IMQ Magazine n. 96

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Anno XXX Numero 96 Settembre 2012 IMQ, via Quintiliano 43 - MI 96 I L M A G A Z I N E P E R U N A V I T A D I Q U A L I T À E S I C U R E Z Z A • Geopolitica: Riccardo Redaelli e Tiberio Graziani • Politica internazionale: Enrico Fassi • Politica nazionale: Michele Ainis • Economia: Krugman, Fitoussi, Roubini, Latouche, Vaciago • Città: Carlo Ratti • Materiali: Leonida Miglio • Medicina: Andrea Pavesi, Mauro Giacca, Costantino Davide • Filosofia: Aldo Masullo • Astrofisica: Giovanni Bignami • Matematica: Piergiorgio Odifreddi • Giornalismo: Aldo Cazzullo • Editoria: Francesco Bevivino e Lele Rozza • Musica: Stefano Bollani • Fotografia: Antonio Amendola • Cucina: Davide Oldani • CDP: la misura del sostenibile che piace anche in Borsa QUALITÀ DELLA VITA • Hobby: l’arte della calligrafia • Sport: il rugby a sette • Viaggi: Empordà HANNO PARLATO DI FUTURO: STORIE DI QUALITÀ NOTIZIE

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Il Magazine per una vita di qualità e sicurezza. In questo numero si parla di futuro con: Riccardo Redaelli e Tiberio Graziani (geopolitica) • Enrico Fassi (politica internazionale) • Michele Ainis (politica nazionale) • Krugman, Fitoussi,Roubini, Latouche, Vaciago (economia)• Carlo Ratti (città) • Leonida Miglio (materiali) • Andrea Pavesi, Mauro Giacca, Costantino Davide (medicina) • Aldo Masullo (filosofia) • Giovanni Bignami (astrofisica) • Piergiorgio Odifreddi (matematica) • Aldo Cazzullo (giornalismo) • Francesco Bevivino e Lele Rozza (editoria) • Stefano Bollani (musica) • Antonio Amendola (fotografia) • Davide Oldani (cucina).Per il futuro dell'ambiente si parla di CDP: la misura del sostenibile che piace anche in Borsa.

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Anno XXXNumero 96Settembre 2012 IMQ, via Quintiliano 43 - MI

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I L M A G A Z I N E P E R U N A V I T A D I Q U A L I T À E S I C U R E Z Z A

• Geopolitica: Riccardo Redaellie Tiberio Graziani

• Politica internazionale:Enrico Fassi

• Politica nazionale: Michele Ainis• Economia: Krugman, Fitoussi,

Roubini, Latouche, Vaciago

• Città: Carlo Ratti• Materiali: Leonida Miglio• Medicina: Andrea Pavesi,

Mauro Giacca, Costantino Davide• Filosofia: Aldo Masullo• Astrofisica: Giovanni Bignami• Matematica: Piergiorgio Odifreddi

• Giornalismo: Aldo Cazzullo• Editoria: Francesco Bevivino

e Lele Rozza• Musica: Stefano Bollani• Fotografia: Antonio Amendola• Cucina: Davide Oldani

• CDP: la misura del sostenibile chepiace anche in Borsa

QUALITÀ DELLA VITA• Hobby: l’arte della calligrafia• Sport: il rugby a sette• Viaggi: Empordà

HANNO PARLATO DI FUTURO: STORIE DI QUALITÀ

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TIZIE

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Numero 96

Direttore ResponsabileGiancarlo Zappa

Capo redattoreRoberta Gramatica

Progetto graficoFortarezza & Harvey

ImpaginazioneJoint Design s.a.s.

Hanno collaboratoEliana De GiacomiUrsula DobrovicSimon FalvoLaura FerroRosylea GimbattiVelia IvaldiWalter MolinoGiordana SapienzaPaolo Subioli

Emiliano Porcu (foto)

Direzione, Redazione,AmministrazioneIMQ, Istituto Italiano del Marchio di QualitàVia Quintiliano 4320138 Milanotel. 0250731 - fax [email protected] - www.imq.it

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TUTTO EBBE INIZIO DAL FUTURO

DI GIANCARLO ZAPPA

“Stizzita per la scemenza dei suoi stessi oracoli e per l’ingenua cre-dulità dei Greci, la sacerdotessa di Delfi Pannychis XI, lunga e secca

come quasi tutte le Pizie che l’avevano preceduta, ascoltò le domandedel giovane Edipo, un altro che voleva sapere se i suoi genitori erano dav-

vero i suoi genitori, come se fosse facile stabilire una cosa del genere nei cir-coli aristocratici, dove, senza scherzi, donne maritate davano a intendere ai lo-

ro consorti, i quali peraltro finivano per crederci, come qualmente Zeus in perso-na si fosse giaciuto con loro.”

Dovessimo dare ascolto alla Pizia Pannychis XI, protagonista del dissacrante libro di Friedrich Dür-renmatt, del quale abbiamo ripreso l’incipit, le profezie sul futuro sono tutte cose inventate di sa-na pianta, spesso anche piuttosto noiose e di sicuro per nulla veritiere (salvo coincidenze impreve-dibili). Ma è chiaro che stiamo parlando di vaticini e oracoli in voga davvero molti secoli fa, che seb-bene sulla strada abbiano seminato i più disparati discendenti - dai maghi ai cartomanti passandoper gli oroscopisti improvvisati - oggi non avrebbero di certo la stessa fortuna avuta allora. Tuttavia è altrettanto vero che, da sempre, è parte di ogni umana essenza il desiderio di provare adanticipare gli eventi che non sono ancora avvenuti. Una tentazione nella quale siamo voluti cade-re anche noi, con questo numero di IMQ Notizie, nel quale abbiamo deciso di parlare del “cosa sa-rà”. Per farlo, non siamo naturalmente ricorsi a voli di uccelli, sfingi e sfere di cristallo - e tantome-no alla Pizia di Dürrenmatt, che si sarebbe inventata chissà che cosa - ma alle parole di autorevolirappresentati della nostra società. Passando dalla matematica alla musica, dalla geopolitica allamedicina, dal giornalismo alla cucina, dall’astrofisica all’editoria, con la loro collaborazione abbia-mo provato a immaginare quella parte del tempo che non ha ancora avuto luogo. Come? Seguendo il presupposto empirico-sintomatologico, alla base della medicina ippocratica,che prevede di studiare il futuro semplicemente analizzando il passato e analizzandone i sintomi.Il risultato? Un interessante viaggio nella macchina del tempo. Una bella anticipazione del doma-ni che, al termine di tutte le interviste effettuate, abbiamo provato a sintetizzare razionalizzandolaper parole chiave, scoprendo commistioni e sovrapposizioni inaspettate tra i vari ambiti trattati, masoprattutto l’egemonia indiscussa di due tematiche chiave: qualità e condivisione.Il numero prosegue poi con la rubrica “Storie di qualità”, nella quale parliamo del Carbon Disclo-sure Project, uno strumento che, a detta di molti, rappresenta per il futuro (ancora lui) dell’ambientequello che i raggi X hanno significato per la medicina. Segue la rubrica “Qualità della vita” con iconsigli per gli hobby, lo sport e il tempo libero, per poi finire con la consueta “Curiosità”, da nonperdere, in questo numero più che mai. Buon viaggio nel… domani.

EDITORIALE

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4 LE PAROLE Quali saranno i concetti chiavedel futuro?

8 GEOPOLITICA:RICCARDO REDAELLI (UNIVERSITÀCATTOLICA) E TIBERIO GRAZIANI(ISAG)Finita l’era del modello unipolare, conun’unica potenza egemone, il nostroPianeta sarà sempre più una realtàmultipolare. Tra frammentazioni eintegrazioni, passando dalla Russia allaCina, dal Kazakistan all’Iran, qualisaranno nei prossimi anni le potenzeeconomiche e i Paesi da teneresott’occhio?

14 POLITICA INTERNAZIONALE:ENRICO FASSI (ISPI)Dal ruolo dell’Italia a quello dell’Unioneeuropea, passando attraverso il concettodi “globalizzazione” e la funzionedell’ONU: quali scenari si prevedono aproposito di relazioni internazionali?

18 POLITICA NEL “BEL PAESE”:MICHELE AINISLa Democrazia del futuro: a fronte della crisidei partiti, che ne sarà della nostra politica edel nostro sistema costituzionale?

20 ECONOMIA: CRESCITA OAUSTERITÀ?Capitalismo contro socialismo? Robascaduta già nel secolo scorso. Borghesiacontro proletariato? Preistoria. Liberisticontro statalisti? Categorie del passato. Ilnuovo dibattito planetario oggi è uno euno soltanto: crescita o austerità?

22 ECONOMIA: ECONOMISTI ACONFRONTO TRA DIAGNOSI ETERAPIEUn confronto tra le teorie e il pensierodei principali economisti mondiali:Paul Krugman, Jean Paul Fitoussi, NourielRoubini, Serge Latouche,Giacomo Vaciago.

26 CITTÀ: CARLO RATTI (MIT)Una volta si parlava del binomio uomo-macchina. Oggi e nel futuro, la relazionesarà uomo-città, in un rapporto in cuiquest’ultima rappresenterà sempre di piùun’interfaccia per raccogliereinformazioni indispensabili all’obiettivofinale: il vivere meglio.

SOMMARIO

30 MATERIALI: LEONIDA MIGLIO(LABORATORIO L-NESS -POLITECNICO DI MILANO)Celle solari ad alta efficienza per satelliti,più leggere ed economiche; sensori chemonitorano le operazioni in laparoscopiacon bassissime dosi di raggi x; dispositivielettronici di potenza, per gestireautoveicoli e produzione di energiealternative, meno costosi e più efficienti:se gli atomi dei materiali vengono benimpilati, tutto questo è già possibile.

36 MEDICINA: ANDREA PAVESI (SMART)Sulle staminali molto è stato scoperto,ma un vero e proprio mondo è ancora daricercare per queste cellule che, in unfuturo molto prossimo, ci “ripareranno”.

40 MEDICINA: MAURO GIACCA (ICGEB)Le nuove (rischiose) frontiere del dopinge le sue (grandiose) opportunità.

44 MEDICINA: COSTANTINO DAVIDELa chirurgia estetica: una disciplina inrapida crescita grazie anche a tecnologiesempre meno invasive.

48 FILOSOFIA: ALDO MASULLOIl Socrate del terzo millennio? Non saràun tecnocrate.

50 FILOSOFIA: EREMITI AL TEMPO DITWITTERIsolarsi dal consesso civile, seguire unproprio cammino di spiritualità, sottrarsiagli affanni del mondo per riscoprire Dio:cose d’altri tempi o una scelta per ilfuturo? Lo abbiamo chiesto a chi eremitalo è diventato davvero.

52 ASTROFISICA: GIOVANNI BIGNAMI(INAF)Conosciamo solo il 5% del nostroUniverso. E ciò che sappiamo lodobbiamo per una buona parte airicercatori italiani. Non per niente, nelcampo dell’astrofisica, il nome dell’Italiaè spesso associato a quello di eccellenza.E per quanto riguarda il futuro?

56 MATEMATICA:PIERGIORGIO ODIFREDDILa matematica ci circonda. Ma anche leiha un futuro?

60 GIORNALISMO: ALDO CAZZULLOQuello del futuro? Parte dalla vita vera.

64 EDITORIA: FRANCESCO BEVIVINOE LELE ROZZA (BLONK)Inchiostro o bit? Tra editoria tradizionalee editoria digitale, quale sarà il futuro deilibri?

70 MUSICA SENZA LEADER: IL FUTUROÈ GIÀ ARRIVATOQuarant’anni dopo Woodstock, laprevisione di Janis Joplin«quattrocentomila persone insieme enessun capo. Noi non abbiamo bisognodi leader, noi ci teniamo l’un l’altro», haottenuto la sua definitiva consacrazionein Internet che, a parere di molti, puòessere considerata un frutto tardivo delpiù autentico spirito Sessantottino.

72 MUSICA: STEFANO BOLLANIChe musica ascolteremo nei prossimianni. E come l’ascolteremo? Cheevoluzione avranno le case discografiche

PRIMO PIANO: IL FUTURO

tascabilidell ’ambiente

Piccolo vocabolario dei prossimi decenni

Federico Pedrocchiparoleper il futuro

Volume ideato con il contributo di

LE PAROLE PER IL FUTUROQuali saranno i concetti chiave delfuturo? Uno di questi potrebbe essere“custom” ovvero personalizzazione:delle cure, dei servizi, delleinformazioni... Ma non solo. A cimentarsi in questo eserciziodi previsioni, ci ha provato FedericoPedrocchi con “Parole per il futuro”un libro di prossima uscita, edito daEdizioni Ambiente e ideato con ilcontributo di IMQ.!

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e che ruolo daremo alla musica? Oltrealle risposte, un fatto è certo: la musicadel futuro sarà una meravigliosacommistione tutta da ascoltare.

76 MUSICA: L’ORCHESTRA DI PIAZZAVITTORIOVivono a Roma, ma provengono da unadozzina di Paesi differenti: Parlanoaltrettante lingue e si sono formati sugeneri musicali diversissimi. Eppure,incontrandosi, sono riusciti a trovare unasonorità unica. Un cocktail ben shakeratodi ritmi e voci che è diventato il loroinequivocabile marchio di fabbrica,ispirando molte “imitazioni” in giro perl'Italia.

78 FOTOGRAFIA: ANTONIO AMENDOLA(S4C)Nella fotografia è già stato inventatotutto? Probabilmente no. Masicuramente non è stato inventato tuttonell’ambito dell’utilizzo delle fotografie.

Soprattutto se a scattarle non è più soloun autore, ma tanti fotografi con visioni esensibilità diverse, in grado di offrireun’immagine con più punti di vista ecapaci di dare visibilità, complice la Rete,a piccole storie, veicolando importantimessaggi sociali.

80 CUCINA: INTERVISTA ADAVIDE OLDANIQuando il Pop, la qualità e il territorioentrano in cucina.

82 GLOSSARIO

84 CARBON DISCLOSURE PROJECT(CDP)La misura del sostenibile che piace anchein Borsa.

88 IL CAMBIAMENTO CLIMATICO COMESTRATEGIAIntervista a Diana Guzman - Direttore SudEuropa CDP.

90 HOBBY: MOTTAINAI!94 SPORT: RUGBY A SETTE96 VIAGGI: EMPORDÀ98 LIBRI, FILM, MUSICA

RUBRICHE100 Panorama News102 Brevi IMQ104 Curiosità

STORIE DI QUALITÀ

QUALITÀ DELLA VITA

VERSO L’UOMO BIONICO. intervista a Mauro Giacca (ICGEB).Utilizzare il DNA per creare atleti perfetti.La pratica a livello illegale potrebbe aver giàcreato qualche cyborg anche se, al momento,non esistono prove. L’International Centre for

Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB) da alcuni anni effettuaricerche per capire e combattere questo fenomeno.

IL FUTURO DELL’AMBIENTE?IN BORSAQualcuno lo ha definito unmezzo che, per l’ambiente, rappresenta quello che i raggi Xhanno significato per la medi-cina. Altri ne hanno parlatocome di uno “strumento vitale”. Oltre alle definizioni e aiparagoni, una cosa è certa: perle aziende, il Carbon DisclosureProject (CDP) offre, più di ognialtro mezzo, un atout in gradodi dare valore economico agliinvestimenti effettuati in terminidi cambiamento climatico, ma anche di dimostrare che, l’etica del profitto, non è più ilsolo strumento per misurare la capacità competitiva di un’azienda.

IL GIORNALISMO? UNA QUESTIONE DI VITA VERA.intervista a Aldo CazzulloGrazie a Internet e ai social network, contenutie idee circolano in libertà. Alcuni pensanoanche di poter essere giornalisti di se stessi,

altri rischiano di far coincidere i confini della mente con quelli del mondo.E i cronisti di professione? Non dovrebbero mai dimenticare che prima diun monitor, ci sono sempre le persone in carne e ossa e che un ritorno alleorigini, con la cronaca e i report di vita vera, non potrebbe che far bene.

LA MATEMATICA CI CIRCONDA.intervista a Piergiorgio OdifreddiDalla letteratura alla musica, dall’architettura all’arte, passando per la biologia, la tecnologiafino all’ironia, la matematica ci circonda. Ma anche la matematica ha un futuro?

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PRIMO PIANO: LE PAROLE DEL FUTURO

AVETE MAI PROVATO A PENSARE ALLE PAROLECHE POTREBBERO CARATTERIZZARE IL FUTURO? NOI SÌ. UN GIORNO CI SIAMO MESSI ATTORNOA UN TAVOLO E ABBIAMO PROVATO AIDENTIFICARLE. ALL’INIZIO NE SONO EMERSEDAVVERO TANTE.POI ABBIAMO COMINCIATO A SCREMARLE,MANTENENDO SOLO I TERMINI PIÙ FUTURISTICIO QUELLI CHE, ANCHE SE GIÀ ESISTENTI, NEIPROSSIMI ANNI POTREBBERO ACQUISIREUN’ACCEZIONE DIVERSA. IL RISULTATO? PER CORRETTEZZA EDITORIALENON VE LO POSSIAMO ANCORA DARE. LE VOCIINDIVIDUATE INFATTI, VERRANNO RACCOLTEIN UN LIBRO, REALIZZATO CON EDIZIONI AMBIENTEE FEDERICO PEDROCCHI*, CHE VERRÀ PUBBLICATOIN AUTUNNO. QUALCHE ANTEPRIMA? CERTAMENTE,UNA PAROLA: CUSTOM.

LE PAROLE PER IL FUTURO

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Custom: un termine inglese, co-me molti altri usati nelle scien-ze e nelle tecnologie e diventa-

ti di uso comune in tutte le lingue. Losi può tradurre in vari modi, tutti so-stanzialmente convergenti, nella suadeclinazione come aggettivo (custo-mized) verso il significato seguente:manufatto/dispositivo progettato erealizzato su misura, in base alla ne-cessità del cliente o della funzione chedovrà svolgere, progettato dunquein maniera specifica, ma con tantesfumature, in modo da rappresen-tare le esigenze di molti utenti di-versi. La cosa singolare è che abbia-mo da sempre alcuni territori delle at-tività umane nei quali la “customizza-zione” regna sovrana. Un buon esem-pio è la letteratura gialla, che ha unsuo nucleo di ingredienti fondamen-

tali molto preciso, ma poi abbiamo au-tori e stili narrativi che separano ilpubblico, vastissimo, di chi ama que-sto genere di narrazione. Dopodiché,ai primi del secolo scorso, Henry Ford,dopo aver lanciato la Ford T, pronun-ciava la famosa frase “compratela delcolore che volete basta che sia nera”.Dieci milioni di unità vendute, tutteuguali e tutte dello stesso colore, a unprezzo che per la prima volta rendevaaccessibile l’auto al cittadino medio.La letteratura gialla è facilmente cu-stomizzabile, come la musica rap, per-ché è tecnologicamente facile farlo, ecosta poco. La componente dei costi èfondamentale. Anche i megayachtcomprati dai tycoon russi o da alcunisceicchi arabi, sono alquanto persona-lizzati, tanto da essere unici, ma concosti stratosferici. La sfida è introdur-re customizzazione nel grande territo-rio intermedio degli oggetti comuni.Non sono pochi quelli che la stannoaccettando.Nel mondo dell’auto la personalizza-zione del prodotto è operativa da uncerto numero di anni. Vi sono case au-tomobilistiche che propongono siti In-ternet nei quali si possono scegliere

fra un buon numero di opzioni, sia perla carrozzeria sia, soprattutto, per gliinterni. È il risultato di sistemi di pro-duzione basati su tecnologie - robot,essenzialmente - in grado di diversifi-care e contenere i costi. Tutta l’infor-matica sviluppatasi dal 1960 ad oggi èuna storia di progressiva customizza-zione. Internet è la sua applicazionepiù nota, quella che oggi è usata dacirca tre miliardi di persone, uno stru-mento che nei suoi vent’anni di cresci-ta ha proposto livelli sempre più ele-vati di soluzioni su misura. Oggi ab-biamo portali di informazione checonsentono al singolo utente di sce-gliere alcune tipologie di contenuti ecomporre la propria homepage.

Tutto ciò per quanto riguarda il pre-sente. Ma nel futuro? Forse l’appli-cazione più sorprendente in termi-ni di “custom” è quella che vedre-mo nel campo della medicina.Michele Fumagalli, chimico, scrive sulNotiziario Chimico Farmaceutico, n°2, 1997:«La preparazione della Teria-ca (ndr - nota anche come Triaca, far-maco universale prodotto in grandiquantità) in Venezia, veniva fatta inpubblico assumendo quasi un tono difesta. Gli speziali operavano alla pre-senza dei “Ministri di Giustizia e de’Signori Dottori del Collegio de Peritidell’arte della Spezieria e l’ausilio dimolti nobili apparati” e seguivano unrituale studiato nei minimi particolari.Chi operava mescolando e triturandoera vestito con casacca bianca e pan-taloni rossi al fine di mostrarsi meglioal pubblico che assisteva. Il periododell’anno dedicato all’evento cadevanel mese di maggio in quanto alcunicomponenti raggiungevano solo inquel tempo il perfetto stato di impie-go. Il rispetto degli influssi astrali ave-va anch’esso un peso nella prepara-zione, potendo donare, secondo lecredenze del tempo, facoltà speciali alrimedio». Non solo nella Venezia delXVI secolo ma in molte città europeedell’epoca si svolgeva il rito pubblicodella preparazione della Teriaca. Allabase del prodigioso medicamento: «lavipera, bollita in acqua fresca di fonte,

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PRIMO PIANO: LE PAROLE DEL FUTURO

salata ed aromatizzata con dell'aceto,dopo essere stata scolata dal suo bro-do, impastata con del pane secco fi-nemente triturato ed infine lavorata amano in forme rotondeggianti ed es-siccata all'ombra». E le vipere, questoè ovvio, lo sappiamo tutti, dovevanoessere catturate dopo il loro letargo.Qualche passo in avanti, negli ultimianni, la farmacopea l’ha certamentefatto. Leggendo le istruzioni contenu-te in molti farmaci, tuttavia, si cogliecon relativa facilità che la miscela cu-rativa non va bene per chiunque. Lo sicoglie soprattutto da quando sonostate introdotte normative più esi-

genti, che impegnano le case farma-ceutiche a descrivere come certi ef-fetti collaterali siano più o meno pro-babili: 1 caso su 10, 1 caso su 1000…Le ricerche biomediche stanno oggiscoprendo, con grande evidenza, cheuna malattia ha molteplici declinazio-ni a seconda dei singoli soggetti chel’hanno contratta. Questo non signi-fica che abbiamo svariate decine dimilioni di diabetici diversi sparsi per ilmondo. Ma una sola tipologia di dia-betico/a, questo no, è certamente fal-so. Le ragioni di queste diversità sonomolteplici. Alcune sono facili da com-prendere se pensiamo che un essere

ALL’OPPOSTODEL CUSTOMC’È LO STANDARD Non vogliamo dedicare troppospazio al tema “standard”,sebbene sia di grande impor-tanza. Lo è da sempre, fra l’al-tro, e quindi segnalarlo comeuno dei trend importanti deiprossimi anni non sarebbe unanovità se, ad esserne oggetto,non fossero una schiera di“cose” nuove che andrebberoassolutamente standardizzate.Vediamo. Qualcosa di interessante si èmesso in moto: una legge delParlamento Europeo ha datoindicazioni precise perché sia-no resi standard tutti gli ali-mentatori di cellulari.Basterebbe questo solo esem-pio per comprendere qualeimmane spreco di materiali siain corso da anni, con un nume-ro incalcolabile di alimentato-ri dismessi che giacciono in cas-setti casalinghi o di ufficio, op-pure che - sappiamo come van-no le cose - sono buttati nellaspazzatura insieme ai resti delpollo arrosto. Ma c’è ancora un oceano di alli-neamenti da mettere in campoperché molte altre macchine,distribuite nei settori più diver-si, si presentino con forti stan-dard nella componentistica dibase e nei software che le gesti-scono, premessa essenziale percreare, ad esempio, le reti fraservizi diversi che le tecnologieCloud stanno prefigurando.Ricordiamo che tutti i processidi standardizzazione significa-no risparmi energetici e riduzio-ne dei costi.

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umano ha una sua co-stante storia alimentare,psicologica, ambientale,uno stile di vita che siesprime nello svolgereun lavoro manuale e fati-coso oppure sedentario,un passato genet ico ,quella della famiglia acui appartiene che, a suavolta, fa parte di una po-polazione. La malattia è come l’ac-qua: si adatta alla forma che trova.Nel terzo millennio curare seguiràsempre più procedure custom. Non èstato possibile farlo prima perchémancavano strumenti e conoscenze.Sul piano degli strumenti oggi sonopossibili soluzioni che non molti annifa avrebbero fatto dire a qualunquemedico “ok, io Star Trek lo guardo al-la sera quando torno a casa”. Wearable diagnostic, è la defini-zione comunemente usata a livel-lo internazionale, ovvero diagno-stica indossabile. Un piccolo stru-mento che si può portare al polso, op-pure una maglietta nella quale sonoimmersi tanti piccoli sensori, a volteanche collocati, senza creare alcun di-sturbo, sotto pelle: le modalità sonodavvero tante, spesso basate su cir-cuiti integrati molli ed elastici e quin-di capaci di adattarsi ai movimenti delcorpo umano. Questa strumentazio-ne può dialogare, anche a notevoli di-stanze, con computer che raccolgonotutti i dati, permanentemente, co-struendo progressivamente un profilomolto accurato del paziente. In paral-lelo altra conoscenza arriva, e arrive-rà, dagli enormi progressi nello studiodei geni, come dalle Nanotecnolo-gie, che metteranno a disposizionefarmaci con effetti collaterali ben piùridotti di quelli attuali, sebbene ci sia-no ancora da capire eventuali nuovetossicità delle possibili nanomedicine.Una rotta precisa, comunque, è trac-ciata. In questa prospettiva si apre uno sce-nario interessante, perché diventapraticabile una convergenza fra lamedicina occidentale e quella orien-tale, tipicamente quella cinese. Que-

st’ultima ha sempre mes-so molta più enfasi, nellasua attenzione terapeuti-ca, sul soggetto singolo ela cornice esistenziale eambientale in cui è rac-chiuso. Ma sul piano deifarmaci non ha certa-mente ottenuto i risultatidella medicina occiden-

tale. Ora, qui da noi, si stafacendo strada una disciplina, defini-ta System Biology, che pone al centrodel suo operare l’uso dell’elaborazio-ne dei dati via computer e il patrimo-nio conoscitivo della genetica. Janvan der Greef, olandese, docente diAnalytical Biosciences all’Università diLeiden e direttore del Centro Sino-olandese per la Medicina preventiva epersonal izzata, scr ive su Nature(22/29 dicembre 2011): «In uno stu-dio condotto dal nostro centro su pa-zienti affetti da artrite reumatoide, imedici appartenenti alla scuola TCM(ndr: Traditional Chinese Medicine)suddivisero i soggetti in categorie“calde” e “fredde”, basandosi suquestionari che evidenziavano atteg-giamenti comuni, entità e caratteristi-che dei dolori, altri sintomi come lasete e la febbre, ed anche analisi del-la lingua e del polso. Una analisi, de-gli stessi due gruppi di pazienti, con imetodi della System Biology, ha mes-so in luce significative differenze sta-tistiche notevoli fra di loro…». I dueapprocci, quindi, hanno trovato im-portanti confluenze, mostrando co-me tecnologie avanzate recuperinotutto ciò che di positivo può esserci intradizioni antiche.** z

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Nel futuro? Forse l’applicazione

più sorprendente in termini

di “custom” èquella che vedremo

nel campo della medicina.

** TRATTO DA“PAROLE PER IL FUTURO”, EDIZIONI AMBIENTE,IDEATO CON IL CONTRIBUTODI IMQ - IN COMMERCIODA AUTUNNO 2012

tascabilidell ’ambiente

Piccolo vocabolario dei prossimi decenni

Federico Pedrocchiparoleper il futuro

Volume ideato con il contributo di

* FEDERICO PEDROCCHIGIORNALISTA DI SCIENZA.CONDUCE E DIRIGE LATRASMISSIONE SETTIMANALEDI SCIENZA MOEBIUS E IL SITODELLA TRASMISSIONE STESSA,IN ONDA SU RADIO 24 - IL SOLE24 ORE. DIRIGE TRIWÙ, UNAWEB TV DEDICATAALL’INNOVAZIONE. FA ATTUALMENTE PARTE DELGRUPPO DI COORDINAMENTODEL PROGETTO EUROPEONANOCHANNELS, DEDICATOALL’ANALISI DELL’IMMAGINARIOCOLLETTIVO SULLENANOTECNOLOGIE.COORDINA L’ATTIVITÀSEMINARIALE DELLO SMART CITYROADSHOW, PROGETTO DISMAU IN COLLABORAZIONE CONANCI, SERIE DI APPUNTAMENTIDEDICATI AI PROGETTI PER LECITTÀ INTELLIGENTI. INSEGNANEW MEDIA AL MASTER INCOMUNICAZIONE SCIENTIFICA EINNOVAZIONE DELLA UNIVERSITÀMILANO BICOCCA. HA SVOLTOATTIVITÀ DI CONSULENZA PER LACOMMISSIONE EUROPEA INMERITO ALLE PRASSI FORMATIVEPER MIGLIORARE IL RAPPORTOFRA MEDIA E RICERCASCIENTIFICA.

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FINITA L’ERA DEL MODELLOUNIPOLARE, CON UN’UNICA

POTENZA EGEMONE, ILNOSTRO PIANETA SARÀSEMPRE PIÙ UNA REALTÀMULTIPOLARE. TRAFRAMMENTAZIONI EINTEGRAZIONI, PASSANDO DALLARUSSIA ALLA CINA, DAL KAZAKISTANALL’IRAN, QUALI

SARANNO NEI PROSSIMIANNI LE POTENZE

ECONOMICHE E I PAESI DA TENERE SOTT’OCCHIO?

PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA GEOPOLITICA

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CHI GOVERNERÀ IL PIANETA?

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Identifichiamo anzitutto l’ambito:cos’è la geopolitica?Parto con una precisazione. Geopolitica èun termine riscoperto negli ultimi ven-t’anni. Precedentemente, infatti, perquasi tutta la seconda metà dello scor-so secolo, era stato bandito in quanto,ingiustamente, associato al nazismo.Le definizioni di “geopolitica” sono in-numerevoli; quella che mi piace di piùè quella secondo la quale non esisteuna definizione vera e propria. Alcunistudiosi paragonano la geopolitica a unelefante: pochissimi sanno descriverne itratti distintivi, ma vedendolo per stradatutti lo riconoscono immediatamente. Sebbene esistano numerose e differen-ti geopolitiche, in generale possiamoperò dire che la geopolitica è quella di-sciplina che analizza tutte le situazionidi crisi, di rischio, le sfide a vari livelli chegli Stati e le organizzazioni internazio-nali devono affrontare nei vari scenariregionali, prescindendo del tutto daogni visione ideologica. La geopolitica,infatti, cerca di analizzare nel modo piùoggettivo possibile i veri fattori di in-stabilità, al fine degli interessi del pro-prio stato o della propria istituzione.Non è una disciplina solo analitica, maè anche predittiva e prescrittiva e dà,inoltre, delle indicazioni su come unoStato dovrebbe muoversi all’internodei vari scenari locali.Nel definire la geopolitica (ma, comeanticipato sopra, sarebbe più correttoparlare di “geopolitiche”) c’è un’ampiapluralità di fattori da considerare: alcu-ni sono di hard security, vale a dire ri-

guardanti la sicurezza militare, per iquali le analisi si concentrano sui gran-di “archi di crisi” (primo fra tutti quellomediorientale, seguito da quello del-l’Africa Sub-Sahariana); poi ci sono ifattori di soft security, che riguardanole tematiche del futuro, in particolarecome influiranno sul nostro sistema-Paese e sulla nostra sicurezza in sensoampio. Per dare qualche esempio: ilrapporto tra i trend demografici e lamarginalizzazione demografica del-l’occidente; oppure, il trend della geo-politica delle risorse, che analizza lacompetizione per il controllo e lo sfrut-tamento delle ri-sorse energeti-che, agricole,minerarie. Oancora la geo-politica dell’ac-qua, che è sem-pre più un ele-mento di com-petizione e in-stabilità. Vi so-no poi analisi sudiscorsi più cul-turali, cioè su come la penetrazioneculturale e linguistica può rafforzare ilsoft power di uno Stato: un esempioper tutti è rappresentato dagli StatiUniti i quali oltre alla loro capacità dihard power hanno beneficiato dellaforte diffusione della loro cultura alta ebassa, a cominciare da McDonald e aifilm per arrivare alle loro Università.Vi è poi la Critical Geopolitics, una ri-flessione più epistemologica sui mec-

La geopolitica, alcuni la paragonano

a un elefante:pochissimi sanno

descriverne i trattidistintivi, ma

vedendolo per stradatutti lo riconosconoimmediatamente.

VEDO, PREVEDO E STRAVEDO CHE NEI PROSSIMI ANNI CINA, INDIA, BRASILE, TUR-CHIA E INDONESIA SI CONSOLIDERANNO COME NUOVE POTENZE ECONOMICHE E CHE

RUSSIA, BIELORUSSIA E KAZAKISTAN SARANNO DA TENERE SOTTO OSSERVAZIONE.SFERA DI CRISTALLO? NO DI CERTO: GEOPOLITICA. UNA DISCIPLINA, ANZI NO, UNA

“MULTIDISCIPLINA” ASSAI COMPLESSA CHE PORTA CON SÉ UN IMPONENTE BAGA-GLIO DI SETTORI DI INDAGINE, DI LUOGHI E DI ATTORI. GRAZIE ALLA QUALE È POS-SIBILE RISALIRE ALLE CAUSE E ALLE CIRCOSTANZE CHE HANNO PORTATO A DETERMI-NATE RELAZIONI TRA GLI STATI, MA ANCHE PREVEDERE I MOVIMENTI DELLE GRANDI

POTENZE E LE AZIONI CHE INFLUENZERANNO GOVERNI, RELIGIONI, RISORSE, RELA-ZIONI INTERNAZIONALI. PER PROVARE A INDIVIDUARE IL FUTURO DEGLI EQUILIBRI IN-TERNAZIONALI E L’HIT-PARADE DEI PAESI IN MAGGIORE MOVIMENTO, CI SIAMO RI-VOLTI A DUE ESPERTI DELL’ARGOMENTO: RICCARDO REDAELLI E TIBERIO GRAZIANI.

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INTERVISTAA RICCARDO REDAELLIProfessore associato di Storiadelle civiltà e delle culturepolitiche e docente diGeopolitica e di Culturae civiltà del Medio Orientepresso la Facoltà di ScienzeLinguistiche e LetteratureStraniere dell'UniversitàCattolica del Sacro Cuoredi Milano.

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canismi di costruzione del consenso alpotere, che analizza in modo critico lageopolitica, considerandola soprattut-to uno strumento di potere dei grandipaesi occidentali.

Il 2012 è un anno contrassegnato daun ricambio generalizzato della clas-se politica (ritorno di Putin in Russiae del socialismo in Francia, ricambioai vertici del partito in Cina…). Sonocambiamenti che saranno in gradodi sconvolgere la geopolitica del pia-neta? E più in generale, quali sonogli elementi cardine in grado di mo-dificare gli equilibri geopolitici?La geopolitica ha uno sguardo piuttostoampio; per quanto siano importanti leclassi politiche, essa non le analizza piùdi tanto, perché crede che ci sia una con-tinuità di interessi e di proiezioni di po-tenza da parte dei singoli Stati nel lungoperiodo che vada oltre il singolo attorepolitico. Ad esempio, la Russia ha un in-teresse verso il Sudest Europeo, verso icosiddetti Mari Caldi, che prescinde dachi si trova al potere perché si tratta di uninteresse costante, che dura da secoli.Oppure, pensiamo alla Cina, che fa una

geopo l i t i c amolto efficiente,

attenta ai propri inte-ressi, e che va oltre la sin-

gola persona che è al potere.Una geopolitica che riguarda il

consolidamento del Paese come at-tore internazionale e la messain sicurezza delle sue fragililinee di comunicazionemarittime, sia per leesportazioni dei loro pro-dotti, sia per l’importazio-ne dell’energia e dellematerie prime.Quindi, a meno di nonavere grandi rivoluzioniche cambino del tuttol’assetto di uno Stato (co-me ad esempio la Rivoluzio-ne Iraniana, la caduta di Mubarak o del-l’Unione Sovietica), la sostituzione di uncapo di governo con un altro attira me-no l’attenzione della geopolitica che siconcentra soprattutto sulle questioni dellungo periodo.

Quali paesi domineranno gli assettigeopolitici futuri?Oggi si definisce il sistema internaziona-le come un sistema multilaterale e asim-metrico. Mi spiego: gli USA hanno avu-to un momento unipolare durante ilquale hanno registrato una fase di forteespansione egemonica, che ha portato,successivamente, a un loro indeboli-mento. Da questo indebolimento è sca-turita una fase multipolare in cui si sonoimposti sulla scena internazionale anche

altri Paesi, nella quale gli USA hannomantenuto l’egemonia militare (da cuidefinizione di “sistema asimmetrico”). Le nuove potenze di oggi (ma in alcunicasi sono le vecchie potenze che torna-no alla ribalta dopo secoli di declino) so-no la Cina, l’India, il Brasile, la Turchia,l’Indonesia, tutte realtà con un sistemadi valori e interessi molto diversi da quel-lo occidentale.

Nei suoi testi ha approfondito parti-colarmente il ruolo dell’Iran e delFondamentalismo Islamico; a questoproposito, cosa ci riserva il futuro?L’Iran rappresenta un punto crucialedella crisi mediorientale, soprattuttoper il suo tentativo di ottenere una ca-pacità nucleare latente (che significanon avere materialmente la bomba,ma avere la capacità di fabbricarla).Questo è solo un aspetto del problema:il tentativo dell’Iran, infatti, è quello diuscire dall’isolamento nel quale è stato

confinato dagli USA e diven-tare così un attore regiona-le quasi egemonico. Tenta-tivo che però ha inimicatoquasi tutti i Paesi dell’area esoprattutto ha scatenato lareazione dei Paesi arabisunniti, che stanno cercan-do di reagire alla crescitadell’arco sciita e in partico-lare dell’Iran, che è sciita epersiano, quindi da sem-

pre nemico del mondo ara-bo-sunnita. L’Iran è stato inoltre “aiu-tato” dai disastri combinati dagli USAin Iraq e in Afghanistan e si è raffor-zato. Si tratta, però, di un rafforza-mento più fragile di quanto non sem-brasse qualche anno fa perché restacomunque un Paese isolato, perché losciismo si sta rafforzando in alcunearee ma in altre è sempre sottopres-sione (ad esempio in Libano e in Siria)e perché l’arco sunnita è decisamentepassato al contrattacco e può conta-re su risorse economiche più consi-stenti. In questo frangente, il radicali-smo islamico ne guadagna: più è for-te il conflitto tra mondo arabo e mon-do persiano, tra sunniti e sciiti, e piùsi rafforzano le frange estremiste diquesta religione, con relative conse-

PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA GEOPOLITICA

Le nuove potenze di oggi sono

la Cina, l’India, il Brasile, la Turchia,l’Indonesia, tutte

realtà con un sistemadi valori molto diversida quello occidentale.

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guenze anche per l’occidente.

Quale sarà il ruolo dell’Italia nelloscenario geopolitico internazio-nale?Ahimè, l’Italia da anni prova a sostene-re un ruolo internazionale molto attivo(con le missioni di pace e quelle umani-tarie) che però stenta a mantenere, enon solo per la crisi economica. L’Italia,infatti, negli ultimi tempi ha accusatoanche una fortissima crisi di immagine,e quando ha cercato di recuperare èstata travolta dalla crisi economica.A parte questo, dando un’occhiata atutti i trend demografici, economici,delle risorse, si nota una progressiva edevidente marginalizzazione dell’Euro-pa e, all’interno dell’Europa, anche delnostro Paese. Quindi, il ruolo geopoli-tico del vecchio continente sarà pro-gressivamente ridotto: basti pensareche nel 2050 l’Europa rappresenteràsolo il 4% della popolazione mondialee che nel 2030, un abitante su tre, nelmondo, sarà indiano o cinese. Potremmo cercare di risollevare la si-tuazione con una classe politica euro-pea capace di gestire le situazioninel lungo termine e che non prestiascolto solo alle paure del popo-lo. Ma una classe politica del ge-nere non esiste, né in Europa,né in Italia.

Come si intersecanogeopolitica dei Paesi egeopolitica delle ri-sorse?Sono strettamenteintrecciate perché

la competizione futura si baserà semprepiù sul controllo delle risorse, non solopolitico ma anche economico-finanzia-rio, tramite joint ventures e accordi dilungo periodo. In questo senso, il Paeseche si è mosso meglio è la Cina: metàdelle risorse dell’Africa sono già nellemani dei cinesi che hanno saputo strin-gere accordi molto forti e a lungo ter-mine con i governi locali. La Cina puòinoltre contare su una forza lavoro enor-me a basso prezzo, ha il vantaggio chele aziende cinesi non devono retribuireogni anno i loro azionisti; in questo mo-do, possono fare investimenti e offrirecondizioni che le ditte occidentali diffi-cilmente possono consentire.

