Incontro Luglio 2012

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Per una Chiesa Viva www.chiesaravello.it www.ravelloinfesta.it Anno VIII - N. 6 – Luglio 2012 In preparazione alla celebrazione della festa del martirio di San Pantaleone, Pa- trono principale della comunità cristiana di Ravello,desidero proporre alla comu- ne meditazione una preziosa ed attualis- sima riflessione tratta dall’ opera «L'ideale perfetto del cristiano», scritta del vescovo San Gregorio di Nissa (335- 395 d.C.). “Paolo ha conosciuto chi è Cristo molto più a fondo di tutti e con la sua condotta ha detto chiaramente co- me deve essere colui che da Cristo ha preso il suo nome. Lo ha imitato con tanta accuratezza da mostrare chiaramente in se stesso i linea- menti di Cristo e trasformare i sentimenti del proprio cuore in quelli del cuore di Cristo, tanto da non sembrare più lui a parlare. Paolo parlava ma era Cristo che parlava in lui. Sentiamo dalla sua stessa bocca come avesse chiara coscienza di questa sua prerogati- va: «Voi volete una prova di colui che parla in me, Cristo» (cfr. 2 Cor 13, 3) e ancora: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20). Egli ci ha mostrato quale forza abbia questo nome di Cristo, quando ha detto che è la forza e la sapienza di Dio, quan- do lo ha chiamato pace e luce inaccessi- bile, nella quale abita Dio, espiazione e redenzione, e grande sacerdote, e Pa- squa, e propiziazione delle anime, splendore della gloria e immagine della sostanza divina, creatore dei secoli, cibo e bevanda spirituale, pietra e acqua, fondamento della fede, pietra angolare, immagine del Dio invisibile, e sommo Dio, capo del corpo della Chiesa, prin- cipio della nuova creazione, primizia di coloro che si sono addormentati, esem- plare dei risorti e primogenito fra molti fratelli, mediatore tra Dio e gli uomini, Figlio unigenito coronato di onore e di gloria, Signore della gloria e principio di ogni cosa, re di giustizia, e inoltre re della pace, re di tutti i re, che ha il pos- sesso di un regno non limitato da alcun confine. Lo ha designato con queste e simili denominazioni, tanto numerose che non è facile contarle. Se tutte que- ste espressioni si raffrontassero fra loro e si cogliesse il significato di ognuna di esse, ci mostrerebbero la forza mirabile del nome di Cristo e della sua maestà, che non può essere spiegata con parole. Ci svelerebbero però solo quanto può essere compreso dal nostro cuore e dalla nostra intelligenza. La bontà del Signore nostro, dunque, ci ha resi par- tecipi di questo nome che è il primo e più grande e più divino fra tutti, e noi, fregiati del nome di Cristo, ci diciamo «cristiani». Ne consegue necessaria- mente che tutti i concetti, compresi in questo vocabolo, si possono ugualmen- te vedere espressi in qualche modo nel nome che portiamo noi. E perché allora non sembri che ci chiamiamo falsamen- te «cristiani» è necessario che la nostra vita ne offre conferma e testimonian- za”. L’anno della Fede, indetto dal Papa Benedetto XVI in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e i vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, è l’occasione propizia per riscoprire l’essenza della fede cristiana e com- prendere l’autentico stile di vita che deve caratterizzare la nostra esistenza. Con il Battesimo,infatti, mediante il quale possiamo chiamare Dio con il nome di Padre,siamo stati generati da Lui come figli adottivi e chiamati a conformarci a Gesù Cristo, il Figlio unigenito di Dio, per riviverne nel tempo e nello spazio la stessa esperien- za di vita. Illuminati e guidati dalla potente azione dello Spirito di Gesù Risorto, accolta con pronta e fedele doci- lità, noi battezzati possiamo sperimentare la gioia di vivere in Cristo e come Cristo: essere trasformati “in un altro Cristo”. È la stupenda realtà della santità cristiana che Dio opera nel cuore degli uomini, suoi figli, e che ci è dato,ancora oggi, di ammirare in tanti membri della Chiesa. Essa costituisce la più luminosa pagina della storia del Cristianesimo di tutti i tempi. Don Giuseppe Imperato Il cristiano è un altro Cristo P ERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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Periodico Ravello

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Per una Chiesa Viva

www.chiesaravello.it www.ravelloinfesta.it Anno VIII - N. 6 – Luglio 2012

In preparazione alla celebrazione della festa del martirio di San Pantaleone, Pa-trono principale della comunità cristiana di Ravello,desidero proporre alla comu-ne meditazione una preziosa ed attualis-sima riflessione tratta dall’ opera «L'ideale perfetto del cristiano», scritta del vescovo San Gregorio di Nissa (335-395 d.C.). “Paolo ha conosciuto chi è Cristo molto più a fondo di tutti e con la sua condotta ha detto chiaramente co-me deve essere colui che da Cristo ha preso il suo nome. Lo ha imitato con tanta accuratezza da mostrare chiaramente in se stesso i linea-menti di Cristo e trasformare i sentimenti del proprio cuore in quelli del cuore di Cristo, tanto da non sembrare più lui a parlare. Paolo parlava ma era Cristo che parlava in lui. Sentiamo dalla sua stessa bocca come avesse chiara coscienza di questa sua prerogati-va: «Voi volete una prova di colui che parla in me, Cristo» (cfr. 2 Cor 13, 3) e ancora: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20). Egli ci ha mostrato quale forza abbia questo nome di Cristo, quando ha detto che è la forza e la sapienza di Dio, quan-do lo ha chiamato pace e luce inaccessi-bile, nella quale abita Dio, espiazione e redenzione, e grande sacerdote, e Pa-squa, e propiziazione delle anime, splendore della gloria e immagine della sostanza divina, creatore dei secoli, cibo e bevanda spirituale, pietra e acqua, fondamento della fede, pietra angolare, immagine del Dio invisibile, e sommo

Dio, capo del corpo della Chiesa, prin-cipio della nuova creazione, primizia di coloro che si sono addormentati, esem-plare dei risorti e primogenito fra molti fratelli, mediatore tra Dio e gli uomini, Figlio unigenito coronato di onore e di gloria, Signore della gloria e principio di ogni cosa, re di giustizia, e inoltre re della pace, re di tutti i re, che ha il pos-sesso di un regno non limitato da alcun

confine. Lo ha designato con queste e simili denominazioni, tanto numerose che non è facile contarle. Se tutte que-ste espressioni si raffrontassero fra loro e si cogliesse il significato di ognuna di esse, ci mostrerebbero la forza mirabile del nome di Cristo e della sua maestà, che non può essere spiegata con parole. Ci svelerebbero però solo quanto può essere compreso dal nostro cuore e dalla nostra intelligenza. La bontà del Signore nostro, dunque, ci ha resi par-

tecipi di questo nome che è il primo e più grande e più divino fra tutti, e noi, fregiati del nome di Cristo, ci diciamo «cristiani». Ne consegue necessaria-mente che tutti i concetti, compresi in questo vocabolo, si possono ugualmen-te vedere espressi in qualche modo nel nome che portiamo noi. E perché allora non sembri che ci chiamiamo falsamen-te «cristiani» è necessario che la nostra

vita ne offre conferma e testimonian-za”. L’anno della Fede, indetto dal Papa Benedetto XVI in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e i vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, è l’occasione propizia per riscoprire l’essenza della fede cristiana e com-prendere l’autentico stile di vita che deve caratterizzare la nostra esistenza. Con il Battesimo,infatti, mediante il quale possiamo chiamare Dio con il nome di Padre,siamo stati generati da Lui come figli adottivi e chiamati a conformarci a Gesù Cristo, il Figlio unigenito di Dio, per riviverne nel tempo e nello spazio la stessa esperien-za di vita. Illuminati e guidati dalla potente azione dello Spirito di Gesù

Risorto, accolta con pronta e fedele doci-lità, noi battezzati possiamo sperimentare la gioia di vivere in Cristo e come Cristo: essere trasformati “in un altro Cristo”. È la stupenda realtà della santità cristiana che Dio opera nel cuore degli uomini, suoi figli, e che ci è dato,ancora oggi, di ammirare in tanti membri della Chiesa. Essa costituisce la più luminosa pagina della storia del Cristianesimo di tutti i tempi.

