CortocircuitO n°8 - DIETRO LE QUINTE DELLA CITTA'

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Ottavo numero dell'aperiodico fiorentino di informazione, analisi, riflessioni

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dietro le quintedella citta “A me dell’articolo 18, usando un tecnicismo giuridico, non me ne po’ frega de’ meno”

Matteo Renzi

CONFLITTI CALCIO MODERNO

POLITICAIl tirocinio infinito

Pressing sulla cittàI Della Valle e il brand Fiorentina

Monti e la riforma dell’articolo 18

Il movimento No Tav e gli interessi a cui si oppone

Matrimonio all’italianaParte l’inchiesta sulle condizionidi lavoro a Firenze

LAVORO

APERIODICO DI INFORMAZIONE, ANALISI, RIFLESSIONI

Page 2: CortocircuitO n°8 - DIETRO LE QUINTE DELLA CITTA'

Viviamo in una città di botteghe, di turismo

e di servizi, dove si presta molta attenzione

all’apparenza e al decoro; città in cui, paral-

lelamente, si vogliono nascondere contrad-

dizioni, conflitti e malesseri latenti. Firenze

viene considerata dai più come città tutto

sommato “rossa”, in cui inspiegabilmente si

sarebbe trovato un equilibrio tra il volere dei

ricchi benestanti e le rivendicazioni ed esi-

genze dei meno abbienti. Non tutto ciò che

all’apparenza può sembrare in equilibrio,

però, è reale fino in fondo: Firenze è anche

e soprattutto la città degli sfratti (seconda

città in Italia rispetto agli sfratti quotidiani

per morosità) e della continua “emergenza

abitativa”, dello sfruttamento sui posti di la-

voro nelle botteghe dei tanti piccoli e medi

padroncini, del precariato diffuso, specie tra

i giovani, dove non si riesce a trovare niente

di meglio che fare il cameriere a nero per

cinque euro l’ora, del palese razzismo istitu-

zionale e del più velato razzismo dei suoi

abitanti, dei continui cantieri in costruzione,

così come della repressione in salsa demo-

cratica di ogni voce, pensiero o spazio che

si pone come antagonista all’ordine citta-

dino ed al pensiero unico dominante.

sezioni del Pd con su scritto “ARCI”. Que-

sti soggetti hanno stretto alleanze sia con

l’impresa (come non citare Baldassini-To-

gnozzi-Pontello), per ottenere facilmente gli

appalti di ogni cosa venga costruito in città,

che con gruppi di interesse, banche o assi-

curazioni, come Confesercenti, Fondiaria

Sai e Cassa di Risparmio, passando per un

altro organismo egemone, la CGIL, a Fi-

renze molto più a destra che altrove. Sembra

proprio che la città dei guelfi e dei ghibellini

sia riuscita a mediare davvero con tutti, cit-

tadini compresi, fino a rendere plausibile

l’inimmaginabile: dalle politiche securitarie

e razziste di Graziano Cioni alla cementifi-

cazione del territorio, fino alla vera e propria

svendita e privatizzazione, su preciso volere

del sindaco Matteo Renzi, dei beni collettivi

come il trasporto pubblico, ATAF in parti-

colare, gli asili nido, i palazzi del centro sto-

rico o la gestione dell’acqua attraverso una

S.p.a. come Publiacqua, che impone bollette

da capogiro proprio quando di acqua se ne

consuma meno. Questa gestione privatistica

della città viene dai più ritenuta “normale”,

tanto da generare l’indifferenza più totale ri-

spetto a queste dinamiche, l’omertà diffusa

e l’accanimento nel perseguitare chi si op-

pone. Da qui si è arrivati all’attuale situa-

zione, dove non ci si rende conto del

significato e dei perché delle piazze milita-

rizzate, dell’esclusione sociale, dei problemi

reali per migliaia di persone a Firenze, così

come non si riesce più a comprendere la

differenza tra un posto occupato o autoge-

stito, frutto di anni di lotte e rivendicazioni,

ed un qualunque altro locale del centro, pre-

ferendo, magari, riciclarsi in gruppi o asso-

ciazioni culturali che operano dentro la

cornice per loro predisposta. Infatti il citta-

dino di Firenze è abituato al benessere, ad

essere servito e riverito con pochi sforzi:

poco importa che si trovi alle Giubbe

Rosse, all’Hard Rock Cafè, o alla “Festa de

L’Unità”(pardon, “Festa Democratica”).

Questi aspetti particolari vanno saputi co-

gliere, devono essere studiati a fondo, evi-

tando di cadere nel provincialismo, poiché

la risposta da dare non può limitarsi al par-

ticolare, ma deve necessariamente estendersi

e trovare un orizzonte: dobbiamo ricon-

durre ciò che accade in questa città a dina-

miche che vanno oltre i confini della stessa,

ripartendo dai bisogni reali della quotidia-

nità delle persone. Dobbiamo essere in

grado di capire, e riuscire a far capire, ad

esempio, che il tunnel di sette chilometri

che verrà scavato sotto Firenze, il TAV, è sì

una particolarità fiorentina per come verrà

fatto qui, ma al tempo stesso rientra in di-

namiche generali che si presentano con sfac-

cettature diverse in tutto il territorio

nazionale, come in Val di Susa e in Mugello,

e nel mondo. La difficoltà sta nel ricondurre

il particolare al generale ed il generale al

particolare, riuscendo ad essere il più dina-

mici possibile nei nostri ragionamenti. Per-

ché combattere un sistema basato sulla

mercificazione, sul profitto e sullo sfrutta-

mento, non è e non deve essere cosa slegata

dal contesto nel quale si vive, nel suo in-

sieme.

EDITORIALE

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Le politiche conservatrici, e la retorica “de-

mocratica”, rappresentano in città un pila-

stro del mantenimento dell’ordine, una linea

di condotta che consente di far cambiare

tutto affinché niente cambi secondo le reali

esigenze della collettività: il laboratorio fio-

rentino (ma si dovrebbe parlare, più corret-

tamente, di laboratorio toscano) riesce in

modo davvero unico a mantenere al potere

forze che ufficialmente vogliono mostrarsi

come “di sinistra”, ma che in realtà di “sini-

stra” hanno ben poco. Si pensi al Partito De-

mocratico e alla sua egemonia istituzionale

e non, alle cooperative, su tutte proprio la

Coop, fino a quei centri aggregativi e critici

che un tempo erano le case del popolo, di-

ventate in maggior parte delle vere e proprie

Firenze è anche e soprattutto lacittà degli sfratti e della continua“emergenza abitativa”, dellosfruttamento sui posti di lavoronelle botteghe dei tanti piccoli emedi padroncini, del precariatodiffuso, specie tra i giovani.

E questo richiede attenzione, la stessa che

serve per analizzare quanto accade nel

macro: infatti Monti, Napolitano, la BCE, le

politiche reazionarie europee e le dinamiche

internazionali, non sono slegati dal resto. La

necessità è quella di saper leggere, politica-

mente e concretamente, quali sono e quali

ancora saranno gli effetti dell’ultima delle

tante crisi strutturali di questo sistema chia-

mato Capitalismo (ovvero un rapporto so-

ciale determinato storicamente, che

riproduce se stesso), sempre dal generale al

particolare, capendo come qui ed altrove è

possibile attivarsi ed intervenire contro le in-

giustizie che sono all’ordine del giorno;

tutto ciò, naturalmente, senza illudersi che

solo il sistema economico attuale sia l’unica

causa delle presenti strutture e sovrastrutture

responsabili dei problemi che ci attana-

gliano. Serve un lavoro organico, strutturato,

che crei dei saldi legami politici e di solida-

Sembra proprio che la città deiguelfi e dei ghibellini sia riuscita amediare davvero con tutti, citta-dini compresi, fino a rendere plau-sibile l’inimmaginabile: dallepolitiche securitarie e razziste diGraziano Cioni alla cementifica-zione del territorio, fino alla verae propria svendita e privatizza-zione, su preciso volere del sin-daco Matteo Renzi, dei benicollettivi.

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rietà, un filo-rosso che vada dagli Stati Uniti,col movimento Occupy, alle lotte del nordAfrica dell’ultimo anno, a quelle in Cinacontro le disuguaglianze sociali e lo sfrutta-mento, fino a quelle europee, a noi più vi-cine ed analoghe. Nel contesto europeo,infatti, si sta giocando una partita interes-sante, in una fase che vede una forte specu-lazione sui debiti dei singoli Stati utilizzatacome strumento per agevolare gli interessidella classe dominante, secondo la più anticadelle leggi: quella del più forte. I fatti ci di-mostrano che, con la scusa della “crisi” (dasempre, ma in particolare oggi e non solo alivello locale, ma globale) ci stanno facendopagare con gli interessi, sottraendoci dirittie ricchezza a suon di leggi, quanto ci ave-vano concesso anni fa a fronte di anni dilotte veramente dure e concrete. In Europa,inoltre, si sono effettuati dei veri e propricolpi di Stato con annessa sospensione diquel velo di democrazia presente in prece-denza, uniti al coordinamento col qualevengono attuate le politiche di lacrime esangue. Dalla Grecia al Portogallo, dall’Ir-landa alla Spagna, dalla Francia all’Italia,compresa la Germania, l’iter è lo stesso: unamaggiore erosione dei diritti, precarizza-zione delle vite, quindi delle nostre condi-zioni umane, con conseguenteabbassamento del tenore di vita di tutti at-traverso vere e proprie rapine, palese sac-cheggio di quelle poche briciole con le

quali noi tutti tiravamo a campare. La cosapeggiore, però, è come questo sta acca-dendo: incolpandoci di tutto, a partire dalla“crisi” stessa, bollandoci come maiali(PIIGS), spendaccioni che hanno vissuto “aldi sopra delle proprie possibilità”, provandoa metterci gli uni contro gli altri in ognimodo, sia mettendola sul conflitto genera-zionale, che su quello etnico o culturale.

tutti, invece, abbiamo il compito di rispon-dere in modo tattico ed organico. Capire efar capire che paghiamo e ci sacrifichiamoda sempre, che non è solo questione di nonpagare il debito, la posta in gioco è più alta,e lo vediamo infatti da quanto, a livello dibattaglia ideologica e non solo, i governi ditutta Europa stanno attaccando i diritti ditutti: lavoratori, studenti, pensionati, disoc-cupati. Salire sui tetti o sulle gru, farsi ri-prendere in televisione o fare lo scioperodella fame, non serve di per sé, senza l’inter-connessione con altre lotte. Bisogna, invece,capire perché vale la pena lottare OGGIcontro le contraddizioni di questo sistema,nella propria città e altrove, creando solidilegami che facciano uscire dal proprio orti-cello o dal proprio interesse particolare siagli individui che le realtà, prendendo esem-pio da chi ci è riuscito e ci riesce tutt’ora,come i NO TAV, attuale punto di riferi-mento delle lotte italiane. È necessario,quindi, tornare ad interessarsi personalmentee collettivamente a certi temi, prima di es-sere sorpresi, in futuro, dall’emergenza delmomento. Sarà importante adattarsi il piùpossibile alle situazioni che ci troveremo da-vanti, senza illuderci di ottenere risultatidall’oggi al domani, ma comprendendo che,lottando, si vince sempre.

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

-REDAZIONE-

La retorica che viene messa in campo pergiustificare un tale massacro è quanto di piùdiabolico e, a suo modo, geniale si possaconcepire. In tutto questo, noi, dobbiamoperò rispondere colpo su colpo, smasche-rando le mistificazioni create ad arte ed im-plementate dalle figure istituzionali (inprimis dal presidente della RepubblicaGiorgio Napolitano), come i “sacrifici per ilbene del paese”, la “crescita”, l’”equità”e la“pace sociale”. Ricorrono a questi mezziperché sanno che funzionano bene. Noi

La risposta da dare non può limi-tarsi al particolare, ma deve ne-cessariamente estendersi etrovare un orizzonte: dobbiamoricondurre ciò che accade in que-sta città a dinamiche che vannooltre i confini della stessa.

