Incontro Settembre 2012

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Per una Chiesa Viva www.chiesaravello.it www.ravelloinfesta.it Anno VIII - N. 8 – Settembre 2012 Il prossimo 11 ottobre, cinquantesimo anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II e ventesimo anniversario del- la pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, avrà inizio l'Anno della fede che Papa Benedetto XVI ha indetto con la lettera apostolica “Porta fidei” dell'11 ottobre 2011. Significative entrambe le ri- correnze perchè il Concilio Vaticano II, nella sua corret- ta interpretazione, è stato «una grande forza per il sem- pre necessario rinnovamento della Chiesa.» e il Catechi- smo della Chiesa Cattolica è «uno dei frutti più importanti del Concilio Vaticano II», uno strumento prezioso per ap- profondire la conoscenza sistematica dei contenuti della fede cattolica. Il Santo Padre Benedetto XVI,infatti, nell’indicare gli scopi dell’anno della fede, ha affermato: « Desideriamo che questo Anno susciti in ogni credente l'aspirazione a con- fessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un'occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell'Eucaristia, che è "il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua ener- gia". Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua credibilità. Riscoprire i conte- nuti della fede professata, celebrata, vis- suta e pregata, e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare proprio, soprat- tutto in questo Anno [Porta Fidei, 9]». Un altro tema importante dell'Anno della fede è la "nuova evangelizzazione", cioè l'annuncio del Vangelo ai popoli di antica cristianità, che hanno smarrito la fede o che vivono in una società secolarizzata, in cui è difficile testimoniare i valori cristia- ni. L'apertura dell'Anno della fede coincide- rà con l'Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi che si svolgerà nello stesso mese e avrà come tema "La nuova evan- gelizzazione per la trasmissione della fede cristiana". Nella Omelia per la Messa Crismale di quest’anno, Benedetto XVI affermava: «L’Anno della Fede, il ricordo dell’apertura del Concilio Vaticano II 50 anni fa, deve essere per noi un’occasione di annunciare il messaggio della fede con nuovo zelo e con nuova gioia. Lo troviamo naturalmente in modo fondamentale e primario nella Sacra Scrittura, che non leggeremo e mediteremo mai abbastanza. Ma in questo faccia- mo tutti l’esperienza di aver biso- gno di aiuto per trasmetterla rettamente nel presente, affinché tocchi veramente il nostro cuore. Questo aiuto lo troviamo in pri- mo luogo nella parola della Chie- sa docente: i testi del Concilio Vaticano II e il Catechismo della Chiesa Cattolica sono strumenti essenziali che ci indicano in modo autentico ciò che la Chiesa crede a partire dalla Parola di Dio. E naturalmente ne fa parte anche tutto il tesoro dei documenti che Papa Giovanni Paolo II ci ha do- nato e che è ancora lontano dall’essere sfruttato fino in fon- do”. È lo stesso Papa, dunque, a riconoscere la piena continuità di Magi- stero tra i testi del Concilio Ecumenico Vaticano II e il Catechismo della Chiesa Cattolica, invitando la Chiesa ad aprire lo scrigno, ancora troppo poco sfruttato, del tesoro ultraventennale del Beato Papa Giovanni Paolo II. Continua a pagina 2 Anno della Fede e Nuova Evangelizzazione P ERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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Periodico della Chiesa Ravello

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Per una Chiesa Viva

www.chiesaravello.it www.ravelloinfesta.it Anno VIII - N. 8 – Settembre 2012

Il prossimo 11 ottobre, cinquantesimo anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II e ventesimo anniversario del-la pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, avrà inizio l'Anno della fede che Papa Benedetto XVI ha indetto con la lettera apostolica “Porta fidei” dell'11 ottobre 2011. Significative entrambe le ri-correnze perchè il Concilio Vaticano II, nella sua corret-ta interpretazione, è stato «una grande forza per il sem-pre necessario rinnovamento della Chiesa.» e il Catechi-smo della Chiesa Cattolica è «uno dei frutti più importanti del Concilio Vaticano II», uno strumento prezioso per ap-profondire la conoscenza sistematica dei contenuti della fede cattolica. Il Santo Padre Benedetto XVI,infatti, nell’indicare gli scopi dell’anno della fede, ha affermato: « Desideriamo che questo Anno susciti in ogni credente l'aspirazione a con-fessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un'occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell'Eucaristia, che è "il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua ener-gia". Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua credibilità. Riscoprire i conte-

nuti della fede professata, celebrata, vis-suta e pregata, e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare proprio, soprat-tutto in questo Anno [Porta Fidei, 9]». Un altro tema importante dell'Anno della fede è la "nuova evangelizzazione", cioè

l'annuncio del Vangelo ai popoli di antica cristianità, che hanno smarrito la fede o che vivono in una società secolarizzata, in cui è difficile testimoniare i valori cristia-ni. L'apertura dell'Anno della fede coincide-rà con l'Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi che si svolgerà nello stesso

mese e avrà come tema "La nuova evan-gelizzazione per la trasmissione della fede cristiana". Nella Omelia per la Messa Crismale di quest’anno, Benedetto XVI affermava: «L’Anno della Fede, il ricordo dell’apertura del Concilio Vaticano II 50 anni fa, deve essere per noi un’occasione

di annunciare il messaggio della fede con nuovo zelo e con nuova gioia. Lo troviamo naturalmente in modo fondamentale e primario nella Sacra Scrittura, che non leggeremo e mediteremo mai abbastanza. Ma in questo faccia-mo tutti l’esperienza di aver biso-gno di aiuto per trasmetterla rettamente nel presente, affinché tocchi veramente il nostro cuore. Questo aiuto lo troviamo in pri-mo luogo nella parola della Chie-sa docente: i testi del Concilio Vaticano II e il Catechismo della Chiesa Cattolica sono strumenti essenziali che ci indicano in modo autentico ciò che la Chiesa crede a partire dalla Parola di Dio. E naturalmente ne fa parte anche tutto il tesoro dei documenti che Papa Giovanni Paolo II ci ha do-nato e che è ancora lontano dall’essere sfruttato fino in fon-do”. È lo stesso Papa, dunque, a

riconoscere la piena continuità di Magi-stero tra i testi del Concilio Ecumenico Vaticano II e il Catechismo della Chiesa Cattolica, invitando la Chiesa ad aprire lo scrigno, ancora troppo poco sfruttato, del tesoro ultraventennale del Beato Papa Giovanni Paolo II.

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Anno della Fede e Nuova Evangelizzazione

PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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È lo stesso Papa, dunque, a riconoscere la piena continuità di Magistero tra i testi del Concilio Ecumenico Vaticano II e il Catechismo della Chiesa Cattolica, invi-tando la Chiesa ad aprire lo scrigno, an-cora troppo poco sfruttato, del tesoro ultraventennale del Beato Papa Giovanni Paolo II. Due aspetti possono essere posti in evidenza, a partire dalla citazione pon-tificia, nel rapporto tra Catechismo della Chiesa Cattolica e nuova evangelizzazio-ne. Il primo lo traiamo dalle parole stes-se di Benedetto XVI, che afferma: «Facciamo tutti l’esperienza di aver biso-gno di aiuto per trasmetterla rettamente nel presente, affinché tocchi veramente il nostro cuore». L’opera di evangelizzazio-ne, quindi, non è appena un “fare” uma-no, ma necessita, invincibilmente, di un aiuto soprannaturale, il quale si manifesta attraverso le cause seconde (tra esse an-che il Catechismo) che rendono capaci di trasmettere rettamente la fede. Tale tra-smissione deve avvenire “nel presente”, cioè nell’oggi della vita quotidiana e, in tal senso, l’evangelizzazione è sempre nuova, poiché è un perenne rinnovarsi, nel presente, dell’annuncio evangelico e, nel contempo, rinnova, “rende nuovo” colui che la accoglie. Inoltre il Santo Pa-dre, quasi con un guizzo profetico, affer-ma che tutto ciò è necessario «affinché tocchi veramente il nostro cuore», riba-dendo, sempre secondo il principio della coincidenza tra la propria vita e la verità creduta, che, proprio nell’atto evangeliz-zante, il cristiano vede toccato il proprio cuore e, dunque, è chiamato a rinnovar-si. Possiamo ragionevolmente sperare, alla luce di tutto ciò, che la nuova evan-gelizzazione non dovrà essere un’opera da compiere in anni futuri, con strategie umane più o meno riuscite, ma essa, al contrario, avverrà nella misura in cui l’intero Corpo ecclesiale – vescovi, pre-sbiteri, diaconi e fedeli laici - professerà la propria fede e verrà rievangelizzato dalla propria stessa professione di fede. La nuova evangelizzazione non sarà il frutto di un’opera compiuta da pastori e fedeli, ma coinciderà con l’atto stesso dell’evangelizzare, che, nell’istante stes-so in cui viene compiuto, rinnova chi lo compie ed è seme di speranza per chi lo contempla e lo accoglie.

