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Num. 10 – Gennaio 2017 a cura di Maria Teresa Polico [email protected] [email protected] INDICE Trump e gli interrogativi del mondo: il cambio al vertice della presidenza Usa e di quella Onu, il ritorno della superpotenza Russia, il ruolo dell’Europa in un ordine mondiale segnato da un profondo disordine Una strategia macro-regionale per il Mediterraneo: non vi può essere uno sviluppo coeso dal punto di vista economico e sociale dell'Unione europea senza risolvere i nodi che si sono formati nel tempo, ed acuiti con la crisi, nell'area mediterranea La visione securitaria ci porta a sbattere: se provassimo a ragionare sulle motivazioni che spingono milioni di persone a intraprendere viaggi pericolosi e a rischio della loro stessa vita, avremmo una visione più reale del fenomeno e di come affrontarlo, evitando il solo approccio securitario La lotta per i diritti umani e sindacali in Somalia incontro con la delegazione della Confederazione dei Sindacali Somalia (FESTU): l'introduzione del nuovo Governo e l'elezione del nuovo presidente rappresentano un momento importante per il superamento del vecchio sistema politico e per l'affermazione dei diritti democratici

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Num. 10 – Gennaio 2017 a cura di Maria Teresa Polico

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INDICE

■ Trump e gli interrogativi del mondo: il cambio al verticedella presidenza Usa e di quella Onu, il ritorno della superpotenza Russia, il ruolodell’Europa in un ordine mondiale segnato da un profondo disordine

■ Una strategia macro-regionale per il Mediterraneo:non vi può essere uno sviluppo coeso dal punto di vista economico e sociale dell'Unioneeuropea senza risolvere i nodi che si sono formati nel tempo, ed acuiti con la crisi,nell'area mediterranea

■ La visione securitaria ci porta a sbattere: se provassimo aragionare sulle motivazioni che spingono milioni di persone a intraprendere viaggipericolosi e a rischio della loro stessa vita, avremmo una visione più reale delfenomeno e di come affrontarlo, evitando il solo approccio securitario

■ La lotta per i diritti umani e sindacali in Somaliaincontro con la delegazione della Confederazione deiSindacali Somalia (FESTU): l'introduzione del nuovo Governo el'elezione del nuovo presidente rappresentano un momento importante per ilsuperamento del vecchio sistema politico e per l'affermazione dei diritti democratici

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Trump e gli interrogativi del mondo Fausto Durante, Coordinatore Area Politiche Internazionali ed Europee

AFP

Il cambio al vertice della presidenza Usa e di quellaOnu, il ritorno della superpotenza Russia, il ruolodell’Europa. Sono i temi oggetto della conversazioneavuta con Fausto Durante, responsabile politicheeuropee e internazionali Cgil, con Italia Parla, la rubricadi RadioArticolo1.

“Sul piano interno, la presidenza Obama ha segnatoimportanti avanzamenti dal lato delle politiche sociali,sanitarie e del welfare, forse meno da quello dellapolitica estera e della diplomazia internazionale – haesordito il dirigente sindacale. Un’amministrazione cheha difeso l’industria e i posti di lavoro con risultatipositivi, rilanciando l’apparato produttivo tradizionale:basti pensare alle misure che hanno permesso ilsalvataggio delle tre grandi case automobilisticheamericane. Senza dimenticare le misure prese perfavorire le start up dell’informatica, il nuovo mondodell’economia digitale e quello dell’economia verde edelle energie rinnovabili, che proprio sotto Obama han-no avuto uno straordinario impulso”.

Con l’avvento di Trump, ha continuato l’esponente Cgil,"dopo una campagna elettorale dai toni populistiaccesi, con le sue aggressioni xenofobe, è difficile fareprevisioni attendibili su quel che ci attende. Di sicuro, leprincipali nomine nei posti di comando, effettuate dalneopresidente americano, non fanno ben sperare per ilmondo del lavoro: si tratta di imprenditori, economistie uomini di potere segnati da una culturaprofondamente neoliberista, improntata alle esigenzedelle imprese e del mercato. Immagino che, una voltainsediati, prevarrà la real politik e quindi le pulsioni piùesagitate del nuovo leader verranno messe sottocontrollo. Una delle prime decisioni prese da Trump èstata quella di minacciare sanzioni considerevoli per leimprese statunitensi che continuassero a produrre abasso costo all’estero, a partire dal Messico. Bisognerà

verificare cosa succede ora; se quelle imprese, sullapressione di tale minaccia, decidano o meno diriportare in patria produzioni a suo tempodelocalizzate, con un ribaltamento dell’azioneeconomica degli ultimi anni”.

“La ritornata potenza della Russia è frutto di erroriclamorosi, dal punto di vista della strategia e delladiplomazia internazionale – ha rilevato ancora. Sbaglicommessi dagli Usa e soprattutto dall’Unione europea,la cui mancanza di un’autorevole e definita guida dellescelte di politica estera ha favorito le manovre e lastrategia di Putin, che poi è quella di ricostruire un polodi attrazione nel governo mondiale molto forte, cheveda nel suo Paese uno dei punti di equilibrio. Tuttavia,non credo al ritorno di un mondo bipolare, per diverseragioni. La prima, è che comunque l’Ue, nonostante lasua crisi e le sue debolezze, rappresenta ancora oggil’area che più contribuisce alla creazione del Pilmondiale. L’altra, è che nel frattempo sono emersi altrigiganti dell’economia e della politica a livelloplanetario: basti pensare a Cina, India e a ciò che hariguardato la trasformazione veloce di Paesi un tempoconsiderati la periferia dell’impero, ora in pienaespansione. Il problema vero è come i nuovi equilibripolitici ed economici s’incrocino rispetto a unasituazione dell’ordine mondiale segnata da unprofondo disordine, con guerre, terrorismo, conflittimai risolti e tensioni senza fine, che rischiano disegnare pesantemente anche i prossimi anni”.