Quali sono i concetti e le parolechiave che caratterizzeranno il fu-turo della geopolitica?Risorse, energia, acqua, crescita demo-grafica, cambiamento climatico, maanche tecnologia militare, human secu-rity. Quest’ultima è da intendersi nonsolo come sicurezza militare dello Stato,ma come sicurezza dell’individuo, inte-sa come libertà dal bisogno, dalla pau-ra e dalla costrizione. z

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA GEOPOLITICA

Come si evolverà lo studio della geo-politica?Lo studio della geopolitica è in grande evo-luzione, possiamo addirittura parlare di un“rinascimento” della geopolitica. In Italia,l’IsAG è stato un precursore perché ha ca-pito presto che la geopolitica va pensatacome materia multidisciplinare che si avva-le dell’apporto di quelle che nel nostro Isti-tuto definiamo scienze ausiliare: ne sonoesempi la demografia, la statistica, l’analisidi asset strategici come della conoscenzascientifica e tecnologia, le alte tecnologie o,ancora, le scienze legate alla politica inter-na, alla sociologia, alla coesione sociale, al-l’etnografia. Uno degli ambiti che interes-serà sempre di più i geopolitici, sarà quellorivolto al dialogo delle civiltà: questo perchéla disciplina si sta sempre più concentrandonello studio relativo all’aggregazione di

grandi spazi nei quali convi-vono diverse popo-

lazioni con dif-ferenti cul-

ture e reli-gioni e

dove, quindi, èfacile che nascano

scontri e tensioni.La geopolitica del futuro andràquasi a contrastare quelle ten-denze di fine secolo, e di matriceanglosassone, che invece si basa-vano sullo scontro tra le civiltà.Posso dire che da parte nostra, cisarà molto da fare e da studiareper individuare quegli elementi che

possono contenere e ridurre le tensioni trale diverse popolazioni che convivono nellastessa unità geopolitica, e dunque aiutare idecisori politici a realizzare unità geopoliti-che stabili.

Il primo numero del 2012 di “Geopoli-tica” è dedicato ai “Vent’anni di Rus-sia”; com’è cambiato il suo ruolo inquesto periodo e quale sarà negli as-setti geopolitici futuri?Abbiamo voluto dedicare questo numeroalla Russia perché il suo ruolo, specialmen-te dopo il collasso dell’Unione Sovietica, èdiventato importante per l’intero Pianeta.Mosca, a partire dalla prima presidenza diPutin e quindi da circa dodici anni, deter-mina l’agenda internazionale. Dal punto divista geopolitico, due decenni sono un pe-riodo piuttosto esiguo, tuttavia l’afferma-zione della Russia come attore globale me-rita un’adeguata riflessione, utile per la va-lutazione degli orientamenti della futurapolitica estera di Mosca e soprattutto per lasua prassi geopolitica nei confronti di alcu-ne aree del Pianeta. La Federazione Russa, nata dalle ceneri del-l’Unione Sovietica, dopo un primo periododi instabilità, è riuscita in poco tempo a ri-confermare il suo ruolo di gigante interna-zionale. Nel delicato e fugace sistema uni-polare, contraddistinto dall’espansionestatunitense verso la massa euroasiatica,peraltro attuata con la prassi delle guerrecosiddette “umanitarie” in Afghanistan,Iraq e Libia, Mosca ha recuperato piena-mente il prestigio sia sulle nazioni ex sovie-tiche, sia presso gli attori globali emergen-ti come Cina, India, Brasile, Sudafrica. Que-sto prestigio ritrovato presso i Paesi emer-genti ha consentito un sostanziale riequili-brio, appena offuscato dalla crisi del 2008in Georgia, e ha portato a un nuovo asset-to, che possiamo definire trans-regionale epro-euroasiatico, nel quale la FederazioneRussa, lungi dall’assumere la posizioneegemone che aveva nell’Unione Sovietica,ha privilegiato gli aspetti cooperativi volti al-lo sviluppo socioeconomico e alla sicurezzacollettiva dell’intera area. Questa prassicooperativa adottata da Mosca ha caratte-rizzato anche le relazioni intessute in un se-condo momento con i Paesi emergenti:oggi, con questi Paesi, la Russia costituisceil formidabile raggruppamento geo-eco-nomico dei Brics (e cioè, oltre alla Russia,Brasile, India, Cina e Repubblica Sudafrica-

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In questo momento di crisi globale, lo studio della

geopolitica aiuterebbe i giovani a superare leincrostazioni ideologiche e ad avere future classi

dirigenti più preparate e realistichenell’identificazione delle nostre necessità .

INTERVISTA A TIBERIO GRAZIANIPresidente IsAG,Istituto di Alti Studiin Geopolitica eScienze Ausiliarie,e direttore dellarivista “Geopolitica”.

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na), destinato a incidere sempre più pro-fondamente nei futuri scenari globali. La riaffermazione di Mosca sul piano inter-nazionale mondiale è stata possibile graziea due fattori: la consapevolezza della clas-se dirigente russa, capitanata da Putin, cir-ca il ruolo della relazione che passa tra lacoesione interna e gli aspetti strategici delpaese e, in secondo luogo, lo stabilirsi dinuovi e adeguati rapporti con l’estero vici-no (un esempio recente è ben rappresen-tato dalla costituzione dell’unione euroa-siatica doganale tra Bielorussia, Kazakistane Russia).Il ritorno della Russia quale attore globalenelle dinamiche internazionali, per altroforte di importanti partenariati che rag-gruppano le principali nazioni asiatiche co-me l’organizzazione del trattato per la si-curezza collettiva, l’organizzazione euroa-siatica economica (EurAsEC) e i Brics, costi-tuisce uno degli elementi essenziali checontrassegneranno il sistema multipolarefuturo. Occorre anche dire che Mosca do-vrà superare delle sfide: sul fronte interno,saranno sfide relative alla pace sociale, allamodernizzazione della struttura pubblica edei processi industriali, all’adeguamentodell’apparato di difesa; sul fronte interna-zionale, le sfide concerneranno il manteni-mento dello status di nazione - continentee la sua funzione nell’accelerazione del pro-cesso multipolare (che è già a uno statoavanzato).

Quali saranno i temi caldi e i principaliattori geografici, economici e politicisui quali si concentrerà la disciplina?I temi caldi saranno tantissimi e saranno re-lativi sicuramente alle risorse energetiche,al primato tecnologico, al consolidamentodel sistema multipolare e alla modernizza-zione degli assetti post industriali. Perquanto riguarda gli attori geografici, pos-siamo dire che le aree che saranno a lungooggetto di attenzione della geopolitica so-no il Mediterraneo (includendo anche il Vi-cino Medio Oriente), l’Africa e l’Asia Cen-trale. L’Asia Centrale e il Mediterraneo rap-presentano due focus molto importantiper l’IsAG ma in generale per tutti gli stu-diosi di geopolitica. In particolare, il Kazaki-stan: soprattutto negli ultimi cinque anni,infatti, questo Paese ha registrato un fortesviluppo economico che ora sta dando deifrutti in termini di modernizzazione e ade-guamento delle infrastrutture. Il presiden-

te Nezarbaiev ha compiuto un lavoro cheper quanto riguarda il Kazakistan, e di con-seguenza l’Asia Centrale, è davvero epoca-le. Sarà quindi molto interessante per noiitaliani e per tutti gli europei porre l’atten-zione su quest’area. Un altro Paese sul qua-le sarà interessante indagare è la Bielorus-sia: grazie probabilmente all’unione con laRussia e il Kazakistan, sarà un Paese cheavrà bisogno di investimenti e di know howche può venire benissimo dall’Italia e dal-l’Europa.

Immaginiamo che la geopolitica ven-ga inserita come materia obbligatorianei i licei. Quali i vantaggi?Questa è una domanda interessante e, amio avviso, una richiesta che bisognerebbedavvero rivolgere a chi di competenza. Sitratta di un tema al quale tengo molto eche affrontai tempo fa durante una con-versazione con il Professor François Thual,decano degli studi di geopolitica in Francia.Ritengo che lo studio della geopolitica, pa-rallelamente a quello dell’educazione civi-ca, sia fondamentale per la preparazione alfuturo delle nuove generazioni, soprattut-to in questo momento di crisi globale. Lageopolitica, infatti, aiuterebbe le nuove ge-nerazioni a superare le incrostazioni ideo-logiche nelle quali ancora soggiacciono; ilvantaggio per la società si rifletterebbe, ol-tre che in una più adeguata preparazionedelle future classi dirigenziali, anche nel-l’identificazione realistica delle necessitàpolitiche, culturali ed economiche del no-stro paese.

Quali sono i concetti che caratterizze-ranno il futuro della geopolitica?Per rispondere a questa domanda bisognafare riferimento all’analisi del processo ditransizione dalla fase unipolare a quellamultipolare. Tale processo ci induce a rite-nere che i concetti guida e le parole chiavedel futuro della geopolitica potranno esse-re: il consolidamento del multipolarismo, latensione tra la tendenza alla frammenta-zione degli spazi geopolitici e la tendenzaall’integrazione di vaste aree geopolitiche,la migrazione, il continentalismo, la parcel-lizzazione di unità geopolitiche, le aggre-gazioni sub-regionali, le organizzazioni disicurezza collettiva, i Paesi Brics, l’integra-zione euroasiatica, l’integrazione indio-lati-na, le risorse energetiche, l’alta tecnolo-gia, le terre rare e l’acqua, ovviamente! z

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AREA GEOGRAFICA E PER AREA TEMATICA (AD

ESEMPIO LE RISORSE, L’ENERGIA O L’ACQUA, I

CONFLITTI, I CAMBIAMENTI CLIMATICI, LETENSIO-NI DELLE AREE GEOGRAFICHE “CALDE”, LA SICU-REZZA). PUBBLICA LIBRI, ALCUNI DI TAGLIO PIÙ

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DELL’ISAG E UNA RICCA ATTIVITÀ SEMINARIALE

CHE SVOLGE SIA SU RICHIESTA, SIA NELL’AMBITO

DELLA PROMOZIONE DELLA RIVISTA. INOLTRE, OR-GANIZZA CONFERENZE CON PARTNER DEL SISTE-MA ECONOMICO E INDUSTRIALE ITALIANO ED

ESTERO; DI RECENTE, AD ESEMPIO, HA DEDICATO

UN EVENTO AI PAESI BRICS INSIEME ALLO STUDIO

INTERNAZIONALE NCTM, CON LA PARTECIPAZIO-NE DI FUNZIONARI DELLE CINQUEAMBASCIATE, DI

CONFINDUSTRIA, DEL CEMISS (IL CENTRO MI-LITARE DI STUDI STRATEGICI). A BREVE NE SVOL-GERÀ UN ALTRO DEDICATO AL BRASILE , OLTRE A

MOLTI ALTRI, PER UNA MEDIA DI CIRCA UN EVEN-TO OGNI MESE/MESE E MEZZO. I RICERCATORI

ISAG, INOLTRE, PARTECIPANO IN MANIERA CON-TINUATIVAA FORUM E CONFERENZE NAZIONALI E

INTERNAZIONALI ORGANIZZATE DA UNIVERSITÀ E

CENTRI DI STUDIO: IN PARTICOLARE, PRENDE PAR-TE AI FORUM ITALO-RUSSI ORGANIZZATI DA LA

SAPIENZA EA QUELLIANNUALI DEIWORK PUBLIC

FORUM- DIALOGO DICIVILTÀARODI. E POI, OV-VIAMENTE, CI SONO LE INTERVISTE!

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L’ORIZZONTEDEL MONDO

IL RUOLO DELL’ITALIA E QUELLO DELL’UNIONE EUROPEA NEL MUTATO QUADRO GEOPOLITICO INTERNAZIONALE; LA FUNZIONE DELL’ONU E IL PROCEDERE DELLA GLOBALIZZAZIONE NELLE SUE DISTINTE DIMENSIONI: QUALI SCENARI SI PREVEDONO A PROPOSITO DI RELAZIONI INTERNAZIONALI?

Intervista a Enrico Fassi, docente di Relazioni Internazionalidell’Università Cattolica di Milano e Associate Research Fellowpresso l’ISPI, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale.

La ricerca ISPI si focalizza su te-matiche di particolare interesseper l’Italia e le sue relazioni in-

ternazionali; a questo proposito, alcentro di quali scenari si troveràl’Italia in futuro?Per rispondere a questa domanda oc-corre innanzitutto distinguere un livellogenerale, o più precisamente sistemico,che riguarda il mondo nel suo comples-so, e un livello più specifico, relativo alrango/ruolo dell’Italia e alla sua partico-lare collocazione geopolitica. A livello dimacro-scenari si possono identificare al-meno due tendenze: da una parte laframmentazione del sistema internazio-nale, un tempo unificato dallo scontroideologico della Guerra Fredda, in unaserie di sottosistemi, ciascuno caratteriz-zato da determinati attori, norme e re-gole di comportamento. Dall’altra, il co-siddetto Global Shift, ovvero una ridi-

stribuzione di potenza a livello interna-zionale che vede emergere sempre dipiù le potenze asiatiche – Cina ed Indiasu tutte - con un conseguente sposta-mento dell’epicentro della politica inter-nazionale dall’Atlantico al Pacifico.Tali processi globali hanno ricadute im-portanti anche nel contesto europeo edeuro-atlantico nel quale è inserita l’Italia.Per quasi 40 anni la NATO e l’Unione eu-ropea sono infatti stati i cardini, sostan-zialmente indiscussi, all’interno dei qua-li si è mossa la politica estera del nostropaese. In un certo senso, con la fine delsistema bipolare, tali costanti sono dive-nute variabili, e con l’11 settembre - e laguerra in Iraq - si sono rilevate semprepiù le possibili contraddizioni tra euro-peismo e atlantismo, acuendo in qual-che misura il disagio di una media po-tenza che si è trovata, talvolta suo mal-grado, a dover (tornare a) compiere scel-

te importanti in politica estera.A questo si aggiunga che anche la terzaclassica direttiva della politica estera ita-liana, ovvero quella mediterranea, si èmessa in movimento con la “primaveraaraba”, portando a un ripensamentonecessario di quelli che erano conside-rati rapporti solidi e tendenzialmentestabili. In tal senso, i tentennamenti ita-liani di fronte alla crisi libica sono in unacerta misura imputabili anche all’inevi-tabile smarrimento provocato dall’evo-luzione di questo più ampio quadrogeopolitico.

Quale sarà il ruolo degli organismiinternazionali (ad esempio l’ONU)?Molto dipenderà dal modo in cui le or-ganizzazioni internazionali saprannoevolversi e adattarsi in modo coerenteagli scenari appena descritti. Se è veroche le istituzioni possono rivestire di un

PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA POLITICA INTERNAZIONALE

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manto di legalità e legittimità quelli chealtrimenti sarebbero crudi rapporti diforza, difficilmente esse hanno la forzadi incidere su tali squilibri. Dall’altra par-te, il rischio delle istituzioni è invecequello di cadere vittime di una sorta disclerosi, di viscosità, di resistenza al cam-biamento, per cui finiscono per cristal-lizzare una situazione de jure che tendeprogressivamente ad allontanarsi dallarealtà de facto. L’ONU è un po’ il simbolo di tale difficol-tà. Al suo interno convivono infatti duediversi principi di legittimazione: il prin-cipio di uguaglianza, che caratterizzal’Assemblea Generale, e quello del pesostrategico dei singoli attori, incarnatodal Consiglio di Sicurezza e dal diritto diveto dei membri permanenti. Dopo unasorta di lunga paralisi dettata dalla Guer-ra Fredda, nei primi anni ‘90 il Consigliodi Sicurezza è tornato a interpretare un

ruolo di primo piano, ma il mutamentodel contesto fa si che oggi sia percepitocome un organismo sempre meno rap-presentativo. Questo in parte spiega an-che il passaggio verso meccanismi dicooperazione meno strutturati, come lecoalizioni ad hoc, o a formule comequella del G20, in cui gli attori emer-genti possano trovare maggiore spazio.

Quale sarà il futuro dell’Unione eu-ropea? In questa fase è difficile - se non impos-sibile - prevedere quale sarà il futuro del-l’Ue. Di certo l’Unione si trova di frontea sfide di vasta portata. Innanzitutto, lacrisi economica ha messo in discussionel’unico aspetto che fino ad oggi era rite-nuto il caposaldo del progetto d’inte-grazione europea, ovvero la sua dimen-sione economica. All’inizio di questa cri-si, di fronte ai rischi di insolvenza di al-

cuni paesi, l’Europa ha reagito in modointempestivo e scarsamente coeso, in-generando così anche una crisi di sfidu-cia che ha finito per contagiare anchel’Euro. A oggi, i meccanismi di coordi-namento e di governance economicache sono stati messi in campo non sem-brano sufficienti a scongiurare il ripeter-si di crisi analoghe. Dal punto vista politico le sfide non ap-paiono di minore portata. Dopo l’eufo-ria dell’allargamento dell’Ue da 15 a 27paesi, l’Unione si trova oggi a dover af-frontare sia i nodi irrisolti di tale proces-so - dal fallimento del Trattato Costitu-zionale alla qualità delle istituzioni de-mocratiche dei nuovi paesi membri, dairapporti con la Russia al futuro dei Bal-cani - sia un contesto geopolitico in ra-pido mutamento. Proprio sulla capacitàdell’Ue di esercitare un ruolo efficace ecredibile innanzitutto nel quadro regio-

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nale, e in particolar modonei confronti di quella cheviene definita l’area del Vi-cinato - che si estende dalMarocco fino alla Bielorus-sia, passando per il Medio-riente ed il Caucaso - si gio-ca in gran parte il suo futu-ro.

Si parla di globalizzazio-ne già da diversi anni; ma c’è ancoracosì tanto da “globalizzare”?In effetti quello della globalizzazione èstato uno dei concetti chiave degli ulti-mi 15-20 anni. Tuttavia, rispetto ai facilientusiasmi dei primi anni ’90, oggi pre-vale una valutazione più equilibrata diquesto processo, che è al contempoeconomico, politico e culturale, e che siè rivelato molto meno coerente ed uni-forme di quanto si potesse inizialmentepensare. Da una parte, la globalizzazio-ne procede con diverse velocità nelle suevarie dimensioni: un problema in tal sen-so è dato dal fatto che alla globalizza-zione economica non è corrispostaun’analoga globalizzazione dei diritti edei meccanismi di governance. Dall’al-tra parte, l’idea della globalizzazione co-me di un processo di progressiva unifi-cazione e uniformazione del mondo sul-la base di determinati modelli politico-culturali (di matrice occidentale) si èscontrata tanto con l’emergere di formedi resistenza culturale - si pensi al ritor-no delle identità primarie (religione, et-nia, clan ecc.. ) come fattore di aggre-gazione e scontro politico - quanto conil relativo successo di modelli politici al-ternativi - dalla “democrazia sovrana”di Putin, all’autoritarismo cinese, allateocrazia iraniana. Al tempo stesso, ladimensione regionale dei fenomeni po-litici, economici e sociali sembra assu-mere un peso relativo sempre maggiorenei confronti delle spinte globalizzanti.

All’interno dell’ISPI si svolgono leattività didattiche dell’ISPI School,rivolto principalmente all’approfon-dimento di cinque aree tematiche(emergenze, diplomazia, sviluppo,affari europei e attualità internazio-nale); secondo lei, quali tra questitemi è più “urgente” e più caldo?

Tutti questi ambiti sono inrealtà strettamente legatitra loro. Dovendo indicareun tema prioritario, sce-glierei quello dello svilup-po, perché ritengo cheuna delle questioni più ur-genti che la comunità in-ternazionale si trova a do-ver affrontare riguardiproprio le disuguaglianze

che caratterizzano l’attuale sistema. Macome detto si tratta di un tema trasver-sale che investe tutti gli ambiti appenacitati: molte delle crisi e delle emergen-ze degli ultimi anni sono legate a guer-re, carestie o calamità naturali che assu-mono dimensioni tragiche proprio acausa dello scarsissimo livello di sviluppodei paesi nei quali si verificano. Il temadel sottosviluppo è al tempo stesso unproblema che interessa da vicino l’Euro-pa, che non può illudersi di regolare econtenere la pressione migratoria senzaun’adeguata politica di sviluppo indiriz-zata verso la sponda sud del Mediterra-neo e l’Africa sub-sahariana. In terminidi diplomazia internazionale, il temadello sviluppo si intreccia tanto conquello della riforma delle istituzioni in-ternazionali quanto con il problema del-la sostenibilità ambientale degli attualimodelli di sviluppo.

Quali sono secondo lei le parolechiave e i concetti che caratterizze-ranno il futuro della politica inter-nazionale?Oltre al tema delle disuguaglianze,cui ho già accennato, ne citerei altridue: pluralità e sicurezza.Il primo riguarda qualcosa di nuovo,ossia il processo di adeguamentodelle istituzioni di governance (pen-siamo all’ONU, al G8, ma anche al-le riforme dei diritti di voto di WB eFMI) dell’attuale ordine internazio-nale e in particolare la sua capacità diessere al tempo stesso inclusivo erappresentativo di un pluralismo (dimodelli, di culture, di istanze) che nonpuò più essere ignorato da parte del-l’Occidente. In termini di rappresentati-vità il passaggio di consegne tra il G8 eil G20 è da considerarsi senza dubbio unprogresso: intorno al tavolo che fino a

oggi aveva escluso poco meno della me-tà della ricchezza del pianeta, e quasi il90% dei suoi abitanti, siedono oggi sim-bolicamente circa i 2/3 della popolazio-ne mondiale, oltre l’85% del PIL e l’80%del commercio globale. Più incerta è in-vece la capacità di quest’ordine - di ma-trice prettamente occidentale - di conti-nuare a funzionare con le medesime re-gole in un momento in cui la pluralitàculturale, che è sempre esistita in cam-po internazionale, si accompagna a ine-diti rapporti di forza in favore degli atto-ri non occidentali. Il secondo concetto, quello di sicurezza,è invece un concetto antico - per così di-re “classico” - in politica internazio-nale, che si va tuttavia riempien-do di nuovi contenuti. I pro-blemi di sicurezza con iquali dovremo con-

In questa fase è difficile

prevedere quale saràil futuro dell’Ue.Di certo l’Unione

si trova di fronte asfide di vasta

portata.

PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA POLITICA INTERNAZIONALE

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frontarci in futuro infatti non sarannopiù legati al rischio di una invasione ter-ritoriale da parte di altri stati o di unaguerra nucleare tra le grandi potenze(com’era durante la Guerra fredda), maproverranno sempre più da attori priva-ti, non statuali: reti terroristiche, crimi-nalità organizzata, pirateria ecc. Inoltre,ad essere minacciata non sarà più solo -

o soprattutto - la sopravvivenza fisica,ma in particolare il livello di benesseredelle nostre società e le risorse che con-sentono di mantenerlo: si tratterà per-tanto sempre più di sicurezza energeti-ca, alimentare, ambientale così comequella legata alla libera fruizione delleinfrastrutture di trasporto e comunica-zione (si pensi ad esempio ad Internet e

agli esiti potenzialmente devastanti delcyberterrorismo). Insomma, una preoc-cupazione antica, quella della sicurezza,ma che richiede risposte e paradigmiconcettuali sempre nuovi. z

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LE RELAZIONI INTERNAZIONALI E L’ISPILe relazioni internazionalirappresentano un ramo dellescienze politiche e si concen-trano principalmente sui rap-porti tra i principali attori in-ternazionali (gli Stati, le orga-nizzazioni inter e non gover-native, l’economia). L’operatodi questi attori (e quindi anchela disciplina delle relazioni in-ternazionali) finiscono inevi-tabilmente per interessare ildibattito pubblico, dal mo-mento che i rapporti tra gliStati o le decisioni diplomati-che e militari che vengonoprese dai governi si ripercuo-tono anche sulle popolazioni.In Italia, tra gli studiosi che sioccupano di tutto questo ci so-no quelli dell’ISPI, l’Istituto pergli Studi di Politica Internazio-nale, che rappresenta una del-le realtà italiane più antiche eprestigiose in materia di rela-zioni internazionali. Il fulcro delle attività dell’Isti-tuto ruota in primo luogo at-torno alla ricerca (strutturatain Osservatori e Programmi suspecifiche aree geopolitiche otematiche trasversali), oltreche alle attività di formazione,divulgazione e alle pubblica-zioni. Il tutto destinato a untarget molto ampio: dagli stu-denti ai rappresentanti delmondo politico, dell’econo-mia e della cultura, dagli espo-nenti delle amministrazionipubbliche a quelli degli orga-nismi internazionali e delle or-ganizzazioni non governative.

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA POLITICA

LA DEMOCRAZIADEL FUTURO

E SE LA CRISI DELLA POLITICA PORTASSE ALLA FINE DEI PARTITI? ALLE ULTIME ELEZIONI AMMINISTRATIVE HANNO PROLIFERATO

LISTE CIVICHE E MOVIMENTI, E IL VENTO DELLA COSIDDETTA “ANTIPOLITICA” SEMBRA SOFFIARE SEMPRE PIÙ FORTE.

NE ABBIAMO PARLATO CON IL COSTITUZIONALISTA MICHELE AINIS CHE CI HA RICORDATO UN VERBO IN PARTICOLARE: CONCORRERE.

Intervista a Michele Ainis*

* MICHELE AINISCostituzionalista, professore universitario di Diritto Pubblico presso l'ateneo di Roma 3, editorialistaper il Corriere della Sera e L’Espresso, Michele Ainis è soprattutto un attento osservatore della poli-tica e società italiana attraverso le lenti del diritto. Il suo ultimo saggio è “L’Assedio. La Costituzionee i suoi nemici” (Longanesi, 2011).

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IMQ NOTIZIE n.96

Professore Ainis, la politica è in ginoc-chio, travolta da scandali di corruzionee fallimenti economici. I tecnici sono algoverno. E i partiti tradizionali comestanno?Malissimo. E che siano in pessima salute èsotto gli occhi di tutti. La fiducia dei citta-dini è ai minimi termini. È un fenomenodiffuso in Europa, che in Italia deriva daprecise responsabilità: se ci ritroviamo unsistema economico disastrato, certamen-te dipende da fattori economici interna-zionali, ma anche dal fatto che questi ven-t'anni di seconda Repubblica, in cui han-no governato a turno destra e sinistra,hanno prodotto conti economici sballatied etica pubblica precipitata. I partiti sonocontrollati da oligarchie ristrette ma ali-mentati con quattrini pubblici, e la politi-ca è diventata un mestiere ben retribuito,anziché un servizio.

I cittadini non amano più i partiti. È perquesto che alle ultime elezioni ammi-nistrative si sono affermate così tanteliste civiche? In effetti nell'ultima tornata elettorale le li-ste civiche, cioè senza simboli di partito, so-no state ben il 61% in più rispetto al votoprecedente, e solo a considerare i comunicapoluogo. Però bisogna anche rifletteresu un fatto: se è vero che talvolta la lista ci-vica corre in proprio, collegata a un candi-dato di partito il cui colore politico ha pocaimportanza nel contesto locale, è altrettan-to vero che più spesso funge da “masche-

ra” per i partiti tradizionali. Questi sembra-no padroneggiare l'escamotage che trovòUlisse con Polifemo accecato: dichiarandodi essere “Nessuno”, si rendono anonimi,restando in realtà protagonisti.

In più occasioni lei ha ribadito la ne-cessità di una riforma del sistema poli-tico. Quali sono secondo lei le primissi-me cose da fare?Attuare la Costituzione. Nell’articolo 49 c'èun verbo fondamentale: “Concorrere”.Ciò vuol dire che i partiti non dovrebberoessere quello che sono diventati, gli attoriunici della scena politica, ma dei co-prota-gonisti. Vuol dire che l'attività politica do-vrebbe svolgersi anche in forme diverse, edovrebbe essere possibile esercitare il pro-prio ruolo di cittadini in altri modi che nonimplicano l'iscrizione a un partito politico.

Lei ha parlato di una “Quarta stagio-ne” dei partiti. Dal Reform Act del 1832 e i raggruppa-menti di notabili dell'Ottocento, siamopassati ai partiti di massa dopo l'introdu-zione del suffragio universale. Oggi siamoai partiti personali in cui la sorte del leadercoincide con quella del partito. La “Quar-ta stagione” dovrebbe essere quella dipartiti più leggeri e meno ricchi. Interlocu-tori - non gli unici - dell'etica politica ge-nerale. In tal senso l'attuale esperienza delgoverno tecnico sta mostrando agli italia-ni che ci può essere un esecutivo che - aldi là dei provvedimenti che possono pia-

cere o meno - ha una sua autorevolezzanon ricevuta in delega dai partiti.

I partiti sono malaticci, ma la nostra de-mocrazia funziona o come sostengo-no alcuni è sospesa? Direi che stiamo attraversando una fasecritica che può essere salutare se ci portaa scoprire per intero il sistema democrati-co: a chiedere più democrazia diretta, piùdemocrazia partecipativa e un po’ menodi democrazia rappresentativa, che èquella degenerata nella partitocrazia.

Proviamo a lavorare di immaginazio-ne: si potrebbe sperimentare nel 21°secolo una democrazia diretta e parte-cipativa pura, in cui si faccia a menodella rappresentanza?No, assolutamente no. Però la fortuna del-la democrazia rappresentativa - ovvero deiparlamenti - coincide con la fortuna deipartiti. Se consideriamo tutto il percorsostorico, quello dei partiti è un tempo mi-nore. È auspicabile che un prossimo tem-po, non solo in Italia - pensiamo a movi-menti come Occupy Wall Street, o espe-rienze come quelle di Bilancio partecipati-vo, o il forum di Porto Alegre - porti più de-mocrazia diretta e partecipativa. D'altraparte, se guardiamo anche solo alla vicinaSvizzera, dove c'è una democrazia rappre-sentativa ma anche una forte democraziadiretta, notiamo che i cittadini di quel Pae-se sono molto meno scontenti dei loro go-vernanti di quanto non lo siamo noi. z

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELL’ECONOMIA

CRESCITA O ALA SFIDA MONDIALE

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a stringere i cordoni della borsa per rimettere a posto i con-ti? Nelle pagine che seguono sono riportate le analisi di al-cuni tra i più influenti economisti del mondo, ma la doman-da preliminare - da ripetersi alla fine di questa sintetica trat-tazione - è: davvero nel mondo dell'economia globale,governato dalle banche centrali e dal Fondo moneta-rio internazionale, i singoli stati sono ancora liberi discegliere tra crescita e austerità? Certo, chi non vorrebbecrescere? Chi non vorrebbe pagare meno tasse e avere mi-gliori tutele e servizi sociali? E chi avrebbe da ridire se au-mentassero i posti di lavoro con i conti del bilancio statale inperfetto ordine? Ma se è scontato che tutti vorremmo la cre-scita e magari anche un pizzico di austerità, il vero dilemmaè che forse nessuno - i governi, le imprese, i cittadini - puòscegliere davvero. E non si tratta - attenzione! - di un mon-do cattivo governato dalle multinazionali o dalla volontà didominio di un’organizzazione criminale: il punto è che l'in-tero sistema economico mondiale appare come prigionierodi se stesso. D’altra parte, politiche rigoriste eccessive “alla tedesca” so-no destinate a fallire fuori dai confini teutonici, perché basa-te su un welfare che, sia pur costoso, è imperniato su un ci-clo virtuoso: tutti pagano le tasse, la macchina dello Statofunziona ed eroga servizi. Sono questi i presupposti su cui si

Due parole antiche i cui significati economici sono en-trati con insistenza nella nostra vita quotidiana, e for-se non è un caso che dopo il fallimento della “turbo-

finanza” si sia tornati a ragionare su parole e concetti sem-plici, a portata di tutti. Crescita o Austerità? Liberare risorsepubbliche per favorire il rilancio dell'economia o continuare

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CAPITALISMO CONTRO SOCIALISMO? ROBA SCADUTA GIÀ NEL SECOLO SCORSO. BORGHESIA CONTROPROLETARIATO? PREISTORIA. LIBERISTI CONTRO STATALISTI? CATEGORIE DEL PASSATO.IL NUOVO DIBATTITO PLANETARIO OGGI È UNO E UNO SOLTANTO: CRESCITA O AUSTERITÀ?

O AUSTERITÀ?

ITALIA: I NUMERI DELLA CRISI DEBITO PUBBLICO 1.946 miliardi di euro Banca d'ItaliaPRESSIONE FISCALE 55% ConfcommercioRECESSIONE -1,3% PIL su base annua IstatDISOCCUPAZIONE 9,8% OcsePIL 1.600 miliardi di euro stima Istat

FONTE

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fondano i sussidi destinati alle famiglie, alle giovani coppie eagli studenti di Berlino o Amburgo. E se i salari dei metal-meccanici tedeschi crescono più del doppio rispetto all'infla-zione (mentre in Italia la proporzione è inversa) è inutile pen-sare che basterebbe “copiare la Germania”: senza riformestrutturali l'austerità è destinata a spargere sale sul terreno

dello sviluppo. Viva la crescita allora? Certo, ma chi ci assicura che il rilanciodella spesa pubblica e una politica monetaria espansiva pro-durrebbero davvero molti più posti di lavoro? E se i veri pro-blemi - cronici in Europa - fossero prima di tutto i costi esor-bitanti e il peso della burocrazia che disincentiva la creazio-ne di imprese e gli investimenti? L'attesa messianica, adesso,è tutta per il neo presidente francese François Hollande, elet-to con la promessa di rivedere i rigidi patti che vincolano ipaesi della zona euro e che dall'altra parte dell'Atlantico haun partner strategico in Barack Obama, il presidente ameri-cano che si giocherà tra pochi mesi la rielezione vantando ibuoni (ma non straordinari) dati della ripresa Usa. La partitaè mondiale: i difensori dell'austerità si fronteggiano contro iguerrieri della crescita. Ma è inutile aspettarsi di vedere un fi-nale di partita: la speranza più concreta è che questa crisi fi-nisca almeno per insegnarci qualcosa. z

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UN CONFRONTO TRA LE TEORIE E IL PENSIERO DEI PRINCIPALI ECONOMISTI MONDIALI: PAUL KRUGMAN, JEAN PAUL FITOUSSI, NOURIEL ROUBINI, SERGE LATOUCHE, GIACOMO VACIAGO.

DIAGNOSI E TERAPIE CONTRO LA CRISI: ECONOMISTIA CONFRONTO

PRIMO PIANO: IL FUTURO DELL’ECONOMIA

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PAUL KRUGMANPremio Nobel per l'Economia nel 2008, insegna Economia e Relazioni internazionali all'Università di Princeton.

ULTIMO LIBRO: “Il ritorno dell'economia della depressione e la crisi del 2008” - Garzanti, 2009

IL PREZZO DELL'AUSTERITÀIl premio Nobel per l'Economia 2008 è uno che ama andare controcorrente. Pren-diamo le banche, per esempio. Quando tre anni fa esplose la grande bolla nel si-stema economico-finanziario, Krugman guardò con sorprendente favore al lorosalvataggio operato da molti governi occidentali: se l’infezione era nata nei cave-au degli istituti di credito, era giusto intervenire proprio lì, per mantenere un mi-nimo di normalità nella circolazione del denaro e non far crollare la fiducia dei ri-sparmiatori. Perché allora, si chiede Krugman nei suoi editoriali sul New York Ti-mes, i governi non sono intervenuti con la stessa decisione quando la crisi ha ini-ziato a mordere lavoratori, pensionati, piccoli imprenditori? Se salvare le bancheera un problema politico, non lo è altrettanto la vita di milioni di persone e di im-prese? Secondo il professore di Princeton tagliare salari e pensioni è una ricetta,certo, ma non è l'unica e, soprattutto, i risultati sembrano dimostrare come nonsia neppure infallibile. In Europa, infatti, i tassi di disoccupazione crescono a livel-li allarmanti. A esclusione della Germania, la crescita è stagnante o negativa (co-me nel caso dell'Italia). Qual è la priorità allora? La ricetta di Krugman è semplice:creazione di nuovi posti di lavoro attraverso un piano di investimenti europei; pro-mozione di uno sviluppo sostenibile puntando sull'efficienza energetica e la ban-da larga; potenziamento dell'offerta formativa per i giovani e facilitazioni crediti-zie per gli investimenti privati. Utopie? In un recente editoriale, commentandol'impressionante serie di suicidi di imprenditori in Europa, Krugman ha confessa-to di essere pessimista: “Finché i governi reagiranno alla depressione con l'auste-rità, la crescita resterà lontana. Imporre misure sempre più severe per paesi che giàsoffrono di un tasso di disoccupazione tipico della depressione è veramente in-concepibile. Se politici e banchieri non invertiranno la rotta, a pagare il prezzo sa-rà il mondo intero”.

JEAN PAUL FITOUSSIEconomista francese, insegna all'Istituto di studi politicidi Parigi e presiede l'Osservatorio francese sulle congiun-ture economiche.

ULTIMO LIBRO: “La misura sbagliata delle nostre vite. Perché il PIL non basta più per valutare benessere e pro-gresso sociale” - Etas, 2010 (con J. Stiglitz e A. Sen)

RIFORMARE LA BANCA CENTRALE EUROPEAJean Paul Fitoussi in Italia è un volto noto. Sarà anche per quel suo italiano da ispet-tore Closeau, ma i programmi televisivi se lo contendono settimanalmente. Il suovero dono però è la chiarezza di chi molto sa e molto riesce a far capire anche a chicon lo spread ha poca dimestichezza. Docente di economia all'Istituto di studi poli-tici di Parigi, Fitoussi è un europeista della prima ora, ma da tempo va predicandouna grande riforma dell'UE che parta dalla Banca Centrale Europea. Ma cosa c'en-tra la BCE con la crisi che ci morde le caviglie? C'entra eccome. Perché la gestionedella cassa è passata di fatto dai Paesi membri all'unico organismo sovranazionale

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELL’ECONOMIA

europeo dotato di potere reale. Così i paesi che avevano fatto della svalutazione unmotore per le esportazioni (l'Italia su tutti) si trovano in difficoltà. La tesi di Fitoussiè confermata dai dati della Banca d'Italia sulle bilance dei pagamenti (la differenzatra importazioni ed esportazioni) dei Paesi che compongono Eurolandia. In dieci an-ni la bilancia della Germania è passata da meno 1,3 punti a più 5. Quella della Spa-gna da -2,9 a -5,4. La Grecia da -5,5 a -11,3. Il Portogallo da -8,5 a -9,3. L’Italia cheera in leggero attivo adesso ha un passivo di tre punti, esattamente come la Fran-cia. Se d'incanto l'euro non ci fosse più e tornassimo indietro nel tempo, il marcotedesco starebbe attorno alle 2.200 lire (mentre l’euro vale 1.936,27 lire). In so-stanza: la svalutazione che prima avvantaggiava l'Italia adesso fa correre le espor-tazioni tedesche. Cosa fare per rimettere le cose a posto e assicurare un maggiore equilibrio tra i Pae-si membri? Secondo Fitoussi bisogna ricominciare quasi da zero, costruendo mec-canismi di solidarietà autentici, con gli Stati forti che aiutano quelli deboli in cambiodi precise garanzie di impegno. Insomma, il modello di un governo federalista eu-ropeo che metta in comune il debito e che consenta alla BCE di emettere i fanto-matici Eurobond, i titoli di Stato europei. La sfida lanciata dal professore è di quelletoste: per uscire dalla crisi non basta definire una sorveglianza reciproca sulle politi-che fiscali, ci vuole un'Europa vera.

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NOURIELROUBINIEconomista

statunitense di origini turche, insegnaalla New York University.

ULTIMO LIBRO: “La crisi non è finita” Feltrinelli, 2010 (con S. Mihm)

RISCHIO CATASTROFE (MA DI BREVE PERIODO) Adesso lo prendono tutti molto sul serio. Fi-no a tre anni fa invece, quando nei consessidella finanza internazionale sul palco salivalui, qualcuno - neppure sottovoce - diceva:“Ecco la Cassandra”. Nouriel Roubini, natoa Istanbul da genitori ebrei iraniani, cresciu-to tra Teheran, Tel Aviv e Milano, dove si lau-rea alla Bocconi prima di prendere il volo pergli States. E cosa aveva fatto di così sconve-niente il buon Roubini per suscitare cotantisospetti? Semplicemente il suo lavoro, ov-vero analizzare flussi, numeri e tendenze fi-no ad arrivare a prevedere l'arrivo della tem-pesta, cioè la grande crisi finanziaria che hamesso in ginocchio le economie del mondooccidentale sulle due sponde dell'Atlantico.Lui aveva messo tutti sull'avviso fin dal2006, accolto da scetticismo e perfino qual-che sberleffo, ma erano tempi in cui un exconsigliere economico di Bill Clinton nongodeva di grandi simpatie. Oggi il mantra diRoubini è che al rigore (necessario) debbaseguire la crescita entro un anno. Altrimen-ti, ha spiegato al recente Workshop Ambro-setti, si preparano scenari apocalittici. Bellabeffa se tutti i sacrifici che i governi stannoimponendo ai cittadini si rivelassero inutili.Per questo, è la tesi di Roubini, occorre chela BCE riduca il costo del denaro e utilizzi tut-ti gli strumenti per aumentare la liquidità,come ha iniziato a fare nel novembre scor-so, ottenendo una temporanea riduzionedelle tensioni finanziarie. Adesso però si ri-schia di fare un passo indietro e allora Rou-bini è netto: ci vuole una politica monetaria“accomodante”, ovvero un'austerità fisca-le più morbida e soprattutto la svalutazionedell'euro, necessaria per recuperare compe-titività esterna, senza la quale gli squilibri di-verranno insostenibili e molti paesi della zo-na euro sarebbero costretti a ristrutturare ipropri debiti e infine uscire dall'Unione mo-netaria. Uno scenario da catastrofe mondia-le. Adesso che sembra passato un secolo e ilcoro dei soloni non fa che rimarcare il paral-lelo con la Grande Depressione del '29, luiperò sussurra che il suo pessimismo è sol-tanto di breve periodo: insomma, uscire dal-la crisi si può, e magari anche più in fretta diquanto si pensi.

SERGE LATOUCHEEconomista e filosofo francese, insegna Scienze eco-nomiche all'Università di Parigi.

