IMPLICAZIONI DELLE RIVOLTE IN NORDAFRICA E MEDIO … · Marocco e Giordania, i monarchi e i loro...

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GSM 143 GSM 11 rev 3 Originale: inglese Traduzione non ufficiale Assemblea parlamentare della NATO IMPLICAZIONI DELLE RIVOLTE IN NORDAFRICA E MEDIO ORIENTE PROGETTO DI RELAZIONE ANTONELLO CABRAS (ITALIA) RELATORE* Segretariato internazionale 8 settembre 2011 * Fino all'approvazione da parte del Gruppo speciale Mediterraneo e Medio Oriente, il presente documento esprime esclusivamente il punto di vista del relatore I documenti dell'Assemblea sono disponibili suo sito internet http://www.nato-pa.int

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    143 GSM 11 rev 3Originale: ingleseTraduzione non ufficiale

    Assemblea parlamentare del la NATO

    IMPLICAZIONI DELLE RIVOLTE IN NORDAFRICA EMEDIO ORIENTE

    PROGETTO DI RELAZIONE

    ANTONELLO CABRAS (ITALIA)RELATORE*

    Segretariato internazionale 8 settembre 2011

    * Fino all'approvazione da parte del Gruppo speciale Mediterraneo e Medio Oriente, ilpresente documento esprime esclusivamente il punto di vista del relatore

    I documenti dell'Assemblea sono disponibili suo sito internet http://www.nato-pa.int

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    INDICE

    I. INTRODUZIONE ...........................................................................................................1

    II. RIAFFERMAZIONE DELL'ETEROGENEITÀ DEL MEDIO ORIENTE .........................5

    A. LA TUNISIA: AVANGUARDIA DELLA PRIMAVERA ARABA ............................................ 6

    B. L'EGITTO: RIVOLUZIONE IN PIAZZA .............................................................................. 7

    C. LA LIBIA E LA GUERRA CIVILE....................................................................................... 9

    D. ORA TOCCA ALLA SIRIA? ............................................................................................. 12

    III. IL PUNTO DI VISTA DELLA TURCHIA......................................................................15

    IV. CONCLUSIONI: LE RISPOSTE OCCIDENTALI AI MOVIMENTI DI RIVOLTA.........16

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    I. INTRODUZIONE

    1. La regione Nord Africa e Medio Oriente (MENA) è stata per molto tempo rappresentata comeil centro di un arco di crisi. Per decenni la maggioranza dei governi di quest'area ha gestito gravitensioni politiche, sociali ed economiche imponendo regimi autoritari, che hanno mantenuto unastabilità estremamente fragile e lasciato che profondi problemi continuassero a covare rimanendosenza soluzione. La condizione esistenziale della vita politica in quest'area era non il cambiamentoma l'immobilità, uno stato di cose talvolta considerato come il migliore al quale il sistemainternazionale potesse auspicare. I governi occidentali tendevano a sostenere lo status quopiuttosto che stare dalla parte dei fautori di un genuino cambiamento politico, principalmenteperché le forze dell'opposizione erano così emarginate, frammentate e di natura talmente ignotada essere viste come partner ininfluenti o molto rischiosi. Gli interessi energetici occidentali, lepreoccupazioni rispetto al radicalismo islamico, la prospettiva di una proliferazione delle AMD erelazioni molto tese tra Israele e il mondo arabo erano all'origine di un atteggiamento cauto daparte degli Occidentali. Piuttosto che spingere verso una democratizzazione, l'Occidente si èallineato agli autocrati più "ragionevoli" della regione cercando, al contempo, di contenerel'influenza dei cosiddetti perturbatori - Siria, Libia e Iran in particolare. Il discorso del Cairo delpresidente Obama nel 2009 ha rappresentato un elemento di novità, in quanto illustratore di unavisione di cambiamento, ma – e questo va notato – in seguito c'è stato alcun sostanzialecambiamento di direzione della politica americana, sempre a causa delle gravi preoccupazionisulla fragile situazione della regione.

