INCONTRO OTTOBRE 2010

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Per una Chiesa Viva www. chiesaravello. it www. ravelloinfesta. it Anno VI - N. 9 – Ottobre 2010 Lunedì 27 settembre nel corso dei lavori del Consiglio episcopale permanente della CEI è stato approvato il programma dell’Assemblea generale dei vescovi ita- liani, che si terrà ad Assisi dall’8 all’11 novembre, e sono state stabilite le moda- lità di pubblicazione degli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020, incentrati sul tema dell’educazione e dedicati all’emergenza educativa. Nella chiesa e nella società civile,oggi, la questione dell’educazione è diventata una vera emergenza; tutti i Mass media ne parlano diffusamente ed a ragione, perché ,mentre per le società del passato l’educazione era un compito largamente condiviso, per la nostra sta diventando soprattutto una sfida. Se fino a ieri sem- brava quasi scontato che la generazione adulta dovesse farsi carico dell’educazione della nuova, ormai que- sto automatismo si sta dissolvendo e con profonda amarezza dobbiamo lamentare che la nostra società civile ha abdicato al suo compito educativo e al suo ruolo di formatrice delle nuove generazioni. «L’educazione è diventata, in maniera nuova, problema: un nodo, cioè, che sembra ogni giorno più difficile affronta- re, un territorio assai cambiato e quasi sconosciuto», scrive il cardinale Ruini nella prefazione de La sfida educativa, pubblicazione a cura del Comitato per il Progetto Culturale della Chiesa Italiana. La Chiesa da anni richiama l’attenzione sulla "emergenza educativa", come una delle sfide antropologiche più impegnati- ve del nostro tempo e in questo contesto si comprende il grande valore del contri- buto offerto dal Volume “ La Sfida educa- tiva”. Il cardinale Camillo Ruini, nella prefazione al volume, ha scritto che la nostra società “In nome di una sterile neutralità, ha abbandonato i giovani alla loro solitudine, sempre più in balia della violenza e della volgarità e sempre più incapaci di venire a capo della loro vita”. I giovani sembrano incapaci di venire a capo della propria vita. E gli adulti, inca- paci di capire, sembrano assistere impo- tenti al malessere dei propri figli e rinun- ciano a dare regole e motivazioni. La Chiesa,che è cosciente dell’attuale “emergenza educativa”, “sa però altret- tanto bene che non si tratta in alcun mo- do di un suo compito esclusivo e che occorre invece promuovere una collabo- razione aperta a tutto campo”. Nella cat- tedrale di Aosta ,il 24 luglio 2009, Papa Benedetto XVI dichiarò che : "Se la rela- zione fondamentale - la relazione con Dio - non è viva, non è vissuta, anche tutte le altre relazioni non possono trovare la loro forma giusta. Ma questo vale anche per la società, per l’umanità come tale. Anche qui, se Dio manca, se si prescinde da Dio, se Dio è assen- te, manca la bussola per mostrare l’insieme di tutte le relazioni per trovare la strada, l’orientamento dove andare. Dio! Dobbiamo di nuovo portare in questo nostro mondo la realtà di Dio, farlo conoscere e farlo presen- te".L’educazione, per sé, è "una esigenza costitutiva e permanente della vita della Chiesa" e si colloca nel cuore della sua missione, volta a far sì che ogni persona possa incontrare e seguire il Signore Ge- sù, Via che conduce all’autenticità dell’amore, Verità che ci viene incontro e Vita del mondo. Il compito educativo della Chiesa è stato il cuore anche del discorso con il quale giovedì 27 maggio u.s.il Santo Padre ha rivolto ai Vescovi italiani partecipanti all’Assemblea gene- rale della Conferenza Episcopale Italiana ( CEI ) la sua parola autorevole e illumi- nata. Egli ha detto: “La sfida educativa attraversa tutti i settori della Chiesa ed esige che siano affrontate con decisione le grandi questioni del tempo contemporaneo: quella relativa alla natura dell’uomo e alla sua di- gnità - elemento decisivo per una formazione completa della persona - e la "questione di Dio", che sembra quanto mai urgente nella nostra epoca”. “Questa sfida” ed “emergenza educativa” – evidenziata a più riprese da Benedetto XVI, vuole indicare “una crisi di lungo periodo, profonda e sempre più acuta” che investe “il concetto stesso e la possi- bilità dell’educazione” intesa come “formazione della persona”. Tra i “fattori prossimi” di tale emergenza “forse il più importante” è “la crisi della famiglia, pri- mo e decisivo ambito dell’educazione”. Non meno importante è quello della scuola dove è necessario “convincere intellettualmente” e “motivare esisten- zialmente e concretamente gli insegnanti il cui ruolo “riguarda l’educazione nel senso pregnante di formazione della per- sona”. Continua a pagina 2 L’EDUCAZIONE PRIORITA’ PASTORALE P ERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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Per una Chiesa Viva

www. chiesaravello. it www. ravelloinfesta. it Anno VI - N. 9 – Ottobre 2010

Lunedì 27 settembre nel corso dei lavori del Consiglio episcopale permanente della CEI è stato approvato il programma dell’Assemblea generale dei vescovi ita-liani, che si terrà ad Assisi dall’8 all’11 novembre, e sono state stabilite le moda-lità di pubblicazione degli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020, incentrati sul tema dell’educazione e dedicati all’emergenza educativa. Nella chiesa e nella società civile,oggi, la questione dell’educazione è diventata una vera emergenza; tutti i Mass media ne parlano diffusamente ed a ragione, perché ,mentre per le società del passato l’educazione era un compito largamente condiviso, per la nostra sta diventando soprattutto una sfida. Se fino a ieri sem-brava quasi scontato che la generazione adulta dovesse farsi carico dell’educazione della nuova, ormai que-sto automatismo si sta dissolvendo e con profonda amarezza dobbiamo lamentare che la nostra società civile ha abdicato al suo compito educativo e al suo ruolo di formatrice delle nuove generazioni. «L’educazione è diventata, in maniera nuova, problema: un nodo, cioè, che sembra ogni giorno più difficile affronta-re, un territorio assai cambiato e quasi sconosciuto», scrive il cardinale Ruini nella prefazione de La sfida educativa, pubblicazione a cura del Comitato per il Progetto Culturale della Chiesa Italiana. La Chiesa da anni richiama l’attenzione sulla "emergenza educativa", come una delle sfide antropologiche più impegnati-ve del nostro tempo e in questo contesto si comprende il grande valore del contri-buto offerto dal Volume “ La Sfida educa-tiva”. Il cardinale Camillo Ruini, nella prefazione al volume, ha scritto che la nostra società “In nome di una sterile

neutralità, ha abbandonato i giovani alla loro solitudine, sempre più in balia della violenza e della volgarità e sempre più incapaci di venire a capo della loro vita”. I giovani sembrano incapaci di venire a capo della propria vita. E gli adulti, inca-paci di capire, sembrano assistere impo-tenti al malessere dei propri figli e rinun-ciano a dare regole e motivazioni. La Chiesa,che è cosciente dell’attuale “emergenza educativa”, “sa però altret-tanto bene che non si tratta in alcun mo-do di un suo compito esclusivo e che

occorre invece promuovere una collabo-razione aperta a tutto campo”. Nella cat-tedrale di Aosta ,il 24 luglio 2009, Papa Benedetto XVI dichiarò che : "Se la rela-zione fondamentale - la relazione con Dio - non è viva, non è vissuta, anche tutte le altre relazioni non possono trovare la loro forma giusta. Ma questo vale anche per la società, per l’umanità come tale. Anche qui, se Dio manca, se si prescinde da Dio, se Dio è assen-te, manca la bussola per mostrare l’insieme di tutte le relazioni per trovare la strada, l’orientamento dove andare. Dio! Dobbiamo

di nuovo portare in questo nostro mondo la realtà di Dio, farlo conoscere e farlo presen-te".L’educazione, per sé, è "una esigenza costitutiva e permanente della vita della Chiesa" e si colloca nel cuore della sua missione, volta a far sì che ogni persona possa incontrare e seguire il Signore Ge-sù, Via che conduce all’autenticità dell’amore, Verità che ci viene incontro e Vita del mondo. Il compito educativo della Chiesa è stato il cuore anche del discorso con il quale giovedì 27 maggio u.s.il Santo Padre ha rivolto ai Vescovi italiani partecipanti all’Assemblea gene-rale della Conferenza Episcopale Italiana ( CEI ) la sua parola autorevole e illumi-nata. Egli ha detto: “La sfida educativa attraversa tutti i settori della Chiesa ed esige che siano affrontate con decisione le grandi questioni del tempo contemporaneo: quella relativa alla natura dell’uomo e alla sua di-gnità - elemento decisivo per una formazione completa della persona - e la "questione di Dio", che sembra quanto mai urgente nella nostra epoca”. “Questa sfida” ed “emergenza educativa” – evidenziata a più riprese da Benedetto XVI, vuole indicare “una crisi di lungo periodo, profonda e sempre più acuta” che investe “il concetto stesso e la possi-bilità dell’educazione” intesa come “formazione della persona”. Tra i “fattori prossimi” di tale emergenza “forse il più importante” è “la crisi della famiglia, pri-mo e decisivo ambito dell’educazione”. Non meno importante è quello della scuola dove è necessario “convincere intellettualmente” e “motivare esisten-zialmente e concretamente gli insegnanti il cui ruolo “riguarda l’educazione nel senso pregnante di formazione della per-sona”.