L’Onu sembra aver smarrito il filo della propria funzionedi mediatore nel mondo, prosegue Durante. "Anche senon dobbiamo dimenticare il ruolo importante che icaschi blu hanno avuto nel tentare di risolvere alcunidei più gravi conflitti dei decenni scorsi. È un fattoammesso dallo stesso Ban Ki Moon, il cui successore, ilsocialista portoghese Gutierrez, ci auguriamo riesca afar assumere all’agenzia internazionale un passoadeguato alla crisi dei tempi, con una capacità diaffrontare le sfide del mondo su un piano globale - lacaratteristica dell’Onu che si è eclissata negli ultimi anni-, nell’ottica di una pacificazione dei conflitti e disuperamento delle diseguaglianze economiche e delletantissime differenze di trattamento di salario e dicondizione di diritti sociali e del lavoro, che purtroppocontinuano ad esistere su scala mondiale”, ha conclusoil sindacalista.

Da Rassegna Sindacale del 9 gennaio 2017

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Una strategia macro-regionale per il MediterraneoStefano Palmieri, Area Politiche Internazionali ed Europee CGIL – Consigliere Comitato Economico e Sociale Europeo

Introduzione al seminario tenutosi a Bruxelles l'11 gennaio presso il CESE tra la delegazione CGIL, composta daGianna Fracassi, Fausto Durante, Stefano Palmieri, Valentina Cappelletti, Angelo Summa, Daniele Carchidi,Gregorio Pititto, Walter Schiavella, Michele Pagliaro, Vincenzo Campo, Stefano Facin e la delegazione italiana deiparlamentari europei, composta da Brando Benifei, Renata Briano, Nicola Caputo, Sergio Cofferati, AndreaCozzolino, Elena Gentile, Antonio Panzeri, Massimo Paulucci, Flavio Zanonato

Il rilancio del Mezzogiorno passa necessariamente at-traverso il rilancio dell’area mediterranea. Siamo con-vinti che l’area Euro-Mediterranea, il Mezzogiornod’Italia e l’Europa siano fortemente legate fra loro eche non vi possa essere uno sviluppo coeso dal puntodi vista economico e sociale dell’Unione Europea (UE)senza risolvere i nodi che si sono formati nel tempo -ed acuiti con la crisi - nell’area mediterranea. E’ per talevia che riteniamo passi la soluzione delle problemati-che che riguardano il nostro Mezzogiorno così come iMezzogiorni d’Europa presenti in quest’area1.Occorre restituire una nuova centralità geopolitica,economica e sociale all’area mediterranea ampiamentesottovalutata a livello europeo. Solo così sarà possibilerispondere efficacemente alla questione emergenzialedettata dai flussi migratori che attraversano l’area,restituendo le condizioni per un rilancio economico,sociale ed ambientale in condizioni di pacificazione deiterritori della sponda sud del mediterraneo. Riteniamoche questa rappresenti l’occasione per garantirel’effettivo rilancio dell’Unione Europea, attraverso unareale integrazione con la sua parte meridionale e con ilnostro Mezzogiorno. E’ per tale ragione che riteniamoopportuno che si attivi, nell’area mediterranea,un’efficace strategia macro-regionale in grado dipromuovere le condizioni per uno sviluppo economico,sociale ed ambientale neutralizzando quei fattori chehanno impedito, oramai da troppo tempo, lo sviluppodell’area. Una politica, in grado di governare i fenomeni

1 Quando parliamo di Mezzogiorni d’Europa ci riferiamo a quelleregioni meno sviluppate che presentano un PIL pro-capite inferioreal 75% della media dell’UE a 27 SM.

dell’area e non adattarvisi passivamente, adottando la“strategia della riduzione del danno”. Stiamo parlando di un’area che - sulla base della classi-ficazione Eurostat NUTS2 – comprende almeno 40 re-gioni costiere europee di 8 Stati membri dell’UnioneEuropea lambite dal mar mediterraneo: Grecia, Italia,Spagna, Francia, Croazia, Slovenia, Cipro e Malta (Fi-gura 1.1)2. Un’area abitata da 90,2 milioni di persone(corrispondenti a circa il 17,7 per cento della popola-zione dell’UE: 43,9 milioni di maschi e 46,2 milioni difemmine), con una popolazione attiva presentenell’area di 38,8 milioni di persone (pari al 16,3% dellapopolazione attiva dell’UE) suddivisa in 21,7 milioni dimaschi e 17,1 milioni di femmine.

L’avvio di una nuova politica europea di cooperazione,sviluppo e sicurezza per il Mediterraneo oltre a produrreimportanti effetti positivi per l’intera UE fornirebbeimportanti ricadute di carattere economico per il nostropaese in generale e per il Mezzogiorno in particolare. Ariprova di ciò vale la pena ricordare due aspetti:

- il primo, rappresentato dall’importanza che il bacinomediterraneo assume per il nostro paese e per il Mez-zogiorno in termini di interscambio commerciale. L’Ita-lia si colloca al 2° posto tra gli SM dell’UE con il più altointerscambio (export+import) con i paesi dell’area me-diterranea non UE: 48,3 mld di euro nel 2014, di cui33,4 mld di euro riguardanti scambi non petroliferi (edè il 4° partner commerciale mondiale dopo Stati Uniti,Germania e Cina. In questo particolare contesto il Mez-zogiorno d’Italia è la seconda macro-regione italianadietro al Nord-Ovest per interscambio con i paesidell’area mediterranea non UE: 11,6 mld di euro. Il ba-

2 Sulla base della classificazione NUTS2 individuiamo: 13 regionigreche (EL30 Attiki; EL41 Voreio Aigaio; AL42 Notio Aigaio; EL43Kriti; EL51 Anatoliki, Makedonia, Thraki; EL52 Kentriki Makedonia;EL53 Dytiki Makedonia; EL54 Ipeiros; EL61 Thessalia; EL62 IoniaNisia; EL63 Dytiki Ellada; EL64 Sterea Ellada; EL65 Peoloponnisos);15 regioni italiane (ITC3 Liguria; ITH3 Veneto; ITH4 Friuli VeneziaGiulia; ITH5 Emilia Romagna; ITI1 Toscana; ITI3 Marche; ITI4 Lazio;ITF1 Abruzzo; ITF2 Molise; ITF3 Campania; ITF4 Puglia; ITF5Basilicata; ITF6 Calabria; ITG1nSicilia; ITG2 Sardegna); 5 regionispagnole (ES51 Cataluna; ES52 Comunidad Valenciana; ES53 IllesBaleares; ES61 Andalucia; ES62 Region de Murcia); 3 regionifrancesi (FR81 Languedoc Roussillon; FR82 Provence-Alpes-Coted’Azur; FR83 Corse); 1 regione croata (HR04 Jadranska Hrvatska) 1regione slovena (SI04 Zahodna Slovenija); l’intero territorio diMalta (MT00 Malta) e l’intero territorio di Cipro (CY00).