Don Giuseppe Imperato

Il cristiano è un altro Cristo

PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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A quelli che pretendono di avere la fede, nostro Signore dice senza mezzi termini che se non la mettono in pratica non entreranno nel regno dei cieli. Cristo è chiaro, non è possibile essere più chiari di lui. Coloro che credono di guadagnare il cielo a forza di dichiarazioni, di citazioni o di preghiere, senza convinzione inte-riore e senza conformare la loro vita alla loro convinzione, si sbagliano di grosso. La fede non salva attraverso un semplice atto di formulazione. "La fede senza le opere è morta", dice san Giacomo. Io sono "credente" ma non "praticante", dichiarano troppi cristiani. Cosa a cui rispondo: "La vostra fede è inutile. Che cosa vi offre di fondamentale? Che cosa cambia in voi? Niente! Non si fa piacere a Dio conce-dendogli di esistere. Si pensa di offrirgli un fiore? Non ne ha bisogno per esistere ed essere il padrone dell'universo. Egli non sarà Dio di più o di meno. Siamo noi che saremo perdenti o vincitori". "Il sole splende", voi dite. Ed è bello. Ma se vi ostinate a tenere gli occhi chiusi, o se non aprite le porte e le finestre ai suoi raggi, restate nel buio, cosa che non impedisce al sole di splen-dere. "Il fuoco arde", voi dite ancora. Ma se restate lontani, continuerete a battere i denti. A che cosa vi serve dunque dire che il sole e il fuoco esistono? Credere in Gesù Cristo o vivere di Gesù Cristo, tutta la differenza è qui. Da lontano un fiore artificiale può ingan-nare. Da vicino si constata subito che gli manca una grazia fondamentale, una morbidezza, un candore. La grazia di Gesù Cristo è questo profu-mo e questa morbidezza, testimoni, at-traverso di noi, della sua incarnazione. Un montanaro si recò una mattina, per la prima volta nella sua vita, in città. Secon-do l'usanza del suo paese, non mancò di salutare tutte le persone che incontrò. Salutò nello stesso modo i manichini delle vetrine, e fu contrariato dal loro silenzio e dalla loro rigidità. Senza la fede praticante, noi assomiglia-mo assai a dei manichini.

La nostra preghiera molto spesso è ri-chiesta di aiuto nelle necessità. Ed è an-che normale per l'uomo, perché abbiamo bisogno di aiuto, abbiamo bisogno degli altri, abbiamo bisogno di Dio. Così per noi è normale richiedere da Dio qualco-sa, cercare aiuto da Lui; e dobbiamo te-nere presente che la preghiera che il Si-gnore ci ha insegnato, il «Padre nostro», è una preghiera di richiesta, e con questa preghiera il Signore ci insegna le priorità della nostra preghiera, pulisce e purifica i nostri desideri e così pulisce e purifica il nostro cuore. Quindi se di per sé è nor-male che nella preghiera richiediamo qualcosa, non dovrebbe essere esclusiva-

mente così. C'è anche motivo di ringra-ziamento, e se siamo un po' attenti vedia-mo che da Dio riceviamo tante cose buo-ne: è così buono con noi che conviene, è necessario, dire grazie. E deve essere anche preghiera di lode: se il nostro cuo-re è aperto, vediamo nonostante tutti i problemi anche la bellezza della sua crea-zione, la bontà che si mostra nella sua creazione. Quindi, dobbiamo non solo richiedere, ma anche lodare e ringrazia-re: solo così la nostra preghiera è com-pleta. Nelle sue Lettere, san Paolo non solo parla della preghiera, ma riporta preghiere certamente anche di richiesta, ma anche preghiere di lode e di benedi-zione per quanto Dio ha operato e conti-nua a realizzare nella storia dell’umanità.

E oggi vorrei soffermarmi sul primo ca-pitolo della Lettera agli Efesini, che inizia proprio con una preghiera, che è un inno di benedizione, un'espressione di ringra-ziamento, di gioia. San Paolo benedice Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cri-sto, perché in Lui ci ha fatto «conoscere i l mistero della sua volon-tà» (Ef 1,9). Realmente c'è motivo di ringraziare se Dio ci fa conoscere quanto è nascosto: la sua volontà con noi, per noi; «il mistero della sua volon-tà». «Mysterion», «Mistero»: un termine che ritorna spesso nella Sacra Scrittura e nella Liturgia. Non vorrei adesso entrare nella filologia, ma nel linguaggio comune

indica quanto non si può conoscere, una realtà che non possiamo afferrare con la nostra propria intelligenza. L’inno che apre la Lettera agli Efesini ci conduce per mano verso un significato più profondo di questo termine e della realtà che ci indica. Per i credenti «mistero» non è tanto l’ignoto, ma piuttosto la volontà misericordiosa di Dio, il suo disegno di amore che in Gesù Cristo si è rivelato pienamente e ci offre la possibilità di «comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo» (Ef 3,18-19). Il «mistero ignoto» di Dio è rivelato ed è che Dio ci ama, e ci ama dall'inizio, dall'eternità. Soffermia-moci quindi un po' su questa solenne e

Così dice il Signore La benedizione divina per il disegno di Dio Padre

Catechesi di Papa Benedetto XVI

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PAGINA 3 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA profonda preghiera. «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cri-sto» (Ef 1,3). San Paolo usa il verbo «euloghein», che generalmente traduce il termine ebraico «barak»: è il lodare, glo-rificare, ringraziare Dio Padre come la sorgente dei beni della salvezza, come Colui che «ci ha benedetti con ogni bene-dizione spirituale nei cieli in Cristo». L’Apostolo ringrazia e loda, ma riflette anche sui motivi che spingono l’uomo a questa lode, a questo ringraziamento, presentando gli elementi fondamentali del piano divino e le sue tappe. Anzitutto dobbiamo benedire Dio Padre perché – così scrive san Paolo - Egli «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (v. 4). Ciò che ci fa santi e immacolati è la carità. Dio ci ha chiamati all’esistenza, alla santità. E questa scelta precede persino la creazione del mondo. Da sempre sia-mo nel suo disegno, nel suo pensiero. Con il pro-feta Geremia possiamo affermare anche noi che prima di formarci nel grembo della nostra ma-d r e L u i c i h a g i à c o n o s c i u t i (cfr Ger 1,5); e conoscen-doci ci ha amati. La voca-zione alla santità, cioè alla comunione con Dio appartiene al disegno eterno di questo Dio, un disegno che si estende nella storia e comprende tutti gli uomini e le donne del mondo, perché è una chiamata universale. Dio non esclude nessuno, il suo progetto è solo di amore. San Giovanni Crisostomo afferma: «Dio stesso ci ha resi santi, ma noi siamo chia-mati a rimanere santi. Santo è colui che vive nella fede» (Omelie sulla Lettera agli Efesini, 1,1,4). San Paolo continua: Dio ci ha predestinati, ci ha eletti ad essere «figli adottivi, mediante Gesù Cristo», ad esse-re incorporati nel suo Figlio Unigenito. L’Apostolo sottolinea la gratuità di que-sto meraviglioso disegno di Dio sull’umanità. Dio ci sceglie non perché siamo buoni noi, ma perché è buono Lui. E l'antichità aveva sulla bontà una paro-la: bonum est diffusivum sui; il bene si co-munica, fa parte dell'essenza del bene che

si comunichi, si estenda. E così poiché Dio è la bontà, è comunicazione di bon-tà, vuole comunicare; Egli crea perché vuole comunicare la sua bontà a noi e farci buoni e santi. Al centro della pre-ghiera di benedizione, l’Apostolo illustra il modo in cui si realizza il piano di sal-vezza del Padre in Cristo, nel suo Figlio amato. Scrive: «mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua gra-zia» (Ef 1,7). Il sacrificio della croce di Cristo è l’evento unico e irripetibile con cui il Padre ha mostrato in modo lumino-so il suo amore per noi, non soltanto a parole, ma in modo concreto. Dio è così concreto e il suo amore è così concreto che entra nella storia, si fa uomo per sen-tire che cosa è, come è vivere in questo mondo creato, e accetta il cammino di