Don Giuseppe Imperato

Vi do una notizia un po’ riservata. Vi rivelo un segreto; ma, mi raccomando, resti tra noi. La notizia è questa: grande è la fortuna di noi credenti. Grande è la fortuna di chi è «cristiano»; cioè appar-tiene, sa di appartenere, vuole apparte-nere a Cristo. Grande è la fortuna dei credenti in Cristo. Però non andate a dirlo agli altri: non la capirebbero. E potrebbero anche aversela a male: po-trebbero magari scambiare per presun-zione il nostro buon umore per la felice consapevolezza di quello che siamo; po-trebbero addirittura giudicare arroganza la nostra riconoscenza verso Dio Padre che ci ha colmati di regali. C’è perfino il rischio di essere giudicati intolleranti: intolleranti solo perché non ci riesce di omologarci – disciplinatamente e possi-bilmente con cuore contrito – alla cultura i m p e r a n t e ; i n t o l l e r a n t i solo perché non ci riesce di smarrirci, come sarebbe «politicamente c o r r e t t o » , nella generale c o n f u s i o n e delle idee e dei comportamenti. Conoscere il senso di ciò che si fa È già una fortuna non piccola e non occa-sionale – che ci viene dalla nostra profes-sione di fede – quella di conoscere il senso di alcune piccole consuetudini e di alcune circostanze occasionali. Per esem-pio, tutti mangiamo il panettone a Nata-le, ma solo i credenti sanno perché lo mangiano. Non è che il loro panettone sia necessariamente più buono di quello dei non credenti: è semplicemente più ragionevole. Un altro esempio: un po’ d’anni fa eravamo tutti eccitati e in tripu-dio per il suggestivo traguardo del Due-mila che ci sarebbe stato dato di raggiun-gere: ma l’emozione e la festa dei cre-denti erano meglio motivate. Noi non ci sentivamo emozionati e in festa soltanto per la rotondità della cifra (duemila!);

eravamo presi e allietati dal forte ricordo di un evento che è centrale e anzi unico nella storia: il ricordo del bimillenario dall’ingresso sostanziale e definitivo di Dio nella vicenda umana. Quell’anno appunto ci veniva più intensamente ri-chiamata la memoria dell’Unigenito del Padre che è divenuto nostro fratello e si ravvivava in noi con vigore singolare la grande speranza che duemila anni fa ha incominciato ad attraversare la terra. Come si vede, tutta l’umanità festeggiava il Duemila; ma la nostra festa era innega-bilmente più consistente e più razional-mente fondata. C r e d e n t i e c r e d u l o n i Coloro che si affidano a Cristo – che è «Luce da Luce», cioè il Logos sostanziale ed eterno di Dio – sono inoltre abbastan-

za difesi dalla tenta-zione di affidarsi a ciò che è inaffidabile. Anche que-sta è una fortuna non da poco. È stato giu-s t a m e n t e notato co-me il mon-

do che ha smarrito la fede non è che poi non creda più a niente; al contrario, è indotto a credere a tutto: crede agli oro-scopi, che perciò non mancano mai nelle pagine dei giornali e delle riviste; crede ai gesti scaramantici, alla pubblicità, alle creme di bellezza; crede all’esistenza degli extraterrestri, al new age, alla me-tempsicosi; crede alle promesse elettora-li, ai programmi politici, alle catechesi ideologiche che ogni giorno ci vengono inflitte dalla televisione. Crede a tutto, appunto. Perciò la distinzione più ade-guata tra gli uomini del nostro tempo parrebbe non tanto tra credenti e non credenti, quanto tra credenti e credulo-ni. La conoscenza del Padre Chi è «di Cristo» riceve in dotazione anche la certezza dell’esistenza di Dio.

SEGUE DALLA PRIMA La Fede: il vantaggio di essere credenti

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Ma non di un Dio filosofico, che all’uomo in quanto uomo non interessa granché; non di un Dio che viene chiama-to in causa solo per dare un comincia-mento e un impulso alla macchina dell’universo, e poi lo si può frettolosa-mente congedare perché non interferisca e non disturbi; non di un Dio che, dopo il misfatto della creazione, parrebbe essersi reso latitante. Questa è, press’a poco, la concezione «deistica», e non ha niente a che vedere né con l’insegnamento del Signore né con la nostra vita. C’è anzi da dire che tra il deismo e l’ateismo, per quel che personalmente ci riguarda, la differenza non è poi molta. Il nostro Dio è «il Padre del Signore nostro Gesù Cri-sto », come amava ripetere san Paolo. E lo si incontra, incontrando Gesù di Naza-ret e il suo Vangelo: «Nessuno conosce il Padre se non il Figlio – lo ha detto lui esplicitamente – e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo» (Mt 11,27). L a s f o r t u n a d e l l ’ a t e o Si può intuire quanto sia grande a questo proposito la nostra fortuna, soprattutto se ci si rende conto davvero della poco invidiabile condizione degli atei. I quali, messi di fronte ai guai inevitabili in ogni percorso umano, non hanno nessuno con cui prendersela. Un ateo – che sia vera-mente tale – non trova interlocutori competenti e responsabili con cui possa discutere dei mali esistenziali, e lamen-tarsene. Non c’è nessuno contro cui ri-bellarsi, e ogni sua contestazione, a ben pensarci, risulta un po’ comica. Di solito, in mancanza di meglio, finisce coll’aggredire i credenti; ma è un bersa-glio che non è molto appagante, perché i credenti (se sono saggi) se ne infischiano di lui e non gli prestano molta attenzio-ne. Un ateo, se non vuol clamorosamen-te rinunciare a ogni logica e a ogni coe-renza, è privato perfino della soddisfazio-ne di bestemmiare. E questa è la più co-mica delle disavventure. Clave Staples Lewis (l’autore delle famose Lettere di Berlicche), ricordando il tempo della sua incredulità, confessava: «Negavo l’esistenza di Dio ed ero arrabbiato con lui perché non esisteva». Un Dio che ama Gesù poi – rivelandoci, attraverso il mi-stero della sua passione e della sua gloria, che anche l’umiliazione, la sofferenza, la morte trovano posto in un disegno

d’amore che tutto riscatta e alla fine con-duce alla gioia – ci preserva anche dalla follìa di chi arriva a ipotizzare, fondando-si sulla sua stessa personale esperienza, che un Dio probabilmente esiste; ma, se esiste, è malvagio e causa di ogni malva-gità. È il sentimento espresso, per esem-pio, nella spaventosa professione di fede di Jago nell’Otello di Verdi all’atto se-condo: «Credo in un Dio crudel che m’ha creato simile a sé». Il Dio che ci è fatto conoscere dal Redentore crocifisso e risorto, è un Dio che ci vuol bene e, come dice san Paolo, fa in modo che «tutto concorra al bene per quelli che sono stati chiamati secondo il suo dise-gno» (cf. Rm 8,28); tutto concorre al nostro bene anche quando noi sul mo-mento non ce ne avvediamo. È la verità consolante ed entusiasmante che Gesù ci confida, quasi suprema sua eredità, nei