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cino del Mediterraneo rappresenta un’area molto im-portante nelle relazioni commerciali delle regioni delMezzogiorno, rispetto alle altre macro-regioni italiane;nel 2015 il 12% del commercio estero totale del Mezzo-giorno ha riguardato i paesi extra UE della sponda suddel Mediterraneo (per le altre macro-regioni la quotanon supera il 5,5%)3;

- il secondo aspetto riguarda le enormi potenzialità chesi aprono per i porti e la logistica del Mediterraneo aseguito dei seguenti fattori: 1) nel Mediterraneo, con i suoi 80 porti di rilevanza

2) l’inaugurazione del nuovo canale di Suez porta lacapacità media di traffico giornaliero a 97 navi (rispettoa 49) e rappresenta il principale asse di comunicazioneAsia-Europa attraverso cui transita tra il 7-8 per centodelle merci commerciate a livello mondiale;3) la crescente importanza degli Emirati Arabi Uniti edin particolare del porto di Dubai quale importante hubcommerciale e logistico tra Asia ed Europa; 4) l’iniziativa “One Belt One Road” avviata dallaRepubblica Popolare Cinese con l’intenzione direalizzare una cintura economica marittima attraverso ilcollegamento tra la Cina e l’Europa mediante il MarCinese Meridionale, l’Oceano Indiano, il Canale di Sueze il Mar Mediterraneo e la realizzazione di importantiinfrastrutture di trasporto e per la logistica.

Nel corso del periodo 2008-2012, attraversato da unadelle più violente crisi economiche e finanziarie degliultimi ottant’anni, c’è stato un prezzo che i Mezzogiornid’Europa hanno pagato caro. Un prezzo, che si è rivela-to particolarmente alto per le regioni meridionali delMediterraneo. Un prezzo espresso, non solo in terminidi mancata crescita economica ma, soprattutto, in ter-

3 SRM, 2016, Le relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo - 5° Rapporto Annuale 2015.

mini di mancate opportunità di sviluppo economico esociale. Un prezzo in termini di risorse sprecate, comequelle di donne e uomini costretti a subire una situazio-ne di disagio, derivante da una condizione di disoccu-pazione che, in queste aree, generalmente si protraeper più di un anno. Risorse sprecate, in termini di giova-ni disoccupati. Giovani allontanati dal circuito attivo:istruzione/formazione/lavoro. Giovani scoraggiati e aimargini di una partecipazione attiva alla vita economicae sociale di questi luoghi. Questa condizione di preca-rietà e provvisorietà, ha spinto e continua a spingere

molti di questi giovani a trovare opportunità di lavoro aldi fuori di queste aree. Una crisi che, agendo su un ter-ritorio già di per sé economicamente debole, ha ulte-riormente aggravato il tessuto produttivo di queste aree.Anche per quest’area il nostro riferimento teorico restail Piano del Lavoro che la CGIL ha presentato nella suaConferenza di Programma nel gennaio 2013. Obiettiviprimari erano e sono tuttora la creazione e la qualifica-zione del lavoro e il rafforzamento dei diritti di cittadi-nanza attraverso un vasto piano di investimenti pubblici.Il rilancio economico e sociale delle regioni dell’area delMediterraneo è strettamente legato al fattore principa-le in grado di assicurare tale sviluppo: il lavoro e la suavalorizzazione. E’ per tale ragione che riteniamo che oc-corra dare una nuova centralità al lavoro nell’area me-diterranea. E’ in questo delicato contesto che il ruolo didriver di sviluppo, esercitato dalle regioni dell’area me-diterranea, sarà strettamente legato al fattore cardinedello sviluppo economico e sociale di quell’area: il lavo-ro. Per tale ragione riteniamo che occorra dare unanuova centralità al lavoro nell’area mediterranea. Inquesto modo sarà così possibile sbloccare le nuove op-portunità di rilancio delle economie delle regioni euro-pee che si affacciano nel Mediterraneo.

Figura 1.1 - Regioni costiere dell’UE del Mediterraneo, principali porti del mediterraneo e volume del pescato nelle trearee del mediterraneo: occidentale, centrale e orientale - EUROSTAT GISCO Database – Statistics in focus 14/2011

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La visione securitaria ci porta a sbattereSergio Bassoli, Area Politiche Internazionali ed Europee CGIL

Foto: SiciliaPress

Il gran parlare di questi giorni sui migranti purtropponon è accompagnato da un’analisi e da unainformazione orientata ad assumere comportamenti edecisioni tanto difficili quanto indispensabili per usciredalla logica della fortezza europea, mettendo indiscussione le nostre politiche nazionali edinternazionali.

Si continua a distinguere tra migrante economico erifugiato, lasciando intendere l’esistenza di una scala didiritti umani, ragion per cui, chi fugge dalla fame, dallapovertà, dalla schiavitù, dalla desertificazione, ha menodiritti di chi fugge dalle bombe, e deve tornarseneindietro, deve rimpatriare per dovuto castigo disofferenza perpetua.

Si pensa di rispondere alla gestione di un flussomigratorio mondiale, crescente, senza soluzione dicontinuità, costruendo barriere, centri di detenzione,d’identificazione e quant’altro possa allontanare dallenostre case e dai nostri confini queste persone.Quando, questo è saldamente in mano ad una reteinternazionale sofisticata di organizzazioni criminali,immersa in una dinamica perversa di collusione condittature e regimi di turno. I quali non si fanno alcunoscrupolo ad approfittare di questo mercato di esseriumani a fini ricattatori, per non essere disturbati e peravere prestiti e donazioni, per sottoscrivere accordi conmultinazionali, agenzie internazionali, stati eorganizzazioni sovranazionali, come la Unione Europeaed i suoi stati membri.