sofferenza della passione, subendo anche la morte. Così concreto è l'amore di Dio, che partecipa non solo al nostro essere, ma al nostro soffrire e morire. Il Sacrifi-cio della croce fa sì che noi diventiamo «proprietà di Dio», perché il sangue di Cristo ci ha riscattati dalla colpa, ci lava dal male, ci sottrae alla schiavitù del pec-cato e della morte. San Paolo invita a considerare quanto è profondo l’amore di Dio che trasforma la storia, che ha trasformato la sua stessa vita da persecu-tore dei cristiani ad Apostolo instancabile del Vangelo. Riecheggiano ancora una volta le parole rassicuranti della Lettera ai Romani: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmia-to il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?... Io sono infatti per-

suaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né presente, né avvenire, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura, potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,31-32.38-39). Questa certezza - Dio è per noi, e nessu-na creatura può separarci da Lui, perché il suo amore è più forte - dobbiamo inse-rirla nel nostro essere, nella nostra co-scienza di cristiani. Infine, la benedizione divina si chiude con l’accenno allo Spirito Santo che è stato effuso nei nostri cuori; il Paraclito che abbiamo ricevuto come sigillo promesso: «Egli - dice Paolo - è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua glo-ria» (Ef 1,14). La redenzione non è anco-ra conclusa - lo sentiamo -, ma avrà il suo

pieno compimento quando coloro che Dio si è acquistato saranno totalmen-te salvati. Noi siamo ancora nel cammino della redenzione, la cui realtà essenziale è data con la morte e la resurrezione di Ge-sù. Siamo in cammi-no verso la redenzio-ne definitiva, verso la piena liberazione dei figli di Dio. E lo Spiri-to Santo è la certezza che Dio porterà a

compimento il suo disegno di salvezza, quando ricondurrà «al Cristo, unico ca-po, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra» (Ef 1,10). San Giovanni Cri-sostomo commenta su questo punto: «Dio ci ha eletti per la fede ed ha impres-so in noi il sigillo per l’eredità della gloria futura» (Omelie sulla Lettera agli Efesi-ni 2,11-14). Dobbiamo accettare che il cammino della redenzione è anche un cammino nostro, perché Dio vuole crea-ture libere, che dicano liberamente sì; ma è soprattutto e prima un cammino Suo. Siamo nelle Sue mani e adesso è nostra libertà andare sulla strada aperta da Lui. Andiamo su questa strada della redenzione, insieme con Cristo e sentia-mo che la redenzione si realizza.

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La visione che ci presenta san Paolo in questa grande preghiera di benedizione ci ha condotto a contemplare l’azione delle tre Persone della Santissima Trinità: il Padre, che ci ha scelti prima della crea-zione del mondo, ci ha pensato e creato; il Figlio che ci ha redenti mediante il suo sangue e lo Spirito Santo caparra della nostra redenzione e della gloria futura. Nella preghiera costante, nel rapporto quotidiano con Dio, impariamo anche noi, come san Paolo, a scorgere in modo sempre più chiaro i segni di questo dise-gno e di questa azione: nella bellezza del Creatore che emerge dalle sue creature (cfr Ef 3,9), come canta san Francesco d’Assisi: «Laudato sie mi’ Signore, cum tutte le Tue creature» (FF 263). Impor-tante è essere attenti proprio adesso, anche nel periodo delle vacanze, alla bel-lezza della creazione e vedere trasparire in questa bellezza il volto di Dio. Nella loro vita i Santi mostrano in modo lumi-noso che cosa può fare la potenza di Dio nella debolezza dell’uomo. E può farlo anche con noi. In tutta la storia della sal-vezza, in cui Dio si è fatto vicino a noi e attende con pazienza i nostri tempi, com-prende le nostre infedeltà, incoraggia il nostro impegno e ci guida. Nella preghiera impariamo a vedere i segni di questo disegno misericordioso nel cammino della Chiesa. Così crescia-mo nell’amore di Dio, aprendo la porta affinché la Santissima Trinità venga ad abitare in noi, illumini, riscaldi, guidi la nostra esistenza. «Se uno mi ama, osser-verà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23), dice Gesù pro-mettendo ai discepoli il dono dello Spiri-to Santo, che insegnerà ogni cosa. Sant'I-reneo ha detto una volta che nell'Incarna-zione lo Spirito Santo si è abituato a es-sere nell'uomo. Nella preghiera dobbia-mo noi abituarci a essere con Dio. Que-sto è molto importante, che impariamo a essere con Dio, e così vediamo come è bello essere con Lui, che è la redenzione. Cari amici, quando la preghiera alimenta la nostra vita spirituale noi diventiamo capaci di conservare quello che san Paolo chiama «il mistero della fede» in una coscienza pura (cfr 1 Tm 3,9). La pre-ghiera come modo dell’«abituarsi»

all’essere insieme con Dio, genera uomi-ni e donne animati non dall’egoismo, dal desiderio di possedere, dalla sete di pote-re, ma dalla gratuità, dal desiderio di amare, dalla sete di servire, animati cioè da Dio; e solo così si può portare luce nel buio del mondo. Vorrei concludere que-sta Catechesi con l’epilogo della Lettera ai Romani. Con san Paolo, anche noi rendia-mo gloria a Dio perché ci ha detto tutto di sé in Gesù Cristo e ci ha donato il Consolatore, lo Spirito di verità. Scrive san Paolo alla fine della della Lettera ai Romani: «A colui che ha il potere di con-fermarvi nel mio Vangelo, che annuncia Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni, ma ora manifestato mediante le Scritture dei Profeti, per ordine dell’eterno Dio, annunciato a tutte le genti, perché giungano all’obbedienza della fede, a Dio, che solo è sapiente, per mezzo di Gesù Cristo, la gloria nei seco-li. Amen» (16,25-27). Udienza Generale del 20 giugno 2012

Una voce dal deserto

Ogni tanto dichiaro guerra a questo mon-do, ma invece di combattere, cercando di migliorarlo, lo fuggo, in cerca di pace. Veder ribaltate le proprie priorità può essere spiazzante. Ci sono luoghi dove i

piaceri che ci attendono sono così numerosi che non si sa da che parte cominciare; e luoghi dove invece finisce tut-to, dove si resta soli con se stes-si. Ecco, io

preferisco questi ultimi, e il mio luogo dell’anima l’ho trovato: è il Monte A-thos, l’Agion Oros dell’Ortodossia, l’ultima grande oasi spirituale della Cri-stianità. Lì mi sento non in un luogo, ma uno del luogo: come i monaci, da sempre gli unici abitatori fissi della Santa Monta-gna. Nel corso dei primi pellegrinaggi sono stato accolto nei monasteri

dell’Athos, fra i più antichi e belli del mondo: cittadelle medievali dove si per-petua una tradizione spirituale millena-ria, dove l’incedere del tempo viene scandito non dagli orologi, ma dalle cele-brazioni liturgiche. Come certamente molti ravellesi sapranno, uno dei mona-steri athoniti è dedicato a San Pantaleo-ne, e custodisce il cranio del nostro pa-trono, reliquia che ho potuto venerare in occasione di uno dei miei pellegrinaggi.

Dopo aver visitato quasi tutti i monasteri della Santa Montagna ho sentito di dover andare oltre la loro realtà tranquillizzan-te, e ho cercato l’Athos estremo, quello degli eremiti e degli asceti. Non è stato facile, ma mi è andata bene; se non ho corso il rischio dell’incomprensibilità e dell’estraneità è perché nei pellegrinaggi lungo gli impervi sentieri della penisola athonita mi ha sempre accompagnato Agathangelos, l’asceta di nazionalità russa che ho avuto la fortuna di conoscere in occasione della mia prima incursione nell’Eremos. Eremos, in greco, vuol dire deserto: è la parte meridionale dell’Athos, un territorio inospitale e sel-vaggio, con falesie strapiombanti diretta-mente nell’Egeo, nei cui recessi vivono gli ultimi asceti della Cristianità. Sono i folli in Cristo, gli atleti della fede allenati alla vita di privazioni e di sofferenze so-stenuta dal loro epigono, San Pietro l’Athonita, l’eremita che era felice di potersi nutrire solo “di erbe, di luce e di stelle”. San Pietro l’Athonita è il primo asceta dell’Athos di cui abbiamo notizie storiche. Vissuto nella prima metà del IX secolo, trascorse 53 anni sulla Santa Montagna, praticando la più pura esichia, la pace dell’anima che si raggiunge nella solitudine e nel silenzio della meditazio-ne. Aspettavo da tempo di vivere l’esperienza di Agios Petros - la chiesetta eretta sul luogo dell’eremitaggio di San Pietro l’Athonita - e quest’anno Agathan-gelos ha deciso di accontentarmi. Inizia-mo l’ascesa dal porticciolo della skiti Ka-fsokalyvia, dunque dal livello del mare. Saliamo spediti, e dopo un po’ solo i dol-ci rumori della natura ci accompagnano. Il rigoglioso manto forestale dell’Athos cede a una vegetazione sempre più scar-na, sino a divenire cespuglio, arbusto, e infine rada erba affiorante dalla roccia. Ancora mezz’ora di cammino e ci