ULTIMO LIBRO: “Come si esce dalla società dei con-sumi. Corsi e percorsi della decrescita” - Bollati Borin-gheri, 2011

LA DECRESCITA FELICE Crescere, crescere a tutti i costi altrimenti è la fine. Ese invece il capitalismo fosse arrivato al capolinea?Avvertenza: Serge Latouche, economista e filosofofrancese, non è comunista. Ve lo immaginate, del re-sto, un dirigente del Politbjuro impegnato a scrivere

piani economici quinquennali se si fosse trovato davanti un elegante signore briz-zolato che gli parlava di “decrescita felice”? Come minimo lo avrebbe sbattuto in Siberia, dove in effetti anche per i tuberi cre-scere è un'impresa. Dunque c'è questo brillante professore parigino che si è con-vinto della fine del capitalismo, senza per questo che i cavalli dei cosacchi si abbe-verino alla fontane di San Pietro. Latouche parte da considerazioni tanto condivi-sibili da apparire banali: la nostra economia è basata sulla crescita infinita, si devecrescere per crescere. E quindi è necessario far crescere i bisogni all’infinito: con-sumare sempre di più e distruggere i prodotti che consumiamo. Questo fa sì chesi consumi anche una quantità enorme di risorse naturali, che compromettono an-che l’ambiente. Per Latouche, allora, l'unica via d'uscita è la porta, ovvero l'ab-bandono di questo modello economico e la progettazione di un sistema in cui l'oc-cupazione non sia più legata solo alla crescita del Pil. Bellissimo a dirsi, molto com-plicato a farsi. È pur vero che nell'attuale sistema le disuguaglianze si sono molti-plicate. E allora forse una società che sia capace di porsi dei limiti potrebbe esserepure una società felice, capace di riportarci a una dimensione più umana. Quella che propone Latouche è una rivoluzione culturale, ma anche un cambia-mento radicale dei sistemi di produzione: produrre meno ma meglio, lavorare me-no ma investire - anche economicamente - in altre forme di ricchezza come i benirelazionali. Gli economisti classici vedono Latouche come il fumo negli occhi: utopia, chiac-chiere. Eppure lui è convinto che quando usciremo finalmente dalla crisi ci ritro-veremo più saggi e capiremo che una società con tanti disoccupati e tanti prodot-ti che non trovano più consumatori è uno spreco gigantesco.

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GIACOMO VACIAGOEconomista italiano, ordinario di Politica economica all'Università Cattolica di Milano.

ULTIMO LIBRO: “Per tornare a crescere” - Il Sole24 Ore, 2005

L'ORA DELLA “DISTRUZIONE CREATRICE” Ripete spesso una frase il professor Vaciago: “Lacrescita è come una scala mobile: o si sale insiemeo non si sale. Non si può crescere gli uni a spese de-gli altri”. La lezione l'ha imparata da Jacques De-lors, grande cattolico francese e padre fondatoredell'euro, che ai tavoli delle diplomazie europeeconvinceva i partner della bontà della moneta uni-ca spiegando che a crescere doveva essere l'Europa, non i singoli Paesi. Giacomo Va-ciago è uno dei più autorevoli economisti italiani, ordinario di Politica economica al-l'Università Cattolica di Milano. In questa fase così delicata la sua idea guida è chel’Europa non possa portare a livello comune solo il valore della stabilità e del pareg-gio di bilancio. La crisi è pesante, l'economia del nostro Paese non tira e le impresesoffrono. E l'Unione europea, senza poteri politici, sembra più una gabbia che un terreno dicrescita. Secondo il professore piacentino lo stallo della crisi risiede nel peccato ori-ginale dell'UE che ha dimenticato un elemento chiave dell'unione tra i Paesi, e cioèche ognuno si specializzasse nei propri mercati di riferimento. E così, mentre Usa, Cina, India e Brasile scappano, la Germania galoppa da sola el'Europa che ci ritroviamo non è quella che sognavano i nostri padri. Falsa partenza,dunque, ma la gara è appena cominciata. In una recente intervista ad Avvenire Va-ciago ha ricordato che “Ci sono state otto recessioni negli ultimi sessant’anni, conuna durata media di un anno e mezzo. Per ripartire, dovremo fare delle scelte: ba-sta guardare solo alla domanda interna, per crescere serve innovazione, far fuori ilvecchio per produrre qualcosa di nuovo”. La vecchia “distruzione creatrice” diSchumpeter, il grande economista austriaco vissuto nella prima metà del '900. Dun-que, in concreto la ricetta di Vaciago sono le grandi infrastrutture europee, la cre-scita dimensionale delle imprese e lo sviluppo della banda larga. E soprattutto, dare fiato alle imprese potenziando la Banca Europea degli Investi-menti. La fine del tunnel non è poi così lontana, è ora di prepararsi a uscire. E l'Ita-lia ha molte risorse su cui puntare.

GLOSSARIO DELLA CRISIBanca Centrale Europea

Istituzione centrale con il compito di preservare il poteredi acquisto della moneta unica e assicurare il manteni-

mento della stabilità dei prezzi nell’area dell’euro.

Bolla speculativaFenomeno finanziario che fa impennare le quotazioni

dei titoli oltre il loro reale valore.

Debito pubblicoTotale delle passività di uno Stato, rappresentato

dai titoli del debito.

EurobondEmissioni obbligazionarie dell'Unione europea.

EurozonaIl territorio dei 17 Stati che adottano l'euro

come moneta nazionale.

DefaultIncapacità di uno Stato di pagare i titoli che ha emesso.

FedÈ la banca centrale americana.

Ftse MibÈ l'indice delle 40 principali azioni quotate

alla Borsa di Milano.

RatingÈ il giudizio di affidabilità degli Stati che emettono

prestiti obbligazionari. Il giudizio migliore in assoluto èquello rappresentato dalla tripla A, poi si scende alla

doppia A, per poi declinare fino alla C.

Spread È il differenziale di rendimento

tra i BTP italiani a 10 anni e il Bund tedesco avente la stessa durata. Esprime il maggior rischio

percepito dal mercato dei titoli pubblici italiani rispettoa quelli tedeschi.

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INTERVISTA A CARLO RATTI*

TALK TO ME:PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLE CITTÀ

UNA VOLTA SI PARLAVA DEL BINOMIO UOMO-MACCHINA. OGGI E NEL FUTURO, LA RELAZIONE SARÀ UOMO-CITTÀ, IN UN RAPPORTO IN CUI QUEST’ULTIMA RAPPRESENTERÀ SEMPRE DI PIÙ UN’INTERFACCIA PER RACCOGLIERE INFORMAZIONI INDISPENSABILI ALL’OBIETTIVO FINALE: VIVERE MEGLIO. CIÒ CHE INFATTI STA AVVENENDO OGGI SU SCALA URBANA RICORDA QUANTO ACCADDEDUE DECENNI FA IN FORMULA 1. FINO A QUEL MOMENTO GLI ASPETTI PREDOMINANTIERANO LA MECCANICA DELLE AUTO E L’ABILITÀ DEI PILOTI. POI SI CAPÌ CHE NON ERA SUFFICIENTE E SI INIZIÒ A TRASFORMARE LA MACCHINA IN UN SISTEMA INTEGRATO MULTITECNOLOGICO CON MIGLIAIA DI SENSORI A BORDO IN GRADO DI COMUNICARE TUTTE LE INFORMAZIONI NECESSARIE A PREVEDERE L’ANDAMENTO DELLE PRESTAZIONI DELLE SUE PARTI COSTITUENTI E QUINDI DELL’INTERO SISTEMA.ESATTAMENTE QUELLO CHE SUCCEDE NELLE CITTÀ. GIÀ COPERTE DA UNA RETE DIGITALE CAPILLARE CHE FUNGE DA SENSORI, LE REALTÀ URBANE CI POSSONO OGGI PARLARE E COMUNICARE TUTTI I DATI NECESSARI. A NOI IL RUOLO DI INTERPRETARLI E UTILIZZARLI PER MODIFICARE I LUOGHI DEL NOSTROVISSUTO. PERCHÉ COME DICEVA BUCKMINSTER FULLER A METÀ DEL NOVECENTO: «SMETTIAMOLA DI CERCARE DI RIFORMARE LA SOCIETÀ. CAMBIAMO L’AMBIENTE FISICO!LA SOCIETÀ SI RIFORMERÀ DA SOLA SE L’AMBIENTE È QUELLO GIUSTO...».

OVVERO, TUTTOQUELLO CHE LE NOSTRE CITTÀ CI POSSONO RACCONTARE

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Forse, dentro casa, basterà un comandovocale per far funzionare gli elettrodo-mestici; oppure avremo le stanze piene

di robottini parlanti e tuttofare. E forse abiteremo in città dove, per legge,non sarà possibile avere una percentualetroppo bassa di aree verdi e, magari, ogni cit-tà sarà totalmente autosufficiente dal puntodi vista energetico perché, per il suo fabbi-sogno si farà bastare il sole, il vento, i parchi.Chissà se, nelle nostre città del futuro, ve-dremo mai quegli scenari fantascientifici cheammiriamo in tanti film e se invece delle au-tomobili guideremo delle navicelle spazialidotate di tutti i comfort. In realtà, bastereb-be solo che, in futuro, le nostre città fosseropiù “intelligenti”, pensate a misura d’uomoe più vivibili. O forse diventeremo noi esseriumani più intelligenti, sensibili e rispettosi neiconfronti delle nostre città (e quindi anchedei loro abitanti); il che, probabilmente, po-trebbe essere la trasformazione più clamo-rosa della storia della civiltà.Ma questi sono solo pensieri sparsi qua e là,

fatti per introdurre questo articolo sulle cittàdel futuro e sulle modalità per avviare unosviluppo urbano sostenibile. Per parlarne ab-biamo intervistato Carlo Ratti. Un architetto,ingegnere, designer, che non si è limitato apensieri e immaginazioni, ma che da tempoè passato ai fatti, concretizzando già unaparte di probabile futuro.

Come si vivrà in futuro?A metà degli anni Novanta, complice l’esplo-sione di Internet trainato dai primi browser,molti parlavano di “death of distance”, ri-prendendo il titolo di un celebre libro di Fran-ces Cairncross. L’esplosione delle Reti facevapresagire l’annullamento delle distanze nelmondo fisico. L’idea era così radicata che loscrittore americano George Gilder si sbilan-ciò fino ad affermare che, cancellate le di-stanze, anche le città sarebbero scomparse,in quanto «inutile retaggio del passato». Inrealtà, da allora il numero di persone che pre-feriscono vivere in aree urbane è aumentatocostantemente, fino a superare nel 2008 il

cinquanta per cento della popolazione mon-diale - un evento senza precedenti nella sto-ria dell’uomo. La Cina, da sola, ha in proget-to di costruire più città nei prossimi vent'an-ni di quante non ne siano mai state costrui-te dall'uomo negli scorsi millenni. Eppure,tutto questo non nega la possibilità di un ri-torno alla natura. È un po' il vecchio sognodi Elisée Reclus, il noto geografo francese:"Man must have the double advantage ofaccess to the delights of the town, with itssolidarity of thought and interest, its oppor-tunities of study and the pursuit of art, and,with this, the liberty that lives in the liberty ofnature and finds its scope in therange of herample horizon" (ndt - L’uomo deve avere un dop-pio vantaggio nell’accedere ai piaceri della città: l’ac-cesso alla sua comunanza di pensiero e di interessi ealle opportunità di studio e di esercizio dell'arte, maanche l’accesso alla libertà che vive nella libertà dellanatura e trova il suo scopo nei suoi ampi orizzonti).

Quali sono gli studi e i dispositivi tecno-logici che in maggior misura in questo

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLE CITTÀ

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momento stanno consentendo il cam-biamento delle città, sia in termini fisicisia in termini di vivibilità?Più che di 'grandi' tecnologie, dobbiamoparlare della grande quantità di tecnologieportatili e ormai economiche. Ad esempio,ognuno di noi, semplicemente portandocon sè un telefono, può diventare, volendo,una sorta di centralina in grado di rilevare etrasmettere dati sull'ambiente (localizzazio-ne, informazioni sulla mobilità, etc...).

Ci può fare qualche altro esempio?Il progetto nato come Wikicity, esteso poicon Live Singapore!Un progetto che si oc-cupa della mappatura in tempo reale delledinamiche della città. Mappe che non si li-mitano a rappresentare il territorio urbano,ma diventano istantaneamente strumenti adisposizione dei cittadini che possono cosìintraprendere le loro azioni e decisioni sullabase di informazioni sempre aggiornate. Inquesto modo le mappe alterano il contestocittadino che a sua volta altera le mappe, conl'obiettivo ultimo di migliorare l'efficienza ela sostenibilità dell'ambiente urbano. Citoanche il progetto Trash Track, studiato perla città di Seattle, nel quale, attraverso unasorta di chip installato sui materiali di scarto,si è risaliti al percorso compiuto dai prodottia fine vita - scoprendo che spesso sono tut-t’altro che a km zero - permettendoci poi distendere piani di ottimizzazione dei sistemidi riciclaggio. Anche dalle foto-grafie si possono raccogliereinfinite informazioni.Prendiamo ad esempioFlickr. Analizzando il mate-riale pubblicato si può adesempio risalire al percor-so maggiormente seguitodai turisti in una città, i lo-cali più frequentati dai resi-denti o dagli esterni, le ore di frequentazio-ne e così via. In base ai colori delle foto è ad-dirittura possibile risalire alle zone a rischiosiccità.

Dal Mit è possibile avere qualche antici-pazione su “percorsi” di cambiamentonon ancora esplorati, ma presto esplo-rabili?Cercherei di puntare l'attenzione soprattut-to su tutti quei sistemi "bottom up", chepartono dal coinvolgimento dei cittadini.Una volta si pensava che la conoscenza fos-

se incasellare le informazioni, razionalizzan-dole. Oggi dovremmo pensare che la cono-scenza e l’innovazione è anzitutto condivi-sione delle informazioni. E grazie a Internete ai social network è sempre più possibile. Unaltro cambiamento a cui fare ancora atten-zione credo sia la potenzialità del digitale cheritorna al mondo fisico. Pensiamo solo allacampagna di Obama, che era partita dalleReti per poi portare all’elezione effettiva delPresidente.

Alla sostenibilità cosa seguirà?Cerchiamo di arrivarci in fretta, poi lo scopri-remo!

Come si arriverà (se si arriverà) al tra-sporto sostenibile?Non con un'equazione magica, ma con so-luzioni diverse da caso a caso, che partanodalle specificità dei luoghi. Quel che occor-re è sviluppare cose nuove, non sperimen-tare quanto fatto da altri. Ognuno deve tro-vare la propria strada. Per Copenaghen, adesempio, abbiamo progettato la Copena-ghen Wheel. Un congegno in grado ditrasformare qualsiasi bicicletta in una bicielettrica a pedalata assistita, ossia dotata diuna batteria elettrica in grado di accumula-re l'energia passiva prodotta dalla pedalataper poi rilasciarla quando necessario, comead esempio in salita. Provvista di un chipbluetooth per lo scambio delle comunica-

zioni, di sensori ambientaliche interagiscono con losmartphone, di elettronicadi controllo in grado disbloccare il dispositivo dichiusura, semplicemente ri-conoscendo lo smartphonedel proprietario. In pratica,attraverso gli speciali senso-ri collegati via bluetooth allo

smartphone collocato sul manubrio, il cicli-sta riceve informazioni dalla bicicletta, maanche dal web, sulla velocità, sulla distanzapercorsa, sullo stato del traffico e sui per-corsi da preferire (sfruttando il GPS del-l'iPhone). E addirittura sulla prossimità omeno di amici in zona o sul livello di inqui-namento urbano in quel preciso punto.Tutti dati che il ciclista stesso può decideredi trasmettere al web server del Comuneper aggiornamenti in tempo reale.In Francia è nata invece l’idea di studiareun’applicazione che permetta di capire

Quel cheoccorre è sviluppare

cose nuove, nonsperimentare quanto

fatto da altri.

* CARLO RATTI, ARCHITETTOE INGEGNERE, DIRETTOREDEL SENSEABLE CITYLABORATORY DEL MASSACHUSSETSINSTITUTE OF TECHNOLOGY.

Architetto e ingegnere, di-rige il Senseable City Labdel MIT, gruppo di ricercada lui fondato nel 2004 chesi propone di esplorare e ri-progettare le città svilup-pando le possibilità offerte

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IL FUTURO DELLE AUTO:con il tasso alcolemico alto non si parte!Negli ultimi anni sono state numerose le campagne di sensibilizzazione per ridurre gli incidenti stra-dali, spesso causati da conducenti in stato di ebbrezza. Per quanto meritevoli, però, da sole non sonoancora riuscite a diminuire in maniera significativa il numero dei morti e dei feriti su strada. Ma eccoche dall’America arriva una nuova idea: l’auto che non parte se il conducente ‘ha bevuto troppo’.Un gruppo di ricerca promosso dall’Alliance of Automobile Manufactures (gruppo commerciale disettore che rappresenta 12 produttori di auto) e dalla National Highway Safety Administration (entestatunitense che vigila sulla sicurezza dei veicoli) sta sperimentando una nuova tecnologia in gradodi rilevare il tasso alcolemico del conducente per impedirne la guida nel caso in cui la percentuale dialcool nel sangue sia maggiore rispetto ai limiti stabiliti dalla legge. Gli studiosi si sono basati sulletecnologie già esistenti e hanno perfezionato un sistema di sensori passivi che installati sul veicolo,o in punti sensibili al tocco, come sulla chiave o sul pulsante di start del motore, sono in grado di ri-levare istantaneamente il grado di alcool presente nel sangue dell’autista. Questa tecnologia salva-vita potrebbe essere installata su qualsiasi veicolo e diventare un dispositivo permanente per tuttele autovetture. L’obiettivo finale dei ricercatori è produrre un dispositivo che possa agire in meno diun secondo e che possa coprire una durata pari all’intera vita dell’automobile. Tale meccanismo per-metterà di aumentare la sicurezza stradale e salvare centinaia di vite ogni anno. Quando si dice in-telligenza artificiale!

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quanto tempo ci vuole ad attraversare lacittà con i vari mezzi di trasporto e calcola-re anche la quantità di anidride carbonicaconsumata. Il che offre un nuovo modo divivere la città e promuove la sostenibilità.

Secondo lei, come la teoria economicadella decrescita (la teoria che sostiene lariduzione controllata, selettiva e volon-taria della produzione economica e deiconsumi, con l'obiettivo di stabilire unanuova relazione di equilibrio ecologicofra l'uomo e la natura, nonché di equitàfra gli esseri umani stessi) potrà essereapplicata anche all'architettura/urbani-stica?Ci sono molti modi per intendere crescita edecrescita. A me piace pensare che la cre-scita vera sia quella che parte da una migliorconoscenza del mondo che ci circonda, eche questa pertanto possa e debba conti-nuare. Ma se per crescita intendiamo la co-struzione di nuove case, allora sono perfet-tamente d'accordo. In Italia - Paese in cui lapopolazione non cresce e gli standard abi-tativi non cambiano - le città devono cre-scere su se stesse, recuperare aree dismes-se piuttosto che sottrarne di nuove allacampagna. Continuare a costruire signifi-cherebbe solo condannare allo svuota-mento e al degrado le aree esistenti.

I Paesi del consumismo energetico etecnologico possono per certi versiprendere spunto dai Paesi con scarsadisponibilità delle energie e delle risor-

se tecnologiche?Penso che gli insegnamenti possano venireda tutte le parti - sia dalla Svezia che dallaSierra Leone.

Quali sono le tendenze che caratteriz-zeranno l’architettura del futuro?Le Corbusier disse che la civiltà della mac-china era alla ricerca, e che avrebbe finitocol trovare, una propria espressione archi-tettonica. Oggi è la civiltà digitale/nano-tech/biotech/ecc. a cercare. Troverà anchelei la sua strada!

Ci saranno oggetti, mobili, complemen-ti d’arredo dei quali impareremo a farea meno e altri che invece diverranno in-dispensabili?Lo scaffale dei vhs non se la passerà benis-simo. Per contro, è difficile pensare a un'ap-plicazione che sostituisca una sedia o unacredenza.

Cosa dobbiamo aspettarci dal designdi domani?Che risponda alle nostre esigenze di do-mani.

Quali sono i concetti e le parole chiaveche domineranno il futuro?Riconfigurabilità, stavolta davvero, e tantoubiquitous computing. Essere sempre edappertutto affinché possiamo tornare aconcentrarci sulle cose che contano davve-ro, una vita più semplice e la capacità di co-struire una folta trama sociale. z

dalle tecnologie di avere dati e flussi in re-altime. Partner di uno studio con sede aTorino, Ratti è una delle figure di riferi-mento del dibattito sulle Smart City del fu-turo e un pioniere dell’utilizzo delle nuovetecnologie per progettare edifici intelli-genti e stili di vita migliori.I lavori di Ratti sono stati esposti in nume-rose manifestazioni e musei di tutto ilmondo, tra cui la Biennale di Venezia, ilDesign Museum Barcelona, il Science Mu-seum di Londra, il Gafta di San Francisco eil MoMA di New York.

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PRIMO PIANO: I MATERIALI DEL FUTURO

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IL MATERIALE? SE BEN IMPILATO DIVENTAPERFETTO

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Qual è il segreto di un mate-riale perfetto, non soggettoa rotture, distorsioni o altre

imperfezioni? Crescere ben impila-to! Sembra semplice, ma in realtà laquestione ha comportato ricerchelunghe e faticose per i ricercatori delCentro Interuniversitario per le Nano-strutture Epitassiali su Silicio e Spin-tronica L-NESS (del Dipartimento diScienza dei Materiali dell’Universitàdi Milano - Bicocca con il Diparti-mento di Fisica e il Polo Territoria-le di Como del Politecnico di Mi-lano) e del Laboratorio di Fisica

dello Stato Solido del Politec-nico di Zurigo, insieme al

Centre Suisse d’Electro-nique et de Microtec-

nique di Neuchatel-le.Gli studiosi hannodimostrato come sipossano integrarestrati di materiali se-miconduttori, partico-

lari e diversi, sul silicio (ab-bondante, economico e ben co-

nosciuto), senza che si verifichino ri-getti, difetti o rotture. Grazie a questascoperta si potrà ottenere un migliora-mento delle prestazioni dei diversi ma-teriali applicati sul silicio, potenzian-

done le proprietà.In concreto, questa tecnologia

permetterà di realizzare celle solari adalta efficienza per satelliti, più leggereed economiche; sensori che monitora-no le operazioni in laparoscopia conbassissime dosi di raggi X; dispositivielettronici di potenza meno costosi epiù efficienti, per gestire autoveicoli eproduzione di energie alternative. Altrivantaggi? Lo abbiamo chiesto a unodei “padri” di questa scoperta, il prof.Leo Miglio del Dipartimento di Scienzadei Materiali dell’Università Milano Bi-cocca.

Quali saranno i principali vantaggiche deriveranno dalla scoperta deiricercatori del Centro Interuniver-sitario per le Nanostrutture Epi-tassiali su Silicio e SpintronicaL-NESS?Siamo partiti dal presupposto che nelledue principali applicazioni dei semicon-duttori, i dispositivi per l’elettronica eper la produzione di energia da celle fo-tovoltaiche, ci sia un problema comu-ne, ovvero quello di mettere un mate-riale di buona qualità su un substratoabbondante e a basso costo (in genereil silicio), creando continuità di atomi earginando le problematiche di cui so-pra. Ebbene, abbiamo trovato la solu-zione! La svolta sta nel fatto che ades-so la deposizione dello strato attivo so-prastante è a prova di crepe e difetti:certo, tutto ciò porterà ad applicazioni

innovative, compresa probabilmentequella di un rivelatore di immagini araggi X per uso medicale estremamen-te sensibile e preciso. Altri vantaggi peril consumatore staranno anche nel-l’avere dispositivi convenzionali ad uncosto minore, perché realizzati inte-grando un materiale prezioso su di unsubstrato economico e ben conosciu-to, il silicio. La nostra scoperta ha alle spalle un du-ro e costante lavoro, associato a note-voli competenze e risorse faticosamen-te guadagnate su singoli progetti, bi-nomio fondamentale per ottenere ri-sultati di alto livello. La ricerca, a mioavviso, è una sfida personale entusia-smante e divertente, ma alla lunga de-ve portare ad un miglioramento tangi-bile delle condizioni di vita per tutti. Inquest’ottica, viene ad assumere un va-lore sociale, in cui trova giusta colloca-zione, anche lo sviluppo industriale del-le scoperte.

“Il segreto di un materiale perfettoè crescere (su di un altro) ben im-pilato”: cosa significa?L’espressione deriva dalla tecnologia dideposizione di semiconduttori che ab-biamo messo a punto: l’impilamento(un po’ come i libri si impilano sul ta-volo di una biblioteca) deriva dal fattoche realizziamo l’allineamento del ma-teriale depositato in cima a pilastri lito-

CELLE SOLARI AD ALTA EFFICIENZA PER SATELLITI, PIÙ LEGGERE ED ECONOMICHE; SENSORI CHE MONITORANO LE OPERAZIONI IN LAPAROSCOPIA CON BASSISSIME DOSI DI RAGGI X; DISPOSITIVI ELETTRONICI DI POTENZA, PER GESTIRE AUTOVEICOLI E PRODUZIONE DI ENERGIE ALTERNATIVE, MENO COSTOSI E PIÙ EFFICIENTI: SE GLI ATOMI VENGONO BEN IMPILATI, TUTTO QUESTO È GIÀ POSSIBILE.

Intervista a Leonida Miglio, docente di Fisica della Materiaall’Università di Milano Bicocca.

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grafati nel substrato di silicio. In que-sto modo, si ottengono tanti blocchiseparati invece di un film continuo,per un processo che è chiamato “au-toassemblaggio”. A sua volta, taliblocchi permettono di accomodareseparatamente le differenze di strut-tura e di espansione termica tra i duemateriali, evitando la creazione di di-fetti nell’orditura atomica (distorsioni,rotture e slittamenti), che sono invecetipici del film continuo. Insomma, èuna specie di “federalismo” nel cam-po dei materiali.

Su quali altri studi legati alla sco-perta di nuovi materiali si stannoconcentrando i ricercatori?Per semplificare le cose, va detto in-nanzitutto che esistono due differentitipologie di materiali. Da un lato ci so-no infatti i cosiddetti “materiali strut-turali”, impiegati nel campo della mec-canica, della edilizia e simili, mentredall’altro ci sono i cosiddetti “materia-li funzionali” che vengono usati per leproprietà elettroniche, ottiche, o chi-

miche che hanno.Proprio su questa seconda tipologia dimateriali si stanno concentrando le ri-cerche condotte in questo Dipartimen-to di Scienza dei Materiali e in molti al-tri laboratori nel mondo. In tale cam-po, le Nanotecnologie hanno portatotutta una serie di nuove scoperte e op-portunità: basti pensare il successoscientifico e mediatico del grafene, fo-gli di carbonio strettamente bidimen-sionale, recentemente oggetto di pre-mio Nobel.

Che possibilità ci sono che i nuovimateriali del futuro siano anche“green”?Il concetto di sviluppo sostenibile è or-mai metabolizzato da tempo, sia nelleimprese, sia nei laboratori. Per esem-pio, si cercano soluzioni tecnologicheche non contemplino materiali tossicio troppo rari, oppure, se assolutamen-te necessari per le loro proprietà, si cer-ca di ridurli a quantitativi innocui perl’uomo e per l’ambiente. Nanoparticel-le che emettono luce contenenti il cad-

mio, ad esempio,stanno per esseresostituite da altreche contengonocomposti dello zinco,più sicuro e abbondante.

Secondo lei con cosa costrui-remo le case e gli edifici in futuro?Credo che un’ottima soluzione per lecase del futuro - al di là dell’utilizzo dimateriali ‘green’ - potrebbe essere nongià la creazione ex novo di edifici,quanto la possibilità di riutilizzare e ria-dattare tecnologicamente edifici pre-esistenti. Tra cui, ad esempio, le casedegli anni Sessanta e Settanta, che seb-bene presentino diversi problemi so-prattutto in termini di invecchiamentodei materiali e degli impianti utilizzati,comporterebbero un grave costo peressere abbattute. Qui si è costruito incemento armato, non in metallo e car-tongesso come negli Stati Uniti!

Quali altri materiali prenderannosempre più piede in futuro?

PRIMO PIANO: I MATERIALI DEL FUTURO

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IL FUTURO? STA NEL RIUSO. A INSEGNARCELO È L’UNIVERSO STESSO, IL PRIMO GRANDE RICICLONE DELLA STORIA. È infatti bene ricordare che gli atomi di cui è fatto il nostro corpo, qual-che miliardo di anni fa sono stati prodotti da una stella in qualche par-te dell’Universo.Molte ricerche storiche, negli ultimi decenni ci hanno svelato tante“vite quotidiane” di popolazioni di mille o duemila anni fa, per arri-vare a tutto l’800, e raccontano di una grande attenzione a recupera-

re materiali e attrezzi, a buttare via poco, insomma. È da questalunga tradizione che nasce, per esempio, l’uso della

cenere dei focolai,fatta prima bol-lire e poi asciu-gata, comedetersivo peril bucato. Tut-tavia, è verosi-

mile assimilaretale attenzione

a non sprecare alben noto com-portamento deglianimali nei gran-di parchi africani,dove è assoluta-mente proibitodar loro del ciboperché l’abitu-

dine a procurar-selo, cacciando

per esempio, la per-derebbero in un bat-

tibaleno.Una certa attività artigianale

del riuso, però, inserita in percorsi industriali, c’è semprestata. Le ossa, per esempio. Scrive Lorenzo Pinna in Autori-

tratto dell’immondizia (Bollati Boringhieri, 2011): “Le ossa,specialmente quelle più grandi, erano la materia prima per fab-

bricare bottoni, pettini, fermagli e oggettistica varia (portasiga-rette, giochi come gli scacchi e la dama). … [le ossa] potevano tra-sformarsi nel ‘nero animale’, uno speciale carbone con cui la na-scente industria dello zucchero filtrava e sbiancava le melasse ot-tenute con le barbabietole. I primi fiammiferi che si accendevanoper sfregamento, apparsi intorno al 1830, avevano la capocchia difosforo estratto dalle ossa”. (tratto da “Parole per il futuro”, Edi-zioni Ambiente, ideato con il contributo di IMQ - in commercio daautunno 2012).

Credo che sarannosempre più utilizza-ti materiali in gradodi assicurare il mas-simo dell’efficienzae il minimo dei costi.Sembra una banali-tà, ma il costo eco-nomico e sociale dimateriali che sianodifficili da smaltire oriciclare diventeràuna barriera insor-montabile per la lo-ro commercializza-zione. z

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PRIMO PIANO: I MATERIALI DEL FUTURO

La carta è uno dei materiali più diffusi e più versatili almondo. Con la carta produciamo quaderni, riviste, libri,confezioni regalo; la usiamo per pulire, asciugare, perscrivere e, soprattutto, è un materiale facile da riciclare.Chi lo avrebbe mai detto che dalla carta si sarebberopotute ottenere persino delle batterie sostenibili?Eppure, grazie allo studio condotto dai ricercatori delPolitecnico di Poznan, in Polonia, e dell’Università diLinköping, in Svezia, sarà finalmente possibile produrredelle batterie con materiali riciclabili ed eliminare l’at-tuale utilizzo di elementi rari e inquinanti, come il co-balto e il cadmio. Basterà ricorrere a della semplice car-ta e alla lignina, un liquame di scarto della lavorazionedella carta e presente per il 20-30% in ogni albero.Una ricerca, quella pubblicata dalla rivista Science amarzo, che rivoluziona il mondo delle batterie e che,come riportano gli stessi studiosi, trae la sua ispirazio-ne dal processo naturale della fotosintesi clorofilliana. Durante la fotosintesi, gli elettroni vengono catturatida molecole trasportatrici, i chinoni, che quando rila-sciano il carico liberano anche energia. Similmente labatteria di carta si basa su un catodo di lignina e poli-

pirrolo, un polimero conduttore, che origina un ma-teriale composito capace di trattenere efficacementele cariche elettriche. Infatti, i chinoni permettono aiderivati della lignina di perdere un protone per cat-turare al suo posto la carica negativa e, dal canto suo,il polipirrolo conserva tale condizione fino al rilasciodella carica. Le batterie ricaricabili presentano ancora alcuni limi-ti: durante i primi test condotti su una pellicola di li-gnina e polipirrolo spessa mezzo micron, si è osserva-to che gli elettrodi caricati tendono a scivolare velo-cemente, riducendo la capacità della batteria di trat-tenere l’energia accumulata per lunghi periodi di nonutilizzo. Tuttavia, secondo i ricercatori, è possibile ri-solvere il problema e ottimizzare così la tenuta dellebatterie attraverso l’uso di altri derivati della ligninapiù performanti. Una prima immediata applicazione potrebbe riguarda-re il settore fotovoltaico: la nuova batteria di carta po-trebbe essere, infatti, la soluzione ideale per stoccarel’energia prodotta dai sistemi fotovoltaici in modo eco-nomico e sostenibile.

BATTERIA SOSTENIBILE? CON LA CARTA SI PUÒ FARE!

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Qual è una delle sfide che oggi affascina gli scienziatiaerospaziali di tutto il mondo? Catturare l’energia delsole nello spazio, luogo in cui l’assenza di atmosferapermette un accumulo 24 ore su 24 di energia ad altaintensità, per soddisfare il fabbisogno energetico mon-diale in modo efficiente e sostenibile.Un campo, quello del fotovoltaico spaziale, che ha pro-dotto una vasta letteratura. Negli anni, infatti, sonostati presentati numerosi progetti che, a causa della lo-ro insostenibilità economica e strutturale, non hannotrovato alcuna applicazione concreta rimanendo belleidee solo sulla carta. Tuttavia, sembra che qualcosa stiacambiando. John Mankins, ingegnere dell’Artemis Innovation Ma-nagement in California, ha presentato al contest 2012della NASA il primo progetto di fotovoltaico spaziale‘realizzabile’: il SPS-ALPHA (Solar Power Satellite viaArbitrarily Large PHased Array) che mira alla creazionedi una centrale energetica orbitante del futuro.Ancora una volta la natura è stata fonte d’ispirazioneper l’uomo: la struttura della matrice satellitare pro-gettata da Mankins e il suo gruppo si configura, infat-

ti, come un fiore, i cui petali sono rappresentati da spec-chi mobili.Nello specifico, gli specchi saranno fabbricati in filmsottile sulla superficie curva della matrice per catturaree indirizzare la luce solare verso le celle fotovoltaichepresenti sul retro della struttura. Inoltre, per facilitarnela produzione in serie e abbatterne i costi, i singoli mo-duli peseranno tra i 50 e i 200 kg e saranno a controlloindividuale. Per completare il processo, l’energia sola-re raccolta sarà convertita in microonde e trasmessa sul-la Terra attraverso un sistema wireless sotto forma dienergia di bassa intensità di radio frequenza. Per il momento i finanziamenti stanziati dalla NASAserviranno per sottoporre il progetto SPS-ALPHA e va-lutarne la fattibilità e l’efficienza. In seguito, se la fasedi verifica avrà un esito positivo, si potrà procedere conla costruzione di un prototipo in scala che ne dimostre-rà l’effettivo funzionamento sul campo.Questo ‘fiore fotovoltaico’ potrebbe immettere nellarete elettrica migliaia di megawatt di energia pulita ri-voluzionando il concetto, finora solo astratto, di foto-voltaico spaziale.

LA SFIDA DEL FOTOVOLTAICO? SPAZIALE!

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LE CELLULE CHE CI RIPARERANNOI MIEI RENI NON FILTRANO PIÙ TANTO BENE? NESSUN PROBLEMA: FACCIO UN SALTO DAL MIORIVENDITORE DI FIDUCIA E ME LI FACCIO CAMBIARE. FORSE STIAMO ESAGERANDO E A QUESTO PUNTO NON ARRIVEREMO MAI, EPPURE UNA COSA È CERTA: PER QUANTO RIGUARDA LA RICERCA SULLE STAMINALIMOLTO È STATO SCOPERTO, MA UN VERO E PROPRIOMONDO È ANCORA DA SCOPRIRE. DUNQUE, CHISSÀ…

PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MEDICINA

Solitamente, quando nel nostropaese si parla di ricerca (special-mente quella sulle staminali) si

parla anche di “fuga dei cervelli”,“mancanza di fondi” e di “poca con-siderazione”. Un vero delitto, vistoche, come ci dice il giovane ricercato-re Andrea Pavesi, ci sarebbe ancoratanto da scoprire se solo i finanzia-menti fossero adeguati e se si supe-rassero le tante resistenze che si av-vertono nei riguardi delle applicazionitecnologiche. In poche parole, se ci sicredesse un po’ di più. A questo pro-posito un ottimo esempio viene dal-l’Oriente, e in particolare dallo SMARTdi Singapore (dove Pavesi lavora): unluogo nel quale esperti e ricercatorinon hanno paura di cercare, di speri-mentare e di uscire fuori dagli schemidelle metodologie mediche e biotec-nologiche classiche.

Quali novità riserverà la medicinadel futuro?La medicina è la scienza che si occupasoprattutto della prevenzione e della cu-ra delle patologie. Sin dalle più anticheciviltà l’uomo ha cercato di allungare ilpiù possibile la propria vita ricorrendo adiverse strategie. Quindi, possiamo pre-vedere che, con molta probabilità, an-che in futuro l’obiettivo della medicinaresterà lo stesso, ossia estendere al mas-simo la durata della nostra esistenza. Chissà, magari in futuro potremmo an-che essere in grado di autoripararci,trovando il modo di sostituire o rigene-rare parti del nostro corpo non più fun-zionanti. Potremmo avere il nostro“negozio di fiducia” per alcuni “pezzidi ricambio” su misura!Pensando invece a un futuro più conte-nuto e concreto, saremo a breve in gra-do di riconoscere in modo molto preco-

Intervista ad Andrea Pavesi, PostdoctoralAssociate al Singapore - MIT Alliance for Research and Technology (SMART).

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ce diverse tipologie di forme tumorali edi intervenire in maniera mirata.Per alcune tipologie di tessuti, siamo giàin grado di riparare e/o sostituire il“componente” danneggiato; riusciamoa ricreare pelle e ossa partendo da diffe-renti cellule; purtroppo si avverte peròancora molta inerzia nell’applicazione diqueste tecnologie alla clinica quotidia-na. Per far sì che divengano più fre-quenti, bisognerebbe trovare il partnerclinico giusto, che abbia voglia di speri-mentare ed uscire dal guscio dei metodidi cura classici.Credo che la medicina del futuro sarà,o per lo meno me lo auguro, semprepiù a portata di tutti e sempre menofunzione del medico luminare.

Di cosa si occupa lo SMART di Sin-gapore?SMART è l’acronimo di Singapore MITAlliance for Research and Technology, èil piu importante centro di ricerca delMIT al di fuori degli Stati Uniti, che vuo-le imporsi come un importante canale

di comunicazione con l’Asia. Il lavo-ro dello SMART si concentra su

quattro macro aree, a loro voltadivise in altri sottogruppi. Le ma-cro aree sono: BioSystem andMicromechanics (BioSyM), dove

lavoro io, il Center for Environmen-tal Sensing and Modelling (CENSAM),l’Infectious Disease (ID) e la Future Ur-ban Mobility (FM). Nello specifico, all’interno dell’areaByoSym ci concentriamo su tre diversescale dimensionali (molecolare, cellula-re e tissutale) per studiare i meccanismiche scatenano determinate patologie:ad esempio, cerchiamo di capire comeun tumore si propaga all’interno del-l’organismo oppure quali stimoli pos-sono far trasformare una cellula stami-nale totipotente in una cellula con unafunzione ben specifica, da utilizzare percreare il tessuto di interesse (questo, inparticolare, è ciò di cui mi occupo io). Iltutto in modo direttamente trasferibilealla pratica clinica.Allo SMART si appoggia l’InnovationCenter, che ha l’obiettivo di trasferire leidee vincenti e i prototipi funzionantidirettamente all’industria, per poteravere il prima possibile un vero e pro-

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prio prodotto da utilizzare sul campo.Lo SMART, pertanto, ha il ruolo di tra-sferire la ricerca e i progetti dal labora-torio alle aziende in modo da evitare ilclassico ristagno nei laboratori di pro-getti validi.

Quali contributi alla medicina delfuturo possono venire dai progettidi ricerca attualmente in corso alloSMART di Singapore?Di sera, tra un caffè e l’altro ci si trova afare due chiacchere tra colleghi in labo-ratorio e ci si scambia un po’ di idee;chiunque dovrebbe sentire con quale en-tusiasmo ed energia ci si raccontano leultime news, cosa si pensa delle proce-dure messe in atto per un determinatoesperimento o che risultati si sono trova-ti nella nottata precedente! E si riempio-no pareti di simpatici scarabocchi! Tornando ai veri e propri contributi, mivengono in mente alcuni esempi: a livel-lo cellulare, si sviluppano alcuni disposi-tivi microfluidici (si tratta di cubettini disilicone trasparente, all’interno dei qua-li scorrono fluidi e cellule) in grado di re-plicare il meccanismo di innesco dellemetastasi. L’obiettivo è trovare il modopiù efficace per bloccare il fenomeno. Inpratica si studia come la cellula tumora-le vada ad infilarsi all’interno di un vasoe come si viene a creare pertanto un ca-nale di comunicazione (e alimentazione)fra la massa tumorale e il sistema vasco-lare. Una volta afferrato l’innesco diquesto fenomeno si potrà bloccare e cir-coscrivere la massa e rimuoverla ridu-cendo il pericolo di metastasi.Altri sistemi vanno a replicare, semprein vitro e alla microscala, alcuni organicome cuore, polmoni e fegato; si cercadi studiare il meccanismo per il quale lecellule pluripotenti (le staminali prove-nienti da origini diverse: ad esempio dalmidollo, dal feto, dal tessuto adiposo)possano andare a sostituire le celluledanneggiate e ristabilire la funzioneoriginale dell’organo. Oppure, si esa-mina come si vengono a formare alcu-ne particolari patologie andando acambiare le condizioni alle quali vienesottoposto il modello di organo ricrea-to nel microambiente.Alcuni strumenti molto interessantipermettono con una piccola quantità

di sangue di effettuare screening di pa-tologie in modo rapido ed efficace.A livello molecolare invece, si cerca diottimizzare alcuni processi di iterazionefra molecole per aumentare l’efficaciadi alcuni farmaci e renderli il più speci-fici possibile.Oppure, in vivo, cioè su cavia, si cercadi capire come creare tecniche di ripa-razione dei tessuti riducendo il più pos-sibile l’invasività dell’intervento.