discorsi dell’ultima cena: «Il Padre vi ama» (Gv 16,27). Il Padre ci ama: con questa certezza nel cuore ogni difficoltà, ogni tristezza, ogni pessimismo diventa per noi superabile. Chi è l’uomo Facendoci conoscere il Padre, Gesù ci porta anche alla miglior comprensione di noi stessi: ci fa conoscere chi siamo in realtà, quale sia lo scopo del nostro pena-re sulla terra, quale ultima sorte ci atten-da. «Cristo – dice il Concilio Vaticano II – proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altis-

sima vocazione» (Gaudium et spes 22). Così veniamo a sapere – e nessuna notizia è per noi più interessante e risolutiva di questa – che siamo stati chiamati ad esi-stere non da una casualità anonima e cie-ca, ma da un progetto sapiente e benevo-lo. Veniamo a sapere che l’uomo non è un viandante smarrito che ignora donde venga e dove vada né perché mai si sia posto in viaggio, ma un pellegrino moti-vato, in cammino verso il Regno di Dio (che è diventato anche suo) e verso una vita senza fine. Il dilemma tra l’essere increduli e l’essere credenti è in realtà il dilemma tra il ritenersi collocati entro un guazzabuglio insensato e il conoscere di essere parte di un organico e rasserenante disegno d’amore. L’alternativa, a ben considerare, sta fra un assurdo che ci vanifica e un mistero che ci trascende; alternativa che esistenzialmente diventa quella tra un fatale avvìo alla disperazione e una vocazione alla speranza. Perciò san Paolo può ammonire i cristiani di Tessa-lonica a non essere malinconici e sfiducia-ti come gli altri; «come gli altri – egli dice – che non hanno speranza» (1Ts 4,13). Questa è dunque la sorte invidia-bile di coloro che sono «di Cristo»: dal momento che «conoscono le cose come stanno», non sono costretti ad appendere ai punti interrogativi la loro unica vita. «Dove c’è la fede, lì c’è la libertà» Un’altra grande fortuna di coloro che sono «di Cristo» è quella di essere liberi. Abbiamo ricevuto a questo riguardo una precisa promessa: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; co-noscerete la verità e la verità vi farà libe-ri» (Gv 8,31-32). Il principio di questa prerogativa inalienabile del cristiano è la presenza in noi dello Spirito Santo: «Dove c’è lo Spirito del Signore, c’è li-bertà» (2Cor 3,17); quello Spirito che, secondo la parola di Gesù, ci guida alla verità tutta intera (cf. Gv 16,13). Vale a dire, come abbiamo appena visto, ci chia-rifica «le cose come stanno». Sant’Ambrogio enuncia icasticamente questo caposaldo dell’antropologia cri-stiana, scrivendo in una sua lettera: «Dove c’è la fede, lì c’è la libertà».

Giacomo Biffi

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Forse assomiglio alla volpe della favola di Esopo, ma mi sono sempre reputato for-tunato per non essere nato ricco. Per natura sono pigro e fatalista, e credo che se avessi potuto contare su delle rendite, o su un qualche patrimonio, avrei fatto ancor meno di quel poco che sono riusci-to a fare. Inoltre, ho sempre pensato che vivere nel lusso possa diventare un fardello molto pesante da portare: sazietà, noia, vizi, sensi di colpa e accidenti del genere. No, meglio continuare a credere ai consigli di saggi e filosofi: la più gran-de ricchezza che possiamo sperimentare è una buona dose di amore donato e ricevuto, di serenità, di stima da parte degli altri. All’alba del pensiero uma-no, i saggi greci e orientali si ponevano già quella cru-ciale domanda: quali sono le cose che rendono piace-vole e positiva l’esistenza? I nostri intelligenti antenati non tardarono a capire che vivere in modo sereno e soddisfacente non richiede affatto il possesso di ricchezze. Se posse-diamo molti beni, ma non siamo capaci di relazioni empatiche, di contatti umani sinceri e profondi, non saremo mai felici. Al contrario, se abbiamo poco o niente, ma viviamo una vita di affetti, di libertà, di pace, non saremo mai infelici. Molti ricchi (ma non solo loro) si befferebbero di queste conclusioni evangeliche. “E’ vero”, direbbero, “la ricchezza non dà la felicità, ma aiuta”; oppure “i soldi in sé non migliorano la vita, ma permettono di ottenere i mezzi per migliorarla”. Inol-tre, diranno ai saggi i detrattori delle “verità” filosofiche, dovete ammettere che vivere circondati da stima, amore e serenità è spesso un pura dichiarazione di intenti, essendo arduo per chiunque riu-scire a possedere tutti e tre questi beni preziosi. Istintivamente, tutti noi proviamo senti-menti di invidia, sospetto, astio, per co-loro che vivono nel lusso. Ma anche nella ricchezza c’è distinzione. Ci sono i na-

babbi che non perdono occasione per ostentare le loro illimitate possibilità economiche; e quelli che hanno una cul-tura della ricchezza, e che si tengono lontani da ogni ostentazione. Sono i pri-mi, tuttavia, a essere più inafferrabili: frequentano case, luoghi e ambienti sem-pre esclusivi, viaggiano in jet privati, elicotteri e yacht. Ma ci pensano le cro-nache mondane a svelare le loro esisten-ze: si scambiano informazioni sui “personal trainer” e sugli “house-hold manager”; indossano solo capi griffati; si

incontrano al Four Season’s di New York, al Ritz-Carlton di Mosca, al Burj-al-Arab di Dubai, all’Atlantis delle Baha-mas; i loro bambini paiono manichini addobbati dal miglior vetrinista della Fifth Avenue. Dunque, i miliardari non sono tutti ugua-li; e forse non c’è argomento, più di quello della ricchezza, che debba indurci alla prudenza del giudizio. Per comincia-re, sapevate che i neo-ricchi americani (e non solo americani) sono quasi tutti indi-vidui che non hanno ereditato il loro pa-trimonio, ma se lo sono guadagnato ini-ziando dal basso, rischiando in proprio e lavorando sodo all’idea che li ha portati al successo? E sapevate che molti dei pape-roni del mondo (Bill Gates, Ted Turner, Warren Buffet, Carlos Slim, David Ro-ckefeller) sono dei grandi benefattori dell’Umanità, e che alcuni di essi (come Charles Feeney, il re dei Duty Free Shops) hanno abbandonato il business e investito tutto il loro patrimonio in attivi-

tà di beneficenza? Ma ci sono altri punti di vista da conside-rare. Per esempio, gli schiavi dello shopping compulsivo, i ricchi dediti alla caccia incessante di oggetti esclusivi e costosi, lo fanno solo per vizio, per bra-ma di possesso, per ostentare le loro possibilità finanziarie? Gli psicologi so-stengono che le cose che vogliamo posse-dere a ogni costo sono spesso dei surro-gati a bisogni che non riusciamo a inter-pretare. Vorremmo il miglior capo di cachemire perché in realtà abbiamo biso-

gno di calore umano, vorrem-mo vivere nell’agiatezza per poter allargare la nostra base sociale, vorremmo poter com-prare oggetti costosi e appari-scenti per essere ammirati e trattati da persone di rango. Personalmente, quando mi im-batto in scene di lusso sfrenato, due pensieri si affacciano alla mia mente; il primo corre verso l’opposta condizione di chi non ha niente, di chi dal banchetto del mondo è rimasto escluso, ed è un pensiero di rabbia, di im-potenza, di pena. Il secondo,

umanamente consolatorio, mi suggerisce che chi ha già tanto, e vuole sempre di più, sta solo cercando di colmare un vuo-to dell’anima. Non c’è alcun dubbio sul fatto che quanto più ci distacchiamo dalle cose materiali tanto più cresciamo inte-riormente. Epitteto, vissuto nel I secolo d.C., ne fa una questione di libertà: l’uomo sarà tanto più libero quanto più saprà restare indifferente ai beni esterio-ri, interessandosi a quelli interiori. La storia dell’Umanità è piena di spiriti elet-ti che hanno disdegnato le cose materiali per coltivare un’esigenza assoluta. Uno dei massimi esempi, in questo sen-so, è stato offerto da quella che personal-mente considero, insieme a Emily Di-ckinson, la più grande poetessa di ogni tempo. Sto parlando della letterata russa Marina Cvetaeva, nata a Mosca nell’ottobre 1892, morta il 31 agosto 1941. Questa stella del firmamento poe-tico condusse quasi tutta la sua esistenza in condizioni di estrema indigenza