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troviamo nel mezzo di una pietraia arida, desolata, il famoso deserto verticale a-thonita. Il deserto si interiorizza, e se per gli asceti l’Eremos è un luogo di refrige-rio, di intima comunione col Signore, io invece mi sento svuotato, stanco, inquie-to. Agathangelos sorride ironico e mi invita a resistere, “perché stiamo andan-do ad Agios Petros, il luogo che tanto bramavi vedere…”. Ricompare un po’ di vegetazione, in alto si stagliano dei ci-pressi filiformi. Agathangelos fa dei cenni con la testa: è lassù che ha vissuto San Pietro l’Athonita, l’uomo che l’iconografia bizantina raffigura nudo e scheletrico, con la barba che gli ricopre i genitali, nel viso un’espressione di feroce dedizione alla scelta dell’assoluta solitu-dine. Un viale fra erbe selvatiche, una chiesetta costruita con pietre rossastre, un balcone naturale affacciato sui dirupi rocciosi dell’Eremos, un rozzo tavolo di legno all’ombra di un verde pergolato: è Agios Petros, la mia mèta. Entriamo

nella chiesa, e resto di sasso: una sagoma scura sta lavorando di cazzuola sul muro della parete di sinistra. Agathangelos pronuncia un nome: “Isaac”. Con enorme lentezza, l’uomo si volta, e strabuzza gli occhi. Agathangelos gli sorride, io cerco di fare altrettanto, ma sono troppo sor-preso; dunque, ad Agios Petros vive un asceta: perché Agathangelos non me l’aveva detto? Quando il monaco si avvi-cina a noi, mi viene istintivo chinarmi per baciargli la mano. Lui capisce e ritrae le braccia, scuotendo il capo. Alzo lo sguardo sul suo volto: è un giovane alto e

robusto, con lineamenti mediterranei, barba e capelli nerissimi, occhi grandi e dolci. Mi guarda stupito: “Da dove vie-ni?” “Dall’Italia”. “Ah! Bella Italia”. Sorride e mi invita ad accomodarmi, perché vuole farmi una sorpresa. Da uno scaffale della poverissima kalìvi in cui vive salta fuori qualcosa che assomiglia a una macchinet-ta del caffè. Penso a un caffè greco, inve-ce Isaac dice che mi preparerà un “buon caffè italiano”. Con una calma che deve provenire dall’identificazione con l’elemento primordiale nel quale è im-merso, prende del caffè da un barattolo semiarruginito e lo pigia con forza, più volte, nel filtro. Lo guardo dubbioso, ma non oso dirgli una parola. Mette la caffettiera sul fuoco, e dopo un po’ ciò che temevo si verifica: il caffè fatica a uscire, la macchinetta borbotta roca per interminabili minuti. Alla fine, quello che mi viene versato nella tazzina è un liquido nerastro, che sa di bruciato e che si rivela quasi imbevibile. Ma Isaac è soddisfatto e contento, e io lo sorseggio riconoscente. Andiamo a sedere sotto la pergola, attorno al tavolo di legno. Guar-do Isaac, il suo volto maschio e dolce allo stesso tempo. Mi viene in mente che nel mondo potrebbe avere tutte le donne che vuole; invece ha scelto di stare qui, anonimo tassello del catalogo della vita difficile da collocare con i parametri cui sono abituato. Non posso evitare una domanda: “Isaac, pensi di rimanere ad Agios Petros per sempre?” Mi fissa inten-samente: “Sì, io resterò qui”. Abbassa il volto, poi lo rialza: “E morirò qui”. I suoi occhi, improvvisamente, si inumidisco-no. Non me l’aspettavo. Mi sento spiaz-zato, impotente, forse un velo di pietà si disegna sul mio viso. Agathangelos mi guarda: “Non è come pensi tu. Questo è un dono”. “Un.. dono?” “Sì, il dono delle lacrime. La capacità di purificarsi, di tornare all’abc dell’esistenza. Devi sen-tirti parte di questa solitudine, di queste rocce, di queste piante, se vuoi vivere qui”. Annuisco. Mi viene da pensare che il Signore, che ha chiamato Isaac in que-sto luogo, non può non aver delineato per lui un disegno più grande e più alto. Un’altra timida domanda: “Che cosa fai durante il giorno?” “In questo periodo restauro la chiesa e prego. Nient’altro. Non si può toccare nulla qui, senza sciu-

parlo. Mi sento custode di Agios Petros, devo fare in modo che rimanga come è sempre stato”. Le parole di Isaac mi in-fondono tenerezza, ammirazione, gioia. Non ho mai conosciuto un luogo così carico di forza spirituale. Agios Petros è un luogo ecclesiale dove nella solitudine ci si sente abbracciati dal tutto, un luogo dove la preghiera, come acqua sorgiva, sgorga pura e spontanea dai tersi fondali dell’essere. E questo luogo ha un custode degno di lui, un uomo che più di mille anni dopo San Pietro l’Athonita, e due-mila dopo i Padri del Deserto, vuole imitare i primi Santi della Cristianità, che vivevano, pregavano e morivano nell’intima unione col Signore. Ancora un paio di domande reciproche, poi Agathangelos mi fa un cenno, e ad Agios Petros torna a regnare la nuda sa-pienza del silenzio. Per più di un’ora, nessuno pronuncia una sola parola. Canti di uccelli, stormire del vento, scricchiolii organici della natura: senso panico, fusio-ne col tutto, pace dell’anima. Al mo-mento del commiato, Isaac infila il brac-cio nello scuro rasson e un komboskini, il rosario dei monaci ortodossi, compare nelle sue mani. “Prendilo”, mi dice, “ti aiuterà a pregare”. Ora sono i miei occhi a inumidirsi. “Grazie, Isaac”. Abbraccio questa creatu-ra di Dio conquistato da una bellezza interiore che effonde consolazione, gioia, serenità. Forse è questa la muta lezione di Isaac e degli ultimi asceti cristiani, uomini che privandosi di ogni bene mate-riale umanizzano la vita, aiutandoci ad amarla per come è, non per come vor-remmo che fosse. Sulla strada del ritorno, mi rendo conto che Isaac non ha pronunciato una sola parola su Dio, sulla fede, non ha neppure accennato a un qualsiasi suggerimento morale. Ma Agathangelos mi aveva av-vertito: gli asceti non amano dare consi-gli, e tantomeno lezioni. Separati da noi, fanno qualcosa per tutti noi: pregano il Signore perché ci aiuti e ci salvi. Ora che sono lontano da Agios Petros, sento che non ho mai lasciato del tutto quel luogo santo. So di essere presente nelle pre-ghiere di Isaac, come so che il suo cuore misericordioso è entrato nella casa della mia anima. Armando Santarelli

