di

quelle magnifiche montagne è minac-

ciato da uno sconsiderato traforo, ma il

movimento è sempre stato in prima fila

nell'impedire che ciò fosse realizzato.

Come? Opponendosi fisicamente. Una

resistenza così tenace ha impedito che

i lavori proseguissero. Ad oggi, in

quella valle, non è ancora stato co-

struito un metro di TAV, il cui costo è

stimabile a 120 milioni di euro per ki-

lometro. L'unica cosa che sono riusciti

a costruire sono recinzioni, che circo-

scrivono l'area del non-cantiere, e un

fortino, che ospita finanzieri, carabi-

nieri, polizia di stato, alpini e cacciatori

calabresi e sardi. Questi, nel ricoprire il

loro infame ruolo, sono costosamente

equipaggiati. Parliamo di visori not-

turni, maschere anti-gas, idranti ad

acqua e lacrimogeni CS, vietati dalla

convenzione di Parigi sulle armi chimi-

che e quindi inutilizzabili in conflitti in-

ternazionali a causa della loro forte

tossicità e per gli effetti cancerogeni

che provocano, benché frequentemente

usati dalle forze di polizia. Alcuni espo-

nenti del PD, tra cui Esposito, hanno

proposto di “modernizzare” la strumen-

tazione in dotazione ai loro mercenari

che dovrebbero sfruttare proiettili di

gomma, i quali hanno già provocato

migliaia di vittime nel mondo, flash

bang, dispositivi che stordiscono tra-

mite combinazione di luce e suono, e

cannoncini spara-reti. Infatti, dopo la

distruzione del cantiere di Venaus del

2005 ad opera del movimento NO TAV,

è apparso chiaro che l'unico modo pos-

sibile per mandare avanti i lavori è oc-

cupare militarmente la zona, soffo-

cando ogni tentativo di sabotaggio.

Questa colossale opera è la più co-

stosa mai costruita dallo stato ita-

liano e la sua difesa, costituita da un

vero e proprio esercito, costa 90.000

euro al giorno, cifra destinata ad au-

mentare nel periodo invernale. Questo

enorme dispiego di forze è posto a pro-

teggere gli interessi di chi con la TAV

conta di arricchirsi. Forse questi ban-

chieri, imprenditori e mafiosi non

sanno che questa inutile opera farao-

nica non sarà mai portata a termine. E

non lo sanno neanche tutti i politici che

hanno appoggiato la costruzione dei

treni ad alta velocità. Mentre l'UE po-

neva la scadenza inderogabile del 30

giugno per l'inizio dei lavori, lo Stato,

indossando i panni di gendarme, si oc-

cupava di sgomberare la libera repub-

blica della Maddalena, presidio

permanente che occupava l'area desti-

nata all'ampliamento del cantiere. Que-

sta aggressione è la sentenza senza se e

senza ma che i governanti hanno por-

N a z i o n a l e

TAV - IL TRENO

16

Page 17: CortocircuitO N°6

tato avanti nei confronti degli abitanti

della valle, rifiutando il dialogo che è

stato relegato a commissioni, organi e

osservatori completamente esautorati di

potere reale, senza mai mettere in di-

scussione la realizzazione dell'opera.I

vari schieramenti politici si confon-

dono in un’indistinta marmaglia che

grida all'unisono "SI TAV". Parliamo

naturalmente dell'accoppiata PDL e

Lega, cui si affiancano partiti diversi di

nome ma non di fatto. Il per niente de-

mocratico PD e il ben poco ecologista

SEL, accompagnati da IDV, UDC e dal

magico trio CGIL, CISL e UIL. Nel

teatrino che è la politica si scannano e

si insultano, mentre ad un tavolino, lon-

tani dalla luce del sole, si amano e si

abbracciano. Come mai? Si stanno

spartendo il bottino. Questa colossale

opera è inutile e dannosa, e i suoi van-

taggi irrisori in confronto alla spesa.

Prima di tutto vi é il fatto che il rap-

porto tra il traffico reale di merci e

quello previsto è di uno a dieci, consi-

derando che infrastrutture per il tra-

sporto sono già esistenti e il beneficio

della TAV, da questo punto di vista, si

limita nel risparmio di un'ora di viag-

gio. Quando si parla di TAV, l'esempio

emblematico, con i riflettori puntati, è

la Val di Susa: sui lavori di questo pro-

getto attraverso tutta la penisola si rac-

contano storie diverse ma tutte

accomunate dallo sfruttamento della

manodopera, che anche in questo caso

è andata a rinfoltire il numero di morti

bianche, e dal forte impatto ambientale,

danni alla qualità della vita, dispersione

di polveri sottili e spese inaudite.

L'unica linea conclusa e funzionante è

la Napoli-Roma che essendo troppo co-

stosa ha un basso numero di passeggeri,

visto che la TAV, per i suoi enormi costi

di costruzione e manutenzione, costa

molto più di qualsiasi altro treno. La

sua realizzazione ha visto infiltra-

zioni mafiose attraverso imprese sub-

appaltatrici, vicine ai casalesi. Mentre

a Roma le linee TAV sono state co-

struite accanto a case, scuole e attività

commerciali, rendendo così la vita im-

possibile ai suoi abitanti a causa di ru-

more, inquinamento ed espropri a

prezzi irrisori. Nel tratto Roma-Fi-

renze-Bologna le ripercussioni più forti

sono quelle ambientali che hanno lette-

ralmente travolto l'area del Mugello.

L’accusa principale è l’inquinamento

del territorio e l’impoverimento delle

falde acquifere, oltre alla truffa e alle

irregolarità nello smaltimento dei rifiuti

dei cantieri. I danni sono stimati di oltre

un miliardo di euro: anche stavolta le

cifre parlano da sole. La TAV è il para-

digma del rapporto tra stato e cittadini,

tra politica ed impresa, tra l'ambiente e

il cosiddetto progresso. Lo stato si le-

gittima nelle sue scelte in quanto rap-

presentante della maggioranza, e in

quanto tale si attribuisce il potere di

prendere decisioni riguardanti la vita

dei cittadini senza che ci sia un con-

fronto e un’alternativa reale, visto che

qualsiasi schieramento politico oggi in

parlamento è d’accordo con la costru-

zione della TAV. La realizzazione di

quest’opera manifesta l’idea di pro-

gresso e crescita che il capitalismo

esercita su scala globale, noncurante

delle conseguenze ambientali, deci-

dendo di investire su questo piuttosto

che su scuole, università, ospedali, tra-

sporti pubblici cittadini e regionali,

pensioni, indennizzi per disoccupati e

invalidi. Lo stato non può essere ga-

rante dei suoi abitanti perché piegato da

interessi trasversali. Oggi chi contesta

la TAV va contro questo paradigma,

motivo per cui è considerato terrorista

e nemico del progresso, quel progresso

finanziato in funzione del mercato e

non per migliorare la qualità della vita.