    2. I governi occidentali sono rimasti pertanto scioccati, tanto quanto gli autocrati locali, quandosono scoppiate le prime contestazioni popolari in Tunisia e, quando, di lì a poco, lo spirito e le ideedella "Rivoluzione dei gelsomini" si sono diffusi in tutta la regione. I manifestanti tunisini hannodimostrato che la mobilitazione politica di massa era in grado di produrre cambiamenti politici inuna società a lungo caratterizzata da un immobilismo autoritario (Shehata). I fondamenti dellapolitica occidentale si sono rivelati improvvisamente inadeguati alla sfida. Era quindi necessario unriallineamento della politica. Gli stessi responsabili politici americani ed europei si sono trovati difronte ad una vera tensione tra i propri valori democratici e la paura dell'ignoto. La confusione erasotto gli occhi di tutti; alcuni governi inizialmente hanno fatto sapere agli autocrati sotto assedio dipoter contare sul loro sostegno di fronte alla sfida posta dalla popolazione. Ma allorché l'intensità ela gravità di queste sommosse popolari sono apparse evidenti, si è assistito a imbarazzantiribaltamenti nelle linee politiche dei governi occidentali.

    3. In effetti, era in atto un cambiamento storico e il governo americano e molti dei suoi alleati sisono sentiti sempre più pressati ad allinearsi, ancorché cautamente, a fianco delle forze delcambiamento. Questo spostamento di posizioni non è stato semplice, né si può dire completo, e difatto l'atteggiamento è risultato incostante e persino incoerente. Agendo sulla base di un mandatodell'ONU volto a proteggere i cittadini libici, Stati Uniti, Regno Unito e Francia, ad esempio, in Libiahanno chiaramente scelto di parteggiare per l'opposizione – decisione che si è rivelata un fattoreessenziale per la caduta del regime di Gheddafi. Tuttavia, gli americani sono stati molto piùriluttanti a fare altrettanto in Bahrein, paese che ospita la 5a Flotta statunitense e che è consideratoun baluardo contro l'influenza iraniana nel Golfo. Ci sono voluti mesi prima che gli Stati Unitifossero disposti a far sapere all'autocratico presidente yemenita, Ali Abdullah Saleh, alleato nellalotta contro Al Qaida, che non poteva più contare sul loro appoggio. Quando le forzedell'opposizione hanno attaccato il palazzo presidenziale lo scorso giugno, Saleh è rimastogravemente ferito e ha abbandonato un paese sull'orlo della guerra civile e del crollo economico(Lodano and Raghavan). La sua partenza, tuttavia, non ha posto fine né allo stato di incertezza néalla violenza.

    4. Al momento della redazione del presente documento, l'interesse si è spostato sulla Siria. Loscorso agosto, con un impegno diplomatico concertato che ha fatto seguito a mesi di inviti algoverno siriano di rinunciare all'uso della violenza, i leader di Francia, Stati Uniti, Regno Unito,

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    Germania, Canada e Unione Europea hanno chiesto al Presidente siriano Assad di abbandonare ilsuo ufficio. Finora, però, questo impegno non ha sortito alcun effetto (Richter e Daragahi). In tuttiquesti casi, i valori occidentali a favore di società più aperte sono stati considerati alla luce delleinquietudini sulla stabilità e degli interrogativi riguardo il tipo di influenza effettiva che l'Occidentepuò e deve esercitare in ciascun caso. Il contesto in continua evoluzione ha spinto i responsabilioccidentali a cambiare frequentemente di politica. La situazione è diventata così mutevole e laposta in gioco così alta che per i governi occidentali è estremamente difficile muoversi anticipandogli eventi.

    5. Se le rivoluzioni nazionaliste che hanno attraversato il Medio Oriente negli anni '50 sirifacevano a ideali anticolonialisti, le recenti sollevazioni sono molto più rivolte contro i problemiinterni di autoritarismo, corruzione e cattiva gestione dell'economia. Dato che i manifestanti nonhanno attribuito all'Occidente la colpa di tali problemi, i governi occidentali hanno potuto piùfacilmente fornire un cauto sostegno agli agenti del cambiamento (Doran). Ciò potrebbepreannunciare rapporti più stretti coi futuri governi, sebbene sia troppo presto per dare giudizidefinitivi su quale scenario diplomatico emergerà. I disordini, per esempio, potrebbero fornireun'opportunità a forze politiche sostanzialmente antioccidentali tendenti ad affermare una nuovainfluenza su queste società, per quanto tali gruppi non abbiano svolto un ruolo riconoscibile nelledimostrazioni.