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Questo è l'ultimo comando che Gesù ha dato ai suoi prima di essere assunto al Cielo e prima di inviare lo Spirito santo. Dopo la pentecoste gli apostoli hanno messo in pratica questo ordine e ancora oggi continua a diffondersi nel mondo il Vangelo grazie a cuori disponibili e inna-morati di Gesù. E anche oggi, nelle nostre terre di antica fede cristiana tanti che si dicono tali han-no ancora bisogno di essere toccati dalla potenza rinnovatrice di questo annuncio di salvezza. La comunità Gesù risorto del rinnovamento carismatico cattolico, molto attiva nella nostra diocesi, è stata

suscitata dallo Spirito per rispondere a questa nuova esigenza di evangelizzazio-ne. Ognuno di noi che appartiene a que-sta comunità porta inciso a caratteri d'o-ro un giorno particolare della sua vita in cui è stato toccato dalla potenza dell'an-nuncio del Vangelo, annuncio di potente amore che ha la forza straordinaria di cambiare completamente una vita intera. Molti di noi sono stati semplicemente chiamati ad una vita spirituale più pro-fonda, altri sono stati strappati da una vita spirituale tiepida o inesistente e cata-pultati nell'amore travolgente di Cristo. E una volta fatta esperienza di questo amore non lo si può tenere nascosto. Così, quando mesi fa il Signore ha chia-mato 4 componenti della comunità ad "uscire dalla propria terra", la risposta è

stata pronta e assoluta. "Eccomi Signore, vengo per fare la tua volontà" Così il 6 giugno scorso, Giuseppina Man-si, Angela Barra, Libera Celio e Miriam Iovene sono partite con altri undici fra-telli provenienti da altre diocesi d'Italia per aiutare la comunità Gesù risorto (Risen Jesus )di Londra in una missione di evangelizzazione. La missione, denominata Spirit in the city, organizzata dalla diocesi di Londra, ha visto la partecipazione di molti gruppi e movimenti ecclesiali londinesi per una vasta evangelizzazione di strada con mu-sica, canto, preghiera, processioni, ado-

razioni eucaristiche e annuncio alla gen-te. "Siamo partite consapevoli del grande compito a cui Dio ci aveva chiamate. Siamo partite dopo aver vissuto momenti di prova nelle nostre vite quotidiane. Siamo partite con le nostre piccole capa-cità, con i nostri piccoli doni da portare al Signore, e soprattutto con le nostre incapacità. E abbiamo contemplato letteralmente le meraviglie della pentecoste, di un annun-cio potente che ancora oggi è in grado di essere l'unica vera risposta alla grandissi-ma sete dei cuori. Appena arrivate a Londra siamo state catapultate nei ritmi frenetici di una città in cui ognuno corre da mattina a sera per la sua strada senza incontrare o condivi-dere nemmeno per un attimo le altre

migliaia di strade che si intrecciano e si rincorrono. Ognuno sembra un automa, un robot programmato per correre tra una metro e l'altra, lavorare senza sosta per un'intera giornata, ricorrere di nuovo da una metro all'altra per tornare a casa. Ma lo spirito agonizza in questa corsa senza fine. E quest'agonia si manifesta nella sregolatezza dei costumi, nella ri-cerca di amore in luoghi e modi sbagliati. Abbiamo percepito con devastante chia-rezza la sete di Dio. Londra ha sete di Dio e questa sete l'abbiamo vista nei volti dei tanti che sono entrati nelle chiese, nei tanti che si sono fermati ad ascoltare i nostri canti, nei tanti ragazzi che si sono fermati a danzare con noi per Gesù. E al tempo stesso abbiamo sentito con altrettanta forza la sete che Dio ha di queste anime assetate di Lui. Ci siamo immersi nella misericordia che Dio ha riversato su chi è tornato in chiesa dopo tanti anni, su chi ha pianto dopo essersi sentito dire queste semplici parole: "Gesù ti ama ed è morto per donarti la sua vita". Abbiamo visto la compassione infinita di Dio nel quartiere di Soho, abitato per l'80% da omosessuali. Dopo una mezza giornata di evangelizzazione di strada condotta da un folto gruppo di persone che avvicinavano la gente, e dopo che molti di coloro che venivano avvicinati andavano in chiesa davanti a Gesù Eucari-stico esposto, abbiamo camminato por-tando la Vergine Maria in processione. Noi della comunità Gesù risorto della diocesi Amalfi Cava abbiamo partecipato a questa missione di evangelizzazione con il carisma specifico della musica e del canto.Da qualche anno stiamo traducen-do i canti della nostra comunità anche in inglese e abbiamo portato questo nostro carisma alla comunità di Londra. Abbia-mo animato in inglese per gli inglesi ed è stata una gioia constatare che le persone cantavano con noi, partecipavano alla nostra animazione. Mentre c'era chi e-vangelizzava per le strade noi accoglieva-mo chi veniva in chiesa con canti e danze sul sagrato. I molti che passavano per strada ci guardavano all'inizio con distac-co, ma poi sono stati tanti quelli che si

Immersi nella potenza della Pentecoste "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura…”

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sono uniti ai canti e alle danze e hanno fatto festa con noi per Gesù. I loro volti e le loro parole erano la dimostrazione di una gioia ritrovata che ci ha riempito il cuore di gratitudine verso il Signore e che ci ha ricompensato di ogni fatica o stanchezza. Sabato 9 giugno è stato il giorno conclusivo della missione e il mo-mento più forte per noi. Leicester squa-re, una piazza di Londra, è stata trasfor-mata in una grande cattedrale all'aperto con un festival di band cristiane che per tutta la giornata si sono alternate per una continua festa di canti e danze per Gesù. Ad un'estremità di questa piazza è stata sistemata una tenda in cui per tutta la giornata è stato Gesù Eucaristi-co esposto. Ogni comunità o gruppo ha preparato uno stand e le per-sone venivano invitate a visi-tare gli stand o ad andare alla tenda dell'Ado-razione. Il Si-gnore che ci ha chiamate a Londra per portare le sue lodi, ci ha dato il grande dono di cantare e suonare alla sua presen-za santa nella sua tenda. Ci è stato chiesto di creare atmosfera di preghiera per ac-cogliere il Santissimo. Abbiamo animato con molti canti tra cui anche molti tra-dotti da noi per la nostra comunità ingle-se. E constatare che i nostri canti aiutava-no le persone ad adorare Gesù è stato per noi fonte di gioia e gratitudine. Abbiamo terminato il nostro servizio in pomerig-gio prima della Messa internazionale. Dopo la Messa, siamo ritornate nella tenda dell'Adorazione visto che avevamo ancora un po' di tempo prima della con-clusione della giornata e quindi della mis-sione. Ed è qui che il SIgnore ci ha fatto dono di un'esperienza di Lui talmente forte da segnare per sempre la nostra vita. Anche se eravamo circondati dal chiasso esterno in quella tenda tutto ha perso importanza. Non bisognava cercare

di concentrarsi per pregare ma appena entrati alla presenza di Gesù ci si sentiva investiti da una potenza regale che non permetteva di stare in piedi. Le ginocchia del cuore e anche quelle del corpo si piegavano alla presenza della Maestà di Dio che era fortemente percepibile in quel luogo. Quella tenda piccolissima rispetto allo spazio infinito che ci circon-dava, era diventata dimora di DIo con gli uomini. Era diventata la tenda del conve-gno costruita dal Re Davide in cui si ado-rava il Santo dei santi senza veli. Era di-

ventata il nostro piccolo Sinai, perchè in quella tenda Dio visitava i suoi figli con lo splendore della sua potenza regale. Il Signore ci ha regalato attimi eterni, mo-menti che ritroveremo soltanto nell'eter-nità vera e propria. Attimi in cui tutto ha perso consistenza. Non esistevano più le distanze, non più le differenti città, non più lingue, non più differenze o barriere. In quella piccola tenda era tutta l'umanità radunata e il nostro cuore era spalancato all'universalità della preghiera e dell'Ado-razione. E mentre adoravamo con tutte noi stesse la Maestà infinita di Dio dall'e-sterno la band che cantava ha intonato il canto Majesty che significa Maestà. Quando il sacerdote è venuto a togliere Gesù eravamo letteralmente prostrate al suolo. Lo abbiamo accolto con la tristez-za di chi sa che quel momento di Paradiso sta per finire, con lo stupore di chi non ha mai vissuto attimi simili, con la certez-za di aver fatto un'autentica esperienza di

Dio. Quando Gesù è andato via e ci sia-mo alzate, abbiamo scoperto che anche il nostro corpo era stato toccato da ciò che avevamo vissuto. Si faticava a stare in piedi e le lacrime continuavano a scorre-re, silenziose ma inarrestabili. Il Signore ha risposto così alla preghiera che gli abbiamo rivolto attraverso un canto mol-to conosciuto a Londra, let the weight of your glory fall: Lascia che il peso della tua gloria cada su di noi. Questa missione ci ha fatto comprendere quanto sia im-portante l'evangelizzazione in questi no-

stri tempi. Mentre tutti i media ci bom-bardano con notizie negative che incuto-no paure e timori Dio ci chiama ancora oggi a proclamare a gran voce che Lui è il nostro grande Signore che non ci lascia soli. Egli è con noi, ancora e sempre di-sposto ad accogliere qualsiasi cuore desi-deri tornare a Lui." "Andate in tutto il mondo e fate mie discepole tutte le crea-ture..."Questo Gesù ha detto ai suoi apostoli duemila anni fa, questo ha detto Gesù a noi oggi, questo ripete ancora il Signore ad ogni uomo di buona volontà che si senta veramente figlio autentico della Chiesa.A noi tocca solo rispondere donando ciò che possiamo. Dio completerà ciò che manca con la sua potenza. Così lo Spirito della pentecoste potrà ancora operare le sue meraviglie di conversione in mezzo a noi.