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L’EDUCAZIONE PRIORITA’ PASTORALE

PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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Perché” educare “non può ridursi a dare delle informazioni, ma significa prendere per mano una persona ed aiutarla a per-cepire il senso integrale della realtà. Mentre l’istruzione e l’addestramento possono essere settoriali, l’educazione è un fatto corale che implica una relazione interpersonale e coinvolge un insieme di soggetti. “L’educazione è un processo umano globale e primordiale, nel quale entrano in gioco e sono determinanti soprattutto le strutture portanti – potremmo dire i fondamentali – dell’esistenza dell’uomo e della donna: quindi la relazionalità e specialmente il bisogno di amore, la conoscenza, con l’attitudine a capi-re e a valutare, la libertà, che richiede anch’essa di essere fatta crescere ed educata, in un rapporto costante con la credibilità e l’autorevolezza di coloro che hanno il compito di educare». (Card.Ruini) Ma la cultura attuale esprime una sostan-ziale mancanza di senso della vita. E’ come una cappa che ci circonda e perva-de i libri, i giornali, i programmi televisi-vi, la pubblicità. Il senso della vita sembra che sia solo nei soldi, nella giovinezza, nel successo; tut-to questo è effimero e ciascuno, prima o poi, si trova solo nelle difficoltà. Educare significa invece crescere nella comprensione della realtà nel suo com-plesso. Per essere lieti costruttori di be-ne. Il compito educativo riguarda tut-ti,uomini e donne in tutte le stagioni della esistenza. Appare dunque evidente come in questo contesto storico tutte le agenzie educa-tive siano invitate ad una seria ed appro-fondita riflessione sul problema dell’educazione. All’inizio dell’anno pastorale, perciò ci sembra doveroso ed urgente dedicare la massima attenzione allo studio degli Orientamenti pastorali della Chiesa Ita-liana sulla priorità educativa. Circa questo urgente compito della chie-sa abbiamo letto con grande intereresse quanto il Cardinale Angelo Scola, patri-arca di Venezia, ha recentemente sugge-rito alla sua chiesa in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno pasto-rale. Il Patriarca, anzitutto, ha invitato la Chiesa ad identificare subito la cifra es-

senziale del problema dell’educazione: se si è chiamati ad essere educatori allora si è chiamati non solo ad essere maestri, ma ad essere padri. Ha indicato,quindi, quattro criteri fonda-mentali per essere maestri e padri: dono totale di sé, per sempre, nella libertà, sacrificio; e ciò significa vivere in prima persona e suscitare nell’educando la sco-perta di essere figli nel Figlio: questa è la vocazione educativa del cristiano che esalta, compiendola, l’esperienza propria di ogni padre/madre e di ogni figlio: la vera libertà è appartenere, riconoscersi figli nel Figlio. Libero non è colui che spezza i legami, al contrario libero è colui che cerca indo-mito relazioni buone da cui scaturiscono pratiche virtuose. L’educazione è in tutto e sempre una vicenda di libertà impegnata rischiosamente a suscita-re altra libertà e nuova responsabilità» si legge nel volume :” La sfida educativa”. Educare all’incontro con Cristo nella comunità secondo i quattro criteri qui richiamati non è un discorso da ripete-re, ma un’esperienza da testimoniare. Senza testimonianza non si può imparare e quindi non è possibile educare. L’educatore è uno che, come Gesù, rende testimonianza alla verità: «La testi-monianza ha sempre due decisivi connotati: il coinvolgimento personale, il dono totale di sé che si esprime nella comunicazione, nel rac-conto che però deve giungere sempre a rendere omaggio alla verità tutta intera. In concreto per il cristiano la testimonianza consiste nell’obiettiva sequela di Gesù, carica del co-raggio di riconoscerLo di fronte al mondo, come Lui fece di fronte a Pilato» (dalla Se-conda Assemblea ecclesiale, 11 ottobre 2009). Per questo con l’aiuto dello Spirito e per l’intercessione della Vergine Santissima e dei Santi Patroni, vogliamo impegnarci ad edificare una comunità nelle quali bambini, adolescenti, giovani ed adulti possano incontrare,conoscere,accogliere e seguire Gesù, via alla verità e alla vita; una comunità ben visibile, comunità educante, che sappia mostrare Gesù e ripetere ad ogni nostro fratello la sua-dente e libera offerta di Gesù: “Vieni e vedi”.

Don Giuseppe Imperato

Sabato 25 settembre, a Roma, nel Santua-rio del Divino Amo-re, davanti a mi-gliaia di fedeli giun-ti da ogni parte del mondo e con i giova-ni in prima li-nea,monsignor Ama-to, in rappresentan-

za di Benedetto XVI, ha iscritto il nome di Chiara nell'albo dei beati. Nella stagione delle deboli passioni civili e delle incertezze esistenziali la Chiesa propone una giovane donna - Chiara Ba-dano, morta ventenne logorata da una malattia che spaventa - quale esempio della possibilità di fuoriuscire dai torpori dell'anima e da vite scariche d i g i o i a e d i s p e r a n z a . Oggi che la fede cristiana sta tornando a essere una via stretta che si sceglie, solo in apparenza la nuova beata è una que-stione di interesse puramente cattolico, conclusa entro i confini di un rituale reli-gioso. Per come Chiara ha vissuto la sua vita, diventata d'improvviso troppo bre-ve per non suscitare rimpianti, la sua beatificazione racchiude forti messaggi e interseca domande comuni a uomini e donne di ogni luogo e convinzione. Chia-ra Badano non è un esempio di cristiane-simo percepito come residuo di leggende imbonitrici per semplici, quanto piutto-sto esempio di libertà di spirito incarnata dentro le dinamiche quotidiane del no-stro vivere nella contemporaneità, quan-do nelle società più secolarizzate ci si chiede se la fede religiosa non sia un'eva-sione superflua. Un cristianesimo che cambia la vita perché investe la mente e il cuore. Dei giovani anzitutto, ma di o g n i c e r c a t o r e d i s e n s o . Beatificando una giovane la Chiesa si pone in serio ascolto della richiesta di autenticità che sale dai giovani verso ogni tipo di autorità. La giovane Chiara attinse la sapienza di vita non tanto da astratte teorie quanto piuttosto da una decisione tipica dell'adolescenza che, invece, gli adulti vivono con disincanto: giocarsi tutto e da subito sull'amore, con la voglia di renderlo eterno. Che poi è il

SEGUE DALLA PRIMA La luce di Chiara

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il denominatore comune nei santi a pre-scindere dall'età anagrafica: sono tutti innamorati di Gesù Cristo, scelto come il bene totale della propria vita. Da questa sequela fanno scaturire una vita dalle energie impensabili spese per la felicità degli altri. I santi raggiungono la propria felicità consumandosi nel servizio del prossimo, poveri e deboli in particolare, considerati immagini viventi di Dio. Si tratta di una felicità misteriosa e resi-stente al male e alle sofferenze di cui è intessuta la trama di vita di ognuno. Con la santità non si propone una vita di magie o di poteri paranormali, ma una via dove per tutti, senza distinzione, è possibile incamminarsi e che tutti sono in grado di percorrere vivendo il Vangelo e il comandamento più grande in esso con-tenuto: amerai Dio con tutte le forze e amerai gli a l tri come Gesù C r i s t o h a a m a t o t e . Chiara Badano è una giovane che, per tempo, si è con ardore innamorata di Gesù Cristo. Vissuta e morta in compa-gnia di questo grande amore, non ha avuto tempo per la sua sofferenza, ma occhi e cuore per gli altri. In dialogo costante con questo Vivente, senza pre-dicare, è diventata una prova concreta che Dio non è un azzardo sul quale pun-tare al buio la nostra scommessa della vita, ma un interlocutore interessante che, se cercato e interrogato, può cam-biare la qual i tà de l vivere e d e l m o r i r e u m a n i . Quando la Chiesa riconosce la santità di un ragazzo o di una giovane donna, ac-cende una candela nel buio dei tempi anziché maledirne l'oscurità. Alla perce-zione della fatica di vivere sperimentata quotidianamente da ognuno, si aggiunge un aiuto alternativo: comprendere che la vita non è tutta qui, che il senso dell'e-sistenza non è racchiuso solo tra la nasci-ta e la morte e che, se amiamo, si può vivere responsabilmente contenti perfino i n o g n i g e n e r e d i so f f e r e nz a e d i p r e c a r i e tà . I giovani sono per definizione portatori di vita e mal si conciliano con il dolore. La giovinezza si rimpiange, si invidia; è un bene desiderato ma passeggero. Si vagheggia di riconquistarlo. La santità cristiana ha molto da spartire con questo umano sentire, perché lo sperimenta e cerca di guarirlo con qual-