    6. Ad ogni buon conto, la carta politica del Medio Oriente sarà molto più variegata ed è difficileescludere la possibilità di un'instabilità perdurante. È significativo che alcuni dei regimi chetendono a sfruttare l'instabilità regionale ne siano ora loro stessi minacciati. La Siria, in particolare,è attualmente impegnata in una repressione massiccia della propria popolazione, con operazionimilitari che hanno ulteriormente alienato il Governo di Assad dai cittadini siriani e dalla comunitàinternazionale. Anche in Iran l'opposizione, che per ora è ridotta al silenzio, potrebbe tornare inpiazza, eventualmente ispirata dalle proprie controparti arabe. Ovviamente, la dirigenza siriana sirivolge apertamente al regime iraniano per il sostegno morale e materiale ed ha certamenteosservato che, tramite una repressione violenta, l'Iran è riuscito a piegare la Rivoluzione verde.Infine, si deve osservare che anche l'Iran ha recentemente preso le distanze dalla repressionesiriana (Afrasiabi).

    7. L'instabilità interna in entrambi i paesi potrebbe limitare l'influenza regionale dei regimi inquesta congiuntura critica, un'evoluzione che sta già facendo sentire i suoi effetti a Gaza, in Libanoe in Iraq. In questo paese, ad esempio, l'Iran e la Siria erano riusciti a operare con gruppi sciiti esunniti, rispettivamente, per contrastare l'influenza esercitata nella zona dagli americani (Doran).La capacità di portare avanti tale politica potrebbe tuttavia risultare indebolita dai molti problemiinterni, anche se i loro regimi poterebbero voler fomentare una crisi a livello di sicurezza regionale,nel tentativo di distrarre l'attenzione della propria opinione pubblica rispetto alla posizioneemarginata in cui si trovano i loro paesi. Il fatto che Hamas abbia reputato necessario concludereun accordo di cooperazione con al Fatah nei territori palestinesi all'inizio di quest'anno fa ritenereche Hamas nutra il timore che la Siria, dati i gravi problemi interni, non sia più affidabile.Naturalmente vi sono altre ragioni che potrebbero spiegare perché l'accordo sia stato raggiuntoproprio ora. Un'ipotesi è che il governo transitorio egiziano, che ha maggiormente recepito leopinioni dei propri cittadini sulla situazione in Palestina, abbia incoraggiato la firma dell'intesaHamas-Fatah, a lungo contrastata dall'ex presidente Mubarak. Tutto ciò fornisce un'indicazione deicomplessi legami che esistono nella regione; qualunque importante evoluzione politica in uno deipaesi chiave è destinata a produrre ripercussioni altrove. Questa è una chiave di lettura delle tanteimplicazioni strategiche dell'attuale clima.

    8. Una serie di fattori strutturali contribuisce alla spinta al cambiamento. L'impennata al livellomondiale dei prezzi dei prodotti alimentari ha abbassato il tenore di vita di una regione dove vivonomilioni di poveri, per i quali la spesa per l'alimentazione rappresenta una parte consistente delreddito. L'alto tasso di disoccupazione, le scarse prospettive di lavoro – soprattutto fra i giovani – e

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    la fondamentale inadeguatezza dei servizi pubblici sono stati anch'essi fattori scatenanti delladisillusione generale. Ciò detto, va ricordato che, in Egitto, uno degli slogan che si vedeva piùspesso a Piazza Tahrir era "Rivoluzione della libertà, non del pane". L’incapacità del governo dicreare le condizioni per un aumento dell’occupazione assieme alle notevoli pressioni demografichesi sono rivelate una miscela esplosiva. Spesso il meglio che questi governi riuscivano a fare era dioffrire sussidi per l’acquisto di beni di base. Ma tali palliativi erano economicamente inadeguati,dispendiosi ed insostenibili, e comunque ridicoli di fronte alla ricchezza ed alla corruzione dell’elitedirigente che si era di fatto appropriata delle risorse economiche principali del paese, ai finidell'arricchimento personale. In varie interviste, molti dimostranti della regione hanno dichiarato diessere scesi in piazza soprattutto per una questione di dignità.