Il movimento che si è sviluppato è ger-

mogliato assumendo i caratteri di una

resistenza popolare, non certo esclusiva

della Val di Susa, ma estesa all’intero

paese. Non esistono buoni e cattivi, non

ci sono né violenti né pacifisti, ma una

moltitudine che ha ben compreso che i

mezzi offerti dalla democrazia sono

inadeguati e che l’unico modo per fer-

mare questo progetto è il sabotaggio e

il conflitto. “CHI TOCCA LA VAL DI

SUSA TOCCA TUTT/* NOI! A

SARA DURA!"

TRENO DEGLI ORRORI

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

Fonti : >>www.notav.info-Don Z & Supertramp-

Page 18: CortocircuitO N°6

Dopo la crescita degli ultimi anni, è tempo di raccogliere quanto semi-nato, senza perdersi in un bicchier d'acqua.

E’ passato quasi un anno dal movimento

partito contro l’ennesima legge sull’uni-

versità (il ddl 1905), il quale si è poi af-

fiancato (non unito, sarebbe stato troppo

bello) alla resistenza dei lavoratori metal-

meccanici FIAT. Il movimento, nel suo

insieme, è stato ampio, vario, ha presen-

tato momenti di discontinuità nelle forme

di organizzazione e di lotta rispetto al suo

recente passato ed ha rappresentato,

quindi, un notevole passo in avanti ri-

spetto ad esso. Dalla mobilitazione del

2008 a quella del 2010 si sono riscon-

trati numerosi cambiamenti, in termini

di partecipazione e a livello rivendica-

tivo: se l’Onda ha rappresentato una sorta

di “risveglio” di massa a livello studen-

tesco, l’ultima mobilitazione si è invece

contraddistinta per una partecipazione in-

feriore nei numeri ma maggiormente po-

liticizzata. Si sono dunque riattivati, nelle

scuole così come nelle università, l’inte-

resse e la voglia di far politica, ricercando

(non senza difficoltà) un contatto con i la-

voratori. Il ruolo della FIOM e la lotta

contro i ricatti di Marchionne hanno

spinto il sindacato dei metalmeccanici,

visto l’isolamento interno alla CGIL, a ri-

cercare un dialogo con i movimenti.Dia-

logo che in parte c’è stato, ma senza

che si creassero legami stabili fra i vari

soggetti, privilegiando altre logiche. E’

stato deciso, infatti, di dar vita all’enne-

sima sigla dal nome “Uniti contro la

crisi”, già superata ed abbandonata come

progetto politico. La forza reale dell’ul-

timo movimento si è vista il 14 dicembre

2010 a Roma, quando la gente voleva ar-

rivare a Montecitorio, ovvero nel punto

più alto in cui, in quel momento, si gio-

cava la partita dove si stava decidendo

della fiducia al governo. Si è mirato, cioè,

all’elemento politico, riuscendo a creare

basi di legittimità per contrastare i vari at-

tacchi dei media (da notare il diverso at-

teggiamento de La Repubblica rispetto ai

cortei di quest’anno) e dei finti moralisti

come Roberto Saviano e Co. Il pro-

blema del dopo Roma è stato più che

altro non aver capitalizzato quanto creato

fino ad allora, non essersi organizzati a

sufficienza, l’aver fatto anche dei grandi

passi indietro (come incontrare il Presi-

dente della Repubblica la settimana suc-

cessiva) o aver lasciato isolate tra loro le

varie città conflittuali.

Comunque, dopo ulteriori difficoltà pri-

maverili fatte di scadenze dettate più

dalla contingenza che da una vera proget-

tualità politica, una nota positiva è giunta

con la vittoria dei 4 sì al referendum del

12 e 13 giugno: una vittoria, però, solo

apparente, visto che magari si sarebbero

potuti creare nuovi spazi di discussione

sulle varie tematiche dei quesiti, inqua-

drando la grande partecipazione al refe-

rendum all’interno di ragionamenti

politici più generali, complessi e “rivolu-

zionari” (ops, che parolone!).

Con l’acuirsi della crisi speculativo-fi-

nanziaria in contemporanea a varie ma-

novre repressive in tutta Italia, una nuova

esplosione di conflitto si è vista in Val di

Susa dove, al fianco dei NO TAV, sono

arrivate circa 70.000 persone da tutta Ita-

lia, in una situazione dove si è registrato

un ulteriore momento di rottura, dopo il

14 dicembre romano, fra vecchie e nuove

pratiche dei movimenti, così come fra

vecchie e nuove rappresentazioni della

protesta da parte dei media “ufficiali”

(con la consacrazione delle dirette strea-

ming a danno delle notizie di Repub-

blica.it). Nonostante le minacce, gli

arresti, la repressione scatenata in tutta

Italia da Padova a Napoli, da Firenze a

Torino, i legami creatisi in questo anno di

lotte hanno creato nuove coscienze criti-

che, formato nuovi gruppi, fatto crescere

ulteriormente le persone. Le stesse che,

nonostante la scelta pompieristica di in-

dire uno sciopero generale il 6 settembre,

senza un percorso dal basso delle varie

realtà in lotta, hanno saputo creare spazi

di criticità nelle piazze dei vari sindacati,

dalla CGIL all’USB.

Adesso, vista la fase che stiamo attra-

versando e il futuro che ci attende, sarà

importante rimettere in campo quanto di

buono si è visto fino ad oggi: fare politica

sul serio, non per hobby; costruire conti-

nuamente nuovi spazi di discussione non

autoreferenziali, allargare la base del con-

senso in modo graduale e paziente. Stu-

diare, analizzare, confrontarsi su tutto,

senza diventare professionisti della poli-

tica “militante”, ma facendosi muovere

da forti sentimenti d’amore per essa

(come diceva qualcuno).

Tale protagonismo non potrà prescindere

da una critica sistemica, da una forte e

netta critica al capitalismo: cosa che, iro-

nia della sorte, potrebbe veramente unire

tutte le varie istanze, facendoci crescere

ulteriormente, più di quanto abbiamo

fatto in questi ultimi anni.

N a z i o n a l e

Dall'Onda ad oggi: un movimento al bivio

18

-Brandon-

Page 19: CortocircuitO N°6

Dalla nascita di internet, il concetto di proprietà in-

tellettuale ha cominciato lentamente a perdere signi-

ficato. Tutti i prodotti informatici e non, che prima

si potevano ottenere solo con l'acquisto, entravano

a far parte della rete di informazioni libera più

grande del secolo. Ormai, la proprietà intellettuale è

diventato un concetto obsoleto e nocivo, in quanto

non fa altro che porre dei limiti, degli ostacoli, allo

scambio e alla crescita delle conoscenze umane.