Il luogo più povero della terra

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e solitudine. Non solo; rifiutando di pie-garsi alle tendenze politiche in atto nella Russia pre-comunista e poi nella Russia Sovietica, dovette sopportare l’ostracismo, le persecuzioni e i giudizi sprezzanti (e falsi) dell’intellighenzia schierata con il potere dominante. Non esiste, nella storia della letteratura mon-diale, una parabola umana ed artistica paragonabile a quella di Marina, e un’immagine più tragica di quella di una poetessa di valore assoluto costretta a scrivere queste cose: Alla sorella Anastasija Ivanovna Cvetae-va, da Mosca, il 17 dicembre russo 1920: “Io e Alja (la figlia - n.d.a.) viviamo sem-pre nella stessa casa, nella stanza da pran-zo (le altre sono state occupate). La casa è saccheggiata e devastata. Un tugurio. Nella stufa mettiamo i mobili”. All’amica Olga Eliseevna Cernova, dalla Boemia, il 3 dicembre 1924 (parlandole dell’imminente nascita del figlio, che chiamerà Georgij – n.d.a.): “L’evento avrà luogo tra due mesi e mezzo, e io non ho nulla, neanche il nome dell’ospedale. Non sono stata neppure una sola volta dal dottore – insomma è tutto nelle mani di Dio. C’è bisogno di talmente tante cose che mi gira la testa: oltre ai vestitini e panni vari – la carroz-zella, la tinozza per il bagno – da dove le faccio saltar fuori? Siamo indebitati fino all’osso, io questo mese non ho guadagna-to nulla”. All’amico Nikolaj Pavlovic Gronskij, dalla Francia, nel febbraio 1931: “Non vi avanzano, per caso, un po’ di franchi? Stiamo morendo di fame. Tutte le risorse di denaro sono finite di colpo, e la Novaja Gazeta non ha preso il mio articolo”. All’amica Anna Antono-vna Teskovà, dalla Francia, il 27 gennaio 1932: “Siamo nella più nera miseria, non abbiamo pagato l’affitto (su 1300 franchi avevamo spedito un anticipo di 700, la padrona di casa ce li ha rimandati indie-tro perché li voleva tutti insieme), e noi, naturalmente abbiamo cominciato a spenderli perché non abbiamo di che vivere…”. Al Soviet del Litfond (una volta tornata nell’Unione Sovietica), da Cistopol (Repubblica Tatara), il 26 agosto 1941: “Chiedo di essere assunta come sguattera nella mensa del Litfond di prossima aper-tura”. (Cinque giorni dopo, non essendo riuscita ad ottenere un lavoro, Marina

Cvetaeva si impiccherà nella cittadina tatara di Elabuga). Un’intera vita di mi-seria, sofferenza, delusioni, per la grande anima russa che scrisse: “Della poesia hanno bisogno soltanto le cose di cui nessuno ha bisogno. E’ il luogo più povero di tutta la Terra. E il più sacro”. Rabbia, incredulità, dolore, accompagnano la lettura dell’epistolario di Marina Cvetae-va, dove le lettere di questo tenore supe-rano nel numero quelle, di grande valen-za letteraria, dove parla di arte, di poesi-a, di letteratura. Ma il mondo delle lette-re, fortunatamente, ama accogliere gli individui che nella vita non sono riusciti. La povertà, la solitudine e il dolore, che immiseriscono l’uomo comune, sono dei formidabili alleati dei grandi spiriti. “Gli anni felici”, scrive Proust nella Recherche, “sono anni perduti, si aspetta una soffe-renza per lavorare. E’ il dolore a svilup-pare le forze dello spirito”.Distacco dalle cose materiali, solitudine e sofferenza sopportate con eroica abnegazione, asso-luta dedizione alla poesia: ci sono indizi più sicuri per farci capire che Marina ha posseduto la massima ricchezza spiritua-le, la fusione totale fra vocazione ed esi-stenza? “Non amo la vita come tale”, scriveva il 30 dicembre 1925 all’amica Anna Antonovna Teskovà, “la vita per me comincia ad avere senso – cioè ad acquistare significato e peso – solo trasfi-gurata, e cioè nell’arte. Se mi prendesse-ro al di là dell’oceano – in paradiso – e m’impedissero di scrivere, io rinuncerei all’oceano e al paradiso”.E all’amica Vera Nikolaevna Bunina, dalla Francia, il 20 marzo 1928: “Detto questo, con vergo-gna, come sempre quando si tratta di denaro – che io disprezzo, e che con la stessa moneta mi ricambia (chi riuscirà a odiare di più: io i soldi o i soldi me??) – accludo la mia domanda”.Ci sono perso-ne che hanno trascorso l’intera esistenza negli agi e nelle ricchezze, soddisfacendo ogni voglia, ogni capriccio. Altre hanno vissuto di valori diversi, più intimi e pro-fondi. Un’altra donna nata povera, Fran-coise d’Aubigné, ma dotata di tale fasci-no e intelligenza da diventare la moglie morganatica del Re Sole, e passare alla storia col nome di Madame de Mainte-non, diceva: “Non davo alcun peso alle ricchezze, ero infinitamente al di sopra dell’interesse, ma volevo l’onore”. Come e più di lei, Marina Cvetaeva non

dava alcuna importanza ai beni esteriori. Spesso chi vive una vita accontentandosi di godere delle ricchezze materiali scom-pare per sempre dalla scena del mondo. Marina, che ha perseguito l’unico lusso di credere nella propria grandezza, vi resterà in eterno. Coraggio, indipenden-za di giudizio, amore per la libertà e per la bellezza del Creato: Marina Cvetaeva ha estratto questo dal mondo, trasfon-dendolo in poesia e facendone l’essenza di ogni giorno, di ogni attimo della sua vita. Armando Santarelli

Il segno della maturità cristiana

Domenica 12 agosto, in Duomo, durante la celebrazione liturgica delle ore 10.30, sei membri della comunità ecclesiale ravellese hanno ricevuto il sacramento della Confermazione attraverso l’imposizione delle mani e l’unzione da parte di Mons. Claudio Gugerotti, nun-zio apostolico in Bielorussia e Arcivesco-vo titolare di Ravello. All’importante appuntamento Martina Amato, Raffaele Amato, Marco Conte, Alessandro Di Palma, Ilenia Perillo, Raffaella Ruocco si sono preparati seguendo un percorso di approfondimento che si è concluso con un’intensa settimana di incontri, durante i quali, oltre a tirare le somme sui con-cetti più importanti per affrontare con serietà ed impegno il sacramento della Cresima, hanno affidato questa nuova fase della loro vita spirituale a Gesù Eu-carestia durante l’Adorazione del 9 ago-sto. Durante i tre incontri che hanno concluso il percorso che individualmente ognuno ha affrontato, si è posta l’attenzione soprattutto sul significato del sacramento della Confermazione e sugli effetti che esso produce nella vita di ogni cristiano. La Confermazione, infatti, se da un lato rappresenta la riconferma della propria vita nella fede, che i genitori hanno scelto al momento del Battesimo, dall’altro comporta un’assunzione di responsabilità davanti alla comunità ec-clesiale, che riconosce nel cresimato un proprio membro spiritualmente maturo, che agisce non solo per la propria salvez-za ma anche per quella degli altri membri della comunità.

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L’effetto maggiore della Confermazione risiede nella testimonianza: al cresimato è richiesto di testimoniare la gioia di Cri-sto Risorto e il comandamento lasciato da Gesù ai suoi discepoli nel mondo, che per ognuno può essere il lavoro, la scuo-la, la famiglia o i luoghi di divertimento.