Quali sono gli sviluppi futuri previ-sti per l’ambito delle biotecnologie?Se dovessi esprimere il concetto con del-le parole chiave potrei parlare di: earlydetection (ossia rilevare il prima possibi-le l’evento patologico); targeting anddrug delivery (che significa creare unacura il più possibile mirata); generationand regeneration (partendo da cellulestaminali del paziente stesso, si prova ariparare o sostituire il “pezzo” danneg-giato); infine, uno studio costante suimeccanismi alla base dell’innesco di par-ticolari fenomeni cellulari, ancora com-pletamente sconosciuti.

A che punto siamo, in generale,con la ricerca sulle staminali? Quanto resta ancora da scoprire?Ci sono diversi tipi di cellule staminali eognuno di questi ha comportamenti di-versi e “regole di utilizzo” differentiche a volte ostacolano la ricerca in que-sto settore.Per capire come una cellula staminalepossa diventare una cellula di nostrointeresse, dobbiamo andare a rileva-re/misurare alcuni particolari indicato-ri, che ci dicono se la cellula è diventa-ta o meno quel che speravamo dopoaverla sottoposta a un particolare trat-tamento. A volte, però, questo non ba-sta: il fatto che alcuni marcatori si sia-no attivati non significa sempre che lastaminale sia completamente differen-ziata e che sia diventata esattamenteuguale, per esempio, ad una cellulacardiaca. Quello che attualmente stia-mo cercando di ottenere è trovare unmodo accurato per essere certi di averdifferenziato la cellula staminale inquel che vogliamo ed avere quindi uncontrollo totale dell’intero processo didifferenziamento.

Pertanto, c’è molto ancora da scoprirema ci sono anche tante cose già sco-perte che è possibile mettere in atto! Ad esempio, per l’osso, possiamo giàpensare di ripararne “un pezzo” par-tendo dalla staminale e differenziarlain modo accurato; il problema è facili-tare l’ingresso di queste tecnologienella pratica clinica che, come dicevoprima, ha molta inerzia al riguardo(parlo soprattutto per il paese Italia,negli Usa il processo appare lento manon impossibile).

Qual è l’applicazione più impor-tante che si fa (o che si potrebbefare) delle staminali?Per quanto riguarda un’applicazioneche già si fa, cito la riparazione del-l’osso: si usa una sorta di impalcatura(scaffold) dove le cellule possono cre-scere, percepire le condizioni dell’am-biente che le circonda e differenziarsiin osso. Tutto questo consente all’os-so di ripararsi e guarire da determina-te patologie, malformazioni e parti-colari fratture.A questo proposito mi viene in mente,inoltre, l’esempio della trachea impian-tata in Spagna qualche tempo fa: at-traverso un biorettore (ossia una mac-china che emula le condizioni dell’or-gano di interesse) dopo aver seminatole cellule, si aspetta che queste si adat-tino all’ambiente e acquisiscano la par-ticolare funzione richiesta per poi esse-re trapiantate nel paziente.Ancora, si prova a iniettare direttamen-te le cellule staminali nei cuori infartua-ti, sperando che queste si fermino sultessuto danneggiato e che in qualchemodo possano rimpiazzarlo e ripararlo.Per quanto riguarda, invece, le applica-zioni che si potrebbero ancora fare, ci-to la generazione di tessuti o di interiorgani completamente autologhi, ot-tenuti cioè dal prelievo di alcune cellu-le staminali direttamente dal nostrocorpo adulto o conservate nel cordoneombelicale.Penso anche alla cura di alcune patolo-gie che intaccano la vitalità degli orga-ni, che potrebbero essere scoperte unavolta capito il meccanismo di riparazio-ne e interazione che si sviluppa all’in-terno del nostro corpo.

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Dalle ricerche emergono semprenuove scoperte legate all’uso dellestaminali: dalla cura della fibrosi ci-stica alla creazione di neuroni, dallacura della calvizie a quella della ce-cità (per citarne solo alcune). Macome contribuisce l’Italia allo svi-luppo della ricerca sulle staminali?Se sono qui allo SMART è perché in Ita-lia, oggi, in questo settore, non è facilelavorare a livelli competitivi. Mancano ifondi per i progetti e quando ci sono,non sono sufficienti per questo tipo di at-tività perché, in molti casi, chi si occupadi amministrarli non ha la minima idea dicome funzionino in realtà le cose. Ci sono comunque alcuni centri privatiche sopravvivono con fondi propri op-pure con finanziamenti che provengonoda fondazioni solitamente bancarie. Tutto questo, per un ricercatore, è fru-strante! Può capitare di lavorare perqualche anno su una particolare temati-ca e scoprire che un tuo collega ameri-cano ma anche più vicino a noi, svizzero,tedesco o francese ha portato a termineil tuo stesso lavoro in breve tempo soloperché ha ricevuto i fondi per acquistarela macchina necessaria e ottenere quin-di risultati migliori in un terzo del tempo.L’Italia, ad oggi, non ritiene che la ricercasia qualcosa di utile su cui investire, in po-chi capiscono l’importanza che la ricercaha per l’economia di un paese.

A parte le staminali, quali altri am-biti di ricerca medica vanno asso-lutamente valorizzati?Sottolineo gli argomenti citati in prece-denza in merito allo sviluppo delle bio-tecnologie; sono questi gli ambiti chenecessitano di essere più valorizzati orain questo settore.Sicuramente, la medicina nel nostropaese ha bisogno di aria fresca; è ne-cessario che chi dirige un determinatoreparto non sia troppo conservatore eche abbia lo spirito e la voglia di prova-re, scoprire e avanzare.

Quali saranno le parole chiave e iconcetti che caratterizzeranno lamedicina del futuro?Rigenerazione e generazione, minin-vasività, early detection, specific drugdelivery. z

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VERSOL’UOMOBIONICO

Intervista al Professor Mauro Giacca,Direttore dell’International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB).

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LE NUOVE (rischiose) FRONTIERE

DEL DOPING:UTILIZZARE IL DNA

PER CREARE ATLETI PERFETTI CHE POSSANO AVERE

FASCE MUSCOLARI POTENTI

O AUMENTARE LA RESISTENZA.

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preoccupata che le tecnologie della te-rapia genica possano essere utilizzatenon solo a fini medici, ma allo scopo diaumentare le prestazioni atletiche.

Quella che sembrava fantascienzapotrebbe essere la realtà: si parla dialcuni atleti, sottoposti a questepratiche, che nelle scorse edizionidei giochi hanno vinto medaglieimportanti. Ma pratiche così com-plesse possono essere effettuate inmodo “empirico” con risultati ac-cettabili?Non sono a conoscenza di casi accer-tati di doping genetico, e mi sembramolto difficile che questo possa avve-nire in tempi brevi. Attualmente, letecniche che sarebbero necessarie so-no limitate ai laboratori di ricerca avan-zati, e quindi difficilmente raggiungi-bili da atleti individuali. Molto diverso

PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MEDICINA

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La WADA, l’organismo mondiale perla lotta al doping, ha iniziato daalcuni anni una ricerca di caratteresperimentale per trovare unasoluzione a una pratica chesolamente ai giochi olimpici di Atenedel 2004 sembrava fantascienza. Ilmeccanismo, spiegato in parolemolto povere, è abbastanzasemplice: si va a inserire un geneaggiuntivo all’interno del patrimoniogenetico dell’atleta,in modo daaumentarne le prestazioni. La pratica a livello illegale potrebbeaver già creato qualche cyborg anchese, al momento, non esistono prove.L’International Centre for GeneticEngineering and Biotechnology(ICGEB) da alcuni anni ha iniziato aeffettuare delle ricerche per capire ecombattere questo fenomeno.Mauro Giacca, direttore della sedetriestina dell’Istituto, fa insieme a noi

il punto sulla ricerca. Segnalandoci,accanto ai risvolti negativi dellaterapia genica, anche quelli positivi.Anzi, fantastici.

Professore, a che punto siamo?La possibilità di eseguire pratiche di do-ping genetico è la diretta conseguenzadell’enorme sviluppo che ha avuto laterapia genica negli ultimi dieci anni.Questa disciplina è basata su una seriedi tecniche che utilizzano il DNA comeun vero e proprio farmaco, e ha comeobiettivo uno spettro molto ampio dipatologie, dalle malattie ereditarie aquelle cardiovascolari. Esistono oggimetodiche basate sull’utilizzo di virusmodificati che sono molto efficaci neltrasferire geni nel cuore e nei muscolischeletrici, e si conoscono molti geni ingrado di potenziare la funzione di que-sti organi. La WADA, quindi, è molto

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zati, e quindi difficilmente raggiungi-bili da atleti individuali. Molto diversoè però il discorso di un sistema di do-ping genetico organizzato, in cui esi-stano delle strutture vere e proprie chesi occupano dello sviluppo e dell’appli-cazione di queste tecnologie, ad esem-pio in Paesi al di fuori dell’Europa e de-gli Stati Uniti. È proprio questo chepreoccupa di più la WADA.

Può spiegarci in maniera semplicecome si opera per trasferire il DNAall’interno di una fibra muscolare?La metodica più efficace in questo mo-mento è quella di utilizzare le tecnichedell’ingegneria genetica per modifica-re dei piccoli virus, inserendo nel loroDNA un gene che abbia la funzione de-siderata, e poi di iniettare questi virusmodificati nel muscolo. I vettori più ef-ficaci per questo tipo di applicazioni so-no basati su un virus chiamato AAV,che non causa nessuna malattia. Tra igeni considerati per il doping vanno ri-cordati quelli che codificano per l’eri-tropoietina (che già si usa per il dopingsomministrata quale proteina), l’IGF-1(un fattore di crescita del muscolo) e gliinibitori della miostatina, una proteinache normalmente blocca l’ipertrofiamuscolare.

Quando potremo avere dei test checonsentano l’indivi-duazione di questepratiche?Il doping genetico èdifficile da identificare,perché le proteine do-panti sono prodotte diret-tamente dal muscolo stesso, apartire dal DNA trasferito: queste

sperimentazioni cliniche stanno gene-rando risultati molto promettenti.

In un futuro non troppo lontanoqualcuno potrebbe dire addio a cu-re complicate e difficili e sfruttarela genetica?Per ora la terapia genica viene svilup-pata per offrire soluzioni terapeutichea pazienti con malattie gravi, che nonhanno altre opzioni di trattamento. Latecnologia, tuttavia, sta avanzando co-sì rapidamente che non è da escludere,in un futuro vicino, di pensare alla tera-pia genica anche per molte altre condi-zioni patologiche. Prima che questosucceda, ovviamente, bisognerà valu-tare accuratamente anche i profili di si-curezza di queste applicazioni: è la pri-ma volta nella storia della medicina cheil DNA viene usato come un farmaco, equesto rappresenta una frontiera deltutto inesplorata, insospettabile fino aqualche decina di anni fa. z

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proteine, quindi, sono virtualmenteidentiche a quelle prodotte normal-mente dall’organismo. Lo scopo dellanostra ricerca è quello di superare que-sto problema cercando direttamente ilDNA trasferito a livello del sangue,obiettivo però difficile, perché questo èpresente in quantità molto ridotte.

Si dice che il doping sia sempreavanti rispetto all’antidoping, è ve-ramente così in questo campo?Penso che questa sia una delle fortu-nate situazioni in cui la ricerca del do-ping sia arrivata prima del doping stes-so. Anche se non sembra semplice svi-luppare del test anti-doping geneticodi facile implementazione. Quali possono essere le ripercus-sioni per questo tipo di ricerca nel-la vita di tutti i giorni?La terapia genica rappresenta una del-le più grandi speranze per la terapia dimalattie oggi incurabili, tra cui moltemalattie ereditarie e patologie impor-tanti come il morbo di Parkinson, ilmorbo di Alzheimer o le malattie car-diovascolari. Già oggi ci sono diversipazienti curati grazie al trasferimentogenico, particolarmente nel campodelle malattie ereditarie, e molte altre

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C’è da un po' di tempo l'ossessione, nella donna e(perché no?) nell'uomo moderno, di possedere uncorpo sempre più perfetto. Un corpo ideale che,

per la donna, abbia le labbra di Angelina Jolie, sia tornita co-me Penelope Cruz, abbia il décolleté di Salma Hayek. Per unuomo, che assomigli a George Clooney, abbia la gradevo-lezza sbarazzina di Brad Pitt o l'intensità di Johnny Depp. In-somma la domanda di oggi è: riuscirà la chirurgia plastica amodificare i volti e i corpi a nostro piacimento più di quanto

venga fatto ora?“Difficile prevedere interamente il futuro” ci spiega il dott.Costantino Davide, specialista in chirurgia plastica. “Sonostati fatti passi da gigante negli ultimi anni, basti pensare acome erano i primi interventi, per questo credo che le pro-spettive future siano molto ampie. Si sono modificate so-prattutto le tecniche, i materiali e gli strumenti. Si fanno an-che interventi sempre meno invasivi con cicatrici ridotte alminimo. La tecnica è in continua evoluzione”.

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MEDICINA

SE LE STAMINALI TI FAN BELLAPUÒ ANCHE NON PIACERCI, MA I NUMERI PARLANO CHIARO: LA CHIRURGIA ESTETICA, DAGLI ANNIOTTANTA A OGGI, HA MOLTIPLICATO PER SETTE I SUOI INVESTIMENTI. SECONDO I DATI AICPE(ASSOCIAZIONE ITALIANA DI CHIRURGIA PLASTICA ESTETICA), SOLO IN ITALIA, LO SCORSO ANNO,SONO STATE EFFETTUATE 11.300 MASTOPLASTICHE ADDITIVE, 10.300 LIPOSUZIONI, 8.121BLEFAROPLASTICHE. INTERVENTI CHE, SE NON ALTRO, GRAZIE ALLE NUOVE TECNOLOGIE, AI MATERIALI E AGLI STRUMENTI, STANNO DIVENTANDO SEMPRE MENO INVASIVI E SI RISERVANOUN FUTURO BEN CHIARO: NELLE STAMINALI.

Intervista al dott. Costantino Davide, specialista in chirurgia plastica

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LA CHIRURGIA PLASTICA,RICOSTRUTTIVA ED ESTETICALa chirurgia plastica, ricostruttivaed estetica comprende numerosebranche:- la chirurgia che cura lemalformazioni congenite (labbroleporino, palatoschisi...);

- la chirurgia estetica che migliora idifetti congeniti o acquisiti dellafisionomia e del corpo (dal liftingdel viso alla rinoplastica, dallachirurgia estetica delle labbra allifting del seno,all’addominoplastica);

- la chirurgia ricostruttiva che sioccupa di situazioni di tipopatologico, ad esempio postoncologiche o post traumatica aseguito di incidenti;

- il trattamento delle ustioni.

Per esempio?Per alcuni trattamenti al viso, oltre ai fillers di acido jaluroni-co e al botulino vengono usate altre sostanze assolutamen-te biocompatibili e con un riassorbimento molto più lento co-me l’idrossiapatite di calcio. Tutti questi prodotti, utilizzandouna tecnica chiamata soft restoration, vengono introdottitramite una piccola cannula per modificare il volume del vi-so, risollevare gli zigomi, rimodellare il contorno delle labbrae riempire le guance. Sta avendo sempre maggior diffusione

anche il gel piastrinico.

In che cosa consiste?Si esegue un prelievo di sangue che viene centrifugato e trat-tato in modo da ricavarne solo le piastrine che, poi attivate,vengono reintrodotte con un ago sottilissimo sul viso, sul col-lo, sulle mani. Non ci sono problemi di rigetto: è ovvio, in-fatti, che usando lo stesso sangue del paziente si verifica unabiocompatibilità totale.

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Affrontiamo anche il problema cellule staminali...Le cellule staminali sono il presente e saranno anche il fu-turo della chirurgia estetica. Adesso si utilizza il grasso checontiene le cellule staminali per modificare i seni sia nel ca-so di una ricostruzione in seguito a mastectomia per tu-more alla mammella, sia per il rimodellamento del seno afini estetici.Il trapianto di tessuto adiposo e cellule staminalipermetterà di ridurre sempre di più l’uso delle protesi con-sentendo così al corpo di adattarsi in modo naturale allenuove forme. Inoltre le cellule staminali contenute nel tes-suto adiposo agiscono con effetti rigenerativi e curativi suitessuti circostanti. Le cellule staminali sono già usate a li-vello cardiologico o in dermatologia.

Non ci dovrebbe essere un limite etico? Un limite al dilà del quale non andare comunque?Ho conseguito la specializzazione a Padova e poi ho fatto lapost graduation di tre anni a Rio de Janeiro presso il grandemaestro professor Pitanguy. Mi è stata insegnata la via piùnaturale possibile, la via della moderazione. Bisogna rispet-tare le proporzioni, le armonie, non stravolgere i lineamentima migliorarli. Un chirurgo deve possedere non solo la ma-nualità ma anche il senso estetico. Diciamo che è importan-te considerare il corpo umano come un’opera d’arte che vasalvaguardata e non deturpata.

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UN PO’ DI STORIAQuando è nata la chirurgia plastica? Secondo molte fonti le origini si perdono nella notte deitempi e andrebbero collocate in India. Nei Veda, un'anti-chissima raccolta in sanscrito vedico di testi sacri dei popo-li arii che invasero intorno al XX secolo a.C. l'India setten-trionale, vi sono riferimenti espliciti a tentativi di innesticutanei per fini ricostruttivi. Era infatti pratica usuale l'am-putazione del naso in seguito alla trasgressione di alcuneleggi. In Egitto nel 1600 a.C. (Papiro di E.Smith) viene descritto unpeeling per eliminare le rughe. Il Sushruta Samhita, documento del chirurgo indiano Su-shruta (siamo tra il II secolo a.C. e il II secolo d.C), è da con-siderarsi il primo vero trattato di chirurgia estetica. In esso,il medico descrive la ricostruzione dell'orecchio. In Grecia, nel Corpus Hippocraticum, Ippocrate fa riferimen-to a deformità e malformazioni del volto, citando tecnichericostruttive derivanti proprio dall’India.Nell’antica Roma, poi, due dei più grandi medici del tempo,Celso e Galeno, si interessarono di ricostruzioni a fini esteti-ci, tra cui correzioni del labbro, interventi alle orecchie e alnaso.Nel Rinascimento apparvero due importanti figure della chi-rurgia plastica: i Branca e i Vaneo che seppero approfondirele tecniche chirurgiche più avanzate del tempo. Successiva-mente il bolognese Gaspare Tagliacozzi specificò la tecnicadel lembo brachiale bipeduncolato per la ricostruzione delnaso, tecnica chirurgica che è ancora oggi utilizzata. Nella storia moderna un notevole impulso, in particolare al-la chirurgia ricostruttiva e maxillofacciale, venne purtroppodato dalla Grande Guerra.

PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MEDICINA

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LE CELLULE STAMINALI, UNA VIA MIRACOLOSALe cellule staminali sono delle particolari celluleche si trovano praticamente in ogni organismomulti-cellulare. Ciò che le rende “magiche” è unaloro capacità unica: a differenza di altre cellule, in-fatti, sono in grado di riprodursi attraverso il pro-cesso di divisione mitotica, e soprattutto di poter-si di fatto differenziare in cellule specializzate. Sipensi che le prime evidenze scientifiche a proposi-to delle staminali si ebbero solo negli anni ’60, gra-zie agli studi di ricercatori canadesi. Volendo descrivere le principali tipologie di stami-nali esistenti, le si può raggruppare in cellule sta-minali embrionali e cellule staminali adulte. Le dif-ferenze sono tutto sommato intuitive: mentre leprime sono disponibili solo fino alla nascita, ospi-tate principalmente nel cordone ombelicale, le se-conde si trovano nei tessuti adulti. A queste due ti-pologie di staminali corrispondono anche diversiscopi: mentre le prime esistono per la creazione dicellule specializzate nello sviluppo della vita, le se-conde svolgono il ruolo di organo riparatore percellule particolari, ossia assumono la struttura del-le cellule malate, riportandole a nuova vita.

Qual è la motivazione più forte che ci spinge dal chi-rurgo estetico?Soprattutto l'insicurezza. Una parte di noi che ci fa sentiresempre e comunque a disagio. Fino a poco tempo fa moltepersone dovevano convivere con delle parti del loro corpoche non sopportavano, con un risvolto psicologico dalle di-mensioni assai importanti. Ora con un intervento, una blefa-roplastica, un riempimento delle rughe, ecco che la personaacquista sicurezza, ha maggiore autostima, e vede la propriavita migliorare giorno dopo giorno, anche nei rapporti con ilprossimo. E questi interventi vengono richiesti da moltissimepersone senza distinzione di sesso, di età, di gruppo sociale.Come detto, se basta anche un piccolo intervento per sen-tirsi meglio, ben venga. z

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NON SARÀ UN TECNOCRATE

IL SOCRATEDEL TERZO MILLENNIO?

Intervista a Aldo Masullo

PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA FILOSOFIA

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«Mi presentano come filo-sofo: “Abbiamo qui il fi-losofo Masullo”. E allo-

ra io li interrompo con cortesia e chia-risco: filosofo? Ma no, non lo sono.Sono filosofo perché mi sta a cuore lavita. E posso dire d’aver costruito ilmio pensiero soprattutto con l’obietti-vo di imparare ad assaporarla, a mor-derla come si fa con un frutto succo-so». Eccolo, il biglietto da visita di Al-do Masullo, classe 1923, avellinese dinascita, torinese per la prima educa-zione, al meridione tornato ancora ra-gazzo per completarvi la formazionesuperiore e scoprire la vocazione aglistudi filosofici.

Socrate, XXI secolo. Colpisce, Masul-lo, per la capacità non comune di ren-dere attuali i grandi uomini del pensie-ro filosofico, come ha fatto lo scorsofebbraio a Trento nel corso del conve-gno “Socratica III”. Dove, alla doman-da su chi possa raccogliere ai nostrigiorni il testimone del grande ideatoredella maieutica, il quasi novantennestudioso ha risposto: «Il Socrate del ter-zo millennio è un economista non tec-nocrate»: un economista, cioè, non

schiavo della sua disciplina e dei tecni-cismi che questa implica, in grado dispaziare con vari occhi nella realtà enella società.

Non solo economisti. «Sono tante lefigure - ha continuato Masullo - che, inun modo o in un altro, portano dentrodi sé, più evidente o meno lo stigma so-cratico: cioè il bisogno di conoscere sestessi, così come ripeteva l’oracolo diDelfi. Una necessità essenziale per tut-ti gli uomini che Socrate ha sottolinea-to nella sua ricerca, trasmettendola atutti». Ed è un messaggio che resistenel tempo, né teme di essere svilito danuove ideologie: «Socrate è attuale og-gi e lo sarà sempre per la semplice ra-gione che non ha creato nessun siste-ma e nessuna ideologia, destinati a na-scere, invecchiare e morire. In Socratenon c’è nulla che possa morire perchéla sua figura è quella di uomo che ha in-nanzitutto insegnato qualcosa che sen-tiva dentro di sé».È un po’, questo, il modo che ha Ma-sullo di intendere tutta la filosofia: nonsoffre il tempo, né necessita svecchia-menti. A chi gli chieda a cosa serva, og-gi, l’antica disciplina di Erodoto e Pla-

tone, risponde che è necessario inten-dersi sul senso della parola. «Trovo chela filosofia non abbia bisogno di essereattualizzata. Si mantiene serenamenteviva da sola. Piuttosto, conta che la fi-losofia sia interpretata nel modo giu-sto. Io la vedo soprattutto come unastrategia educativa. Una vera e propriaginnastica, un modo di esistere neces-sario perché il mondo si umanizzi defi-nitivamente, perché prosegua nellamarcia di liberazione di sé».

Una certa idea di mondo. E come in-terpretare l’impegno politico di Ma-sullo? Un uomo che è stato prima alfianco degli studenti nelle contesta-zioni del ‘68, poi deputato e senatoreparticolarmente sensibile ai temi del-l’istruzione e della comunicazione,ora un personaggio molto attivo a Na-poli, la città che lo ha accolto fra i suoicittadini più illustri e ascoltati. «Mi so-no sempre fatto vivo, al tavolo dellapolitica, con questo stesso scopo.Umanizzare. E umanizzare per mevuol dire liberare. È questa la mia ideadel mondo». Un mondo capace diguardare al futuro, filosofeggiandogiusto un po’... z

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FILOSOFIA PER BAMBINI L’appuntamento è tutti gli anni ametà febbraio alla Casa del TeatroRagazzi e Giovani di Torino: è la Set-timana delle Favole Filosofiche, ma-nifestazione organizzata dalla Fon-dazione TRG onlus e Teatro Stabile

d’Innovazione. Si tratta di una seriedi iniziative artistiche, didattiche edivulgative ideate dagli attori e au-tori Pasquale Buonarota e Alessan-dro Pisci. I temi al centro dell’even-to sono l’identità

e il tempo e si affrontano attraver-so il gioco, lo scherzo, lo humour ela riflessione non solo in scena, maanche con laboratori, stages e in-contri. www.casateatroragazzi.it/

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA FILOSOFIA

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Eremita. Parola che evoca un tem-po lontano e, attraverso il fitto diboschi fin sulla cima dei monti,

dentro nicchie scavate nella roccia ciconduce a un venerabile anziano, bar-ba lunga, pochi stracci sul corpo ma-gro, intento a raccogliere erbe selvati-che o a meditare in assoluto silenzio,dove i cinguettii appartengono soloagli uccelli e Twitter, semplicemente,non esiste. Ma c’è di che sorprendersi.Nell’immaginario collettivo l’eremita,“monaco” (da monos, uno) per eccel-lenza, è una figura medievale al pari deicavalieri delle crociate o delle donne ri-tenute streghe. Pochi sanno che sututto il territorio italiano vivonooggi, nel 2012, oltre trecento ere-miti: uomini e donne che hannoscelto di seguire un proprio cammi-no di spiritualità, di sottrarsi agli af-fanni del mondo per riscoprire Dio.Ognuno di essi forgia una propria “re-gola” che deve essere approvata dalvescovo, un percorso personale a talpunto che non è assurdo pensare cheesistano tante forme di vita eremitica

quanti sono gli eremiti stessi. E così c’è chi ha scelto di vivere in uneremo, isolato dal consesso civile e tut-tavia aperto all’accoglienza di chiun-que vada a cercarlo per chiedergli con-forto, essere ascoltato, o imparare dalui l’ascolto di sé. Così è per don Paolo,che vive tra le colline di Mosciano nel-l’Appennino toscano e non si stupisceche siano in tanti a inerpicarsi per veni-re a conoscerlo e condividere, per qual-che giorno, la sua semplice vita. «Lepersone sanno che io ho tempo da de-dicare loro perché, non avendo nessu-no, posso darmi a tutti» dice. Ringraziadei tanti doni che gli portano, e li donaa sua volta ai visitatori bisognosi. Il rispetto per la natura è fondamenta-le per un eremita, e in particolar modoper chi ha scelto di essere pienamenteanacoreta, lontano dal mondo, comedon Mauro. Da anni vive in Valdinievo-le (provincia di Lucca) in completo iso-lamento, producendo da sé con un pa-io di piccoli pannelli fotovoltaici quelpo’ di elettricità necessaria a far fun-zionare il filtro per l’acqua che attinge

al vicino ruscello e ricaricare di tanto intanto un telefono cellulare. Ogni annodopo la Pasqua intraprende un pelle-grinaggio di quaranta giorni: è l’unicaoccasione in cui abbandona l’eremo esi reca, letteralmente, dove lo porta lospirito, dormendo presso conventi eparrocchie trovati sul cammino. Ma non tutti hanno bisogno di andarelontano per sentirsi più vicini a Dio. C’èchi ha costruito un eremo nella città, eaccanto a negozi e a uffici “si fa abita-re dal silenzio”. Come Antonella, lau-reata in Filosofia, studiosa di greco edebraico, che affianca al lavoro nella Bi-blioteca Nazionale di Firenze una di-mensione di “eremitismo urbano” nel-la stessa città. «Ho vissuto in eremi e inmonasteri, ma lo spirito mi chiedeva direstare in città; nella solitudine dellamia casa mi porto tutto il peso dellagiornata, finché sento sgorgare la voceinteriore. Il mio silenzio è la pustinìa,termine russo che indica il deserto sen-za istituzioni, stare nel mondo senzaappartenervi». Persone normali, che hanno seguitoun’intima esigenza. E che hanno moltidubbi, come tutti. «Ogni tanto pensoche la mia vita non serva a niente» di-ce Don Mauro. «Poi guardo con gli oc-chi dello Spirito, e le cose cambiano: uneremita richiama la società al primatodi Dio nell’esistenza, a cercare quell’in-contro personale con il divino cui ognu-no di noi è chiamato». z

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EREMITIAL TEMPODI TWITTERISOLARSI DAL CONSESSO CIVILE,SEGUIRE UN PROPRIO CAMMINODI SPIRITUALITÀ, SOTTRARSI AGLI AFFANNIDEL MONDO PER RISCOPRIRE DIO: COSE D’ALTRI TEMPI O UNA SCELTA PER IL FUTURO? LO ABBIAMO CHIESTO A CHI EREMITALO È DIVENTATO DAVVERO.

PER SAPERNE DI PIÙ! Isacco Turina

I nuovi eremitiMedusa 2007

! Cristina SaviozziCome gufi nella notteStorie di eremiti del nostro tempoEdizioni San Paolo 2010

! Espedita FisherEremitiCastelvecchi 2011

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MA GLI ASTRI,STANNO A GUARDARE?

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELL’ASTROFISICA

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CONOSCIAMO SOLO IL 5% DEL NOSTRO UNIVERSO.E CIÒ CHE SAPPIAMO LO DOBBIAMO PER UNA BUONA PARTEAI RICERCATORI ITALIANI.NON PER NIENTE, NEL CAMPODELL’ASTROFISICA,IL NOME DELL’ITALIAÈ SPESSO ASSOCIATO AQUELLO DI ECCELLENZA. E PER QUANTO RIGUARDAIL FUTURO? NELLE MANI DEI GIOVANISTUDIOSI ITALIANI CHE,NONOSTANTE LE MILLEDIFFICOLTÀ CUI VAINCONTRO LA RICERCAIN QUESTI ANNI NEL NOSTRO PAESE, HANNO DECISO DI RIMANERE,CONTINUANDOIMPERTERRITI ACREDERCI E A RICERCARE.

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Elencare tutti i passi avanti che sono stati compiuti nel campo dell’astro-fisica è davvero impossibile. E se tanti progressi sono stati fatti lo dob-biamo anche agli studiosi italiani che hanno fatto sì che (almeno) nel

campo dell’astrofisica il nome dell’Italia sia spesso associato al concetto di “ec-cellenza”. Lo sanno bene i più di 1400 ricercatori e scienziati dell’INAF, l’Isti-tuto Nazionale di Astrofisica, che collaborano attivamente a progetti “stella-ri” di grande spessore.L’INAF, che è il principale Ente di Ricerca italiano per lo studio dell’Universo, pro-muove, realizza e coordina a livello nazionale e internazionale le attività di ri-cerca nei campi dell’Astronomia e dell’Astrofisica. Si occupa inoltre dello svi-luppo di tecnologie innovative e strumentazione d’avanguardia per lo studioe l’esplorazione del Cosmo e favorisce la diffusione della cultura scientifica gra-zie a progetti di didattica e divulgazione che si rivolgono alla scuola e alla so-cietà. Chi meglio quindi di Giovanni Bignami, presidente dell’INAF dall’agosto del2011, poteva aiutarci a capire lo stato delle cose e del futuro dell’astrofisica?

Il Prof. Giovanni Bignami è ordinario di Astronomia eAstrofisica allo IUSS di Pavia. È Presidente dell’IstitutoNazionale di Astrofisica (INAF) e astrofisico tra i più notia livello planetario. Tra i suoi numerosissimi titoli, vantala presidenza di vari centri di ricerca spaziali tra i qualil’Agenzia Spaziale Italiana e quella Europea. Autore dimolteplici articoli scientifici, di cui ben 16 pubblicati su

Nature, è Membro dell’Accademia dei Lincei. Al Prof. Bignami si deve la sco-perta di una nuova stella di neutroni: “Geminga”.

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Parlando di astrofisica, secondo leiquali sono state le scoperte più si-gnificative del settore?L'elenco è lungo. Partiamo dal Nobel2011, assegnato agli studiosi che hannodimostrato che l'universo si sta espan-dendo a un ritmo sempre più accelerato. Pensiamo anche ai raggi gamma rayburst, emissioni di alta energia dovute al-l'annichilimento tra materia e antimate-ria, che fino a qualche tempo fa rappre-sentavano uno dei più grandi misteri del-l’astrofisica moderna ma che oggi sonoun potente mezzo per misurare le di-stanze nell'Universo lontano. Cito anche l'astronomia a raggi x che hapermesso lo studio dei buchi neri, la cuiforza di attrazione è tale da impedire aifotoni (cioè alla luce) di sfuggirgli. Le ricerche di un grande scienziato scom-parso di recente, Franco Pacini, hannoportato a un’importante novità nel cam-po della radioastronomia, ossia hannopermesso di individuare un corpo celestefino a pochi anni fa sconosciuto, la pul-sar, particolare esempio di stella di neu-troni. Altra scoperta significativa è la mappatu-ra dell'universo fatta a microonde, grazieal satellite dell'ESA Planck, che ci ha mo-strato l'universo a soli 370 mila anni dalbig bang (ad oggi ne sono passati 13.7miliardi di anni), nel momento in cui l'uni-verso iniziava a schiarirsi. È il momentopiù vicino al big bang mai raggiunto dal-la ricerca astrofisica. E, infine, come noncitare l'evidenza dell'esistenza di pianetiextrasolari! Se ne teorizzava l’esistenzasin dai tempi di Giordano Bruno, ma so-lo quattro secoli dopo se ne è avuta laprova con la scoperta di 51 Pegasi b, il pri-mo pianeta scoperto in orbita attorno auna stella diversa dal nostro Sole.

È possibile immaginare che esistanouniversi paralleli e pensare che oltreall'universo stesso ci sia qualcosa?L'ipotesi del “multiverso”, che contem-pla l’esistenza di più universi paralleli,seppur recente (risale circa alla metà delsecolo scorso), ha avuto una sua evolu-zione teorica importante. Preferiscomantenere una posizione “neutra” al ri-guardo: conosciamo del nostro universoappena il 5 per cento (il resto è materiaoscura ed energia oscura), è troppo po-

PRIMO PIANO: IL FUTURO DELL’ASTROFISICA

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co per avventurarsi in altriuniversi!

Le stelle stanno a guar-dare o possono influen-zare le nostre vite?Non stanno neanche aguardare. Però, se da unlato le stelle non possonoinfluenzare le nostre vite,dall’altro bisogna ricorda-re che noi dobbiamo la no-stra esistenza alla “nostra” stella, il Sole. La quiete del nostro sole può trarre in in-ganno perché la vita delle stelle è solita-mente piuttosto turbolenta. Il nostro so-le ha quattro miliardi di anni e per altri cin-que non ci abbandonerà.

A che punto sono gli studi per de-terminare la materia oscura del-l’universo?È una delle grandi sfide che abbiamo difronte. Per effetto della lente gravitazio-nale abbiamo evidenza che la massa pre-sente è notevolmente superiore a quellache vediamo. Ma da qui a capire cosa sia,c'è ancora molto cammino da fare! Un aiuto può venire da un grande pro-getto la cui realizzazione partirà a breve:lo SKA, Square Kilometer Array, la piùgrande rete di radiotelescopi mai conce-pita e realizzata, che ci aiuterà, ne sonocerto, a risolvere alcuni degli enigmi checi riserva l'universo.

Tra i tanti progetti di cui si sta occu-pando l'INAF ce ne cita un paio?Ce ne sono diversi: il progetto SKA, adesempio, vede in prima fila il nostro isti-tuto. Inoltre, siamo uno dei paesi piùcoinvolti nell'ESO, l'organizzazione inter-governativa europea di scienza e tecno-logia preminente in astronomia. Nonposson o ncitare ilTelesco-pio Na-z i o n a l eGalileo delleCanarie che èstato dotato diun “cacciatore” diesopianeti che lavo-rerà in sinergia con il sa-

tellite della NASA Kepler.L’obiettivo di questo pro-getto non è solo rilevarepianeti extra solari ma an-che analizzarne la compo-sizione per capire se effet-tivamente possono esserviforme di vita o risultareabitabili per l'uomo, inquel lontano futuro nelquale la nostra specie avrà

raggiunto una tecnologia ta-le che le permetterà di superare i confinidel nostro sistema solare e avvicinare lestelle più vicine. Ma i progetti sono anche tecnologia: inItalia le ottiche adattive, che permettonoai nostri telescopi a terra di “vedere” co-me se fossero nello spazio, sono novitàtecnologiche di cui andare fieri.

Cosa riserva il futuro alla ricercaastrofisica in Italia?Il nostro Paese è tra i primi al mondo perla sua eccellenza scientifica nel campodell'astronomia e dell'astrofisica. Dallaradioastronomia allo studio delle alteenergie dell'universo, e ora anche nellacaccia agli esopianeti, piuttosto che nel-lo studio del sole e tanto altro ancora.Pubblicazioni, premi e riconoscimenti te-stimoniano che l’Italia contribuisce pa-recchio e ci spingono a fare ancora mol-to. Sono quindi ottimista su quello che ilfuturo ci riserverà.

In suo articolo pubblicato qualchesettimana fa su Che Futuro ha scrittodella notevole volontà dei giovani ri-cercatori italiani, che fa ben spera-re nel futuro della ricerca ma-de in Italy. Nell'articoloammette an-che

che, però, è necessario dare loro lebasi vere per fare ricerca. Come e do-ve troveremo queste basi?Nella ricerca astronomica e nell'astrofisi-ca vi sono molti giovani eccellenti, chehanno già ricevuto prestigiosi riconosci-menti. La maggior parte di loro ha pre-ferito una precarizzazione in Italia piutto-sto che la sicurezza all'estero, perchévuole bene al suo Paese. E la base per ilfuturo della ricerca italiana sta proprio inquesto: nel far sì che non si debba sce-gliere tra la precarizzazione o la sicurez-za, ma che prevalga la consapevolezza dipoter fare al meglio il proprio lavoro in unambiente di eccellenza scientifica come ègiusto che sia.

Quali sono le parole chiave e i con-cetti che caratterizzeranno il futurodell’astrofisica?Da una parte ci sono igrandi enigmi come ilbig bang, la materia el'energia oscura, l'originedella vita, la fisica dell'uni-verso; dall'altra parte cisono concetti come cre-scita, investimento sulfuturo, formazione,giovani. Tutte questeparole si legano traloro, le prime sen-za le secondenon hannofuturo. z

Le stelle non ci guardano,

ma bisogna ricordareche dobbiamo la

nostra esistenza allanostra stella, il sole.

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Higgs!Per provare a

spiegare il bo-sone di Higgs po-

tremmo partire dal“porridge” (un esempio

utilizzato anche dall’omo-nimo scienziato irlandese al

quale si deve la scoperta) assimi-labile, per consistenza, alla nostra

polenta. Al suo interno le particelle simuovono, formano dei grumi e acqui-

stano massa. Ciò che fa formare i grumi è ilbosone di Higgs. La sua scoperta (ai primi di lu-

glio) rappresenta il tassello che restava da individua-re per dare un senso a quel “modello standard” che la fi-

sica moderna ha dato alla struttura intima della materia. Una sco-perta i cui metodi e le tecnologie sperimentate avranno applicazioni anche in

altri ambiti. Pensiamo al ruolo dei magneti superconduttori, sviluppati dalle industrie italiane, nelsettore medico. O al Grid, il potentissimo sistema di calcolo utilizzato per questi esperimen-

ti, che tra meno di 10 anni invaderà le nostre case sostituendo il Web. Più direttamentesi tratta di una scoperta determinante per studiare l’Universo. Già ora il valore di

massa trovato per questo bosone ci può portare a pensare che non è dettoche l’Universo sia stabile, ma potrebbe essere meta-stabile, ovvero

che un bel giorno potrebbe ripiegarsi su se stesso e ritorna-re nel vuoto dal quale è arrivato, 13,67 miliardi

di anni fa.

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DI NUMERI PRIMI, ELLISSI E PARABOLE, PITAGORA ED EUCLIDE PROBABILMENTECONTINUEREMO A SENTIR PARLARE PER MOLTO TEMPO. SOPRATTUTTO PERCHÉNON SI TRATTA SOLO DI TEOREMI O FORMULE ASTRATTE, MA CONCETTI MOLTOCONCRETI E PRATICI CHE STANNO ALLA BASE DI NUMEROSE ESPRESSIONI DELLANOSTRA VITA. DALLA LETTERATURA ALLA MUSICA, DALL’ARCHITETTURA ALL’ARTE,PASSANDO PER LA BIOLOGIA, LA TECNOLOGIA E ANCHE, PERCHÈ NO, DALL’IRONIA.LA MATEMATICA CI CIRCONDA. MA ANCHE LA MATEMATICA HA UN FUTURO?