L'Open Source, dall'inglese “fonte aperta”, è un mo-

vimento, un’idea, una visione del software alterna-

tiva, nata da un gruppo di studenti che, agli inizi

degli anni 90, nel periodo di espansione dei colossi

dell'informatica, crearono uno scenario informatico

alternativo a quello che Bill Gates e Steve Jobs pro-

ponevano. L'open source nasce dal bisogno di dis-

sociarsi dal concetto di proprietà intellettuale dei

programmi promossa da Bill Gates; i prodotti open

source, infatti, sono dei software liberi nel vero

senso della parola. I software normali, a pagamento

o freeware, hanno la caratteristica di avere una li-

cenza che reclama la proprietà intellettuale, quindi

diventa illegale modificare la fonte dati base. L'open

source è nato proprio per far sì che i programmi con-

divisi possano essere modificati totalmente da

chiunque ed essere distribuiti a tutti, senza ovvia-

mente ricavarne un soldo . Questo fenomeno ha

creato un senso di condivisione e di comunità ed è,

inoltre, un esempio palpabile e concreto di alterna-

tiva alla proprietà intellettuale. Di fatto, l'open

source e il suo metodo di lavoro, aprono al mondo

una finestra dalla quale si intravede un modo di fare

in cui non esiste competizione tra prodotti, in cui

non esiste la logica del profitto; l'unico interesse sta

proprio in quello che si fa, in modo che i soldi non

siano vincolanti e non impediscano all’utente di

usare quello che vuole, come lo vuole, quando lo

vuole. Oggi ormai siamo arrivati ad un punto tale

che l'open source, oltre a essere molto diffuso e ap-

prezzato, per molti è addirittura indispensabile. Si

pensi per esempio ad uno dei più famosi, Wikipedia,

la fonte di informazione più grande di tutti i tempi.

Le informazioni, riguardanti qualsiasi ambito possi-

bile ed immaginabile, sono per la maggioranza

molto esaurienti, perché frutto di ricerche di persone

reali, che ne approvano e ne discutono i contenuti;

tutto ciò è coronato da un sistema per divulgare que-

ste informazioni estremamente facile e veloce…alla

portata di tutti. A seguire, Linux, il più rivoluziona-

rio, da cui poi è partita la vera diffusione di massa

dell'open source funzionale e vincente. Linux ha of-

ferto al panorama mondiale un’alternativa libera di

sistema operativo, contrapponendosi a Windows e

Mac che, avendo praticamente un monopolio, por-

tano avanti l'idea che la proprietà intellettuale sia

l'unica soluzione efficiente per l'elaborazione dei

prodotti. Bill Gates stesso, prima che il mondo dei

software venisse regolamentato, sosteneva che per

poter permettere ad un programmatore di avere il

tempo di fare bene il suo lavoro, dovesse essere re-

tribuito per i prodotti da lui creati. Così facendo, si

dà la possibilità di creare un mercato e nuovi tipi di

prodotti, che sono nettare per l'economia e offrono

un’alternativa di lavoro in più. Ora... questo è giusto

secondo l'ottica di una persona che lo fa di mestiere,

per sopravvivere, che non è esattamente il caso di

Bill Gates; ma in un ottica di efficienza dei pro-

grammi e dei servizi che questi offrono, il metodo

Open Source è nettamente migliore. Inoltre, pochi

lo sanno, ma esistono programmi open source che

traggono beneficio proprio dall'essere aperti e liberi.

Per esempio Boinc Manager, un programma usato

dai computer di molte università americane e non,

che ha lo scopo di condividere una piccola parte dei

potenziali del pc in cui è installato, per creare dei

super computer virtuali, formati da una rete di per-

sonal computer. Proprio per la sua caratteristica di

essere un open source, può essere utilizzato da tutti

e dà la possibilità a tutti di contribuire. Gli orizzonti

che apre l'open source per quanto riguarda le poten-

zialità sono strabilianti, basti pensare che, al giorno

d'oggi, la maggior parte dei software di utilizzo co-

mune si trovano in versione open source, e, a parte

qualche caso di problemi di incompatibilità (causata

da chi?), non hanno assolutamente niente da invi-

diare ai loro rivali stipendiati. Usare un open source

è sicuramente una scelta che contribuisce ad espan-

dere una visione del mondo in cui ognuno dà il suo

contributo per l’arricchimento di un bene comune,

contrapposto ad una continua mediocrità generale,

in favore dell’arricchimento dei soliti, già ricchi,

pochi.

Rubrica delle

Buone praticheO.S. la battaglia

alla proprietà intellettuale

­-K-

Page 20: CortocircuitO N°6

Migliaia di partecipanti al movimento studentesco

fiorentino. 87 i denunciati e gli indagati.

Autunno 2008. Migliaia di studenti, ri-

cercatori, precari di tutta Italia si mobi-

litano contro i tagli all’istruzione

imposti dalla riforma Gelmini, con di-

verse rivendicazioni, riconducibili ad

un’unica grande richiesta, quella di una

scuola pubblica e di maggiori garanzie

per il futuro di studenti e lavoratori. I

cortei assumono un carattere più radi-

cale: i muri si riempiono di scritte, dai

furgoncini gli interventi sono numerosi,

dalle finestre delle scuole pendono stri-

scioni colorati e la pratica dell’occupa-

zione viene arricchita con nuove forme

e nuovi contenuti.

Autunno 2009. Il dibattito a livello na-

zionale si fa più ampio: dalla mera con-

testazione della riforma scolastica, la

critica si allarga alla finanziaria in tutti

i suoi aspetti. Gli appuntamenti in

piazza si fanno meno frequenti ma più

conflittuali. Intanto le realtà politiche

cittadine, forti dell’esperienza del-

l’anno precedente, confermano il loro

ruolo di riferimento per un lavoro poli-

tico quotidiano.

Autunno 2010. E’ l’anno del “Bloc-

chiamo tutto!”. In tutta Italia strade, fa-

coltà, stazioni e autostrade si riempiono

di studenti decisi a dare un segnale

forte alle istituzioni. Le mobilitazioni

culminano con la manifestazione del 14

dicembre a Roma: una giornata di mas-

sima radicalità e di espressione di un

disagio politico, economico e sociale

contestato in maniera trasversale.