Giuseppina Mansi

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Giovedì 7 Giugno,2012, successivo alla solennità della SS. Trinità,alle ore 18,30,nel Duomo di Amalfi, L’Arcivescovo Mons Orazio Soricelli ha presieduto il Solenne Pontificale per celebrare la solennità del Corpus Domi-ni. Presenti molti sacerdoti delle parroc-chie delle foranie di Amalfi.Anche quest’anno, molto apprezzata la presenza di associazioni e gruppi parrocchiali, soprattutto delle Confraternite ed Arci-confraternite dei paesi della Costiera: Agerola, Amalfi, Atrani , Minori , Maiori, la Confraternita di San Giusep-pe Lavoratore di Scala e la nostra Con-fraternita del Santissimo Nome di Gesù e della Beata Vergine del Carmelo. I singoli sodalizi erano caratterizzati dai loro tipici colori, insegne e stendardi. Numerosi anche i fanciulli che hanno ricevuto per la prima volta Gesù Eucari-stia. La Liturgia del Giovedì ha anticipa-to le Letture della Domenica. La Prima Lettura tratta dal libro dell’Esodo 24,3-8, seguita dal Salmo 115, dalla Lettera agli Ebrei 9, 11-15 e dal brano del Van-gelo di Marco 14,12-16. 22-26. Le letture scelte per la Solennità spiegano il significato dell’Alleanza: l’unione forte, il rapporto privilegiato di Dio con il suo popolo. Il popolo di Israele, libe-rato dalla schiavitù dell’Egitto,in cam-mino verso la Terra Promessa, attraver-so la mediazione di Mosè che “andò a riferire tutte le parole del Signore e tutte le norme “e con il sangue dei sacrifici versato sull’altare,riceve da Dio l’istituzione dell’Alleanza, l’aspersione del popolo che viene benedetto: “Ecco il sangue dell’Alleanza che il Signore ha con-cluso con voi sulla base di queste parole.” “Alleanza” , ha un duplice significato: l’anticipazione di una “Nuova Alleanza” e la “fedeltà di Dio” verso il suo popolo che al contrario, spesso e volentieri è stato ingrato ed in alcuni momenti si è rifugiato addirittura nell’idolatria. La Lettera agli Ebrei evidenzia la differenza tra la“ vecchia e la nuova Alleanza”. La seconda Alleanza è “ avvenuta in Cristo che, con l’offerta del suo sangue ha e-spiato i peccati dell’umanità rinnovando-

la e liberandola dalla schiavitù del pecca-to. Gesù, attraverso la forza della sua generosità senza limiti e con l’azione dello Spirito, diviene Mediatore, Sacer-dote e Vittima. L’Alleanza ha avuto com-pimento sulla Croce. Il Vangelo di Mar-co ci presenta Gesù che invita i discepoli a preparare la Pasqua, e narra l’Istituzione dell’Eucaristia del Corpo e del Sangue di Cristo, mettendo in evi-denza quanto quest’Alleanza vada oltre il

tempo diventando eterna. “ Dal Sinai alla Croce, passando per il Cenacolo di Ge-rusalemme, è offerto a noi un sacrificio che ha valore di perennità e di universali-tà.” Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, l’Alleanza si rafforza e si rinnova in Cristo, tra noi e Dio, tra il Cielo e la terra, tra il tempo e l’Eternità. Nel brano del Vangelo di Marco, i disce-poli interpellano Gesù : «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Con questa do-manda sembra quasi che essi si vogliono distaccare dal Maestro,cominciano a sco-raggiarsi e sentono quasi la tentazione di lasciarlo solo, come in effetti faranno durante la Crocifissione . Egli invece , che “ ama veramente” ha desiderato ar-dentemente celebrare la Pasqua con i

suoi : “ Quando fu l'ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio».” (Luca 22,15-18.) Gesù, attra-verso questo invito, si rivolge oggi a cia-scuno di noi e ci chiama al “ Banchetto Eucaristico”.. Spesso, infatti , partecipia-mo alle Celebrazioni Liturgiche quasi da spettatori, da uditori, senza sentirci coin-volti, senza ricambiare il Grande Dono di Gesù che offre per tutti il Suo Corpo ed il Suo Sangue ad ogni Messa, renden-dosi presente in Corpo, Sangue, Anima e Divinità. La Solennità del Corpus Domi-ni è stata istituita, nel 1264 da Papa Ur-bano IV, dopo il verificarsi di un evento prodigioso , a Bolsena, Diocesi di Orvie-to.L’anno precedente dall’Ostia Consa-crata fu visto scorrere il Sangue di Gesù sul corporale di un sacerdote che nutriva forti dubbi sulla Presenza Reale di Cri-sto. Lo scopo principale della Solennità del Corpus Domini è proprio adorare la Reale Presenza di Cristo nell’Eucaristia. Il Santissimo si porta in Processione, come abbiamo fatto ad Amalfi ed anche a Ravello la Domenica successiva. Alle ore 20,00, alla presenza dei nostri gruppi parrocchiali, dei fanciulli che hanno fatto la prima Comunione , il nostro parroco Mons Giuseppe Imperato ha presieduto la Solenne Processione , per testimoniare l’Amore di Gesù, soprattutto per mo-strare alle persone nei luoghi del loro vivere quotidiano che, nel Sacramento dell’Eucaristia c’è il senso della storia,il senso della vita, c’è il senso della “Chiesa Universale”, Sacramento di Salvezza che svela e realizza il Mistero dell’Amore di Dio verso l’uomo” . Oggi nel mondo la Chiesa rappresenta il Corpo di Cristo che si china su ogni sofferenza umana per lenirla con il servizio, la carità, l’amore e guarda con tenerezza tutti i suoi figli così come fece Gesù durante la sua esistenza terrena.

Giulia Schiavo

Solennità del Corpus Domini tappa fondamentale del cammino di Chiesa

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“La biblioteca di Dio”: è l’affascinante definizione con la quale era conosciuto don Mariano Arciero. Aveva infatti una profonda cultura teologica, era un grande conoscitore della Sacra Scrittura. “Uno zelante apostolo del Vangelo” come lo ricorda, il prefetto della Congregazione

delle Cause dei Santi, il cardinale Angelo Amato: "Porgeva la parola di Dio ai pic-coli, ai grandi, ai seminaristi, ai sacerdo-ti. Fu un apostolo itinerante del Vangelo, ammirato da tutti per la sua carità, la povertà, l’umiltà". Proveniva da una famiglia di contadini

laboriosi, nella quale nacque il 26 febbraio 1707 e nella quale scoprì l’amore per Ma-ria che da piccolo chiamava la “Mamma bella”. A 23 anni venne ordinato sacerdote e per vent’anni svolse il suo ministero nella diocesi calabrese di Cassano allo Jonio. Instancabile il suo pellegrinaggio di paese in paese per annunciare il Van-gelo, una missione che gli valse la nomea di “Apostolo delle Calabrie”:"Migliorare il clero impegnato nella predi-cazione e nelle opere di mini-stero, incoraggiarlo alla fati-ca, renderlo consapevole dei suoi doveri, fu questa la mis-sione di Don Mariano. Un parroco meditava di riti-rarsi in convento. Saputolo, il nostro Beato gli disse: 'Tutti vogliamo ritirarci, ma le parti