QUANTE BELLE COSENEL CIELODELLA MATEMATICA

PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MATEMATICA

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Quale diplomato al liceo scienti-fico (ma non solo) non ha con-tinuato a sognare per anni la

prova di matematica del proprio esa-me di maturità?In linea di massima, fatta ovviamenteeccezione per le menti particolarmen-te portate per l’argomento, la mate-matica fa paura a tutti perché apparecome qualcosa di inspiegabile, astrat-ta, complicata e difficile da capire.Eppure, aprendo meglio la mente escavando un po’ più in profondità, ciaccorgeremmo che nulla è più vicino anoi della matematica.La matematica è ovunque: nell’arte,nella musica, nell’economia, nella tec-nologia, in poche parole nella quoti-dianità. La matematica c’è sempre sta-ta e sempre ci sarà e probabilmente, sela si conoscesse meglio, si eviterebberotanti errori e magari si troverebbe la

giusta soluzione alle diverse situazionisgradevoli che affliggono la societàodierna. E dato che probabilmente citoccherà studiarla per sempre, prepa-riamoci a conoscere i concetti e i teore-mi che sopravvivranno ai tempi, assie-me a chi di matematica ne mastica,Piergiorgio Odifreddi.

Quali teorie, teoremi, concetti sal-veremo per sempre, ossia sarannosempre presenti nei libri di testoper scuole e università?Bohr diceva: “Fare previsioni è sempredifficile, soprattutto sul futuro!”. Peròpossiamo immaginare che i teoremiclassici dell’antichità, che ancora oggidopo 2000 - 2500 anni continuano a es-sere centrali nello studio della mate-matica, rimarranno. Penso ad alcuniteoremi fondamentali che rappresen-tano l’alfabeto della matematica:quello di Pitagora, alcuni teoremi diEuclide sulla decomposizione dei nu-meri in fattori primi, alcuni teoremi diArchimede sul rapporto tra la circonfe-renza e il diametro di un cerchio.Per quanto riguarda invece i teoremimoderni è più difficile fare previsioni.Anche nella matematica, infatti, esi-stono le “mode”: per esempio,nell’800 andava molto di moda la geo-metria proiettiva, che oggi è ancorafondamentale ma nessuno direbbeche è la parte più importante della ma-tematica.Anche Newton ed Eulero hanno trat-tato temi importanti ma per essere un

grande matematico non basta dimo-strare un teorema, bisogna anchecomprendere quali di questi teoremisono importanti. Nel loro caso sarebbeinteressante capire se sono dei grandiperché hanno fatto quei teoremi op-pure se proprio perché hanno fattoquei teoremi allora sono diventati deigrandi!

Un tempo studiavamo la matema-tica con l’aiuto di strumenti comeil pallottoliere e poi con la calcola-trice. In futuro ci aiuteremo con…?Domanda ottimista, che presupponeche si continuerà a studiare la mate-matica! Ormai ci sono i computer etante altre diavolerie elettroniche chetendono a trascurare le abilità di calco-lo che c’erano una volta. Oggi si tendea fare troppo affidamento a calcolatri-ci e calcolatori, difficilmente la gente fadei calcoli persino quando si tratta dinumeri molto piccoli e, come nellosport, se manca l’allenamento si rischiadi perdere le gare! Ma il computer ha cambiato parecchioil modo di fare matematica, non solonell’abilità di fare i calcoli, ma anchenel permettere di visualizzare cose chefino a poco tempo fa non potevamo vi-sualizzare. Faccio l’esempio dei fratta-li, che prima dell’avvento dei computervenivano studiati solo in teoria, manon potevano essere visualizzati.La tecnologia comporta quindi van-taggi e svantaggi, come tutte le co-se!

Intervista a Piergiorgio Odifreddi,

matematico, logico e saggista.

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In dieci parole una definizione dilogica matematica.La logica è lo studio del ragionamento,la logica matematica è lo studio mate-matico del ragionamento. L’aggettivo“matematico” può essere messo in di-verse posizioni: vicino a “studio”, vici-no a “ragionamento” o, ancora, vicinoa entrambe (“studio matematico delragionamento matematico”).Non si studia solo il ragionamento inastratto, come facevano Aristotele e gliScolastici; oggi, dall’800 e da Boole inparticolare, lo si fa in modo matemati-co e, nello specifico, non si studia il ra-gionamento astratto che, ad esempio,possano usare gli avvocati o i politici neiloro discorsi, ma il ragionamento mate-matico, cioè la forma più astratta diquesto ragionamento.Dunque, la logica è lo studio del ragio-namento e la logica matematica è lostudio matematico del ragionamentomatematico.

Penna, pennello e bacchetta: piùche le tre invidie del matematico,sono gli ambiti nei quali la mate-matica ha un ruolo portante?A livello intuitivo, nessuno crederebbeche la matematica possa avere un ruo-lo nella letteratura, nella pittura e nellamusica. Invece, scavando, ci si accorgeche, ad esempio, già dai tempi antichila musica è fortemente connessa allamatematica. Pitagora addirittura riuscìa esprimere in frazioni le note musicali;in frazioni non astratte ma in frazioni“di corda”: quando pizzichi una cordadella chitarra, questa emette una nota,se dividi la corda a metà, questa emet-te una nota che risulta un’ottava supe-riore alla nota precedente. Pitagora siaccorse, quindi, che i rapporti numeri-ci permettono di descrivere i rapportiarmonici, inaugurando così una lungaserie di connessioni tra matematica emusica. Tra i moderni, il compositorePierre Boulez è laureato in matematicae lo stesso vale per Philip Glass, del qua-le abbiamo apprezzato numerose co-lonne sonore per film.Passiamo alla pittura. Abbiamo accen-nato alla geometria proiettiva, che nonè altro che la forma matematica dellaprospettiva e la prospettiva è una tecni-

ca pittorica usata già a partire del ‘400.Per la letteratura, forse, il rapporto èpiù complesso, però ci sono matemati-ci che hanno preso il premio Nobel perla letteratura, l’ultimo è stato JohnMaxwell Coetzee. La matematica entradentro la letteratura quando le operesono costruite in modo matematico,strutturato, forse anche un po’ cervel-lotico. Ne è un esempio Se una notted’inverno un viaggiatore di Calvino, unromanzo scritto in maniera complessa,per spiegare il quale l’autore ha addi-rittura fatto ricorso a una quarantina diquadrati semiotici!

Sorpassando Euclide, verso altrevie di fuga, quali potrebbero es-sere in futuro le nuove conquistedella matematica?La matematica certamente sta cambian-do. Fino a cinquanta anni fa circa, eradominata, dal punto di vista pratico, dal-le applicazioni fisiche e da problemati-che come la meccanica e il moto dei cor-pi (dalle auto alle navicelle spaziali). Og-gi si sta andando in due direzioni moltodiverse che immagino saranno centrali einnovative ancora per molti decenni:l’informatica e la biologia. A propositodella biologia, c’è una spiegazione ma-tematica anche per lo studio del DNA, diqueste strane forme a doppia elica chesi avvolgono su se stesse in modo moltocomplicato. Se noi prendiamo una cor-da composta da due filamenti e cerchia-mo di separarli, la corda si annoda e idue filamenti non si dividono così facil-mente. Esiste però una teoria matema-tica, la teoria dei modi, che spiega comefaccia il DNA (che è l’analogo di una cor-da di 100 km compressa nello spazio diun pallone da calcio) a dividersi in dueparti senza fare pasticci.

Lei ha affermato che i matematicitrovano più cose nel cielo dellamatematica, di quanto si sogninoin terra i filosofi. Ma molti filosofisono stati anche matematici, ècorretto?Tra la fine del ‘800 e i primi del ‘900 siè divisa la matematica dalla filosofia.Prima di allora c’erano tantissimi mate-matici che erano anche filosofi, comeLiebniz e Cartesio. Oggi ce ne sono me-

no: c’è ad esempio Kripke, un filosofoanalitico che ha dato contributi impor-tanti soprattutto alla logica.

Quando a Talete chiesero se fossenato prima il giorno o la notte, luirispose: “La notte. Il giornoprima”. !Come si lega la matema-tica all’umorismo?Credo che il legame esista. Un mio ami-co della Normale di Pisa, Gabriele Lolli,ha scritto un libro proprio sul rapportotra matematica e umorismo, dal titoloIl riso di Talete. Si riferiva all’episodio incui Talete, camminando con la testa ri-volta all’insù verso le stelle, è finito inun pozzo e, per uscire, aveva avuto bi-sogno della sua signora di servizio.Le battute sono dei modi di parlare chegiocano su significati plurimi del lin-guaggio. Anche la matematica è fattacosì: i sistemi matematici sono utili per-ché, essendo astratti, possono essereapplicati a campi completamente diver-si da quelli per i quali sono stati inventa-ti. L’universalità dei sistemi matematicideriva proprio da questa “ambiguità”(che noi matematici preferiamo definire“indeterminatezza”: non essendo com-pletamente determinati, i sistemi mate-matici possono essere interpretati intanti modi). Magari l’umorismo è più di-vertente ma anche la matematica lo èper coloro che la capiscono!

Continuiamo con l’umorismo e unabarzelletta. “In un hotel si trovano,un ingegnere, un chimico ed un ma-tematico. All’improvviso, a ognipiano si avverte qualcosa bruciare.L’ingegnere al primo piano escedalla sua stanza e vede che una si-garetta in una ceneriera è la causa.La spegne e va a dormire. Al se-condo piano il chimico capisce cheper spegnere il fuoco ci vuole l’ac-qua, spegne la sigaretta e va a dor-mire. Il matematico si alza, capisceche ha la soluzione e torna a dor-mire”. La domanda è: cosa in con-creto potranno fare ancora imatematici per il futuro e la sosteni-bilità del nostro Pianeta?È vero, il matematico ha l’atteggia-mento di chi è interessato a trovare lesoluzioni in astratto, ma poi queste so-

PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MATEMATICA

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luzioni in astratto possono essere ap-plicate in concreto. L’esempio più tipi-co che si fa in questo caso è quello del-le sezioni coniche (parabola, ellissi, ecc)studiate da Apollonio, che inizialmentesembravano soltanto delle curiositàmatematiche. Poi, però, si è scopertoche proprio le sezioni coniche, conside-rate dei divertimenti matematici, ave-vano delle applicazioni: Galileo, adesempio, ha scoperto che i proiettili (oanche un pallone quando viene tirato)viaggiano lungo traiettorie paraboli-che, Keplero scoprì invece che i piane-ti, quando girano intorno al sole, han-no delle orbite che non sono circolaribensì ellittiche. Ci sono voluti quasi2000 anni prima che le sezioni conichefossero applicate in qualcosa di utile. Lamatematica è così: un concetto, per es-sere ritenuto matematicamente impor-tante, non è detto che debba avereun’immediata applicazione. Questo at-teggiamento è tipico anche della tec-nologia: spesso le cose create per undeterminato motivo sono poi usate an-che per altro. L’uso primario del telefo-nino, per fare un esempio, è quello difare telefonate, ma oggi si usa ancheper tutt’altro.

Psicostoriografia e Seldon-Asimov:per prevedere l’evoluzione dellasocietà o accelerare un po’ questoperiodo storico, la matematica po-trebbe darci una mano?Assolutamente! Anzi, magari non fapiacere dirlo ma, in parte, anche lamatematica è causa di alcuni problemirecenti: si pensi che oggi si gioca in

borsa anche tramite pro-grammi

informatici e non solo ricorrendo alleintuizioni dei brokers. Sono stati datidiversi premi Nobel a persone che ave-vano condotto studi matematici dieconomia. L’economia è stata a lungoun campo filosofico in cui ognunoaveva una sua opinione; oggi non ba-sta solo avere un’opinione, ma anchedimostrarla in modo preciso e mate-matico. Credo quindi che quando iproblemi diventano complessi, pensa-re di risolverli solo in maniera intuitivaè un’illusione. Certo, per far quadrareil bilancio giornaliero in casa si può an-che andare a intuito, ma se devi farquadrare il bilancio di una nazione de-vi fare dei calcoli.

La logica ci aiuterà o ci distruggerà?Nel nostro mondo la logica è sempreun po’ in difetto: però, senza logica ilmondo diventa un caos.Come esistono due emisferi (uno piùintuitivo e l’altro più razionale) nel cer-vello degli uomini, così ci sono alcunepersone più illogiche, antirazionali e al-le quali la ragione dà fastidio, e al-tre che sono invece l’esattocontrario e che, secondome, sono quelle che fan-no andare avanti i lmondo. Le cose nonavvengono per caso ma avvengonoperché qualcuno le ha pensate usandoin un senso più o meno letterale la lo-gica.

Forse ora viviamo in un paradosso.Il tempo lo risolverà?Questo è un po’ quello che Shakespea-re faceva dire ad Amleto, ma in quel ca-so il tempo non ha risolto!

In realtà i paradossi spesso si risolvonosoprattutto quando dietro ci sonoquestioni tecniche, a differenza diquanto accade con i paradossi conna-turati alla natura che non possono es-sere risolti.Ma se tutto fosse razionale e risolubilela vita sarebbe anche un po’ noiosa,no? Che esistano delle aree in cui lequestioni restano aperte non mi dispia-ce affatto.

Quali concetti e parole chiave domi-neranno la matematica del futuro?Credo che i concetti classici ci sarannosempre: le figure geometriche, le for-me, i poliedri, i poligoni. Nel campo deinumeri avremo sempre i numeri primi,i numeri razionali e quelli irrazionali, inumeri complessi.Poi ci sono anche tanti altri concettimoderni che però dovranno dimostra-re di sopravvivere in questa “lotta perla sopravvivenza”. z

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IL GIORNALISMO?

UNA QUESTIONE

DI VITA VERA

PRIMO PIANO: IL FUTURO DEL GIORNALISMO

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Una volta c’erano i garzoni cheper pochi spiccioli distribuivanoi giornali ai passanti strillando a

gran voce le ultime notizie, oggi siamoinvece abituati a “sfogliare” gli articoliche più ci interessano su tablet e tele-foni cellulari, in qualunque momentodella giornata. È cambiata, quindi, ra-dicalmente la nostra fruizione dei fatti,dei racconti, delle cronache. E a questocambiamento si accompagnano anchedelle evidenti novità nel modo di faregiornalismo. I giornali, ormai, non ba-stano più: ci sono i magazine online, iblog, i commenti e, ovviamente, gli im-mancabili Facebook e Twitter, ritenutipatria della libertà d’espressione e perquesto frequentati da chiunque abbiavoglia di comunicare e divulgareun’idea. Il giornalista è ovunque, fre-quenta ogni piazza mediatica, ma c’èanche chi, a fronte di questa “multipresenza”, invita a non perdere mai divista la realtà. E a parlare con le perso-ne, a vivere le storie per poterle poi do-cumentare, a mantenere saldo il con-tatto con la verità.Assieme ad Aldo Cazzullo, scrittore egiornalista del Corriere della Sera, cer-chiamo di scoprire cosa ci riserverà ilgiornalismo del futuro.

La fruizione del giornalismo è cam-biata. La tecnologia ha cambiato in

parte le modalità di lavoro del gior-nalismo. Ma come dovrà operare ilgiornalista del futuro?È chiaro che non basterà più solo scri-vere. Già adesso, a mio avviso, è beneche un giornalista sia sui giornali maanche in libreria, sul web, in televisionee anche in giro, tra la gente. In tanti sono anche sui social network.Non ho nulla in contrario a questo pro-posito e anzi ammiro i colleghi che rie-scono a esserci; personalmente, io nonsono né su Facebook né su Twitter per-ché non ne ho il tempo. Cerco, però, diessere su tutti gli altri canali e credoche, fra tutti, quello di essere in giro siala cosa più importante. Non vorrei chelasciarsi assorbire del tutto da questarealtà virtuale, da questo continuo rim-balzo di sollecitazioni che arrivano dalweb, possa far perdere di vista ai gior-nalisti la vita vera e le persone in carnee ossa. A me piace tanto stare tra la gente. Adesempio, di recente, per il Corriere hofatto un viaggio in Italia che mi ha por-tato in undici città diverse (che proba-bilmente costituirà la base di un mioprossimo lavoro); è stata davveroun’esperienza bellissima perché mi hafatto ritrovare la funzione del cronista,l’essere tra le persone, passare una not-te sulla volante della polizia, andare ne-gli ospedali, allo stadio, nelle periferie.

?GRAZIE A INTERNET E AI SOCIAL NETWORK, CONTENUTI E IDEECIRCOLANO IN LIBERTÀ. ALCUNI PENSANO ANCHE DI POTERESSERE GIORNALISTI DI SE STESSI, ALTRI RISCHIANO DI FARCOINCIDERE I CONFINI DELLA MENTE CON QUELLI DEL MONDO. E I CRONISTI DI PROFESSIONE? NON DOVREBBERO MAIDIMENTICARE CHE PRIMA DI UN MONITOR, CI SONO SEMPRE LE PERSONE IN CARNE E OSSA E CHE UN RITORNO ALLE ORIGINI,CON LA CRONACA E I REPORT DI VITA VERA, NON POTREBBE CHE FAR BENE. PER EVITARE CHE IL GIORNALISMO DIVENTI UN UFFICIO STUDI INCARICATO SOLO DI PRODURRE DOSSIERLUNGHI E DETTAGLIATI.

Intervista ad Aldo Cazzullo, inviato ed editorialista del Corriere della Sera.

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DEL GIORNALISMO

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La mia impressione è che in futuro il lavo-ro del giornalista debba essere impastatocon la vita più di quanto non lo sia ades-so. Non vorrei che il giornalismo diventas-se una sorta di ufficio studi in cui si pub-blicano dossier lunghi e dettagliati e neiquali però non c’è la vita; per carità, è im-portante anche la documentazione, ma lavita vera è un’altra cosa.

L'illusione che ognuno possa esseregiornalista di se stesso: ma i citizenjournalist possono essere utilizzaticome fonti? E se sì, com’è possibileverificarle in questo "meticciato di in-formazioni" che è il crowdsourcing?Con questa domanda si apre un di-scorso molto interessante. Da una par-te, è chiaro che i social network con-sentono a tutti, in teoria, di diventare inqualche modo giornalisti: se ti trovi da-vanti a un fatto, puoi filmarlo e poimetterlo online. Questo è molto stimo-lante, ma dall’altro lato, mi chiedo secosì facendo non si corra il rischio dimanipolazione. Se io sono testimone di

un incidente o di una ris-sa, posso infatti darne laversione che più mi fa co-modo, ricostruendo a miopiacimento il fatto.Si tratta quindi di un mo-do interessante e affascinante di faregiornalismo, nei confronti del quale,però, è necessario anche fare attenzio-ne. Tuttavia, il rischio di manipolazionenon deve comportare la chiusura tota-le nei confronti del citizen journalism.

Prima abbiamo parlato dei social net-work come Facebook e Twitter: cosane pensa del modo di “fare giornali-smo” e della rapida diffusione dinews legata a questi canali?Sono scettico perché non vorrei checrescesse una generazione di giornali-sti per i quali i confini del mondo coin-cidono con quelli della loro mente. Percui, l’opinione è tutto e il fatto non ènulla, l’invettiva è tutto e il raccontonon serve. Da questo derivano oggi fe-nomeni inquietanti come il confondere

il pensiero dell’intervi-statore con quellodell’intervistato, nulladi più sbagliato! Ov-vio che nel nostro la-voro si vuole cercare

in qualche modo di “portare” l’intervi-stato a dire cose giornalisticamente in-teressanti e nel modo più chiaro possi-bile; ma questo non vuol dire condivi-dere il suo pensiero, o mettergli in boc-ca un altro pensiero. Significa invecestimolarlo, mettendolo nella condizio-ne di aprire liberamente il suo pensieroe il suo punto di vista.

Cosa ne pensa del giornalismo diinchiesta finanziato dai lettori del-le piattaforme online (secondoquindi i principi del crowdfunding):anche questo troverà sempre piùspazio nel futuro?Non credo, dato che la gente è abitua-ta a trovare online le notizie gratis.Questo ha in sé anche del pericoloso:è vero che su Internet trovi di tutto, ma

Non vorrei checrescesse unagenerazione di

giornalisti per i quali i confini del mondo

coincidono con quellidella loro mente.

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è vero anche che trovi quello che vo-gliono farti trovare. Internet è unapiazza elettronica in cui tutti gridano,molti insultano e nessuno ascolta. E avolte vedo che la gente “mette in piaz-za” i propri fatti personali con la sicu-rezza del naufrago che affida il suomessaggio a una bottiglia, sicuro chele onde del mare lo porteranno nellemani di un soccorritore che, però, allafine non c’è. Su Internet ognuno ascol-ta la propria voce, il massimo dell’in-terconnessione finisce per diventareparadossalmente il massimo dell’auto-referenzialità: tu pensi di parlare contutti ma in realtà parli da solo. Lo stesso discorso vale anche per i blogpersonali dove tutti dicono quello chevogliono, a volte insultando i propricolleghi: non si fa così, la mediazionedell’intervistatore è sempre importan-te.Inoltre, una cosa che mi colpisce inqueste forme di giornalismo è la predi-sposizione molto negativa che si av-verte nei confronti dei personaggi

pubblici. E questo accade anche con ilgiornalismo “ufficiale”, che sta a con-tatto con le sfere alte e che per questoè guardato con sospetto mentre, inve-ce, Internet è visto come il luogo dellaverità. Non è così.

Probabilmente, nel futuro i mezzidel giornalismo saranno sempre

più Tv, Internet e nuovimedia; quali svantaggi equali vantaggi questocomporta?Io non credo che i new me-dia da soli possano diven-tare il giornalismo. Credoinvece che possano esserciaziende editoriali molto di-versificate al loro internonel senso che offriranno

differenti servizi su diversepiattaforme. Al momento, la cosa se-condo me più interessante è il giornalesull’iPad: è una rivoluzione straordina-ria perché comporta l’assenza di edico-le, distribuzione, stampa (il che da unlato è un disastro per chi lavora in que-sti ambiti, ma dall’altro lato rappresen-ta un grande risparmio per gli editori).Inoltre, mentre la pubblicità sul web èspesso invasiva e fastidiosa, su iPad èinteressante: hai davanti agli occhi unaspecie di portale sul quale, se vuoi, puoicliccare e ti sembra di entrare propriodentro l’azienda, accanto ai suoi pro-dotti, oppure puoi anche acquistare di-rettamente lì.Un altro vantaggio del giornale su iPadè la multimedialità del mezzo: ad esem-pio, durante il viaggio che ho fatto inItalia per il Corriere ho girato anche unvideo che, sull’iPad è stato poi como-damente affiancato al pezzo scritto.Detto questo, credo che i siti Internet cisaranno sempre, ma la vera rivoluzioneper il giornalismo futuro sarà il giorna-le su iPad. Forse l’iPad non raggiunge-rà la stessa diffusione del telefonino,ma chi legge il giornale, in linea di mas-sima, lo avrà.

Il Financial Times due anni fa avevascritto il necrologio della cartastampata. Non è ancora avvenuto,almeno in Italia. Per problema dieducazione digitale o altro?

Intanto, non c’è dubbio che la contra-zione delle copie cartacee sia sotto gliocchi di tutti; la carta magari non mo-rirà, ma di certo dimagrirà. Penso che ledue forme di informazione (offline e di-gitale) possano continuare a coesiste-re; ma, ripeto, il futuro appartiene algiornale su iPad.

Il Premio Pulitzer 2012 è andato adue testate online (Politico e Huf-fington Post): questa vittoria è sin-tomo di un cambiamento già in at-to nel modo di fare giornalismo?Sì, e mi sembra giusto, coerente, logi-co e consequenziale a tutto quello cuiabbiamo già accennato.

Cosa riserverà il futuro alla libertàdi informazione?Penso che ne uscirà rafforzata dal pro-gresso tecnologico. Pensiamo alla televisione. L’Italia restaun paese televisivo: quasi tutti i libri inuscita, gli spettacoli teatrali e i prodot-ti provenienti dagli altri canali mediati-ci e tradizionali devono passare dallatelevisione per avere successo.Pensiamo ora anche alle tappe fonda-mentali dell’evoluzione della Tv: la rea-lizzazione del Tg unico, l’apertura deinuovi canali Rai, la nascita della Tv pri-vata, la nascita di un polo alternativo alduopolio Rai - Mediaset, la pay Tv, i ca-nali digitali, i canali dei diversi gruppieditoriali e i canali stranieri. Insomma,con il tempo l’offerta si è moltiplicataa vista d’occhio e continuerà a farloanche in futuro e tutto questo è sicu-ramente positivo. E, di conseguenza, èun vantaggio anche per la libertà di in-formazione.

Cosa vorrebbe che il futuro riser-vasse al giornalismo?Mi auguro un futuro in cui non si smet-ta di fare i cronisti, non si smetta di an-dare in giro e di parlare con la gente ein cui si passi meno tempo in redazionee più per strada.

Quali concetti e parole chiave domi-neranno il giornalismo del futuro?Di sicuro la multimedialità, lo sviluppotecnologico, la partecipazione alla vi-ta vera e la tecnologia iPad. z

Penso che le due forme

di informazione (offlinee digitale) possano

continuare a coesistere; ma il futuro appartiene

al giornale su iPad.

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELL’EDITORIA

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IL MONDO DELL’EDITORIA STA VIVENDO UN MOMENTO CONTRASSEGNATO DA PROFONDICAMBIAMENTI. IL PROGRESSO TECNOLOGICO E L’AVVENTO DELLA DIGITALIZZAZIONESTANNO INCORAGGIANDO I PROFESSIONISTI DEL SETTORE E I LETTORI A INTRAPRENDERENUOVE STRADE E A SCEGLIERE NUOVE SOLUZIONI.LEGGERE E PUBBLICARE È APPARENTEMENTE MOLTO PIÙ SEMPLICE E IL RAPPORTO TRAAUTORE E SCRITTORE SI È DISINTERMEDIATO, DUNQUE SEMPLIFICATO. MA TUTTO CIÒ COMECAMBIERÀ L’INDUSTRIA DEL LIBRO E DELLA SUA FILIERA? CHE TIPO DI LETTORI DIVENTERE-MO? E ANCORA: CHI FARÀ DA GARANTE NELLA SELEZIONE DEI TESTI? E INFINE: DOVREMODAVVERO SCEGLIERE TRA SFOGLIARE E CLICCARE O POTREMO CONSERVARE ENTRAMBI?

Intervista a Francesco Bevivino (Bevivino Editore) e Lele Rozza (www.blonk.it)

INCHIOSTRO ONotizie96_mori_rg_18 luglio 18/07/12 13.32 Pagina 64

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O OBIT?

Forse è solo un problema di generazione. For-se per chi, da sempre, è stato abituato “allesudate carte”, a sfogliare le pagine e ad ama-

re l’odore dei libri, risulterà difficile sostituirli contablets, Reader ed e-Book. Per chi, invece, nell’eradell’esplosione del progresso tecnologico ci è na-to, sarà probabilmente naturale e spontaneo nondover riempire scaffali, zaini e scatoloni di volumi,ma maneggiare con disinvoltura i nuovi strumen-ti della cultura. Il confronto tra l’editoria offline equella digitale non è però fatto solo di nostalgia eabitudine. Lo svilupparsi dell’on-line è intima-mente legato e consequenziale all’evoluzione del-la società, alla rivoluzione di Internet e, ovviamen-te, alle logiche del mercato. E non è qualcosaesclusivamente da demonizzare o da acclamare,perché, come in tutte le cose, porta con sé van-taggi e svantaggi. Per individuarli in modo piùpuntuale, riportiamo le interviste fatte a dueeditori. Uno tradizionale, Francesco Bevivino,dell’omonima casa editrice nata di recente, aeditoria digitale già diffusa. L’altro digitale,Lele Rozza, editore della Blonk.it, ferma-mente convinto che, nei libri, l’inchiostrodel futuro sarà in bit.

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELL’EDITORIA

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Ora che l’e-Publishing sembra stia ri-voluzionando il modo di leggere,pubblicare e vendere i libri, quale fu-turo dobbiamo aspettarci per l’edi-toria?Sicuramente sarà un futuro splendido,lo dimostrano i social network e le altrepiattaforme che nascono per condivide-re contenuti e interessi. Di certo si registreranno delle trasforma-zioni, bisogna capire di che tipo. L’edito-ria elettronica porta già con sé delle no-vità interessanti: ad esempio, il titolare diuna casa editrice oggi potrebbe anchedecidere di non avere alcuna presenza inlibreria, cosa un tempo impensabile. Eancora: fino a qualche decennio fa,quello dell’editore era considerato unmestiere per ricchi perché sappiamo be-nissimo che i margini di guadagno nonsono elevati mentre i costi da sostenerelo sono eccome (pensiamo solo ai costidi magazzino e di distribuzione). Ogginon è più così: un editore può decideredi produrre solo degli e-Book; oppure,con il print on demand, può addiritturascegliere di realizzare delle tirature limi-tate. Quindi, da questi punti di vista, ilfuturo si prefigura roseo.Un nodo cruciale, invece, riguarda laquestione del diritto d’autore che, percome è concepita oggi, non ha più sen-so. Tutti gli aspetti inerenti a questa te-matica, a partire, ad esempio, dal paga-mento dei diritti alla famiglia dell’autorefino a 70 anni dopo la sua scomparsa,rappresentano, in questa fase di cam-biamento, un nodo fondamentale.

Come si comporteranno gli editorioffline e quali nuovi modelli di busi-

ness si affacceranno sul mercato?Innanzitutto non è più concepibile esse-re un editore offline. Essere offline si-gnifica essere proprio off, spenti.Oggi nuove possibilità per gli editoriprovengono non solo dal progresso tec-nologico, ma anche da tutti quei luoghialternativi alle librerie che non erano na-ti per fare cultura ma che, poco per vol-ta, stanno diventando sempre di più se-di di scambio culturale (ad esempio i barche si attrezzano di salette in cui è pos-sibile organizzare la presentazione deinuovi libri in uscita o i supermercati). Di-venta quindi fondamentale, per l’edito-re, trovare altre piazze (reali e virtuali),così come legarsi agli eventi e alle fieredi settore.L’evoluzione potrà risultare anche moltoaffascinante: se da un lato immagino glie-Book utilissimi per il mondo scientifi-co, accademico e per i settori legati allamanualistica, dall’altro lato credo che ilibri d’arte e i cataloghi di un certo livel-lo continueranno ad avere il loro merca-to di collezionisti e appassionati.

Secondo lei quale sarà il futuro del-le biblioteche?In un modo o nell’altro rimarranno,quantomeno come grande memoria diquello che è stato fatto negli ultimi 500anni. Potrebbero diventare dei luoghi discambio oppure supplire alla mancanzadi autorevolezza della quale godevanole librerie un tempo. Queste, tempo fa,erano luoghi nei quali entravi alla ricer-ca di un libro e, se non lo trovavi, avevi adisposizione del personale competente,dei cultori che sapevano parlare di libri esapevano consigliarti degli acquisti al-

ternativi. Oggi non è più così. Allora for-se le biblioteche potranno diventare illuogo di crescita, di conoscenza e discambio, un tempo rappresentato dallelibrerie.

Il digitale sostituirà definitivamenteil cartaceo?Io continuo a pensare che in qualchemodo la carta resisterà. Ma forse lo pen-so perché ho 40 anni e mi trovo nel mez-zo di questo passaggio tra il cartaceo eil digitale. Probabilmente le future ge-nerazioni non si porranno neanche ilproblema se i libri prima fossero cartaceio meno, ma saranno abituati sin dallaprima fruizione ad avere a che fare conlavagne elettroniche e tablets.

Il self-publishing rischia di annac-quare il mercato? Finora non ne è stato capace, anche seun tempo non c’era Internet, o non eracosì diffuso, e quindi non era così facilediffondere i propri testi. Pubblicare non basta e nel self-publi-shing, fatta eccezione per lo scrittore,manca tutto il resto della filiera, a parti-re dal progetto editoriale che si va poi aconiugare con il progetto di visibilità ediffusione del testo. Lo spiega molto bene un aneddoto suBompiani: quando gli veniva chiestoquale fosse il ruolo dell’editore lui ri-spondeva, ovviamente ironizzando, chel’editore non fa nulla, dato che alla pub-blicazione di un libro lavorano lo scritto-re, il grafico, lo stampatore, ecc.In realtà, il libro nasce dalla messa insie-me di tutte queste energie e dalla lineaeditoriale e riconoscibile che ha l’edito-

IN CHIOSTRO!DALLA PARTE DELL’EDITORIA OFF LINE

Intervista a Francesco Bevivino Titolare Bevivino Editore

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re. Ognuno di noi può stampare diversecopie delle proprie poesie e dei propriracconti racchiusi nel cassetto e vender-le su Internet, ma questo non significache siamo tutti scrittori!Detto questo, il self-publishing non ri-schia di annacquare il mercato; forse ri-schia alla lunga di annacquare i canalitradizionali (le librerie) però creerà sem-pre un maggior feeling con le nuove tec-nologie. Il self-publishing, infatti, vienefatto quasi sempre con progetti in Retee questa abitudine a gestire tutto il pro-cesso su Internet darà delle competenzemigliori al lettore che verrà.

Il ruolo degli editori dovrebbe essereanche quello di garantire sulla quali-tà del libro offerto: è ancora vero? Possiamo dire che sia (quasi) l’unica fun-zione dell’editore! Il valore dell’editore èquello di costruire una propria identitàattraverso le sue pubblicazioni. La sele-zione delle opere, la cura, l’identificazio-ne di un target e dei contenuti rappre-sentano il valore aggiunto che un edito-re ha rispetto a chi, appunto, fa del self-publishing. Basta guardare gli editori apagamento che pubblicano senza farealcun tipo di selezione delle opere e dan-do un’occhiata al loro catalogo ci si ren-de conto della monotonia dei generi edel basso livello delle pubblicazioni.Oggi, con l’avvento di mix e contenutimultipiattaforma, possiamo dare eprenderci di tutto; la differenza la fasempre chi sa selezionare.

L’editoria digitale modificherà il nu-mero dei lettori e la loro qualità? Di primo acchito potrei dire che sarannomoltiplicati: se prima il libro era accessi-

bile solo in forma cartacea, oggi, ancheaccidentalmente, può finire sul tablet diun sedicenne. È evidente che a un am-pliamento dei devices sui quali possiamoessere lettori corrisponde un amplia-mento del pubblico dei lettori. Tutto stanel capire che tipo di lettori sono.Quello che noto è la tendenza versocontenuti veloci e che siano fatti per im-magini; non bisogna riflettere tanto sulnumero (ma neanche sulla qualità) deilettori quanto sulla tipologia dei conte-nuti.Prendiamo l’e-Book: non è altro che unatavoletta di pdf dove ho qualche opzio-ne (ad esempio posso sottolineare unaparola o inserire un segnalibro). Alcunie-Book più sviluppati permettono diavere anche l’audio di riferimento o leimmagini. Sviluppare dei contenuti diquesto tipo, che possono anche portar-ti ad abbandonare il plot narrativo prin-cipale invitandoti a cliccare su link di ap-profondimento, è una questione fonda-mentale sulla quale bisognerebbe ragio-nare. L’equilibrio tra le mille possibilitàche mi offre l’e-Book e la capacità dimantenere il centro del plot è un pro-

blema che andrà affrontato anche percapire chi saranno i lettori di domani.Il rapporto tra le immagini e il testo sarànuovo: forse un giorno i libri somiglie-ranno sempre più alle sceneggiature ci-nematografiche!

Quali saranno le parole chiave e iconcetti che caratterizzeranno l’edi-toria del futuro?Credo che alla fine l’unica parola checon il tempo paga e possa fare la diffe-renza sia “qualità”. z

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELL’EDITORIA

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Come mai ha scelto di cimentarsi nel-l’editoria digitale? Qual è il vantaggiodi fare editoria elettronica?La scelta è arrivata dopo un’attenta analisidel mercato. E quello digitale ci è subito ap-parso in crescita istantanea, con il grandevantaggio del tempo: l’editoria digitalepermette di massimizzare la possibilità diprodurre buoni contenuti avendo un rap-porto diretto con gli autori e con i lettori,bypassando la filiera distributiva tipica del-la carta stampata che è molto complicata.

Come cambia (se cambia) la modalitàdi scrittura di un testo pubblicato informato elettronico rispetto alla for-ma tradizionale?Il consumo della scrittura sta cambiandoperché si stanno modificando gli stru-menti attraverso cui si fruisce della scrittu-ra stessa. Internet è sempre più il luogodove si legge, con i suoi ritmi e l’overloadinformativo cui siamo esposti, segue del-le regole diverse dalla carta stampata e dailibri. D'altra parte la buona letteratura nonha un supporto specifico. Scrivere un e-Book è esattamente come scrivere un li-bro di carta, non c’è una sostanziale diffe-renza. Noi pubblichiamo degli e-Book chepotrebbero tranquillamente essere stam-pati. La cosa interessante sarà valutare se,in funzione del rinnovato rapporto con lalettura, diventerà necessario pensare aforme diverse in termini di proposta dicontenuti. Il digitale permette sperimen-tazioni difficili sulla carta.

Qual è il posto degli autori nel nuovomondo digitale? Come sarà possibiletutelare i loro diritti?La questione della tutela del dirittod’autore è un patto che viene stretto trachi produce contenuti e chi ne fruisce.Sostanzialmente, la sostenibilità sta nelproporre dei contenuti a un prezzo sen-

sato che consenta, da un lato all’autoredi continuare a produrne, e dall’altro allettore di poterne fruire in maniera cor-retta. Per quanto riguarda il rapportotra lettori e autori, questo è fortementedisintermediato. Noi abbiamo esperien-ze di rapporti diretti importanti (anchemolto belli) tra gli autori e i lettori, i qua-li sentono l’autore molto vicino e spes-so, attraverso un’interazione diretta,costruiscono situazioni interessanti.

Come accoglieranno l’e-Book le ge-nerazioni future rispetto a quelleattuali? È abbastanza naturale che ci sia uncambiamento di approccio. Oggi il pas-saggio è molto importante perché pre-vede l’acquisto di uno strumento e l’in-terazione con lo stesso. Un passaggioche pur essendo semplice potrebbe nonessere ovvio; con il passare del tempoimmagino che l'utilizzo dell’e-Readersarà sempre meno traumatico. Inoltresono abbastanza convinto che quellaattuale non sia una situazione definiti-va. Ci sarà un forte cambiamento, siadal punto di vista tecnologico, sia dalpunto di vista della fruizione. C'è gran-de sviluppo, in questo momento è diffi-cile immaginare il futuro.

Il digitale sostituirà definitivamen-te il cartaceo?Io non so se i libri di carta “moriranno”,ma sono abbastanza confidente che glie-Book avranno un ruolo importantenella produzione della cultura negli an-ni a venire.

Ritiene possibile una sempre mag-giore diffusione nelle scuole e nelleuniversità del libro elettronico, con-siderando la realtà italiana (struttu-re non sempre all’avanguardia,

mancanza di accesso a Internet, for-mazione tecnologica degli inse-gnanti non sempre adeguata...)?L’e-Book e il Reader non impongononecessariamente un costante accesso aInternet, nel senso che l’ePub (il forma-to in cui oggi viene distribuito l’e-Book)viene scaricato su un e-Reader, dopodi-ché è possibile leggerlo a prescindere dauna connessione ad Internet. Perciòcredo che il problema non sia tanto in-frastrutturale quanto più legato alleabitudini e ai rapporti consolidati cheattualmente legano la scuola all'edito-ria scolastica. Noi abbiamo fatto alcuneriflessioni anche sulla questione del li-bro scolastico digitale. Personalmentesono abbastanza convinto che si andràin quella direzione per un motivo ovvio:i costi inverosimili che le famiglie si de-vono accollare a fronte talvolta di unmeccanismo che non funziona. Infatti,molto spesso capita di dover cambiareun testo che costa 30-40 euro perché lanuova edizione prevede un cambio dipoche pagine. Credo sia possibile, equesta è la cosa su cui stiamo ragio-nando, ripensare l’editoria scolasticache, secondo la mia piccola esperienzadi genitore che studia con i figli, talvol-ta è un po’ vecchiotta. Per quanto ri-guarda l’interattività, non bisogna usci-re dalla logica della lettura; infatti, èpossibile raccontare le cose in manieradiversa e affiancare alla lettura altri stru-menti che rendono più efficaci le tecni-che di apprendimento.

Il self-publishing rischia di annac-quare il mercato? Il self-publishing è un fenomeno che faparlare di sé tantissimo pur avendo deinumeri assoluti molto piccoli. Se è capi-tato (come è capitato) che qualche au-tore ha venduto un sacco di copie par-

BIT! DALLA PARTE DELL’EDITORIA ON LINEIntervista a Lele RozzaDirettore Editoriale Blonk.it

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più culturale e forse un po' meno com-merciale. Naturalmente non tutto quel-lo che sta su Internet è buono e credoche uno dei rischi possa essere il rumo-re prodotto da chi applica al digitale lestesse logiche quantitative che vengo-no applicate al mercato tradizionale.

L’editoria digitale modificherà il nu-mero di lettori? E la loro qualità? L’avvento di Internet prima dell’editoriadigitale ha riportato alla scrittura e allalettura. I comportamenti delle personesono cambiati: è normale lo scambiodelle e-mail ed è normale leggere e in-formarsi su Internet. Questo ha già mu-tato la situazione. Non credo che l’edi-toria digitale sarà la panacea di tutti imali. Oggi viviamo in una situazione incui l’informazione è la merce più ricer-cata e questa passa tramite i media tra-dizionali, la radio, la Tv, ma anche, e for-se soprattutto attraverso Internet, dovesi legge e si scrive. Questo credo abbiamutato e muterà sempre più l'approc-cio. Sulla qualità non saprei dire, miaspetto senz'altro una grande quantitàdi ottimi contenuti.