che garanzia diversa dalla scienza: l'amo-re, la capacità di amare è l'unico elisir che assicura la giovinezza del cuore e dello spirito pure nel declino fisico più r i p u g n a n t e e i n a r r e s t a b i l e . Prima che un ragionamento, i santi sono un percorso di vita vissuta. La Chiesa si giudica sui santi e non solo sui peccatori. Ogni volta che essa proclama beata o santa una persona, specialmente se giova-ne, rinnova la sua determinazione a cam-biare se stessa in meglio. Sui santi del ventunesimo secolo Bene-detto XVI scommette la riuscita di una vera riforma della Chiesa avviata d a l c o n c i l i o V a t i c a n o I I . Chiara Badano è la prima persona interna al movimento dei focolari che diventa beata. Un'altra grande Chiara, fondatrice di questo vasto movimento di uomini e donne che vorrebbero trasformare il mondo con l'amore, al nome della sua giovane discepola, ha voluto aggiungere quello di Luce, tanto che la nuova beata è identificata ormai come Chiara Luce Badano. E la luce interiore, si sa, apre la mente e sveglia il cuore.

Dall’Osservatore Romano

24 OTTOBRE 2010 GIORNATA MISSIONARIA

MONDIALE “La costruzione della comunione ecclesiale è

la chiave della missione”.

“La costruzione della comunione eccle-siale è la chiave della missione”. Così s'intitola il messaggio di Benedetto XVI per la 84ª Giornata missionaria mondia-le, che si celebrerà il 24 ottobre. Solo a partire dall'incontro “con l’Amore di Dio, che cambia l’esistenza, possiamo vivere in comunione con Lui e tra noi, e offrire ai fratelli una testimonianza credi-bile, rendendo ragione della speranza che è in noi”, scrive il Papa, nel messaggio diffuso oggi. “Una fede adulta, capace di affidarsi totalmente a Dio con atteggia-mento filiale, nutrita dalla preghiera, dalla meditazione della Parola di Dio e dallo studio delle verità della fede – chia-risce - è condizione per poter promuove-re un umanesimo nuovo, fondato sul Vangelo di Gesù”. Il mese di ottobre “ci

ricorda come l’impegno e il compito dell’annuncio evangelico spetti all’intera Chiesa, 'missionaria per sua natura', e ci invita a farci promotori della novità di vita, fatta di relazioni autentiche, in co-munità fondate sul Vangelo”. “In una società multietnica che sempre più speri-menta forme di solitudine e di indiffe-renza preoccupanti – avverte il Pontefice -, i cristiani devono imparare ad offrire segni di speranza e a divenire fratelli uni-versali, coltivando i grandi ideali che trasformano la storia e, senza false illu-sioni o inutili paure, impegnarsi a rende-re il pianeta la casa di tutti i popoli”. “Gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti non solo di 'parlare' di Gesù, ma di 'far vedere' Gesù, far risplendere il Volto del Redentore in ogni angolo della terra davanti alle generazioni del nuovo millennio e specialmente davanti ai gio-vani di ogni continente, destinatari privi-legiati e soggetti dell’annuncio evangeli-co”, ha continuato Benedetto XVI.

Queste considerazioni rimandano “al mandato missionario” che “non può rea-lizzarsi in maniera credibile senza una profonda conversione personale, comu-nitaria e pastorale”. Infatti, “la consape-volezza della chiamata ad annunciare il Vangelo stimola non solo ogni singolo fedele, ma tutte le comunità diocesane e parrocchiali ad un rinnovamento integra-le e ad aprirsi sempre più alla coopera-zione missionaria tra le Chiese, per pro-muovere l’annuncio del Vangelo nel cuore di ogni persona, di ogni popolo, cultura, razza, nazionalità, ad ogni latitu-dine”.

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Questa consapevolezza “si alimenta attra-verso l’opera di sacerdoti fidei donum, di consacrati, di catechisti, di laici missiona-ri, in una ricerca costante di promuovere la comunione ecclesiale, in modo che anche il fenomeno dell’'interculturalità' possa integrarsi in un modello di unità, nel quale il Vangelo sia fermento di liber-tà e di progresso, fonte di fraternità, di umiltà e di pace”. “La comunione ecclesiale – continua il Papa - nasce dall’incontro con il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che, nell’annuncio della Chiesa, raggiunge gli uomini e crea comunione con Lui stesso e quindi con il Padre e lo Spirito Santo. Il Cristo stabilisce la nuova relazione tra l’uomo e Dio” e “ci insegna che la legge fondamentale della umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento dell’amore. Coloro, pertanto, che credo-no alla carità divina, sono da Lui resi cer-ti che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realiz-zare la fraternità universale non sono vani”. La Chiesa diventa “comunione” a partire “dall’Eucaristia, in cui Cristo, presente nel pane e nel vino, con il suo sacrificio di amore edifica la Chiesa come suo corpo, unendoci al Dio uno e trino e fra di noi”. Perciò, “l’Eucaristia non è solo fonte e culmine della vita della Chie-sa, ma anche della sua missione”. In occa-sione della Giornata missionaria mondia-le “sentiamoci tutti protagonisti dell’impegno della Chiesa di annunciare il Vangelo. La spinta missionaria è sem-pre stata segno di vitalità per le nostre Chiese e la loro cooperazione è testimo-nianza singolare di unità, di fraternità e di solidarietà, che rende credibili annuncia-tori dell’Amore che salva!”, ha concluso Benedetto XVI.

Alcune persone hanno l’aspetto di co-lombe e come colombe sembrano solle-varsi nel magma informe degli affanni quotidiani, nel diluvio spinoso dei giorni attanagliati da preoccupazioni e disillusio-ni; tagliano positivamente un destino solo attraversandolo per un istante e con una parola buona fra le labbra, proprio come un ramoscello di ulivo, hanno la capacità di indicare una direzione lumi-nosa, una speranza. Tanta luce non fa quasi mai rima con appariscenza, anzi, quasi sempre i tratti sono delineati in maniera sfumata, quasi sfuggente, come se tutto ciò che dovesse colpire fosse nascosto e pronto a venire fuori come un bocciolo fresco, come se il contenitore avesse il solo preziosissimo compito di traboccare il grande segreto. Sono perso-ne che danno serenità solo elar-gendo uno sguardo discreto, un sorriso, pronunciando una parola semplice e comune. Non farò un nome, ma questa colomba, umile servitore di Cri-sto, è arrivata in un giorno di pioggia con occhi carichi di entu-siasmo e di bontà, ha percorso chilometri, superato distanze, adattato se stesso ed il proprio sentire ad un mondo e ad un paese nuovi e solo con uno sco-po: diffondere la parola di Dio. Dietro gli occhi c’è sempre una storia, un percorso di vita, affetti che si slacciano da un abbraccio antico e che in silenzio, spesso soffrendo, rispettano una scelta difficile ma sentita, una vocazione. Negli occhi di questa che ho definito “ colom-ba” c’era un merletto di lingue diverse, una babilonia di culture, un paese lonta-no ed affascinante, luminoso e all’avanguardia, onori, grattacieli e folla. Eppure qualcosa lo ha spinto verso l’Italia, verso una comunità importante ma più piccola, lo ha indirizzato verso i giovani, verso coscienze piene di vita ed ancora plasmabili, gli ha indicato giardini pronti ad accogliere il seme sempiterno della parola di Dio. Talvolta non servono giorni, mesi o addirittura anni per accor-gersi che nella folla che incrocia il nostro

cammino, si nascondono angeli, apparen-temente sono individui insignificanti, comuni, verso i quali non c’è nessuna prepotente attrazione. Ma basta qualche ora, una parola giusta, una certezza che brilla dentro la stanchezza e che batte lontananza, distacchi, difficoltà per anda-re oltre. Allora davvero si ha la certezza che il messaggio di Dio non ha confini, orizzon-ti, ostacoli: nella sua discreta potenza è capace di infiammare di grazia il veicolo stesso del messaggio, di estrarre pepite da ciò che non avrebbe mai attirato l’attenzione. E la sorprendente conse-guenza è un senso di pace, di armonia con se stessi, una volontà di apprendere e di trovare quella serenità che talvolta sembra sfuggente, impossibile come una

chimera. Ed il mondo non appare mai così bello come in quell’istante, nell’esatto momento in cui ci si accorge che accanto al dolore, ai problemi, alle delusioni e a tutti i progetti arenatisi, Dio lascia sempre un segno, un’orma, un indizio piccolo e prezioso della Sua pre-senza. E’ come un dono lasciato in un angolo, poi è Dio stesso a dare a quel dono una traiettoria speciale perché pos-sa incrociare la nostra e riempirci l’anima di tutto ciò che le è mancato.