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Entrato nella primavera, il formichino go-verno Monti non si mette certo a cantare,ma continua nella sua assidua opera di ri-forme. Dopo aver “corretto” le pensioni, inmodo talmente tecnico e raffinato da creare350.000 esuberati che non percepiscono nésalario né pensione, il nodo centrale da af-frontare è quello del mercato del lavoro. Ilprogramma di governo è chiaro: l’articolo18 così com’è va abbattuto, perché, se nonsi abbatte il costo del lavoro (si può ancheleggere “se non si sfruttano di più i lavora-tori”), l’economia italiana non cresce, e, senon cresce, la credibilità ottenuta rischia disvanire in tempi brevi, con aumento dellospread e quant’altro. Gli investimenti esterie la crescita sono due termini abusati negliultimi mesi. Un valido articolo di Rizzo,scritto sul Corriere della Sera, dice tutt’altro:se gli stranieri non vengono ad investire inItalia, “il tabù” che circonda l’articolo 18 èuno degli ultimi problemi; vengono primafattori socio-culturali, contro cui Monti, aparte dichiarare che “gli italiani devonocambiare stile di vita”, e sguinzagliare i fi-nanzieri da un lato all’altro dello stivale, puòpoco. La complessità dei rapporti di paren-tela, familiaristici, rende opaco e incerto ilcontesto economico. La certezza del dirittoche Smith, nel ‘700, aveva individuato comeuna precondizione per lo sviluppo dell’eco-nomia capitalistica, non è una delle caratte-ristiche proprie dell’Italia. E quindi? Vistoche è impossibile affermare che il problemadell’Italia sono gli italiani, il governo puntasu obiettivi più raggiungibili: eliminare letutele sul lavoro. Una norma si può abro-gare, una società no. Ma chi impedisce al sal-vatore della patria di portare a termine il suoprogetto? Il temibile, irresponsabile e mas-simalista sindacato della CGIL. Lungi dal-l’essere un sindacato che rappresenta gliinteressi dei lavoratori, il principale sinda-cato italiano fa sempre più fatica a gestire lechiaccihere nei palazzi con Confindustria,governo, Cisl e Uil e la sua base. Mentre ivertici sguazzano in strette di mano e acc-cordi, la base è sempre più contraria allaconcertazione. Già, perché l’articolo 18 (cheimpedisce i licenziamenti ingiustificati perle aziende sopra i 15 dipendenti) non èqualcosa che può essere toccato così facil-

mente. Quando il governo Berlusconi ciprovò nel 2003 si scontrò con un corteo na-zionale di 3 milioni di persone, e capì chestava rischiando troppo. Ma questo è un go-verno diverso, creato ad arte per fare ciò chegli altri non sono stati capaci di fare. Si po-trebbero elencare numerosi fattori che ral-lentano l’attuazione di questa riforma: quelche è certo è che, se l’articolo 18 fosse sem-plicemente cancellato, l’idea stessa di sinda-cato verrebbe messa in discussione.

di centralità che ha fin qui assunto. Nei cal-coli della Camusso c’è quindi un approcciopragmatico: qualsiasi posto voglia occuparela CGIL nello scenario politico dei prossimianni, se il numero dei suoi iscritti non fa chediminuire, la sua importanza declinerà. Adoggi, la bozza di riforma firmata Fornero,che aveva preventivamente informato che“non è qui per distribuire caramelle”, pre-vede il mantenimento dell’obbligo di rias-sunzione in caso di licenziamentodiscriminatorio, ma con la clausola che, perragioni economiche, i licenziamenti pos-sono avvenire. È un gran bel gioco di parole,ma, in fondo, in un periodo di crisi econo-mica, affermare che le aziende possano li-cenziare se la situazione economica non èrosea equivale ad annullare l’effetto dell’ar-ticolo 18. Si apre uno spiraglio giuridico chesposta quindi il discorso da un ambito poli-tico e collettivo a uno giudiziario e privato.Non si può escludere che alcune cause sa-ranno vinte dai lavoratori, ma da che mondoè mondo il padrone si è sempre trovato inuna posizione di superiorità nei confrontidel lavoratore. I lavoratori possono vedereavanzare i loro diritti e vincere delle batta-glie solo quando sono uniti. Questo ci rac-conta la storia degli ultimi due secoli. Lavolontà di analizzare caso per caso e dividerei lavoratori rientra in un preciso scenario diindebolimento e ricatto del mondo lavora-

E c o n o m i a & L a v o r o4

Matrimon io a l l ’ I ta l iana

Detto banalmente, se la CGIL intende so-pravvivere, sapendo che già oggi è compostain maggioranza da pensionati, deve riuscirea convincere una parte dei giovani che en-trano nel mercato del lavoro della sua utilità.L’allargamento delle tutele è proprio il di-versivo usato per convincere i più. Nei fatti,l’articolo 18 smetterà di avere il significato

Il tanto declamato modello tede-

sco funziona, a suo modo, sullo

sfruttamento dei lavoratori. Chi

lavora in Germania non naviga

nell’oro, visto che il potere d’ac-

quisto reale è calato del 36% in

20 anni, ma vive una condizione

simile a quella presente in altri

stati.

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tivo. In una forma divide et impera. E il PD? Già, perché quando si parla diCGIL indirettamente la testa va sempre achi, all’interno del Parlamento, si trova conposizioni vicine a quelle della Camusso,semplicemente perché le due basi, pur nonessendo coincidenti, hanno una consistenteintersezione.

Segue, liturgico, l’elogio del modello tede-sco, che consente al giudice di scegliere trareintegro e indennizzo, permettenendo cosìal sistema di mantenere una parvenza diumanità. È interessante notare come, anchein questo caso, la parola centrale di un di-scorso perda di senso: il tanto declamatomodello tedesco funziona, a suo modo, sullosfruttamento dei lavoratori. Chi lavora inGermania non naviga nell’oro, visto che ilpotere d’acquisto reale è calato del 36% in20 anni, ma vive una condizione simile aquella presente in altri stati. La differenzafondamentale è che, con una disoccupa-zione al 4% contro una media europea del10%, e una bilancia commerciale in attivo,la paga media può arrivare a 1600 eurosenza intaccare i profitti. La necessità di “ras-sicurare i mercati” ha portato Monti a fareun tour delle principali presidenze econo-miche mondiali, dichiarando in ogni luogoche l’Italia ha la possibilità di rilanciarsi enon farà la fine della Grecia. Non casual-mente, proprio la “riforma” del mercato dellavoro è stata uno dei primi provvedimentiorganici messi in atto da Rajoi in Spagna. Ilragionamento del neo eletto governo con-servatore è semplice: per competere sul mer-cato globale, il lavoro deve essere o piùproduttivo, o meno costoso. Le due ipotesinon sono totalmente alternative, ma per orai governi stanno puntando su una riduzione

del costo del lavoro e delle sue tutele. InSpagna una prima reazione c’è stata, e haportato allo sciopero generale di 24 ore nellagiornata del 29 marzo. A confronto, l’Italiaappare un paese semplice da domare. Losciopero generale lanciato dalla Camusso peril mese di maggio, dopo la tornata di ammi-nistrative, non è che un modo per mettereil cappello su una mobilitazione. Le pressionidella base hanno obbligato i vertici ad usciredal totale immobilismo. Ecco, quindi, chel’abolizione dell’articolo 18 è stata la cartamessa sul tavolo per rassicurare chi dovràcomprare 400 milardi di titoli pubblici chescadono tra aprile e maggio. Dalla CGIL èbene non aspettarsi nulla di che, e la sua ca-pacità di oscillare tra la concertazione purae semplice e lo sbandierare lo spettro dellosciopero generale è ben nota. Di per sé laCGIL non fa paura al governo, ma questosta procedendo con calma, sapendo che, sela lotta sull’articolo 18 si legasse a quellaNoTav, alcune difficoltà potrebbero manife-starsi all’orizzonte. Sarà fondamentale capirese, in vista della fine della luna di miele tra ilprofessore e gli italiani, la CGIL monopo-lizzerà in funzione elettorale lo scontento, ose si apriranno spazi e percorsi realmentevolti ad una contestazione che si sleghi daqueste regole. Sapendo che oggi una mobi-litazione a livello nazionale è impensabilesenza il sindacato, è importante avere chiarolo scenario nel quale agiamo, senza dimen-ticare il ruolo di forza dell’ordine che hastoricamente assunto la CGIL. Un caroz-zone che si ponga a difesa dell’articolo 18,in mancanza di un’analisi condivisa sul ruolodel sindacato e dei partiti della c.d. sinistra,si dividerà strumentalmente tra buoni e cat-tivi, tra pacifici e violenti, perdendo di vistai reali obiettivi politici.

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

Fonti :>> “Tuto quello che avreste voluto sa-

pere sull’aricolo 18 (e che nessuno vi ha

deto perché non gli conveniva)”, Clash

City Workers

>> Il Manifesto

>> Il Sole 24 Ore

-Victor Serge-

Matrimon io a l l ’ I ta l iana

Agli osservatori più attenti non sarà scappatoche il governo di Super Mario non ha piùla brillantezza dei primi mesi. La strambacoabitazione Pd-terzo polo-Pdl, impensabileun annetto fa, sta diventando, con l’avvici-narsi delle scadenze elettorali, sempre piùcomplessa. Difficile dare del mafioso e delcorrotto al partito di maggioranza per 20anni e poi governare allegramente con lui.Il tragicomico personaggio di Bersani af-ferma: "Non voglio piantare bandierine,cerco una soluzione equilibrata. Avete vistole cose che ha detto il Cardinal Bagnasco?Mica anche lui sarà al seguito della Cgil...".

In un periodo di crisi economica, af-

fermare che le aziende possano li-

cenziare se la situazione economica

non è rosea equivale ad annullare

l’effetto dell’articolo 18.

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Ogni mese vengono aggiornati i dati dell’Istat sulla situazione del-

l’occupazione in Italia, e le cifre pur tremende che vi appaiono non

riescono a rappresentare la profondità della condizione di margi-

nalità, ricattabilità e sfruttamento che una consistente quota di po-

polazione vive quotidianamente.

In Italia ci sono due milioni e mezzo di disoccupati, mezzo milione

di cassaintegrati e un numero sterminato di lavoratori con contratti

irregolari, precari o con una partita Iva che camuffa un rapporto di

lavoro subordinato e in monocommittenza. Le cifre più gravi ri-

guardano i giovani fino a 24 anni: uno su tre è disoccupato e, tra

questi, più di un milione né studiano né cercano lavoro. Firenze

non fa eccezione.

La questione che si pone è come rovesciare questa situazione che

comporta sofferenze materiali, psicologiche e sociali intollerabili.

Ma organizzare una risposta necessita un’accurata opera preliminare

di indagine della situazione reale e di circolazione estesa dei dati

raccolti. Obbliga a catalogare le più svariate condizioni di lavoro e

di inattività che vengono imposte sul territorio che ci troviamo ad

abitare e a rintracciare le radici comuni da cui originano.

A questo scopo, la redazione di Cortocircuito inaugura con questo

numero un’inchiesta sul lavoro a Firenze, ripromettendosi di non

glissare, quando è possibile farlo senza esporre a rischi il lavoratore,

sulle generalità dei responsabili (privati e pubblici) delle situazioni

di sfruttamento rinvenute, di modo che le cifre dell’Istat possano

essere ricondotte a persone, imprese e rappresentanti istituzionali

che incrociamo ogni giorno in città.

C. (studente di Lettere): ho iniziato a lavorare quando è chiuso

il negozio dove mia madre era commessa. Studiavo da giornalista,

quindi precedentemente avevo iniziato a collaborare con varie te-

state: La Nazione, Calciopiù, Il Tirreno. Ero sempre a disposizione

e non ho guadagnato mai una lira. Ma si sa che col giornalismo

è così, la gavetta va messa in conto. Quando c’è stato bisogno a

casa, ho trovato un posto alla GLS, facevo il corriere espresso.

Non ti dico quanto il lavoro fosse snervante e la miseria che mi

pagavano, ma in quel periodo non ho trovato altro che mi permet-

tesse di lavorare con continuità senza dover garantire la disponi-

bilità dopo le 19h30. Gioco a calcio in una squadra di promozione,

cosa che mi permette di ottenere 350 euro in più al mese, ma che

mi impegna 3 sere la settimana. Ho dovuto così smettere di farmi

vedere in redazione, perdendo ogni possibilità di andare avanti

nel giornalismo. Le cose si sono messe davvero male quando ho

finito gli esami e per laurearmi era obbligatorio fare un tirocinio.