    9. In Tunisia ed Egitto i governi sono stati rovesciati in maniera relativamente non violenta. Ilpopolo tunisino e quello egiziano devono eleggere nuovi governi, ma in entrambi i paesi vi sonotimori legittimi che le forze che sostengono lo status quo possano ostacolare il movimentodemocratico. Le autorità libiche e siriane hanno condotto operazioni militari contro le propriepopolazioni. In Libia è in corso da tempo una guerra civile in cui la NATO è una protagonistaimportante nonostante le limitazioni operative che essa ha dovuto accettare. Al momento dellastesura del presente documento, i ribelli stanno prendendo il controllo della città di Tripoli, aseguito della disfatta totale del regime di Gheddafi. Ciò però sta avvenendo in un modo chepotrebbe portare alla divisione della città fra le varie brigate ribelli ormai quasi indipendenti fra diloro, molte delle quali sono strutturate su base tribale e regionale (Kirkpatrick e Nordland). Nelfrattempo, il governo siriano è impegnato in una brutale repressione, nell'ambito della qualeavrebbe ucciso (secondo un calcolo della BBC del 22 agosto 2011) 2.200 persone. Questaviolenza di Stato ha fatto perdere ogni legittimità al regime di Assad. Le autorità del Barhein e delloYemen hanno alternato violenza a caute concessioni, che non hanno però calmato la protesta. InBarhein le truppe saudite hanno aiutato a sedare la protesta ma non hanno fatto nulla per risolvereil problema della mancanza di democrazia nel paese, che è stata all’origine delle dimostrazioni. InMarocco e Giordania, i monarchi e i loro governi hanno promesso riforme nel chiaro tentativo diprevenire la protesta e giustificare il mantenimento del potere. Il 1° luglio 2011, in Marocco,l'opinione pubblica ha ben accolto una serie di modifiche alla costituzione.

    10. Si possono già trarre alcuni insegnamenti dalle proteste ancora in corso. Una rivoluzionedemocratica sembra avere maggiori prospettive di successo se elementi dell’elite economica e digoverno, e gli stessi militari, sono disposti ad abbandonare il governo precedente al fine diprocedere verso una società più aperta. Ovviamente, ciò significa che anch'essi devono accettarele regole ed il risultato delle elezioni democratiche. Un esito positivo è raggiungibile solo se seun'ampia fetta dell’opinione pubblica, che rappresenti tutte o almeno gran parte delle classi sociali,dei gruppi etnici e religiosi, della popolazione urbana e rurale, si mobilita contro il governo. Infine,la situazione è nettamente diversa quando la comunità internazionale mostra la propria volontà diaccettare la caduta di determinati governi e – soprattutto – altri governi arabi partecipano alprocesso (Goldstone). Sotto molti punti di vista, riuscire a soddisfare tutte queste condizionicostituisce una sorta di “tempesta perfetta” e, comunque, è troppo presto per giudicare se l'una ol’altra di queste ribellioni popolari avrà buon esito in termini democratici e di successiva stabilità.

    11. I regimi più vulnerabili sono stati quelli fondati su un forte personalismo, con a capo dei“dittatori sultani”, secondo l’etichetta usata da alcuni analisti. Tali governanti strutturano l’apparatostatale fondamentalmente per mantenere la propria presa sul potere e sulle risorse nazionali. Nellaregione MENA, Muammar Gheddafi in Libia, Zine el Abidine Ben Ali in Tunisia, Bashar al-Assad inSiria, Hosni Mubarak in Egitto e Ali Abdullah Saleh in Yemen hanno tutti costruito questo genere diregimi e sono stati tutti rovesciati o sono sostanzialmente “alle corde” (Goldstone). In tutte questesocietà, il potere e la ricchezza erano stati progressivamente concentrati nelle mani di un’elitesempre più ristretta, mentre la maggioranza di coloro che vivono in questa regione in rapidosviluppo demografico soffrivano di emarginazione politica e deterioramento delle condizionimateriali e si rendevano sempre più conto, in particolare i giovani privi di diritti, sottoccupati e

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    spesso istruiti, che i loro governi li stavano abbandonando a sé stessi. In Libia, il ColonnelloGheddafi si è adoperato per indebolire deliberatamente le istituzioni statuali al fine di creare unarivoluzione permanente ed instaurare il culto della personalità. Ciò ha fiaccato enormeemente lasocietà civile, motivo per cui oggi c'è molta ansietà sul futuro del paese dopo il crollo del regime.