Uno dei tre incontri è stato dedicato ai gesti e ai momenti del rito affinché, se pure emozionati, i sei cresimandi potes-sero comprendere fino in fondo ogni cosa che avrebbero visto e fatto durante la liturgia domenicale. Ogni gesto è stato presentato attraverso il richiamo conti-nuo alla Sacra Scrittura e alla simbologia che ha accompagnato questo rito dai pri-mi tempi del Cristianesimo e proprio per rendere più incisivo il discorso sull’essere cristiano nella quotidianità è stata presentata, durante l’ultimo incon-tro, la Lettera a Diogneto, molto apprez-zata soprattutto per la chiarezza con cui l’anonimo scrittore antico descrive co-me un Cristiano deve vivere nel mondo. La giornata del giovedì è stata dedicata all’Adorazione. I sei cresimandi si sono uniti alla comunità nella consueta ora di Adorazione serale per affidare a Gesù i propri dubbi e i propri propositi, consa-pevoli dell’importanza del sacramento che avrebbero presto ricevuto. Ognuno, dopo essersi sottoposto davanti a Gesù Eucaristia al personale esame di coscienza in vista delle confessioni del giorno suc-cessivo, ha voluto rivolgere una preghie-ra per poter affrontare responsabilmente il momento. La liturgia domenicale ha visto i cresi-mandi molto emozionati e consapevoli dell’importanza di ricevere lo Spirito

Santo con i suoi sette doni e gli innume-revoli frutti. Monsignor Gugerotti ha sottolineato, durante un’omelia che ha colpito tutti per la chiarezza e la capacità di attualizzazione del Vangelo domenica-le, come l’essere cristiani oggi non com-porti meno rischi del tempo di Gesù. In alcuni luoghi ancora oggi si è perseguitati per la propria fede e anche il partecipare

alla liturgia eucaristica domenicale comporta rischi per la propria vita. Essere cresimati significa non escludere dalla propria esistenza dover testimoniare Cristo anche sacrifican-do la propria vita, per-ché, in un mondo che conosce sempre meno la differenza tra bene e male, non esiste più la sicurezza che ci sarà sempre la possibilità di

vivere liberamente la propria fede. E se pure il Cristiano non sarà condannato a morte non è detto che atteggiamenti di esclusione non lo pongano ai margini della società isolandolo. Momento particolarmente emozionante per tutti è stato quello in cui i cresimandi hanno ricevuto l’imposizione delle mani e l’unzione col sacro crisma accompagna-ti ai piedi del presbiterio dai padrini e dalle madrine, ma altrettanto emozio-nante è stata la preghiera dei fedeli affi-data alle intenzioni preparate dai cresi-mandi, che hanno voluto pregare per essere rafforzati in questo nuovo impe-gno, per i padrini e le madrine, per i genitori che li hanno guidati fin da bam-bini sulla via della fede, per gli altri gio-vani affinchè scoprano la gioia di amare Gesù ed infine per le necessità del mon-do soprattutto in questo momento di crisi. Dopo la conclusione della liturgia eucari-stica e il saluto al Vescovo, una foto di rito ai piedi del presbiterio sotto la sguar-do materno della Vergine Assunta ha immortalato questo inizio di una nuova vita fatta di testimonianza e impegno nella comunità ecclesiale e più in genera-le nella Chiesa.

Maria Carla Sorrentino

Incontri agostani Il mese di agosto a Ravello,da alcuni anni,non è solo il periodo principe della attività turistica della “Città della musi-ca”,ma anche un’occasione per i ravellesi e i numerosi turisti di vivere importanti momenti di fede che ,nonostante il clima di feria,hanno lo scopo di non mandare in vacanza lo spirito. Anzi,proprio nel contesto vacanzie-ro,come Comunità Ecclesiale siamo at-tenti ad offrire e sfruttare tutte le possi-bilità per approfondire e confrontare la nostra esperienza di Chiesa con quella di tante altre realtà. Ne derivano degli incontri veri,sinceri che veramente lasciano il segno non solo sul piano delle relazioni umane,ma anche e soprattutto sul piano della formazione spirituale che deve essere continua e che non dobbiamo mai considerare piena-mente raggiunta,perché c’è sempre da imparare. Si tratta di incontri veramente speciali in quanto non sono condizionati da finalità turistiche. La Comunità ecclesiale ravellese ha il dovere di annunciare il Vangelo e testi-moniare coraggiosamente la fede agli ospiti che affollano il paese durante l’estate, e non sostituirsi, come spesso accade, agl i Organi prepost i nell’organizzazione di eventi turistici e mondani,magari strumentalizzando drammatici eventi della storia. Capita infatti di far celebrare la Messa a qualche sacerdote in vacanza a Ravello e di scoprire che quell’umile ministro del Signore riveste un ruolo importante nella Pastorale giovanile di una grande Diocesi italiana. Oppure cogli al volo la possibilità di po-ter ascoltare la testimonianza di fede di una persona che,dopo tante esperienze negative,ha scelto Cristo e ti riempie il Duomo e la Piazza ,affascinando per due ore un pubblico attento,magari curio-so,ma nel complesso desideroso solo di conoscere come Dio opera per converti-re i cuori. Incontri veri che si differenziano da al-tri,pur significativi o importanti,perché semplici e volti a favorire il vero incon-tro,quello con Cristo. Incontri coerenti per una Comunità ecclesiale che ha il

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dovere di promuoverli,creando le occa-sioni perché una parola,una testimonian-za,una celebrazione liturgica,un centena-rio servano a scuotere la Comunità spes-so assopita o distratta e l’aiutino a risco-prire le radici della Fede in un contesto storico sempre più materialista che conti-nuamente irride e si fa beffa del Cristia-nesimo e della Chiesa,ostacolandoli in ogni modo. Ovviamente come operatori pastorali non dobbiamo perdere di vista i ruoli,perché,come sottolineava a suo tempo mons.Beniamino Depalma,è mol-to dannoso “quando i preti vogliono fare la parte dei laici e i laici quella dei pre-ti”.Vediamo allora quali sono stati questi incontri che nel clima agostano la Comu-nità Ecclesiale di Ravello ha vissuto. Co-minciamo da quelli che si sono avuti con Mons.Claudio Gugerotti,Arcivescovo Titolare di Ravello e Nunzio Apostolico in Bielorussia. Mons. Gugerotti ha pre-sieduto la solenne celebrazione eucaristi-ca del 3 agosto,Ottava di san Pantaleo-ne,e quella del 12 agosto,nel corso della quale ha amministrato il Sacramento del-la Confermazione a un gruppo di giovani e adolescenti di Ravello.Ancora una volta il presule veronese, che da dieci anni porta il titolo di Arcivescovo di Ravello, ha manifestato la sua gioia nell’incontrare la Comunità Ravellese alla quale si sente particolarmente legato perché dal primo momento si è sentito accolto e amato. E ancora una volta,in occasione dell’Ottava, non ha fatto mancare la sua riflessione sulla figura di san Pantaleo-ne,ricordandone,nel corso della Messa vespertina, il sacrificio per amore di Cri-sto ed invitando i Ravellesi ad essere fieri di aver per patrono il santo Martire di Nicomedia ed esortandoli a imitarlo nella testimonianza di fede,non ovviamente con il martirio,ma nella vita e nelle opere quotidiane. Mons.Gugerotti ha preso parte anche alla breve processione che si è svolta dopo la celebrazione eucaristi-ca,un ulteriore segno del suo amore per san Pantaleone e di rispetto per l’intera