All’Università non hanno voluto riconoscere come tirocinio gli

anni passati a fare il giornalista, perché le certificazioni che i gior-

nali mi hanno rilasciato parlavano di “collaborazioni occasio-

nali”, senza specificare niente. Per svolgere lo stage ho chiesto

un part-time alla GLS, ma non me l’hanno concesso. Ho litigato

col capo e dopo un mese non mi ha rinnovato il contratto. Ho chie-

sto ad altri corrieri, ma col part-time non mi ha assunto nessuno,

come se la voce del litigio fosse girata. Il problema è che avevo

assoluto bisogno di lavorare, ma sarebbe stato stupido non laure-

arsi. A quel punto, per poter svolgere un tirocinio e lavorare in-

sieme, sono dovuto andare a fare il cameriere la sera, e ho smesso

di giocare a calcio, rinunciando a una parte del reddito.

F. (studentessa di Psicologia): l’ultimo anno di Università ho ini-

ziato a lavorare in Cooperativa, anzi in due. Lavoravo per Agorà,

ma anche per la Di Vittorio. Cioè, la mattina alle 7h30 tenevo per

un’ora dei bambini che i genitori hanno necessità di portare a

scuola prima che arrivino le insegnanti. Alle 8h30 tornavo a casa

e, se riuscivo a non riaddormentarmi, studiavo. Poi alle 16, per

l’altra Cooperativa, facevo l’educatrice di bambini disabili, re-

candomi nelle case. Mi pagavano da schifo, 6 euro l’ora, consi-

derando la qualificazione e la dedizione che il lavoro

richiederebbe e considerando anche che ben presto mi sono lau-

reata e ho fatto l’esame di Stato, quindi avrei dovuto essere con-

siderata una lavoratrice specializzata. Soprattutto era molto

faticoso, perché alzarsi al mattino presto per lavorare un’ora e

basta è assurdo. Ma le regole erano chiare: se non lavoravo la

mattina non avrei lavorato nemmeno le ore del pomeriggio. La

cosa strana è che erano due cooperative differenti, con chissà che

accordo tra loro.

C. (studente di Architettura): lavoro la sera da Vinandro, un ri-

storante in piazza a Fiesole. Due sere la settimana. I giorni li sta-

biliamo a inizio settimana, ma a volte me li cambiano

all’improvviso. Lavoro a nero, a 6 euro e 50 l’ora. Con me c’è un

ragazzo fisso che lavora con una specie di contratto, prende 700

euro per 5 sere la settimana. E’ un contratto di merda, ma lui ha

la necessità di avere un lavoro stabile, non può permettersi nes-

suna brutta sorpresa. Mi dà fastidio lavorare a nero, però in fondo

me lo devo far andar bene, perché almeno ho una certa flessibilità

anch’io che mi permette di studiare durante le sessioni d’esame.

O. (studentessa di Economia): ci sono due soci che possiedono

vari locali e ristoranti: Joyce, J.J. Cathedral, J.J. Hill, Le Lance,

Il Povero Pesce e Il Pallaio. Prima si era tutti integralmente al

nero, ora fanno a tutti i contratti a chiamata, per paura dei con-

trolli. Funziona così: tu lavori circa 35 ore a settimana e prendi

700 euro, ma solo 5 ore sono in busta, il resto è al nero. Se arriva

un controllo, formalmente è tutto in regola, il capo dice di avermi

appena chiamata. Devo lavorare per forza, la mia famiglia non è

più in condizione di aiutarmi. Lavoro qui perché non è che da altre

parti è meglio.

I brani riportati sono esempi delle condizioni di lavoro che un nu-

mero consistente di giovani svolge a Firenze per pagarsi un affitto,

gli studi, le vacanze e i consumi, appena smette di dipendere com-

pletamente dalla famiglia. Abbiamo raccolto, tra gli studenti - o tra

chi ha terminato gli studi da non più di tre anni - di Lettere, Ar-

chitettura, Psicologia e del Polo di Novoli, un consistente numero

R u b r i c a s u l l a v o r o

Come si lavora a Firenze e chi ci guadagna

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Fuori i nomi!

“Il tirocinio infinito”

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di testimonianze, di cui forniamo una prima sintesi.

La legge Treu del centrosinistra (1997), la legge Biagi del centrode-

stra (2003) e la riforma che il governo Monti sta operando in queste

settimane, sono accomunate dalla volontà di ristrutturare il mercato

del lavoro, favorendo la flessibilità in entrata (precarietà) e in uscita

(licenziamenti) dei lavoratori. Si liquidano così il maggior numero

di lavoratori in possesso di qualche diritto alla “rigidità” per investire

su forza-lavoro destrutturata, a tempo determinato o a progetto,

dove gran parte degli oneri fiscali sono affidati alla collettività. Il

contratto di apprendistato, la proliferazione di agenzie interinali,

l’appalto di commesse a cooperative che rimpiazzano le pratiche

svolte un tempo da dipendenti pubblici, i contratti a progetto, sono

gli strumenti di questa trasformazione.

In questo quadro, nonostante le statistiche dell’Istat, che non ten-

gono conto delle situazioni sommerse e destrutturate, assistiamo ad

un numero crescente di lavoro destinato a studenti universitari o a

giovani appena laureati.

M. (ex studente di Lettere): per pagarmi un affitto e le altre cose,

durante l’Università ho fatto ogni genere di lavoro. Ne ho cambiati

almeno 7. Spesso in nero, ma anche col contratto a progetto e a

tempo determinato. Era frustrante, nel lungo periodo, dividere in

due la mia attenzione: le ore di studio e le ore di lavoro. Ne ho

cambiati così tanti perché studiando non mettevo mai tutto me

stesso nel lavoro, nel migliorare le mie condizioni e nel trovare un

certo appagamento, perché dove mi impegnavo davvero era lo stu-

dio. Quando mi sono laureato ho iniziato a lavorare nel campo

che mi interessa, l’editoria. La cosa sorprendente è che, nono-

stante avessi una certa qualifica e investissi molto in quella car-

riera, dal punto di vista delle condizioni di lavoro non cambiava

niente rispetto ai lavoretti precedenti: tutto un’alternarsi di stages,

contratti a progetto, mancato rinnovo, trasferimento in una nuova

azienda e via tutto da capo, tirocinio, contratto a chiamata...

Che siano cooperative sociali, ristoranti, esercizi commerciali, call-

center, supermercati, giornali, case editrici, impieghi comunali, studi

di architettura; che si parli di tirocinii, di contratti di formazione, di

part-time, di lavori saltuari, a nero o con partita iva, di lavori fatti

per necessità, per arrotondare e accompagnare gli studi o, al contra-

rio, per avviare una carriera professionale, poco cambia: ovunque si

destina una quota consistente di lavoro ai giovani in formazione. M.

ci spiega bene il perché:

M: oggi ci richiedono un percorso di formazione pressoché infi-

nito, dove non c’è una vera soluzione di continuità tra Università,

stages, corsi di aggiornamento, master, dottorato di ricerca, im-

pieghi precari, praticantato e impieghi un minimo più stabili. Non

c’è nemmeno bisogno di pensare a una strategia particolare or-

ganizzata intorno alle riforme dell’Università. E’ sicuramente vero

che l’Università è stata dequalificata, per dequalificare il lavoro.

Ma il meccanismo è molto più semplice: gli anni di formazione

sono sempre più lunghi, e mentre si studia è naturale cercare dei

lavori flessibili. E i datori di lavoro non cercano altro che questo.

Possono sfruttarti il doppio perché sei tu che sei costretto a chie-

dergli un trattamento del tutto destrutturato. Il tempo passa e sei

nei fatti sempre un tirocinante.

Il sistema si regge sull’incontro di due domande di flessibilità: la fles-

sibilità che richiede lo studente-lavoratore, impegnato in un fru-

strante percorso di formazione tanto ossessiva quanto dequalificata,

e la flessibilità che l’impresa richiede per abbattere il costo del la-

voro. Quando il percorso di studi finisce, al lavoratore viene imposta,

anche per mezzo di una continua richiesta di aggiornamento, la

stessa identica flessibilità che adesso difficilmente gradisce. Pescare

tra i giovani vuol dire, per il datore di lavoro, risparmiare denaro.

Poco cambia se l’impresa in questione è il Comune di Firenze

stesso:

R. (studentessa di Psicologia): avevo saputo che ai Nidiaci, un

centro giovani del Comune, c’era bisogno di una sostituzione come

educatrice. Un amico che già ci lavorava ha fatto il mio nome e

mi hanno preso. Mi chiamavano quando avevano bisogno e do-

vevo presentarmi immediatamente. Pagavano bene, 20 euro lorde

l’ora. Ma ero un tappabuchi, di fatto non facevo niente, perché

non mi hanno fatto formazione e andando sporadicamente non era

possibile programmare nessun lavoro coi ragazzi. Era tempo perso

per tutti e il mio lavoro era dequalificato. Tutto questo per non ag-

giungere un altro lavoratore con un regolare contratto, che invece

sarebbe servito. Mi pagavano e tappavano il buco, poi ciao ciao.

Mi hanno addirittura pagata subito, per chiudere il rapporto più

velocemente possibile.

G. (studente di Lettere): da 9 anni faccio l’operatore servizi edu-

cativi per il Comune di Firenze. Cioè, fo il bidello negli asili nidi.

Ho fatto il concorso per fare le supplenze. Ci chiamano per periodi

di 2 settimane, ogni due-tre mesi circa. Con questo reddito da solo

non ce la faccio, quindi devo prendere altri lavori. E’ successo

spesso che i lavori si accavallassero, perché dal Comune ti chia-

mano all’ultimo e magari hai già preso impegni per i giorni se-

guenti. Una volta potevi rifiutare senza problemi, oggi non più.

Devi avere un giustificato motivo, che non può essere né lo studio

per un esame universitario né un altro lavoro. In pratica, quando

ti chiamano, deve essere la priorità. Dopo due rifiuti “ingiustifi-

cati” sei fuori dalle graduatorie. Questo è assurdo, perché è chiaro

che si tratta di un lavoro che può essere svolto solo da chi lo usa

per allungare. Che pensano, che si possa campare con 15 giorni

di lavoro ogni tanto?

Le riforme dell’istruzione hanno, da una parte, sempre più gerar-

chizzato, parcellizzato, dequalificato e tecnicizzato il sapere, per sot-

trarre al lavoratore ogni visione organica sui processi produttivi;

dall’altra, creato le condizioni affinché la domanda di forza-lavoro

potesse contare su una schiera sempre più numerosa di lavoratori,

costretti dal percorso formativo stesso a ricercare lavori flessibili. Le

riforme del sistema scolastico e le riforme del mondo del lavoro

marciano dunque di pari passo, con effetti capillari e drammatici

anche sul nostro territorio.

Come si lavora a Firenze e chi ci guadagna

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

-Rui Cola-

Page 8: CortocircuitO n°8 - DIETRO LE QUINTE DELLA CITTA'

Di questi tempi è impossibile non parlare diTAV e del movimento che vi si oppone, so-prattutto grazie alla lotta in Val di Susa.Anche Firenze, però, è attraversata dai can-tieri Alta Velocità, con tutte le loro caratte-ristiche: disastro ambientale, spreco didenaro pubblico, ed enormi profitti per im-prese e banche coinvolte nei cantieri. Nellospecifico, i lavori a Firenze prevedono la rea-lizzazione di due tunnel sotterranei lunghi7km, che partono dalla zona di Castello finoa Campo di Marte, passando per la Fortezzada Basso e Piazza della Libertà. L’appalto sel’è aggiudicato Coopsette, un’azienda diReggio Emilia già partecipante al sistematangentizio per la metro milanese negli anniNovanta, per 700 milioni. Ma Moretti, l’am-ministratore delegato di Ferrovie dello Stato,già parla di 3 miliardi di costi, che sicura-mente aumenteranno anche a causa dei pos-sibili danni strutturali agli edifici sovrastantii tunnel. Nel ‘98 il Ministero dell’Ambiente,a proposito del nodo Alta Velocità di Fi-renze, si pronuncia così: “Da un punto divista funzionale [l’opera] si presta a diversiordini di perplessità, in particolare perquanto concerne il bilancio fra risorse etempi necessari alla realizzazione da un lato,e l’esiguità degli effetti attesi in termini dicapacità ed efficienza dell’intero sistema fer-roviario dall’altro”.

verrà costruita perpendicolarmente ad unagrossa falda acquifera, con effetti imprevedi-bili, senza contare l’inquinamento acusticoed atmosferico dovuto, oltre ai lavori in sé,al continuo via vai di camion da e per il can-tiere. Traffico destinato ad aumentarequando si dovrà trasportare l’enorme moledi materiale di scavo (3.200.000mc) nellediscariche. Materiale che dovrà essere trat-tato come rifiuto speciale, con relativo au-mento dei costi. Il progetto finale è di unasuperficialità imbarazzante, neanche le valu-tazioni tecniche dell’Arpat (Agenzia regio-nale per la protezione ambientale dellaToscana), che esprimono preoccupazionesulla questione ambientale, fermano la vo-lontà politica di scavare: l’importante è cheil cantiere parta, il resto si vedrà. Il respon-sabile dei lavori del nodo fiorentino, taleFrancesco Bocchimuzzo, ha dichiarato chei lavori per la realizzazione dei tunnel ini-zieranno a metà maggio e proseguirannoper tre anni (stima fin troppo ottimistica). Ildisastro del Mugello, con 57km di fiumi ina-riditi, 24km di ridotta portata, 67 sorgentiscomparse, insieme a 37 pozzi e 5 acque-dotti privati, è un altro esempio della con-naturata devastazione che portano lecosiddette grandi opere. Perché il capitale habisogno di distruggere per poter costruire,

per questo non si impegna in piccole operedi manutenzione, perché non ne trarrebbenessun guadagno. Da questo assunto si ricavail mantra delle grandi opere: “è accettabilequalunque disastro economico purché leperdite siano addossate all’intera comunità,e i guadagni rimangano nelle mani di chigestisce l’operazione” [Cancelli]. È il cosid-detto “project financing”. In sostanza, ungrande spreco di denaro pubblico e grandiprofitti per i privati.

