INCONTRO GIUGNO 2010

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Per una Chiesa Viva www. chiesaravello. it www. ravelloinfesta. it Anno VI - N. 5 – Giugno 2010 Nella Solennità del Sacro Cuore di Gesù, che quest’anno cade il giorno venerdì 11 giugno, si concluderà l’Anno Sacerdotale indetto dal Sommo Pontefice Benedetto XVI per celebrare il 150º anniversario della morte di S. Giovanni Maria Vian- ney, il Santo Curato d’ Ars. In obbedienza alle indicazioni del Santo Padre, in adesione alle molteplici solleci- te iniziative promosse dalla Congregazio- ne del Clero e alle esortazioni contenute in una speciale Lettera pastorale del nostro Arcivescovo, nei vari tempi dell’anno liturgico abbiamo colto l’occasione per riflette- re sul tema “Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote”, oggetto di questo anno speciale dedi- cato al Sacerdozio. Così a tutti è stato offerta l’occasione e la grazia di com- prendere sempre meglio il dono del Sacerdozio ed il dovere di apprezzare il mini- stero dei Sacerdoti e soste- nerne la vita; la doverosa necessità di promuovere le vocazioni sacerdotali e la santificazione dei Sacer- doti. E, soprattutto con la ripresa dell’incessante preghiera di tutta la co- munità cristiana, abbiamo implorato il dono delle vocazioni alla piena consacra- zione nel servizio della Chiesa con il Mi- nistero Ordinato cui il Signore, ancora oggi, chiama tanti suoi prediletti. L’ ispi- rata iniziativa del Papa che ha chiesto autorevolmente alla chiesa un nuovo e forte impegno di rinnovamento interiore dei sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi, ha senza dubbio contri- buito in questo anno sacerdotale al raffor- zamento della fede del popolo nel valore del Sacramento dell’Ordine Sacro. Nei nostri difficili tempi di crisi profonda della società e della chiesa non si può negare certamente che la triste ed amara costatazione di gravi infedeltà da parte di alcune persone consacrate nel Sacerdozio e nella vita religiosa abbia generato un notevole turbamento nell’animo dei fe- deli. Un anno giubilare del Sacerdozio cattolico, tuttavia, ha rappresentato per la chiesa un autentico e privilegiato dono della Provvidenza divina, perché ha sti- molato l’approfondimento degli studi teologici sul Sacerdozio da parte dei Pre- sbiteri a vantaggio della pastorale voca- zionale delle nostre comunità. Da questi studi si è arricchita una moderna appro- priata catechesi dei fedeli sul Sacerdozio Ministeriale dei Presbiteri e sul Sacerdo- zio battesimale di tutti i cristiani. Anche la ricerca storica sulla vita e l’opera del Clero del passato ne ha beneficiato, per- mettendo, tra l’altro, la pubblicazione di vari scritti che illustrano le tante lumino- se figure sacerdotali che nel secolo tra- scorso hanno servito la nostra chiesa loca- le e la società. Ora il Papa Benedetto XVI che il 19 giugno 2009 dichiarò aperto questo singolare anno sacerdotale dinanzi alla reliquia di san Giovanni Maria Vian- ney, il prossimo venerdì 11 giugno, So- lennità del Santissimo Cuore di Gesù, lo concluderà con la giornata mondiale della santificazione sacerdotale, quando in piazza San Pietro prenderà parte all’ in- contro internazionale dei Sacerdoti conve- nuti a Roma da tutte le diocesi del mondo e proclamerà il Curato d’Ars “patrono di tutti i sacerdoti del mondo”. In questa ora memoran- da della storia della chiesa, mentre esul- tiamo di santa gioia al pensiero di aver avuto la felice sorte di aver vissuto questo storico ed eccezionale avveni- mento, celebrato con tante significative ed indimenticabili celebrazioni, nello stesso tempo, nella consapevolezza del dono ricevuto e responsabilmente pensosi sull’incerto futuro che ci attende, con coraggio umile e fiducioso, ci poniamo la seguente legittima domanda: che resterà di questa singolare iniziativa spirituale e pastorale che ha risvegliato e fatto perce- pire profondamente nella chiesa e nella società contemporanea l’importanza del ruolo, della missione, della santità del sacerdote e della necessità di potenziare la formazione permanente dei sacerdoti? Nei prossimi mesi ed anni che resterà? Continua a pagina 2 COSA RESTERA’ DELL’ANNO SACERDOTALE ? P ERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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Chiesa Ravello

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Per una Chiesa Viva

www. chiesaravello. it www. ravelloinfesta. it Anno VI - N. 5 – Giugno 2010

Nella Solennità del Sacro Cuore di Gesù, che quest’anno cade il giorno venerdì 11 giugno, si concluderà l’Anno Sacerdotale indetto dal Sommo Pontefice Benedetto XVI per celebrare il 150º anniversario della morte di S. Giovanni Maria Vian-ney, il Santo Curato d’ Ars. In obbedienza alle indicazioni del Santo Padre, in adesione alle molteplici solleci-te iniziative promosse dalla Congregazio-ne del Clero e alle esortazioni contenute in una speciale Lettera pastorale del nostro Arcivescovo, nei vari tempi dell’anno liturgico abbiamo colto l’occasione per riflette-re sul tema “Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote”, oggetto di questo anno speciale dedi-cato al Sacerdozio. Così a tutti è stato offerta l’occasione e la grazia di com-prendere sempre meglio il dono del Sacerdozio ed il dovere di apprezzare il mini-stero dei Sacerdoti e soste-nerne la vita; la doverosa necessità di promuovere le vocazioni sacerdotali e la santificazione dei Sacer-doti. E, soprattutto con la ripresa dell’incessante preghiera di tutta la co-munità cristiana, abbiamo implorato il dono delle vocazioni alla piena consacra-zione nel servizio della Chiesa con il Mi-nistero Ordinato cui il Signore, ancora oggi, chiama tanti suoi prediletti. L’ ispi-rata iniziativa del Papa che ha chiesto autorevolmente alla chiesa un nuovo e forte impegno di rinnovamento interiore dei sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi, ha senza dubbio contri-buito in questo anno sacerdotale al raffor-

zamento della fede del popolo nel valore del Sacramento dell’Ordine Sacro. Nei nostri difficili tempi di crisi profonda della società e della chiesa non si può negare certamente che la triste ed amara costatazione di gravi infedeltà da parte di alcune persone consacrate nel Sacerdozio e nella vita religiosa abbia generato un notevole turbamento nell’animo dei fe-deli. Un anno giubilare del Sacerdozio

cattolico, tuttavia, ha rappresentato per la chiesa un autentico e privilegiato dono della Provvidenza divina, perché ha sti-molato l’approfondimento degli studi teologici sul Sacerdozio da parte dei Pre-sbiteri a vantaggio della pastorale voca-zionale delle nostre comunità. Da questi studi si è arricchita una moderna appro-priata catechesi dei fedeli sul Sacerdozio Ministeriale dei Presbiteri e sul Sacerdo-zio battesimale di tutti i cristiani. Anche la ricerca storica sulla vita e l’opera del Clero del passato ne ha beneficiato, per-mettendo, tra l’altro, la pubblicazione di vari scritti che illustrano le tante lumino-se figure sacerdotali che nel secolo tra-

scorso hanno servito la nostra chiesa loca-le e la società. Ora il Papa Benedetto XVI che il 19 giugno 2009 dichiarò aperto questo singolare anno sacerdotale dinanzi alla reliquia di san Giovanni Maria Vian-ney, il prossimo venerdì 11 giugno, So-lennità del Santissimo Cuore di Gesù, lo concluderà con la giornata mondiale della santificazione sacerdotale, quando in piazza San Pietro prenderà parte all’ in-

contro internazionale dei Sacerdoti conve-nuti a Roma da tutte le diocesi del mondo e proclamerà il Curato d’Ars “patrono di tutti i sacerdoti del mondo”. In questa ora memoran-da della storia della chiesa, mentre esul-tiamo di santa gioia al pensiero di aver avuto la felice sorte di aver vissuto questo storico ed eccezionale avveni-mento, celebrato con tante significative ed

indimenticabili celebrazioni, nello stesso tempo, nella consapevolezza del dono ricevuto e responsabilmente pensosi sull’incerto futuro che ci attende, con coraggio umile e fiducioso, ci poniamo la seguente legittima domanda: che resterà di questa singolare iniziativa spirituale e pastorale che ha risvegliato e fatto perce-pire profondamente nella chiesa e nella società contemporanea l’importanza del ruolo, della missione, della santità del sacerdote e della necessità di potenziare la formazione permanente dei sacerdoti? Nei prossimi mesi ed anni che resterà?

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COSA RESTERA’ DELL’ANNO SACERDOTALE ?

PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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PAGINA 2 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

SEGUE DALLA PRIMA Una concreta e soddisfacente risposta a questo interrogativo coinvolge tutti, presbiteri e laici. Conserveremo forse soltanto un giocon-do ricordo di splendide celebrazioni li-turgiche, di pellegrinaggi e pur lodevoli iniziative pastorali dei Presbiteri, conve-gni diocesani, regionali ed internazionali sul Sacerdozio? Coltiveremo soltanto ricordi e niente altro?Speriamo proprio di no. Noi auspi-chiamo per il futuro un tempo migliore in cui la chiesa possa conservare e speri-mentare la ricchezza dell’anno sacerdota-le celebrato e tutti possano vedere e rac-cogliere i frutti salutari di questo privile-giato anno di grazia. Ciò sarà possibile e si verificherà, se tutti i membri della chiesa, clero e fedeli, daremo prova di aver compreso il valore del grande dono offertoci da Benedetto XVI e lo faremo fruttificare già a livello personale con una convinta generosa e fervorosa ripresa della nostra vita cristia-na impegnata nella continua conversione, quella richiesta a tutti dal Vangelo e dal Magistero della Chiesa. Ad iniziare da noi Presbiteri che, come afferma il Papa "sull'esempio del Santo Curato d'Ars dovremo lasciarci conqui-stare pienamente da Cristo per essere nel mondo di oggi messaggeri di speranza, di riconciliazione, di pace. Ministri al servi-zio del Vangelo, che coltivano certamen-te lo studio con una accurata e perma-nente formazione pastorale, ma è ancor più quella "scienza dell'amore" che si apprende solo nel "cuore a cuore" con Cristo che li ha chiamati a spezzare il pane del suo amore, a rimettere i peccati e guidare il gregge in nome suo”. Insieme con tutti i fedeli delle nostre comunità, inoltre, vorremo essere perse-veranti nella preghiera per la santificazio-ne dei Sacerdoti e nell’apostolato delle vocazioni in obbedienza al comando del Signore:”chiedete e vi sarà dato” e “ pre-gate il Padrone della messe perché mandi operai per la vigna”. Riteniamo questo l’unico segreto sugge-rito dal Vangelo per assicurare alla chiesa anche per il futuro la grazia del Sacerdo-zio indispensabile per la salvezza degli uomini.

Don Giuseppe Imperato

La celebrazione del mese mariano, ci trova nell’approssimarsi della conclusio-ne dell’anno sacerdotale. Questo anno, come scrive nella lettera di indizione il Santo Padre Benedetto XVI, è stato volu-to per: "promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacer-doti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di og-gi". Con gran-de dolore in questi ultimi tempi abbiamo assistito ad un forte attacco mediatico nei confronti di quei Sacerdoti che "hanno tradito la fidu-cia e violato la santità del S a c r a m e n t o dell’ordine", come scrive lo stesso Pontefi-ce nella lettera ai Cattolici d’Irlanda. Ma dinanzi a questo minuscolo gruppo, non possiamo non riconoscere, che c’è una lunga teoria di Sacerdoti che ogni giorno offre la pro-pria vita per il bene del Popolo Santo di Dio, nutrendolo con i Sacramenti, spez-zando loro il pane della Parola di Dio e promuovendo ogni azione pastorale che salvaguardi e tuteli la dignità della perso-na umana. Ecco perché, in questo mese, guardando all’esempio della Vergine Santissima, vogliamo particolarmente pregare per i Sacerdoti di tutto il mondo perché come Lei siamo pronti ad affidarsi all’imperscrutabile volere di Dio ripeten-do ogni giorno "Eccomi, si compia in me la Tua Parola" (Lc 1, 38); siano pronti e solleciti ai bisogni dei fratelli, sull’esempio di Colei che non esitò di "andare in fretta verso la regione mon-tuosa in una città di Giuda" (Lc 1, 39) per offrire il disinteressato servizio alla cugina Elisabetta; perché al di fuori di

ogni sterile protagonismo sappiano met-tere sempre il Signore Gesù al centro della propria esperienza di vita e ripetere insieme alla Madre, come quel giorno a Cana di Galilea, "fate tutto quello che Egli vi dirà" (Gv 2, 5); affinchè siano esperti nell’offrire e nel soffrire al pari di Colei che impietrita "stava presso la cro-

ce del Fi-glio" (Gv 19, 25); perché siano promotori e f a u t o r i de l l ’autentica c o m u n i o n e guardando a M a r i a c h e "perseverante e concorde nella preghiera" stava nel cenacolo insieme agli A p o s t o l i nel’attesa del dono dello Spi-rito (At 1, 14). A Lei, Regina degli Apostoli, affidiamo tutti i Sacerdoti del mondo, perché resi conformi a

Cristo, mediante il Sacramento ricevuto, non abbiano mai a svendere la propria identità ma, attraverso una trasparente esistenza e un ineccepibile servizio mini-steriale, siano guide del popolo santo di Dio pellegrino nel tempo.

Mons. Roberto Strano Da “L’Amore Misericordioso”

“Madre della Chiesa,

noi, sacerdoti, vogliamo essere pastori

che non pascolano se stessi, ma si donano a Dio per i fratelli, trovando in questo la loro felicità. Non solo a parole, ma con la vita,

vogliamo ripetere umilmente, giorno per giorno, il nostro "eccomi".

Benedetto XVI a Fatima

MARIA E IL SACERDOTE

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PAGINA 3 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

“Il sacerdote rappresenta Cristo. Cosa vuol dire, cosa significa "rappresentare" qualcuno? Nel linguaggio comune, vuol dire – generalmente - ricevere una dele-ga da una persona per essere presente al suo posto, parlare e agire al suo posto, perché colui che viene rappresentato è assente dall’azione concreta. Ci doman-diamo: il sacerdote rappresenta il Signore nello stesso modo? La risposta è no, per-ché nella Chiesa Cristo non è mai assen-te, la Chiesa è il suo cor-po vivo e il Capo della Chiesa è lui, presente ed operante in essa. Cristo non è mai assente, anzi è presente in un modo totalmente libero dai limiti dello spazio e del tempo, grazie all’evento della Risurrezione, che contempliamo in modo speciale in questo tempo di Pasqua. Pertanto, il sacerdote che agisce in persona Christi Capitis e in rappresentan-za del Signore, non agisce mai in nome di un assen-te, ma nella Persona stes-sa di Cristo Risorto, che si rende presen-te con la sua azione realmente efficace. Agisce realmente e realizza ciò che il sacerdote non potrebbe fare: la consacra-zione del vino e del pane perché siano realmente presenza del Signore, l’assoluzione dei peccati. Il Signore rende presente la sua propria azione nella per-sona che compie tali gesti. Questi tre compiti del sacerdote - che la Tradizione ha identificato nelle diverse parole di missione del Signore: insegnare, santifi-care e governare - nella loro distinzione e nella loro profonda unità sono una speci-ficazione di questa rappresentazione effi-cace. Essi sono in realtà le tre azioni del Cristo risorto, lo stesso che oggi nella Chiesa e nel mondo insegna e così crea fede, riunisce il suo popolo, crea presen-za della verità e costruisce realmente la comunione della Chiesa universale; e santifica e guida. Il primo compito del quale vorrei parlare oggi è il munus docen-

di, cioè quello di insegnare. Oggi, in pie-na emergenza educativa, il munus docendi della Chiesa, esercitato concretamente attraverso il ministero di ciascun sacer-dote, risulta particolarmente importante. Viviamo in una grande confusione circa le scelte fondamentali della nostra vita e gli interrogativi su che cosa sia il mondo, da dove viene, dove andiamo, che cosa dobbiamo fare per compiere il bene, come dobbiamo vivere, quali sono i valo-

ri realmente pertinenti. In relazione a tutto questo esistono tante filosofie con-trastanti, che nascono e scompaiono, creando una confusione circa le decisioni fondamentali, come vivere, perché non sappiamo più, comunemente, da che cosa e per che cosa siamo fatti e dove andia-mo. In questa situazione si realizza la parola del Signore, che ebbe compassio-ne della folla perché erano come pecore senza pastore. (cfr Mc 6, 34). Il Signore aveva fatto questa costatazione quando aveva visto le migliaia di persone che lo seguivano nel deserto perché, nella di-versità delle correnti di quel tempo, non sapevano più quale fosse il vero senso della Scrittura, che cosa diceva Dio. Il Signore, mosso da compassione, ha inter-pretato la parola di Dio, egli stesso è la parola di Dio, e ha dato così un orienta-mento. Questa è la funzione in persona Christi del sacerdote: rendere presente, nella confusione e nel disorientamento

dei nostri tempi, la luce della parola di Dio, la luce che è Cristo stesso in questo nostro mondo. Quindi il sacerdote non insegna proprie idee, una filosofia che lui stesso ha inventato, ha trovato o che gli piace; il sacerdote non parla da sé, non parla per sé, per crearsi forse ammiratori o un proprio partito; non dice cose pro-prie, proprie invenzioni, ma, nella confu-sione di tutte le filosofie, il sacerdote insegna in nome di Cristo presente, pro-

pone la verità che è Cristo stesso, la sua parola, il suo modo di vivere e di anda-re avanti. Per il sacerdote vale quanto Cristo ha det-to di se stesso: "La mia dottrina non è mia" (Gv, 7, 16); Cristo, cioè, non propone se stesso, ma, da Figlio, è la voce, la parola del Padre. Anche il sacer-dote deve sempre dire e agire così: "la mia dottri-na non è mia, non propa-go le mie idee o quanto mi piace, ma sono bocca e cuore di Cristo e rendo presente questa unica e comune dottrina, che ha

creato la Chiesa universale e che crea vita eterna". Questo fatto, che il sacerdote cioè non inventa, non crea e non procla-ma proprie idee in quanto la dottrina che annuncia non è sua, ma di Cristo, non significa, d’altra parte, che egli sia neu-tro, quasi come un portavoce che legge un testo di cui, forse, non si appropria. Anche in questo caso vale il modello di Cristo, il quale ha detto: Io non sono da me e non vivo per me, ma vengo dal Padre e vivo per il Padre. Perciò, in que-sta profonda identificazione, la dottrina di Cristo è quella del Padre e lui stesso è uno col Padre. Il sacerdote che annuncia la parola di Cristo, la fede della Chiesa e non le proprie idee, deve anche dire: Io non vivo da me e per me, ma vivo con Cristo e da Cristo e perciò quanto Cristo ci ha detto diventa mia parola anche se non è mia.