di Gesù Cristo chi le fa? Fatti una stanza nel cuore, e là ritirati. Ma continua nel tuo apostolato'. Soleva dire che, anche se il sacerdote avesse la santità dei santi monaci antichi, come Antonio, Simeone Stilita, Pacomio, ancora non basterebbe. Per esercitare degnamente l’ordine sa-cro il sacerdote deve avere una bontà supereccellente, per poter santificare i fedeli e portarli alla salvezza eterna". Questa passione per l’istruzione religio-sa lo portò a scrivere la “Pratica della Dottrina Cristiana, in 12 istruzioni in dialoghi”, edita in cinque edizioni. La-sciata la Calabria, tornò a Napoli assu-mendo la guida spirituale del Seminario e della Congregazione dell’Assunta. Un lavoro tutto proteso alla formazione dei sacerdoti. A don Mariano – evidenzia il cardinale Angelo Amato – bisognerebbe guardare

in vista del prossimo Sinodo della Nuova Evangelizzazione: "Fu un esperto evange-lizzatore. Annunziava assiduamente la parola di Gesù con entusiasmo, suscitan-do conversione, speranza e gioia nei fe-deli. Ciò è in consonanza con il prossimo sinodo dei vescovi, dedicato alla nuova evangelizzazione. Il Beato Mariano Arciero era assillato dalle parole dell'Apostolo Paolo: 'Guai a me se non predicassi il Vangelo'. La nuo-va evangelizzazione significa conoscenza del Vangelo e promozione di una cultura più profondamente radicata nella Parola di Gesù". Dopo la morte avvenuta in veneranda età, nel 1854 Papa Pio IX riconobbe l’eroicità delle sue virtù ma solo nel 1950 la fama di santità si propagò sempre di più a seguito dello spostamento delle sue spoglie da Napoli a Contursi. Quattro anni dopo, avvenne il miracolo della guarigione di Concetta Siani, rico-nosciuto tale solo nel 2011. “Per comin-ciare bene si prenda la bilancia non già del mondo ma quella di Dio”, amava ripetere don Mariano Arciero, luminoso esempio di vita nella fede.

Fonte: www.radiovaticana.it

La Beatificazione di don Mariano Arciero sacerdote di Contursi (24 giugno 2012)

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Edda è uno scricciolo di appena cinquan-ta chili, i capelli arruffati sulla fronte e ancora caparbi nel loro colore naturale: è la prima cosa che mi fa notare quando arriva, mostrandomi le radici castane, un dono che ha ereditato da sua madre, che a quasi novanta anni conta i capelli bian-chi come fossero aghi in un pagliaio. Questione di geni, forse o l’aria buona di Città di Castello, o semplicemente una caratteristica di famiglia, in ogni modo un marchio di cui va fiera, infila il riferi-mento a sua madre più volte nel discorso e ne deduco che il legame tra loro è par-ticolare, fortissimo. Edda arriva con la prima domenica estiva: sono quasi le undici e l’elmo lattiginoso e soffocante di Scipione ci sovrasta potente, intorno è uno sfarfallio continuo di ventagli, si evita il sole come fosse una pira, l’occhio dell’inferno. Quando Edda scende dal pullman lo fa con il balzo di una quindi-cenne, non so darle un’età, lei non la rivela, io non la chiedo per cortesia, è così magra che mi sembra possa quasi sparire nella folla di turisti che l’autobus vomita ancora incrostati al bolo tecnolo-gico di I phone e macchine fotografiche. Sotto le maniche della canottiera si intra-vedono i segni di una leggera scottatura, indizio della sua permanenza in spiaggia, non vede l’ora di visitare Ravello, si guarda intorno con lo stesso stupore di

chi ha pazientemente aspettato il proprio turno per salire su una giostra magnifica. Le faccio strada, lei parla ininterrotta-mente, spulcia con gli occhi ogni gomito del paese, le piace in particolar modo un arco e come i fiori vi sono aggrappati, una leggera voglia a più colori che ha già in cuore di fotografare, una rampicante di pistilli vivaci che somiglia alla parruc-ca di un clown. In comune abbiamo la passione per la scrittura, lei ha tanta e-sperienza più di me, tante parole di van-taggio, da qualche parte in albergo ha lasciato un bagaglio di versi che immagi-no saranno già perfetti e di tante altre piccole cose che non dirà a me e a nessun altro ma che rendono i suoi occhi veloci e pieni di mistero. Stretta nella sua gonna di lino scuro continua a raccontarmi della straordinaria accoglienza che ha avuto in Costiera Amalfitana, di come il sorriso e la gentilezza siano i souvenir più facili da acquistare, della facilità con cui ha fatto amicizia, addirittura in autobus, dove più persone si sono prodigate a delinearle i nomi dei paesi, delle Chiese abbarbicate fra le rocce, suggerendole la fermata giusta. Quando entriamo a Villa Rufolo, lei si ferma per un istante, dice di avvertire la sua presenza, quella di Gore Vidal. E’ venuta a Ravello per incontrarmi ma anche perché sapeva del legame del gran-de scrittore con Ravello, vorrebbe visita-re quella che è stata la sua casa, il nido incuneato fra le rocce, le spiego che non è possibile, lei allora con il mezzo sorri-so di una bambina che non ha trovato il gusto di gelato che preferiva nelle va-schette colme e gelide, mi rassicura che non importa, ma che tuttavia riesce a sentire la sua presenza ovunque: dai tavo-lini del bar a cui sorseggiamo qualcosa fino all’ingresso della Villa. Il nostro percorso è un viaggio insoli-to:Edda parla di lei e della sua vita, lo fa arrivando fino ad un bivio nel racconto, poi mi accorgo che c’è un angolo a cui siamo giunti già un paio di volte e che non vuole ancora svoltare, non forzo, la ascolto. Scendiamo a visitare i giardini, adesso, complice l’orario, il caldo è in piena pubertà, ma Edda non sembra avvertirlo, forte di avere una bottiglia di

acqua fresca, continua a ringraziarmi come se l’avessi portata direttamente al tesoro: i giardini sono imbrigliati nella museruola delle sedie che ospiteranno il pubblico dei concerti, il palco, è una linguaccia verso il mare che incanterà con la sua storia di corde, di pizzicati, di vibrati. Mi ripete che sono fortunata, che intorno è uno spettacolo, che la natura è ispirazione: mentre cerco di sventare la poca resistenza al caldo, mi guardo intor-no anche io, imito il suo stupore e non devo sforzarmi. Siamo circondati da un merletto di verde abbagliante, il merletto arriva fino al mare, è una tovaglia imban-dita di fiori, di campanili, di viuzze ed angoli che l’abitudine rende così familiari da trascurarli, ci sono pochi rumori, il vocio è dimesso ed educato, la geometria degli edifici si assesta con la precisione di un osso nella giuntura, non c’è niente di stonato, di eccessivo, di ridondante. Comincia il rituale delle foto, Edda rivol-ge la parola ad un turista capitato nello stesso nostro punto di osservazione, par-lano di letteratura, di Gore Vidal, di na-tura e di arte, le piace comunicare, la parola diventa per lei una palla da lancia-re, chi la prende e la riporta diventa suo interlocutore, se si accetta di prenderla due volte, si è già suoi amici. “ Io sono fatta così, sono un po’ particolare” Mi dice ma non giustificandosi, cosa che giudicherei stridente con la sua gioia di vivere, di conoscere, ma con la consape-volezza di saper farsi notare, anche solo con un sorriso. Risaliamo il sentiero che ci riporta verso le scale e poi da lì all’uscita, le chiedo dei suoi prossimi progetti, accenna a qualcosa, veloce-mente, poi smette. Finalmente ha deciso di girare l’angolo che aveva evitato prima: è un anno e mezzo che il suo Ivano, la persona con cui ha condiviso tutto, l’ha lasciata, dopo una malattia. E’ in quel momento che forse riesco, per la prima volta dopo due ore e dopo tutte le parole spese , ad avere un’idea della sua età, non è il tempo ad invecchiarci, ma il dolore, i dolori sono vomeri ta-glienti e destinati ad immergersi fino alle n o s t r e z o l l e p i ù i n t i m e , i dolori asciano le rughe più agguerrite.