P o l i t i c a 8

Ilmovimento NoTave gli

In quest’ultima fase, il movimento

NoTav è riuscito a generalizzarsi

ed a radicalizzarsi, diventando un

punto di riferimento per le mobi-

litazioni dentro la crisi e contro

l’austerity.

Capire e comprendere le logiche

dietro alla linea Alta Velocità si-

gnifica scoprire come ragiona e si

relaziona il capitale rispetto allo

spazio e ai movimenti di opposi-

zione.

Nonostante i dubbi del Ministero, a queltempo guidato da Edoardo Ronchi, mini-stro del primo governo Prodi, e le alterna-tive messe sul tavolo, l’idea di realizzare lalinea in superficie, risparmiando soldi edevitando danni e contestazioni, non è statamai presa in considerazione. La banda delbuco ha necessità di scavare e riempire,mentre i danni ambientali, nonostante sianodi notevole entità, sono considerati del tuttosecondari. La stazione internazionale, infatti,

Il TAV può apparire come un progetto inu-tile, ma questo è vero solo in parte. Il TAV èutilissimo come valvola di sfogo di capitali,che altrimenti rimarrebbero fermi, consen-tendo quindi un giro di denaro tra ditte ap-paltatrici e subappaltatrici che si operanonella distruzione, nella costruzione e in uno

Page 9: CortocircuitO n°8 - DIETRO LE QUINTE DELLA CITTA'

smaltimento dei rifiuti non indifferente. Quindi il profitto come codice sovrano, e lavalorizzazione del capitale attraverso l’acce-lerazione dello spostamento delle merci(che, peraltro, sulla tratta Torino-Lione lati-tano), come un must da raggiungere anchea costo di militarizzare una valle, distruggereil territorio e compromettere la salute diun’intera comunità. E se nel frattempomuore fulminato qualche contadino ribelle,tanto meglio! Da questa parte della barricatasta il movimento NoTav, che da oltre ven-t’anni si oppone alla realizzazione di que-st’opera. Un movimento dalla composizioneintergenerazionale, di cui fanno parte stu-denti, lavoratori e pensionati. In quest’ultima

fase, il movimento NoTav è riuscito a gene-ralizzarsi ed a radicalizzarsi, diventando unpunto di riferimento per le mobilitazionidentro la crisi e contro l’austerity. I suoi temicentrali sono la lotta ai tagli, al debito, control’abbattimento delle politiche di welfare edei diritti dei lavoratori, proponendo unmodo diverso di fare ed intendere la politicaed i rapporti sociali, condannati alla fram-mentazione. Sono contro lo sviluppo capi-talistico (cioè il profitto delle aziende) chevuole imbrigliare e distruggere una delle re-altà tra le più floride in Italia.

economica, la cultura, il diritto, la politica.Perdere questa battaglia significa lasciarecampo libero ad azioni e comportamenti si-mili in tutti i campi della vita associata.Anche per chi sta dall’altra parte della bar-ricata è una battaglia importante. Per il go-verno Monti, cedere sulla questione TAVsignificherebbe fare una grossa retromarciasulle manovre politiche effettuate sinora,oltre che mettere in discussione la presuntaoggettività del sapere di certi tecnici. Masono soprattutto il Pd (che si è rovinato so-stenendo il TAV), e il “Partito de La Repub-blica”, a svolgere il ruolo di ciechisostenitori della supposta oggettività dellosviluppo capitalistico e del cosiddetto “inte-resse generale”, nella questione TAV comein altre (vedi le politiche lacrime e sangue).Capire e comprendere le logiche dietro allalinea Alta Velocità significa scoprire come ra-giona e si relaziona il capitale rispetto allospazio e ai movimenti di opposizione. Se peril primo vale la formula costrusci-distruggi-costruisci, per il secondo lo Stato gendarmeha un’unica ricetta: la repressione. È qui chesi inseriscono le decine di arresti firmati dalprocuratore di Torino Caselli, così solerte adaccanirsi contro gli esponenti del movi-mento NoTav, ma molto meno disposto amuoversi sugli abusi delle forze dell’ordinee sulle infiltrazione della ‘ndrangheta neicantieri. La lotta contro il TAV è un’oppor-tunità di unificazione delle lotte e un’occa-sione per riequilibrare i rapporti di forza. Sequest’occasione verrà sfruttata, non ci sa-ranno bastoni o carote capaci di fermare ilmovimento.

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

Fonti :>> uninomade.org

>> notavfirenze.blogspot.it

>> infoaut.org

>> militant-blog.org

>> altracita.org

-Supertramp-

e gli interessi a cui si oppone

È dunque un movimento centrale e ricom-positivo, che affronta una battaglia impor-tantissima, vitale, da vincere. Perchè il TAVè un treno e molto di più. È un paradigmadi pensiero, un modo di concepire i rapportisociali, le relazioni con il territorio, l’attività

Perché il TAV è un treno e molto

di più. È un paradigma di pen-

siero, un modo di concepire i rap-

porti sociali, le relazioni con il

territorio, l’attività economica, la

cultura, il diritto, la politica.

Page 10: CortocircuitO n°8 - DIETRO LE QUINTE DELLA CITTA'

Lontano da ciò che vediamo attraverso i

media, lontano dagli indici finanziari, lon-

tano dalle sigle e siglette di partiti e sinda-

cati, c'è una metropoli di persone, e in

questa metropoli un quartiere fatto di par-

tecipazione, autogestione, dibattito politico,

che sfida l'alienazione e le conseguenze tre-

mende che la crisi greca impone ai suoi abi-

tanti. Il quartiere in questione è Exarchia.

Quartiere storico di resistenza e di costru-

zione di un'alternativa al sistema capitalista

e a tutte le sue espressioni autoritarie, rac-

chiude in sé un impegno politico e sociale

che abbraccia tutte le generazioni.

Dalla lotta politica all'emancipazione del-

l'uomo dal capitale, attraverso lo sviluppo

dei veri beni comuni, nel 2008, nella stessa

strada in cui fu assassinato il sedicenne Ale-

xis, è stato occupato uno squallido parcheg-

gio privato. Strappato alle leggi del capitale,

ora è un punto di ritrovo per il quartiere.

Nel momento in cui lo spazio doveva essere

venduto all'Ordine degli ingegneri perché

ci costruissero i loro uffici, i cittadini del

quartiere si sono mobilitati per occuparlo.

Studenti, militanti, lavoratori e pensionati se

ne sono riappropriati, trasformandolo in un

parco, punto verde di utilità per tutti, un

luogo dove sono stati installati giochi per

bambini ed un cinema all'aperto, dove le

piante verdi e fiorite irrompono nell'archi-

tettura grigia dell'alienazione metropolitana.

All’occupazione è seguita l’autogestione: gli

abitanti del quartiere e chiunque voglia par-

tecipare si riuniscono in assemblea tutte le

settimane, per organizzarne la gestione, il

servizio d’ordine, la cura e l’utilizzo. La

composizione dell’assemblea è estrema-

mente eterogenea e alla cura del parco par-

tecipano gomito a gomito giovani e anziani,

accomunati dalla lotta sociale per il quar-

tiere.

ordine pubblico”, ossia per cercare di inde-

bolirne l’influenza sul tessuto sociale della

città.

Ciononostante, gli studenti di architettura,

rimasti nella vecchia sede, hanno dato con-

tinuità alla lotta, occupando l'enorme vuoto

lasciato dallo spostamento strategico del Po-

litecnico. Nei fatiscenti capannoni hanno

dato vita ad un’esperienza di autogestione e

collettivizzazione della vita universitaria.

Entrando nel capannone da una piccola

porta, si rimane colpiti dall’organizzazione

che gli occupanti sono riusciti a darsi, met-

tendo a disposizione degli studenti ciò che

l’università della riforma europea ha sot-

tratto: spazi di studio dove ognuno può co-

struire il proprio percorso di formazione,

socializzare le conoscenze acquisite ed ela-

borare progetti comuni in maniera comple-

tamente libera ed autonoma. Uno dei due

capannoni è stato suddiviso in aule in cui gli

studenti che preparano il progetto di tesi

possono avere a loro disposizione uno spazio

adeguato, con tavoli di lavoro, computer,

connessione internet libera, strumenti tec-

nici a disposizione di tutti e una cucina col-

lettiva. Il secondo capannone è stato adibito

a esposizioni d’arte, iniziative politiche e di-

battiti. Cosa ancor più importante, viene

utilizzato come aula magna per la discus-

sione delle tesi di laurea, avvicinando così

anche i professori a questa esperienza. Gli

occupanti, in questo modo, riescono ad im-

porsi nei rapporti di potere tra l’istituzione

universitaria e coloro che l’università la vi-

vono e la animano tutti i giorni. Le opere

d’arte che colorano le mura esterne sono il

volto artistico di una battaglia politica, quella

per essere riconosciuti come attori fonda-

mentali della vita universitaria.

I legami tra le varie anime del movimento

ateniese arrivano a portare linfa vitale ai

nodi periferici della lotta metropolitana: un

filo di solidarietà politica unisce il quartiere

di Exarchia alla fabbrica siderurgica nella

zona industriale di Aspropyrgos. Lì, dal 12

ottobre 2011, 380 lavoratori sono in scio-

pero permanente. Le condizioni di lavoro

P o l i t i c a

Dietro le quinte del movimento

10

Appunti ateniesi

Un racconto a sé merita la facoltà di archi-

tettura, vecchia sede del Politecnico, passato

alla storia come centro nevralgico del mo-

vimento di resistenza contro i Colonnelli,

fino al 1974, e punto di partenza delle lotte

studentesche degli ultimi anni. Data la sua

importanza politica e la sua posizione stra-

tegica, il Politecnico è stato recentemente

spostato in periferia per evitare “problemi di

La coscenza di classe si è imposta

con tutta la forza della storia.

Concerto di solidarietà - Fabbrica occupata ad Aspropyrgos

Page 11: CortocircuitO n°8 - DIETRO LE QUINTE DELLA CITTA'

sono sempre state disumane: in estate la

temperatura interna dello stabilimento rag-

giunge i 75°C, in inverno 45°C. I macchi-

nari fatiscenti, le pedane mangiate dalla

ruggine e le alte temperature sono costati 75

arti amputati e la morte di un lavoratore in

un solo anno. Dal 12 ottobre, alla decisione

di ridurre il salario del 40% e di effettuare

alcuni licenziamenti, i lavoratori hanno dato

inizio alla lotta.