Continua a pagina 4

Le catechesi di benedetto xvi Sui compiti del sacerdote

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PAGINA 4 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

La vita del sacerdote deve identificarsi con Cristo e, in questo modo, la parola non propria diventa, tuttavia, una parola profondamente personale. Sant’Agostino, su questo tema, parlando dei sacerdoti, ha detto: "E noi che cosa siamo? Ministri (di Cristo), suoi servitori; perché quanto distribuiamo a voi non è cosa nostra, ma lo tiriamo fuori dalla sua dispensa. E an-che noi viviamo di essa, perché siamo servi come voi" (Discorso 229/E, 4). L’insegnamento che il sacerdote è chia-mato ad offrire, le verità della fede, devo-no essere interiorizzate e vissute in un intenso cammino spirituale personale, così che realmente il sacerdote entri in una profonda, interiore comunione con Cristo stesso. Il sacerdote crede, accoglie e cerca di vivere, prima di tutto come proprio, quanto il Signore ha insegnato e la Chiesa ha trasmesso, in quel percorso di immedesimazione con il proprio mini-stero di cui san Giovanni Maria Vianney è testimone esemplare. "Uniti nella mede-sima carità – afferma ancora sant’Agostino - siamo tutti uditori di colui che è per noi nel cielo l’unico Mae-stro" (Enarr. in Ps. 131, 1, 7). Quella del sacerdote, di conseguenza, non di rado potrebbe sembrare "voce di uno che gri-da nel deserto" (Mc 1, 3), ma proprio in questo consiste la sua forza profetica: nel non essere mai omologato, né omologa-bile, ad alcuna cultura o mentalità domi-nante, ma nel mostrare l’unica novità capace di operare un autentico e profon-do rinnovamento dell’uomo, cioè che Cristo è il Vivente, è il Dio vicino, il Dio che opera nella vita e per la vita del mon-do e ci dona la verità, il modo di vivere. Nella preparazione attenta della predica-zione festiva, senza escludere quella feria-le, nello sforzo di formazione catechetica, nelle scuole, nelle istituzioni accademiche e, in modo speciale, attraverso quel libro non scritto che è la sua stessa vita, il sa-cerdote è sempre "docente", insegna. Ma non con la presunzione di chi impone proprie verità, bensì con l’umile e lieta certezza di chi ha incontrato la Verità, ne è stato afferrato e trasformato, e perciò non può fare a meno di annunciarla. Il sacerdozio, infatti, nessuno lo può sce-gliere da sé, non è un modo per raggiun-gere una sicurezza nella vita, per conqui-

stare una posizione sociale: nessuno può darselo, né cercarlo da sé. Il sacerdozio è risposta alla chiamata del Signore, alla sua volontà, per diventare annunciatori non di una verità personale, ma della sua veri-tà. Cari confratelli sacerdoti, il Popolo cristiano domanda di ascoltare dai nostri insegnamenti la genuina dottrina ecclesia-le, attraverso la quale poter rinnovare l’incontro con Cristo che dona la gioia, la pace, la salvezza. La Sacra Scrittura, gli scritti dei Padri e dei Dottori della Chie-sa, il Catechismo della Chiesa Cattolica costituiscono, a tale riguardo, dei punti di riferimento imprescindibili nell’esercizio del munus docendi, così essenziale per la conversione, il cammino di fede e la sal-vezza degli uomini. "Ordinazione sacer-dotale significa: essere immersi [... ] nella Verità", quella Verità che non è semplice-mente un concetto o un insieme di idee da trasmettere e assimilare, ma che è la Persona di Cristo, con la quale, per la quale e nella quale vivere e così, necessa-riamente, nasce anche l’attualità e la comprensibilità dell’annuncio. Solo que-sta consapevolezza di una Verità fatta Per-sona nell’Incarnazione del Figlio giustifi-ca il mandato missionario: "Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16, 15). Solo se è la Verità è destinato ad ogni creatura, non è una imposizione di qualcosa, ma l’apertura del cuore a ciò per cui è crea-to. Cari fratelli e sorelle, il Signore ha affidato ai Sacerdoti un grande compito: essere annunciatori della Sua Parola, della Verità che salva; essere sua voce nel mon-do per portare ciò che giova al vero bene delle anime e all’autentico cammino di fede (cfr 1Cor 6, 12). San Giovanni Maria Vianney sia di esempio per tutti i Sacer-doti. Egli era uomo di grande sapienza ed eroica forza nel resistere alle pressioni culturali e sociali del suo tempo per po-ter condurre le anime a Dio: semplicità, fedeltà ed immediatezza erano le caratte-ristiche essenziali della sua predicazione, trasparenza della sua fede e della sua san-tità. Il Popolo cristiano ne era edificato e, come accade per gli autentici maestri di ogni tempo, vi riconosceva la luce della Verità. Vi riconosceva, in definitiva, ciò che si dovrebbe sempre riconoscere in un sacerdote: la voce del Buon Pastore”.

Benedetto XVI

IL CORAGGIO DEL PERDONO

“Cara, perdonami! Ti assicurò che da oggi in poi sarò un marito esemplare…” “Mamma, ti chiedo scusa. Non avrei do-vuto reagire in quel modo…” “Sono pen-tita per il mio comportamento. Cambie-rò, te lo prometto…” Quante volte ab-biamo udito o abbiamo detto queste pa-role, intrise di promesse e di buoni pro-positi più o meno sinceri? Tante, forse troppe. Il motivo è da ricercarsi nel fatto che l’uomo, per sua natura, spesso cade nel baratro dell’errore, lieve o grave che sia. Questa sua “caduta” può non danneg-giare solo lui in prima persona, ma lesio-nare pure la complessa e delicata trama di relazioni che lo lega ai suoi simili. Lo sbaglio, infatti, si configura nella maggior parte dei casi come un torto nei confronti di un altro. Un torto che può non essere puramente “materiale”, ma può anche (e soprattutto) ledere la sfera psichico- e-motiva. Importante, in caso di fallo, è rendersi conto delle proprie mancanze e assumersene le responsabilità, cercando di riparare concretamente. E il primo passo per riparare consiste proprio nell’ammissione della colpa e nel chiede-re scusa. A questo punto, colui che è stato leso si troverà dinanzi alla scelta tra l’offrire una seconda possibilità o negarla. Scelta che talvolta si presenta davvero ardua, soprattutto se si è stati feriti pro-fondamente. Perdonare è indice di corag-gio. Significa mettere da parte il rancore, il dissidio, i propositi di vendetta ed esse-re pronti a rattoppare il rapporto con colui che ha sbagliato. Vuol dire seguire le orme della misericordia del Signore, seppur nel nostro piccolo. Il gesto più eroico, però, non è donare il proprio perdono a un altro quanto il decidere di offrirlo a se stessi: “perdonarsi” per aver commesso un “errore di valutazione”, nell’aver dato fiducia a chi non la merita-va. Il punto di partenza del cammino del perdono risiede proprio nel rapporto con se stessi. Se, infatti, manca la sintonia con la propria interiorità, come può esserci con gli altri? Impariamo, dunque, a per-donare noi stessi, innanzi tutto, stando però attenti a non incorrere il rischio di farci scudo di questo “auto-perdono” e sentirci, così, indebitamente legittimati ad agire senza alcun riguardo e con su-perficialità. Stefania Gargano