Comunità Ravellese che chiude con i riti del 3 agosto gli annuali festeggiamenti in onore del suo celeste Patro-no,riconosciuto come tale sin dal XVII° secolo. Della celebrazione di domenica 12 agosto,vogliamo solamente ricordare la gioia con la quale mons.Gugerotti ha salutato i cresimandi e l’atteggiamento amabile e paterno con il quale si è rivolto a questi giovani che ,ci auguriamo,non concludano con la Cresima,come tanti che li hanno preceduti,il loro cammino di fede e il loro impegno nella Chiesa parti-colare e universale. Con la Festa della Trasfigurazione del Signore,il 6 agosto,è iniziata la novena in preparazione alla Solennità dell’Assunzione di Maria al

cielo. E proprio le giornate del 14 e 15 agosto sono state un’ulteriore occasione per vivere al meglio l’incontro con il Signore,sotto lo sguardo materno della Madonna assunta,titolare del Duomo. Per il secondo anno consecutivo la cele-brazione vigiliare è iniziata con il canto del Vespro,lodevole iniziativa che do-vrebbe vedere,come una volta i membri del Capitolo,i sacerdoti di Ravello uniti intorno all’altare del Signore per ringra-ziarLo delle meraviglie compiute nella Beata Vergine Maria e lodarlo con le parole stesse della Madre del Signore

“L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio ,mio salvato-re”.Utopia agostana,la mia!Nel giorno della solennità la Messa solenne del mat-tino è stata presieduta da don Niccolò Anselmi,sacerdote genovese,Direttore del Servizio nazionale per la Pastorale giovanile della CEI. Un altro di quegli incontri dei quali si parlava all’inizio. Nella sua omelia,il giovane sacerdote genovese,ci ha fatto meditare sul Mistero dell’Assunzione di Maria,tracciando della Vergine un ritratto stupendo e definen-dola il”filo di oro”che ci conduce al Si-gnore. Parlando del legame fortissimo che unisce Maria a Cristo,don Ansel-mi,riportandoci non casualmente ai Van-geli della Pasqua e quindi della Resurre-zione,non a caso l’Assunzione è definita la”Pasqua di Maria”,ci ha ricordato che,nonostante i silenzi dei vangeli,è impensabile che il Signore risorto non abbia incontrato per prima la sua amatis-sima e devotissima madre. Un incontro bellissimo e intimamente profondo che neppure gli evangelisti hanno voluto o potuto descrivere. Già nel corso del no-venario don Niccolò Anselmi aveva speso parole di ammirazione per la Comunità ravellese e così ,al termine della messa del 15 mattina,ha voluto ringraziare il parroco,Mons.Giuseppe Imperato,per avergli offerto la possibilità di celebrare l’Eucarestia nel bellissimo Duomo e nel contempo ha elogiato quanti si erano adoperati per rendere bella e solenne la Celebrazione Eucaristica. In primis al Coro della Basilica che, sotto la direzione del bravo e paziente M°Giancarlo Amo-relli e accompagnata all’organo dal sem-pre disponibile M°Achille Camera,ha animato bellamente la liturgia della So-lennità,eseguendo anche una delicatissi-ma Ave Maria di Saint–Saens,a quattro voci, che ha contribuito a creare quel clima di raccoglimento e di preghiera che aiutano ad immergersi nel Mistero Eucaristico.

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Bella e solenne la celebrazione eucaristi-ca, alla quale ha partecipato anche la Confraternita di San Giuseppe Lavorato-re di Scala, e bella e solenne la processio-ne con la statua della Madonna Assunta. Una processione breve,ordinata e com-posta che ha percorso agevoli vie del centro storico e che si è conclusa in Duo-mo con il canto del Magnificat e del tra-dizionale “Andrò a vederla un dì”,che ha fatto luccicare gli occhi a qualche fedele più anziano. Fede? Emotività? Sentimen-to?Non giudichiamo,ma doverosamente riportiamo. A dire il vero,l’atmosfera che si era venuta a creare in Duo-mo nel corso della Messa e della processio-ne era particola-re. E qualcu-no,tra il serio e il faceto,l’ha paragonata a quella probabile del 1950 quan-do Pio XII pro-clamò il Dogma dell’Assunzione. Maria “filo d’oro”che ci conduce al Signore,aveva detto don An-selmi,e così nel giorno dedicato alla rega-lità di Maria,il 22 agosto,abbiamo vissuto l’altro importante incontro di questo agosto 2012:la testimonianza dell’attrice Claudia Koll.In un Duomo gremito,al termine della Messa,la sig.ra Koll ha gui-dato l’Ora di Adorazione Eucaristi-ca,invitandoci a meditare su alcuni brani evangelici relativi alla Passione di Ge-sù.Poi dal sagrato del Duomo,davanti a un pubblico folto e silenzioso,ha reso pubblica testimonianza della sua nuova vita, illuminata e guidata dal Signore. Una testimonianza fortissima che ha su-scitato qualche perplessità in chi ovvia-

mente continua ad ignorare la potenza dell’amore misericordioso di Dio,ma che è stata assai apprezzata dalle tantissime persone che,anche da altri paesi della Diocesi e della Campania,hanno voluto vivere a Ravello questo straordinario evento religioso. Un vero incontro con Il Signore. Non teatro,non cultura,non memo-ria,non spettacoli,non libri ma una don-na,un’attrice che ha sperimentato la po-tenza del male e soprattutto la onnipo-tenza di Dio e ne ha dato profonda testi-monianza in un contesto scevro da finali-tà mediatiche e promozionali. Certo per l’incontro con Claudia Koll è stata pre-

sente Telediocesi, ma per promuovere una testimonianza di fede non un cantan-te,comunque pagato, o il Paese. Ci corre l’obbligo di ringraziare quanti ci hanno aiutato ad organizzare l’evento,mettendosi a disposizione gra-tuitamente per dare suggerimenti e offri-re tempo e strumenti perché tutto si svolgesse nel migliore dei modi. Grazie ad Antonio Fraulo e al suo staff,a quanti hanno allestito Piazza Duomo,ai tanti amici che nei giorni precedenti l’evento si sono adoperati per portare locandine e manifesti nei vari Paesi della Diocesi. Grazie soprattutto a don Paolo Cecere che ci ha proposto l’incontro

testimonianza e ha dato la possibilità a Ravello di vivere una serata veramente speciale. Un ringraziamento infine alle Autorità Civili e Militari che hanno auto-rizzato lo hanno favorito. Mi sia consentito il grazie anche agli as-senti, compresi alcuni operatori pastora-li, perché ci hanno fatto comprendere che c’è ancora tanto lavoro da fare nelle nostre Comunità ecclesiali se alcuno han-no mostrato indifferenza ad una iniziativa come quella del 22 agosto scorso. Agli incontri sopra citati avremmo voluto aggiungere quello con Santa Chiara di Assisi,in quanto l’11 agosto si è chiuso l’Anno Clariano indetto per ricordare

l’ottavo cente-nario della con-sacrazione della Santa. Un even-to importante passato però sotto silenzio. Una occasione perduta per conoscere e far conoscere la gigantesca figura di Chiara di Assisi che nel 1736 fu dichia-rata compatrona di Ravello. Evi-

dentemente nel “secolo dei lumi”le cose andavano diversamente!Chiudiamo così questa cronaca di agosto caratterizzata quest’anno dagli incontri. Incontri che ci auguriamo abbiano contri-buito a farci comprendere l’importanza dell’unico grande incontro che ogni bat-tezzato deve quotidianamente realizzare col Signore nella preghiera personale e nei sacramenti. Solo così possiamo ,come san Pietro, fare la nostra professione di fede e alla ipotetica domanda “Volete andarvene anche voi?”rispondere convin-ti:”Signore,da chi andremo?Tu hai parole di vita eterna”.