Sono subito nati comitati autogestiti, primo

tra tutti quello delle mogli degli operai, che

si sono mobilitate per non pagare gli asili e

le scuole ai figli, visto che i soldi in famiglia

si erano dimezzati. Tutta la Grecia ha dimo-

strato solidarietà attiva: casse di ortaggi por-

tate dalle campagne riempiono quelli che

una volta erano gli uffici della dirigenza;

giovani e studenti hanno organizzato inizia-

tive, tra cui un concerto nel cortile della fab-

brica, riportando l’umanità nel luogo

archetipo dell’alienazione capitalista. Nello

sciopero, inizialmente indetto dai lavoratori,

si sono rispecchiate le varie realtà del movi-

mento greco, con una preponderanza del

sindacato PAME (legato al KKE, partito co-

munista greco), che in quella fabbrica conta

4 iscritti. Allo sciopero hanno collaborato la-

voratori indipendenti e alcuni gruppi anar-

chici; ad oggi, sesto mese di sciopero, tutti e

380 i lavoratori della fabbrica partecipano

attivamente. Nonostante i legami tra il

PAME e il KKE e le divergenze ideologiche

tra i partecipanti, il sostegno reciproco dei

lavoratori dello stabilimento è nato sulla

base dei rapporti di fiducia, maturati in anni

di condivisione della stessa condizione di lo-

gorante sfruttamento. La coscienza di classe

si è imposta con tutta la forza della storia.

ma che mantiene le sue divisioni e contrad-

dizioni a livello politico. In un periodo eco-

nomicamente favorevole le categorie

politiche sono dettate da ideologie, divisioni

e microfazioni. Qui, queste sono state sba-

ragliate dalle condizioni materiali, risve-

gliando una diffusa coscienza critica. Questo

non è nato dal niente, ma è il risultato di un

lavoro durato anni: dietro alla conflittualità

che viene riversata nelle piazze (l’unico

aspetto che riportano i media mainstream),

c’è un capillare lavoro di controinforma-

zione, un’alternativa sociale costruita a par-

tire dagli angoli dei quartieri, un importante

fermento culturale. In Italia, un paragone

necessario, per continuità e perseveranza, è

sicuramente il lavoro ventennale in Val di

Susa, dove un’intera comunità si è ritrovata

attorno ad una battaglia politica comune,

creando una coscienza critica che ne legit-

tima l’azione.

Il movimento greco, concepito in primis

come movimento dal carattere sociale, riesce

ad includere diverse concezioni di lotta tro-

vando nella reciproca solidarietà il comune

denominatore. Dimostrandosi duri, senza

perdere l’umanità.

Dietro le quinte del movimento

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

-Cecchino-Ines-Philip Liguori-

Appunti ateniesi

“La realtà è molto più complessa di quantole nostre categorizzazioni cerchino di de-

scrivere”.

Queste parole, pronunciate da una compa-

gna greca, fanno riflettere su quanto detto

fin qui.

Quello descritto è solo uno degli aspetti

della complessa realtà greca, quello della rete

sociale venutasi a creare in anni di lavoro

continuo tra le varie realtà del movimento,

In un periodo economicamente

favorevole le categorie politiche

sono dettate da ideologie, divi-

sioni e microfazioni. Qui, queste

sono state sbaragliate dalle con-

dizioni materiali, risvegliando una

diffusa coscienza critica.

Giardino occupato - quartiere di Exarchia, Atene

Page 12: CortocircuitO n°8 - DIETRO LE QUINTE DELLA CITTA'

"Basta con questi scarpari marchigiani, Fi-renze merita di più!", "Dieci anni fa era-vamo in C2 a giocare col Gubbio, se nonfosse per i Della Valle saremmo ancora lì, perquesto bisogna essergli grati!", "Macché, aquelli ormai non importa più nulla dellaFiorentina. Della Valle fuori dalle palle!", "Sì,sì, bravi e se loro vendono chi compra? Cac-ciateli fuori voi i soldi che criticate tanto!"Commenti del genere si accavallano conti-nuamente nello spazio di comunicazionevirtuale di Fiorentina.it (il bar sport ai tempidi Facebook): c'è chi si indigna per i risultatiindecorosi della propria squadra e, non ve-dendo impegno e investimenti, chiede agran voce la cacciata dei fratelli marchigiani,e c'è chi, nonostante non possa negare lacrisi della Fiorentina, invoca a loro difesal'assenza di alternative credibili. Chi ha ra-gione? Tutti, o meglio, nessuno. Hanno ra-gione gli indignati ad indignarsi, cimancherebbe, la squadra è una vergogna...Hanno ragione i realisti a non vedere sceic-chi carichi di petrodollari (i famosi investi-menti esteri...), decisi ad investire sullamaglia viola per riportarla in Champions.

l'ingresso in campo di Tele+, la prima pay tvin Italia, antenata dell'odierna Sky. Da allorala vendita dei diritti televisivi è diventata ra-pidamente la prima fonte di finanziamentodei club, con un'immissione di capitali maivista prima nel calcio.Il 1990 è anche, guarda caso, l'anno delle"notti magiche" dei mondiali italiani, ac-compagnati a un giro mostruoso di appaltiper la ristrutturazione degli impianti spor-tivi.

mente alla questura il testo dello striscione,che potrà essere esposto solo previa autoriz-zazione). Sulla scia dei provvedimenti diAmato, il suo successore Roberto Maroni(governo Berlusconi) impone la tanto dibat-tuta Tessera del tifoso, che non è una sche-datura di massa (per quello ci sono già ibiglietti nominali, introdotti invece da Giu-seppe Pisanu, ministro dell'Interno di cen-trodestra nel 2005), come è stato spessoerroneamente detto. Il suo ruolo, più che re-pressivo, è selettivo e produttivo. Un docu-mento, approvato il 23 aprile 2008dall'Osservatorio Nazionale sulle Manifesta-zioni Sportive, parla chiaro a proposito:«L'esigenza che le società calcistiche possanocontare su una tifoseria/clientela sempre piùnumerosa passa, anche, attraverso l'introdu-zione della Tessera del tifoso. Si incentiva laformazione di una “comunità privilegiata”[…] di sostenitori ufficiali» .Così la priorità del profitto viene impostatramite la repressione dei soggetti più restiiad accettare le logiche del cosiddetto "calciomoderno", ed attraverso dispositivi atti allacreazione del nuovo tifoso-cliente.L'operato dei fratelli Della Valle va ad inscri-versi in questo quadro. Arrivati a Firenze nel2002, acquistando la Fiorentina a prezzostracciato dopo il fallimento di Cecchi Gorie la discesa della squadra in C2, gli indu-striali marchigiani sfruttano il "marchio Fio-rentina" a scopi pubblicitari, implementandoi profitti delle loro aziende: lo “stile Fioren-tina”, la retorica del fairplay o la scelta di“Save the children” come sponsor, lungi dal-l'essere iniziative di promozione dei tantosbandierati valori sportivi, altro non sonoche frutti di strategie di marketing volte adaumentare l'“appeal” del giglio rosso, ridottoa logo pubblicitario. Oltre al ritorno econo-mico occorre ricordare quello politico:Diego Della Valle (che, è bene rammentare,è azionista di aziende come AssicurazioniGenerali, Rcs Media Group e Ferrari), purnon essendo mai entrato direttamente inpolitica, è stato prima finanziatore di ForzaItalia, poi supporter di Mastella e antiberlu-sconiano, infine sponsor del governo tec-nico: il 1 Ottobre del 2011, comprando glispazi pubblicitari dei quotidiani italiani,

F i r e n z e

I Della Valle nel calcio moderno

12Pressing sulla città

Contemporaneamente alla crescita esponen-ziale del giro di soldi attorno al calcio, ven-gono presi i primi provvedimenti specialiper la sicurezza negli stadi. Il 13 dicembre1989 viene inaugurata l'era del DASPO (di-vieto di accesso alle manifestazioni sportive),ovvero il divieto temporaneo (ad oggi perun massimo di 5 anni) di assistere a qualsiasievento sportivo ufficiale, in seguito ad uncomportamento "non congruo" tenutonegli stadi. Vera e propria legge speciale inderoga allo stato di diritto: trattasi, infatti, diuna limitazione della libertà personale chepuò essere comminata direttamente dagliorgani di polizia, senza la possibilità di unadifesa legale adeguata. È un tipo di legisla-zione speciale che si è cercato recentementedi esportare fuori dagli stadi: è stata infattidiscussa tra le forze politiche l'introduzionedel DASPO ai cortei dopo gli scontri del 15ottobre 2011 e del 14 dicembre 2010 aRoma; gli stadi sono da anni un laboratoriodi repressione. Il delirio securitario all'in-terno degli stadi vedrà poi il suo apice nel2007, dopo la morte dell'ispettore di poliziaFilippo Raciti in occasione degli scontri tratifosi catanesi e palermitani, a cui seguirà ildecreto dell'allora ministro degli interniGiuliano Amato (governo Prodi): prefiltrag-gio e tornelli all'ingresso, tamburi, fumogenie megafoni vietati e censura preventiva suglistriscioni (obbligo di dichiarare preliminar-

Gli industriali marchigiani sfrut-

tano il "marchio Fiorentina" a

scopi pubblicitari, implemen-

tando i profitti delle loro aziende.

Eppure, i due cori contrapposti non colgonoil nocciolo della questione: non si contestua-lizza la "questione Della Valle" in quello cheè il "sistema calcio", a sua volta inserito edintegrato come parte attiva e propulsiva del"sistema" economico e politico vigente. Il calcio, negli anni, è divenuto la sesta in-dustria nazionale, un processo che ha avutoun'accelerazione all'inizio degli anni '90 con

Lo “stile Fiorentina”, la retorica

del fairplay o la scelta di “Save

the children” come sponsor, lungi

dall'essere iniziative di promo-

zione dei tanto sbandierati valori

sportivi, altro non sono che frutti

di strategie di marketing volte ad

aumentare l'“appeal” del giglio

rosso, ridotto a logo pubblicita-

rio.

Page 13: CortocircuitO n°8 - DIETRO LE QUINTE DELLA CITTA'

pubblica una lettera di denuncia contro i

partiti ormai incapaci di guidare il paese,

guarda caso appena un mese e mezzo prima

della nomina di Monti al governo.

A Firenze, nel frattempo, i Della Valle colla-

borano alla sperimentazione di un nuovo

modello di gestione dell'ordine pubblico:

una sorta di concertazione tra Questura, so-

cietà ACF Fiorentina e una parte della tifo-

seria presa come referente (che come

naturale conseguenza ha la dura repressione

di quella parte di tifosi “dissidenti”). Il tutto

propongono, per colmare il gap di entrate

con le grandi del campionato, la costruzione

della Cittadella Viola nella zona di Castello:

un'area di 80 ettari su cui costruire un

nuovo stadio circondato da un parco giochi

a tema calcistico (una sorta di "Disneyland

del calcio"), centri commerciali, cinema,

parcheggi e palazzine. Una cascata di ce-

mento e una pioggia di appalti e specula-

zioni, finalizzate ad autofinanziare il

"Progetto Fiorentina" tramite un consumo

idiota, in un contesto "per famiglie" com-

pletamente disciplinato. Sarà poi un'inchiesta

della magistratura a fermare tutto: nell'au-

tunno del 2008 l'area verrà posta sotto se-

questro preventivo a causa di un losco giro

di soldi e favori tra il palazzinaro Ligresti ed

elementi di spicco della giunta Domenici,

tra cui il paladino della legalità, lo “sceriffo”

Graziano Cioni.

Fallito il progetto Cittadella, e con esso nau-

fragato quello sportivo, per l'immediato e

polemico passo indietro dei Della Valle nella

gestione e nell'investimento societario, in

città è iniziato a serpeggiare del malumore.

Renzi si inventa così una nuova idea per ri-

lanciare la Fiorentina, strombazzando il pro-

getto di un nuovo stadio nell'area Mercafir

a Novoli; nel frattempo i Della Valle tenten-

nano di fronte alla proposta del sindaco, in-

certi sulle potenzialità di profitto di un'ope-

razione che ridisegnerebbe il tessuto urba-

nistico fiorentino, con annesse speculazioni.

L'alternativa è quella della dismissione: ab-

battere il prezzo dell'ACF Fiorentina, ren-

derla più appetibile sul mercato e cercare un

nuovo acquirente.

In questo contesto si capisce come le chiac-

chiere pro e contro i Delle Valle risultino

vuote, sterili e fuorvianti. La scelta non è tra

un padrone e l'altro, ma tra la passiva accet-

tazione e l'opposizione attiva alla mercifica-

zione e alla repressione, creando spazi di

conflitto dentro e ancor di più fuori dagli

stadi, e promuovendo altrove iniziative spor-

tive fuori dalla logica di mercato.

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

Fonti :>> “Stadio Italia, i conflii del calcio mo-

derno”, AA.VV.