Si continua a vedere il problema dallo spioncino dellatrincea in cui ci siamo nascosti, cocciutamenteimpossibilitati a voler vedere, capire ed affrontare lecause e le dimensioni di un fenomeno, la migrazione,che ci viene descritto come altro da noi ma che inrealtà è parte della nostra storia, del nostro presente e

futuro.

Nei giorni scorsi, a seguito della morte in un Centro diprima accoglienza a Cona, in provincia di Venezia, diuna giovane ivoriana di 25 anni, e della rivolta deglistranieri ivi ospitati in condizioni disumane, è ripresocon la solita foga decisionista e securitaria il dibattitonazionale sulla questione migranti e rifugiati, connuovo rischio di deriva populista a cui il governo,anziché contrapporre un programma articolato tra idiversi ministeri (Interni, Esteri e Cooperazione,Politiche Sociali, Sviluppo Economico), le autorità locali(Regioni, Anci), le parti sociali ed il terzo settore,sembra preso dalla necessità di rincorrere le ondatepopuliste sul loro terreno. Anno nuovo, ma politicavecchia.

La questione è complessa e complicata ma deve essereaffrontata e abbiamo strumenti ed elementi sufficientiper costruire un percorso ed un piano che riesca aprendere in considerazione l’insieme del fenomenomigratorio di questa fase storica.

Vorrei dare un contributo al dibattito in corsoprendendo spunto da un articolo di Massimo Gianninisu La Repubblica del 4 gennaio scorso, in cui ponevauna serie di domande rispetto a chi sono e dove sonole 180 mila persone che sono riuscite ad attraversare ilmar Mediterraneo nel corso del 2016, ricordando chesolo una minima parte, circa il 20-25% è censita edassistita, mentre la maggior parte di queste persone siperde o meglio, viene abbandonata al proprio destino.

Aggiungo io, queste persone si sommano a quelle deglianni precedenti, costituendo una popolazione invisibilenelle nostre periferie urbane o nelle nostre campagne,braccia al servizio delle mafie e del caporalato, donneobbligate alla prostituzione, giovani inseriti nellospaccio di droga e piccola criminalità. Chi riesce, invece,attraversa il nostro confine per cercare migliore fortunapiù a nord, negli altri stati dell’Unione. Criminalizzarequeste persone dopo averle abbandonate e consegnatenelle mani dei nuovi schiavisti, è quella che si potrebbechiamare “la ciliegina sulla torta”, se non fosse unqualcosa di reale e di drammatico. Ma l’opinione pubblica, la nostra gente, sospinta daquelle forze politiche che non perdono un’occasioneper fare propaganda e non politica, chiede sicurezza, hapaura dell’invasione, vedono le immagini di questepersone arrabbiate che gridano, che minacciano, chebruciano e che compiono atti violenti. La reazione è“non se ne può più”, quindi, rimpatri forzati, detenere ipiù pericolosi. Inoltre, se questi cercano lavoro, qui

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lavoro non ce n’è, quindi che ritornino a casa loro.

Proviamo a ragionare.

Tralasciamo per un attimo l’evento scatenante della cri-si migratoria, causata dalla guerra in Siria, che ha deter-minato, dal 2011 ad oggi, circa 5 milioni di profughi dicui solo una piccola parte ha raggiunto paesi dell’Unio-ne Europea, e circa altri 4 milioni di sfollati interni. Dicotralasciamo, perché il flusso migratorio della nostraepoca è un fenomeno strutturale che può trovare acce-lerazioni nelle guerre e nelle catastrofi naturali, veditsunami e cicloni vari, ma ha radici nella assenza di go-vernabilità del pianeta; giustizia sociale e fiscale, distri-buzione di ricchezza, libertà, diritti, democrazia, soste-nibilità ambientale.

Non a caso, ritornando ai 180 mila migranti sbarcati danoi nel 2016, se guardiamo le prime 10 nazionalità di-chiarate all’arrivo, confrontandole anche con l’annoprecedente, 2015, hanno provenienze diverse, come sipuò vedere dal quadro sottostante, ma hanno anchetanto in comune.

Nazionalità 2016 2015

Nigeria 37.536 21.886

Eritrea 20.585 38.612

Guinea 13.336

Costa d’Avorio 12.384

Gambia 11.928 8.123

Senegal 10.332 5.751

Mali 9.995 5.752

Sudan 9.305 8.909

Bangladesh 7.933 5.039

Somalia 7.271 12.176

Siria 7.444

Marocco 4.486Fonte: Dati raccolti da La Stampa e la Repubblica

E la domanda da farsi è: ma esistono o non esistono ra-gioni per una fuga di massa da questi paesi ? Ragioniche determinino la decisione di lasciare la propria fami-glia, la propria terra, per intraprendere un viaggio chein termini economici risulta essere costosissimo(5/10.000 Euro), sacrificando i pochi risparmi possedu-ti oltre ad indebitare tutta la famiglia ? Un viaggio pie-no di sofferenze, di umiliazioni e di rischi per la vita dichi lo affronta. Un viaggio che può durare anni prima diarrivare alla destinazione finale, con alte probabilità dinon essere in grado di farcela e quindi di tornare indie-tro o di rimanere in qualche luogo di transito senza sol-di, alla mercé dei trafficanti, dispersi e con la dignità, enon solo quella, violata.

Se provassimo a ragionare sulle motivazioni e sulle con-dizioni di vita che spingono milioni di persone a tentarequello che è un vero e proprio azzardo sulla propria

vita, forse riusciremmo ad andare oltre lo spioncinodella garitta della nostra fortezza ed inizieremmo adavere una visione più completa e reale del fenomeno e,quindi, del come affrontarlo in tutti i suoi segmenti enon solamente con l’approccio securitario.