4 maggio 2011. Alle 6.30 di mattina, in

seguito a indagini svolte con la colla-

borazione dei servizi segreti, vengono

perquisite dalla polizia le abitazioni di

22 ragazzi appartenenti al movimento

fiorentino. Il bilancio a fine mattinata è

di 5 arresti domiciliari e 17 obblighi di

firma due volte a settimana in questura,

tutte misure preventive in attesa della

conclusione delle indagini. Dai fasci-

coli (secondo i quali gli arrestati sono

tutti riconducibili allo “Spazio Liberato

400 Colpi”) emerge l’accusa di associa-

zione a delinquere, finalizzata ad una

serie di reati, tra cui istigazione a delin-

quere, oltraggio a pubblico ufficiale,

deturpamento e imbrattamento, mani-

festazione non autorizzata, resistenza a

pubblico ufficiale e interruzione di pub-

blico servizio. Tutti i reati contestati ri-

salgono alle mobilitazioni studentesche

dal 2008 in poi. Gli studenti e i lavora-

tori rispondono con una serie di inizia-

tive di solidarietà: dal presidio

itinerante del giorno stesso, fino al cor-

teo del 21 giugno, a cui hanno parteci-

pato da tutta Italia.

Intanto, il 13 giugno, altri ragazzi subi-

F i r e n z e

Punirne pochi per educarne molti

20

Page 21: CortocircuitO N°6

scono lo stesso trattamento. La perqui-

sizione all’alba si conclude anche sta-

volta con pesanti misure cautelari: 6

arresti domiciliari restrittivi (l’impossi-

bilità di comunicare con chiunque non

abiti nella stessa casa), 9 obblighi di

firma quattro volte a settimana e un ra-

gazzo detenuto nel carcere di San Vit-

tore. Dai fascicoli si scopre che in totale

gli indagati e i denunciati sfiorano le 90

persone. L’accusa stavolta è di aver

partecipato alle iniziative di solidarietà

nei confronti dei primi arrestati.

Le azioni contestate passano da essere

forme di protesta che hanno caratteriz-

zato le mobilitazioni del movimento

fiorentino, ad essere considerate veri e

propri reati. Loro, come migliaia di

altre ragazze e ragazzi, hanno fatto cori

contro la polizia, hanno bloccato il traf-

fico e hanno occupato edifici. Ma loro,

al contrario delle migliaia di ragazzi

che erano al loro fianco, sono stati in-

dividuati come capro espiatorio, come

i “cattivi” da isolare dai “buoni”, come

i “pochi” da punire per educare i

“molti”.

Ma qualche corteo non autorizzato e

una decina di scritte sui muri si pos-

sono definire “associazione a delin-

quere”? L’art. 416 del codice penale

definisce “associazione a delinquere”

“quando tre o più persone si associano

allo scopo di commettere più delitti”.

Quali delitti sono stati commessi? E’

forse un delitto scendere in piazza per

una scuola ed un’università pubbliche?

E’ un delitto che la cosiddetta “Genera-

tion No Future” in realtà un futuro se lo

voglia conquistare? Non è forse un “at-

tentato ai diritti politici del cittadino”

(uno dei reati contestati) quello di im-

pedire a delle persone di porre una cri-

tica alla società? Accettare

passivamente che alcuni di noi vengano

puniti per ciò che abbiamo fatto tutti in-

sieme crea un grave precedente. Quale

potrebbe essere la prossima associa-

zione a delinquere? Diventerà delitto

indire uno sciopero da parte di un sin-

dacato?

In momenti come questo, quando il

conflitto si acuisce e si estende, le isti-

tuzioni decidono di abbassare l’asti-

cella della tolleranza. Tutto deve

restare sotto controllo, perché il con-

flitto sociale vince solo quando non è

controllato. Sicuramente ha giocato un

ruolo importante in questa vicenda il

cambio ai vertici delle forze dell’ordine

fiorentine, con l’arrivo del questore

Zonno, che durante la sua permanenza

nella Questura di Trieste tracciava

l’identikit del potenziale criminale

(magro, tatuato,con pochi denti!) e del

prefetto Padoin, che a ottobre 2010 fir-

mava un’ordinanza per vietare i con-

centramenti in Piazza S. Marco, luogo

simbolo delle proteste a Firenze. E non

da meno sono state le pressioni su que-

stura e prefettura da parte degli espo-

nenti del PDL fiorentino per

“consegnare alla giustizia i responsabili

del clima di odio in città”, ovvero per

tentare di infliggere il colpo di grazia a

un movimento politico di opposizione

reale e, quindi, scomoda. Le accuse, in-

fatti, sembrano voler sminuire e dele-

gittimare il lavoro politico svolto da

anni, e fattosi più determinante in que-

sto particolare momento storico, da re-

altà ormai radicate nella città. E questo

obiettivo sembra estendersi a livello na-

zionale, con le particolarità del caso, in

città come Torino, Bologna, Pisa, Mi-

lano e Padova.

Chi ha fatto il lavoro migliore nel

tentativo di dividere il movimento tra

“buoni” e “cattivi” sono stati i media

ufficiali. Da un giorno a un altro i cor-

tei studenteschi si riempiono di “peri-

colosi anarchici” e la sede di un

collettivo universitario diventa il loro

“covo”. Lo spauracchio dell’“anar-

chico” serve ormai a demonizzare un

determinato modo di manifestare e ren-

derlo prerogativa dei “pochi”. E’ com-

pito di tutte quelle persone che con

questi ragazzi e ragazze hanno condi-

viso ideali e momenti di mobilitazione,

impedire che questa operazione rag-

giunga il proprio scopo. E’ necessario

continuare a portare avanti queste ri-

vendicazioni nelle piazze, nelle strade,

nelle scuole, nelle università, nei posti

di lavoro e ritrovare lo spirito di condi-

visione e collaborazione che ha carat-

terizzato questi ultimi anni di lotta.

Punirne pochi per educarne molti

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

Fonti : >>dossier “Tui Liberi”-Ines & Marlene-

Page 22: CortocircuitO N°6

Fra privatizzazioni, sgomberi, arresti e condanne al degrado,il sindaco che la destra ci invidia. Come arrivare in una cittàstoricamente rossa, spacciarsi di sinistra, e poter applicarepolitiche di destra.

Soli pochi anni sono trascorsi dall’ele-

zione del nuovo sindaco Matteo Renzi.

Simpatica figura, semplice, amiche-

vole, e apparentemente vicino alle per-

sone, caratteristica certo essenziale per

una cittadinanza, quella fiorentina, che,

anche perché un po’ di sinistra, ci tiene

a mantenere i rapporti umani fra con-

cittadini. Il nuovo sindaco è già pieno

di progetti per questa nuova città che

vuole costruire. 100 posti da ridare alla

cittadinanza: per non costruire neanche

più un metro cubo di cemento. Una

grande area pedonale: così famiglie e

amici inforcando le loro biciclette po-

tranno finalmente godere di questa città

che non ci fermiamo mai ad ammirare.

E poi c’è ancora altro e molto altro an-

cora, ma vediamo cosa è trascorso nel

mezzo fra la campagna elettorale e la

realtà di oggi.