Come immagina la sua bibliotecanel futuro e il futuro delle bibliote-che in generale?Sono molto contento che se mai doves-si fare un trasloco non dovrò più sposta-re 50 scatoloni di libri (perché all’epoca licontai ed erano 50!). Dentro il mio Kin-dle posso portarmi ovunque centinaia divolumi, spaziando su tutto ciò che più miaggrada solo con qualche click. C’è poiun altro tema che rimane aperto, quellodelle biblioteche, con la relati-va questione della cata-

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tendo dal self-publishing, non credoche questo rappresenti necessariamen-te un orizzonte. C’è da dire che il mer-cato, così come era immaginato, era ve-ramente troppo bloccato. L’editore ave-va un potere eccessivo, mentre adessoil mercato è più fluido ed inclusivo. Ri-mane il fatto che la mediazione tra l’au-tore e un soggetto che funga da filtroprima e da validatore poi, sia sensata. Ioautore tendo a innamorarmi del mio te-sto e a considerarlo come qualcosa chetutti vorranno leggere. Perciò vale la pe-na che ci sia un filtro che dica “que-st’opera ha senso sul mercato e questano”, una figura che analizzi la bontà deltesto e la sua vendibilità. Chi vuole pub-blicarsi lo può fare, non ci sono proble-mi a riguardo, ma non è così ovvio e nécosì banale. Chi intraprende l’esperien-za del self-publishing deve conoscernei linguaggi e le modalità di azione. Adesempio, la costruzione di un ePub èteoricamente alla portata di tutti, maun buon ePub non è così semplice daprodurre. Molti non sanno che esisteuno strumento internazionale che vali-da gli ePub, perché non tutti i program-mi che producono ePub generano pro-dotti validi. Lasciando stare i tecnicismi,il filtro di un editore che decide di fareun investimento su un testo collaboran-do con l'autore per migliorarlo, proba-bilmente può rendere il testo stesso piùefficace.

Dunque è ancora vero che il ruolodegli editori è anche quello di ga-rantire sulla qualità del libro offer-to? Mi piace pensare che quando decido diallocare del tempo alla lettura è perchéin un’opera penso di trovare qualcheforma di valore e che dietro ci sia qual-cuno che ha già fatto una preselezione.La presa di responsabilità dell’editore divalutare la bontà di un testo, per me èfondamentale. Il mercato tradizionaletalvolta segue logiche quantitative e laproposta di contenuti è addirittura ec-cessiva, ed i motivi sono legati proprioalla necessità di essere presenti massic-ciamente in libreria con una rincorsa al-la produzione. La distribuzione disinter-mediata cambia questa logica e per-mette di riportare l'editore a un ruolo

logazione e archiviazione.Sinceramente non ho alcu-na idea su quale potrebbeessere il modello di businessche le neobiblioteche adot-teranno. Penso che la que-stione andrà gestita tenendoin considerazione il ragiona-mento precedente del rappor-to tra lettore e scrittore. Oggi ionon pago il diritto d’autore al-l’autore del libro che leggo, sequesto è preso in prestito da unabiblioteca. La questione dei libri prestatie di quelli che circolano è una realtà co-stante, e non so se in futuro ci sarà gran-dissima differenza.

Quali saranno le parole chiave checaratterizzeranno l’editoria del fu-turo?Potrei dire delle cose relativamente ba-nali come “innovazione” e “condivisio-ne”, oppure ovvie come “leggerezza”.Onestamente non lo so, non ho ideeprecise. Noi abbiamo scelto di fare glieditori perché pensiamo che l’editoriadigitale sia qualcosa che ha senso ca-valcare e costruire. Tuttavia, non sonocapace di immaginare come ci figurere-mo tra pochi anni. Non so come saràl’editoria del futuro nel suo complesso.Il formato ePub che utilizziamo oggi èmolto perfettibile. Lo stesso dicasi per iReader. Si sta lavorando moltissimo percostruire nuove occasioni e nuove pos-sibilità, perciò tutto diventa un po’ piùliquido. In questo momento temo ci sia-no più domande che risposte. z

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MUSICA SENZALEADERIL FUTURO È GIÀ ARRIVATO

PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MUSICA

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In Rete la musica non si ascolta dasoli, né viene imposta da alcuno.L’ascolto musicale è una delle

espressioni di quell’“intelligenza col-lettiva” che la Rete stessa ha fattoemergere. Ai tempi di Woodstock, i giovani era-no animati da spirito di ribellione, ecosì i loro idoli del rock, ma il consumodi musica era comunque governatodalle case discografiche, che per de-cenni hanno avuto il potere di deci-dere quali artisti sostenere, cosa si do-vesse trovare nei negozi di dischi,quanto doveva essere lungo un bra-no e di quanti brani dovesse esserecomposto un album. Con limitate ec-cezioni. Poi Internet ha cominciato a

dare nuovo potere ai consumatori,soprattutto per mezzo del file sha-ring (o peer-to-peer), un sistema do-ve le indicazioni di cosa ascoltare, lepersone hanno cominciato a darseleda sole, e senza chiedere il permesso- né i consigli - a nessuno. Una repub-blica libera dal copyright, che non hasmesso mai di crescere. La stessa ven-dita legale di brani musicali in Rete èfiglia dello scambio illegale, al qualele major si sono per anni strenua-mente (ma invano) opposte, in nomedel Cd come unico veicolo di vendita.La capitolazione è recente, con l’ac-cordo che sta permettendo ad Appledi “sanare” tutti i file Mp3 possedutidai propri utenti - comunque se li sia-

no procurati - se sono disposti a usa-re i servizi cloud della Mela per con-servare un backup dei brani. La di-sponibilità di brani musicali in Rete -ormai sempre meno scaricati e sem-pre più ascoltati in streaming - sta por-tando a una vera e propria rivoluzio-ne nel modo di ascoltare: più che glialbum, si ascoltano i singoli brani; sifruisce della “vecchia” musica quantodella nuova; si ascoltano anche gli ar-tisti più sconosciuti. Inoltre il consu-mo di musica non è più massificato,ma individualizzato, guidato sempremeno dall’industria e sempre più da-gli altri consumatori. Tale radicale mutamento influenzadirettamente la stessa produzione

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musicale, la quale è sempre più liberadai condizionamenti dell’industria. Gli artisti meno noti sono facilitati, adiscapito delle big star, e i musicistipossono stabilire canali di dialogo co-stante con i propri ascoltatori. Casoemblematico di questa fase di transi-zione è stato quello degli Arctic Mon-keys, giunti alla notorietà grazie allaRete, prima di diventare ricchi con lavendita di dischi. Ormai i livelli di me-diazione tra l’artista e il suo pubblicosono ridotti all’osso, e il mercato so-miglia di più a una lotteria, con moltepiù opportunità, ma anche un nume-ro enorme di giocatori di tutto il mon-do. Nel frattempo è nato un nuovo me-

dium: la radio su Internet, una formadi ascolto estremamente personaliz-zata, nella quale ciascuno ha a dispo-sizione anche più di un canale ad hocper i propri gusti. La prima è stataPandora, un servizio creato nell’am-bito del Music Genome Project che,utilizzando più di 400 diversi parame-tri per descrivere i singoli brani è ingrado di stabilire analogie tra i pezziin modo automatico e perciò “sugge-rire” sempre delle novità all’utente, apartire da una singola scelta iniziale.L’utente stesso può affinare il siste-ma sempre di più, indicando, perogni brano, il proprio eventuale gra-dimento. Il risultato è una radio con-forme al cento per cento ai gusti del-

l’ascoltatore, oltre che basata sulladimensione dell’esplorazione, cosìconnaturata al web. Poi sono arriva-te le altre piattaforme (vedi box adestra), offrendo una classificazio-ne dei brani e degli artisti per “tag”(etichette) assegnate liberamentedagli utenti. Dunque non solo è fini-ta l’era delle etichette discografiche,ma è avviata quella delle etichettescelte in piena libertà. Per lo meno inquanto a consumi musicali, avevaragione Janis Joplin quando, pochigiorni Woodstock, nell’agosto 1969,disse: “Quattrocentomila personeinsieme e nessun capo. Noi non ab-biamo bisogno di leader, noi ci te-niamo l’un l’altro». z

SOCIAL-MUSICMy Space Il primo social network cheha consentito ai propri utenti di crearsiliberamente una propria pagina, inse-rendo immagini, video e file musicali.Poi le modalità di ascolto degli utentihanno cominciato a spostarsi verso lostreaming - cioè l’ascolto di musica di-rettamente sul browser - e verso la di-mensione social, consentendo di condi-videre con gli altri le proprie preferenzee integrandosi sempre di più con Face-book.

Last.fm Si basa su un sistema di filtrag-gio e raccomandazioni, che consente dicreare una radio completamente per-sonalizzata in base alle preferenze per-sonali, ma anche basata sulle scelte diamici e utenti con gusti simili.

8tracks Offre la possibilità di creareplaylist di almeno 8 brani, che gli altripossono ascoltare e votare come prefe-rite.

SoundCloud Qui gli artisti possonopubblicare in Rete direttamente i propribrani. A differenza di MySpace permet-te agli utenti di integrare il proprio pro-filo con altri network.

Facebook Ha da poco aggiunto il pul-sante “Ascolta” alle pagine dei musici-sti, che consente di ascoltarne i branitramite applicazioni esterne. Quando siascolta una canzone, ciò viene notifica-to sul proprio profilo, in modo che gli al-tri lo sappiano e possano ascoltarla in-sieme a noi.

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MUSICA

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UNAMERAVIGLIOSACOMMISTIONETUTTA DA ASCOLTARE

CHE MUSICA ASCOLTEREMO NEI PROSSIMI ANNI E COME L’ASCOLTEREMO? CHE EVOLUZIONE AVRANNO LE CASE DISCOGRAFICHE E CHE RUOLO DAREMO ALLA MUSICA?INTERVISTA A STEFANO BOLLANI, COMPOSITORE E PIANISTA DI MUSICA JAZZ.

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Quando suona, le sue mani sem-brano moltiplicarsi. Le dita volanosulla tastiera e il pianoforte diven-

ta improvvisamente una scatola magicadalla quale escono armonie che mai avre-sti pensato di ascoltare. Lui è Stefano Bol-lani, il grande pianista jazz, ma non solo.A lui va infatti il grande merito di aver por-tato la buona musica e tanta cultura mu-sicale dentro le nostre case, grazie al suoprogramma televisivo in onda su Rai3 loscorso autunno. E sempre a lui si deve an-che l’iniziativa di affiancare la musica clas-sica a quella jazz, per dimostrare che, infondo, la musica non è una questione digeneri, ma di qualità. E quando questac’è, ogni commistione è la benvenuta. Unintrigante sperimentatore, un professioni-sta colto, un innovatore: come non sce-glierlo per le nostre previsioni sul futurodella musica? Un’intervista dalla quale èemersa soprattutto la grande speranza,oltre all’immensa fiducia, che la musicapossa, in futuro, sempre più contribuire acostruire un ponte tra civiltà totalmentedifferenti anche quando la politica, le isti-tuzioni e le società non riescono a farlo.Con l’auspicio di poter contribuire a “met-tere d’accordo” fra loro culture molto lon-tane, arricchendosi e, di conseguenza, ar-ricchendoci.

Da quali culture proviene la musicache ascoltiamo oggi?Ha una storia lunghissima e proviene danumerose culture diverse. In generale, di-rei che oggi amiamo e ascoltiamo soprat-tutto la musica proveniente dalle cultureoccidentali (conosciamo ben poco del-l’Oriente, infatti, e non solo a livello musi-cale). Ascoltiamo la musica cosiddetta“tonale” (che è una nostra invenzione) equesto vale tanto per la musica coltaquanto per quella più leggera.

Che musica ascolteremo in futuro? Glistili musicali tenderanno a fondersitra loro e a creare un mix di generi oassisteremo a un ritorno alle origini?Direi che la tendenza sarà quella dellacommistione dei generi. Anche tra quellioccidentali e orientali. Già in passato alcu-ni artisti occidentali, anche musicisti clas-sici, avevano cercato di capire il sistemamusicale orientale. Chi parve riuscirci me-glio, grazie anche a una maggiore poten-za degli uffici stampa, fu il gruppo dei mu-

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A

Stefano Bollani

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MUSICA

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sicisti rock e jazz degli anni ’60. Molti diquesti (dai Beatles fino a Charlie Mariano)si recarono in India, in Giappone creandodei piccoli ponti tra i due mondi. Oggi av-viene anche il contrario: ci sono diversi ta-lenti della musica classica che dall’Orientesi spostano da noi.

Lei ha contribuito a portare in televi-sione la musica jazz. Ma non solo. Hadivulgato la bella musica, a prescin-dere dal genere (in questo rientra an-che il connubio con Chailly) e la suacultura. Il suo resterà un esperimentoisolato o dal futuro possiamo aspet-tarci di “vedere” sempre più buonamusica in televisione (e soprattuttonon solo in terza serata)?Per il momento, mi sembra proprio chenon si veda musica in Tv, purtroppo. Lasperanza c’è, visto che costa poco fareun programma musicale, quindi può an-che darsi che in futuro si decida di crea-re più spazi televisivi dedicati alla musi-ca. È un po’ il principio dei festival dedi-cati al jazz: in Italia ci sono tanti paesinie città che organizzano dei festival dijazz e sono tra gli avvenimenti meno co-stosi (si pensi che al costo di un solo con-certo di musica rock si possono organiz-zare una settimana di concerti jazz),chissà che questo non aiuti.

Parlando di futuro non si può non ri-volgere un pensiero al domani (for-se un po’ incerto) delle case disco-grafiche.Le case discografiche devono assoluta-mente trovare il modo di reinventarsi suInternet perché sono le prime a rischiare dinon avere più alcun introito. Internet è an-cora molto poco regolato, con il risultatoche la gente, prima di spendere soldi peracquistare un Cd, scarica l’Mp3 legalmen-te o illegalmente (il gesto è lo stesso, ba-sta un clic). Purtroppo, poi, l’illegalità infi-cia anche il lato creativo: ci si stanca di la-vorare alla grafica o al packaging o allapromozione di un Cd sapendo che poi lagente va on line e si accontenta di ascol-tarne e scaricarne poche tracce.

Come vede la fruizione della musica daparte dei giovani che forse non hannomai comprato un Cd, ma solo scarica-to? E il ruolo dei concerti dal vivo?I giovani inventeranno sicuramente un si-

stema per continuare ad ascoltare la mu-sica perché ormai la musica riprodotta esi-ste da più di un secolo. Rimpiangeremo iCd come altri hanno rimpianto i vinili o laradio ma sono abbastanza fiducioso: sicontinuerà ad ascoltare musica riprodottain buona qualità. Per quanto riguarda lamusica dal vivo sono ancora più ottimista,perché c’è sempre stata. Inoltre, si tratta dimusica alla portata di tutti visto che i con-certi vengono organizzati ovunque, neglistadi, nelle piazze, nei palazzetti, nei tea-tri aperti al pubblico.

È pensabile avvicinare l’universalitàdella musica di Bach al Jazz? Sì, assolutamente! Di solito i jazzistiquando amano un musicista classico no-minano sempre Bach. Credo sia per ilsuo tipico fraseggio, che è molto similea quello dei jazzisti.

Il 30 aprile è stata dichiarata dall’Une-sco giornata mondiale del jazz. Comeinterpreta questa attenzione per il jazz,non così scontata fino a pochi anni fa?Le do un senso ancora migliore di quelloche si potrebbe pensare. E cioè: non è at-tenzione solo per un genere musicale bel-lo e creativo, ma anzitutto verso un mododi intendere la musica, e quindi la vita, per-ché si è capito che il jazz sviluppa l’intera-zione tra le persone ed è democratico. Neljazz, infatti, non c’è un leader vero e pro-prio, è da sempre il centro della commi-stione delle culture di tutto il mondo, nonsi è mai fermato neanche quando è natoil rock, si è aperto anche alla musica clas-sica, ha provato tutti gli strumenti.

Quali parole chiave e concetti domi-neranno la scena musicale del futuro?Sicuramente non parlerei di contamina-zione ma di commistione; contaminazio-ne sa di ospedale, sembra che la musicache stiamo ascoltando ci possa trasmet-tere qualche malattia.Le altre parole chiave per eccellenza sa-ranno sicuramente apertura e disponibi-lità all’ascolto: disponibilità non solo daparte della gente che ascolta la musica,ma anche da parte dei musicisti stessi chesaranno sempre più disponibili a con-frontarsi tra loro e con culture diverse,contribuendo così a creare un ponte chespesso nella politica e, in generale nellavita, non c’è. z @musicamorfosi_epkoo_teatro villoresi monza_2012

@musicamorfosi_epkoo_teatro villoresi monza_2012

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In Bach c'è più jazz di quello che sipossa immaginare, o nel jazz c'è piùBach di quanto si immagini?A rigor di logica, la domanda non avrebbe senso, visto chenel ‘700 il jazz era ben lungi dall’esistere. Eppure nellaperfezione geometrica di Bach, nella sua multidimensio-nalità matematica, negli sviluppi contrappuntistici, nelprocesso ritmico, è impossibile non scorgere delle affinitàcon il jazz. Non per niente Bach ha da sempre affascinatoi musicisti jazz, sia che venisse interpretato in maniera ri-gorosa come da Keith Jarrett, sia con una maggiore liber-tà di interpretazione, come fatto da Jacques Loussier. Que-st’ultimo noto - e anche assai discusso - in particolare perle commistioni sperimentate con il Trio Play Bach, riuscì aconservare lo spirito di Bach, implementandolo e calan-dolo nelle atmosfere rarefatte e propulsive del jazz. Ritornando indietro con il tempo, un’evidente citazione diBach la si trova nella fuga a 3 voci (alto sax, tromba e bas-so) nel tema del brano "Chasin' the Bird" di Charlie Parker.John Lewis, con il suo Modern Jazz Quartet, primo grup-po crossover nel jazz, tentò invece di innestare l’arte del-la fuga nelle torride atmosfere Bop, il jazz che si sviluppòsopratutto a New York negli anni '40. Bud Powell, includeva sempre un pezzo di Bach nei suoiset per nightclub. Una delle interpretazioni più interessan-ti di Bach da parte del jazz arriva anche dalla pianista Ha-zel Scott. Degna di nota la sua versione dell’”Invenzione”in due voci in La Minore, del novembre 1940, contraddi-stinta da un impeccabile stile classico affiancato dal ritmodei tamburi di JC Heard. Citazioni di Bach si trovano spesso anche tra gli improvvi-satori. Ne è un esempio George Shearing che nella tradi-zionale "Kerry Dance" irlandese (Jazz BBC Legends) inse-risce il "Kyrie" dalla Messa in Si Minore dimostrando la suameravigliosa capacità di commistione. Degno di lode, infine, Uri Caine, eccezionale pianista ame-ricano, da ricordare per la libertà e l’umorismo con cui haaffrontato il lavoro bachiano, in particolare le “Variazio-ni” Goldberg, moltiplicandole attraverso il riferimento aritmi del ‘900, in un vero e proprio caleidoscopio di diffe-renti atmosfere e stili musicali.Ma Bach non è solo nel cuore dei pianisti. Il contrabbassi-sta Ron Carter nel "Concerto brandeburghese" del 1995,aggiunse il suo basso pizzicato ad una orchestra d'archi inun’improvvisazione esplorativa. Il batterista Max Roach ha reso omaggio a Bach in una sui-te di pezzi dal suo ensemble di percussioni del 1960. I Swingle Singers hanno interpretato a cappella molte ariebachiane, in particolare l’Aria sulla quarta corda (che inItalia venne scelta per la sigla del programma televisivoSuperquark). La moda del Bach jazzato ebbe molti proseliti anche in Ita-lia. In questo stile, Armando Trovajoli realizzò un famosotema che fece da colonna sonora al film “Sette Uominid'Oro”. Grande interprete fu anche il popolarissimo flau-tista degli anni 60, Severino Gazzelloni, del quale voglia-mo ricordare l’interpretazione della Fuga in Do Minore, ac-compagnato dalla potente voce di Mina.

(http://www.youtube.com/watch?v=rjn1JHlSoe0&feature=player_embedded)a_2012

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L'ORCHESTRA DI PIAZZA VITTORIO: SULLE NOTE DELLA CONTAMINAZIONE

PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA MUSICA

VIVONO A ROMA, MA PROVENGONO DA UNA DOZZINA DI PAESIDIFFERENTI. PARLANO ALTRETTANTE LINGUE E SI SONO FORMATISU GENERI MUSICALI DIVERSISSIMI. EPPURE, INCONTRANDOSI,SONO RIUSCITI A TROVARE UNA SONORITÀ UNICA. UN COCKTAILBEN SHAKERATO DI RITMI E VOCI CHE È DIVENTATO IL LOROINEQUIVOCABILE MARCHIO DI FABBRICA. ISPIRANDO MOLTE“IMITAZIONI” IN GIRO PER L'ITALIA.

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Stiamo parlando dell'Orchestra di Piaz-za Vittorio, l'ensemble fondato daMario Tronco, ex tastierista degli Avion

Travel, ormai dieci anni fa.Corre l'anno 2002, infatti, quando Tronco el'amico documentarista Agostino Ferrenteintraprendono una vera e propria “lotta diquartiere” contro la trasformazione dellostorico cinema Apollo di Piazza Vittorio inuna sala bingo: da lì parte un progetto so-stenuto da artisti e intellettuali per valorizza-re il Rione Esquilino, il più multietnico tra iquartieri capitolini. E all'interno della neona-ta “Associazione Apollo 11” si scoprono leincredibili potenzialità degli abitanti della zo-na, quasi tutti immigrati e quotidianamente alla prese con laricerca di lavoro e di un permesso di soggiorno sempre piùdifficile da ottenere. Tra i soci della “Apollo 11” sorge l'idea di sostenere econo-micamente gli eccellenti musicisti scoperti fra i nuovi concit-tadini, e così Mario Tronco è in grado di metter su l'orchestramultietnica che tutt'ora dirige.Basta vederli tutti insieme, sul palco, per capire quanto pos-

sano felicemente rappresentare un messaggiodi fratellanza e di pace ben più efficace di pro-clami, comizi e dibattiti televisivi. Ma al di là delvalore politico e sociale, l’Orchestra promuovela ricerca e l’integrazione di repertori musicalidiversi e spesso sconosciuti al grande pubblico.Allo stesso tempo si lancia coraggiosamente inrivisitazioni originali di capolavori assoluti del-la musica, come è accaduto nel 2009 con lamessa in scena del Flauto Magico di Mozart,in una continua e divertita variazione sul temache ha introdotto nell'opera i ritmi tribali afri-cani, le calde percussioni cubane e la vivacitàdelle ballate irlandesi.

È difficile spiegare un Tamino caraibico, un Pa-pageno senegalese che cantano nelle proprie lingue madrie creano una specie di favola esotica, divertita e diverten-te per il pubblico, che è tornato a vederla in scena e ad ac-clamarla per altre due stagioni. Forse i cultori dell'opera li-rica avranno arricciato il naso, deprecando il sacrilegio. Ep-però, scegliendo di non dar credito all'esperimento scom-posto ed energetico del variopinto ensemble, si sarannopersi qualcosa. z

Orchestre come quella di Piazza

Vittorio, oppure - forsela più nota - quella

di Via Padova a Milano,promuovono la ricerca

e l’integrazione direpertori musicali diversi,

spesso sconosciutial grande pubblico.

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PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA FOTOGRAFIA

NELLA FOTOGRAFIA È GIÀ STATO INVENTATO TUTTO? PROBABILMENTE NO. MA NON È STATO INVENTATO TUTTO NELL’AMBITODELL’UTILIZZO DELLE FOTOGRAFIE. SOPRATTUTTO SE A SCATTARLE NON È PIÙSOLO UN AUTORE, MA TANTI FOTOGRAFI CON SENSIBILITÀ DIVERSE, IN GRADODI OFFRIRE UN’IMMAGINE CON PIÙ PUNTI DI VISTA E CAPACI DI DARE VISIBILI-TÀ A PICCOLE STORIE, VEICOLANDO IMPORTANTI MESSAGGI SOCIALI.

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Come nasce Shoot4Change?Dopo il terremoto dell’Aquila. Mi recai lì perun reportage e dopo alcuni mesi ho tenu-to a Bari un workshop di fotografia ama-toriale, devolvendo l’intero ricavato al-l’ospedale Coppito (che è stato evacuato inoccasione del terremoto) per cofinanziaredei campi estivi per bambini colpiti da ma-lattie del sangue e sfollati. Nel frattempoaprii il blog di Shoot4Change, il cui nomegioca sul doppio significato dei termini sho-ot, che significa sia “sparare”, sia “scatta-re una foto”, e change, che vuol dire sia“cambiamento” sia “contante”. In realtàusiamo la fotografia come “arma pacifica”per raccontare storie. Ho cominciato abloggare su alcuni fotografi del passatoche hanno contribuito a introdurre deicambiamenti sociali proprio mediante l’usodella fotografia. In questo modo, e senzache me ne accorgessi, il mio blog ha co-minciato ad attirare su di sé un certo inte-resse e, dopo qualche mese, gli organizza-tori della Marcia Mondiale della Pace e del-la non Violenza mi hanno contattato chie-dendomi di poter dare una copertura foto-grafica al passaggio della marcia a Roma.Quel giorno ero già impegnato e allora hoscritto un post sul blog, intitolandolo“Chiamata alle armi fotografiche”, perchiedere ai lettori se ci fosse qualcuno di-sposto a farlo al posto mio. In poche ore mihanno intasato la casella di posta e siamoriusciti a coprire diverse tappe della marcia,

persino a New York, San Francisco e in Ar-gentina! Da lì è iniziato tutto.Da blog, Shoot4Change è diventato unnetwork, un’associazione no profit e, infi-ne, un vero e proprio movimento: c’è gen-te, in giro per il mondo, che si riconosce nel-l’idea del racconto fotografico, soprattuttodelle storie di prossimità, quelle più vicine anoi ma che non vengono considerate re-munerative dalle fonti d’informazione equindi vengono trascurate. Abbiamo cosìcominciato a raccontare le storie di tuttequelle piccole (ma anche medio-grandi) as-sociazioni che rimangono totalmente invi-sibili. Quello che noi vogliamo fare è inne-scare un circuito virtuoso di micro storieche, anche se solo a livello locale, servonoa ispirare altra gente, in altre parti del mon-do, a fare altrettanto. Componiamo i nostriteam sia di professionisti (volontari, natu-ralmente), sia di amatori, per dimostrarecome anche quest’ultimi possano dare per-formance di alta qualità. La cosa interes-sante sperimentata sul campo, nel tempo,è che l’esperienza, la tecnica e la creativitàdel professionista sono contagiose perl’amatore; viceversa, l’entusiasmo del-l’amatore contagia positivamente il profes-sionista! Così facendo, abbiamo creatoquesto grande network e coniato il termi-ne crowdphotography.

Cos’è la crowdphotography?Deriva dalla parola crowdsourcing: nella

nostra concezione, un racconto fotografi-co è il risultato dell’apporto creativo di di-verse persone che, in diverse parti del mon-do, contribuiscono a una stessa storia purnon conoscendosi. Questo è fondamenta-le: non si tratta mai di fotografie votate so-lo al compiacimento estetico, al dramma fi-ne a se stesso, ma scattiamo foto che rac-contino storie. Una fotografia, seppure diimmensa qualità ma povera di storia, verràsempre scartata.Sul blog lanciamo dei temi ai quali ognunopuò contribuire e creiamo così delle galle-rie di immagini. Ad esempio, ogni anno an-diamo in Emilia Romagna a raccontare iMondiali Antirazzisti, un grande eventoUISP (Unione italiana sport per tutti) in cuilo sport è solo un pretesto per veicolare unmessaggio sociale. Intorno a quell’eventosi raccoglie un team di gente provenienteda ogni dove che, senza conoscersi, contri-buisce a raccontare con le proprie fotogra-fie lo stesso avvenimento e si ritrova, alla fi-ne, all’interno dello stesso reportage.Ognuno aggiunge alla storia il proprio tas-sello: e in effetti la verità non è mai univo-ca, ma è sempre questione di punti di vista;mi piace dire che più ce n’è, meglio è.

Come è accolta la fotografia sociale?Sempre meglio. La gente scatta tantissimoe ha sempre più voglia di sentirsi racconta-re le storie anche tramite le immagini; ed èancora meglio quando queste storie parla-

E POI ARRIVÒ LA FOTOGRAFIA

SOCIALEANTONIO AMENDOLA,FONDATOREDI SHOOT4CHANGE, NETWORK DI VOLONTARIATOFOTOGRAFICO SOCIALE.

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no di qualcosa che accade vicino a noi (co-sa che i media tradizionali non fanno). MaShoot4Changenon si limita a raccontare lestorie che accadono in prossimità a noi: lafotografia sociale, per noi, è anche cercaredi fare qualcosa a vantaggio di queste si-tuazioni che raccontiamo. Per questo mo-tivo organizziamo workshop e ne devolvia-mo i ricavati a progetti sociali locali, oppu-re cerchiamo di richiamare l’attenzione del-l’opinione pubblica su storie ignorate o di-menticate e cerchiamo di intraprendere unpercorso con queste piccole realtà in modoche siano presto in grado di sviluppare unaloro expertise in materia di comunicazionee possano poi raccontarsi da sole.Il bello dell’esperienza di Shoot4Change èanche la difficoltà a uscire dalle storie cheraccontiamo: come si fa, ad esempio, auscire dalla storia di una giovane senza di-mora, alla quale hai scattato una foto e poigliel’hai regalata, e da quel momento leinon ha fatto altro che abbellirsi e decorarsiper “essere sempre bella come in quella fo-tografia”?

La fotografia sociale prenderà semprepiù piede? Sì, ma a condizione che si tratti di una fo-tografia partecipata. Quasi sempre i nostrireportage terminano con la frase: “fateloanche voi!” perché crediamo che non ba-sti solo raccontare o leggere delle storie.È molto più interessante scendere per stra-

da e raccontare in pri-ma persona, che poi è ilprincipio del citizenjournalism moderno.La nostra non è cheuna piattaforma di sto-rie che vengono rac-contate in prima perso-na da gente che vivequelle realtà, non inviamo i nostri fotogra-fi in giro per il mondo ma ci affidiamo a chiè già lì sul posto.

Quali saranno le tendenze future?Grazie a smartphone e telefoni cellulari, lafotografia sarà sempre più “democratizza-ta” e alla portata di tutti. Dobbiamo peròdistinguere quello che accadrà per i profes-sionisti da quello che accadrà per tutti gli al-tri. Di sicuro, questo secondo gruppo avràa che fare con una fotografia più alla ma-no: i prezzi si stanno abbassando, le mac-chine fotografiche diventano sempre piùperformanti, lo story-telling diventa sem-pre più multimediale perché la fotografianon vive più da sola ma viaggia assieme aivideo, all’audio e alle animazioni. Per i pro-fessionisti, invece, probabilmente si affer-merà una fotografia più autoriale: i grandifotografi, infatti, sempre più spesso non silimitano a raccontare le cose come sonoma aggiungono anche un’interpretazionepersonale, e questa è l’unica maniera perdistinguersi dalla massa di immagini che

popolano Internet. Infine,Il citizen journalism è sicu-ramente la tendenza piùinteressante del momentodestinata ad affermarsi an-che in futuro. Noi stiamosperimentando assieme auna startup romana, la

Maiora Labs, Seejay, un to-ol che facilita il lavoro di citizen journalismsia aiutando le redazioni a gestire megliol’enorme mole di contenuti che arrivano dagiornalisti e fotografi, sia consentendo aquesti ultimi di avere a disposizione unapiattaforma di espressione e condivisione.

E le parole chiave?Condivisione, partecipazione, indipen-denza. L’indipendenza editoriale per noi èfondamentale: Shoot4Change non haeditori, non ha sponsor, ha un budget pa-ri a zero. Stiamo per sperimentare ilcrowdfunding, in modo che sia il popolodella Rete (quindi i nostri supporters emembri sparsi per il mondo) a finanziare inostri progetti. In questo modo non do-vremo mai rendere conto a nessuno senon a chi ci ha aiutato a realizzare le no-stre iniziative. Questo è un fattore moltoimportante per il citizen journalism e, ingenerale, per il settore dell’informazioneindipendente. Altre parole chiave del fu-turo: connessione in Rete e utilizzo dellenuove tecnologie. z

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Come fai a uscire da una storia di una

giovane senza dimora,alla quale hai scattatouna foto e regalata,

e da quel momento leinon ha fatto altro cheabbellirsi e decorarsi

per essere sempre bellacome in quella foto?

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SI PARLA DI FUTURO E, ALL’IMPROVVISO,SORGE IL TREMENDO DUBBIO CHE, MAGARI, TRA POCHI ANNI,SARÀ SUFFICIENTE SGRANOCCHIARE UNA PILLOLA PER NUTRIRSI.SARÀ DAVVERO COSI? LO ABBIAMO CHIESTO A UN GRANDE CHEF, UNO DI QUELLI “AVANTI”,CHE DA TEMPO PARLA DI CUCINA POP E INGREDIENTIDEL TERRITORIO. UN ARTISTA PER IL QUALE LA QUALITÀVIENE PRIMA DI TUTTO. CI HA CONSOLATI IN MERITOALLE NOSTRE APOCALITTICHE PREVISIONI? MOLTO DI PIÙ.

QUANDO IL POPENTRA IN CUCINA

PRIMO PIANO: IL FUTURO DELLA CUCINA

Intervista a Davide Oldani.

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Noi italiani proprio non ce la fac-ciamo a mettere da parte la cu-cina. Da perfetti buongustai

quali siamo, non rinunceremmo perniente al mondo ai piaceri della nostratavola tradizionale, anche se ogni tan-to ci piace “esplorare” sapori nuovi,provenienti da terre lontane.Tuttavia Davide Oldani, che nell’inter-vista che segue ci ha aiutato a delinea-re i tratti distintivi della cucina del fu-turo, qualche cambiamento nelle abi-tudini culinarie degli italiani lo ha giànotato: restiamo sempre delle buoneforchette, ma con un occhio di riguar-do in più nei confronti della qualità deicibi e delle materie prime. Magari no-vità come quelle rappresentate dallacucina molecolare non ci sfiorerannoneanche da lontano, ma l’interesse neiconfronti della cultura del cibo e il va-lore dato ai prodotti locali e biologicisaranno sempre più frequenti.

L’Italia è uno dei Paesi più legatialla tradizione: secondo lei, tutta-via, quali culture culinarie influen-

zeranno maggiormente la nostra?È vero. Gli italiani, in genere, sono par-ticolarmente legati alle proprie tradi-zioni, incluse quelle culinarie; ma è datempo ormai che la cucina orientale,quella giapponese in primis, esercitauna notevole influenza, seguita a ruo-ta da quella cinese.Credo comunque che il Giappone, for-te per l’appunto di una “cucina di qua-lità”, continuerà ad avere un peso spe-cifico notevole sull’Italia, senza dimen-ticare tuttavia che nel nostro Paese stariprendendo sempre più piede la cul-tura del cibo, non solo buono ma an-che sano.

Come potrebbe cambiare un sem-plice piatto di pasta nel 2050?Probabilmente si andrà incontro a por-zioni microscopiche, frutto di un lavoroche dietro le quinte di una cucina è sem-pre meno manuale e sempre più strate-gico. L’orientamento del resto è verso laqualità, non verso la quantità, verso in-gredienti selezionatissimi che andrannopoi rielaborati in maniera creativa.

Cosa ne pensa della cucina a chi-lometro zero? È sempre più in voga nel nostro Paesee se ben utilizzata si può realizzare al100%. In generale, però, preferiscoparlare di “cucina del territorio”. E ciòche mi sta a cuore in particolar modo,è una cucina che sappia fondersi con latradizione locale, legandosi alle mate-rie prime del territorio che, anche se“povere”, andranno poi lavorate contecnica eccelsa.

E di quella molecolare, che in Ita-lia dopo un inizio importante hasubito un forte stop, cosa ci dice?In realtà più che parlare di una battutad’arresto significativa, bisognerebbepiuttosto considerare il fatto che la cu-cina molecolare ha portato alla ribaltaun’infinità di proposte. Fra queste,probabilmente, da qui a 10 anni, soloalcune si concretizzeranno o, meglio,verranno inglobate dalla tradizione cu-linaria del nostro Paese. Quella mole-colare è più che altro una “cucina di ri-cerca” e credo che come popolo noi

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italiani non siamo ancora pronti ad ac-cettare novità di questo tipo.

Secondo lei la cucina tradizionalepotrebbe venir cancellata dalla ri-cerca e dalla scienza?Non penso assolutamente che ricercae scienza possano anche solo minima-mente mettere in crisi la cucina tradi-zionale: come già accennato, in Italiac’è un forte attaccamento alle tradi-zioni stesse e inoltre si guarda semprecon maggiore attenzione a cibi che sia-no genuini e di qualità, senza interfe-renze con manipolazioni scientifiche osimili.

Cosa ne pensa della tesi del ricer-catore olandese Marcel Dicke, se-condo il quale tra non molti annimangeremo tutti insetti, che sonoabbastanza ricchi in proteine,hanno il giusto quantitativo digrassi e contengono minerali comeferro e calcio. Non c’è qualcosa dimeglio degli insetti se si voglionomangiare cibi “ecologici” e sani?

La tesi sostenuta da Dicke non mi con-vince affatto e anzi ritengo che oggipiù che mai ci si orienti verso ciò che è“tradizione”.Gli ingredienti attualmente a nostra di-sposizione sono del resto già sufficien-ti per una cucina altamente creativama insieme semplice e spontanea, vici-na alle persone.

Mentre in Italia i bambini vanno alsupermercato o in macelleria,negli USA e in Inghilterra alcunichef hanno invece dimostratocome i più piccoli non conoscanonemmeno la differenza fra unapatata e una carota. Quanto è im-portante la cultura del cibo? E per-ché?Sono assolutamente convinto dell’im-portanza della cultura del cibo. Unruolo fondamentale nella trasmissionedei corretti valori e informazioni lo ri-veste senza dubbio famiglia da un latoe scuola dall’altro.Ma da sola la corretta alimentazionenon basta, ci vuole anche lo sport per

un binomio che sia vincente e che in-segni a prendersi cura, insieme, delcorpo e dello spirito.

Lei già otto anni fa ha guardato alfuturo rompendo gli schemi nelcampo della ristorazione. Oggicome e cosa vede nel suo futuro?Sono sicuro che in futuro proseguiròsulla stessa strada di oggi, lavorandocon onestà e umiltà, ma cercandonuove sfide e motivazioni, sempre nelsegno della qualità del prodotto e delrispetto delle persone, continuandocosì a crescere a livello sia umano siaprofessionale.

Quali concetti chiave domine-ranno la cucina del domani?Il primo termine che mi viene in men-te pensando alla cucina del futuro è“sano”, con un occhio di riguardo ri-volto ancora una volta all’eccellenzadei prodotti utilizzati e al tempo stes-so a prodotti sempre più stagionali egenuini, e quindi legati alla terra oltreche al territorio. z

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SI.

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DOPO LE INTERVISTE CON GLI ESPERTI NEI VARI CAMPI,

È TEMPO DI TIRARE UN PO’ LE FILA. COME SARÀ IL NOSTRO FUTURO?

UNA DOMANDA ASSAI AMBIZIOSA, ALLA QUALE RISPONDIAMO CON L’ELENCO DEI TERMINI

CHE CON MAGGIORE FREQUENZA SONO RICORSI

NELLE VARIE CHIACCHIERATE. ALCUNI GENERALI,

ALTRI PECULIARI, MA TUTTI RICONDUCIBILI A

DUE CONCETTI CHIAVE: QUALITÀ E DESIDERIO

DI PARTECIPAZIONE E CONDIVISIONE.

SARANNO DAVVERO LE PAROLE DEL FUTURO?

CI AUGURIAMO DI SÌ.

IL GLOSSARIO DEL FUTURO

PRIMO PIANO: IL GLOSSARIO DEL FUTURO

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Acqua - L’acqua è uno dei principali elementi degli ecosistemi,l’elemento senza il quale non potrebbe esistere la vita di nessunorganismo, ed è anche il maggior costituente del corpo umano.Attorno all’acqua l’uomo ha costruito le sue civiltà, le industriee i suoi sistemi agricoli e attorno al tema dell’acqua ruotano con-cetti come “bene comune”, “controllo”, “spreco”, “geopoliti-ca delle risorse” e problematiche sempre attuali come la dispa-rità nella distribuzione delle provvigioni idriche tra i cinque con-tinenti.

Commistione - Mescolanza di generi (ad esempio letterari, mu-sicali, gastronomici), senza snaturare l’originalità di ogni ispirazio-ne, ma ciascuna implementandola con nuove suggestioni e ca-landola in nuove atmosfere.

Condivisione/Democratizzazione - Nell’era di Internet e deisocial network il termine “condivisione” non può che confermarsianche in futuro. Le idee, le storie, le opinioni, le immagini, i con-tenuti viaggeranno sempre di più, saranno sempre più accessibi-li e alla portata di tutti.

iPad - Non tanto i tablet in sé (dei quali probabilmente in futurosi troverà in commercio un modello nuovo ogni mese) quantoquello che questi dispositivi offriranno e comporteranno, anzitut-to in termini di abitudini, mentalità, opportunità.

Leggerezza - Quella ad esempio offerta dai supporti digitaliche consentono l’assenza della materia (libri, dischi, giornali),quella offerta dal cloud computing, per le archiviazioni dei dati,e così via.