Roberto Palumbo

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“Educare alla custodia del Creato per sanare le ferite della terra”, questo è il tema che la Conferenza Episcopale Italia-na ha scelto per la 7° Giornata per la Salvaguardia del Creato che come ogni anno si celebra il 1°settembre. Un tema certamente impegnativo e forse più importante di qualsiasi argomento fino ad oggi trattato in quanto senza edu-cazione la tutela del Creato è impossibi-le; i Vescovi, infatti, partendo dalle tante sofferenze patite come conseguenza di eventi geologici drammatici, dalle frane e alluvioni della Liguria fino al terre-moto dell’Emilia Romagna, sottoli-neano come educare l’uomo a rial-lacciare il legame tra il Creatore e la cosa creata significhi rileggere la Creazione come un dono che ci è stato affidato per tornare attraverso esso a Dio. Richiamando, inoltre, quanto e-merso durante il Forum Europeo Cattolico – Ortodosso soprattutto nella raccomandazione “Non è più possibile dilapidare le risorse del creato, inquinare l’ambiente in cui viviamo come stiamo facendo. La vocazione dell’uomo è di essere il custode e non il preda-tore del creato. Oggi si deve essere consapevoli del debito che abbiamo verso le generazioni future alle quali non dobbiamo trasmettere un ambiente degradato e invivibile”, i Vescovi invitano soprattutto gli insegnanti a farsi portatori presso le giovani generazioni di questi valori che possano tutelare l’ambiente in modo da riorientare gli stili di vita che troppo spesso contribuiscono a distruggere le risorse del Creato. L’educazione alla tutela del Creato è, quindi, un passo fondamentale per ogni cristiano che vuole vivere responsabil-mente il proprio rapporto con l’ambiente che lo circonda. Ma cosa deve suggerire a noi che viviamo in Costiera Amalfitana il tema di questa giornata? Sicuramente deve farci riflette-re su come la nostra vita risulti influenza-ta dal territorio che abitiamo e soprattut-to come il territorio risulta influenzato da noi. La Costiera Amalfitana, infatti, è dal 1997 considerato Patrimonio

dell’Umanità dall’Unesco per l’unicità di alcuni aspetti del suo paesaggio, che è stato modellato dall’uomo sotto la spinta di esigenze economiche durante tutta la sua storia. Ma queste trasformazioni, anche se molto profonde (si pensi ai ter-razzamenti per coltivare o ai centri urba-ni sorti nelle vallate dei torrenti o sugli speroni per poterci abitare), sono state realizzate rispettando il legame che lega-va ogni elemento del paesaggio con gli altri, per cui il terrazzamento e il bosco risultavano indissolubilmente legati da

rapporti di utilizzo comune e così accade-va anche per gli altri elementi, quale l’acqua, il mare o le montagne. Oggi, questa visione globale del territo-rio si è persa e si è cominciato a ragiona-re per singolo elemento non avendo al preoccupazione mai di chiedersi cosa accadrà al territorio se si modifica uno solo dei suoi elementi; ed ecco che l’abbandono dei terrazzamenti viene giu-stificato in termini di antieconomicità delle coltivazioni ma non si pensa che un terrazzamento abbandonato costituisce un pezzo mancante in quel puzzle che è il territorio e come in tutti i puzzle, quan-do manca un pezzo, non solo non si com-prende bene il disegno ma soprattutto gli altri pezzi rischiano di cadere e mandare in frantumi tutto il quadro. La Costiera Amalfitana è un territorio fragile se non si recupera questa idea di globalità, se in esso non si vede un dono magnifico che il Creatore ha fatto alle sue creature che devono considerarsi custodi e non predatori.

Educare a questa visione è un dovere di tutti perché, se ancora il nostro territorio deve fare i conti con lutti ed eventi tragi-ci causati da frane e alluvioni, allora si-gnifica che ci sentiamo predatori di esso e non custodi attenti. Essere custodi non significa mummificare il territorio non permettendo alcun sviluppo, pur così necessario per la crescita delle persone che vi abitano, ma comporta progettare linee di sviluppo sostenibile in cui l’occhio attento non perda mai di vista le ricadute di ogni azione sul territorio an-

che dal punto di vista ambienta-le. Siamo al secondo anniversario della terribile alluvione che colpì Atrani, l’ultima di una lunga serie, che forse ha pro-dotto un dolore maggiore per la perdita di una vita umana, ma chiediamoci come sono cambia-ti i nostri stili di vita da quel giorno. Purtroppo non ci sono stati grossi cambiamenti in quanto ancora lungo le strade si notano discariche più o meno improvvisate e gli incendi deva-

stano ancora i nostri boschi. Eppure sono queste alcune delle cause, insieme ad un abusivismo che in Costiera non è dettato dalla necessità di avere la prima casa o all’abbandono dei terrazzamenti perché non remunerativi, che determinano gli eventi catastrofici che hanno colpito A-trani, come le Cinque Terre in Liguria. Il solo fatto di vedere tante somiglianze tra l’alluvione di Atrani del settembre 2010 e quella delle Cinque Terre nell’ottobre-novembre 2011 dovrebbe farci capire che la natura si comporta sempre allo stesso modo e che dobbiamo essere noi ad apprendere bene la lezione modifican-do il nostro comportamento. Educare alla custodia del Creato significa questo: far capire che, anche se siamo riusciti a conoscere l’ambiente di Marte mandandoci un robot, conosciamo anco-ra molto poco il territorio che noi vivia-mo e forse vale la pena partire da questo prima che lo distruggiamo del tutto ed esso distrugga noi.

Maria Carla Sorrentino

7° Giornata per la Salvaguardia del Creato

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L’obiettivo dell’attività di una asso-ciazione sportiva è quello della pro-mozione sportiva, proponendo la pra-tica di varie discipline sportive indivi-duali e di squadra. Lo sport può essere praticato in molti modi e con obiettivi diversi a secondo del praticante. C’è chi punta al mi-glior risultato possibile per spirito di competizione. Chi invece si pone co-me obiettivo il benessere fisico perso-nale. E ci sono anche quelli che non hanno bisogno di un obiettivo per praticare uno sport e lo fanno solo per divertimento. Qualunque sia la motivazione della pratica di una disciplina sportiva o artistica ,lo sport è uno straordinario strumento educati-vo, di aggregazione e di inclusione so-ciale, attraverso cui trasmettere valori importanti come il rispetto di sé e degli altri, il rispetto delle rego-le,. l’abitudine al sacrificio ed alla lealtà, l’abitudine alla solidarietà ed alla collaborazione reciproca. Attra-verso il suo lin-guaggio è infatti possibile promuove-re stili di vita corretti. Si tratta di ideali universali, validi per tutti e in ogni tempo. C’è un ‘espressione che riassume in sé tutti questi concetti: è Spirito Olimpi-co. Lo Spirito Olimpico comprende i motivi per cui si pratica uno sport, il modo in cui lo si fa e lo scopo per cui si gareggia. I partecipanti alle Olimpiadi, oggi come ieri, si impegnano a rispettarli con un solenne giuramento. Durante

la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici, un rappresentante degli atleti pronuncia questo giuramento: “a nome di tutti i concorrenti, pro-metto che parteciperemo a questi giochi rispettando e osservando tutti i regolamenti, impegnandoci a pratica-re lo sport senza fare ricorso a sostan-ze dopanti e proibite, secondo lo spi-rito autentico dello sport, per la glo-ria dello sport e l’onore delle squadre a cui apparteniamo”. Il tema dell’Educazione Sportiva è stato affrontato dalla Comunità Euro-pea con la fondazione dell’ Agence pour l’Education par le Sport, che si batte per favorire e sviluppare in am-

bito Europeo, e non solo, l’educazione attraverso lo sport e l’attività fisica. L’idea di base è lo sport come volano per la coesione e l’inserimento sociale ( Agence pour l'éducation par le sport 47, rue Marx Dormoy FR - 75018 Paris tel.: 0033 01 44 54 94 94 fax: 0033 01 44 54 94 95 www.apels.org). L’Educazione Sportiva è un argomen-to caro anche al nostro Santo Padre Benedetto XVI che nel 2009 in una lettera indirizzata al Cardinale Stani-

slaw Rylko in qualita’ di Presidente del Pontificio Consiglio per i laici, ha voluto dare risalto all’importanza del-lo sport come parte integrante nella formazione della persona. Di seguito riportiamo integralmente il testo del-la lettera : “Al Venerato Fratello Stanisław Card. RYŁKO Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici Con vero piacere, invio un cordiale saluto a Lei, al Segretario, ai collabo-ratori del Pontificio Consiglio per i Laici, ai rappresentanti degli Organi-smi Cattolici che operano nel mondo dello sport, ai responsabili delle asso-

ciazioni sportive internazionali e nazionali e a tutti coloro che prendono parte al Seminario di studi sul tema: "Sport, educa-zione, fede: per una nuova sta-gione del movi-mento sportivo cattolico", orga-nizzato dalla Sezione "Chiesa e sport" di co-desto Dicastero. Lo sport possie-

de un notevole potenziale educativo soprattutto in ambito giovanile e, per questo, occupa grande rilievo non solo nell'impiego del tempo libero, ma anche nella formazione della per-sona. Il Concilio Vaticano II lo ha vo-luto annoverare tra i mezzi che appar-tengono al patrimonio comune degli uomini e che sono adatti al perfezio-namento morale ed alla formazione umana . Se questo è vero per l'attività sportiva in generale, tanto più lo è per quella