    12. Sebbene alcuni di questi paesi, e principalmente la Tunisia, avessero registrato tassi dicrescita alquanto sostenuti, ciò aveva scarsa incidenza sulle condizioni materiali di vita del grossodella popolazione — un fenomeno che non faceva altro che esacerbare il divario esistente traaspettative economiche e realtà. I salari in tutta la regione venivano mantenuti bassi e il livello didisoccupazione, in particolar modo tra i giovani, aumentava vertiginosamente. Dal 1990, lapopolazione in età compresa tra i 15 e i 29 anni è cresciuta del 50% in Libia e Tunisia, del 65% inEgitto e del 125% in Yemen (Goldstone). Secondo la Banca mondiale, in Medio Oriente si sonoregistrati un rapido aumento del livello di scolarizzazione e il più alto tasso di disoccupazione(25,5%) del mondo, in special modo tra i giovani col grado di istruzione più elevato. Ciò hadeterminato in queste società una frustrazione delle aspettative.

    13. Anche dar da mangiare a questa popolazione in crescita è diventato più problematico.L’indice mondiale dei prezzi delle derrate alimentari calcolato dalla Banca mondiale è aumentatodel 15% tra ottobre 2010 e gennaio 2011. La maggioranza dei paesi MENA sono sostanzialmenteimportatori di prodotti alimentari e devono rivolgersi all’esterno per soddisfare circa il 50% delproprio fabbisogno. I paesi del Golfo importano praticamente tutti gli alimenti di base e lo Yemen, ilpaese più povero della regione, importa l'80% dei cereali che consuma. Pertanto i forti rincari deiprezzi mondiali avevano colpito ampie fasce della popolazione della regione nel periodoimmediatamente precedente la crisi politica. Coloro che più hanno risentito dell’incremento delcosto degli alimenti sono stati i residenti urbani (Rivlin); in una regione dove le “rivolte del pane”fanno parte della storia, non sorprende che molti di questi siano diventati protagonisti delledimostrazioni di piazza e delle sollevazioni politiche.

    14. Vi è inoltre una dimensione ideologica nella crisi politica della regione MENA. Lamaggioranza dei governi di quest'area già da decenni aveva smarrito qualsiasi ragion d'essereideologica e l'unica giustificazione per rimanere al vertice non risiedeva tanto nell'offrire unavisione convincente dell'interesse collettivo, bensì nel desiderio di potere e di ricchezza perun'esigua elite. (Goldstone). Questo vuoto ideologico ha inoltre determinato il cinico sfruttamentodi sentimenti antiisraeliani o antiamericani per legittimare qualunque politica repressiva. Questavoluta mancanza di considerazione per i bisogni fondamentali della popolazione, e la lorosostituzione con la ricerca ufficiale di capri espiatori da individuare all'esterno, si è dimostrata, inultima analisi, politicamente e socialmente insostenibile. Questo non significa che il conflittoisraelo-palestinese non sia una questione fondamentale, con notevoli risvolti emotivi, e che nonrappresenti una sfida alla sicurezza. Certamente è così, ma esso ha anche fornito un'ulteriore falsascusa per soffocare il dissenso e il dialogo democratico in tutta la regione. Sembra ora che lesocietà civili in tutto il mondo arabo abbiano deciso che tali scuse sono divenute insostenibili, purse resta intatto in tutta l'area un fortissimo sentimento di solidarietà col popolo palestinese. Alcunidei governi tradizionalmente filoccidentali, e in particolare l'Egitto, adotteranno probabilmente unalinea più intransigente nei confronti di Israele come conseguenza diretta dei cambiamenti in corso.Di fatto, in risposta a un sentimento diffuso tra la popolazione, l'Egitto ha riaperto le frontiere conGaza, una decisione che lascia presupporre che qualsiasi nuovo governo può risultare un vicinopiù difficile per Israele, anche se le autorità transitorie egiziane hanno dichiarato a chiare lettereche i trattati di pace con Israele rimarrano in vigore.