>> “Il derby del bambino morto”, Valerio

Marchi

>> “Allenamento di fair play”, YouTube

>> letera di Della Valle contro i parii,

corriere.it

-Sonic Death-

volto a creare un ambiente disciplinato e

produttivo, in cui però non spariscano il ca-

lore ed il colore garantiti dai tifosi, funzionali

alla riuscita dello spettacolo televisivo.

Dopo i primi risultati positivi della squadra,

«L'esigenza che le società calcisti-

che possano contare su una tifo-

seria/clientela sempre più

numerosa passa, anche, attra-

verso l'introduzione della Tessera

del tifoso.» Osservatorio Nazio-

nale sulle Manifestazioni Spor-

tive

Diego e Andrea Della Valle

Page 14: CortocircuitO n°8 - DIETRO LE QUINTE DELLA CITTA'

Qualche anno fa si appendeva alla finestra la

bella bandiera della Pace, ora anche quella

poca fatica si è risolta in un click e in poche

ore la bandiera senegalese compare nei pro-

fili facebook di tutti. La “solidarietà” si

esprime quasi solo attraverso schermo e ta-

stiera: due muri sempre più alti che ci sepa-

rano dai personaggi in carne ed ossa che

vivono la strada. Allo stesso tempo è impen-

sabile credere che il problema del razzismo

non sia sotto gli occhi di tutti, soprattutto in

seguito ai fatti dello scorso 13 dicembre

(vedi articolo nel numero 7), così come

quello dell’emergenza abitativa, di cui Fi-

renze in particolare si è resa attrice princi-

pale con i suoi oltre 500 sfratti (di cui il 90%

per morosità) e le sue 8.300 famiglie in at-

tesa di essere sfrattate.

L’ emergenza abitativa“Duemila famiglie sotto sfratto. Diecimila

case senza famiglia”. A metà del mese

scorso, tre famiglie morose, bambini com-

presi, hanno deciso di occupare uno stabile

sfitto da anni in via Baracca 25 con l’aiuto

degli attivisti del Movimento di Lotta per la

Casa. Una vera e propria necessità, come

tante altre, di fronte all’avanzamento della

crisi e allo spaventoso aumento del costo

degli affitti, tra l’altro molti dei quali a nero,

per cui Firenze spicca nello scenario ita-

liano. Per un numero sempre maggiore di

famiglie, sia straniere che italiane, la minaccia

dello sfratto sta diventando un incubo: per

dare alcuni numeri, solo per il mese di aprile

ne sono previsti ben 80. Lontano da giudizi

morali, spesso molto distaccati e generalisti,

la scelta di queste famiglie è praticamente

costretta, così come la resistenza fisica al mo-

mento dello sgombero: l’alternativa è la

strada e, come se non bastasse, l’azzeramento

del punteggio per l’assegnazione della casa.

Vi è infatti un sistema per il quale a ogni fa-

miglia vengono assegnati tot punti nell’at-

tesa per un’abitazione propria, ma anche nel

caso in cui una di esse arrivasse ai primi

posti della graduatoria, una volta sfrattata e

scesa in strada si troverebbe senza un tetto e

senza punteggio. E quindi senza la speranza

di ricevere una casa dal Comune attraverso

vie “legali”. Così come avverrà per i rifugiati

politici e non somali, eritrei ed etiopi (arri-

vati a circa 140 persone) che da mesi occu-

pano lo stabile di via Slataper 6, per cui lo

sgombero è già stato più volte tentato, e di

nuovo lo sarà in tempi molto brevi. Si vedrà

per via Aldini, il cui progetto di autorecu-

pero, sempre alla ricerca di una soluzione al

problema abitativo, sembra per il momento

non essere a rischio. “Chiediamo requisi-

zioni, recuperi e la dichiarazione dello stato

di emergenza” sostiene Lorenzo Bargellini

del Movimento, l’organizzazione grazie alla

quale di fatto molte persone, uomini, donne

e bambini indistintamente, sono riusciti a

fuggire dalla strada e a trovare uno stile di

vita più o meno dignitoso sotto la prote-

zione di un tetto e quattro mura. Ma la si-

tuazione è un’emergenza in divenire:

l’acuirsi della crisi permetterà a un numero

sempre minore di nuclei familiari di pagare

affitti sempre più impossibili, la cui specula-

zione è apertamente legalizzata dalla legge

431, fino al punto in cui sfratti, tasse ed

esclusione sociale diventeranno parole di uso

corrente per tutti.

Nuovi episodi di razzismoCapita spesso che gli occupanti abusivi degli

stabili di cui trattato sopra siano stranieri,

non tutti, ma molti. Difficile negare che il

trattamento loro riservato non sia proprio lo

stesso del “puro” cittadino italiano e che

l’accento diverso, la pelle, gli occhi, la con-

dizione sociale non interferiscano nella loro

interazione in città. Il problema si pone su

due piani distinti: quello del buon cittadino,

o dei singoli individui più in generale, e

quello istituzionale. Informandosi molti uni-

camente attraverso i canali d’informazione

ufficiali, l’immaginario comune riflette per-

fettamente quello proposto dai media: ac-

cade così che a una manifestazione di

solidarietà indetta da partiti e sindacati della

“sinistra” opportunista partecipino 40mila

persone, mentre in seguito agli episodi suc-

cessivi ne scendano in piazza appena mille.

Come in altri paesi, ma in particolare in Ita-

lia, la criminalizzazione razzista è estremiz-

zata, rafforzata da leggi che conferiscono

molto potere alla polizia e alle autorità e pa-

lesata dalle norme e le infinite pratiche per

l’accesso al visto, la domanda di asilo, l’otte-

nimento del permesso di soggiorno e il suo

rinnovo. Tutti elementi atti a proteggere gli

italiani dai “delinquenti nati”. Anche le sta-

S o c i e t à & C u l t u r a14

Backstages fiorentiniDal problema abitativo al razzismo di strada e istituzionale

Page 15: CortocircuitO n°8 - DIETRO LE QUINTE DELLA CITTA'

tistiche parlano chiaro, smentendo il fatto

che gli immigrati abbiano contribuito al-

l’aumento dei reati: dal 1990 al 2009, per

esempio, il totale dei reati è diminuito men-

tre gli immigrati (regolari e irregolari) sono

aumentati del 420%. A Firenze, negli ultimi

anni, si respira un’aria più pesante, si pensi

all’ordinanza contro i lavavetri per cui la

pena può arrivare fino a tre mesi d’arresto o

a multe da 200 euro, ma dopo i fatti del di-

cembre scorso il clima sta cambiando ulte-

riormente. L’eco della strage di Casseri

sembra risuonare ancora: la notte del 3

marzo due uomini e una donna aggredi-

scono quattro ragazzi somali davanti al cen-

tro autogestito Kulanka di via Luca

Giordano e all’episodio viene subito attri-

buito il movente del regolamento di conti,

pubblicamente smentito dal centro. Tutto

ciò a distanza di una settimana da un'altra

aggressione, sempre nei confronti di rifugiati

politici somali, avvenuta nella notte del 25

febbraio al centro PACI. Seguita diretta-

mente dal Ministero degli Interni (con Giu-

seppe Quattrocchi), qui la questione si

complica e la scusa del regolamento di conti

non è pensabile: attori dell’aggressione sono

infatti due poliziotti, uno dei quali con pre-

cedenti simili e implicato nella vicenda del

G8 di Genova, che in seguito alla richiesta

di spiegazioni da parte dei ragazzi somali per

cui avrebbero dovuto mostrare i propri do-

cumenti alle forze dell’ordine - “non si è

trattato di un rifiuto” precisa il Movimento

- li hanno violentemente aggrediti, inse-

guendoli addirittura all’interno dell’edificio.

I ragazzi, terrorizzati, all’inizio non hanno

raccontato niente. Solo dopo molte do-

mande e sollecitazioni da parte di alcuni at-

tivisti del Movimento si sono convinti a

sporgere denuncia (il che fa riflettere su

quanti episodi del genere potrebbero svol-

gersi nel silenzio). Due fatti slegati tra loro,

ma senza dubbio riconducibili al problema

del razzismo dilagante, che si è così reso ma-

nifesto anche all’interno delle istituzioni

tanto care al buon cittadino.

Il piano istituzionalePerché le istituzioni intervengono così rara-

mente e solo in funzione repressiva? Mettere

al muro il problema è meno complicato e

costoso, e a Firenze, anche in questo caso,

piace mettersi in gioco come pedina vin-

cente: dall’inizio dell’anno infatti vi sono

state ben quattro vittime delle camere di si-

curezza della Questura di Firenze. Il Movi-

mento di Lotta per la Casa ne richiede già

da tempo l’abolizione, col consenso del ga-

rante dei diritti dei detenuti Alessandro

Margara, ma ancora si vede solo tanto fumo.

Nel mentre, si espandono sul territorio fio-

rentino Casaggì, CasaPound e la Fenice: la

parte più visibile del problema, e in quanto

tale quella estirpabile. La definizione di Pape

Diaw su CasaPound in seguito alla strage di

Casseri chiarisce il concetto: “Un luogo

dove si insegna l’odio verso l’altro, questi

luoghi andrebbero chiusi. Perché una ferita

non curata incancrenisce”. Ma permetten-

done la presenza sul territorio e finanzian-

doli, le istituzioni fiorentine si rendono

complici di questo clima. I bandi per gli al-

loggi popolari si presentano una volta ogni

sei anni, e su fasce di reddito ben più alte di

quelle di cui le famiglie in questione di-

spongono, gli iter per la regolamentazione

non vengono avviati neppure a livello bu-

rocratico: questa è la linea che segue Clau-

dio Fantoni, assessore fiorentino alla casa.

Tutto questo non si nota all’apparenza, basta

che il volto della città sia sempre più invo-

gliante allo sguardo dei turisti stranieri. Un

doppio flusso di forestieri inonda il capo-

luogo fiorentino, e delle bellezze della città

uno ne gode, l’altro ne muore. I palazzi si

vendono all’asta e gli alloggi popolari offerti

non sono mai abbastanza. Con la giunta

Renzi i percorsi di controllo delle famiglie

sotto minaccia di sfratto sono sempre più di-

sciplinari, il centro si svuota ma è sempre più

bello, la periferia chiama. Ed è li che si tro-

vano gran parte dei 200mila alloggi sotto

sfratto della Toscana, dove la risposta delle

istituzioni mantiene linee piuttosto ostili.

“Se a Firenze un minimo di dialogo con le

istituzioni è stato trovato, nella periferia è

totalmente assente” spiega Lorenzo Bargel-

lini. Le dinamiche sembrano portare Firenze

a una situazione molto simile a quella ro-

mana prima di Veltroni, ora di Alemanno.

Che Renzi stia prendendo spunto per una

nuova Firenze capitale?

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

Fonti :

>> Razzismo democraico, Salvatore Pa-

lidda

>> Movimento di Lota per la Casa, lota-

perlacasafirenze.noblogs.org

-Bet-

Backstages fiorentini

Page 16: CortocircuitO n°8 - DIETRO LE QUINTE DELLA CITTA'

Sta nel normale ordine delle cose, oggi, ilconsiderare lo spazio comune come unluogo di passaggio che non ci appartiene.Sfrecciamo per le strade per spostarci da unposto a un altro in una “simultaneità senzascambio”, camminiamo veloci senza guar-darci intorno, sfruttiamo i luoghi a secondadel bisogno momentaneo, senza dare un va-lore a niente, se non a ciò che in questi luo-ghi consumiamo. Ci troviamo perciò allacostante ricerca di spazi dove il consumo ciconsumi di meno, dove una birra che ac-compagna quattro chiacchiere non costi piùdi due euro, con lo sguardo che si sposta daun marciapiede all’altro nell’affannosa ri-cerca di un minimarket, i cui proprietarinemmeno guardiamo negli occhi. Ci sonopoi quei giorni in cui il portafoglio è un po’più pieno, e possiamo permetterci di con-sumare di più, perché quella stessa birraquando la paghi cinque euro è sicuramentepiù buona, e sedersi al tavolino di legno diun pub crea tutta un’altra atmosfera. Ab-biamo smesso di domandarci che cos’è checi appartiene. Abbiamo smesso di dare valorealle persone che abbiamo di fronte, alle lorostorie. Non ricerchiamo più spazi di espres-sione, dando per scontato che l’immensa va-stità delle scelte che ci sono proposte, dalgrande magazzino al mercato, dal negoziettodell’usato all’outlet, dai blog ai social net-works, ci permetta di definire noi stessi nelmodo che più è nostro.