Matematica classica - La matematica dei numeri primi, del teo-rema di Pitagora e dei poligoni, quella che tutti abbiamo studiatoe che anche solo in minima parte ricordiamo, sarà anche quellache molto probabilmente non abbandoneremo mai e alla quale ilibri di testo continueranno a dedicarsi.

Multimedialità - Anche questa parola è figlia dell’era di Internet.Siamo già immersi nella multimedialità ma possiamo immagina-re di esserlo sempre di più in futuro. La comunicazione, che si trat-ti di notizie di attualità, di gossip, di news dalle aziende o anchesolo di pensieri personali, avverrà a più livelli: tra tradizione e in-novazione, un contenuto ci verrà presentato non solo sotto for-ma di testo e di immagine ma anche in formato audio e visivo eparlerà non solo la lingua dei giornali o della televisione, ma an-che quella dei social network, degli smartphone, dei tablets.

Multipolarismo - A differenza di quanto avvenuto dopo la Se-conda Guerra Mondiale, quando a governare il mondo erano idue blocchi degli Stati Uniti e dell’URSS (bipolarismo), la ten-denza dei sistemi internazionali del futuro sarà invece quella didistribuire la potenza tra diversi attori politici, geografici ed eco-nomici.

Paesi Brics - Il Brasile, la Russia, l’India, la Cina e il Sudafrica sonoi Paesi attorno ai quali si costruiranno i futuri assetti geopolitici

mondiali. A parte la vastità del territorio geografico, queste na-zioni hanno in comune, soprattutto da dieci anni a questa parte,il forte accesso alle risorse naturali strategiche e, soprattutto, lanotevole crescita del prodotto interno lordo.

Partecipazione - La condivisione internettiana dei contenuti po-trebbe avere come diretta conseguenza la partecipazione degliutenti a storie di fatti e persone che fino a questo momento nonavevano richiamato l’attenzione. Potrebbe spingere gli utenti e lecommunity a partecipare di un evento anche solo raccontandoloo condividendolo, fino a giungere a formule di diffusione e so-stegno (spesso non organizzato) come il crowdsourcing, il citizenjournalism, la fotografia sociale.

Qualità - Che si tratti di quello che decideremo di leggere per nu-trire le nostre menti, dei prodotti dei quali ci circonderemo, diquello che metteremo in tavola, la parola d’ordine delle nostrescelte non potrà che essere “qualità”. L’unica cosa che con il tem-po paga e può fare la differenza. Alla faccia di chi crede che la lo-gica più seguita sia sempre quella del prezzo!

Rigenerazione - Concetto che potrebbe portare a grandi eimportanti novità nel mondo della medicina e che indica ilprocesso per cui, utilizzando le cellule staminali del pazientestesso, si prova a ripararne o sostituirne i tessuti e gli organidanneggiati.

Sicurezza - La sicurezza del domani riguarderà sempre più il be-nessere delle nostre società e le risorse che consentono di man-tenerlo: si tratterà pertanto di sicurezza energetica, alimentare,ambientale così come quella legata all’accesso alle infrastrutturedi trasporto e comunicazione. Sarà anche sicurezza dell’individuo,intesa come libertà dal bisogno, dalla paura e dalla costrizione.

Smart life - Per una società nella quale la tecnologia sia a sup-porto dell’uomo e dell’ambiente (e non viceversa). Riducendo glisprechi, ottimizzando le risorse.

Tecnologia - Mentre una parte del mondo fatica per stare al pas-so e per appropriarsi di quelli che ora sono gli strumenti e i dispo-sitivi conosciuti e utilizzati dall’Occidente, il progresso tecnologi-co non si fermerà mai.Ma chissà che in futuro a questo non si accompagni una diminu-zione del divario che esiste tra i Paesi che hanno libero e facile ac-cesso alla tecnologia e quelli che faticano a starle dietro.

Ubiquitous computing - Il concetto richiama la disponibilità diaccedere a diversi apparecchi e sistemi (ad esempio: il cellulare, latelevisione, il computer, gli elettrodomestici) contemporanea-mente, nel corso di normali attività, per poter essere sempre ovun-que e poter costruire una folta trama sociale.

Umanizzazione - A fronte di tanta tecnologia, di rapporti socia-li digitalizzati, nel futuro è però auspicabile un ritorno al contattocon la vita vera, riportando al centro dei nostri interessi l’uomo ela sua storia. z

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STORIE DI QUALITÀ: CARBON DISCLOSURE PROJECT

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IL FUTURODELL’AMBIENTE?IN BORSAQUALCUNO LO HA DEFINITO UN MEZZO CHE, PER L’AMBIENTE,RAPPRESENTA QUELLO CHE I RAGGI X HANNO SIGNIFICATO PER LAMEDICINA.ALTRI NE HANNO PARLATO COME DI UNO “STRUMENTO VITALE”. OLTRE ALLE DEFINIZIONI E AI PARAGONI, UNA COSA È CERTA: PERLE AZIENDE, IL CARBON DISCLOSURE PROJECT (CDP) OFFRE UNATOUT IN GRADO DI DARE VALORE ECONOMICO AGLI INVESTI-MENTI EFFETTUATI IN TERMINI DI CAMBIAMENTO CLIMATICO. MAANCHE UN MEZZO IN GRADO DI DIMOSTRARE CHE IL PROFITTONON È PIÙ IL SOLO STRUMENTO PER MISURARE LA CAPACITÀ COM-PETITIVA DI UN’AZIENDA.

CARBON DISCLOSURE PROJECT, LA MISURADEL SOSTENIBILE CHE PIACE ANCHE AI LISTINI

CDP sta per Carbon Disclosure Pro-ject. Vi dice qualcosa? Probabil-mente no, se non ciò che potete

desumere dalla sua traduzione letterale.Vi forniamo allora qualche altro indizio.CDP è uno strumento che premia la qua-lità e la trasparenza delle aziende. Laqualità delle azioni attuate in ottica dilotta al cambiamento climatico (perfor-mance), e la trasparenza con la quale ta-li attività vengono divulgate (disclosure).Ma è anche un mezzo contro il green-washing poiché, essendo gestito da unsoggetto indipendente (di parte terza),diventa garanzia di obiettività e compro-vata corrispondenza rispetto a quantodichiarato. Uno strumento che, per l’in-cidenza di questi ultimi aspetti, è riuscito

a trasformare l’attenzione per il cambia-mento climatico in reddito, diventandoun importante indice di borsa. Andate suGoogle Finance, su Thomson Reuters,oppure su Bloomberg, inserite un titoloe poi in Key stats and ratios cercate il co-dice CDP. Accanto troverete una percen-tuale: ebbene quello è il voto che il Car-bon Disclosure Project, basandosi sullavalutazione di disclosure e performance,ha assegnato a un’azienda. Un indiceche viene analizzato dagli investitori nel-le transazioni in borsa. Tanto più il voto èvicino al 100%, tanto più l’azienda è af-fidabile, e tanto più è affidabile tanto piùsarà in grado di dare valore economicoagli sforzi fatti in termini di cambiamen-to climatico.

Un po’ di storiaMa facciamo ora un passo indietro perraccontare un po’ di storia. Il CarbonDisclosure Project è stato pubblicatoper la prima volta in Italia nel 2008(CDP Italy), ma è presente da più di die-ci anni negli altri paesi, nei quali è di-ventato uno strumento fondamentaleper i decision maker in ottica di sceltedi investimento, prestiti e analisi assi-curative. In pratica si tratta di un docu-mento, frutto di attente valutazioni eanalisi, nel quale viene dato un voto, edunque una graduatoria, alle aziendeche hanno avviato azioni in termini dilotta ai cambiamenti climatici. La valu-tazione viene assegnata, come diceva-mo, in base alla qualità delle informa-

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zioni utilizzate per divulgare in modo trasparen-te le politiche ambientali e alla bontà delle inizia-tive avviate. È uno strumento che, all’unanimità, è considera-to indispensabile per la tutela del nostro Pianetae per la crescita delle aziende. Christiana Figue-res, Executive Secretary della UN FrameworkConvention sul Climate Change (UNFCCC), ha ri-conosciuto al CDP, in ambito climatico, la stessaportata che i raggi X hanno rappresentato per ilfuturo della medicina. Rupert Murdoch ne haelogiato l’indiscutibile capacità nel supportare leaziende nell’individuare i rischi, ma soprattutto leopportunità offerte dal cambiamento climatico.E ancora, Bill Clinton lo ha definito come un pro-getto vitale. L’Executive Director della GoldmanSachs Global ha invece messo in evidenza l’obiet-tività di questo sistema, in grado di offrire un me-todo unico, standardizzato e confrontabile nellavalutazione delle performance climatiche.

Come funzionaAnzitutto è bene chiarire che si tratta di un pro-gramma volontario. Viene proposto da CDP alleaziende con maggiore capitalizzazione di merca-to (in Italia sono oggi 100). Tuttavia, ci sono so-cietà, magari anche non capitalizzate, che chie-dono di aderirvi in maniera volontaria, senza averricevuto una proposta da parte del CDP. Chi par-tecipa al programma deve affrontare, come pri-mo passo, un questionario. È la fase forse più lun-ga e complessa, perché la compilazione prevedeuna profonda conoscenza dei flussi e delle stra-tegie aziendali in termini ambientali, e soprattut-to la capacità di reperire i documenti a supportodelle dichiarazioni effettuate. Ma è un passaggioindispensabile, come potrebbe essere, per usareuna similitudine medica, l’anamnesi. E come nel-l’anamnesi avviene la raccolta, dalla voce direttadel paziente e/o dei suoi familiari, di tutte le in-formazioni indispensabili al medico ad elaborarela diagnosi e a prevenire eventuali rischi dati dafamiliarità, così nella raccolta delle notizie per lacompilazione del questionario CDP viene data al-le aziende l’opportunità di individuare “lo statodi salute” della propria politica ambientale, di evi-denziare i potenziali rischi ma anche gli ambiti diintervento e miglioramento. Una volta completa-to, il questionario con la relativa documentazio-ne viene sottoposto al vaglio di un ente al di so-pra delle parti. Anzitutto per valutare la corri-spondenza/trasparenza dei dati dichiarati, poiper giudicare, secondo parametri condivisi eobiettivi, la bontà delle iniziative avviate. Il tuttoper poi essere tradotto nel famoso voto in per-centuale che va a qualificare sul mercato, disclo-

sure e performance dell’azienda.

Uno strumento di miglioramento per leaziende, un indice per il mercatoCome evidenziato all’inizio dell’articolo, il valorefinanziario del programma CDP coinvolge stake-holder, investor, public procurement. Ma non èquesto l’unico aspetto. Infatti, dalla dichiarazio-ne di personaggi autorevoli, emergono altri van-taggi in termini aziendali, di miglioramento dellestrategie organizzative e di ottimizzazione dellerisorse. Prova ne è il fatto che og-gi, più di 3.700 organizzazionipresenti nei paesi a maggioresviluppo economico, rilevanole proprie emissioni di gas ef-fetto serra e analizzano i rischie le opportunità legate al clima-te change, attraverso il CDP,con l’obiettivo di stabilire gliobiettivi di riduzione e mi-gliorare i risultati. A questidue ambiti occorre infine ag-giungere un terzo punto, legatoalla credibilità aziendale sui consu-matori diretti.L’adesione al CDP è infatti di per sestessa una dichiarazione di traspa-renza e di volontà di miglioramento.Due requisiti sempre più richiesti an-che dai consumatori, ormai sensibilial rischio del greenwashing e attentia scelte e soluzioni sostenibili. z

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Svantaggi

• Alla prima adesione, investimento in termini di tempo per lacompilazione del questionario e la raccolta della documen-tazione necessaria (tempo indirettamente proporzionale allivello di maturità della politica ambientale avviata dal-l’azienda e al livello di coinvolgimento dei ruoli direttivi).

Vantaggi

• Valorizzazione economicadegli investimenti fatti inambito di sostenibilità.

• Visibilità nel settore della finanza.• Garanzia di trasparenza nei

confronti di stakeholder, mercato econsumatori.

• Ottimizzazione delle risorse aziendali.• Prevenzione dai rischi dovuti al

cambiamento climatico.

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IMQ INVESTOR CDP SCORING PARTNER 2012Per il 2012 è stato affidato a IMQ l’incarico di assegnare un punteggio allacompletezza, trasparenza e qualità della comunicazione delle emissioni e

delle iniziative finalizzate alla lotta al cambiamento climatico,avviate dalle aziende italiane con maggiore capitalizzazione

(CDP Italy 100).

CDP NEL MONDOIl Carbon Disclosure Project (CDP) è un’or-

ganizzazione no-profit indipendenteche offre ad aziende e Paesi, un sistema

per rilevare, misurare, gestire e condi-videre a livello globale informazioni

riguardanti il cambiamento clima-tico e idrico. Oggi più di 3.700 or-ganizzazioni presenti nei Paesi amaggiore sviluppo economico,rilevano le proprie emissionidi gas effetto serra e analiz-zano i rischi e le opportunitàlegate al climate change,attraverso il CDP, conl’obiettivo di stabilire gliobiettivi di riduzione e mi-gliorare i risultati. Il CDP èsupportato da 655 inve-stitori istituzionali, chegestiscono oltre 78 mi-liardi di dollari, e detieneil più grande databaseinternazionale conte-nente le informazionisulle politiche di gestio-ne del climate changeattuate dalle più impor-tanti organizzazionimondiali.

Per maggioriinformazioni:

www.cdproject.net

GAS SERRA, ACQUA,CITTÀ E CATENA FORNITORI

La conferma della validità del sistema CDPè data dai numeri, ma anche dagli ambiti di

operatività, sempre più numerosi, nei quali vie-ne utilizzato come metodo standard di riferimen-

to. Ad oggi, accanto alla valutazione delle strategiein termini di cambiamento climatico attuate dalle

aziende (Investor CDP) vi è anche quella delle città (CDP Ci-ties) della Pubblica Amministrazione (CDP Public Procurement)

dei fornitori (CDP supply chain). CDP, infine, è utilizzato anche nellavalutazione delle politiche di efficienza idrica (CDP water disclosure).

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Come mai gli italiani non sonoancora attrezzati per misurarele loro emissioni e in azienda la

cultura della sostenibilità non ha lastessa importanza che può avere, adesempio, il marketing?Tante imprese stanno cominciando soloora a misurare le loro emissioni e i rischilegati al cambiamento climatico. Lamaggior parte delle aziende con cui sia-mo in contatto, infatti, inizia per la primavolta a riflettere su questo tema nel mo-mento stesso in cui riceve il questionariodel CDP, le cui domande stimolano adiniziare un percorso verso un futuro so-stenibile. Noi cerchiamo di sostenerle nelprocesso di apprendimento anche attra-verso l’uso degli indici di leadership, intermini di disclosure e performance. Ilbenchmark è richiesto dalle aziende stes-se che desiderano posizionarsi opportu-namente rispetto ai loro competitor. La testimonianza di come il questionarioCDP sia stato da stimolo per numeroseaziende nell’avvio di un percorso di so-stenibilità ambientale, sono tante. Adesempio Boeing ha iniziato la sua rifles-sione sulle risorse energetiche nel 2007,

quando venne a conoscenza del que-stionario del CDP. Più le imprese impara-no e sono informate, più sono in gradodi prendere delle decisioni strategiche intermini di risparmio energetico, proteg-gendo il loro business dal rischio delcambiamento climatico. A onor del vero, qualche impresa sta giàintegrando la sostenibilità nella sua stra-tegia di business, e la decisione spessoproviene dal Consiglio di Amministrazio-ne. Purtroppo, però, la maggior partedelle aziende deve ancora concepire lasostenibilità come una parte importantedella strategia globale di business. La so-stenibilità non dovrebbe essere radicatain un solo reparto specifico, ma in tuttal’impresa. Sono tuttavia certa che, contempora-neamente all’aumento della consapevo-lezza dei costi legati alla mancanza diuna strategia sostenibile, aumenterannoanche le imprese che si renderanno con-to della necessità di agire. La sostenibili-tà diventerà dunque sempre più impor-tante in tutte le organizzazioni, soprat-tutto in quelle che vogliono raggiungereuna posizione di leadership.

La prima volta del CDP in Italia è sta-ta nel 2008. Su 40 aziende quotate inborsa, alle quali venne offerto dipartecipare al questionario CDP, neaderirono 18. Nella seconda edizio-ne del 2010, 60 aziende sono statecoinvolte e 21 hanno aderito. Nel2011, 100 aziende sono state invita-te e 35 hanno partecipato. La per-centuale è salita al 35% (a fronte diun 90% in scala europea e 81% inambito internazionale). Ora siamoalla quarta edizione e su 100 azien-de il numero delle adesioni sembraessere ulteriormente in crescita. Maalcune esitazioni permangono. Co-me mai? Alcune delle aziende italiane a cui abbia-mo inviato la nostra richiesta di “disclo-sure” non dispongono ancora delle ri-sorse umane interne necessarie per trat-tare questo tipo di richieste da parte de-gli investitori. Altre imprese sono convin-te di non generare emissioni, e pertantodi non influire sull’ambiente, semplice-mente perché non appartengono ai set-tori così chiamati “carbon intensive”. In-dipendentemente dal settore industriale

Sebbene l’attenzione per il cambiamento climatico sia in continua crescita anche in Italia e sebbe-ne sempre più ci si stia rendendo conto dell’equazione sostenibilità=redditività, è altrettanto ve-ro, però, che la media delle aziende italiane non è ancora del tutto attrezzata per affrontare lesfide del clima. Per capire perché e per comprendere cosa ci differenzia dagli altri Paesi, più avanzati in tali am-biti, abbiamo intervistato Diana Guzman, direttore Sud Europa del CDP.

IL CAMBIAMENTO CLIMATICO COME

STRATEGIA

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al quale un’impresa appartiene, tutteconsumano elettricità, calore e raffred-damento; la maggior parte di esse, poi, èattiva in diversi paesi e dispone quindi diuna “supply chain” (catena di fornitura),con i dipendenti che devono intrapren-dere dei viaggi di lavoro. Tutte queste at-tività del “business as usual” creano del-le emissioni e devono essere prese inconsiderazione. Ma non solo. CDP e gliinvestitori che rappresentiamo sono in-teressati anche a comprendere come leaziende saranno coinvolte direttamentedal cambiamento climatico. Esse potreb-bero dover affrontare rischi legati al cli-mate change con un impatto diretto sulvalore dei loro shareholder (“sharehol-der value”). Ad esempio costo della CO2,nuove misure di politica ambientale, au-mento dei costi di approvvigionamentoenergetico e prezzo delle commodities,impatti di disastri ambientali sulla supplychain, carenza idrica e molti altri che di-pendono dal settore specifico di appar-tenenza. Oltre ai rischi, rispondendo al questiona-rio CDP le imprese possono anche iden-tificare delle opportunità: riduzioni deicosti attraverso l’implementazione di mi-sure di efficienza energetica (molto im-portante in questo periodo di crisi), op-portunità per l’innovazione di prodotto,impatti positivi sulla reputazione risul-tanti da un posizionamento dell’impresacome leader in sostenibilità, etc.

È possibile identificare le risorse(tempo e forza lavoro) e quantifica-re i costi necessari a un’azienda percompletare il questionario CDP?Tutto dipende da quanto impegno e ri-sorse un’impresa vuole investire nellacompilazione del questionario CDP edalla facilità di accesso ai dati e alle pro-cedure interne aziendali necessarie per lacompilazione. Le aziende che partecipa-no al CDP trovano che il primo anno siaquello più difficile perché non sempresanno da dove o da chi ottenere le infor-mazioni al loro interno. Le edizioni suc-cessive diventano più semplici: non soloperché a quel punto conoscono già do-ve trovare le informazioni rilevanti, maanche perché la loro risposta migliora intermini di qualità e completezza della di-sclosure. Tante aziende che fanno disclo-

sure per la prima volta utilizzano il que-stionario del CDP per meglio strutturarela loro strategia ambientale. E il loro“scoring” gli permette di comprenderemeglio dove si trovano nei confronti deicompetitor e dove dovrebbero posizio-narsi nel futuro.

È possibile quantificare in termini diredditività i vantaggi derivanti dal si-stema CDP? Benefici ce ne sono tanti. Come accen-nato prima, sono rappresentati anzituttodall’aumento della consapevolezza chesi può ottenere tramite la risposta al que-stionario. Partecipare al CDP aiuta a por-tare il tema della lotta contro il cambia-mento climatico sull’agenda del board,ed è questo l’elemento principale per tra-sformare la sostenibilità in un tema stra-tegico e spingere l’impresa ad agire.Prendiamo l’esempio di Walmart che haapertamente espresso l’utilità del que-stionario CDP. Grazie ad esso, infatti, èarrivato a realizzare come le sostanze re-frigeranti utilizzate nei suoi supermerca-ti emettessero più della sua intera flottadi tir. E sempre grazie al CDP si è reso con-to di poter intervenire e ridurre le emis-sioni. L’apprendimento e il valore acqui-sito erano tali che decise di applicare CDPanche ai propri supplier e monitorare inquesto modo gli impatti della catena difornitura. Non tutte le imprese dichiarano la ri-duzione dei costi. Tra quelle invece chelo hanno fatto cito Logica, che utilizzail CDP come lo strumento principaleper avanzare il proprio “corporate re-porting”, e che ha dichiarato di averrisparmiato un valore stimato di 10 mi-lioni di sterline attraverso diverse azio-ni legali al cambiamento climatico. Unaltro esempio è la News Corporationche ha reso noto come la proceduranecessaria per rispondere al questio-nario CDP abbia dato loro evidenza dialcune opportunità da affrontare stra-tegicamente al punto da integrare l’ef-ficienza energetica nella loro strategiadi business. Vijay Sudan, manager allaNews Corporation’s Global Energy Ini-tiative, ha infatti dichiarato: “Il proces-so CDP ci ha permesso di vedere il no-stro business in termini di emissioni edi costi di energia. Con CDP abbiamo

capito che l’80% delle nostre emissio-ni derivano dall’elettricità, la maggiorparte degli uffici e dell’illuminazione.Intervenendo su quelli si possono otte-nere notevoli risparmi. Alcuni dei pro-getti avviati ci hanno infatti consentitodi risparmiare costi legati alla CO2 dicirca 180 dollari per tonnellata”.

Al CDP possono aderire anche azien-de non quotate in borsa e se sì, conquali vantaggi?L’anno scorso abbiamo avviato un pro-getto pilota in Germania, chiamato la“Mittelstand Initiative”, che si occupadella disclosure da parte di imprese nonquotate. I benefici che queste aziendeacquistano sono molto simili a quelliche le aziende quotate possono realiz-zare con la loro risposta: aumentare latrasparenza verso gli stakeholder, evi-tare rischi, identificare delle opportuni-tà, ridurre costi, ecc. Inoltre permettealle stesse imprese di paragonarsi conle aziende quotate nel loro settore e, al-lo stesso tempo, di acquisire un van-taggio competitivo rispetto agli altricompetitor non ancora in borsa.

In ottica di cambiamento climatico esostenibilità, quali sono, secondolei, le parole del futuro?In un'economia mondiale dalle risorselimitate, quelle aziende che misurano,comunicano e riducono le loro emissio-ni, avendo una chiara comprensionedei rischi e delle opportunità, otterran-no un vantaggio competitivo. Questeaziende avranno una chiara compren-sione su come creare opportunità perl'innovazione, garantendosi una posi-zione tra i leader del futuro. Ma, ancorpiù importante, faranno un passoavanti verso una crescita sostenibile ri-ducendo la loro dipendenza da mate-riali sempre più limitati e generando va-lore nel lungo termine per gli stakehol-der. E mentre siamo in attesa di un ac-cordo globale sulle emissioni, è impor-tante che le imprese continuino ad an-dare avanti, innovando e cercando leopportunità di fare di più con le risorsea disposizione. Questo è indispensabileper uscire dalla crisi economica e averun posto in una futura economia a bas-se emissioni. z

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Volevamo dedicare questo articolo alla riscopertadella scrittura a mano. Poi ci siamo imbattuti in unamostra che associava la calligrafia sino-giapponeseal “mottainai”, un’antica parola giapponese che oggiindica anche una nuova e interessante tendenzaecologica. Incuriositi siamo andati da chi haorganizzato l’evento, per scoprire che dietro c’èun’associazione, shodo.it*, e due autorevoli nomi:Carmen Covito, scrittrice ma anche studiosa di culturagiapponese e il maestro calligrafo Bruno Riva.

Intervista a Carmen Covito e Bruno Riva

* SHODO.IT È UN'ASSOCIAZIONE CULTURALE SENZA SCOPO DI LUCRO, COSTITUITA NEL 2007 A MILANO

PER PROMUOVERE LA CONOSCENZA DELL'ARTE DEL GIAPPONE E DELL'ESTREMO ORIENTE E IN PARTICOLARE

LO STUDIO, LA DIFFUSIONE E LA PRATICA DELLA CALLIGRAFIA.

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Pensavamo che l'attenzione peri consumi e soprattutto per glisprechi, fosse figlia dei nostri

tempi, e invece poi scopriamo chenella lingua giapponese e nella reli-gione buddista non è certo una no-vità. Ma partiamo dall'inizio: cosa si-

gnifica la parolaMottainai e a

quando si farisalire.La parola

“mottai” !"indicava in origine la

dignità intrinseca inogni oggetto materiale: la

sacralità delle cose. La costru-zione negativa “mottainai” !"#$,che significa letteralmente “non averemottai” veniva usata nella tradizione bud-dhista per lamentare lo spreco o l’abuso diqualcosa di sacro o degno di grande ri-spetto. Dicendo “Mottainai!” in giappo-nese si esprime rammarico per lo spreco dioggetti materiali, di tempo e di ogni altrarisorsa preziosa. Quando si riceve un rega-lo o un’attenzione, è cortese usare questaespressione riferita a se stessi (“è uno spre-co dare a me questa cosa!”) per sottoli-neare la generosità del donatore. Oggi“Mottainai!” è diventata la parola d'ordi-ne di un movimento di sensibilizzazioneambientalista. È una nuova tendenza, chereagisce al consumismo in nome di uno sti-le di vita più semplice e più libero, all’inse-gna del riciclo, del riutilizzo, del rispetto pergli oggetti.

La vostra Associazione ha organiz-

zato una mostra che ha affiancato ilconcetto del non spreco alla calligra-fia sino-giapponese: perché questoaccostamento?Dopo una prima fase di attività organizza-tive in ambito espositivo, alcuni anni fa ab-biamo deciso di progettare soprattuttomostre tematiche per proporre al pubblicooccidentale una visione più comprensibiledella calligrafia e di quanto possano esse-re ampie e ricche le sue forme espressive,nonostante i limiti che sarebbero stati po-sti dall’imposizione di un tema comune;abbiamo pensato che ciò potesse inoltrestimolare il confronto e il dibattito tra i cal-ligrafi, soprattutto quelli occidentali. Lascelta di “Mottainai” è semplicementescaturita dalla sensibilità dei membri di co-mitato dell’associazione, dalle preoccupa-zioni che condividiamo nei confronti delpresente e del futuro e dalla comune vo-lontà di trasmettere dei messaggi grazie al-la calligrafia.

Possiamo provare a offrire una sin-tesi della differenza tra la calligrafiaoccidentale e quella orientale, in par-ticolare per quanto riguarda il loro si-gnificato?Innanzitutto la calligrafia cinese si esegueda millenni, a pennello e inchiostro. Negliultimi anni molti calligrafi l’hanno intro-dotta nella pratica della calligrafia occi-dentale, quelle che si vuole consideraremaggiormente creativa, ottenendo degliinteressanti risultati, ma questo non hamutato lo scarto che separa queste duepratiche calligrafiche. La vera differenzaconsiste nelle specificità dei caratteri han,

o caratteri cinesi. Questi caratteri di scrit-tura sono oltre sessantamila e costituisco-no la ricchezza, il vero patrimonio su cui sibasa la calligrafia dell’Asia orientale. Tra la nostra scrittura alfabetica e quella lo-gografica vi è uno scarto abissale. Ancheun carattere semplice, di pochi tratti, ha unsignificato preciso, quando lo si traccia sista attribuendo una precisa forma a un og-getto, a un’azione, a un concetto. Pratica-mente tutti i caratteri hanno un legamecon una ridotta serie di elementi radicali,che sono a loro volta dei caratteri di scrit-tura e hanno origini pittografiche. Soprat-tutto quando s’impiegano le forme discrittura antiche le sintesi pittografiche so-no riconoscibili e mentre si dà vita al testoè come se si stesse dipingendo o dise-gnando schematicamente.

Sapere scrivere bene, o avere unabuona “via di scrittura”, che signifi-cato ha oggi?Scrivere bene è principalmente un piace-re per se stessi. Avere una buona “via discrittura” significa sentirsi con soddisfa-zione in cammino verso una meta scono-sciuta che ci sta attirando perché il per-corso è avvincente. Il loro significato og-gi? Direi inoltre che se si scrivono dei con-tenuti che comunicano qualcosa di utileagli altri e lo si fa tramite una forma chetrasmette ripetutamente piacere e sor-presa, si sta veramente percorrendo una“buona via di scrittura”.

La calligrafia cos'è: un'arte, una disci-plina, una forma spirituale? Come dicevo, dipende esclusivamente

MOTTAINAI!QUANDO LA “BELLA SCRITTURA”PREVIENE LO SPRECO

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QUALITÀ DELLA VITA: HOBBY

dagli intenti di chi la pratica. Può essereciascuna di queste cose ma anche piùd’una di esse contemporaneamente. Èperò anche una disciplina che ha una di-mensione collettiva. Senza dubbio la sipratica seguendo un percorso e un ritmoindividuali anche se si lavora in gruppo,ma il confronto con gli altri e l’osserva-zione delle loro opere sono molto impor-tanti. Assistendo alle difficoltà e ai successidegli altri si acquisiscono fiducia e sicu-rezza. Si può inoltre osservare quanto cia-scuno di noi sia unico e dotato diun’espressività che può essere affinata se-guendo un percorso specifico che non sa-rebbe adatto ad altri. Si capisce cheognuno si confronta con limiti, difficoltà edoti diverse; che un po’ di concorrenza fabene ma che la collaborazione amichevolee il sostegno reciproco sono ancora piùutili.

Che rapporto c'è tra calligrafia e spi-ritualità e questo rapporto vale soloper le calligrafie orientali o coinvolgeanche quelle occidentali?Calligrafia e spiritualità s’incontrano solose ciò rientra negli intenti di chi le pratica.Per un monaco Zen, ad esempio, la calli-grafia potrebbe semplicemente costituireun’utile disciplina da porre al servizio dellasua ricerca spirituale. Questo non ha nulladi riduttivo e non significa che le sue ope-re non possano essere dense di valoreespressivo, esteticamente interessanti,tecnicamente valide e in sintonia con lecreazioni di altri calligrafi che hanno un al-tro approccio a questa disciplina.Va detto però che la calligrafia dell’Asiaorientale si presta particolarmente a stabi-lire un legame con la spiritualità. Anchesenza considerare il significato dei testi. Senon la s’interpreta come un semplice attoscrittorio, come se fosse una distratta regi-strazione d’un testo qualsiasi, diviene unapratica che richiede la massima concen-trazione, la totale presenza nel gesto,l’unità tra corpo e cuore-mente. Ci si per-de in un’unità di se stessi con il mondo checi circonda.Questo atteggiamento lo si può facilmen-te ritrovare nella pratica di altre discipline,anche nella calligrafia occidentale. Se fos-si un monaco trappista molto probabil-mente vorrei sentir rompere il silenzio solodal fruscio della penna sulla pergamenamentre sarei intento alla copiatura di un

testo sacro. Questo rumore sarebbe comeuna melodia che diffonde nel mondo pa-role edificanti e sacre come se fossero rin-tocchi di campana. Certo, sarebbe piutto-sto anacronistico e poco produttivo, mapenso che questo sia uno dei limiti e deipregi della calligrafia, di non avere notevolisbocchi pratici, se si eccettuano quelli of-ferti dal mercato dell’arte che però in Oc-cidente è quasi inesistente.

Si scrive ancora a mano? In Occidenteforse sempre meno. In Oriente?Anche in Cina e in Giappone la diffusionedei mezzi elettronici sta portando a unaminore pratica dello scrivere a mano, e lìpuò diventare un problema molto più gra-ve che da noi, perché scrivere a mano è in-dispensabile per memorizzare gli ideo-grammi e non dimenticare l'ordine dei lo-ro tratti. Il successo che sta avendo tra i gio-vani giapponesi la calligrafia intesa comearte moderna si può spiegare anche conquesta necessità di recuperare una ma-nualità che si sta perdendo: per comuni-care vanno benissimo le tastiere dei com-puter e dei telefonini, per esprimersi si ri-prende in mano il pennello.

Signora Covito, Tirrena, la protago-nista principale del suo ultimo ro-manzo (Le ragazze di Pompei,Barbera Editore), stava le ore a guar-dare i copisti e sapeva apprezzare lequalità della carta “fogli splendida-mente flessibili, levigati, bianchis-simi, che mi cedette con una scrollatadi spalle fatalista e un buffetto. Se-condo lui, il futuro del libro è nellapergamena”: quanto conta la cartaper una buona calligrafia? In tutta l'antichità la carta è sempre stata

un bene raro e prezioso: per risparmiarepapiro, i greci scrivevano note e appuntisu cocci di terracotta, i famosi 'ostraka'che venivano usati anche come schedeelettorali. I romani, più pratici, inventaronole tavolette cerate su cui si poteva scrivere,cancellare e riscrivere. Anche le perga-mene non furono mai “usa e getta”, e in-fatti abbiamo molti palinsesti, cioè testiscritti su pergamene riutilizzate anche piùdi una volta. In Cina, i maestri facevanoesercitare gli allievi a scrivere sulla sabbia,prima di dare loro in mano pennello, carta,inchiostro e pietra per stemperare l'in-chiostro, non a caso chiamati “i quattrotesori del calligrafo”. Nel Giappone del-l'epoca Heian, dove lo scambio di lettere epoesie tra dame e gentiluomini della corteimperiale era un dovere sociale e insiemeun'arte raffinatissima, alla scelta della cartaveniva dedicata un'attenzione particolare.Sbagliare il tipo di carta o il colore potevaessere un errore di gusto imperdonabile,ma se l'errore era voluto costituiva unmessaggio da interpretare. Nel romanzopiù famoso della letteratura giapponese, il“Genji Monogatari”, c'è proprio un epi-sodio in cui una dama risponde a un cor-teggiatore scrivendogli su un pezzo dicarta già usata: e basta questo per farglicapire di non essere gradito. D'altra parte,anche in epoche successive tutti, nobili esamurai, portavano sempre con sé qual-che foglio di carta, infilato nello scollo delkimono, e quando venivano utilizzati perscrivere poesie questi fogli si coprivano diannotazioni varie, dal tema della garapoetica ai commenti degli ascoltatori, finoad assomigliare a fogli di bloc notes co-perti di scrittura fittissima. Insomma, nonsi sprecava mai nulla. Ma anche oggi,come allora, il modo migliore per non

CALLIGRAFIA ED ETIMOLOGIAInsieme ai prodotti industriali, diversi elementi della cultura giappone-se hanno avuto una forte diffusione in Occidente nel secondo dopo-guerra. Sono arrivati lo Zen %, le arti marziali, i manga &' e seppur inmisura minore anche la calligrafia, che si è fatta conoscere in Occidentecon il termine maggiormente usato in Giappone, shodô (), che abbi-na al termine “scrittura” quello di origine taoista di “via, percorso” co-me avviene in altre pratiche influenzate dallo Zen. Se la pratica della cal-ligrafia si riducesse a questa tendenza la si potrebbe considerare in pre-valenza una pratica strumentale a fini religiosi o di ricerca spirituale. Inrealtà anche nell’arcipelago giapponese gli approcci sono diversi e piùricchi di sfumature di quanto generalmente s’immagini.

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sprecare è conoscere i diversi ma-teriali e scegliere di volta in voltaquelli più adatti allo scopo che cisi propone. I diversi tipi di inchio-stro interagiscono in modo di-verso con i diversi tipi di carta, ecosì anche i diversi tipi di pennelli.

Oggi Tirrena passerebbe leore a osservare i calligrafi ochi scrive al computer? Se la pompeiana Tirrena aves-se potuto osservare i calligraficinesi e giapponesi si sarebbe divertitamoltissimo, e penso che avrebbe capi-to perfettamente i loro metodi.

Maestro Riva, l'amore per la calligra-fia, è preceduta da una passione peruna determinata cultura o può sca-turire semplicemente da un deside-rio di espressione artistica? I motivi che spingono ad avvicinarsi al-la pratica e allo studio della calligrafiasono numerosi. Principalmente, consi-stono nell’interesse per le culturedell’Asia orientale, l’attrazione eserci-tata dai caratteri cinesi che costituisco-no un mondo affascinante, o la volon-tà di trovare una pratica artistica chepermetta a chiunque di esprimersi inmodo libero. Non manca la curio-sità degli artisti che voglionosemplicemente arricchire le lo-ro competenze tecniche nel-l’uso dell’inchiostro e deipennelli.

Chi non possiede doti arti-stiche, la cosiddetta “bellamano”, può imparare l'artecalligrafica? In effetti, non trattan-dosi di “bella scrittura”,è praticabile da chiun-que. Le difficoltà nonconsistono nel doveravere una “bellamano”, ma nel trovarela necessaria disponibi-lità per acquisire la tec-nica, per tracciareripetutamente un sin-golo tratto cercando dimigliorarne l’esecuzione.L’arte calligrafica puòessere utilizzata anche

come terapia?Senza dubbio la calligrafiapuò costituire anche unaterapia, anzi, direi che lo èquasi sempre, almeno co-me forma di prevenzione;basta che non la si inter-preti come un fastidiosodovere o come un ango-sciante sforzo teso a otte-nere risultati troppo ambi-ziosi, altrimenti si trasfor-

merebbe in una ulteriorefonte di stress. Se però si supera anchequesta fase… Per quanto mi riguarda, avolte sento che la calligrafia si condensanel semplice piacere di reggere un pennel-lo nella mano, imbevuto d’inchiostro, ver-ticale sul foglio bianco. Nel momento distasi ritrovo la sensazione di pensare un’ul-tima volta che non devo più riflettere sullaforma che voglio tracciare perché la cono-sco già come conosco l’inchiostro, la cartae il pennello che è un prolungamento del-la mano e del braccio. Nell’attimo in cuitutti questi elementi si fondono scattal’impulso e il pennello inizia a lasciare trac-ce sulla carta, il movimento procede rego-larmente e ad ogni segno che la carta re-gistra ne consegue spontaneamente unadattamento dei movimenti successivi delpennello, una nuova inchiostratura quan-do necessario, un cambiamento di ritmo,un aumento o una riduzione di pressionedella mano sul pennello fino alla conclu-sione dell’opera. Durante questo proces-

so, se la concentrazione è totale, lavisione del dettaglio che si sta scri-vendo si abbina a quella dell’insie-me dell’opera; ma non mancanoneppure il risuonare del significa-to dei singoli caratteri e del testo,accompagnato dal proprio respi-ro, che scandisce l’azione calligra-

fica come un metronomo. z

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Dicendo “Mottainai!” in giapponese

si esprimerammarico per lospreco di oggetti

materiali, di tempo e di ogni altra

risorsa preziosa.

LA CALLIGRAFIA SINO-GIAPPONESE E I CALLIGRAFISi tratta di una pratica in cui s’impie-gano strumenti semplici: inchiostro*, carta +, pennello , e calamaio(“pietra da inchiostro”) -. Sono at-trezzi e materiali elementari, chepossono essere di fattura modesta oraffinata, ma per padroneggiarli so-no richieste conoscenze e competen-ze che si affinano solo con la praticacostante, grazie a lunghi esercizi dicopiatura e di osservazione dei mo-delli antichi e contemporanei.La storia della calligrafia cinese egiapponese non ha nulla da invidiarea quella della pittura occidentale; èsufficiente entrare in una libreriaspecializzata in Cina o in Giapponeper rendersi conto della quantità dititoli dedicati a monografie, antolo-gie, dizionari degli autori, ecc. Nonsolo in termini di quantità delle ope-re ma anche della loro varietà e delladifferenziazione delle potenzialitàcreative. Un calligrafo può far uso diuna forma di scrittura e di uno stileadeguato a ogni situazione e a ognistato d’animo. Può scegliere di espri-mersi tramite tratti sottili e fluidi olarghi e potenti, o ancora scegliere diusare spessori di tratti modulati e an-damenti ritmati, ecc. Le scritte che siotterranno potranno essere total-mente diverse negli esiti formali,frutto della creatività e della volontàcomunicativa del loro autore. Esse sa-ranno la registrazione dell’azione delcalligrafo e conterranno il suo gesto,il tempo esecutivo: l’energia impres-sa al pennello è testimoniata dalletracce dell’inchiostro sulla carta.Ogni accelerazione, ogni esitazionesarà visibile. Tutte le calligrafie sonoun evento: alcune è meglio scartarle,altre le si trova interessanti, magariben riuscite tecnicamente o nelleproporzioni ma nulla più, altre anco-ra riescono a stupire persino il loroautore.

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QUALITÀ DELLA VITA: SPORT

IL RUGBY?È ANCHE UNO SPORTIL RUGBY PIÙ CONOSCIUTO È QUELLO A 15. MA C’È POI UN RUGBY PIÙ PICCOLO O, MEGLIO, MENO NUMEROSO: QUELLO A 7. CHE SI È FATTO STRADA FINOAD AFFERMARSI, PER LE OLIMPIADI DI RIO DEL 2016, COMENUOVA DISCIPLINA SPORTIVA. GLI APPASSIONATI DELLA PALLA OVALE, A 15 O 7 CHE SIA, NON CREDONO CHE SI TRATTI SOLO DI UNO SPORT. MA “ANCHE” DI UNO SPORT. IL CHE LA DICE LUNGA SU COMEQUESTA DISCIPLINA POSSA ESSERE COINVOLGENTE, FORMATIVA E ADATTA, COME ATTIVITÀ SPORTIVA, PER TUTTI I RAGAZZI GIÀ A COMINCIARE DAI 5 ANNI DI ETÀ.