    15. È ovvio che le condizioni all'origine della rivolta erano presenti già prima che essa s'iniziasse.Mancava solo un catalizzatore, che è stata fornito dalle manifestazioni spontanee scoppiate inTunisia a seguito alla morte di un venditore ambulante frustrato, Mohamed Bouazizi, che, picchiatoe umiliato dalla polizia nella città di Sidi Bouzid, si è tolto la vita (Al Jazeera). Non si può ignorare

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    l'importanza simbolica di questo atto. La morte di Bouazizi ha contribuito a galvanizzare ilmovimento e la sua tragica ed emblematica storia è diventata un catalizzatore nell'intera regione.

    16. I giovani hanno stabilito contatti attraverso Twitter e Facebook, leggendo fonti diinformazione alternative come il blog anonimo curato da “Sandmonkey”, animati da idealismodemocratico e frustrati dalla sua assenza nei leader politici, e hanno poi fatto il passo successivocontribuendo a portare centinaia di migliaia di persone nelle piazze di Tunisi, del Cairo e di altrecittà più piccole. Le loro richieste di cambiamento hanno avuto una forte risonanza e lemanifestazioni si sono rapidamente trasformate in proteste di massa organizzate troppo vaste peressere controllate dalle autorità. Un cambiamento è diventato inevitabile.

    II. RIAFFERMAZIONE DELL'ETEROGENEITÀ DEL MEDIO ORIENTE

    17. Sebbene milioni di arabi vivano sotto regimi repressivi, apparentemente incapaci di attuareriforme, di generare una condivisione del potere e, in linea generale, più adatti a consumarecapitale piuttosto che a produrlo, i vari movimenti finalizzati a rovesciare i suddetti regimi mostranosia il carattere eterogeneo di fondo della regione, sia le aspirazioni comuni a una maggiore dignità,a un aumento delle opportunità e all'apertura. In Occidente alcuni hanno paragonato gli eventiverificatisi nel 2011 nella regione MENA a quanto avvenne nel 1989 nell'Europa centrale eorientale. Il paragone non è molto calzante, data la fondamentale diversità dei fattori storici,culturali e strategici in gioco, ma è presente almeno un elemento comune. In entrambi i casi, ivecchi regimi, attraverso la banale ma terribile ripetitività della repressione, riuscivano a renderemeno evidenti le profonde differenze esistenti. Quando tuttavia nei regimi locali hanno cominciatoa fare la loro comparsa le prime crepe, le diversità presenti nella regione si sono palesate. In uncerto senso, è in atto un ricorso storico in un'area del mondo in cui le dittature brutali per decennisono state effettivamente in grado di fermare l'orologio. I paralleli con l'esperienza dell'Europacentrale e orientale a partire dal 1989 sono potenzialmente istruttivi.

    18. A seguito di quesi cambiamenti, profondi e rapidi, i governi occidentali sono attualmentechiamati a tenere in considerazione il variegato panorama culturale, etnico, religioso e tribale dipaesi in cui, per decenni, è stato sufficiente focalizzare l'attività diplomatica sulla leadershipgovernativa al vertice. La crisi libica, nella quale la NATO stessa è stata una protagonista di rilievo,è emblematica di questo dilemma. Non basta dire, pur trattandosi di un'affermazione sicuramentevera, che l'opposizione ha semplicemente cercato di recuperare la dignità da tempo perdutanonché il diritto a prendere parte alla vita pubblica. Anche i fattori tribali, locali ed economiciappaiono centrali in questo conflitto, così come sembrano esserlo sia nello Yemen che in Siria. InEgitto, i movimenti di protesta sono iniziati nelle grandi città e, in particolar modo al Cairo, sonostati guidati da giovani istruiti, frustrati per l'assenza di opportunità dal punto di vista economico eper la totale mancanza di voce in capitolo in ambito politico. In Tunisia, la rivolta è iniziata nelleprovince più povere del paese e solo in un secondo momento si è spostata nella capitale, per poirientrare velocemente assumendo i caratteri di una protesta dei lavoratori. In Libia, il movimento diprotesta ha assunto pressoché sin dall'inizio una dimensione regionale e tribale, per poi evolvererapidamente ben al di là delle manifestazioni di strada e assumere i caratteri di una sanguinosaguerra civile che è ora forse entrata nella fase conclusiva, anche se persistono delle grosseincertezze sulla futura direzione del paese (Anderson).