Se l’informazione aiutasse a vedere l’insieme del feno-meno; le sue cause, le sue dimensioni e le caratteristi-che delle singole realtà da cui provengono le personeche cercano accoglienza, avremmo senza dubbio rea-zioni diverse da parte dell’opinione pubblica e, di con-seguenza, anche le nostre istituzioni ed i politici agireb-bero con maggiore saggezza.

Invece di rilanciare la strategia dei centri di detenzioneper il rimpatrio, moralmente e legalmente difficile dasostenere nel rispetto delle convenzioni internazionaliper i diritti umani e per la nostra stessa costituzione.Ma in ogni caso, trattasi di una strategia perdente inquanto potrebbe agire su un numero irrisorio, qualchemigliaio di persone rimpatriate all’anno, un numero in-significante, in un rapporto di 0,5 a 100, se consideria-mo che nel nostro paese vi sono oggi più di 400milastranieri senza regolari permessi. Un investimento diqualche centinaio di milioni di euro per un’azione inuti-le e deleteria in materia di diritti umani. Un’azione checontinua a vedere il problema solamente sul segmentodell’arrivo, senza vedere l’insieme del percorso e dellecause che determinano la decisione di emigrare, ri-schiando la vita ed affidandosi a dei criminali.

Continuare con questo approccio non farà altro che ag-gravare la situazione sia dentro le nostre comunità,sempre più insofferenti, che nei paesi d’origine, perl’acuirsi dei fattori di espulsione.

Occorre quindi avere coscienza del dovere, individualee collettivo, dell’accoglienza e della protezione dei di-ritti umani di queste persone, ma che questa necessitàè parte di una situazione più complessa che deve esse-re affrontata con molteplici strumenti, in diversi luoghi,con la collaborazione e la cooperazione di tutti gli attoriistituzionali e non, coinvolti. Per dirla in altre parole,non può essere affrontata a valle del fenomeno, ester-nalizzando il problema.

Somalia, Nigeria, Eritrea, Sudan, Guinea, Costa d’Avo-rio, Mali, sempre per rimanere ai paesi di maggior pro-venienza dei migranti sbarcati in Italia negli ultimi anni,sono paesi dove guerre etniche, conflitti, sistemi ditta-toriali, persecuzioni politiche e religiose, espropriazio-ne e sfruttamento selvaggio delle risorse naturali, de-sertificazione, inondazioni, pratiche di servitù e di lavo-ro schiavo, condizionano e limitano l’accesso ai dirittifondamentali, come la salute, l’educazione, il lavoro di-gnitoso, libertà di espressione, di associazione, di culto,per ogni donna e per ogni uomo. Questi, come altri sta-ti, non sono in grado di garantire condizioni minime divita dignitosa alla maggioranza dei loro cittadini. Il per-

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petuarsi e la cronicità di violazioni dei diritti civili, politi-ci, economici, sociali e culturali, determina risposte disopravvivenza, da parte delle comunità, dei nuclei fami-liari e dei singoli, a volte estreme, e tra queste si anno-verano anche le strategie della migrazione, totale, par-ziale, per gradi, per gruppi di età.

E’ da qui che occorre partire se si vuole costruire unapolitica di gestione dei flussi migratori, dandoci comeobiettivo la migrazione come una scelta, come fenome-no naturale e non forzato. Una opzione tra le tante, enon una costrizione, quale unica ed ultima possibilitàprima dell’oblio, com’è invece la situazione attuale dimilioni di persone.

L’indicatore che ci può aiutare a capire e ad agire inquesta direzione, è quello della disuguaglianza dellecondizioni di vita in termini di: ricchezza, accesso allasalute, all’educazione, al lavoro dignitoso, alla pensio-ne, di accesso ai diritti politici, civili, economici, sociali eculturali. Un confronto tra la nostra condizione di vita equella dei cittadini dei paesi di provenienza dei migrantiche sbarcano nelle nostre coste, ci fornirebbe subitouna fotografia delle dimensioni della disuguaglianza edella drammaticità della situazione che abbiamo difronte.

E attenzione che, dire “ma che centriamo noi con laloro condizione di vita” è come soffiare sulla sabbiacontrovento, ci si fa del male.

Quei paesi sono ricchi di risorse naturali che da circa2/300 anni noi preleviamo per sostenere la nostra pro-duzione; legname, minerali, gas, petrolio, fauna, flora,forza lavoro e quant'altro, prima con la conquista-spar-tizione-colonia, poi con concessioni, accordi commer-ciali ed altre formule a dir poco funzionali ad una parte,guardandosi bene dal limitare le possibilità di riscatto edi emancipazione di quelle società per mantenere lemigliori condizioni di estrazione e d’affari. Per non par-lare del mercato degli schiavi che ha significato la de-portazione di oltre 15 milioni di africani, in circa due se-coli, dal loro continente alle Americhe e nel VecchioContinente, su navi e con la mediazione di società eu-ropee, in qualità di schiavi per lavorare nelle piantagio-ni, nelle miniere, nelle aziende e nelle industrie di mez-zo mondo. Una storia terminata ufficialmente a fine XIXsecolo, ma che rimane incisa nella memoria dell’umani-tà come una delle peggiori atrocità della modernità, edi cui strascichi e le rivendicazioni di giustizia e di ripara-zione sono ancora oggi aperte, come ci insegna la vio-lenza sugli afro-discendenti negli Stati Uniti d’America oil razzismo in Brasile ed in Europa.

Sì perché, la storia vista e sentita dall’altra parte delMediterraneo è molto diversa da come ce la raccontia-mo noi. Per africani e magrebini, il colonialismo non èmai terminato. La costruzione degli stati nazionali, vuoiper la via della dissoluzione dell’Impero Ottomano di

un secolo fa, vuoi per le guerre d’indipendenza deglianni cinquanta e sessanta del secolo scorso, hannodeterminato divisioni, frontiere e stati-nazione asservitiagli interessi delle ex-potenze coloniali, con duevarianti di governi: militari o teocrazie, ma senza unimpegno da parte della comunità internazionale asostenere quei processi di emancipazione e diautodeterminazione delle diverse comunità africanecome si sarebbe dovuto fare.