Ma se prendiamo in mano la cartina di Fi-renze - grigia e marroncina, pochi parchi,giardini, piazze vissute - e facciamo atten-zione, non è difficile scorgere delle scintille;è facile, però, non farci caso, e classificarlecome qualcosa che non ci riguarda diretta-mente. Si tratta degli spazi sociali, luoghi incui finalmente lo spazio torna a significarepossibilità e opportunità, e il sociale non siconcretizza più in corpi associati, ma diventarealtà collettiva.

spazi vengono tessute, attraverso la costru-zione collettiva che vi si opera, che è possi-bile smuovere l’indifferenza che permea lenostre vite. Si tratta di farsi spazio, di guada-gnare terreno sul campo di battaglia che èstato costruito contro la nostra umanità. Ilvalore di uno spazio sociale oggi è di fattoincommensurabile: fondamentale viverlo,parteciparlo, liberarlo. È innegabile che i va-lori proposti dalla società in cui viviamosiano innanzitutto l’individualismo, la con-correnza, la meritocrazia e il consumismo;in questo senso, determinati luoghi rappre-sentano uno spazio di resistenza da valoriz-zare e costruire quotidianamente. Ledinamiche di organizzazione e socialità cheè possibile vivere all’interno di situazioni diquesto tipo sono uno dei pochi barlumi dilibertà che ci rimangono. Lo spazio diventaal contempo fine e mezzo per avanzare: nellamisura in cui l’occupazione, quindi libera-zione, di uno spazio privatizzato a favoredell’interesse collettivo diventa la posta ingioco, e le possibilità che si vengono a creareal suo interno strumento e forza contro ilpensiero unico e la passività, verso cui siamoquotidianamente spinti.Siamo abituati a considerarli, spesso, comemeri luoghi di aggregazione, in cui i corpiassociati diventano niente di più che corpiaggregati, che si muovono al ritmo di qual-che canzone reggae, ska, drum’n’bass. Ma ladifferenza tra uno spazio sociale ed un localec’è, ed è abissale. E questa differenza si na-sconde proprio dietro a qualche tizio sulpalco, enormi impianti e un bar, a cui, be-vendo birra a un euro e gioendo del per-messo di fumare al chiuso, nemmenofacciamo caso. Partecipiamo a serate neicentri sociali senza chiederci come questapossibilità di cui stiamo godendo sia statacostruita. Il valore di un concerto all’internodi uno spazio sociale sta nel fatto che l’or-ganizzazione dietro ad esso è autogestita edorizzontale: chiunque decida di partecipareai momenti assembleari ha la piena oppor-tunità di mettere in gioco se stesso e le pro-prie idee, di collettivizzarle, di proporre ecostruire quello che vorrebbe trovare, di farsiprotagonista in un teatro dove tutti sonoprotagonisti. Ci sono degli artisti che, nel

S o c i e t à & C u l t u r a

Né arrivo, né partenza, ma continuità

16Esperienze in comune

Uno spazio sociale - sia esso un centro po-polare, uno squat, una stanza liberata - con-tiene in sé il valore di un’esperienza incomune. Nonostante non basti recarsi in uncentro sociale per sottrarsi all’ideologia do-minante, questo potrebbe essere un punto dipartenza per dare un senso diverso al nostrotempo. Anni, mesi, talvolta solo poche setti-mane fa, alcune persone hanno avuto la vo-lontà di organizzarsi insieme, per restituirealla comunità luoghi di libera espressione.Ed è attraverso il contributo di ciascuno, at-traverso le relazioni sociali che in questi

C’è bisogno di rifiutare il consumo dei

luoghi, delle persone; c’è bisogno di

crearsi spazi vissuti liberamente,

senza che essi siano per noi predispo-

sti da chi ne ricava interessi.

Page 17: CortocircuitO n°8 - DIETRO LE QUINTE DELLA CITTA'

regno dell’indifferenza, scelgono di essere gli

ultimi romantici: l’arte smette di essere al

soldo degli interessi privati per tornare ad

essere creata da e per le persone. Non è una

scelta facile, ma, dal momento in cui tutto

ciò che produciamo viene mercificato, è la

scelta più coraggiosa e umana. Uno spazio

sociale si trova al di fuori delle logiche del

profitto che orchestrano la nostra vita e che

subiamo costantemente in maniera passiva,

senza farci neanche più caso: quando un ab-

bonamento in palestra costa 50€, palestre

gratuite con corsi di tango, di boxe, di arti

marziali sono aperte gratuitamente a tutti;

quando un concerto in un locale costa 15€

se va bene, i palchi vengono riempiti di va-

lorosi artisti che diffondono cultura e pas-

sione spontanea; quando una cena in un

ristorante costa 30€, antipasti, primi, se-

condi, contorni sono messi a disposizione di

chi ha voglia di socializzare in tavolate col-

lettive. Quando si paga un’entrata o qualcosa

da bere, quando si partecipa a una cena po-

polare, dovremmo ricordarci che non si

tratta solo del famoso consumo che ci con-

suma di meno, bensì dell’essere in prima

persona solidali e attivi a sostegno di spazi

di libertà collettiva. Tutto ciò che entra nella

cassa di uno spazio sociale viene utilizzato

per offrire ancora più possibilità di creazione

all’interno dello spazio, per ristrutturazioni,

volantinaggi, difesa legale di chi lotta per co-

struirlo. Ed è per questo che passare il sabato

sera in uno spazio sociale è già di per sé il

primo passo per incentivare e costruire un

mondo differente e migliore: né arrivo, né

partenza, ma continuità. Non cadiamo nel

comune errore di rapportarci a certi luoghi

come fossero anch’essi locali: più alternativi,

più divertenti, meno costosi, ma pur sempre

spazi di consumo di cui ci è permesso ap-

profittare. Perché la scelta di dare il proprio

contributo all’interno di un percorso collet-

tivo, che nasce dalle persone, è il modo mi-

gliore di spezzare le tendenze individualiste

che continuamente siamo stimolati a fare

nostre. C’è bisogno di rifiutare il consumo

dei luoghi, delle persone; c’è bisogno di cre-

arsi spazi vissuti liberamente, senza che essi

siano per noi predisposti da chi ne ricava in-

teressi.

Soprattutto a Firenze, con una giunta co-

munale che, in particolare da qualche anno,

specula selvaggiamente su ogni centimetro

quadrato della città, allo scopo di trasfor-

marla definitivamente in vetrina e museo

per battere cassa, è fondamentale valorizzare

ed incentivare la partecipazione attiva a si-

tuazioni di autogestione. Firenze si espande

ogni giorno colando cemento, creando un

tessuto urbanistico disumano e spersonaliz-

zante: basti pensare ad aree come Firenze

Nova, zona dormitorio piena di condomini

a schiera che spezzano ogni tipo di socialità,

portando le famiglie a rinchiudersi nei

pochi metri quadrati a loro disposizione.

Stessa cosa vale per il Polo Universitario di

Novoli, presentato ai cittadini come “luogo

di aggregazione giovanile”, in realtà nien-

t’altro che una serie di mastodontici edifici

tutti uguali tra cui gli studenti si muovono

correndo da una lezione all’altra, controllati

e costretti. Evidente la volontà di rendere Fi-

renze una città dove i mattoncini sono posti

l’uno sull’altro a vantaggio del profitto.

In questo senso è necessario difendere la

scelta di percorsi collettivi, spazi a favore

delle comunità che si contrappongono agli

interessi privati, che vengono puntualmente

attaccati e delegittimati dai politici e dalla

stampa ufficiale, fino ad arrivare agli sgom-

beri (basti pensare a ciò che è successo al

Progetto Conciatori questo gennaio). Lo

sgombero di uno spazio sociale, in generale

quanto nel particolare, è - e non, badiamo

bene, rappresenta - un attacco diretto contro

libertà, solidarietà e beni comuni. Si toglie

agibilità a persone che lottano quotidiana-

mente per costruire la possibilità di espri-

mersi senza freni e al di fuori dagli schemi,

si impedisce che le suddette persone si pos-

sano organizzare per uscire dallo spazio so-

ciale e socializzare lo spazio cittadino,

renderlo comune e di proprietà di tutti, abo-

lendo così il concetto stesso di proprietà.

Miguel Amoròs, storico spagnolo, scrive: “La

città deve generare un’aria che renda liberi

gli abitanti che la respirano”; in questo

senso, ogni spazio sociale chiuso è un po’ di

ossigeno in meno dentro di noi, e ogni gesto

quotidiano che tutti noi possiamo - e dob-

biamo - fare in difesa di certi luoghi è invece

un respiro a pieni polmoni.

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

Fonti :>> La cità totalitaria, Miguel Amoròs;

>> pagina facebook Rivolta Ovunque

-Marlene-

Esperienze in comune

Page 18: CortocircuitO n°8 - DIETRO LE QUINTE DELLA CITTA'

“Vede”, mi diceva dopo un pranzo abbon-dante in conclusione d’un lungo discorsoun grosso signore “vede? La vita ha pure isuoi lati belli. Conviene saperla prendere– non pretender rigidamente ciò che giàha fatto il suo tempo, ma adattarsi ragio-nevolmente – e godere di ciò che il nostrotempo ci offre che nessun tempo ha mai of-ferto ancora ai propri figli. Fruire di que-sta maravigliosa comodità della vita, ecogliere fra la varietà aumentata dei pia-ceri, di questo e di quello con saggia mi-sura; habere – non haberi, come dicono”.“Lei è un artista!”.“Sì, infatti, credo che sono un artista; nonche io scriva o dipinga ma – lei m’intende:artista, artista nell’anima; io ho un buoncuore, pieno di sentimenti gentili coi qualimi rendo poetica ogni situazione e mi fac-cio bella la vita, mi creo i piaceri...”.“Secondo la sua fantasia...”“Ma badiamo! Non da eccentrico! Manella via e nel modo come il nostro prov-vido tempo facili e leciti ce li offre”.“Gaudente, ma uomo di mondo”.“Certo, ma gaudente... intendiamoci. Bi-sogna concedere un po’ al corpo e un po’allo spirito. – Oh la poesia e la letteraturasono state sempre la mia passione. Anchela storia! C’è un compiacimento a pen-sare: «Ecco, tutto questo abbiamo fattonoi» e d’altronde constatare la via che s’èfatta per cui lanostra vita s’è evoluta al presente grado diciviltà. È una bella cosa, la storia. –Chissà, se non fossi stato preso nell’ingra-naggio amministrativo... – Mah. – Delresto io credo che nel tempo che correogni uomo, che voglia camminare col pro-gresso, debba possedere una varia edeletta coltura umana. Né debba esser deltutto ignaro delle scienze esatte, per lequali siamo i veri signori del creato e nes-sun mistero sfugge ormai al nostro oc-chio”.“Ma lei è multilatere!”.“Oh, un dilettante...“.“Lei trova tempo per tutto!”.“Certo! Ma... bisogna aver la coscienzad’aver fatto il proprio dovere. Oh questosì, sul dovere non si transige. Altro è com-piacersi di letteratura, di scienza, d’arte,di filosofia nelle piacevoli conversazioni –altro è la vita seria. Come si direbbe: altrola teoria, altro la pratica! Io, come vede,mi compiaccio di queste discussioni teori-che, mi diletto degli eleganti problemi eticie mi concedo anche il lusso di scambiaredelle proposizioni paradossali. – Ma ba-diamo bene – ogni cosa a suo tempo e

luogo. Quando indosso l’uniforme vestoanche un’altra persona. Io credo che nel-l’esercizio delle sue funzioni l’uomo debbaesser assolutamente libero. Libero di mentee di spirito. Nell’anticamera del mio ufficioio depongo tutte le mie opinioni personali,i sentimenti, le debolezze umane. Ed entronel tempio della civiltà a compiere la miaopera col cuore temprato all’oggettività!Allora io sento di portare il mio contributoalla grande opera di civiltà in pro del-l’umanità. E in me parlano le sante istitu-zioni. Dico bene eh?”.“Io ammiro la sua fermezza. – E – lei nonpensa ai suoi interessi?”.“Lo stipendio... corre ed è sicuro. E poi, leisa, gli incerti...”.“Già, già – ma... e poi quando – Dio lotenga lontano – questa sua mirabile fibrasarà affievolita?”.“C’è la pensione: – lo Stato non abban-dona i suoi fedeli, – che?”.“Ma – scusi se Le suscito brutte imagini –ma siamo uomini deboli – nel caso di unamalattia – sa, ce ne sono tante ora ingiro...”.“Niente, niente – appartengo a una cassaper ammalati, come tutti i miei colleghi. Ilnostro ospedale ha tutti i comodi moderni esi vien curati secondo le più moderne con-quiste della medicina. –Vede?”.“Ah, – vedo! ma – non saprei, i casi sontanti – capisco che siamo difesi dalle leggi– pure – i furti sono all’ordine del giorno”.“Sono assicurato contro il furto”.“Ah! Ma... e... metta il caso d’un incen-dio”.“Assicurato contro il fuoco”.“Perbacco! Ma – un cavallo – scusi, vo-levo dire: «un’automobile» che c’investe;un tegolo...”.“Assicurato contro gli accidenti”.“Ma infine morire – moriamo tutti”.“Fa niente, sono assicurato pel caso dimorte”.“Come vede”, aggiunse poi trionfante, sor-ridendo del mio marrimento, “sono in unabotte di ferro, come si suol dire”.Io rimasi senza parole, ma nello smarri-mento mi lampeggiò l’idea che il vinoprima d’entrar nella botte passò sotto tor-chio.