Secondo una storiella giocosa, ilrugby a 7 fu inventato dagli scoz-zesi, giusto per “risparmiare” 8

giocatori su 15. Ovviamente nulla piùlontano dal vero, ma ciò non toglie chel’origine della versione a sette ebbe ori-gine proprio in una cittadina degli Scot-tish Borders, nel 1883. A inventarla fuun macellaio, almeno stando alle dueleggende correnti. La prima che raccon-ta di un professionista del taglio dellacarne il quale, non potendo dedicarsi alsuo sport preferito nella giornata di sa-bato, iniziò a sfogare la sua passione inincontri infrasettimanali, ma senza mairiuscire a raggiungere i 15 elementi ne-cessari per formare la squadra. Da cui lariduzione a 7. Protagonista della secon-da leggenda è ancora un intraprenden-te macellaio, pronto agli imprevisti: du-rante un torneo di rugby, a fronte di unadefezione improvvisa di una squadra,senza perdersi d’animo, e pur di non an-nullare gli incontri e deludere il pubbli-co presente, rivoluzionò in fretta e furiale regole del gioco, formando partite

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con scontri a 7 uomini.

Le regole del giocoLa grande differenza tra il rugby a 15 equello a 7 è naturalmente il numero digiocatori. Nella versione a 7, accanto aigiocatori in campo ce ne sono altri 5pronti a sostituirli; alle mischie ordinatee alle rimesse laterali partecipano 3 gio-catori. La partita si divide in 2 tempi di 10minuti l'uno con intervallo di 2 minutiquando si tratta della partita finale di untorneo importante, altrimenti ogni tem-po dura 7 minuti con intervallo di 1 mi-nuto. Nel caso di parità alla fine dei tem-pi regolamentari la partita continua finoa quando una squadra segni per primadei punti. La trasformazione di una me-ta avviene calciando in drop e non è pre-vista la possibilità del calcio piazzato,mentre la squadra che riprende il giocodopo la realizzazione di una meta èquella che l’ha realizzata (a differenzadel rugby a 15 in cui inizia il gioco lasquadra che subisce la meta). Ogni car-tellino giallo implica la sospensione tem-

poranea di un giocatore per 2 minuti. Lesquadre sono composte da 3 avanti, ilmediano di mischia e 3 trequarti.

Il ruolo formativoDel rugby i più conoscono soltanto il la-to rude e aggressivo: 14 o 30 (a secon-da delle versioni) uomini enormi che sele danno di santa ragione passandosi (ri-gorosamentea l l ’ ind iet ro)

una palla ovale e trascorrendo metà deltempo per terra, in mezzo al fango. Gliappassionati invece, sempre più nume-rosi, ammirano l’eleganza, la tattica, latecnica e la nobiltà innata di questosport.Non per niente il rugby è definito comeuno sport di combattimento e di situa-zione. È uno sport di contatto e com-battimento perché il confronto fisico trai giocatori è una costante del gioco. Èdefinito sport di situazione perché nellasua evoluzione sta diventando semprepiù importante la capacità di compren-dere il contesto tattico in cui ogni fasedella partita si sviluppa concretamente. Il gioco del rugby ha dunque una fortevalenza educativa poiché insegna il ri-spetto dell'avversario e dell'arbitro. Ol-tre agli aspetti legati alla socializzazione,al rispetto dei principi e delle regole, of-fre l'opportunità per i bambini di con-frontarsi con la propria e altrui aggressi-vità in un contesto di gioco. In particola-re, la Federazione Italiana Rugby ha unsettore dedicato alla promozione del mi-ni rugby nelle scuole, dove vengono at-tivati progetti finalizzati all'educazione ealla formazione degli alunni. Si parla dimini rugby nei ragazzi con l'età compre-sa dai 5 ai 12 anni cioè i ragazzi che gio-cano nelle under 6, 8, 10, 12. Il mini rug-by inoltre è un gioco che favorisce so-cializzazione e integrazione: possonogiocare in squadre miste sia bambini chebambine, oltre ai ragazzi diversamenteabili. zhttp://www.federugby.it/index.php

IL RUGBY ALLE OLIMPIADIIl 2016 sarà la prima volta per il rugbya 7 alle Olimpiadi. Il rugby a 15 fupresente in quattro edizioni deiGiochi olimpici, 1900, 1908, 1920 e1924. Un ritorno che significherà unulteriore boom e nuovi contributieconomici (si calcola circa 20 milioni didollari), stavolta da parte anche delCio, che andranno a beneficiosoprattutto delle federazioni piùpovere o dei Paesi, come il Brasilepadrone di casa, dove questo sportnon è ancora sviluppato.La sua accettazione è stata pressochéplebiscitaria (81 voti a favore e solo 9contrari), a differenza invece del golfche, nonostante ce l’abbia fatta apassare come Gioco olimpico 2016,aveva ricevuto ben 27 no.

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QUALITÀ DELLA VITA: TURISMO

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Per molti secoli, la costa dell’Em-pordà è stata oggetto di attacchida parte dei pirati, costringendo

la popolazione locale a rifugiarsi all’in-terno, dove vennero costruiti villaggifortificati e torri di avvistamento sullecolline. Grazie a questo retaggio stori-co, l’Empordà è una delle zone più in-cantevoli della Costa Brava, tra collinedi ulivi e vigneti, antichi borghi, villaggidi pescatori e una costa in buona parteancora selvaggia. Il nostro viaggio inizia a Girona, cittàgioiello della Costa Brava e il più vicinopunto di accesso all’Empordà. Il BarriVell - il centro storico - con le stradineche si inerpicano su per la collina, è in-cantevole e racchiude i più importantimonumenti storici, circondati dallamuraglia di origine romana.L’interno della Cattedrale, con la nava-ta gotica più larga al mondo, è un ma-gnifico esempio di architettura medie-vale, così come il chiostro, la cui co-struzione risale al XII secolo. La Catte-drale custodisce inoltre l’arazzo dellaCreazione, splendido pezzo di epocaromanica. Lasciata la Cattedrale, esplo-rate le stradine di El Call, il quartiereebreo di Girona e uno dei meglio con-servati nell’Europa Occidentale e visita-te il Museo di Storia degli Ebrei dove sipossono ammirare le bellissime stelefunerarie e conoscere la vita degli Ebreidi Gerona, dall‘890 - data in cui si ven-ne a formare il quartiere ebraico - finoal 1492, quando vennero espulsi pervolontà di Isabella di Castiglia e Ferdi-nando di Aragona.Lungo il fiume Onyar, che divide la cit-

EMPORDÀ!

GIRONA

GIRONA

VIAGGIO IN COSTA BRAVA, TRA COLLINE DI ULIVI E VIGNETI,ANTICHI BORGHI, VILLAGGI DI PESCATORI E UNA COSTAIN BUONA PARTE ANCORA SELVAGGIA.

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tà, le caratteristiche case colorate, inpassato abitate da pescatori, sono di-ventate un’immagine inconfondibiledella città. Da Girona ci si dirige verso nord e poisulla costa, alla scoperta dei tesori del-l’Empordà. Grazie alla sua posizionecentrale, la Bisbàl d’Empordà è un ot-timo punto di partenza per visitare laregione.Qui si può soggiornare al Castell d’Em-pordà, bellissimo castello medievaleconvertito in un boutique hotel di gran-de charme. Dalla terrazza si gode la vi-sta sulla pianura e nell’elegante risto-

rante Drac si può gustare un’ottima cu-cina catalana con influenze mediterra-nee, sapientemente preparata dallochef Maurice de Jaeger, discepolo delRistorante Oud Suis, premiato con 3stelle Michelin.Peratallada è un delizioso borgo diorigine medievale, dove passeggiarelungo le strette stradine in acciottola-to. Il borgo è dominato dal castello,che risale al XIII secolo (purtroppo nonvisitabile all’interno) e a ogni angoloappaiono bellissimi scorci con archi,piazzette, antichi edifici.Peratallada è conosciuta anche per ipiccoli ristoranti caratteristici, dovegustare ottime specialità locali con unbuon vino dell’Empordà. Per chi ama il buon cibo, la Costa Bra-va è un paradiso della gastronomia. Dal2006 al 2009 El Bùlli, il ristorante delgeniale Ferran Andrià che ha chiuso nel2011, si è classificato ai vertici dellaGuida Michelin, mentre quest’anno ElCeller de Can Roca, con le sue tre stel-le Michelin, è stato dichiarato dalla pre-stigiosa guida il secondo miglior risto-rante del mondo. L’eccellenza gastronomica è un fiore al-l’occhiello della Costa Brava, anche inlocande più semplici come il Mas Pi, aVerges, accogliente ristorante frequen-tato dai locali che propone piatti sem-plici, ma squisiti, della tradizione cata-lana ad ottimi prezzi.Il Ristorante Mas de Torrent, nell’omo-

nimo albergo, propone invece una cu-cina catalana ricercata e una grande at-tenzione agli ingredienti, tutti di pri-missima qualità e spesso provenientidalle aree circostanti.Elegante e raffinato, l’Hotel Mas de Tor-rent & Spa fa parte della collezione Re-lais & Chateaux dal 1990 ed è circon-dato da bellissimi giardini da cui si puògodere di una splendida vista. Sulla costa, merita una visita Port Lli-gat, il villaggio di pescatori dove Salva-dor Dalì ha vissuto, a periodi alterni, trail 1930 e il 1984, attratto dal paesag-gio, dalla luce e dall’isolamento.Oggi trasformata in Museo, la casa co-struita dall’artista catalano nell’arco di40 anni, con la sua struttura labirintica,è un vero e proprio percorso alla sco-perta del Surrealismo e dell’artista chepiù di ogni altro ha rappresentato que-sto movimento.Stanze di dimensioni diverse e dalle for-me irregolari, stretti corridoi e, ovun-que, oggetti sovrapposti a formareun’atmosfera eccentrica, talvoltakitsch ma intrigante.Nonostante l’afflusso turistico, Port Lli-gat ha conservato parte del suo fascinoe non stupisce che la piccola baia, conle sue calette, le rocce scolpite dal ven-to, l’atmosfera talvolta malinconica,abbiano fatto da sfondo a molti dei di-pinti più famosi di Dalì. Difficile non in-namorarsi di Cadaquès, con le sue ca-se bianche, il sapore marinaro e l’at-mosfera mediterranea. Situata nel cuore del Cap de Creus, par-co naturale dalla bellezza selvaggia,Cadaquès è un luogo da assaporarelentamente. Il litorale roccioso è disse-minato di calette dall’acqua trasparen-te, raggiungibili solo via mare, e nel Par-co Naturale si possono fare belle cam-minate (attenzione però alla calura esti-va), godendo di un panorama mozza-fiato.Per chi invece cerca solo un po’ di relax,non c’è nulla di meglio che perdersi nel-le stradine lastricate, tra le case bianchedai portoni colorati, curiosare nelleboutique e, al tramonto, salire al faro diCap de Creus, per un panorama indi-menticabile in uno dei punti più bellidella Costa Brava. z

http://www.costabrava.org/en

BISBÀL D’EMPORDÀ

PERATALLADA CADAQUÈS

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IL TEMPO È UN BASTARDOJennifer Egan Edizioni Minimum Fax, 2011

Non è il futuro il temadi questo libro, ma è laforma narrativa che ri-guarda il futuro. Il ro-manzo, che ha ricevu-to il premio Pulitzer perla narrativa 2011, na-sce anzitutto da unacontaminazione e ap-partiene a un genereibrido, poiché non è néun romanzo né una

classica raccolta di racconti: è una serie di "capito-li" che segue la vita di alcuni personaggi coglien-dola in determinati momenti. Dal punto di vista for-male, per registrare il modo in cui la tecnologia statrasformando il nostro linguaggio e a testimonian-za della commistione di generi anche in letteratura,il penultimo capitolo è interamente composto dauna presentazione in power point.

STORIA FILOSOFICADEI SECOLI FUTURI(E ALTRI SCRITTIUMORISTICI DEL 1860)Ippolito Nievo A cura di Emilio Russo Salerno Editrice, 2003

Il volume raccoglie gli scrittidi Nievo apparsi sul periodi-co “L’Uomo di Pietra” nelleprime settimane del 1860.Due le sezioni individuabilinell'antologia: da un latocinque articoli, "scherzi"umoristici variegati nell'im-postazione. Dall’altra la"Storia filosofica dei secolifuturi", racconto-profeziasull'avvenire del mondo dal1860 al 2222, periodo entrocui Nievo proietta i suoi ti-mori e le sue speranze, inuna sequenza di invenzionidalla straordinaria freschez-za narrativa.

TRILOGIA DELLA FONDAZIONEIsaac Asimov Oscar Mondadori, 2004

Sono qui riuniti i tre romanzidella “Fondazione”, la gran-diosa saga premiata nel 1966come miglior ciclo fantascien-tifico di ogni tempo. La vicen-da, ambientata in un lontanofuturo, ha inizio quando l'Im-pero Galattico, che da secoliesercita il suo potere su tutti ipianeti conosciuti, scompare,e si annunciano trentamila an-ni di ignoranza e violenza. Ha-ri Seldon, creatore della rivolu-zionaria scienza della "psico-storia", sa quale triste futuroaspetta l'umanità. Per preser-vare la civiltà, decide di riunirei migliori scienziati e studiosisu Terminus, un piccolo piane-ta ai margini della Galassia. Èla Fondazione, rimasta l'unicofaro del sapere, ma sotto laperenne minaccia dei mutantiche intendono distruggerla.

QUALITÀ DELLA VITA: LIBRI, FILM, MUSICA

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LIBRIEATING PLANETNutrirsi oggi: una sfida perl'uomo e per il pianetadi Barilla Centerfor Food & NutritionEdizioni Ambiente, 2012

Nel 1992 l’Earth Summit di Riode Janeiro pose il mondo di fron-te a una nuova idea di futuro,tracciando le linee guida per undiverso modello di sviluppo. Il2012, anno di Rio+20, è il mo-mento del bilancio. Uno dei te-mi cardine è, inevitabilmente,quello del cibo. Le speculazionisui prezzi delle commodity, le“rivolte per il pane” e l’impattodi un clima sempre più impreve-dibile sulla disponibilità di risorsealimentari, hanno già messo inchiaro a quali scenari la comuni-tà globale dovrà fare fronte. Ilnostro modo di produrre e diconsumare alimenti è un fattorecritico per gli equilibri ambienta-li, economici e sociali. Con que-sto primo rapporto internazio-nale il Barilla Center for Food &Nutrition, con l’autorevole colla-borazione del Worldwatch Insti-tute di Washington, propone al-l’attenzione del pubblicoun’analisi assolutamente origi-nale sui trend attuali e sulle pro-spettive future.

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IL FUTURO SECONDO I FILM

Per la categoria film, segna-liamo un incredibile eserciziocompiuti da Michael Hobsondi Tremulant Design che, ca-talogando in ordine cronolo-gico le previsioni sul futuroproposte dai vari film, hacreato un insolito calendariosu quello che sarà. http://visual.ly/future-accor-ding-films

LA MORTE TI FA BELLARegia di Robert ZemeckisCon Meryl Streep,Bruce Willis, Goldie Hawn,Isabella Rossellini - Usa, 1992

Una diverten-te e riuscitissi-ma commediacinica sull'esa-speraz ionedell'estetica edella bellezza.

FILMBODY SHOPPINGDi Cristina Sivieri TagliabueRegia di Daniela RobecchiProduzione “Non chiederci la Parola”, 2012

Documentario sul mondodella Chirurgia Plastica inmostra al Giffoni FilmFestival di luglio 2012.

DOCUMENTARIO

COSA RESTA DA SCOPRIREGiovanni BignamiMondadori, 2011

Con stile brillante, GiovanniBignami ci guida alla fron-tiera delle possibili, stupefa-centi scoperte dei prossimitempi. Consapevole chequello che pensiamo di sco-prire oggi avrà poco in co-mune con quello che sco-priremo, traccia un percor-so sul confine sottile e affa-scinante tra scienza e im-maginazione, un filo rossodal centro della Terra allospazio che ci svela perchél'uomo è solo all'inizio dellaesplorazione del mondo,del cosmo e di se stesso.

UNA VIA DI FUGAPiergiorgio OdifreddiMondadori, 2011

Una via di fuga. Da cosa?Non certo dalla geometria,tema sul quale Odifreddi ri-torna dopo che in “C’è spa-zio per tutti” aveva racconta-to in maniera brillante la sto-ria del periodo classico, esi-bendone i legami non solocon la scienza e la natura, maanche con l’arte e l’architet-tura. In “Una via di fuga” alcentro dell’attenzione è lastoria del periodo moderno.

VIVA L’ITALIA! RISORGIMENTO E RESISTENZA, PERCHÉ DOBBIAMOESSERE ORGOGLIOSIDELLA NOSTRA NAZIONEAldo CazzulloMondadori, 2011

Talora parliamo dell'Italiacome se non fosse una cosaseria. E ci pare impossibileche siano esistiti uomini edonne per cui l'Italia era unideale che valeva la vita, eper cui "Viva l'Italia!" furo-no le ultime parole.Aldo Cazzullo ce li raccontain un libro fatto di storia e dipolitica.

SOUNDS OF THE 30’SRiccardo Chailly,Stefano BollaniDecca, 2012

Grandi capolavori classici emagiche atmosfere jazz sifondono nella nuova collabo-razione fra Riccardo Chailly eStefano Bollani, voluta percelebrare la musica anni ’30. Nella track list ci sono: il Con-certo in sol di Ravel, il Tangodi Stravinsky (al pianoforte eanche orchestra elaborata daGuenther), i l Valzer da“L’Opera da tre soldi“, “Su-rabaya Johnny” di Weill e“Mille e una notte” di De Sa-bata. Con loro l’orchestra delGewandhaus di Lipsia.

MUSICA

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MATTEO MARINI ALLA PRESIDENZADELL’ASSOCIAZIONE ENERGIA20 miliardi di Euro il volume d’affari aggregato dell’indu-stria elettromeccanica italiana nel 2011. Il comparto è se-condo in Europa per dimensione del fatturato.

Matteo Marini è il nuovo Presidente dell’Associazione Energia diConfindustria Anie, l’organismo che unisce oltre 360 aziendeelettromeccaniche attive in Italia, che offrono tecnologie per laproduzione, trasmissione, distribuzione dell’energia elettrica eper le applicazioni industriali.47 anni, veneziano, Matteo Marini occupa dal giugno del 2009la posizione di Direttore Generale, Regional Division ManagerMediterranean e Local Division Manager Power Products Italia inseno ad ABB Spa. In ABB opera dal 1991 e può vantare una si-gnificativa esperienza in Italia e all’estero, in particolare nel cam-po dei trasformatori, della media e della bassa tensione.

L’industria elettromeccanica italiana è uno dei comparti storici dieccellenza tecnologica all’interno del manifatturiero nazionale. Afine 2011 era espressione di un volume d’affari aggregato di ol-tre 7 miliardi di euro. Inglobando il segmento del fotovoltaico,rappresentato nell’ambito dell’Associazione Energia da GIFI, il fat-turato aggregato complessivo di comparto raggiungeva circa i 20miliardi di euro. A testimonianza del riconoscimento ormai con-solidato dell’offerta tecnologica delle imprese elettromeccanicheitaliane anche sui mercati esteri, in chiusura 2011 l’incidenza del-le esportazioni sul fatturato totale superava il 60%. L’industriaelettromeccanica italiana è seconda in Europa per dimensione delfatturato aggregato settoriale. INFLUIRE, RAPPRESENTARE E DARE SERVIZI. Queste le parole-chiave po-ste alla base del nuovo mandato di Matteo Marini, il cui pro-gramma di presidenza verterà sulle seguenti linee di indirizzo stra-tegico: la necessità non più prorogabile di un Piano energetico na-zionale, nell’ambito di una strategia di sistema che sia bilanciata,sostenibile e fortemente orientata all’efficienza; l’importanza diavvicinare i temi dell’Associazione e le dinamiche della rappre-sentanza ai grandi mutamenti che negli ultimi anni stanno inte-ressando la domanda di mercato - dalle Smart Grid all’Efficienzaenergetica, al ruolo fondamentale delle fonti rinnovabili nel mixdi generazione; la focalizzazione delle attività associative su servi-zi che possano essere di concreto supporto al business delle azien-de e allo sviluppo del mercato di riferimento: dal presidio dell’at-tività normativa, alla formazione e internazionalizzazione, attivi-tà che unitamente ad azioni di lobby puntuali, incisive ed efficacipossano portare alla giusta sensibilizzazione dei principali deciso-ri rispetto alle questioni d’interesse del comparto.

PANORAMA NEWS

DATI ECONOMICI DELL’INDUSTRIA ELETTROMECCANICA ITALIANA - (Fonte: Confindustria ANIE)

2009 2010 2011 2010/2009 2011/2010PRODUZIONE ENERGIA* (valori a prezzi correnti)MERCATO INTERNO 3.696 3.321 3.027 -10,1 -8,9FATTURATO TOTALE 2.337 2.072 1.815 -11,3 -12,4ESPORTAZIONI 1.182 1.170 1.251 -1,0 6,9IMPORTAZIONI 2.541 2.419 2.463 -4,8 1,8BILANCIA COMMERCIALE -1.359 -1.249 -1.212* i dati non includono il segmento merceologico delle tecnologie per il fotovoltaico

FOTOVOLTAICO (valori a prezzi correnti - comprensivi degli impianti installati con Decreto “Salva Alcoa”)FATTURATO TOTALE 3.087 19.200 13.500 522,0 -29,7

TRASMISSIONE ENERGIA (valori a prezzi correnti)MERCATO INTERNO 944 1.142 1.269 21,0 11,1FATTURATO TOTALE 2.199 2.391 2.557 8,8 6,9ESPORTAZIONI 1.537 1.566 1.577 1,9 0,7IMPORTAZIONI 282 317 289 12,2 -8,8BILANCIA COMMERCIALE 1.255 1.250 1.288

DISTRIBUZIONE ENERGIA (valori a prezzi correnti)MERCATO INTERNO 1.710 2.099 2.295 22,7 9,4FATTURATO TOTALE 2.140 2.554 2.796 19,3 9,5ESPORTAZIONI 1.009 1.208 1.292 19,7 7,0IMPORTAZIONI 579 753 792 30,0 5,2BILANCIA COMMERCIALE 430 455 500

MILIONI DI EURO VARIAZIONI %

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ARISTIDE STUCCHIALLA PRESIDENZADI ASSIL+4% la crescita del volumed’affari dell’industria illu-minotecnica italiana nel2011. Bene l’export: +6,1%rispetto al 2010. Tiene ilmercato interno: +3,2%

Aristide Stucchi è il nuovo Presidente di ASSIL, l’AssociazioneNazionale Produttori Illuminazione aderente a ConfindustriaANIE. Succede a Patrizia Di Sano, che lascia la Presidenza del-l’Associazione dopo 2 mandati. 42 anni, originario di Lecco, l’Ingegnere Aristide Stucchi si èlaureato al Politecnico di Milano. Consigliere Delegato e Di-rettore Generale della A.A.G. Stucchi S.r.l. a socio unico, Con-sigliere Delegato della A.A.G. Stucchi Group S.p.a., Stucchi èanche Presidente del Consiglio di Amministrazione della PFAS.r.l. a socio unico e Consigliere della Fondazione per la salva-guardia della cultura industriale A. BADONI. Dal 2008 occu-pava la carica di Vice Presidente di ASSIL.L’industria Illuminotecnica italiana rappresentata da ASSIL hachiuso il 2011 con una crescita del volume d’affari complessi-vo del 4,0% a valori correnti (+1,1% la corrispondente varia-zione nel 2010 a fronte di una flessione del 19,1% nel 2009).Il comparto ha beneficiato del consolidamento della ripresa in-ternazionale nella prima parte dell’anno sui principali merca-ti. Queste dinamiche sono testimoniate da un incremento del-le esportazioni che supera in chiusura 2011 il 6,0% (+7,1%la corrispondente variazione nel 2010). Si mantiene più de-bole il contributo del mercato interno (+3,2% la variazione nel2011). La domanda domestica rivolta alle tecnologie illumi-notecniche stenta a riprendere vigore, condizionata da unabassa dinamicità in termini di consumi e investimenti nel ter-ritorio nazionale. La nuova Presidenza di Aristide Stucchi se-guirà le seguenti linee-guida strategiche: rafforzare il ruolo diASSIL all’interno degli organismi europei (Commissione eCELMA in primis) e, parallelamente, consolidare ulteriormen-te l’area tecnica dell’Associazione; implementare l’attività dilobby nei confronti delle controparti governative per poten-ziare lo sviluppo del mercato e partecipare attivamente al-l’evoluzione della legislazione energetica nazionale; difende-re la qualità dei prodotti italiani e sensibilizzare gli utenti finalisulla necessità di una sempre maggiore qualità e sicurezza, alfine di garantire una minore apertura del mercato italiano al-le aziende che non rispettano tali caratteristiche; incrementa-re l’attività di internazionalizzazione delle aziende di ASSIL perfavorire lo sviluppo di nuovi mercati; rafforzare e sviluppare si-nergie con le altre Associazioni del settore per aumentare il pe-so e la rappresentatività dell’industria italiana in Europa.

PUBBLICATA LA TERZAEDIZIONE DELLA NORMACEI 79-3 SUGLI IMPIANTI

ANTINTRUSIONEPUBBLICATA A MAGGIO, LA TERZA EDIZIONE DELLA NORMA CEI 79-3 È ALLI-NEATA CON LA TERMINOLOGIA E CON LA LOGICA DI CLASSIFICAZIONE DEI SISTEMI

DI ALLARME INTRUSIONE E RAPINA DEFINITI DALLA NORMA CEI EN 50131-1ED INTEGRA ALCUNE SEZIONI TRATTE DALLA GUIDA DI APPLICAZIONECEI CLC/TS50131-7:2010. NELL’AGGIORNAMENTO DELLA NORMA È STATO INOLTRE IN-TRODOTTO UN METODO TABELLARE PER LA DETERMINAZIONE DEL LIVELLO DI PRE-STAZIONE DI UN IMPIANTO, COME ALTERNATIVA AL METODO ANALITICO. LO SCO-PO DELLA NORMA CEI 79-3 È QUELLO DI DESCRIVERE UN PROCESSO EFFICACE

ED EFFICIENTE DI PROGETTAZIONE, REALIZZAZIONE, COLLAUDO E MANUTENZIONE

DEGLI IMPIANTI DI ALLARME INTRUSIONE E RAPINA IN MODO CHE FORNISCANO LE

PRESTAZIONI PRESCRITTE RIDUCENDO AL MINIMO GLI ALLARMI INDESIDERATI.

NOVITÀ IN AMBITO NORMATIVO PER IQUADRI ELETTRICI A BASSA TENSIONELA QUARTA EDIZIONE DELLA NORMA CEI EN 60439-1 (CEI 17-13/1), RE-LATIVA AI QUADRI ELETTRICI BT E IN VIGORE DAL 2000, RIMARRÀ VALIDA FINO

AL 1° NOVEMBRE 2014, FUNGENDO DA NORMA GENERALE PER TUTTE LE ALTRE

NORME DELLA SERIE 60439. TALE PERIODO DI VALIDITÀ È STATO RESO POSSIBILE

GRAZIE AD UNA SERIE DI AGGIUSTAMENTI DISCUSSI IN SEDE INTERNAZIONALE. CON

LE NUOVE NORME IEC 61439-1 E IEC 61439-2 SONO STATE INTRODOTTE

NUMEROSENOVITÀNELL’AMBITONORMATIVODEIQUADRI ELETTRICI A BASSA TEN-SIONE. QUESTE DUE NUOVE NORME SI INSERISCONO IN UN CONTESTO PIÙ COMPLETO CHE

SI ARTICOLA NEL SEGUENTE MODO:- IEC/TR 61439-0: “GUIDA ALLA SPECIFICAZIONE DEI QUADRI” - IEC61439-1:“REGOLEGENERALI” -IEC 61439-2:“QUADRIDIPOTENZA” CHE

SOSTITUISCE LA NORMA IEC 60439-1 - IEC 61439-3: “QUADRI DI DISTRI-BUZIONE PER PERSONALE NON ADDESTRATO” CHE SOSTITUIRÀ LA NORMA IEC60439-3 - IEC 61439-4:“QUADRIPERCANTIERE” CHESOSTITUIRÀLANOR-MA IEC 60439-4 - IEC 61439-5:“QUADRI DI DISTRIBUZIONE PER RETI PUB-BLICHE” CHE SOSTITUIRÀ LA NORMA IEC 60439-5 - IEC 61439-6: “CON-DOTTI SBARRE” CHE SOSTITUIRÀ LA NORMA IEC 60439-2 - IEC 61439-7:“QUADRI PER INSTALLAZIONI PUBBLICHE PARTICOLARI QUALI MOLI, CAMPEGGI,MERCATI E APPLICAZIONI SIMILARI E PER LE STAZIONI DI RICARICA DEI VEICOLI ELET-TRICI. SI SEGNALA CHE È IN PREPARAZIONE ANCHE IL NUOVO DOCUMENTO SUI

QUADRI PER GLI APPRODI, I CAMPEGGI, I MERCATI E LA RICARICA DEI VEICOLI ELET-TRICI. LA NORMA SARÀ APPLICABILE A QUADRI IN INVOLUCRO FISSI E MOVIBILI,MANOVRABILI DA PERSONE COMUNI, PROGETTATI, COSTRUITI E VERIFICATI IN SIN-GOLO ESEMPLARE O COMPLETAMENTE STANDARDIZZATI E COSTRUITI IN GRANDI

SERIE. TRA I DIVERSI COMPONENTI DI UN QUADRO, ALCUNI COME INVOLUCRO,CARPENTERIA, SBARRE, CAVI, MORSETTI E SUPPORTI NON RIENTRANO NEL CAMPO

DI APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA 2004/108/CE, ANCHE SE IL COSTRUTTORE

DEL QUADRO, NELLA SCELTA E NELL’INSTALLAZIONE DEI COMPONENTI DA INCOR-PORARE (COMPRESI EVENTUALI DISPOSITIVI ELETTRONICI), NON PUÒ NON TENERE

PRESENTE TANTO LA MUTUA COMPATIBILITÀ, QUANTO LA COMPATIBILITÀ CON

L'AMBIENTE DI INSTALLAZIONE DEL QUADRO. LA CONDIZIONE AMBIENTALE A O B(SECONDO LA NORMATIVA VIGENTE NEL SETTORE EMC), PER LA QUALE IL QUA-DRO È ADATTO, DEVE ESSERE QUINDI INDICATA DAL COSTRUTTORE DEL QUADRO

TRA I DATI NOMINALI, PENA IL RISCHIO DI UN NON CORRETTO FUNZIONAMENTO

QUALORA IL QUADRO PRODOTTO VENGA INSTALLATO IN UN IMPIANTO CON LIVELLI

DI EMC DIVERSI.

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BREVI IMQ

IMQ GREENBRAND 2012

C’è anche IMQtra i Green Brand2012. La pubbli-cazione, presen-tata quest’annonell’ambito delSalone del Librodi Torino, racco-

glie le case history e le buone prassi dibrand che operano sul mercato italiano eche hanno influito su prodotti, servizi, in-novazione e stili di vita, affrontando laquestione “green” nel modo opportuno.Accanto a IMQ, gli altri Green Brand2012 sono stati: Ariston, Coca Cola, Phi-lips, Unilever, Peugeot, AkzoNobel, Aran,Natura Sì, Sanypet.

IMQ E LEROYMERLIN, INSIEME PER UNO STILEDI VITA PIÙ VERDESognare una vita rispettosa dell’uomo e

dell’ambiente?Per IMQ e LeroyMerlin non è unsogno ma una re-altà che si puòrealizzare. Ed è inquesto progettoche rientra anchela “Green Week”e i “Quaverdi” di-stribuiti durantela settimana ver-

de organizzata da Leroy Merlin allo scopodi sensibilizzare e diffondere una cultura eun modo di agire più sostenibile. Il “Qua-verde” di quest’anno, distribuito in tutti ipunti vendita sul territorio nazionale, è sta-to realizzato con la collaborazione di IMQe contiene gli eco-suggerimenti per com-battere l’inquinamento domestico e viveresani.

IMQ: LOTTA ALCAMBIAMENTO CLIMATICO ESOSTENIBILITÀDELLE AZIENDEIMQ, scoring partner 2012 dell’InvestorCDP Italy 100

Sarà IMQ a valutare in esclusiva “disclo-sure” e “performance” delle più grandiaziende italiane per capitalizzazione dimercato, quotate alla Borsa Italiana.(vedi articolo a pag. 84)

IMQ CERTIFICAANCHE L’EFFI-CIENZA ENERGE-TICA NELL’AMBITODEL “CB SCHEME”Non si parla solo di sicurezza nello sche-ma di certificazione internazionale del-l’IEC, il CB scheme. A fronte della cen-tralità assunta dalle tematiche legate al-l’impatto sostenibile (risparmio energeti-co e riduzione emissione GHG), di recen-te l’IECEE ha introdotto E3 (ENERGY EF-FICIENCY IEC = E3 = electrical energy ef-ficiency), un nuovo programma di mutuoriconoscimento delle certificazioni e deirisultati di prova rilasciati in conformità

con le norme IEC inerenti all’efficienzaenergetica degli apparecchi elettrici. In tale ambito, IMQ ha già ottenuto, tra iprimi, l’estensione dei propri riconosci-menti e può operare sia come NCB (Entedi certificazione) sia come CBTL (labora-torio di prova CB) per le seguenti norme:- IEC 60456 (ed.5): washing machine;- IEC 62301 (ed.2): stand-by (household

appliances);- IEC 62552 (ed.1): refrigerating

appliances.I certificati rilasciati da IMQ hanno per-tanto validità internazionale, e sono rico-nosciuti da tutti gli enti aderenti all’ac-cordo CB.

IMQ ACCREDITATOPER LA CERTIFICAZIONEDEL PERSONALEIMQ è stato accreditato da Accredia perla certificazione del personale (normaISO 17024:2004). In particolare l’accredi-tamento riguarda la certificazione delpersonale docente dei soggetti formato-ri per i lavori sotto tensione effettuati suimpianti elettrici alimentati a tensione su-periore a 1000V, secondo quanto previ-sto dal Decreto 04 febbraio 2011- Mini-stero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

ILLUMINAZIONE:IMQ ENTRA NELCONSORZIO INTER-NAZIONALE ZHAGAÈ IMQ il primo ente di certificazione italianoa divenire membro di Zhaga, il consorzio in-ternazionale del settore illuminazione che sipone come obiettivo la normalizzazionedelle interfacce dei moduli LED

Risale al febbraio 2010 la nascita di Zhaga,un consorzio internazionale voluto dalle

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principali aziende del settore, con un obiet-tivo ben preciso: garantire, nell’ambito deiprodotti a LED, l’interscambiabilità dei com-ponenti. Una finalità tanto ambiziosa quan-to utile, visto il rapido sviluppo della tecnolo-gia LED che, grazie all’introduzione di speci-fiche tecniche relative a parametri dimensio-nali e fisici, in particolare riguardanti il com-portamento fotometrico, elettrico e termi-co, favorirà un’armonica evoluzione del set-tore, con vantaggi diretti anche per i consu-matori. La standardizzazione Zhaga, infatti,consentirà alle aziende produttrici di cresce-re in un settore innovativo e offrirà ai consu-matori la certezza di acquistare prodotti di il-luminazione a LED, di nuova generazione,facilmente sostituibili e interscambiabili.Per i produttori italiani di apparecchi di illu-minazione e componenti LED, l’ingresso diIMQ nel consorzio Zhaga, rappresenta l’op-portunità di potersi avvalere di un ente ita-liano che intende proporsi come laborato-rio di prova per la valutazione della confor-mità alle specifiche tecniche Zhaga, e il cuioperato è riconosciuto da progettisti, instal-latori e consumatori.

SOLARE TERMICO A PROVA DI CERTIFICAZIONEIMQ rilascia la certificazione europea SolarKeymark

Solar Keymark è un marchio riconosciu-to a livello europeo e sviluppato dal CEN(European Committee for Standardiza-tion) che attesta la conformità dei collet-tori solari termici alle norme EN armoniz-zate, e può essere rilasciato solo da pochiorganismi riconosciuti, tra i quali IMQ.Sebbene volontario, il Solar Keymarkrappresenta un requisito sempre più ri-chiesto a livello internazionale, diventan-

do elemento indi-spensabile anche perpartecipare a gare diappalto, per ottenerefinanziamenti e, nonultimo, incentivi sta-tali. Come riportatoinfatti nel D.Lgs28/2011, attuazionedella direttiva2009/28/CE sullapromozione dell'usodell'energia da fontirinnovabili, “l’acces-so agli incentivi sta-tali di ogni natura èconsentito, a condi-

zione che, a decorrere da due anni dal-l’entrata in vigore del presente decretolegislativo, i pannelli siano dotati di certi-ficazione Solar Keymark”.

ENEC FESTEGGIA20 ANNI E 90.000PRODOTTI CERTIFICATINato come schema di certificazione per ilsettore illuminazione, ENEC è oggi sinoni-mo di qualità europea. Una garanzia rila-sciata a circa novantamila prodotti richiestaanche da altri settori merceologici

Al compimento del suo ventesimo anni-versario, il marchio ENEC registra circa 90mila prodotti certificati. Un traguardoraggiunto grazie alla collaborazione ditutti gli enti aderenti all’accordo ENEC (adoggi ben 24, presenti in 20 paesi europei)che hanno saputo costituire un sistema dicertificazione affidabile ed efficace. Sortocome marchio per certificare la conformi-tà alle norme europee EN di sicurezza delsettore illuminazione, il marchio ENEC èstato via via esteso negli anni ad altri pro-dotti, fino a coprire oggi 25 categoriemerceologiche, tra le quali ricordiamo glielettrodomestici, gli elettroutensili, le bat-terie oltre agli apparecchi d’illuminazionecon sorgente LED. “ENEC può essere con-siderato un modello emblematico dischema di certificazione europeo di pro-dotto” ha dichiarato l’Ing. Baggio di IMQ,Presidente EEPCA, l’Associazione euro-pea degli organismi di certificazione nelsettore elettrico, che gestisce a livello cen-trale le procedure armonizzate per il rila-scio del marchio ENEC. “Il suo continuosviluppo e l’estensione a nuovi settorimerceologici, oltre a quello dell’illumina-zione per il quale era nato, è indice e te-stimonianza della sua autorevolezza”. “IMQ ha sempre creduto in ENEC ed èstato membro dell’accordo fin dalla suanascita” ha ricordato l’ing. Zappa, Diret-tore Generale di IMQ. “Testimonianza neè che oggi, su un totale di 18.000 certi-ficati rilasciati, quasi 7.000 sono statiemessi da IMQ”.

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CURIOSITÀ

BIOMIMESIOctopus è un progetto al quale si lavora alla Scuola Superio-

re Sant’Anna di Pisa, uno dei centri di eccellenza della ricer-ca italiana. Octopus è un robot. Molle. L’idea geniale, infat-

ti, che l’evoluzionismo ha applicato nella soluzione “polpo”, è rias-sumibile nella definizione “soffice e potente”. Il polpo riesce a farsipiatto piatto infilandosi in stretti passaggi fra le rocce, ma poi i suoitentacoli sono in grado di trasformarsi in muscoli potenti, e qui, suYou Tube http://www.youtube.com/watch?v=_sbTFnAJHRg, potetevedere un filmato di un polpo gigante che attacca e sopprime unosqualo. La duttilità è spesso una delle manifestazioni più importantidi intelligenza (e infatti un muscoloso culturista può avere dei pro-blemi nell’entrare in certi ascensori…). Alla base del progetto Octo-pus c’è l’obiettivo di costruire robot in grado di muoversi con moltaefficienza nell’ambiente, e la scelta nasce da un preciso paradigma:imitare la natura. Si lavora in questo senso anche ad altre macchine,che si muovano velocemente su terreni con diverse morfologie, peresempio. I movimenti di Big Dog, costruito dalla Boston Dynamics,

(http://www.youtube.com/watch?v=W1czBcnX1Ww) sono tremen-damente simili a quelli di un animale (guardatevi le sequenze nellequali si cerca di farlo cadere).Ma ancora più in profondità, il paradigma fondante di queste ri-cerche è che non vi può essere un reale sviluppo di intelligen-za nei comportamenti delle macchine se non le si dota di unacapacità di relazionarsi all’ambiente con strumenti che appar-tengono al “linguaggio” naturale. Così, una delle frontiere più avanzate della ricerca scientificascopre che la biomimesi è l’attrezzo mentale vincente. Questo approccio teorico sta emergendo in diversi ambiti di ricerca.Quello più importante, in grado di segnare la vita di tutti noi e dellegenerazioni che verranno, è il campo delle strategie economiche etecnologiche per produrre una reale sostenibilità di quanto realiz-ziamo, come specie, su questo nostro pianeta.(tratto da “Parole per il futuro”, Edizioni Ambiente, ideato con il con-tributo di IMQ. In commercio da autunno 2012). z

PER RAPPRESENTARE LA BIOMIMESI, ABBIAMOSCELTO UN’OPERA DI LIU BOLIN, ARTISTA CI-NESE NOTO PER I SUOI AUTORITRATTI FOTO-GRAFICI, CARATTERIZZATI DALLA FUSIONE DELCORPO CON L'AREA CIRCOSTANTE.

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