Renzi e i mediaAvanguardia dei cosiddetti “rottama-

tori”, Renzi, armato di accento toscano,

si fa “paladino” nel combattere quella

classe politica italiana ormai vecchia e

arroccata sulle proprie poltrone. Sarà

proprio questo obiettivo che, in meno

di due anni dall’elezione di sindaco di

Firenze, gli permetterà di girare tutti i

programmi televisivi. Certamente non

male per uno con un passato da mar-

gheritino di Rutelli e che inizia la sua

ascesa politica grazie ad una vincita a

“La Ruota della Fortuna” con Mike

Bongiorno. “Un uomo fortunato” po-

trebbe dire qualcuno, oppure, con un

po’ di sarcasmo: “Un uomo che si è

fatto da solo”. Strano è, guarda caso,

che i rottamatori puntino più a colpire

le vette di un PD che a far una critica a

tutta la classe politica. Sarà che i panni

sporchi si lavano in casa propria? O che

forse quel piacione di Matteo Renzi stia

cercando di scalare le vette del PD?

Fatto sta che armato di sorriso e umo-

rismo tutto toscano il sindaco fiorentino

punta di certo molto sull’immagine.

C’è chi lo ha definito l’Obama italiano,

con l’assiduo aggiornamento di ben due

siti web e una pagina Facebook a suo

nome, e chi invece lo ha definito il Ber-

lusconi di sinistra, vista la continua pre-

senza televisiva. Certamente una cosa

da quest’ultimo Renzi l’ha imparata:

non importa come parlano di te, l’im-

portante è che ne parlino!

Il Manager In perfetta linea con le più pure politi-

che di sinistra, il sindaco più amato

d’Italia, Matteo Renzi, non poteva non

scendere in campo di fronte al sopruso

e allo scontro che vedeva da un lato

Marchionne, e dall’altro gli operai di

Mirafiori. E a spada tratta ha dichiarato:

“Io sto con Marchionne”. Al di là della

scandalosa presa di posizione per

chiunque si definisca “di sinistra”, que-

sto rappresenta un ottimo biglietto da

visita delle politiche economiche che il

sindaco fiorentino sta cercando di por-

tare nella sua città. Se infatti da un lato

appoggia una sfrenata deregolamenta-

zione del lavoro, dall’altro cerca la pri-

vatizzazione dei servizi pubblici. Per

chi non se ne intendesse, questa viene

definita politica liberale e non è esatta-

mente una politica di sinistra, anche se

negli ultimi anni pare che vada molto

di moda in entrambi gli schieramenti.

Un’altra posizione destrorsa è quella

che ha espresso Renzi sullo sciopero

generale del 6 settembre: “Fare le ma-

nifestazioni è facile, ma noi politici

siamo pagati per risolvere i problemi

della gente […] Io sono iscritto al PD

non alla CGIL”. E forse non sbagliava

poi tanto Gabriele Toccafondi, parla-

mentare fiorentino del PDL, quando

chiedeva, scherzosamente, se non con-

cedere la tessera del PDL anche a Mat-

teo Renzi. Da quasi un anno ormai

contro il sindaco fiorentino e la sua

F i r e n z e

Renzi , i l mostro di Firenze

22

Page 23: CortocircuitO N°6

giunta si sta scagliando la protesta

dell’ATAF, che vede, per opera di que-

sti, avvicinarsi sempre più lo spettro

della svendita del servizio ai privati. Il

referendum del 12 e 13 giugno, sfortu-

natamente, non ha campo in questo

caso, poiché la regione Toscana, astu-

tamente, si era già dotata di una legge

ad hoc per regolamentare la presenza

dei privati nelle aziende e quindi non è

subordinata alle scelte del referendum.

Pare però che per il momento la sven-

dita del servizio si sia fermata. Quella

buon anima di Renzi è stato smosso

dalle mobilitazioni dei lavoratori? Non

esattamente. Il progetto iniziale infatti

preveda lo spacchettamento di ATAF in

due società, Reti, che includerebbe gli

immobili, e Gestione, che si occupe-

rebbe del servizio. Sarebbe proprio

quest’ultima ad essere svenduta con

tutte le ricadute su lavoratori ATAF e

cittadini. L’attesa, di questi ultimi mesi,

per l’avvio di questo processo è dovuta

alla gigantesca gara di appalto lanciata

dalla Regione per lasciare il servizio

pubblico di trasporto su gomme ad

un'unica azienda in tutta la Toscana,

nella quale quindi è ovviamente coin-

volta anche l’ATAF. Ma il nostro

“amato” sindaco non manca di giocare

sul mercato azionario anche una fetta

delle partecipazioni di Palazzo Vec-

chio: le quote di Publiacqua, Quadrifo-

glio e Toscana Energia andranno infatti

a formare una mega-società chiamata

“Firenze Holding”. Si va delineando

una politica da capoazienda, incentrata

esclusivamente attorno al profitto dal

quale sono completamente escluse le

necessità sociali della cittadinanza,

come si può ben vedere dai recenti epi-

sodi.

Il PoliziottoIl 24 maggio, in seguito all’allestimento

di una tendopoli in Piazza Bambini e

Bambine di Beslan da parte dei richie-

denti d’asilo politico somali, eritrei ed

nostante gli accordi precedentemente

stipulati col comune, prende luogo lo

sgombero dell’occupazione portata

avanti dal Movimento di Lotta per la

casa in Viale Matteotti, ormai presente

da oltre sei anni. La struttura accoglieva

numerose persone fra precari e mi-

granti, di cui la maggior parte musul-

mani, sgomberati proprio nel periodo

della festività religiosa del ramadan. Il

6 settembre, proprio durante la data

dello sciopero generale, si aggiunge il

tentato sgombero dell’Associazione il

Melograno. Mosso da futili scuse, non

viene portato a termine esclusivamente

per la presenza di una bambina con di-

sabilità all’interno dell’edificio.

Firenze senza fiorentini“Una città è più sicura se viva, piena di

attività e di gente che […] ne frequenta

i luoghi, ne invade le strade, ne illu-

mina il futuro.” Questo è quello che si

legge nel programma elettorale del

2009. Che si riferisse ai turisti quando

parlava di “gente”? Per chi non si in-

tendesse di urbanistica, la costruzione

del tribunale, del Polo delle Scienze So-

ciali e del Multiplex nella zona di No-

voli, assieme all’instaurazione di una

vasta area pedonale che impedisce il

traffico nel centro storico, indicano un

decentramento dell’attività cittadina.

Firenze ai fiorentini? No, ai turisti. Gli

unici ad ottenere dei vantaggi da questo

decentramento non sono altri che com-

mercianti, proprietari di negozi di lusso

e agenzie turistiche. I medesimi che ot-

tengono vantaggi delle politiche anti-

degrado: le restrizioni sulla vendita

degli alcolici, che portano i fiorentini a

dover consumare necessariamente nei

locali; l’intensificarsi dei blitz nelle

piazze frequentate la sera; e la continua

caccia ai venditori ambulanti, soprat-

tutto nelle zone turistiche. E’ così che

in una sera di settembre in Piazza S.