Emilia Filocamo

SEGUE DA PAGINA 3

“Nell’impegnativa opera di evange-lizzazione, Cristo ci ricorda: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo”. Oggi, come duemila anni fa, la Chiesa invia generosi e appassionati disce-poli a spezzare il Pane della Parola a quanti sono affamati del Vangelo. Impegniamoci a sostenerli con la no-stra preghiera e la nostra carità.

Il Missionario: Colomba di Cristo nel mondo

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E’ possibile parlare di vero e sincero rispetto dell’altro in quest’epoca sempre più votata alla globalizzazione degli stili di vita e alla mondializzazione delle culture? In un’era in cui la nostra vita passa attraverso un’infinita serie di bit e byte, cercando dispera-tamente una connessione – di linea e umana- con l’altro; è possibile dire che siamo vera-mente pronti a condividere-interagire-metterci in relazione con l’altro? La stessa Ravello, patria di un turismo mondiale, che lungo le sue strade si interseca, si mescola, si scontra, è davvero capace di proporsi allo “straniero”, comprendendone biso-gni, esigenze, peculiarità? Forse sì, forse no. La reciprocità, la comunicazione intesa come condivisione, messa in comune di esperienze, non può avvenire attraverso uno schermo luminoso, che tace la vera natura delle cose, fingendo un sorriso attraverso un disegnino che appare sullo schermo altrettanto lucido del nostro interlocutore. Quante menzogne, quante sciocchezze si possono riferire così, a-vendo un display che ci protegge e tace la nostra vera natura. In quest’ordine di cose, dove tutto è così facile e veloce da diventare inutile e nul-lo in pochi secondi, ci sarebbe bisogno di una maggiore educazione al rispetto, all’umano, al diverso, che non si può esprimere solo attraverso una mail di solidarietà condivisa su uno dei social network più conosciuti. I termini esperienza, condivisione – scu-sate il ripetermi, ma è questo il nocciolo del discorso- sono realtà che vanno ben oltre una tastiera; sono momenti di cre-scita insieme che si comprendono solo se c’è una predisposizione a farlo, un’educazione che ci rende rispettosi di quello che ab-biamo di fronte e ce lo fa assimilare. Un’educazione al rispetto ancora, del diverso da noi, che sempre più tendiamo ad escludere perché vittime di questa

a t t i t u d i n e a l l ’ o m o l o g a z i o n e , all’appiattimento delle peculiarità, che ci porterà ad diventare tutti acritici automi, prodotti di una rivoluzione post-industriale ancora più potente e tremen-da di prima. Se la globalizzazione mira alla convergen-za socio-politica-economica dei paesi, l’educazione da propinare ai nostri figli – e ancora prima a noi stessi e ai nostri genitori- deve mirare alla comprensione, all’apertura e al dialogo tra popoli. La diversità diventa così valore fondante di una nuova umanità, più flessibile e curio-sa perché desiderosa di imparare e ap-prendere l’altro, che bagaglio di espe-rienze sconosciute, unisce il suo fardello alle nostre, per dar vita ad una nuova forma di comunità, più viva e più ricca, ma soprattutto più umana. Questo ci auguriamo. Questo quello che vorremo cominciare a fare partendo dal-la nostra piccola cittadina, che adagiata su una roccia a 320 metri sul mare, sem-bra già da secoli, aver capito l’importanza della diversità come princi-pio. E allora, rincorriamo il suo esem-pio. Imitiamone la cordialità, seguiamo-ne l’apertura, comprendiamone ripropo-nendo il suo stesso rispetto. Diventiamo fautori di un nuovo millennio, ora che l’anno nuovo è quasi le porte, e dimo-striamo di essere realmente pronti a defi-nirci cittadini del mondo. Noi siamo pronti, e voi?

Iolanda Mansi

Più volte abbiamo messo in evidenza la necessità di superare l’emergenza educa-tiva che stiamo vivendo nella nostra attuale società, trasmettendo alle giovani generazioni i valori fondamentali della vita. Il tema della XXVI Giornata Mon-diale della Gioventù, che si terrà a Ma-drid ad Agosto 2011, e ancor più il Mes-saggio scritto da Papa Benedetto XVI, per quest’occasione: “Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” (cfr Col 2,7) sem-brano essere il prosieguo per poter riflet-tere più a fondo sulla necessità di aiutare i giovani a trovare“ la vera realizzazio-ne”. La riflessione del Pontefice , parten-do anche da sue esperienze personali,si sofferma sull’ esigenza comune a tutti i giovani, di trovare qualcosa “ di più gran-de” che dia stabilità alla propria vita. “Essa”, suggerisce il Pontefice, “non è data appena dal possesso di sicurezze materiali, come il posto di lavoro, ma dalla coscienza delle proprie radici, e dalla conoscenza di Dio”. Questa ricerca, si chiede il Papa “ è solo un sogno vuoto che svanisce quando si diventa adulti?” “No” Egli aggiunge, “l’uomo è veramente creato per ciò che è grande, per l’infinito ogni altra cosa è insufficiente”. La cultura predominante dei nostri giorni, sembra averci contagiati tutti, e ci siamo quasi abituati ad escludere Dio dalla nostra vita. Noi adulti, (adulti in tutto tranne che nella fede) ci affanniamo per rende-re la vita agevole ai nostri giovani ,dal punto di vista materiale, ed il loro futu-ro ci preoccupa soltanto in vista di una stabilità economica. Dovremmo viceversa impegnarci ( geni-tori , insegnanti , catechisti) a trasmette-re loro il senso della dignità della perso-na, della solidarietà, del lavoro, della famiglia, valori che sono alla base della società e che, come riflette il Santo Padre, provengono dal Vangelo. Per non perdere ,allora, la nostra identi-tà di cristiani, il Pontefice, partendo dal-le parole di San Paolo, nella lettera ai Colossesi, invita tutti i giovani “ a radi-carsi”, come un albero, “ a stendere le radici in Dio, a riporre la propria fiducia in Lui “.

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Vocazione alla mondialita’ RADICATI E FONDATI IN CRISTO, SALDI NELLA FEDE

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“In questo modo , continua, “un giovane che è sulla soglia delle grandi scelte, incontrando Cri-sto, può impri-mere alla propria vita un dinami-smo nuovo”. Due

sono i brani del Vangelo che ci indicano il fallimento della nostra vita senza la presenza di Gesù: “Senza di me non pote-te far nulla” ( Gv15,5) ed il brano del Vangelo di Matteo ( 7,21-27) in cui vie-ne descritta la solidità della casa sulla roccia, che è Cristo. Ed è per questo che Benedetto XVI, nel suo Messaggio inco-raggia i giovani a coltivare la propria ami-cizia con Gesù, alimentando ed intensifi-cando il proprio cammino di fede, “Cercate anche voi, tutti i giorni, di se-guire la Parola di Cristo. Sentitelo come il vero Amico con cui condividere il cam-mino della vostra vita. Con Lui accanto sarete capaci di affrontare con coraggio e speranza le difficoltà, i problemi, anche le delusioni e le sconfitte. Vi vengono presentate continuamente proposte più facili, ma voi stessi vi accorgete che si rivelano ingannevoli, non vi danno sere-nità e gioia. Solo la Parola di Dio ci indi-ca la via autentica, solo la fede che ci è stata trasmessa è la luce che illumina il cammino.” Sono i giovani il nostro futu-ro ed è per questo che tutti dobbiamo avvertire la responsabilità di essere loro vicini , di incoraggiarli nelle scelte di vita, non riempiendo la loro vita di cose che a lunga andare perdono di significato, ma viceversa ognuno nel proprio ambito, famiglia , scuola , comunità parrocchiale deve essere capace di convincere i giova-ni che “ il futuro è nelle mani di chi sa cercare e trovare ragioni forti di vita e di speranza”. La fede dei giovani , ancora ci dice Benedetto XVI, deve essere sorretta dalla fede degli altri, come comunità Cristiana, come Chiesa dobbiamo impe-gnarci a sostenere attraverso la preghie-ra , l’ascolto della Parola, l’adorazione, il cammino di tanti giovani.