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L’anno sacerdotale è stata occasione preziosa per conoscere il dono del sacer-dozio che, come affermò Giovanni Paolo II, “costituisce un grande bene per colui che ne è il primo destinatario, ma è anche un dono per l’intera Chiesa … La Chiesa, dun-que, è chiamata a custodire questo dono, a stimarlo e ad amarlo; essa è responsabile della nascita e della matu-razione delle voca-zioni sacerdotali”. (Pastores dabo vobis 41). Infatti Gesù: “Vedendo le folle ne sentì compas-sione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!». Il dono delle voca-zioni nasce nel Cuore di Cristo ed è affidato alla pre-ghiera della Chiesa, che deve implorarlo al Padrone della Messe. Il 14 settembre 2006 Papa Benedetto XVI, rivolgendosi a sacerdoti e diaconi a Freising affermava “Dio ha bisogno di uomini. Ha bisogno di persone che dicano: Sì, io sono disposto a diventare il Tuo operaio per la messe, … “Pregate il padrone della messe!”. Questo vuol dire anche: non possiamo semplicemente “produrre” vocazioni, esse devono venire da Dio. Non possiamo, come forse in altre pro-fessioni, per mezzo di una propaganda ben mirata, mediante, per così dire, strategie adeguate, semplicemente reclutare delle perso-ne. La chiamata, partendo dal cuore di Dio, deve sempre trovare la via al cuore dell’uomo. E tuttavia: proprio perché arrivi nei cuori degli uomini è necessaria anche la nostra collaborazione. Chiederlo al padrone della messe significa certamente innanzitutto pre-gare per questo, scuotere il suo cuore e dire: “Fallo per favore! Risveglia gli uomini! Ac-cendi in loro l’entusiasmo e la gioia per il Vangelo!” E’ significativo ricordare quan-

to avvenne nel 1881 nel piccolo paese di Lu in una regione rurale a 90 km ad est di Torino. Come riportato nel bellissimo opuscolo “Adorazione Eucaristica per la santificazione dei sacerdoti e maternità spirituale” pubblicato dalla Congregazio-ne per il Clero «Alcune madri di famiglia avevano nel cuore il desiderio di vedere

uno dei loro figli diventare sacerdote o una delle loro figlie impegnarsi total-mente al servizio del Signore. Presero dunque a riunirsi tutti i martedì per l’adorazione del Santissimo Sacramento, sotto la guida del loro parroco, Monsi-gnor Alessandro Canora, e a pregare per le vocazioni. Tutte le prime domeniche del mese ricevevano la Comunione con questa intenzione. Dopo la Messa tutte le mamme pregavano insieme per chie-dere delle vocazioni sacerdotali. Grazie alla preghiera piena di fiducia di queste madri e all’apertura di cuore di questi genitori, le famiglie vivevano in un clima di pace, di serenità e di devozione gioio-sa che permise ai loro figli di discernere molto più facilmente la loro chiamata. Nessuno avrebbe pensato che il Signore avrebbe esaudito così largamente la pre-ghiera di queste mamme. Da questo piccolo paese sono uscite 323 vocazioni alla vita consacrata (trecentoventitre!): 152 sacerdoti (e religiosi) e 171 religiose appartenenti a 41 diverse congregazioni.

In alcune famiglie ci sono state qualche volta anche tre o quattro vocazioni. L’esempio più conosciuto è quello della famiglia Rinaldi. Il Signore chiamò sette figli di questa famiglia. Due figlie entra-rono tra le suore salesiane e, mandate a Santo Domingo, furono delle coraggiose pioniere e missionarie. Tra i maschi,

cinque diventa-rono sacerdoti salesiani. Il più conosciuto dei cinque fratelli, Filippo Rinaldi, fu il terzo suc-cessore di don Bosco, beatifica-to da Giovanni Paolo II il 29 aprile 1990. Filippo amava molto ricordare la fede delle famiglie di Lu: “Una fede che faceva dire ai nostri genitori: il Signore ci ha

donato dei figli e se Egli li chiama noi non possiamo certo dire di no!”. Mons. Evasio Colli, arcivescovo di Parma, veni-va da Lu (Alessandria). Di lui disse Gio-vanni XXIII: “Lui sarebbe dovuto diven-tare papa, non io. Aveva tutto per diven-tare un grande papa”. La preghiera che le madri di famiglia recitavano a Lu, era breve, semplice e profonda: “Signore, fa che uno dei miei figli diventi sacerdote! Io stessa voglio vivere da buona cristiana e voglio portare i miei figli al bene per ottenere la grazia di poterti offrire, Si-gnore, un sacerdote santo. Amen». L’episodio ci fa comprendere due aspetti fondamentali: La Chiesa, e quindi ogni comunità parrocchiale, è chiamata a cu-stodire, stimare ed amare il dono delle vocazioni sacerdotali e ne è responsabile con la sua preghiera autenticata da quel sincero desiderio che le mamme di Lu esprimevano ogni giorno: “Signore, fa che uno dei miei figli diventi sacerdote. “

Don Carlo Magna

FAMIGLIA E VOCAZIONI

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L’11 maggio scorso seicento presbiteri delle Chiese della Campania hanno accolto l’invito della Conferenza Epi-scopale Campana e della Fa-coltà teologica dell’Italia Me-ridionale partecipando ad una giornata, loro dedicata, pres-so il Santuario di Pompei. Nell’occasione i presbiteri hanno ascoltato alcune rifles-sioni riguardanti l’identità del presbitero “nel cuore di una Chiesa chia-mata a testimoniare la speranza del Van-gelo in una terra ferita e oppressa”. La teologa Bruna Costacurta ha svolto una profonda ed affascinante lectio divina sulla vocazione di Geremia, indicando la pro-fezia come dimensione fondamentale del sacerdozio e principio di speranza. “In una realtà dove è facile smarrirsi – ha affermato la relatrice - la nostra gente ha bisogno di una presenza profetica che consenta di sperare. Profeti di speranza che annunciano che il regno è vicino, vicina primavera”. A seguire il Card. Albert Vanhoye, richiamando la teologia sul sacerdozio della Lettera agli Ebrei, ha tratteggiato il passaggio dalla figura sa-cerdotale dell’Antico Testamento a quel-la di Cristo Sommo Sacerdote della Nuo-va Alleanza e fonte del sacerdozio mini-steriale. E’ Cristo che suscita la speranza e la colma con i suoi doni che scaturisco-no dal mistero della Redenzione. Mentre nell’Antica Alleanza ogni sacerdote era separato dagli uomini e consacrato e co-stituito per Dio, nella Nuova Alleanza Cristo Sommo Sacerdote viene stabilito per tutti gli uomini nelle cose che riguar-dano Dio. In questa dimensione si coglie il principio della missionarietà del sacer-dozio ministeriale. Inoltre nel modello di Cristo Sommo Sacerdote è presente la Divina misericordia, principio di profon-da compassione verso il dolore dell’umanità ed unica fonte capace di suscitare la speranza. “Noi stessi dobbia-mo profittare della Misericordia- ha ag-giunto il Cardinale– e così divenire mini-stri di questa speranza nella storia”. Al pomeriggio, dopo un fraterno e gradevo-le momento di condivisione del pranzo, offerto dalla perfetta e premurosa acco-

glienza della Chiesa pompeiana e del suo Prelato Mons. Liberati, il Vescovo di Calvi e Teano, Mons. Arturo Aiello ha presentato un griglia di riflessione sulla spiritualità presbiterale. “In ogni presbi-tero sono chiamate a coesistere, non sempre senza fatica, le due anime del discepolo e del missionario. In questa tensione il presbitero è chiamato ad esse-re con Gesù per parlare di Gesù, chiama-to ad essere continuamente formato per formare”. “La formazione permanente – secondo il Vescovo– incontra ancora tanta resistenza. Spesso si verifica una fuga dalla più ampia missionarietà che si esprime in una pastorale “bonsai”, cioè rivolta a pochi”. “Farsi in tutto con gli uomini – ha proseguito Mons. Aiello – significa stare dentro ai linguaggi e ai cambiamenti dei tempi moderni sce-gliendo il colore delle parole e così ren-dere comprensibile il Vangelo in una società che cambia”. Lo sforzo deve esse-re “passare da una religiosità popolare ad una fedeltà di popolo e tutto ciò richiede una solarità. Questo dono unito a l l ’ o t t i m i s m o , a l l ’ o s p i t a l i t à , all’accoglienza e all’apertura appartiene tipicamente al presbitero campano”. A conclusione della giornata Mons. Aiello ha guidato in Basilica la preghiera di con-templazione con una originale sequenza dei Misteri del Rosario tratti dalla peri-cope giovannea “Il discepolo la prese nella sua casa”. In tutti è stato vivo l’auspicio di rinnovare l’incontro annual-mente perché possa crescere sempre più la comunione tra i presbiteri delle Chiese della Campania.