Pierino è divenuto delinquente chi oc-

cupava il suolo pubblico per bere una

birra all’aperto, vedendosi schierato di

fronte a sé un ingente numero di forze

dell’ordine pronte a cacciarlo. Alla do-

manda “Cosa stiamo facendo di ille-

gale?” la risposta delle forze

dell’ordine, in linea con le politiche

renziane, non sì è fatta attendere: “Fate

degrado!”. E’ ormai evidente come

Matteo Renzi stia cercando di abbindo-

lare la cittadinanza fiorentina attraverso

la sua immagine mediatica (Berlusconi

docet), e soprattutto attraverso tutte

quelle fittizie e molteplici iniziative per

“avvicinare la politica alle persone”.

Con l’utilizzo di questi strumenti cerca

di deviare l’attenzione dei cittadini da

tutte quelle politiche di destra che ha

portato avanti in soli due anni: dalle

privatizzazioni, alle risposte repressive

per le problematiche sociali, fino al pi-

gnoramento di Firenze ai propri citta-

dini. Se meno di un anno fa Matteo

Renzi veniva definito “il sindaco più

amato di Italia”, sentiamo di augurarci

che sia proprio Firenze a dargli una ri-

sposta adeguata. Firenze non ha mai ac-

cettato politiche di destra e non sarà

certo una destra travestita da sinistra a

creare un precedente.

Renzi , i l mostro di Firenze

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

Fonti : >>htps://nonsvenderelataf.wordpress.com-Nadil Dans & Leaena Egin-

etiopi, la sezione speciale della muni-

cipale voluta direttamente da Renzi,

con tanto di guanti ha sgomberato la

piazza smantellando tende e prendendo

a calci gli occupanti. Il 12 Agosto, no-

Page 24: CortocircuitO N°6

Stabilità, da tempo senza un’occupazione fissa, passeggia in un

parco. Improvvisamente si imbatte in Crisi, la sua antitesi e colei

che negli ultimi anni le ha rubato la scena. Ma Crisi non ha

l’aspetto di una persona al culmine della sua carriera. Sta seduta

su una panchina, con gli occhi lucidi che fissano il vuoto…

STABILITA’: Guarda un po’ chi si vede! Stai combinando un

bel casino ultimamente, eh?...ma che fai, piangi? Non dovresti

essere contenta di come ti stanno andando le cose?

CRISI: Contenta?? Di cosa dovrei essere contenta? Di essere

considerata un mostro? La gente mi odia, ha paura di

me…

S: Come fa la gente a non avere paura di te? Hai preso il mio

posto da Economia, mandando a casa migliaia di lavoratori, fai

toccare la soglia di povertà a un numero sempre maggiore di fa-

miglie, distruggi sul nascere qualsiasi progetto dei giovani. E

poi fai del male alla Politica, i cittadini non hanno più alcuna fi-

ducia nelle istituzioni, i governi non riescono a combatterti, lasci

disoccupazione e povertà ovunque tu passi.

C: Sei crudele… Nessuno deve avere paura di me o combat-

termi. Le tue care Istituzioni dovrebbero guardarmi negli occhi

e affrontarmi con consapevolezza. Se non ci riescono è perché

non lo vogliono, perché mi usano per mascherare i loro giochi

di potere, mi puntano il dito contro per sviare l’attenzione del

loro pubblico, i cittadini. Se la Politica non riesce ad affrontarmi

è perché ha le mani legate: da anni ormai sta cedendo, un pez-

zetto alla volta, il suo potere all’Economia. Perché gli affari che

fa con l’Economia sono molto più sicuri e convenienti di quello

che una massa di cittadini che votano possono offrirle. Per

quanto riguarda l’Economia, stai tranquilla che non ha paura di

me, anzi…

S: Anzi??

C: Credimi, mi conosce molto bene… e le faccio tutt’altro che

male…

S: Che vuoi dire?? Spiegati meglio!! Sono io che faccio del bene

all’Economia!

C: Sì, questo è quello che ci fanno credere…senti, te lo dico,

ma che rimanga tra noi. E’ l’Economia, anzi è il suo unico figlio

rimasto in vita, il Capitalismo, che mi ha voluta qui. Ha bisogno

di me. Senza di me non va avanti. Il suo progetto è costruito in

modo tale da funzionare solo in presenza di un’alternanza tra

me e te. E quando ci sono io, mia cara, ti assicuro che girano un

sacco di soldi, nei palazzi del Capitalismo.

S: Ti ha mandato lui?? Figurati, io pensavo tu fossi venuta da

sola…

C: E non basta. Lavorando per lui ho notato quanto sia riuscito

C u l t u r a

Dialogo tra C risi e Stabilità

24

ad estendere la sua influenza negli altri ambiti della società.

Anche se in modo più subdolo, il Capitalismo non detta legge

solo all’Economia, ma ha stabilito i valori su cui si basano

anche la Cultura, la Filosofia, la Politica di oggi. E lo ha fatto

grazie alla collaborazione dei suoi soci Consumismo, Concor-

renza e Neoliberismo che agiscono in incognito.

Il Consumismo è praticamente un capo religioso, un profeta.

Ha messo su una religione, un’ideologia totalizzante che ha in-

vestito tutti gli ambiti della Cultura. I suoi adepti non sanno se

c’è un aldilà, ma lo stanno cercando per comprarlo. Credono di

poter ottenere la santificazione riempiendo sacchetti e sacchetti,

di cosa non è importante.

La Concorrenza è un virus che ha colpito l’umanità. Capitali-

smo l’ha mandata con un compito speciale e importante: inse-

diarsi in qualsiasi ambito della vita dell’essere umano sin da

bambino. Prima di essere colpito dalla malattia il bambino corre

nei giardini per giocare con i suoi amici, dopo corre per essere

il migliore e battere i suoi ex-amici.

Il Neoliberismo è il braccio destro del Boss. E’ razionale, effi-

Page 25: CortocircuitO N°6

Dialogo tra C risi e Stabilità

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

ciente, perfettamente concorrenziale, un freddo calcolatore. E’

un killer, insomma. Figlio rinnegato di Ideologia, ha ucciso tutte

le sue sorelle per rimanere l’unico. Ideologia l’ha imbavagliata

e nascosta in uno scantinato, spacciandola per

morta.

S: Oddio!!!..Ma perché ti sei voluta mischiare in affari che non

sono i tuoi? Non credi che sia pericoloso?