Giulia Schiavo

L’estate nella Diocesi di Amalfi-Cava è caratterizzata anche da una grande attrat-tiva,in particolare per i numerosi turisti che scelgono la Divina Costiera per le loro vacanze. Mi riferisco alle numerose feste patronali che specialmente nei mesi estivi fanno vivere momenti particolar-mente intensi alle comunità ecclesiali della Diocesi. Cetara,Minori, Ravel-lo ,Scala,solo per citarne alcune,con una cadenza quindicinale che è regolata dalla solennità di San Pietro e Paolo,il 29 giu-gno,celebrano la memoria liturgica dei loro Santi Patroni (in realtà per Minori la festa del 13 luglio non corrisponde alla festa liturgica di santa Trofimena che cade il 5 novembre).E poi Amal-fi,Positano,Atrani ,Maiori fanno ,al pari delle altre cittadine,delle loro feste pa-tronali degli ap-puntamenti im-perdibili. Accanto alle solenni cele-brazioni in onore dei Santi Patroni vi sono quelle che si svolgono nelle frazioni. Insomma l’estate per la Costiera è un tripudio di pro-cessioni,fuochi di artificio,bande musicali e tutto ciò che serve per celebrare un momento di fede e tradizione. Per quanto riguarda Ravel-lo,il mese di settembre si caratterizza proprio per queste feste che si svolgono nelle frazioni che ovviamente non han-no,pur con il dovuto rispetto,il valore della festa di san Pantaleone,unica,perché uno è il Patrono della Città. Lo dico ov-viamente senza nulla togliere ai titolari delle altre chiese parrocchiali che restano titolari ma non possono considerarsi patroni delle comunità che le venerano. Almeno in questo siamo uni-ti:riconosciamo il Martire di Nicomedia come unico celeste storico protettore di Ravello. Scorrendo il calendario liturgico settembrino, ci accorgiamo che proprio nel nono mese dell’anno la “Città della Musica”vive una serie di appuntamenti religiosi che vede protagoniste la Comu-nità ecclesiale di Santa Maria del Lacco,

che celebra solennemente la Festa della Natività della Beata Vergine Maria l’otto settembre ,e la Comunità ecclesiale di San Pietro alla Costa e Torello che,nell’arco di quindici giorni,è impe-gnata nelle celebrazioni in onore della Madonna Addolorata,la terza domenica di settembre,dei santi Cosma e Damia-no,il giorno 26, e da qualche anno,anche se in tono minore,di san Michele arcan-gelo,titolare della Chiesa di Torello. Questa ricchezza di feste religiose che si aggiungono a quelle celebrate nei paesi limitrofi ci spinge a fare qualche riflessio-ne,in considerazione del fatto che le feste religiose rientrano in quel grande patri-monio che è la pietà popolare che la Chiesa”Mater et Magistra”ha sempre tenuto in grande considerazione come

una delle sue espressioni cultuali più si-gnificative. Prendiamo spunto dall’intervento di P.Massimo Cucinotta dal titolo”La partecipazione nella Liturgia e nella pietà popolare”pronunciato nel corso della 59°Settimana Liturgi-ca,tenutasi a Palermo nell’agosto del 2008. Lo scopo è quello di chieder-ci,come comunità ecclesiali,se le feste che celebriamo e che rientrano nell’ambito della pietà popolare sono guidate dalla Liturgia. Proprio la Liturgi-a,infatti,è la sorella maggiore della pietà popolare e solo la Liturgia dà alla pietà popolare il diritto di cittadinanza nella Chiesa,come ben sottolinea il Direttorio su pietà popolare e Liturgia,pubblicato dalla Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti nel dicembre 2001. Nel progetto del Direttorio è sem-pre affermato”il principio del primato cultuale della Liturgia rispetto alla pietà

SEGUE DA PAGINA 5 Le feste e la Festa

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popolare il diritto di citta-dinanza nella Chiesa,come ben sottolinea il Direttorio su pietà popolare e Liturgi-a,pubblicato dalla Congre-gazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacra-menti nel dicembre 2001. Nel progetto del Direttorio è sempre affermato”il prin-cipio del primato cultuale della Liturgia rispetto alla pietà popolare;infatti ogni celebrazione liturgica,in quanto opera di Cristo sa-cerdote e del suo corpo che è la Chiesa,è azione sacra per eccellenza e nessun’altra azione della Chiesa allo stesso titolo e allo stesso grado,ne egua-glia l’efficacia.”Ed ecco il punto del no-stro discorso. Le nostre feste veicolano il senso genuino del culto cristiano?O ten-dono,malgrado molti aspetti positivi,a far passare in secondo piano la centralità del Mistero Pasquale?Educano i fedeli ad una partecipazione liturgica più attiva e fruttuosa?Non bisogna dimenticare infat-ti che “la storia ha dimostrato che quando la liturgia cessa di essere partecipa-ta,anche la pietà popolare,come tutte le altre forme di preghiera,risultano note-volmente impoverite e diventano un surrogato della vera pietà cristiana”.il compito dunque di una comunità eccle-siale che organizza le feste religiose è quello di essere consapevole che in que-ste manifestazioni”il messaggio cristiano da un lato assimila i moduli espressivi della cultura di un popolo,dall’altro per-mea di contenuti evangelici la sua conce-zione della vita e della morte,della liber-tà,della missione,del destino dell’uomo”,come ricorda il Direttorio. Insomma la pietà popolare riveste un’importanza come”inculturazione della Fede”,come comprese la Commissione teologica internazionale nel Documento finale del 1988 su “Fede e inculturazio-ne”.Per Ravello e la Costiera in genere che hanno la fortuna,a differenza delle grandi città,di poter ancora organizza-re,offrire,vivere le feste in onore della Madonna e dei Santi ,queste manifesta-zioni devono armonizzarsi pienamente con la Liturgia e come ricorda il Concilio devono essere regolate da una triplice istanza liturgica espressa da tre ver-

bi:”esse si armonizzino”con la Liturgia,da essa “derivino”e ad essa “conducano”il popolo cristiano. Solo alla luce della li-turgia le feste si purificheranno da certe scorie,quali la scarsità di elementi cristia-ni,lo squilibrio tra il culto dei Santi e l’unica mediazione di Cristo,la separazio-ne tra gesti di pietà e impegno di vi-ta,spettacolarità,superstizione,magia. Inoltre,malgrado la capacità di creare aggregazione,progetti e talvolta impegni di carità,l’organizzazione delle feste religiose,se sganciata dalla Liturgi-a,rischia di cedere sotto i colpi di fasti-diosi individualismi e campanilismi che non si addicono alla Chiesa del 21°secolo.E’allora opportuno che con l’inizio del nuovo Anno Pastorale le Co-munità ecclesiali,le Commissioni Feste rivedano il loro “modus operandi”che non può e non deve essere fatto solo dall’impegnativo e lodevole lavoro di organizzare,programmare e soprattutto trovare i fondi per la prossima festa. E’tempo di studiare i documenti della Chiesa per capire che essa accoglie la religiosità popolare “per educare i figli al senso cristiano della preghiera e,alla luce delle istanze liturgiche,favorire una par-tecipazione più autentica al Mistero Pa-squale.”Insomma prepariamo le feste per aiutare a celebrare la Festa ,quella setti-manale,la Domenica in cui ogni cristiano nella comunità e con la comunità fa festa perché incontra e ascolta il suo Signo-re,nutrendosi alla mensa della Parola e dell’Eucaristia,sotto lo sguardo compia-ciuto della Madonna e dei Santi che “tanto”veneriamo.

Roberto Palumbo

Ottobre 2010 «Avvicinarsi»

Cara famiglia, al termine della pausa estiva, mi è gradi-to riprendere, con questa Lettera, il mio contatto semplice e periodico con te. Con essa intendo stabilire, anche per quest’anno pastorale, un colloquio cor-diale con ciascuno dei tuoi componenti, suggerendo, di volta in volta, un valore umano e cristiano che, vissuto con sin-cerità, può offrire un connotato diverso ed esaltante al tuo vissuto quotidiano. Nei giorni scorsi ho avuto la premura di avvicinarmi personalmente al dramma di Atrani, il paesino costiero tragicamen-te sconvolto dall’alluvione del 9 Settem-bre scorso. E’ stata per me l’occasione per essere vicino a tanti fratelli, tra i qua-li il diacono permanente Raffaele Mansi ancora trepidante, ma così sorretto dalla fede e dalla speranza, dopo la scomparsa della figlia Francesca nel vortice alluvio-nale. Ho potuto sperimentare quanto necessaria ed efficace è la vicinanza a chi vive nell’angoscia, o vive momenti di fragilità e di necessità. Avvicinarsi per portare la propria solidarietà e affetto equivale ad un’offerta di quella vera-ce e convinta testimonianza di condi-visione che ogni essere umano sente di possedere nel suo status umano e che i cristiani, ancorati al Vangelo di Gesù, chiamano carità. Penso, perciò, rivolgendomi a te, al va-lore dell’avvicinarsi agli altri, dell’essere vicini gli uni agli altri all’interno del tuo quotidiano vivere: i genitori pronti ad avvicinarsi, nel dovere e nella gratuità ai loro figli per scorgere i loro bisogni, le urgenze e ad esercitare la comprensione e la prossimità al fine di favorire una crescita serena, in maniera globale, uma-na e spirituale. Ma penso anche all’avvicinarsi dei figli alle figure dei ge-nitori: è un formidabile contraccambio di vicinanza perché i rapporti interfamiliari divengano palestra di quegli atteggia-menti che la vita quotidiana reclama a vivere oltre le mura domestiche.