    19. Per una regione che è stata tanto a lungo analizzata in termini religiosi, è quasisorprendente che le rivolte contro i regimi radicati siano state ispirate, in molti casi, non dallareligione, bensì da una profonda frustrazione dettata dall'esclusione e dalla stagnazione politica,sociale ed economica. Il clero non ha occupato una posizione di spicco nelle rivolte di strada. Ilruolo dei Fratelli mussulmani in Egitto – da sempre un baluardo dell'opposizione al regime –sembra essere stato inizialmente più limitato di quello che molti si sarebbero aspettati. Ciòsuggerisce che anche i leader di questo movimento sono stati colti di sorpresa dalle insurrezioni e

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    che, come molti altri, sono stati obbligati a rimettersi al passo. L'influenza dei Frateli mussulmani ètuttavia aumentata dopo la caduta di Mubarak, al punto che molti attivisti democratici temono cheessi abbiano fatto un accordo con i militari e siano pronti ad assumere un ruolo centrale nelprossimo governo, che potrebbe quindi essere antitetico rispetto alle aspirazioni di molti fra quelliche occuparono Piazza Tahrir (El Rashidi, 14 luglio 2011). Pur con modalità diverse, le peculiaritàdelle culture islamiche hanno avuto un ruolo nelle sommosse. Così, in Siria molti dei movimenti diprotesta più estesi si sono verificati dopo la conclusione delle preghiere del venerdì. La moscheaha costituito un punto centrale di raccolta per i manifestanti e non si è ovviamente trattato di unacoincidenza in quanto, in questo genere di regimi soffocanti, le istituzioni fondate sulla fede hannogoduto tradizionalmente di gradi variabili di autonomia.

    20. È altresì importante riconoscere che i protagonisti di questi movimenti di rivolta non solosono stati accomunati dalla dimestichezza nell'utilizzo di Twitter, di Facebook e dei blog, macondividono anche un linguaggio comune e molti di loro, anche se certamente non tutti,condividono il credo religioso. Pertanto, paradossalmente, le rivolte non solo rivelano l'eterogeneitàdi fondo della regione ma, al tempo stesso, mettono in luce la potenziale fonte di solidarietà e dicoesione regionale. Ciò detto, molti dei sondaggi di opinione condotti nella regione suggerisconoche le questioni religiose non sono state trainanti nei tumulti, che in realtà si sono centrati molto piùsu appelli finalizzati alla nascita di governi aperti, trasparenti e democratici. Si tratta, ovviamente, diun'ottima notizia soprattutto per coloro che temevano che la visione confessionale e contorta delmondo arabo, propria di Osama Bin Laden, potesse ripercuotersi con modalità disturbanti sullagioventù araba. Come ha osservato il Presidente Obama in un suo recente discorso su questaarea del mondo, "grazie alla forza morale della non violenza, le popolazioni della regione sonoriuscite a produrre più cambiamenti in sei mesi di quanto non siano riusciti a fare i terroristi indecenni". In effetti, le rivolte hanno avviato tra i giovani un discorso diametralmente oppostorispetto alla visione di Al Qaida. Per citare le parole di un altro osservatore, “tra le moltitudinivorticose di cittadini che, nelle strade di quasi tutte le capitali della regione, agitavano bandierechiedendo un cambiamento, la figura distante del combattente fuggiasco (Bin Laden) si è dissoltanella nebbia” (Rodenbeeck). La morte di Bin Laden ad opera dei Marines americani haulteriormente emarginato Al Qaida, che resta però ovviamente un pericolo ed una minaccia per lasicurezza.