Come dare torto a quegli intellettuali e leaders, a queimovimenti popolari e della società civile africana e ma-grebina che affermano e richiedono che la comunità in-ternazionale, ed in primis i nostri stati e l’Unione Euro-pea, riconoscano il debito nei confronti delle popolazio-ni africane e che quindi diano corso a politiche di resti-tuzione, per l’emancipazione delle comunità del conti-nente africano, per ridurre la disuguaglianza tra il loroed il nostro standard di vita, rendendo un luogo un in-ferno invivibile da cui scappare ed un altro, un luogomille volte migliore dove potersi rifugiare.

La cooperazione per la condivisione delle risorse, per laconvivenza pacifica, per le libertà e per la democrazianel rispetto delle diversità culturali, deve essere l’azio-ne da promuovere al fianco dell’azione umanitaria,dell’accoglienza e dell’integrazione. Un’azione che nonpuò essere ristretta alle sole rappresentanze istituzio-nali ed ai summit internazionali, ma deve essere apertae condivisa tra comunità locali e società civile. Per fareciò, occorre che siano attivate nuove forme di partena-riato e di interdipendenza con l’obiettivo del ri bilancia-mento della ricchezza, dell’accesso ai diritti fondamen-tali, delle opportunità per ridurre le disuguaglianze,avendo per orizzonte modelli e sistemi di sviluppo so-stenibile condivisi, interdipendenti, dove risorse e be-nefici siano reciproci ed interdipendenti.

Non ci sono altre strade. Se non è il nostro senso diresponsabilità e la nostra capacità di vedere oltre lospioncino, sono i numeri, le statistiche demografiche, laperdita di diritti acquisiti, il cambiamento climatico, lacrisi della nostra società che ci obbligheranno a tratta-re, a lasciare la politica della sicurezza per quella dellacooperazione, l’approccio affaristico e di predatori perquello del partenariato, della reciprocità e del mutuointeresse.

L’alternativa della chiusura, della xenofobia, del nazio-nalismo e delle guerre, è un’alternativa che spero sare-mo in tanti a rifiutare ed a scongiurare con tutte lenostre energie e con tutto il nostro impegno.

Pubblicato in Rassegna Sindacale il 13 gennaio 2017

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La lotta per i diritti umani e sindacali in Somalia:incontro con la delegazione della Confederazione deiSindacali Somali (FESTU)Maria Teresa Polico e Salvatore Marra, Area Politiche Internazionali ed Europee CGIL

Il contesto del Paese

Gli indicatori umanitari della Somalia registrano unlivello molto basso per la cattiva governance, ilprolungato conflitto interno, il sottosviluppo, il declinoeconomico, la povertà, la disuguaglianza sociale e digenere, e il degrado ambientale. Violenze,maltrattamenti e mutilazioni genitali fanno dellaSomalia uno dei posti peggiori al mondo per le donne,un paese fortemente patriarcale.

Nonostante la guerra civile e la carestia abbianocontribuito ad aumentare il tasso di mortalità, l'altotasso di fertilità della Somalia e la grande percentualedi persone in età riproduttiva mantengono alta lacrescita della popolazione. Oltre il 60% dellapopolazione della Somalia è al di sotto dei 25 anni.

wikipedia

La mancanza di opportunità di istruzione e di lavoro èuna delle principali fonti di tensione per la moltitudinedi giovani della Somalia, che sono particolarmentevulnerabili al reclutamento dei signori della guerra edei gruppi terroristici, come di Al Shabab, fronteislamista radicale salafita, che utilizza a proprio favorele debolezze e le caratteristiche dell'appartenenzaclanica della società somala. La Somalia ha uno dei tassidi iscrizione alla scuola primaria più bassi e uno dei piùalti tassi di disoccupazione giovanile. L'aspettativa divita è bassa a causa degli alti tassi di mortalità infantilee materna, della malnutrizione cronica e dei servizisanitari inadeguati.

Scheda Somalia

Nascita della SomaliaNasce il 1° luglio del 1960 dall'unione tra la Somalia, ex coloniaitaliana, e il protettorato inglese del Somaliland, la repubblicademocratica di Somalia dell'Africa orientale, situata nella sezionenord-orientale del Corno d'AfricaGuerra civileScoppia nel 1991 la guerra civile dopo la caduta del regimemilitare guidato dal generale Siad Barre. Dopo un primointervento militare internazionale (1992-1995), diverseconferenze di pace e una seconda missione internazionale (dal2007) dell'Unione Africana, il conflitto, che ha attraversato fasimolto diverse, è ancora lontano dalla risoluzione.Le elezioni nel 2012 e il New Deal Compact nel 2013 hanno rilanciato il processo di pace e di ricostruzione del Paese con una nuova costituzione e le elezioni nel 2016.Ratifica Convenzioni ILO La Somalia ha ratificato la Convenzione sulla libertà sindacale e laprotezione del diritto sindacale del 1948 (n° 87) e la Convenzionesul diritto di organizzazione e di negoziazione collettiva del 1949(n° 98).PopolazioneLa precarietà politica del Paese rende difficile definire il quadro demografico. In base alle ultime stime condotte nel 1975 la popolazione censita ammonta a 10.817.354 La popolazione è molto giovane: più del 45% degli abitanti ha meno di 15 anni.Tasso di natalità 43,7‰ (stima 2009)Tasso di crescita 2,8 %Mortalità infantile 109,1 ‰Mortalità materna732 morti su 100.000 nati vivi (2015)Aspettativa di vita < 50 anniTasso di analfabetismo 80% Religione Musulmana sunnitaLingua Somala; AraboEconomiaLa tradizionale base dell'economia del Paese è l'agricoltura cheoccupa tuttora oltre il 70% della popolazione attiva. La risorsaprincipale è l'allevamento di ovini, caprini e bovini. Le risorse minerarie più importanti sono le saline. Esistonomodesti giacimenti di carbone, ferro,manganese, oro, rame euranio. Le attività manifatturiere sono oggi quasi completamenteparalizzate. L'economia dipende fortemente dagli aiuti internazionali. Lerimesse della diaspora sono aumentate con l'aggravarsi delconflitto, fino a diventare la prima voce in ordine di grandezza delPIL (20%).Debito esterno2.92 miliardi di $(al 31 dicembre 2014 )MigrazioneLa Somalia è tra i Paesi che hanno un elevato numero di rifugiati.L'insicurezza, la siccità, le inondazioni, la carenza alimentare e lamancanza di opportunità economiche sono i fattori principalidella migrazione.