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LETTERA DELL’ARCIVESCOVO

ALLE FAMIGLIE

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PAGINA 8 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

SEGUE DA PAGINA 7 Penso, perciò, rivolgendomi a te, al valo-re dell’avvicinarsi agli altri, dell’essere vicini gli uni agli altri all’interno del tuo quoti-

diano vivere: i genitori pronti ad avvicinarsi, nel dovere e nella gratuità ai loro figli per scorgere i loro bisogni, le ur-genze e ad eser-citare la com-prensione e la

prossimità al fine di favorire una crescita serena, in maniera globale, umana e spi-rituale. Ma penso anche all’avvicinarsi dei figli alle figure dei genitori: è un formidabile contraccambio di vicinanza perché i rap-porti interfamiliari divengano palestra di quegli atteggiamenti che la vita quotidia-na reclama a vivere oltre le mura dome-stiche. Anche la mia Lettera che periodicamen-te Ti invio vuole essere segno del mio personale avvicinarmi ai tuoi membri per far percepire ad ognuno di essi la mia responsabilità nella condivisione alle loro gioie e alle loro diversificate esigenze. Del resto … e lo ricordo a me e a te, amata famiglia, la solidarietà è l’avvicinarsi a chi reclama prossimità e carità concreta: essa dà senso ai giorni del nostro vivere e, nel momento in cui ci apriamo agli altri, ci fa aprire a noi stessi per riconoscerci identità giammai solitarie, ma autenticamente capaci di vivere la cultura della vicinanza! Ti sogno solida in questo valore e capace, poi, di viverlo al tuo esterno per arric-chire il mondo di relazioni forti, di cui te ne sei partecipe e pioniere al tuo inter-no.

Ti benedico.

+ Orazio Soricelli, arcivescovo

“Grazie perché condividi la tua paura, la tua gioia, la tua battaglia, il tuo amore e la tua vita con me” (Ulrich Schaffer)

Un anno fa,sulle pagine di questo mensi-le avevo criticato aspramente la presenza di Dario Fo alla manifestazione “Scala incontra New York”.In un contesto ca-ratterizzato addirittura dall’Incontro di preghiera per la Pace con la partecipazio-ne dei rappresentanti delle grandi reli-gioni mondiali , trovavo inspiegabile lo spettacolo del Nobel per la Letteratu-ra,quel Dario Fo che non può certo esse-re considerato un “devoto”.Ebbene ,a distanza di 12 mesi,devo ricredermi. Ammetto di aver sbagliato e di essere stato troppo severo nel giudicare inop-portuna e fuori luogo la presenza di Da-rio Fo alla manifestazione scalese.Che cosa mi ha indotto a cambiare opinione sul programma dell’edizione 2009 di Scala incontra New York?Il fatto che Dario Fo sia stato ospite anche al “Ravello Festival 2010”?Assolutamente no,perché la Kermesse ravellese è intera-mente laica,laica è la Fondazione che la organizza,laico il suo Presidente e i gran-di valori,quali la Pace ,o la religione han-no avuto qualche volta un ruolo margina-le all’interno di una manifestazione fon-damentalmente culturale e artistica. Quindi la presenza di un Nobel come Dario Fo al “Ravello Festival”non è certo “inquietante”come lo era stato lo scorso anno a Scala incontra New York,la cui matrice certamente non è laica al cento per cento,anzi. Ma allora che cosa mi ha indotto a rivalutare la scelta di inserire Dario Fo nell’edizione di Scala incontra New York 2009?La risposta è semplice:il programma dell’edizione 2010. L’ho letto,l’ho riletto,mi sono anche convinto di non saper leggere,ma non ho riscontrato nella programmazione di quest’anno quell’attenzione alla Pace che era stata il nucleo della scorsa edizione. Mi sono sfuggiti i momenti di preghiera per la Pace. Evidentemente l’incontro del settembre 2009 ,emulo di quello tenuto ad Assisi da papa Giovanni Paolo II,annunciato dalle campane a distesa dell’intera Diocesi Amalfitana-Cavense, è stato così efficace da riportare la pace nell’universo mondo e indurre gli orga-nizzatori a non prevedere per quest’anno una iniziativa non dico analoga ma alme-no riservata ai cristiani cattolici di Scala e

dintorni. Non ho letto comunicazioni diocesane con cui si invitavano le parroc-chie della Diocesi ad unirsi per pregare per la pace. Dall’anno scorso ad oggi mi risulta che il mega incontro del settembre 2009 a Scala ha prodotto solo una veglia di pre-ghiera per la Pace,ma non un’attenzione e un impegno per creare e formare la CULTURA DELLA PACE,né tantome-no ha fatto iniziare il discorso. Un di-scorso sicuramente difficile ma urgente per poter cominciare a tentare di sanare situazioni territoriali che sicuramente non nascono da una cultura di fede e di pace,ma sono il frutto di quell’egoismo che è l’ostacolo principale alla Pace ed impedisce all’uomo di amare Dio e il prossimo. Certo era utopia il pensare che l’incontro interreligioso di un anno fa avrebbe fatto scoppiare nella Diocesi la cultura della Pace,ma era logico e conse-quenziale credere che qualcosa avrebbe messo in moto. E invece nulla è cambia-to. Anzi il discorso sulla Pace è passato sotto silenzio anche in una manifestazio-ne che è nata proprio per ricorda-re,almeno negli intenti,le vittime della mancanza di pace,di una” guerra di civil-tà”,del fondamentalismo e del capitali-smo. Allora perché ho rivisto il mio giudizio sulla presenza di Dario Fo nella scorsa edizione della manifestazione scalese?Perché,alla luce delle riflessioni fatte,mi sono accorto che il discorso sulla Pace,al quale ha creduto anche la Diocesi che continua ad inciampare nei cordoni ora di un rigorismo celato dalla fedeltà alla Regola,ora nei potenti cordoni salda-mente legati alle antenne mediatiche, nella kermesse scalese è puramente mar-ginale. Riempie un palinsesto che mette sullo stesso piano i vari eventi,senza una gerarchia valoriale. Anzi,la Pace,la reli-gione,la fede sembrano fare da cornice ad eventi artistici e culturali. E’vero che si parla di Luce,è vero che si sottintende un discorso di fede,ma pur-troppo questi aspetti restano troppo sot-tointesi o cedono il posto a quelle esi-genze mediatiche che comunque garanti-scono alla Città di Scala una visibilità e una immagine impensabili in altre

FUOCO DI PAGLIA E FIUME DI FANGO

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occasioni. Quindi,se la manifestazione scalese è spettacolo, se deve necessaria-mente essere spettacolo,anche Dario Fo ci sta bene. E’ stato uno dei tanti tasselli del puzzle che servono a creare l’immagine e che si è incastrato con gli altri tasselli:i rappresentanti delle religio-ni mondiali,il Vescovo,il Cardinale,la Preghiera per la Pace. Dirò di più:Dario Fo lo scorso anno è stato forse l’unico a capire di dover recitare e l’ha fatto. Ha recitato in un grande spettaco-lo,organizzato ieri come oggi nei minimi particolari,con attori spesso ignari del loro ruolo all’interno della manifestazio-ne nella quale il discorso sulla Pace si è rivelato un fuoco di paglia. Che è stato definitivamente spento quest’anno dal fiume di fango che il 9 settembre scorso proprio da Scala intenta ad incontrare New York è sceso provocando morti e distruzioni. Grazie a Dio,questo fiume di morte non ha coperto la Fede del padre di Francesca,la venticinquenne dispersa. Nel corso di una intervista,al giornalista che meravigliato gli chiedeva il motivo di tanta serenità pur in un momento così drammatico per un genitore,Lello Man-si,diacono,ha risposto che era la Fede,la forza della Fede che gli consentiva di non abbandonarsi allo sconforto e alla dispe-razione. Una testimonianza fortissima che in poche parole ha indicato la via per incontrare la Luce,quella Luce vera che purtroppo i riflettori e le dirette televisi-ve di “Scala incontra New York”tendono ad offuscare. Una testimonianza sincera più potente delle chiacchiere e delle can-zoni che abbiamo ascoltato in diretta dal Duomo di san Lorenzo,ridotto per l’occasione ad un palcoscenico apparen-temente mesto ma anch’esso tassello del mosaico mediatico.