La redazione

Giovedì 13 Maggio, 2010, con un grup-po di fedeli abbiamo vissuto un momento di preghiera, di riflessioni e di fraternità, partecipando al Pellegrinaggio Mariano, al Santuario della “Piccola Lourdes” a Cava de’ Tirreni, promosso dalla Confra-ternita della Beata Vergine del Carmelo e del SS. Nome di Gesù. Giunti alla Par-rocchia dell’Annunziata, siamo stati ac-colti da Mons. Giuseppe Caiazzo, parro-co della Piccola Lourdes, il quale si è messo a disposizione e ci ha raccontato la storia del Santuario. “Intorno agli anni ‘50, Don San Salvatore Polverino, voca-zionista, allora parroco della S. S Annun-ziata, si recava ogni anno a Lourdes; tor-nando raccontava ai suoi parrocchiani delle grazie, dei doni spirituali e delle intense esperienze vissute nel Piccolo Paese dei Pirenei . Tutti chiedevano l’anno successivo di poter accompagnare il Sacerdote. Erano ancora anni di mise-ria e di povertà, ” ci racconta Mons. Caiazza, “subito dopo la guerra, non c’era molta disponibilità economica e la maggior parte di essi doveva rinunciare all’ esperienza di un Pellegrinaggio alla Grotta di Massiabelle”. Continua Mons Caiazza, “Il 3 Ottobre, 1951, Don Salva-tore Polverino, avverte il dispiacere di non poter accontentare i suoi fedeli, e proprio davanti alla Grotta di Lourdes sente in cuor suo le Parole della SS Ver-gine che dice : <Tu mi devi riprodurre a Cava!>, pronta è stata la risposta di Don Salvatore, <Io Vergine Santa, vi ripro-durrò a Cava!>. Tornato, a Cava lo stes-so anno, Don Salvatore si è messo d’impegno, prima a trovare il terreno, poi i soldi e così di seguito, molte sono state le circostanze fortuite che hanno permesso di realizzare il Volere della Madonna, per far brillare anche a Cava, la Luce della Beata Vergine di Lourdes. ”. Don Giuseppe Caiazza, ci spiega anche come sono stati realizzati i lavori, le diffi-coltà a realizzare il collaudo, e i tanti imprevisti superati, il ritrovamento dell’acqua che sgorga come a Lourdes, da alcune fontane al lato del Santuario, fino a quando, dice con la gioia negli occhi, l’Opera fu completata e benedetta il 14 Luglio, 1974 da Mons. Alfredo Vozzi, Vescovo di Cava. “Oggi”, conclude

“Preti oggi in Campania un ministero di speranza per la nostra gente”

PELLEGRINAGGIO ALLA PICCOLA LOURDES

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Mons. Caiazza, “La Piccola Lourdes è un luogo di raccoglimento e preghiera, dove ognuno può rinnovare e rafforzare la propria fede”. Subito dopo la brillante spiegazione di Mons. Caiazza, alle ore, 17, 00, il nostro parroco Mons. Giusep-pe Imperato, ha celebrato nella Grotta, la S. Messa . Significativa la sua Omelia, partendo dal Vangelo di Giovanni, (16, 16-20), Mons. Imperato ha spiegato che come i discepoli allora, anche noi oggi, alla luce di quello che succede nel mon-do, siamo incerti, dubbiosi, ed impauriti, ci rattristiamo e non siamo capaci di te-stimoniare la Gioia del Cristo Risorto ! Egli emozionato, per la gioia di essere alla Presenza di Maria, ci ha incoraggiato, e riprendendo le parole di Gesù nel Van-gelo di Giovanni “ voi piangerete e ge-merete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristez-za si cambierà in gioia!”, ci ha rassicurati, e ci ha invitati ad essere fiduciosi, poiché il Padre che è tenerissimo verso i suoi figli, non ci lascia orfani, ci ha dato infat-ti, ha detto, Mons Imperato, una Madre Amorosa, Generosa, a cui possiamo ri-volgerci con amore, con tranquillità, con sicurezza, Ella è la Madre che deve infon-derci la fiducia e la certezza di non essere mai soli poiché abbiamo avuto in dono lo Spirito Santo che opera in ciascuno di noi, nella Chiesa e nel mondo regalando-ci “ la gioia della fede, il coraggio della speranza e la perseveranza nella carità”. Per rivivere fino in fondo Lo Spirito di Lourdes, il nostro Pellegrinaggio si è concluso lungo il sentiero alberato, al disopra del Santuario, dove abbiamo meditato le stazioni della Via Crucis . Uniti a Maria, Madre del Dolore ma soprattutto Madre dell’Amore, intera-mente donato ai piedi della Croce, Ma-dre della Speranza, con i discepoli è stata

Colei che ha vivificato Lo Spirito, nel momento della Pentecoste, abbiamo pregato per gli ammalati, per i sofferen-ti, per l’umana società, per tutti coloro che si erano affidati alle nostre preghiere, per le necessità della nostra Comunità, per i sacerdoti, per la Chiesa Universale. In questo Mese a Lei dedicato, abbiamo appreso che Maria per noi “ è una strada da seguire”. “Tutti dobbiamo attuare il piano di Dio che ci ha chiamati a diventa-re santi. Maria è il modello di santità per ciascuno di noi. ” Possano i momenti di preghiera vissuti personalmente e comu-nitariamente, in questo Mese portare frutti spirituali abbondanti!

Giulia Schiavo

Testimone del Risorto

In genere, nel meraviglioso Tempo Pa-squale nel quale si protrae la gioia della Resurrezione e si attende il dono dello Spirito Santo, ricorre una celebrazione propria del” calendario liturgico ravelle-se”:la festa della traslazione della reliquia del Sangue di san Pantaleone, più comu-nemente conosciuta come “San Pantaleo-ne di maggio”. E’ la seconda occasione che la comunità ecclesiale di Ravello ha, nel corso dei cin-quanta giorni che separano la Pasqua dalla Pentecoste, per riflettere, alla scuola di Pantaleone di Nicomedia, sul mistero pasquale e sul suo essere comu-nità testimone di Cristo Risorto. Ri-cordiamo, infatti, che già la sera di Pa-squa e per l’intero lunedì in albis viene esposta la statua del Santo Patrono quasi a voler sottolineare che la grandezza di Pantaleone e degli altri santi consiste anche e soprattutto nell’essersi fidati pienamente di Cristo, morto e risorto. Se fossimo più attenti, probabilmente capiremmo che non si tratta quindi di celebrazioni casuali, nate dall’entusiasmo di qualche devoto sacerdote o vescovo del passato, ma che la festa del patrocinio (il lunedì in albis)e la festa della traslazio-ne(terza domenica di maggio)non sono

inutili duplicazioni o semplici occasioni “per fare festa”, come si vocifera da qual-che parte, ma importanti momenti per riflettere sul mistero pasquale, guardan-do al luminoso esempio di Pantaleone di Nicomedia. Sono infatti convinto che mons. Capuano, nel lontano 1695, scelse non casualmente la terza domenica di maggio come data per tenere l’ultima grande solenne processione con la reli-quia del Sangue e per celebrare in segui-to, con rito doppio, la festa della Trasla-zione. Il presule volle così probabilmente legare in maniera indissolubile la figura del Santo Martire al mistero e alla gioia della Pasqua. E quest’ anno nella terza domenica di maggio la liturgia ci ha invi-tati a meditare anche sul mistero dell’Ascensione. L’inclemenza del tempo ha parzialmente turbato il clima della festa esterna, in quanto non si sono viste le numerose bancarelle della fiera che tradizionalmente allietano la giornata, in particolare sono mancati i banchetti delle “piantine”di ortaggi che tanti contadini, non solo di Ravello, acquistano proprio a “san Pantaleone di maggio”. Anche la banda “Città di Minori”è stata disturbata dagli improvvisi acquazzoni che hanno caratterizzato la domenica mattina. Si-gnificativamente il tempo minaccioso non ha permesso, nel pomeriggio, che la

processione raggiun-gesse il Monastero di Santa Chiara, tradi-zionale meta della festa di maggio, in ricordo proprio di quell’ultima solenne processione con cui il Vescovo e il Capitolo dell’allora diocesi di Ravello vollero ren-

dere omaggio alle clarisse che probabil-mente agivano e operavano in piena co-munione con il Pastore della Cattedrale in modo così degno da meritare un simi-le privilegio. Altri tempi! Continua a pagina 8

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Il corteo processionale tuttavia si è sno-dato regolarmente su un percorso più breve ma che si è rivelato l’itinerario ideale per evitare che un momento di fede si trasformi in una manifestazione folkloristica cara ad alcune tipologie di turisti e a quanti credono che tutto, an-che la fede, sia spettacolo e teatro. E così l’ordinata processione, che ha visto la partecipazione anche del Terz’Ordine Francescano e della Congrega di Gesù e della B. V. del Carmine, è servita da pre-parazione alla celebrazione eucaristica presieduta da don Carlo Magna e animata dalla Corale del Duomo. Come nella messa solenne celebrata al mattino da Mons. Giuseppe Imperato, parroco della Cattedrale, l’omelia del celebrante ha posto l’attenzione sul mistero dell’Ascensione, festa della Speranza che come cristiani non dobbiamo mai perde-re, anche se il male sembra prevalere e il peccato alberga ovunque, persino nella Chiesa. La speranza alla quale richiama san Pantaleone che con il suo sangue an-cora vivo conferma le grandi opere del Signore. Al termine della messa vesperti-na un gradevole spettacolo pirotecnico ci ha proiettati verso le solenni celebrazioni del 27 luglio prossimo, dies natalis di Pantaleone di Nicomedia, un giovane, un medico, un santo la cui vicenda terrena continua a brillare dopo tanti secoli per-ché illuminata dalla luce di Cristo Risor-to.