Fonte: Atlante Geopolitco Treccani e World FactBook

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Durante i due decenni di conflitto che sono seguiti allacaduta del regime di Siad Barre nel 1991, centinaia dimigliaia di somali hanno abbandonato le loro case.Oggi la Somalia è tra i Paesi nel mondo con il più alto li -vello di rifugiati e sfollati in fuga verso l'interno del Pae-se, i Paesi confinanti, verso l'Europa e, nonostantel'instabilità politica nel Golfo, verso lo Yemen.

La comunità internazionale, a partire dal 1992, ha ten-tato diversi interventi, anche militari, missioni interna-zionali e conferenze di pace abortiti, tanto che questifallimenti hanno favorito la denominazione della Soma-lia di “stato fallito”. La pace e la stabilità sono, tuttora,le priorità principali del Paese che, dopo l'approvazionedella Costituzione provvisoria nel 2012, la nomina di unnuovo parlamento e l'elezione del presidente da partedel parlamento federale, ha rilanciato tra tante difficol-tà il processo di pace.

Il 2016 è stato un anno cruciale per l'avvio della pace edella stabilità del Paese perché si sono tenute le elezio-ni del nuovo parlamento. Per ragioni di sicurezza e logi-stiche, non sono di natura popolare, ma indirette e do-vrebbero portare all'elezione del nuovo Presidente del-la repubblica nelle prossime settimane.

La missione del sindacato somalo in Italia

E' in questo complesso quadro demografico e politicogenerale che si inserisce la difficile attività sindacaledella Confederazione dei Sindacati Somali, FESTU,come illustra di seguito la delegazione sindacale somalain visita a Roma dal 16 al 17 gennaio 2017.

La delegazione sindacale somala del FESTU, compostadal segretario generale, Omar Faruk Osman Nur, dal te-soriere, Mohamed Musse Mohamud, e dal tesorieredel sindacato dei giornalisti, NUSOJ/FESTU, Farah Mo-hamed Yusuf, ha realizzato una visita a Roma conl'obiettivo di rafforzare la collaborazione già esistentecon le organizzazioni sindacali italiane, pianificare leazioni future in materia di diritti umani, rispetto dellademocrazia e della esistenza stessa del sindacato inpreda alle intimidazioni, alla violenza e agli attacchi ri-volti a dirigenti sindacali somali, nonché alla possibilitàdi migliorare le condizioni delle lavoratrici e dei lavora-tori e rilanciare uno storico legame con un Paese cheha avuto rapporti molto forti con l'Italia.

L'agenda degli incontri, ai quali ha partecipato perl'Area Politiche Europee e Internazionali Salvatore Mar-ra, è stata fitta. E' stato realizzato un incontro con CGIL,CISL e UIL durante il quale c'è stato un aggiornamentosulle ultime vicende, sia rispetto all'Italia e all'Europa esia rispetto alla situazione in Somalia, a partire da quel-la politica che, purtroppo, è molto instabile. Sono statirealizzati incontri istituzionali, durante i quali la delega-zione somala ha incontrato il vice ministro degli Affari

Esteri e Cooperazione Internazionale Mario Giro, perconcertare una strategia di cooperazione insieme alsindacato, la Direzione generale per la cooperazioneallo sviluppo, come pure gli istituti che si occupano dicooperazione allo sviluppo, come NEXUS, ISCOS eProgetto Sud e le strutture nazionali della CGIL.

La situazione sindacale attuale

Il segretario generale - Omar Faruk Osman Nur - ha il-lustrato la situazione sindacale in Somalia e le condizio-ni di precarietà in cui il sindacato somalo opera per i di-versi attacchi lanciati da gruppi armati contro il sindaca-to nel tentativo di fermare le mobilitazioni. I diritti fon-damentali alla libertà sindacale, all'organizzazione eall'assemblea sindacale, sono messi in pericolo dallapresenza dei servizi segreti nelle riunioni sul territorioche stanno rendendo difficile la vita al sindacato – haaffermato il segretario generale. I lavoratori e gli attivi-sti sindacali rischiano la propria vita perché in Somaliaè come se non esistesse il diritto alla vita. Lo scorsoanno sono state uccise più di 150 persone e oltre 500sono rimaste ferite in seguito agli attacchi delle milizie.

La Confederazione dei Sindacati Somali, insieme al Sin-dacato nazionale dei Giornalisti Somali (NUSOJ) e allaConfederazione Sindacale Internazionale (ITUC), hapresentato una denuncia contro il Governo Federaledella Somalia per gravi minacce, atti di intimidazione erappresaglie realizzate contro gli iscritti al sindacato e aidirigenti del sindacato dei giornalisti.

Il segretario generale ha riferito, poi, che il ministro delLavoro e degli Affari Sociali ha favorito nel 2016 l'istitu-zione di un “sindacato” per i lavoratori del settore pub-blico, interferendo in questo modo nella formazione li-bera e indipendente dei sindacati. Inoltre, l'ex giudiceche emise la storica sentenza sulla libertà sindacale e ilpresidente della Corte d'Appello Regionale sono stati ri-mossi con decreto presidenziale della Costituzione prov-visoria, sebbene il presidente non ne avesse il potere.

La Confederazione somala ha, inoltre, denunciatol'assassinio di Abdiasis Mohamed Ali, giornalista emembro del NUSOJ, ucciso il 27 settembre 2016 da dueuomini armati di pistole a nord di Mogadiscio.