Roberto Palumbo

Clima malinconico di fine stagione, il Paese si comincia a svuotare: puntual-mente arriva settembre, e come quando termina una festa, Ravello torna alla sua calma quotidianità. L’ultimo vento della sera, il titolo di uno spettacolo perfetta-mente adatto a questa atmosfera. Tutto era nato come un’idea astratta, sotto consiglio del Professor Gennaro Co-langelo, organizzatore di eventi e do-cente presso la LUMSA (Libera Universi-tà Maria Santissima Assunta). Mi sono laureata lo scorso dicembre in Scienze della Comunicazione, con specialistica in Produzione Culturale, lui mi ha seguito con premura durante tutto il lavoro di tesi, col quale ho concluso il quinquenna-le percorso universitario con il massimo dei voti. Piena di teoria, ma carente di pratica e con tanta voglia di fare ho fre-quentato la Scuola di Formazione in Management Culturale “Per Lisa” a Ra-vello, molto interessante dal punto di vista pratico, in quanto include un quoti-diano lavoro di bottega che permette di concretizzare le nozioni apprese durante le lezioni, svincolandosi da quegli ap-prendimenti prettamente accademici delle università. Un’estate piena, nella quale sono entrata in contatto con ragazzi provenienti da tutta Italia -e anche dal mondo- entusiasti dell’esperienza e affa-scinati dalla bellezza paradisiaca di Ravel-lo: è proprio vero che quando sei molto vicino alle cose belle quasi ti sembrano normali! Durante il periodo estivo sono rimasta in contatto col Professor Colan-gelo, tenendolo informato riguardo la mia attività. All’inizio di agosto mi ha proposto la realizzazione di un piccolo evento.Avevamo lo spettacolo e l’attore: era un peccato non renderlo fruibile an-che nel proprio Paese. L’idea gradual-mente ha iniziato a prendere piede. Sul finire del mese i ragazzi della Scuola co-minciavano a ritornare nelle loro città, ma ho trovato immediatamente l’aiuto e la vitalità dei miei colleghi ravellesi: per la prima volta eravamo noi ad affrontare il lavoro in prima persona ed eravamo “freschi di esperienza”.Come ha potuto affermare in seguito il Professore: “Non sfugge loro nemmeno il più piccolo parti-

colare”. Di questa frase siamo stati lieti. L’ultimo vento della sera è stato uno spetta-colo realizzato da pochi ragazzi di Ravel-lo, un piccolo gruppo riunito sotto il nome di Ravello Action. Solo due parole che sintetizzano il nostro scopo: agire, e farlo concretamente nella nostra terra. Questo è solo un timido inizio, reso pos-sibile da piccole sponsorizzazioni locali; la speranza è quella di iniziare a crescere e -perché no- fare di un piacevole (e non semplice) passatempo, una professione. Rossella Cioffi, Francesca Lucibel-lo, Roberta Ruocco, Rosa Imperato e Sara Ossignuolo (Minori), sono le ragazze che insieme a me si sono date da fare per organizzare la serata, aiutate da due colleghi della Scuola, non residenti a Ravello: Carla Visone, di Napoli (soprattutto per la grafica della locandi-na) e Andrea Troisi, di Salerno. Ci siamo occupati di ogni settore dell’organizzazione dell’evento: dal fund raising per le sponsorizzazioni, alla grafica per le locandine e i flyers; dalle autorizza-zioni della SIAE, alla produzione concre-ta dell’evento; supportati dalle conoscen-ze degli amici dell’Ufficio Stampa del Ravello Festival (Paolo Popoli e Nicola Mansi) e da Martino Esposito per la parte tecnica. La prima importante tappa è stata comunque quella di trovare la location adatta allo spettacolo, è solo quando si dispone del luogo che si può iniziare ad organizzare concretamente un evento. Il posto è il contenitore dello spettacolo, è il suo set naturale. Chi orga-nizza eventi è alla ricerca di location sem-pre più nuove e originali, perché sa che esse sono fondamentali per la riuscita dell’evento stesso. È difficile trovare a Ravello un posto non adatto a rappresen-tare la cultura! Il problema è quello di cercare un luogo adatto alle esigenze dello spettacolo, facile da raggiungere, attrezzato dei materiali richiesti, attinen-te al mood della rappresentazione, e rica-varne -ovviamente- l’autorizzazione. Ho subito pensato che la Chiesa di Santa Maria in Gradillo potesse essere la corni-ce ideale per L’ultimo vento della sera.

Continua a pagina 10

Ravello Action chiude l’estate ravellese con “L’ultimo vento della sera”

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PAGINA 10 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

L’Amore: il fil rouge dei brani. L’ultimo vento della sera, è un titolo ispirato ad un verso di Alfonso Gatto, è un recital che presenta un originale montaggio di versi della letteratura italiana ed internazionale del Novecento, che hanno come filo con-duttore la poesia d’amore. Amore inteso in tutte le sue forme, mai volgarizzato. Amore per la madre, per il padre, per il fratelli. Amore coniugale e amore verso Dio. Citazioni di testi famosi, resi sugge-stivi dall’interpretazione degli attori e dalle musiche. L’introduzione è stata effettuata attraver-so l’Infinito leopardiano, seguito da grandi nomi: da Pascoli a Ungaretti, dalle Poe-sie di Eduardo a quelle di Alda Merini, da Trilussa a Montale. L’evento si è concluse con dei versi meravigliosi di Madre Teresa di Calcutta, conte-nenti l’idea di un amore universale, dedicati dai nostri attori al Parroco. I testi sono stati recitati da Nicholas Gallo, diplo-mato in una delle migliori accademie teatrali di Ro-ma, e dallo stesso Profes-sor Colangelo, accompagnati dalle musi-che dell’amalfitano Cherubino Fariel-lo, diplomato al Conservatorio Statale di Musica “Nicola Sala” di Benevento e già noto a Ravello come direttore della Ju-nior Orchestra, composta dagli allievi delle scuole medie del Paese. L’evento si è svolto il giorno 6 settem-bre, alle 20.30 nella Chiesa di Gradillo, attirando più persone di quelle che ci aspettavamo. Gli attori sono arrivati a

Ravello il giorno stesso. Ravello Action ha provveduto all’allestimento della Chiesa (aiutata sul fronte estetico dall’inimitabile Armando Malafronte) ed ha vissuto in prima persona tutte le pro-blematiche e gli imprevisti che emergono per chi si accinge a svolgere questo me-stiere. Noi ragazzi li abbiamo affrontati con successo: questo è stato possibile solo grazie ad un bel lavoro di squadra. Capacità e competenze acquisite, abilità diverse ed un ottimo affiatamento hanno permesso a questo piccolo team di veder realizzato il loro primo evento, con un discreto successo di pubblico, il quale ha seguito con attenzione e partecipazione lo svolgersi dello spettacolo. Personal-mente vivo a Roma da quando ero una bambina, continuando ad essere innamo-rata di Ravello, era -ed è- sempre triste lasciare la Costiera al finire della bella stagione, ma ho sempre pensato che fosse qualcosa di necessario per poter intra-prendere una buona carriera. Potrebbe non essere così. Ravello vanta di posti meravigliosi, evoca cultura e pullula di giovani che potrebbero non aver bisogno di cercare altrove qualcosa che può esse-re a portata delle loro mani. Con L’ultimo vento della sera ci siamo sen-titi protagonisti di qualcosa che abbiamo creato noi, abbiamo visto realizzarsi il

nostro lavoro ed è stata una soddisfazione grandissima. Soddisfazione accresciuta dalla magnifica presentazione del Profes-sore, ma ancora di più dalle strette di mano e dai sorrisi sinceri di chi era lì con noi, che ha creduto nel nostro operato e che -credo- ci spronerà a fare sempre di meglio.