Roberto Palumbo

Il carisma e la spirituali-tà della Fraternità di Emmaus La Fraternità di Emmaus è un’aggregazione che si rico-nosce nella tipologia dei movimenti ecclesiali, preferia-mo però utilizzare il termi-ne fraternità perché voglia-mo essere una comunità in cui la comu-nione fraterna è insieme l’obiettivo e la condizione della ministerialità ecclesiale. Fanno parte della Fraternità presbiteri, vergini, sposi e altri laici: questa molte-plice presenza nell’unica comunità invita a compiere un percorso caratterizzato dalla reciprocità vocazionale. Un pò di storia L’8 settembre 1990 un gruppo di adole-scenti e giovani della diocesi di Nocera Inf. - Sarno (Sa), guidato da don Silvio Longobardi, si reca nel santuario di Pom-pei per affidare nelle mani della Vergine il desiderio di santità maturato grazie ad alcune esperienze spirituali e pastorali. L’anno dopo viene coinvolto anche un piccolo gruppo di sposi. L’impegno co-mune a tutti è quello di pregare per ac-compagnare il cammino della Chiesa. Questa iniziale promessa è rimasta nasco-sta per alcuni anni come il seme nel ter-reno, è il tempo della segreta maturazio-ne. Nel 1993 due ragazze accolgono la chiamata a vivere l’ideale nella verginità e ad essere totalmente a servizio della Fra-ternità. Scelgono di vivere insieme in una casa che diventa il primo segno visibile dell’opera. Nello stesso periodo viene costituita legalmente l’associazione Pro-getto Famiglia che si pone a servizio della famiglia e della vita nascente: è questa la via ordinaria del servizio che la Fraternità vuole offrire nella Chiesa e nella società. Nello stesso anno, accogliendo l’invito di Giovanni Paolo II a Denver, inizia il tempo dell’evangelizzazione: nascono le prime comunità in cui giovani e sposi vengono accompagnati nel cammino di fede. Nel 1998 nasce la prima casa di accoglienza per minori e mamme in difficoltà, è affidata ad una coppia di sposi della Fraternità che ha scelto di vivere in povertà e letizia. Negli anni successivi lo Spirito apre nuo-ve strade e suscita anche in altri lo stesso

desiderio di servire i fratelli, in breve tempo nascono altre case, che chiamiamo oasi. In esse vergini e sposi vivono insie-me nella preghiera e nella carità. Tratti caratteristici e carisma fon-damentale L’esperienza vissuta dai discepoli nel giorno di Pasqua (Lc 24, 13-35) costitui-sce per noi l’icona della Chiesa a cui vo-gliamo sempre guardare. È una Chiesa missionaria che non si stanca di annunciare a tutti che Cristo è davvero risorto. Con questa Chiesa vogliamo metterci in cam-mino per incontrare l’uomo sfiduciato e deluso e riportarlo a Cristo mediante la Parola e l’Eucaristia. La chiamata alla santità è il principio che ispira ogni gesto e orienta ogni scelta. Vogliamo farci santi nelle condizioni ordinarie dell’umana esisten-za rivestendo di eroica carità ogni impe-gno, anche quelli in apparenza più banali. L’umanità diventa così il luogo in cui risplende la luce divina. Il nostro deside-rio e il nostro impegno è quello di aiutare gli sposi a scoprire e a vivere una santità coniugale, cioè vissuta nel contesto degli impegni propri del matrimonio. A tutti viene proposto un cammino di fede che gra-dualmente permette a ciascuno, e ad ogni coppia, di scoprire le condizioni essenzia-li dell’esperienza cristiana: la sequela, la presenza materna della Vergine Maria, il ruolo della Parola, la centralità dell’Eucaristia, l’amicizia ecclesiale e il servizio. A quelli che scoprono una speci-fica vocazione proponiamo di entrare nelle oasi, si tratta di case in cui vergini, sposi e battezzati vivono insieme in un clima caratterizzato dalla comune pre-ghiera, dalla comunione fraterne e dall’accoglienza dei più deboli. La recipro-cità vocazionale rappresenta uno stile di vita ecclesiale, verginità e matrimonio sono due carismi che s’intrecciano conti-nuamente e rivelano così la fondamentale

Il nuovo vento dello Spirito SEGUE DA PAGINA 7

Testimonianza sull’opera del sacerdozio cattolico

“Ho ricevuto il sacramento del matrimonio grazie a un sacer-dote. I miei figli sono stati bat-tezzati da un sacerdote. Tutto ciò che di più bello ha speri-mentato la mia famiglia, che è l'unione con l'Eterno attraverso i sacramenti, lo devo ai sacer-doti”.Lo ha detto l'argentino Juan Caballero, sposato e padre di quattro figli”

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unità che scaturisce dal battesimo. Icona di riferimento è la spiritualità della fami-glia Martin, il nido dove è sbocciata Santa Teresa di Lisieux. Vogliamo costruire una feconda comunione tra vita verginale e vita coniugale, fatta di dialogo, collabo-razione e condivisione, che non annulla la diversità ma esalta la differenza. La reci-procità è un ideale che accompagna ogni fase del cammino e plasma ogni scelta. Nelle oasi la reciprocità vocazionale si manifesta nella sua pienezza. Il servizio della Fraternità si manifesta nell’ambito ecclesiale e sociale ed ha come obiettivo privilegiato la famiglia che rappresenta per noi un bene essenziale per la comuni-tà ecclesiale e per la società civile. Vo-gliamo promuovere e custodire la voca-zione originaria della famiglia offuscata da una cultura che emargina i valori fon-damentali dell’umana convivenza. Il ser-vizio alla famiglia si articola in diversi ambiti e ciascuno ha una sua peculiarità pur nella comune progettualità. La vita nascente e l’accoglienza dei minori, l’educazione all’amore e alla procreazio-ne sono oggi i settori fondamentali del nostro servizio. Servizio ecclesiale La dimensione della testimonianza e del servizio è un elemento costitutivo della nostra esperienza ecclesiale. L’ascolto della Parola sfocia nel servizio, la sequela si manifesta e si prolunga nella testimo-nianza. La coscienza di aver ricevuto un carisma s’intreccia saldamente con la responsabilità di mettere i doni ricevuti a servizio della comunità ecclesiale. Il pri-mo ambito del servizio è quello dell’annuncio del Vangelo: la Frater-nità cura con particolare attenzione la formazione dei catechisti: alcuni sono impegnati ad accompagnare il cammino dei fratelli nelle comunità di fede della Fraternità, altri svolgono il loro ministe-ro nella pastorale ordinaria e in modo particolare nella catechesi prematrimo-niali e in quella prebattesimale. La testi-monianza della carità è un altro am-

bito in cui la Fraternità sceglie di svolge-re il suo ministero ecclesiale. L’associazione Progetto Famiglia, fondata nel 1993, è il braccio operativo della Fraternità, attraverso i diversi canali di solidarietà essa intende fare opera di e-vangelizzazione, prima ancora di ogni pur doveroso aiuto materiale, vogliamo acco-starci alle famiglie o alle mamme in diffi-coltà per riportare nei cuori la speranza. I canali della carità in cui si muove l’associazione Progetto Famiglia sono di-versi, il primo è quello del servizio alla vita. Grazie ai numerosi colloqui per la vita, che abbiamo iniziato nel 1993, sono più di duecento i bambini che sono nati. Le famiglie che abbiamo seguito in questi anni sono centinaia. Il servizio alla vita negli ultimi anni si è arricchito con l’accoglienza dei minori: le oasi sono il primo luogo di accoglienza per minori e mamme in difficoltà. Accanto alle oasi, l’associazione ha elaborato e va gradual-mente sviluppando, un progetto di affi-do che valorizza la capacità educativa e il ruolo terapeutico della famiglia. Il servi-zio della carità s’intreccia con quello educativo nell’ambito dell’associazione Progetto Famiglia opera un’équipe di e-sperti che s’impegna ad elaborare proget-ti di formazione e di intervento pastorale nel campo dell’educazione alla vita e all’affettività. L’esperienza di fede in questi anni è stata accompagnata da una serie di pubblicazioni che presentavano in forma organica le intuizioni principali da cui era nata la Fraternità e delineavano i sentieri pedagogici che essa proponeva a quanti volevano vivere la stessa esperien-za. Dal 2006 l’esperienza della Fraternità e dell’Associazione ha dato vita ad una rivista bimestrale di tematiche familiari chiamata Punto Famiglia che raccoglie esperienze e offre riflessioni e orienta-menti utili per la famiglia. Per info: www. fraternitadiemmaus. org

Giovanna Abbagnara

LA FRATERNITA’ DI EMMAUS

“Emmaus…”, no, non c’è nuovo, di cer-to lo abbiamo già sentito… Sarà per caso quella località di cui parla il Vangelo di Luca dove si dirigevano due smarriti, tanto tempo fa’? Centro! E’ proprio quella. Parliamo di oltre duemila anni fa, quando due discepoli, lungo il cammino per Emmaus, mentre parlavano degli avvenimenti che avevano visto Gesù pro-tagonista, incontrarono un tale… Ancora non ne erano ben coscienti, ma i due discepoli avevano incontrato molto più di un tale, avevano incontrato la salvezza, Gesù in persona. Eppure in vita lo aveva-no conosciuto, lo avevano seguito, aveva-no creduto in lui, sapevano tutto di Lui, ma così poco avevano capito, che non lo avevano riconosciuto. A distanza di tan-tissimi anni, nonostante lo studio delle sacre scritture, la lectio sul Vangelo, le istituzioni religiose, il clero tutto, forse non sono poche le persone che spesso si rivolgono la stessa domanda: “cosa abbia-mo capito, cosa ci ha insegnato, quel sacrifico umano e divino?” Nel secolo scorso, per non errare, “la lezione” veni-va impartita a memoria nelle famiglie, oggi non viene più impartita, si tenta di farla vivere, ma la debolezza della fami-glia ne ostacola la crescita. Già Papa Gio-vanni Paolo II, durante il suo lungo pon-tificato, sosteneva con impegno la forza dell’Istituzione famiglia come chiesa do-mestica e proprio durante questo lungo cammino è nata la “Fraternità di Em-maus”. Un giovane prete, Don Silvio Longobardi, con un gruppo di giovani parrocchiani, passo dopo passo, dalla semplice aggregazione, all’aiuto concreto degli altri, in quasi vent’anni ci hanno regalato questa comunità a pochi passi da noi. Chi l’avrebbe mai detto, un po’ die-tro l’angolo (Angri) la fraternità sostiene la famiglia moderna attraverso l’evangelizzazione e promuove la vita. La Cappella, per l’adorazione perpetua del Santissimo; il Consultorio, centro di a-scolto e di insegnamento attraverso il Vangelo della crescita familiare nella parola di Dio; i cenacoli, giorni di ritiro per condividere e approfondire le espe-rienze maturate; le case famiglia…