Incontri d’estate a Ravello

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Lei ed Ivano si sono amati da sempre, ma la vita li aveva portati a fare scelte diver-se, per poi riunirli dopo tanti anni, fino alla pausa della malattia. Edda non resterà ancora a lungo nella splendida, gigantesca casa di Roma che divideva con lui, lei dice che non lo fa perché una casa così grande non serve ad una sola persona, io intuisco che a volte il ricordo è così in-gombrante che non c’è più spazio per altro. Tornerà in Umbria, da sua madre, forse, ma vuole darsi ancora qualche mese di tempo, magari dopo l’estate, vuole pen-sarci con calma. Sorride di meno, credo stia fissando tutto con gli occhi come se volesse dividerlo con Ivano ed in qualche modo, forse, ci sta già riuscendo. Poi, eclettica, veloce come un grillo infa-stidito dall’ombra di un pensiero cupo, mi chiede di riportarla all’arco che ha visto arrivando a Ravello, quello circon-dato dai fiori, vuole che la fotografi pro-prio in quel punto.Il sole è incredibil-mente feroce,ritorniamo al punto di par-tenza: dalla cucina di un vicino ristorante arriva una miscellanea di profumi invitan-ti, Edda mangerà un panino, forse si fer-merà lì, oppure tornerà subito ad Amalfi. Sfila gli occhiali da vista, mi chiede di fotografarla ma senza darle troppa impor-tanza, vuole che tutto il centro dell’immagine sia quel bargiglio di fiori spuntato in mezzo alla gola asciutta dell’arco. Non importa se lei sarà sfocata, vuole quella bocca d’estate sul muro, di inizio estate Ravellese. Mi impegno, do-po tre tentativi andati a vuoto, l’ultima foto celebra il suo desiderio: Edda è scan-zonata e naturale nella sua posa da turi-sta, i fiori sono poco oltre la sua chioma ancora giovane, vividi. Mi ringrazia, la vedranno presto anche i suoi colleghi, i collaboratori a Roma, gli amici in Ameri-ca, gli amici di Ivano. “ Guarda!!!” Mi dice ingrandendo l’immagine. “ Si vedono perfettamente!!! Sono magni-fici!” Io le sorrido e poi penso che faccio quella strada almeno dieci volte al giorno e che non mi sono mai fermata con lo sguardo su quei fiori, che è Edda per la prima volta a farmi notare quanto sia straordinaria anche solo una cresta di petali sulla testa di un muro.

Emilia Filocamo

Venerdì 29 una giornata torrida, molte curve da affrontare, diversi problemi di traffico da superare, non ci hanno fatto scoraggiare. Bisognava essere a Ravello alle 19 nel Duomo: ricorreva il 58° anni-versario di ordinazione sacerdotale di Don Peppino. Noi tutti, sacerdoti e laici, membri dell’Associazione Gregge del Bambin Gesù ci siamo portati a Ravello in pellegrinaggio per ringraziare il Signo-re dei grandi ed innumerevoli doni conferiti a don Peppino nel suo ministero sacerdo-tale e di averci dato l’amicizia, la stima e la solida-rietà di don Peppi-no, ma soprattut-to, per ringraziare il Signore del sa-cerdozio e per impetrarLo, con l’intercessione di San Pantaleone, di darci altre numerose vocazioni sacerdotali nelle nostre famiglie. L’omelia è stata tenuta da Padre Benedet-to Fulgione il quale si è soffermato prin-cipalmente sul mistero del sacerdozio: il sacerdote è alter Christus, un altro Cri-sto, un uomo che rende presente il Cri-sto in mezzo a noi. La Chiesa ha concesso al sacerdote la consacrazione, l’ha splendidamente col-locato in uno stato di perfezione. Padre Benedetto ha ricordato che il ministro di Dio è un testimone, inviato da una Perso-na: il Signore. Prendendo in riferimento

la data odierna, Solennità dei santi Pietro e Paolo, ha rimarcato l’importanza della fedeltà alla Chiesa e al Papa. In un mondo che pensa che un’opinione valga un’altra, che un’idea sia equiparabile ad un’altra, in cui non c’è una verità assoluta, ma tutto è relativo ed opina-bile, Padre Benedetto ha sottolineato il dono gran-

de, che il Signore ci ha dato, di Papa Be-nedetto XVI, che sin dagli albori del suo pontificato ha combattuto e combatte il cosiddetto relativismo. Prima della benedizione finale, Don Pep-pino dopo i ringraziamenti di rito, ha voluto ricordare l’importanza di avere tante vocazioni nelle nostre famiglie, che sono il dono più grande che il Signore può fare a una mamma: avere un figlio

prete ed ha augurato frutti di sante voca-zioni. I giovani hanno bisogno di testimo-ni credibili e distaccati, che richiamano il volto di Dio e le realtà invisibili, che sia-no ricchi di carità, disponibili, pronti al perdono e al sorriso: tutto ciò si è realiz-zato nel ministero sacerdotale di Mons. Imperato, grazie anche all’affidamento e alla protezione della Mamma Celeste a cui Don Peppino ha fatto sempre ricorso. Da noi si eleva alto il Magnificat all’Onnipotente.

Don Emmanuel Lopardi

Nel Duomo di Ravello per pregare insieme

Page 12: Incontro Luglio 2012

CELEBRAZIONI DEL MESE DI LUGLIO

GIORNI FERIALI, Ore 18.30: Santo Rosario Ore 19.00: Santa Messa PREFESTIVI E FESTIVI Ore 19.00: Santo Rosario Ore 19.30: Santa Messa GIOVEDI’ 5 -12 –19 LUGLIO: Adorazione Eucaristica dopo la Santa Messa

1 LUGLIO: XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00 - 10.30 - 19.30: Sante Messe 3 LUGLIO: FESTA DI SAN TOMMASO APOSTOLO 8 LUGLIO: XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00 - 10.30 - 19.30: Sante Messe 15 LUGLIO: XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00 - 10.30 - 19.30: Sante Messe 16 LUGLIO: MEMORIA DELLA B.V. DEL MONTE CARMELO Ore 19.00: Santa Messa e processione

PROGRAMMA DEI FESTEGGIAMENTI PATRONALI

17-22 Luglio – Novenario: ore 19.30 Santa Messa 23-24-25 Luglio - Triduo: ore 19.30 Santa Messa 23-24 Luglio: ore 09.30 – Pinacoteca del Duomo: Ottavo Convegno di Studi “Ravello nel Settecento tra medioevo e barocco”, a cura dell’Associazione per le “Attività Culturali del Duomo di Ravello”. 25 Luglio: ore 20.30 - Duomo: Omaggio alla mia terra natia: Il “Giobbe” di France-sco Messina, dono dell’avv. Benedetto Imperato al Museo dell’Opera del Duomo. In col-laborazione con la Fondazione Francesco Messina – Milano.

26 LUGLIO: VIGILIA FESTIVA ore 08.30: Il Pregiato Gran Concerto Musicale “Città di Francavilla Fontana” (BR), diret-to dal M° Ermir Krantja, darà inizio ai festeggiamenti con marce sinfoniche in piazza Duomo. Seguirà il giro del paese. ore 12.00: Matinée nei giardini di Palazzo Rufolo. ore 19.00: Omaggio al Sacrario dei Caduti. ore 20.00: Liturgia della Luce, Esposizione della statua del Santo Patrono e canto dei Vespri, presieduti da S.Em.za Rev.ma Velasio De Paolis, Presidente Emerito della Prefet-tura per gli Affari Economici della Santa Sede. ore 21.00: Programma di musica sinfonica ed operistica in Piazza Duomo, artisticamente illuminata dalla ditta “Luminart” di Boscotrecase (NA).

27 LUGLIO: SOLENNITA’ LITURGICA

ore 7.30 - 9.00 - 12.00: Santa Messa Comunitaria. ore 10.30: Solenne Celebrazione Eucaristica presieduta da S.Em.za Rev.ma Velasio De Paolis, Presidente Emerito della Prefettura per gli Affari Economici della Santa Sede. ore 12.00: Matinée in Piazza Duomo. ore 19.00: Messa Vespertina cui seguirà la processione per le vie del paese. ore 21.45: Grande spettacolo pirotecnico curato dalla rinomata ditta “Cav. Giovanni Boccia”da Palma Campania (NA). Seguirà uno scelto programma lirico-sinfonico, eseguito dal sullodato Gran Con-certo Musicale “Città di Francavilla Fontana” con cui si concluderanno i festeg-giamenti.