Le organizzazioni sindacali ritengono che questo terribi-le assassinio rappresenti come il Governo non abbiadato adeguato seguito alle raccomandazioni presentatedal Consiglio di amministrazione dell'ILO in cui si chiedeal Governo somalo di rispettare la libertà sindacale e ildiritto alla contrattazione collettiva e di realizzareun'indagine investigativa in merito alla morte del gior-nalista sindacalista e all'attentato al segretario generaledella Confederazione somala.

Il segretario generale della Confederazione somala, hapoi concluso rivolgendo un appello: “Siamo qui anche

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per chiedere il sostegno del movimento sindacale italia-no per la tutela della libertà sindacale in Somalia per-ché i nostri Paesi hanno un rapporto storico e i nostripopoli hanno stretti legami. La rappresentanza diplo-matica italiana a Mogadiscio è l'unica ambasciata dellazona euro sul nostro territorio. Anche se non possiamoparagonare la situazione politica e le istituzioni gover-native dei nostri due Paesi, date le diverse circostanze,questo non vuol dire che i sindacati e i lavoratori nondebbano mantenere rapporti”.

Il tesoriere della Confederazione somala - MohamedMusse Mohamud - ha fatto riferimento al processoelettorale indiretto in corso che prevede diverse fasiche porteranno all'elezione di 275 deputati della Came-ra del popolo, a 54 parlamentari della camera alta delparlamento attraverso un sistema di voto indiretto a cuiil Governo ha fatto ricorso perché non era in grado dicontrollare l'intero territorio in seguito alla presenza ealle attività dell'organizzazione Al Shabab. Infatti, nel2016, il Governo non è riuscito a garantire le elezioni.

Sono stati già nominati il presidente e il vice presidentedel parlamento, in attesa della nomina dei deputati allacamera bassa che eleggeranno, infine, insieme ai depu-tati della Camera alta il Presidente della repubblica.

Il tesoriere del sindacato dei giornalisti, NUSOJ/FESTU -Farah Mohamed Yusuf - ha descritto la situazione di pe-ricolo che la sua categoria sta vivendo da quattro anni,duranti i quali ha perso diversi attivisti. Sono stati uccisitre giornalisti solo lo scorso anno. Il nostro problema –sottolinea Farah Mohamed Yusuf – è che il governo ri-corre ad arresti arbitrari, all'intimidazione, spingendoalcuni dei nostri colleghi a fuggire all'estero e in Euro-pa. Credo che la Somalia sia, oramai, a un crocevia. Siprevede l'introduzione di un nuovo Governo e l'elezio-ne del nuovo presidente nelle prossime settimane. Pernoi questo momento è molto importante perché vo-gliamo superare il vecchio sistema politico antiquato esperimentare un nuovo sistema che sia più rispettosodell'attività sindacale in modo da poter esercitare i di-ritti democratici: il diritto di espressione, il diritto di as-semblea. Il motivo per cui siamo venuti in Italia è cerca-re un sostegno politico per superare i problemi che ab-biamo conosciuto negli ultimi vent'anni.

Le attività future di collaborazione con il sindacatoitaliano

La CGIL ha colto l'occasione per ricordare il lavoropositivo svolto da anni con la comunità di immigratisomali in Italia, ed esprimere solidarietà alla comunitàsomala di Firenze in seguito al tragico incendioavvenuto lo scorso 11 gennaio in un capannone doveavevano trovato riparo migranti e che ha provocato lamorte di un cittadino somalo.

FESTU ha già ottenuto dalla cooperazione italiana un

finanziamento per la realizzazione di una formazionerelativa al miglioramento dell'equilibrio di genere e del-la condizione delle donne dal punto di vista dell'azionesindacale. Questo tema, insieme alla difesa delle mino-ranze e della promozione del rispetto delle diversità, èuno degli obiettivi sottolineati da FESTU. Il viceministroGiro si è impegnato a reperire ulteriori finanziamentiper la realizzazione di altre due azioni di cooperazionesui temi dell'occupazione giovanile e dell'economia in-formale. Gli istituti di cooperazione promossi dai sinda-cati italiani si sono, inoltre, dichiarati disponibili a rilan-ciare attività di progettazione con FESTU nel medio lun-go periodo sulla base di priorità che saranno indicatedal gruppo dirigente del sindacato somalo.

Scheda Confederazione dei Sindacati Somali - FESTU

Fondazione FESTU: 2010

Iscritti paganti le quote sindacali: 38.000

Iscritti registrati non paganti: 165.000

Al 3° e ultimo Congresso del FESTU hanno partecipato 71 delegatiprovenienti da 11 categorie sindacali della Somalia, tra cui 32sindacaliste donne. (Va evidenziato che l'uguaglianza di genere el'empowerment delle attiviste sindacali a livello di delegate sindacalie luoghi di lavoro sono stati temi formativi trattati dal sindacato percontrastare la discriminazione di genere in una società patriarcale.)Il 3° Congresso si è tenuto all'insegna dello slogan che riassume lasfida odierna della Confederazione: “Rispettare i nostri diritti –proteggere la nostra sicurezza”

Direzione nazionale

Presidente: Ahmed Osman Said

Primo Vice presidente: Sharif Abubakar

Vice presidente: (donna) Nasro Haji Ahmed

Segretario generale: Omar Faruk Osman

Vice segretario generale: Hussein Madey

Tesoriere nazionale: Mohamed Mohamud

Vice tesoriere nazionale:(donna) Samira Jimale

11 Sindacati di categoria Delegati Comitato

Esecutivo

Lavoratori del settore agricolo e alimentare della Somalia (SAFWU)

9

Nazionale giornalisti (NUSOJ) 5

Lavoratori del settore marittimo, ittico e portuale (SMFPWU)

8

Lavoratori delle telecomunicazioni e delle poste (STPU)

7

Lavoratori degli alberghi e del catering (SHCWU) 6

Lavoratori dei trasporti (STWU) 7

Sarti e tessili (STTWU) 6

Nazionale elettrici (NEWUS) 6

Lavoratori delle costruzioni (SCWU) 5

Associazione infermieri (SNWA) 6

Lavoratori del Petrolio e del Gas (SUPEGW) 6

Totale delegati 71

Fonte: Rapporto 3 Congresso nazionale del FESTU, Mogadiscio, 6 7 aprile 2016