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per accogliere dalle ragazze madri ai bambini in difficoltà con l’aiuto del vo-lontariato, colonna della comunità; le missioni in Ucraina e in Burchina Faso per recare aiuto materiale (raccolta fon-di, beni di prima necessità, giocattoli per i bambini, …), umano e religioso; “Punto Famiglia”, il primo editoriale che si occupa dei problemi che affrontano oggi le famiglie dai più gravi ai più seco-lari, come l’educazione religiosa; e poi ci sono le persone, proprio loro, uomini e donne cuore della Fraternità. Tanti grup-pi: coppie, giovani, ragazzi, … ciascuno con i propri “coetanei”, formati nel loro cammino da una guida, coppie o singoli chiamati e a loro volta formatisi per l’evangelizzazione in famiglia, sull’esempio dei coniugi Martin (genitori di Santa Teresa di Lisieux, meglio cono-sciuta come Santa Teresa del Gesù Bam-bino). Oltre un anno fa Don Giuseppe Imperato, invitato ad uno dei cenacoli, conobbe questa realtà e con forte impe-gno ed entusiasmo, né cominciò a parlare alle coppie che incontrava, anche a me, che ancora coppia non ero. Il Suo ardore e la Sua insistenza furono così convincen-ti che per prima pensai “perché no? An-diamo a vedere che dicono”. Tanto per cambiare, quel giorno si scatenò il dilu-vio e in Cattedrale attendevamo con an-sia la nostra guida, che nonostante la nebbia ci assicurò la sua presenza. Dopo poco, infatti, arrivò, una signora bagnata ma sorridente, Giovanna. Ecco la nostra guida. Si presentò, alcuni dei presenti già la conoscevano, invocammo lo Spirito Santo e aperto il Vangelo, ne leggemmo un brano. Conclusasi la lettura, Giovan-na, cominciò a commentarlo, non come un’omelia, tuttavia ugualmente appassio-nante. Ogni verso, riportato alla realtà, a situazione che potrebbero essere attualis-sime e con che sicurezza e vivacità. Ci mettemmo poco a trasformare la spiega-zione in discussione, spaziando dall’esperienza religiosa a quella persona-le. Passammo quasi due ore a chiacchie-rare, come se ci conoscessimo da una vita. Certo la confidenza, è arrivata con il tempo ed oggi oltre dieci coppie e qual-che singolo, siamo impegnati nella costi-tuzione di un nucleo di comunità anche a Ravello. Ci incontriamo ogni 15 giorni,

preferibilmente in Duomo, ed oltre Gio-vanna, abbiamo conosciuto altri membri della comunità, e anche il fondatore, lo stesso Don Silvio, persone, esperienze, impegni diversi ed un solo carisma, la santità della famiglia. Stiamo imparando a relazionare quella certa Bibbia, ed in particolare il Vangelo, alla nostra vita quotidiana, non è una passeggiata ma insieme si può; i due smarriti sulla strada di Emmaus, acquistano forma, volti e nome, ci auguriamo che crescano anche in numero. La nostra “Emmaus” era lon-tana e lo è ancora, ma il viaggio è piace-vole e in buona compagnia, diamoci un‘opportunità.

Elisa Mansi

GETTIAMO SEMI PER DARE LUCE

Un dono che rimane sul fondo, in uno stato di momentanea quiescenza, per poi diluirsi ed emergere sotto forme diverse, un talento sepolto nella terra che cresce, matura e porta frutto: è questa la prima immagine che associo all’educazione. Tutto ciò che ci invade in maniera pacifi-ca e cambia le nostre scelte e i nostri passi verso il futuro. Ed in un richiamo veloce di ricordi e voci che si accavallano nella mia mente, di figure più o meno familiari, compongo un mosaico di con-tributi necessari a ciò che sono oggi e a ciò che potrò essere domani. A volte penso che se una mano attenta non avesse impugnato la mia guidandola ad aggraziare le forme goffe delle lettere, che se in un giorno d’estate non mi fosse stata regalata della carta da lettera profu-mata perché la utilizzassi più e meglio del telefono ed avviassi la mia prima corri-spondenza, che se non avessi mai aperto un vecchio sussidiario con un buffo rac-conto su come catalogare gli oggetti e metterli in ordine, se non avessi mai let-to Basile e poi così, di seguito, il primo romanzo, forse non mi sarei mai appas-sionata alla scrittura, anzi sarebbe stato difficile, se non addirittura impossibile, intuire, capire, scoprire ciò che amavo di più. Ogni cosa, anche quella che appa-rentemente sembra più scialba, insignifi-cante, passeggera, ha un suo valore, un significato. E quasi sempre il significato matura nel tempo. Allora ripenso a tutte le volte in cui mi

lasciavo correggere con piacere e a tutte quelle in cui entrare nelle cose significava lasciarsi vincere, assimilarle, farle pro-prie. Ed è così per tutto: nella vita come nell’educazione. Perché, forse, siamo davvero ciò che impariamo e ciò che impariamo arriva da chi sa dare ma so-prattutto dalla nostra capacità di farci plasmare, guidare. Un seme. Gettato al buio per dare luce. Sepolto, coperto, dimenticato fino a quando non offre spontaneamente ciò per cui è nato. Un segno. Arriva quando magari non si pos-seggono gli strumenti adatti per interpre-tarlo: ed il tempo fa da chiave di lettura, da commento, da spiegazione. Ecco, io credo nell’educazione in quanto seme e segno. E mi piace pensare che sia così. Che ovunque, in qualsiasi parte del mon-do, ci siano persone disposte a dare e a ricevere gioia donando il proprio sapere, con semplicità, onestà, molto spesso con coraggi o. E la me moria fa dell’educazione un seme eterno, una pianta rigogliosa e potente. Non c’è talento sprecato, non c’è incapa-cità o ignoranza: bisogna solo disporsi ad ascoltare e sfruttare il dono più grande che possediamo grazie a Dio, la nostra mente. Ripenso ad un inverno di molti anni fa: una persona a me molto cara, incuriosita dalla mia passione per la scrittura, mi insegnò come scrivere a macchina in ma-niera veloce. All’inizio ero scettica, incu-riosita, stupita. Con grande pazienza mi chiese di imparare a memoria la disposi-zione precisa dei tasti, poi li coprì con del nastro isolante bianco e mi chiese di copiare un testo senza guardare i tasti, ma solo andando a memoria. I tentativi all’inizio erano incerti e fallaci. Ma qual-cosa, un mordente incredibile, mi spin-geva a continuare, a pungolare la mia memoria e ad indirizzare le mie dita in maniera precisa. Oggi scrivo ancora utilizzando quel me-todo: sotto le mie dita i tasti scorrono come se non fossero avulsi, ma parte stessa della mia mano. Quella persona ci ha lasciati ma io non ho mai dimenticato ed ogni lettera digitata a computer, ine-vitabilmente, mi riporta a lui e a quell’inverno.