C: Forse. Ma, vedi, è stata la reazione della gente al mio arrivo,

la loro paura di me, di cui ti parlavo prima, a spingermi a cono-

scere gli altri aspetti della società, a capire chi ha creato i pro-

blemi. Lavorare per il Capitalismo mi ha rovinato la reputazione,

la gente mi odia, mi vede come la causa dei problemi di questa

società. Ma non si rendono conto che non sono io il loro pro-

blema. Forse dovrebbero puntare il dito contro l’ideatore di que-

sto sistema che necessita di me… Insomma, a me piace la gente

e vorrei che mi vedessero per quella che sono davvero…

S: Ma è evidente chi sei. Sei il contrario di ciò che sono io. Sei

instabilità, insicurezza, infelicità…a prescindere da chi è il tuo

mandatario.

C: Ti sbagli. Queste caratteristiche derivano dal mio lavoro per

il Capitalismo. Ma io sono molto più vecchia di lui… sono nata

nell’Antica Grecia con il nome di Krìnỡ ,per significare “sepa-

rare, decidere, valutare”. I Greci avevano un gran rispetto per

me, perché con me arrivava il momento della decisione, il mo-

mento di estrema lucidità in cui si separano due contrari, in cui

il Problema si presenta nella sua totalità e grazie a questo si può

trovare la Soluzione. E vorrei che le persone approfittassero del-

l’opportunità di cambiamento che offro loro con la mia pre-

senza, anche perché non sempre ci sono, so quando arrivo ma

non se tornerò.

S: E credi che lo faranno? Non credi che le persone preferiscano

me anche negli altri ambiti della loro vita, della loro società?

C: No, non ci credo. Sei sicura di piacere? Te piaci solo se alle

persone piace il Capitalismo; e il Capitalismo regala Guerra,

Miseria, Fame, Sfruttamento a gran parte di loro. E a molti non

è che piaci, ma li rassicuri nella loro infelicità, credono che con

Te si stia meno peggio che con Me. Ma penso che arriverà un

giorno in cui non avranno più paura di me, in cui gioiranno per

il mio arrivo. Ogni volta che torno spero che sia quel giorno.

Ma ovviamente non fai tutto da sola, te non basti. Le persone si

lasciano ingannare dal lavoro degli altri scagnozzi, Consumi-

smo, Neoliberismo e Concorrenza.

S: Ma allora mi consideri una di loro? Una serva del Capitali-

smo?

C: Dipende da te. Da che parte scegli di stare. Da quale stato di

cose decidi di perpetuare. Ma se lasci fare a me è possibile che

la gente metta in dubbio questo stato di cose, che rifiuti il loro

dominio e faccia rivivere le povere Cultura e Filosofia, che sono

ormai sul punto di morte. E poi sarà il turno dell’Economia…

ma con lei il lavoro da fare è più difficile, dovrà rinnegare suo

figlio. Credo che per questo avrò bisogno dell’aiuto di una vec-

chia amica, di cui non sento parlare da anni…

S: Chi è?

C: Eh…è nemica acerrima del Capitalismo…vive nascosta

ormai da tanti anni, perché il Capitalismo la vorrebbe eliminare.

E per tenerla lontana utilizza Te. Ma con il mio arrivo è più fa-

cile per Lei che esca allo scoperto…dipende soprattutto dalle

persone. E i pochi a cui piaccio mi chiedono sempre di Lei. Per

questo credo che sia ora che tu lasci il posto a me. Ci starò un

bel po’ questa volta. Ma con l’aiuto di questa amica e con l’ap-

poggio delle persone potremmo cambiare qualcosa. E al tuo ri-

torno potresti trovare un mondo nuovo. Migliore.

S: Capisco. Forse è davvero ora che mi prenda una vacanza. E

che lasci il posto a Te e…come si chiama questa tua amica?

C: RIVOLUZIONE!

-Ines & Jules-

Page 26: CortocircuitO N°6

El cartonero che leggeva poesie-Brutta storia la disoccupazione…

-Eh, si, Don Juan avete ragione. Con tutti quei disperati, come si potrà campare tranquilli? Eccone làuno che mendica…Sicuramente avrà perso il lavoro e, invece di cercarne un altro, si sarà dato all’accot-tonaggio.

-Che gente…

Nella via so7ava uno strano vento e iniziò una strana pioggerellina che non bagnava. Certo, non ba-gnava chi aveva un ombrello per ripararsi. Don Juan e Padre Molinas si strinsero nei cappotti e apri-rono i loro grandi ombrelli neri.

“Che merda! Doveva anche piovere?” Questo pensò Pedro, detto Pedrito el Cucurucho nel quartiere vec-chio dove era conosciuto.

Lo chiamavano El Cucurucho perché girava per le strade di Buenos Aires con il suo carretto pieno dicartone, che trainava attraverso i quartieri. El Cucurucho viveva in strada perché aveva perso il la-voro. Ma se la disoccupazione e la crisi che qualcun altro aveva creato, gli avevano levato il lavoro, e conesso la casa, e con esso la famiglia, lui non si era accontentato di vivere, come aveva visto fare a moltisuoi conoscenti, di piccoli furti e di accattonaggio. Allora El Cucurucho aveva usato i suoi ultimi ri-sparmi per comprarsi un carretto. Con quel carretto pieno di odio e resistenza si trascinava per le viesporche di Buenos Aires a guardare tra i ri6uti, di quelli che si potevano permettere di fare ri6uti, e rac-cogliere pezzo per pezzo tutto il cartone della sua zona per poi venderlo a sera per cinque pesos al chilo.

Così, giorno dopo giorno, El Cucurucho andava avanti per la sua strada senza capire bene, in realtà, ifatti che lo avevano trascinato, un giorno, dall’u7cio del direttore alla strada. E lì, per strada, andò allabanca a ritirare i propri soldi, ma quelli non c’erano più. Alla televisione Duhalde diceva che sarebbeandato tutto bene, che la ripresa economica sarebbe stata veloce, che sarebbe stata salvaguardata l’occu-pazione. Ma El Cucurucho era per strada e, anche quando la situzione tornò a quella che i politici chia-mavano normalità, lui rimase senza lavoro. Così continuava a trascinare per le strade il propriocarretto e ad essere chiamato El Cucurucho.

Quel giorno Don Juan e Padre Molinas erano a sedere bevendo un’ottima cioccolata calda (che sarebbecostata a un cartonero otto chili di cartone) e fumando del ra7nato tabacco cubano (che sarebbe costato,sempre ad un cartonero, quattro chili di cartone). Discutevano di politica, dell’importanza delle priva-tizzazioni e della minaccia rivoluzionaria.

Don Juan, a proposito dell’infame presenza dei rivoluzionari nel paese, aveva portato a Padre Molinasun fetido esempio della loro retorica.

-Guardi questo, padre…Si chiama “El Revolucionero”, dicono che vogliono la rivoluzione, capisce? Larivoluzione…vorrebbero l’eguaglianza, ma come si dovrebbe fare a concedere l’equaglianza a degli ani-mali inferiori per nascita? Guardi quel cartonero, secondo lei potremmo noi, persone educate e timoratedi Dio, sederci accanto ad una bestia come quella? Sono sicuro che non si lava da settimane.