* * *

Io sono debole di corpo e d’anima – messoin mezzo alla natura sarei presto vittimadella fame, delle intemperie, delle fiere –messo in possesso di ciò che mi è necessario,

al riparo delle forze della natura ma inmezzo alla cupidigia degli altri uomini –sarei in breve privato di tutto e perirei mi-seramente. La società mi prende, m'insegnaa muover le mani secondo regole stabilite eper questo povero lavoro della mia poveramacchina mi adula dicendo che sono unapersona, che ho diritti acquisiti pel solofatto che sono nato, mi dà tutto ciò che m’ènecessario e non solo il puro sostentamentoma tutti i raffinati prodotti del lavoro altrui;mi dà la sicurezza di fronte a tutti gli altri.Gli uomini hanno trovato nella società unpadrone migliore dei singoli padroni, per-ché non chiede loro una varietà di lavori,una potenza bastante alla sicurezza di frontealla natura – ma solo quel piccolo e facilelavoro famigliare ed oscuro – purché lo sifaccia così come a lei è utile, purché non siurti in nessun modo cogli interessi del pa-drone. La sicurezza è facile ma è tanto piùdura: la società ha modi ben determinati,essa lega, limita, minaccia: la sua forza dif-fusa è concreta in quel capolavoro di per-suasione che è il codice penale. La cura diquesta sicurezza asservisce l’uomo in ogniatto. Dal momento che l’uomo vuol poterdire «questo è legalmente mio”, egli s’èreso schiavo attraverso il proprio futuro delfuturo di tutti gli altri: egli è materia (la pro-prietà mobile). Ma in cambio, la società faquello che nessun padrone farebbe; essarende partecipi i suoi schiavi della sua au-torità – in ciò che il loro lavoro essa tra-sforma in danaro, e al danaro dà forza dilegge. [...] Così dunque nella società orga-nizzata ognuno violenta l’altro attraversol’onnipotenza dell’organizzazione, ognunoè materia e forma, chiavo e padrone ad untempo per ciò che la comune convenienza atutti comuni diritti conceda ed imponga co-muni doveri. L’organizzazione è onnipo-tente ed è incorruttibile poiché consiste perla deficienza del singolo e per la sua paura.E non c’è maggior potenza di quella che sifa una forza della propria debolezza. “Lapersuasione e la rettorica”, Carlo Michel-stastaedter, Firenze 1910

Carlo Michelstaedter (Gorizia, 3 giugno

1887 – Gorizia, 17 ottobre 1910) è stato

uno scrittore, filosofo e letterato italiano.

Muore suicida a 23 anni, forse perché

aveva capito che, se fossero nati oggi, sog-

getti come Cristo, Socrate o il Buddha sa-

rebbero stati rinchiusi in un ospedale

psichiatrico. “La persuasione e la retto-

rica” doveva essere la sua tesi di laurea.

S o c i e t à & C u l t u r a

un estratto da “La persuasione e la rettorica” di Carlo Michelstaedter

18

-Living Tao-

Page 19: CortocircuitO n°8 - DIETRO LE QUINTE DELLA CITTA'

“L’intelligencija russa mi aveva di buon’ora insegnato che il senso stesso della vita consiste nella par-

tecipazione cosciente del compimento della storia. Più ci penso e più questo mi pare profondamente

vero. Questo vuol dire pronunciarsi attivamente contro tutto ciò che sminuisce gli uomini e partecipare

a tutte le lotte che tendono a liberarli e farli più grandi. Che questa partecipazione sia inevitabilmente

intaccata da errori non ne diminuisce l’imperativo categorico; peggiore è l’errore di vivere solo per

sé, secondo tradizioni tutte intaccate di inumanità. Questa convinzione ha creato per me, come per un

certo numero di altri, un destino abbastanza eccezionale; ma eravamo, siamo, nella linea dello sviluppo

teorico; lo si vede ora che, per un’epoca intera, milioni di destini seguiranno le strade su cui abbiamo

camminato per primi. In Europa, in Asia, in America, generazioni intere si sradicano, si impegnano

a fondo in lotte collettive, fanno l’apprendistato della violenza e del gran rischio, l’esperienza delle

prigionie, constatando che l’egoismo del ‘ciascuno per sé’ è ben sorpassato, che l’arricchimento per-

sonale non è il fine della vita, che i conservatorismi di ieri non conducono altro che a catastrofi, sen-

tono il bisogno di una nuova presa di coscienza per la riorganizzazione del mondo. (…) Uno dei più

gravi problemi che a ciascuno di noi tocca risolvere praticamente è certo quello dell’accordo da rea-

lizzare tra l’intransigenza che risulta da convinzioni ferme, la conservazione dello spirito critico nei

riguardi di quelle stesse convinzioni e il rispetto della convinzione diversa.”

Victor Serge (1890-1947) nasce a Bruxelles da esuli russi, trascorrendo un’infanzia ed un’adolescenza vagabonde in ambienti

fortemente poveri. Suo fratello morirà infatti a nove anni per tubercolosi e fame, segnando indelebilmente la sua vita: da

quel momento sentirà grande avversione verso ogni tipo di ingiustizia e di oppressione, il disprezzo per l'ipocrisia mascherata

dei benpensanti borghesi, la profonda umana attrazione verso gli oppressi di tutto il mondo. Anarchico, amico d'infanzia di

Raymond Callemin, un anarchico ‘illegalista’ della Francia di inizio ‘900, sarà condannato a cinque anni proprio per i suoi

legami personali con la Banda Bonnot, di cui tuttavia condannerà le scelte suicide e disperate (la storia della Banda Bonnot

è ispiratrice del libro “In ogni caso nessun rimorso” di Pino Cacucci, dove appare infatti lo stesso Serge).

Uscito dal carcere, fu militante pacifista nella prima guerra mondiale, ma più che altro fece parte dell’insurrezione anarco-

sindacalista di Barcellona.

Nuovamente incarcerato per le sue idee filo-sovietiche nel febbraio del 1919, riuscirà a giungere a Pietrogrado mentre di-

vampava la guerra civile fra i controrivoluzionari Bianchi e i rivoluzionari comunisti e sovietici Rossi.

Così afferma nella postfazione del libro Goffredo Fofi: “cosciente della fragilità della rivolta anarchica e delle compromissioni

della politica socialista, e dunque del bisogno di organizzazioni più motivate e più salde, egli scelse subito in Russia una po-

sizione tra le più delicate e difficili, se non fosse stata sorretta da una individuale chiarezza di giudizio e di intenti, quella

del doppio dovere”. Così afferma Serge: “Il socialismo non si deve solo difendere contro i suoi nemici, contro il vecchio

mondo a cui si oppone: deve essere anche difeso nel suo proprio seno, contro i suoi fermenti di reazione”. Nell’immediato

della Rivoluzione Russa affermò: “Noi volevamo una rivoluzione libertaria, democratica - meno l’ipocrisia e la debolezza

delle democrazie borghesi - egualitaria, tollerante per le idee e gli uomini, che usasse il Terrore ove fosse necessario, ma

che abolisse la pena di morte. Da un punto di vista teorico, impostavamo malissimo questi problemi, il bolscevico li impostava

certamente meglio di noi; dal punto di vista umano, eravamo nella verità infinitamente più di lui”. “Non sarei stato né contro

i bolscevichi né neutrale, sarei stato con loro, ma liberamente senza abdicare al pensiero né al senso critico”.

Pagò a caro prezzo tale scelta, poiché, nonostante ammirasse la determinazione e la lucidità dei bolscevichi, criticò l’auto-

ritarismo e il rifiuto del libero pensiero, e fu deportato da Stalin.

Infine esiliato in Messico, morirà il 17 novembre 1947. Secondo alcune versioni, Serge sarebbe stato assassinato da Vittorio

Vidali, uno dei fondatori del PCI, fedelissimo a Stalin.

c o r t o c i r c u i t o @ d i s t r u z i o n e . o r g

-Jules-

un estratto da “Memorie di un Rivoluzionario”

diVictor Serge

Page 20: CortocircuitO n°8 - DIETRO LE QUINTE DELLA CITTA'

Nell’ulmo anno e mezzo abbiamo assisto ad una strea nella morsa delle istuzioni “demo-

crache”, per la quale molta gente è stata vima di questo processo. Non si traa di casi iso-

la, infa l’organo statale stringe il pugno sentendo scoare il terreno soo i piedi e agisce

nell’unico modo per esso possibile: con la repressione. Da Milano a Palermo, da L’Aquila alla

Val di Susa, la polizia, con tu i suoi organi e le sue forze, con sempre meno remore e paura,

agisce e colpisce. Non ci deve esser possibilità di aggregazione, l’obie vo è chiaro, stroncare

e per quanto possibile prevenire sul nascere qualsiasi scinlla di opposizione. L’eventualità

cheche si possa formare una rete di persone consapevoli fa paura, soprauo quando sempre

più persone sono costree a prendere ao della situazione. I risvol a livello nazionale sono

onnipresen, a cominciare dalla nostra Firenze dove da una parte si finge di rifiutare l’esercito

nelle strade come hanno fao altre cià, dall’altra si ignorano le situazioni di estremo disagio

e si sgombera senza alcuna remora persone in emergenza abitava, e addiriura si crea una

nuova task force di vigili urbani per gesre le situazioni di sfrao e sgombero. Episodi di

polizio fuori servizio che pestano e minacciano rifugia polici, compagni ferma e colpi

concon fogli di via e obblighi di dimora per aver distribuito dei volanni sulle ulme “misteriose”

mor nelle celle della questura. A livello nazionale vengono in mente vari esempi della dege-

nerazione repressiva: dalla maxi operazione contro il movimento NO TAV condita con 26 ar-

res, diverse denunce e accanimen nei confron dei carcera, tesa a sedare un movimento

di forte opposizione a cui lo Stato non sembra aver nessuna intenzione di piegarsi, alle cariche

ad Albano durante la manifestazione contro discarica ed inceneritore, per spaventare e di-

struggere la consapevolezza dei ciadini; agli scandali de L’Aquila, una cià lasciata morire

sieme ai suoi abitan in mezzo all’indifferenza dei media, dove si sono vis i primi tentavi di

trasformazione di una situazione di emergenza in aperta diatura militare. All’arresto di nu-

merosi membri di comita ed organizzazioni, come a Roma con un membro del Coordina-

mento di Loa per la Casa e a Napoli con i disoccupa organizza; fino alla strumentaliz-

zazione della manifestazione del 15 oobre, dove il tuo è stato ridoo alla distruzione di

qualche macchina e di una madonnina, per legimare la caccia al “blec block” di fronte

all’opinione pubblica. In tuo questo, ci sembra importante ribadire la nostra solidarietà e

vicinanzavicinanza a tu coloro i quali alzano la testa, si organizzano e loano nonostante la repres-

sione. Ribadiamo, quindi, la nostra ferma condanna a questo sistema ed all’inganno della

“democrazia”.

La Redazione

racconto della rivolta divampata in tutta la Grecianel dicembre 2008 a seguito dell'assassinio, da partedella polizia, di un ragazzo di 15 anni, AlexandrosGrigoropoulos nel quartiere Exarchia di Atene

L'articolo 18 non si cancella! Parlano i lavoratori.