Kiria Bottone

Pur rimanendo fedeli all’ammonimento virgiliano “non omnia possumus omnes”, non poteva passare sotto silenzio una bellissima testimonianza su Ravello di Pier Paolo Pasolini. Molti ricorderanno la sua presenza nella Città della Musica nel 1970 per girare alcune scene del “Decameron”, film che suscitò vasta eco, anche di scandalo, per l’audacia di molte scene. In realtà Pasolini aveva già frequentato Ravello qualche decennio prima quando, per la rivista “Successo”, condusse un periplo lungo le coste Italiane, da Venti-miglia fino a Trieste, al volante della sua Fiat Millecento. Il resoconto di questo viaggio venne inti-tolato “La lunga strada di Sabbia”. Era l’estate del 1959. Qualche anno fa, nel 2005, il fotografo Philippe Séclier, ha curato anastatica-mente il dattiloscritto conservato presso gli eredi dello scrittore bolognese e ne ha pubblicato il testo in edizione italiana presso la casa editrice Contrasto. Una testimonianza di eccezionale livello, anche per la descrizione degli atteggia-menti sociali e culturali del popolo italia-no, resi con un linguaggio poetico di forte suggestione. È bene allora lasciare alle sue parole il racconto del suo passaggio a Ravello, avvenuto nel luglio del 1959, nel corso dell’itinerario che da Napoli lo portò a Vallo Lucano. Dopo aver visitato veloce-mente Amalfi l’autore racconta di voler raggiungere prima di notte Ravello per una ragione molto semplice, “perché Ravello è il paese di Greta Garbo”. Eccone il testo dall’edizione di “Philippe Séclier, Pier Paolo Pasolini. La lunga strada di sabbia, Contrasto 2005”. “Lascio la strada sul mare, e mi arrampi-co su, tra colline fitte di pergole di vi-gneti, di fichi d’India, più verdi del ver-de. Ecco a sinistra Scala, e,dopo un’ultima curva da vertigini, una piazzet-ta con una fontana moresca: sono a Ra-vello. Sbaglio tutto: contrariamente al solito, che indovino subito dove devo andare, prendo, a sinistra anziché a de-stra, lasciata alla fontana moresca

SEGUE DA PAGINA 9 UNA TESTIMONIANZA SU RAVELLO

DI PIER PAOLO PASOLINI

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la macchina. E vado per un paese anoni-mo, in fondo, che si allunga come una serpe sulla cima stretta d’un monte: ep-pure c’è qualcosa di nobile, di misterio-so, intorno. Sento puzza di novità. Arri-vo in capo alla striscia di paese. “Ma gli alberghi, dove sono?” chiedo a delle don-ne sedute sui gradini rosicchiati delle povere case. “Non stanno qui! – fanno, smarrite, dolenti, dolci. – Stanno dall’altra parte!” Ridiscendo di corsa la lunga strada, sorpasso la fontana, e en-tro, dall’altra parte, nel vero paese. Lì ho passato le due ore più belle di tutto il viaggio, e, sicuramente, tra le più belle della mia vita. È venuta quasi l’ora del tramonto, intanto, e il sole, ancora lim-pido carico, rade le cime delle colline dense di piante pure, secche, nette come cristalli e insieme piene di umile tenerez-za. Per le strade del paese non c’è quasi nessuno: solo la gente che si vede nei paesi veri, di tutto il nostro mondo, nell’ora del tardo meriggio estivo: ragaz-zi, soli, che rincasano dal catechismo, donne che tornano dal lavoro. E le strade sono pulite, ben selciate, nobili come nel più eletto paese di Lom-bardia o delle Venezie. Le costeggiano palazzetti barocchi, settecenteschi, d’una discrezione e d’una eleganza mai vista: ogni tanto, le case s’interrompono, c’è un muretto, da cui si intravedono, sotto, abissi caldi di verde. È tutto pieno di chiese, di monasteri: il monastero di Santa Chiara, la chiesa di San Francesco, il santuario dei SS. Cosma e Damiano: è una città sacra, una piccola Assisi, di-menticata. Vedo un frate giovane, rosso, che cam-mina in fretta giù per gli scalini della strada, tra due muretti sospesi nel vuoto: lo chiamo, gli chiedo quasi allarmato

come mai tante chiese in un così piccolo paese. Mi risponde in un greve, gretto na-poletano: “Anticamente qui ci stava ‘nu popolo molto numeroso!”. Scompare dietro un portone di quel barocco umile che si vede nei paesi.

Ravello è come in uno sperone, sospeso nel vuoto, in fondo a cui si stendono colline che strapiombano sul mare. Ma te ne accorgi solo alla fine, quando giungi alla Villa Cimbrone, che è il punto su-premo di Ravello. In capo alla strada ti si para davanti un portoncino, entri, e non puoi gridare dalla meraviglia: subito, a sinistra uno stupendo chiostro, poi un delizioso palazzetto, e davanti un viale per un giardino favolosamente neoclassi-co, che finisce di colpo, laggiù, contro il cielo. Entro nella cripta, esulto davanti a un Della Robbia, a dei bassorilievi anoni-mi, del primo Quattrocento, i Sette Pec-cati Capitali, e i nove, meravigliosi, Guerrieri Normanni. Scendo ancora giù, per una scaletta che mi porta a un’abside, una selva di colonne, come dalle mie parti, gotiche; ma, davanti, è aperto, c’è il precipizio, il vuoto, il ma-re. Sperduta tra le colonne, un’antica sedia di legno, ecclesiastica, mi siedo, c’è tanta pace, che qui vorrei morire, finirla così dolcemente. Ma mi rialzo, corro sul giardino, filo lungo tutto il viale, profu-mato da ubriacare, arrivo in fondo alla terrazza, sospesa nel cielo, con una fila di nobili teste di marmo, e una dolce rin-ghiera. Ci sono dei turisti, estasiati. In realtà, la situazione è di quelle che non si possono facilmente esprimere: tutto il golfo da Amalfi a Salerno è ai tuoi piedi, e tu voli.Riannodo le fila che mi pareva-no perse, con la grande Italia cristiana e comunale: non c’è Borbone che riesca a cancellarne lo spirito. Come Lawrence – che anche lui, avreb-be voluto morire qui, di troppa pace – non riesco a staccarmi da questo angolo di cielo : un luogo deputato all’estasi ”.

Salvatore Amato

Solo per oggi... 1) Solo per oggi cercherò di vivere alla giornata senza voler risolvere i pro-blemi della mia vita tutti in una vol-ta. 2) Solo per oggi avrò la massima cura del mio aspetto: vestirò con sobrietà, non alzerò la voce, sarò cortese nei modi, non criticherò nessuno, non cer-cherò di migliorare o disciplinare nes-suno tranne me stesso. 3) Solo per oggi sarò felice nella cer-tezza che sono stato creato per essere felice non solo nell'altro mondo, ma anche in questo. 4) Solo per oggi mi adatterò alle cir-costanze, senza pretendere che le cir-costanze si adattino ai miei desideri. 5) Solo per oggi dedicherò dieci minu-ti del mio tempo a sedere in silenzio ascoltando Dio, ricordando che come il cibo è necessario alla vita del corpo, così il silenzio e l'ascolto sono necessa-ri alla vita dell'anima. 6) Solo per oggi, compirò una buona azione e non lo dirò a nessuno. 7) Solo per oggi mi farò un program-ma: forse non lo seguirò perfettamen-te, ma lo farò. E mi guarderò dai due malanni: la fretta e l'indecisione. 8) Solo per oggi saprò dal profondo del cuore, nonostante le apparenze, che l'esistenza si prende cura di me come nessun altro al mondo. 9) Solo per oggi non avrò timori. In modo particolare non avrò paura di godere di ciò che è bello e di credere nell'Amore. 10) Posso ben fare per 12 ore ciò che mi sgomenterebbe se pensassi di do-verlo fare tutta la vita.

Papa Giovanni XXIII

Page 12: INCONTRO OTTOBRE 2010

CELEBRAZIONI DEL MESE DI OTTOBRE GIORNI FERIALI Ore 18.00: Santo Rosario Ore 18.30: Santa Messa GIORNI FESTIVI Ore 18.30: Santo Rosario Ore 19.00: Santa Messa GIOVEDI’ 7-14-21-28 ore 18. 30: Santa Messa e Adorazione Eucaristica 3 OTTOBRE: XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 08.00 -19.00: Sante Messe Ore 10.30: Santo Rosario Ore 11.15: Santa Messa Ore 12.00: Sulla alla B.V. del Rosario di Pompei 4 OTTOBRE: SAN FRANCESCO D’ASSISI - PATRONO D’ITALIA 7 OTTOBRE: B.V. MARIA DEL ROSARIO 10 OTTOBRE: XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 08.00-10.30-19.00: Santa Messe 16 OTTOBRE: VEGLIA MISSIONARIA ore 19:00 Cattedrale di S. Andrea Apostolo – Amalfi

17 OTTOBRE XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 08.00-10.30-19.00: Santa Messe 22– 23 OTTOBRE

14° Convegno Ecclesiale Diocesano

“Educare… alla solidarietà e alla condivisione”

Convento S. Francesco – Cava de’ Tirreni

22 Ottobre – dalle 15:30 alle 19:30

Animatore: Mons. Vittorio Nozza, Direttore Nazionale della Caritas

23 Ottobre – dalle 8:30 alle 18:30

Animatore: Don Giuseppe prof. Roggia, Docente presso la Ponti-ficia Università Salesiana di Roma

23 OTTOBE: Inizio della novena dei Defunti

24 OTTOBRE: XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 08.00-10.30-19.00: Santa Messe 26 OTTOBRE: BEATO BONAVENTURA DA POTENZA 31 OTTOBRE: XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 08.00-10.30-19.00: Santa Messe