Educazione allo sport e lo sport come educazione

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svolta negli oratori, nelle scuole e nelle associazioni sportive, con lo sco-po di assicurare una formazione uma-na e cristiana alle nuove generazioni. Come ho avuto modo di ricordare recentemente, non va dimenticato che "lo sport, praticato con passione e

vigile senso etico, specialmente per la gioventù, diventa palestra di un sano agonismo e di perfezionamento fisico, scuola di formazione ai valori umani e spirituali, mezzo privilegiato di cre-scita personale e di contatto con la società" (cfr Discorso ai partecipanti dei Mondiali di Nuoto, 1 agosto 2009). Attraverso le attività sportive, la comunità ecclesiale contribuisce alla formazione della gioventù, for-nendo un ambito adatto alla sua cre-scita umana e spirituale. Infatti, quan-do sono finalizzate allo sviluppo inte-grale della persona e gestite da perso-nale qualificato e competente, le ini-ziative sportive si rivelano occasione proficua in cui sacerdoti, religiosi e laici possono diventare veri e propri educatori e maestri di vita dei giovani. È pertanto necessario che, in questa nostra epoca - in cui si avverte urgen-te l'esigenza di educare le nuove ge-nerazioni -, la Chiesa continui a soste-nere lo sport per i giovani, valorizzan-do appieno anche l'attività agonistica nei suoi aspetti positivi, come, ad e-sempio, nella capacità di stimolare la competitività, il coraggio e la tenacia

nel perseguire gli obbiettivi, evitan-do, però, ogni tendenza che ne snatu-ri la natura stessa con il ricorso a pra-tiche persino dannose per l'organi-smo, come avviene nel caso del do-ping. In un'azione formativa coordina-ta, i dirigenti, i tecnici e gli operatori

cattolici devono considerarsi sperimentate guide per gli adolescenti, aiutandoli a svi-luppare le proprie potenziali-tà agonistiche senza trascura-re quelle qualità umane e quelle virtù cristiane che rendono la persona comple-tamente matura. In tale prospettiva, trovo quanto mai utile che questo terzo Seminario della Sezio-ne "Chiesa e sport" del Pon-tificio Consiglio per i Laici, incentri la sua attenzione sulla specifica missione e sul-

la identità cattolica delle associazioni sportive, delle scuole e degli oratori gestiti dalla Chiesa. Auspico di cuore che esso aiuti a cogliere le molte e preziose opportunità che lo sport può offrire alla pastorale giovanile e, men-tre auguro un incontro fruttuoso, assicuro la mia preghiera invocando sui partecipanti e su coloro che sono impegnati a promuovere una sana attività sportiva, la guida dello Spirito Santo e la protezione materna di Ma-ria. Con tali sentimenti, invio di cuo-re a tutti la mia Benedizione Apostoli-ca. Dal Vaticano, 3 Novembre 2009 BENEDICTUS PP. XVI.” Le parole del Santo Padre sono un incentivo per l’attività delle associa-zioni sportive in generale che si impe-gnano nella promozione della pratica delle discipline sportive ed artistiche per persone di tutte le età, sia che siano praticanti, sia che operino come dirigenti o allenatori o altro. A.S.D. COSTIERA E MONTI LAT-TARI

Marco Rossetto

Dall’intervista a Mons. Fotunato Frezza, discendente della nobile famiglia ravellese “Frezza”, sottosegretario del Sinodo dei Vescovi, si riportano alcuni efficaci suggerimenti per comprendere il significato del Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione.

E quali mezzi ha la Chiesa oggi, per-ché il Vangelo diventi effettivamente la porta della fede nel mondo?

Direi il Concilio Vaticano II e il Catechi-smo della Chiesa Cattolica che sembra il più autorevole trattato di teologia cattolica apparso dopo il Concilio. La felice coinci-denza dei due anniversari annunciati da Benedetto XVI nel Motu proprio — il cin-quantennale del primo e il ventennale del secondo — permette di cogliere la reale portata di questi due corpi dottrinali.

Si parla tanto di Nuova evangelizza-zione. Come la definirebbe?

Nel documento Porta fidei il Papa adotta solo due volte questo termine in modo esplicito, mentre insiste diffusamente sulla fede come grazia e compito, e sull’Anno della fede come tempo di par-ticolare riflessione e riscoperta della fe-de. Per questo anche oggi è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione.

Come si accede oggi alla fede?

Sempre tramite il Vangelo. Nella quanti-tà immensa di messaggi e di comporta-menti, che si susseguono con una rapidità travolgente, sembra che la cultura della novità sia l’unico codice interpretativo. Nell’odierno mondo globalizzato bisogna sottrarre la fede al rischio della decadenza giornaliera, causata dal vortice autodi-struttivo della novitas. In questo senso la nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana è il programma della vita della Chiesa nell’interpretare la missione dei discepoli del Signore.

Osservatore Romano, 24 /8/2012

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CELEBRAZIONI DEL MESE DI SETTEMBRE

GIORNI FERIALI Ore 18.00: Santo Rosario Ore 18.30: Santa Messa

PREFESTIVI E FESTIVI Ore 18.30: Santo Rosario Ore 19.00: Santa Messa

GIOVEDI’ 6-13-20-27 ore 18. 30: Santa Messa e Adorazione Eucaristica 2 SETTEMBRE - XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Ore 8.00-10.30– 19.00: Sante Messe

8 SETTEMBRE: NATIVITA’ DELLA B.V.MARIA

9 SETTEMBRE –XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Ore 8.00-10.30– 19.00: Sante Messe

VII GIORNATA DIOCESANA PER LA SALVAGUARDIA DEL CREATO

“Educare alla custodia del creato per sanare le ferite della terra”

Cava de’ Tirreni: Eremo di San Martino - Parrocchia Santa Maria del Rovo

11 SETTEMBRE

ANNIVERSARIO DELL’ORDINAZIONE SACERDOTALE DI MONS.

ORAZIO SORICELLI, ARCIVESCOVO DI AMALFI—CAVA DE’TIRRENI

12 SETTEMBRE

Memoria del SS. Nome di Maria

14 SETTEMBRE: FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

Pellegrinaggio della Confraternita al Santuario del SS. Crocifisso di Scala

15 SETTEMBRE: MEMORIA DELLA B.V.MARIA ADDOLORATA

16 SETTEMBRE - XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Ore 8.00-10.30– 19.00: Sante Messe

19 SETTEMBRE: SAN GENNARO PATRONO DELLA REGIONE CAMPANIA

21 SETTEMBRE: SAN MATTEO APOSTOLO ED EVANGELISTA

23 SETTEMBRE—XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Ore 8.00-10.30– 19.00: Sante Messe.

Anniversario dell’inizio del ministero pastorale di Mons. Orazio Soricelli,

Arcivescovo di Amalfi—Cava de’ Tirreni.

26 SETTEMBRE: SS. COSMA E DAMIANO

29 SETTEMBRE: SS. MICHELE, GABRIELE E RAFFAELE,ARCANGELI.

30 SETTEMBRE—XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Ore 8.00-10.30– 19.00: Sante Messe.