Emilia Filocamo

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PAGINA 11 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Dopo un lungo periodo di pausa, è bene riprendere le fila delle catechesi di Bene-detto XVI sugli scrittori medievali. Questo ritorno s’impone anche in seguito ad un evento luttuoso che ha colpito gli studi sul Medioevo latino: la morte di Claudio Leo-nardi, studioso di grande livello della let-teratura mediolatina e presidente della Società internazionale per lo studio del Medioevo Latino nonché onorario della fondazione dedicata al latinista Ezio Fran-ceschini. Un autore a cui mi avvicinai allorché pre-paravo l’esame di Letteratura Latina Me-dievale, il cui manuale, che accoglieva i contributi di diversi specialisti, aveva la cura dello stesso Leonardi. Lo studioso trentino aveva pure contribuito alla stesura dei capitoli relativi al VI e al X secolo. Quest’ultimo, in particolare, ci interessa per inquadrare il personaggio di cui questo mese vogliamo parlare: l’abate Oddone di Cluny, collocato da Benedetto XVI “in quel medioevo monastico che vide il sor-prendente diffondersi in Europa della vita e della spiritualità ispirate alla Regola di san Benedetto”. In effetti, nei primi anni del secolo X furono molti a prendere coscien-za della necessità “che l’ideale monastico riprendesse slancio e vitalità”, anche in conseguenza della riforma del monachesi-mo benedettino attuata da Benedetto d’Aniane qualche decennio prima. Tra le espressioni più alte della vita monastica riformata ci fu il monastero che il duca di Aquitania Guglielmo concesse di edificare all’abate Bernone sulla sua terra di Cluny, affidandolo alla giurisdizione pontificia. All’abate Bernone, morto nel 926, succes-se Oddone, “uomo ardente ed instancabi-le” e “vero propugnatore della riforma monastica”. Marcel Pacaut ci ricorda che l’abate fu sempre in viaggio, passando da un monastero all’altro “per dare consigli, mostrare i pregi della regola benedettina e illustrare cosa essa pretendesse dai mona-ci”. Fece ripristinare la regola in tantissimi monasteri, tra i quali ricordiamo Romain-moutiers in Svizzera, Aurillac, Tulle, Sar-lat, San Marziale di Limoges, San Giovanni di Angéy, Saint-Allyre di Clermont, Char-lieu in Francia, i monasteri romani di San Paolo Fuori le Mura e Santa Maria sull’Aventino e infine Subiaco. Quest’intensa attività riformatrice e pasto-rale aveva le sue premesse nella grande

cultura teologica che il monaco riversava nelle sue opere omiletiche e agiografiche. Del resto, come annotava il compianto Leonardi, l’agiografia insieme alla storio-grafia costituirono il fenomeno letterario di maggiore rilievo nel secolo X, acqui-stando un carattere di “necessità”: ogni abbazia, ogni vescovado, ogni città o vil-laggio avverte il bisogno di scrivere la pro-pria storia e celebrare il proprio santo, che molto spesso è un santo contemporaneo. Proprio ad un santo a lui vicino, il conte Gerardo d’Aurillac, Oddone dedicherà la sua opera agiografica descrivendolo come un modello di vita monastica. Scrisse an-che una vita di San Martino di Tours, anti-fone per lo stesso santo, inni, collationes, sermoni per festività dell’anno liturgico e si dedicò – per essere attuali – al mistero del corpo e sangue di Cristo. Tale “devozione” fu coltivata da Oddone con grande convinzione, di fronte a una estesa trascuratezza da lui vivacemente deplorata. Come scrive Benedetto XVI “era infatti fermamente convinto della presenza reale, sotto le specie eucaristi-che, del Corpo e del Sangue del Signore, in virtù della conversione “sostanziale” del pane e del vino”. Scriveva: “Dio, il Creato-re di tutto, ha preso il pane, dicendo che era il suo Corpo e che lo avrebbe offerto per il mondo e ha distribuito il vino, chia-mandolo suo Sangue”; ora, “è legge di natura che avvenga il mutamento secondo il comando del Creatore”, ed ecco, per-tanto, che “subito la natura muta la sua condizione solita: senza indugio il pane diventa carne, e il vino diventa sangue”; all’ordine del Signore “la sostanza si mu-ta”. Purtroppo, annota il nostro abate, questo “sacrosanto mistero del Corpo del Signore, nel quale consiste tutta la salvezza del mondo”, è negligentemente celebrato.

Salvatore Amato

Parlare di accoglienza e di educazione all’ospitalità, può risultare semplice, forse banale, in un paese come il nostro. In una cittadina, che ha fatto della cordiali-tà nella ricezione il motore primo della sua economia, infatti, suggerire l’importanza dell’accettazione e della buona predisposi-zione nei confronti dell’ altro, potrebbe

Oddone di Cluny e la spiritualità monastica del X secolo

BENVENUTI !

potrebbe apparire inutile e pedante. Quello che ci preme però evidenziare è come, di là dalla obiettiva capacità della nostra realtà di essere naturalmente aperta verso l’altro, spesso si è poco inclini all’accoglienza vera è propria, che abbandona la valenza turistica per diventare umana e cristiana. La domanda è semplice: “Quanto nel con-creto del rapporto con il nuovo – sia esso straniero/diverso/lontano- applichiamo le regole di un’ospitalità generosa, come quel-la che ci è stata insegnata sul lavoro o a scuola? O meglio: “Se per accoglienza s’intende la capacità di mettere a proprio agio qualcuno, mostrandosi disponibile al confronto, quan-to questo nelle nostre vite avviene, dopo l’impiego o la chiusura dell’attività che ci vede protagonisti? Se Ravello è maestra nell’arte di coccolare, ascoltare, consigliare il suo ospite, quanto lo sono i suoi abitanti o per esteso tutti, nel loro ambito privato e particolare? Non si tratta qui di essere gentili con lo straniero che ci chiede indicazione, ma con l’uomo altro che ci “implora” asilo, recando con sé non valige pesanti, ma pesi sul cuore che cercano qualcuno con cui dividerne l’ammontare. L’educazione all’accoglienza è proprio questo: essere aperti alla recipro-cità, disposti all’aiuto e alla comprensione, attenti alla diversità nel suo significato più profondo e speciale. "Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato", scrive Marco nel suo Vangelo, ricordandoci con la stessa acco-glienza trovi la sua realizzazione archetipa ed escatologica già nell’unità del Padre per Gesù Cristo nello Spirito Santo. Del resto, a tutti potrebbe capitare di perdersi e cerca-re aiuto, quindi a tutti tocca tendere la ma-no; non si accoglie solo chi prima non si conosceva, infatti, ma anche chi per anni è stato lontano, chi ha deciso di scappare per poi tornare, come la pecorella smarrita, verso cui bisogna mostrare comprensione e ascolto, non freddezza e distacco. E’ questa la vera “accoglienza”, la disponibilità sincera alla comprensione dell’altro da sé, valoriz-zandone la reciproca “com-presenza”, in un atto d’amore caritatevole. Ed è proprio questa virtù che ci auguriamo tutti possano sviluppare, in questa lunga estate, che ci vede nuovamente scendere in campo con lo “straniero”. Alla prossima.

Iolanda Mansi

Page 12: INCONTRO GIUGNO 2010

CELEBRAZIONI DEL MESE DI GIUGNO GIORNI FERIALI E FESTIVI Ore 18.30: Santo Rosario e Coroncina del Sacro Cuore Ore 19.00: Santa Messa con meditazione

GIOVEDI’ 3 GIUGNO: Ad Amalfi (18.30): Celebrazione della S. Messa presieduta dall’Arcivescovo, con la partecipazione di tutti i Presbiteri, Confraternite ed Associazioni della Zona pastorale della Costiera.

DOMENICA 6 GIUGNO: SOLENNITA’ DEL CORPUS DOMINISOLENNITA’ DEL CORPUS DOMINI Ore 08.00-10.30: Messe Comunitarie Ore 19.00: Santa Messa e Processione del SS. Sacramento

GIOVEDI’ 10 GIUGNO: ore 19.30: Adorazione Eucaristica

VENERDI’ 11 GIUGNO: SOLENNITA’ DEL SACRATISSIMO CUORE DI GESU’ Ore 18.30: Santo Rosario e Consacrazione al Sacro Cuore Ore 19.00: Santa Messa

DOMENICA 13 GIUGNO: XI del tempo Ordinario. FESTA DI S. ANTONIO Ore 08.00-10.30: Messe Comunitarie Ore 19.00: Santa Messa.

GIOVEDI’ 17 GIUGNO: ore 19.30: Adorazione Eucaristica

DOMENICA 20 GIUGNO XII del Tempo Ordinario. Ore 08.00-10.30: Messe Comunitarie Ore 19.00: Santa Messa.

GIOVEDI’ 24 GIUGNO: NATIVITA’ DÌ S. GIOVANNI BATTISTA Ore 18.30: Santo Rosario e Coroncina del Sacro Cuore Ore 19.00: Santa Messa Ore 19.30: Adorazione Eucaristica

VENERDI’ 25 GIUGNO: Inizio del mese di preghiera in preparazione della festa patronale Ore 18.30: Santo Rosario, Coroncina Ore 19.00: Santa Messa con omelia

DOMENICA 27 GIUGNO XIII del Tempo Ordinario. Ore 08.00-10.30: Messe Comunitarie Ore 19.00: Santa Messa.

MARTEDI’ 29 GIUGNO: FESTA DEI SS. PIETRO E PAOLO MERCOLEDI’ 30 GIUGNO: X anniversario dell’Ordinazione Episcopale di S. E. Mons. Orazio Soricelli

AUGURI MERCOLEDÌ 30 GIUGNO 2010 ricorre il Decimo anniversario della consacrazione episcopale del nostro Arcivescovo Mons. Orazio Oricelli. La nostra comu-nità parrocchiale, nel formulare gli auguri filiali al Suo Pastore, ringrazia il Signore per il Ministe-ro Apostolico, da Lui generosa-mente esercitato tra noi in questi anni, e si unisce in preghiera per

implorare dal Signore alla Sua Persona lo Spirito di Consiglio e di Fortezza, di Scienza e di Pietà per la missione a Lui affidata. Nella felice circostanza, che av-viene nell’anno sacerdotale, au-spichiamo al Nostro Pastore la divina consolazione di vedere ar-ricchita la Chiesa di sante e nu-merose vocazioni al Sacerdozio e alla missione Ad gentes tanto pre-sente alla premura del suo cuore.