-Questo è certo, Don Juan. Guardi che mani nere, fruga tra la spazzatura come un cane randagio…haragione lei Don Juan, questi non sono uomini, sono bestie. Se Dio ha permesso una di5erenza così, cideve essere un disegno divino molto più ampio, che noi non possiamo né intendere né giudicare. Lestrade del signore sono in6nite…Che Dio lo abbia in gloria, anche se penso che non sarà destinata al pa-radiso, quella bestia…chissà se Dio, nella sua in6nita misericordia, riuscirà a trovare un posto anche perlui. Che fa, si avvicina, quel sudicio?

-Madre Santa che olezzo…Perdoni l’imprecazione padre, verrò a confessarmi in parrocchia al più pre-sto…

-Non si preoccupi Don Juan, quello che avrebbe da confessare il peccato di essere nato è lui.

26 - Racconti dal Mondo

Page 27: CortocircuitO N°6

El Cucurucho li guardava storto davanti ad un cumulo di spazzatura, che si accingeva a dividere tra ciò chegli avrebbe fatto guadagnare i suoi dieci pesos giornalieri e ciò che gli era inutile. Sentiti quei discorsi, es-sendo El Cucurucho, nonostante la sua situazione, un uomo colto, avrebbe voluto dire due parole non troppogentili a quei due caballeros.

Fece per avvicinarsi, ma Don Juan, in preda al ribrezzo, prese “el revolucionario” e, arrotolatolo, iniziò acolpire il 7ero Cucurucho. Vi fu un parapiglia tra le mani ben pulite e curate e le mani nere ed escoriate, chetiravano a sé il giornale lanciando o6ese all’altro. Arrivò la sicurezza di quel rispettabile bar e spintonò ElCucurucho, che cadde a terra imprecando con “el revolucionero” nelle mani.

Lanciò qualche altra o6esa e, passata la rabbia, ma rimasto l’odio, riprese la propria postura 7era, nono-stante l’aspetto, e con il suo trofeo in mano si allontanò.

“Come se l’avessi scelta io la mia cazzo di condizione” pensava El Cucurucho continuando il cammino con ilsuo carretto.

Passò la giornata 7no a sera. Quando si recò a vendere il proprio cartone, quel giorno, non fece nemmenodieci pesos e nel suo intimo incolpò quei due stronzi per il tempo che gli avevano fatto perdere.

Andando verso il suo giaciglio improvvisato sotto l’autostrada 25 de julio, si accorse di avere ancora in tascail suo trofeo.

Lo aprì e capitò su una pagina che titolava “Poesias rebeldes”. La poesia di Jovaldo recitava più o meno così.

Perché siamo instancabilicome l’acqua di un 7ume,e non ci conterremoné di fronte al caldo né al gelo.

Il passato fu di oppressioneoggi di lotta è colorato il presente,il futuro vittoriososi alza nel vento.

Da domani non più abusidovremo sopportare,non più umiliazioni e povertà,dovremo sopportare.

Oggi le cose stanno per cambiaresi erode il grande potere,nuova luce sta albeggiandoda dietro le Ande e illumina di speranza.

Perché siamo instancabilicome l’acqua di un 7ume,e non ci conterremoné di fronte al caldo né al gelo.

Nel leggere quelle parole El Cucurucho trovò il posto al proprio odio. Trovò la motivazione che non si sa-rebbe mai aspettato. Trovò la ragione della sua vita, che non sarebbe mai più stata la stessa. Trovò il ri-scatto di un mondo che voleva e doveva essere migliore. Proprio in quel momento, sentì un megafono chegridava, e, lasciato il carretto alla strada, decise di unirsi a quelle voci che chiedevano uguaglianza e rivolu-zione.

Molti anni dopo, El Cucurucho, incontrò nuovamente Don Juan e padre Molinas e, in quella occasione, pe-rentoriamente, ma con aria gentile, irruppe:“Caballeros, perdonate il disturbo, questa è una rivoluzione.”

-Philip Liguori-

[email protected] - 27

Page 28: CortocircuitO N°6

L'enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza. Un libro di David HarveyL’enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza, tradotto quest’anno da

Feltrinelli (il titolo originale era un po’ meno immaginifico: The enigma of capital

and the crises of capitalism), ha il difetto di non poter essere passato in rassegna

in dieci minuti, come invece il suo autore David Harvey fa nel video sulla crisi

del capitalismo (segnalato in questa pagina). Il testo riesce ad introdurci con grande

semplicità alle modalità di funzionamento della società capitalistica e alle sue crisi.

Con un occhio particolare, ovviamente, a quella in corso. Che per Harvey, come

tutte le crisi, sta svolgendo la sua funzione di riconfigurare il capitalismo permet-

tendogli di continuare a sussistere. Ossia di far ripartire l’accumulazione del capi-

tale, di ricchezze e profitti, momentaneamente ingolfata. “Le crisi” – dice Harvey–

“servono a razionalizzare le irrazionalità del capitalismo; di solito conducono a ri-

configurazioni, a nuovi modelli di sviluppo, nuove sfere di investimento e nuove

forme di potere di classe… Durante una crisi come quella che stiamo vivendo at-

tualmente, è sempre importante tenere a mente questo fatto. Se così stanno le cose,

secondo Harvey oggi non c’è molto da stare allegri. Ma soprattutto, osserva Har-

vey, “in gran parte delle economie capitalistiche avanzate… con la scusa della crisi

del debito sovrano la classe capitalistica ha cominciato a smantellare ciò che resta

dei sistemi di welfare attraverso una politica di austerità fiscale”. In questo modo si riconducono sotto le logiche del profitto

servizi e prestazioni che a esse erano stati sottratti decenni fa. “Alcune importanti aree di intervento pubblico, a partire

dalla previdenza sociale e dai sistemi pensionistici statali, devono ancora essere privatizzate”, e questa crisi – afferma

Harvey – ne offre l’occasione. In ogni caso la ricostruzione di Harvey ci aiuta a capire due cose: che la crisi non colpisce

tutti alla stessa maniera e che non esistono strategie di uscita dalla crisi senza abbandonare, abbattere o superare l’attuale

sistema. Buona lettura!

YouTube: Cambiare

i paradigmi dell’edu-

cazione. Ken Robin-

son parla del pensiero

divergente e della ne-

cessità di ripensare il

sistema scolastico

YouTube: Come

nascono le buone

idee. Come le

nuove tecnologie e il

web, possono in-

fluire sul processo

che porta alla crea-

zione di un'idea.

YouTube: La crisi

del capitalismo.

David Harvey ci

spiega quali sono le

peculiarità delle

crisi cicliche e siste-

miche del capitali-

smo.

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