    A. LA TUNISIA: AVANGUARDIA DELLA PRIMAVERA ARABA

    21. Secondo la ricostruzione della storia ormai consolidata, le sollevazioni hanno avuto inizio inTunisia per poi diffondersi rapidamente all'Egitto, lo stato più popoloso, potente e influente dellaregione, e questo ha poi dato origine a un movimento su scala regionale, la "primavera araba". Alivello superficiale, le due sollevazioni sembravano presentare analogie. Entrambi i paesi eranogovernati da vecchi autocrati che avevano soffocato per decenni ogni espressione pubblica didissenso e creato istituzioni statali che erano divenute delle macchine di clientelismo e corruzione.Non sorprende che un paese con un ceto medio benestante ed istruito sia stato il primo paesedella Primavera Araba a far cadere il proprio governo: era proprio questa la classe sociale chepativa di più la distanza fra le aspettative e la realtà. Infine, la Tunisia ha una società omogenea ecompatta, cosa che pure può aver contribuito al successo della rivoluzione.

    22. Il governo dell'ex Presidente Zine el-Abidine Ben Ali, pur fortemente autoritario, era allaguida di un'economia relativamente dinamica ed aveva creato il migliore sistema di istruzione delmondo arabo. In Tunisia esistevano inoltre un movimento di lavoratori ben organizzato e unaclasse media abbastanza estesa. Il problema, per il regime, era che una fascia istruita dellasocietà nutriva aspettative che esso semplicemente non era in grado di soddisfare. Il regime harisposto alle crescenti richieste di cambiamento con una dura repressione, arresti di massa etortura. Perfino nei confronti degli espatriati sono stati emessi mandati di arresto contenenti accusefalse di coinvolgimento in attività terroristiche, e troppo spesso i governi stranieri hanno

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    passivamente accettato questa versione (Times Literary Supplement). Secondo un dispacciodiplomatico statunitense, circa metà delle élite commerciali della Tunisia erano collegate a Ben Alie hanno formato una rete che è diventata nota, in maniera non sorprendente, come "la famiglia".(Anderson) Al tempo stesso, tuttavia, la burocrazia non era particolarmente corrotta, e vi era quindiun evidente contrasto tra il dilagante nepotismo dell'élite al potere ed uno Stato che, a differenzadell'Egitto e della Libia, era ragionevolmente funzionante. Questo fa sperare che sia possibile unatransizione senza scosse verso un nuovo assetto. Bisogna inoltre ricordare che l'apparato militareaveva nella società tunisina uno status meno importante che nei paesi vicini e aveva svolto unruolo meno determinante nelle sollevazioni rispetto all'apparato militare egiziano. Il movimento deilavoratori tunisino era ben più importante, e gli scioperi da esso promossi hanno contribuito a farcadere sia il governo di Ben Ali sia il breve governo di transizione che gli è succeduto.

    23. Sono infine da sottolineare l'importante ruolo dei giovani nel portare avanti questa rivoluzionee la loro mancanza di interesse per le istanze di stampo islamista. Al primo posto nei piani deigiovani vi era la richiesta di opportunità economiche e diritti politici, non la religione. Di nuovo,questo non è il Medio Oriente che Osama bin Laden aveva descritto come una regione pronta peruna rivoluzione salafista (Reiedel). I governi occidentali hanno temuto a lungo che esigenzepolitiche, economiche e sociali represse avrebbero inevitabilmente alimentato l'estremismoreligioso, ma almeno nel caso della Tunisia questo non è accaduto. Anche se la Tunisia ha moltastrada da fare per consolidare i cambiamenti avvenuti e far sì che si stabilisca una democraziasana, il paese sembra avere buone probabilità di riuscita, forse più di altri paesi della regione dovele difficoltà sono più imponenti. Un possibile problema è rappresentato dal fatto che probabilmentesia le vecchie élite sia l'influente movimento sindacale opporranno resistenza alla liberalizzazioneeconomica, anche se la creazione di nuove opportunità può avvenire soltanto attraverso l'aperturadella rigida economia nazionale. Questo potrebbe essere il punto focale della politica tunisina nelprossimo futuro. La vecchia e radicata élite sta cercando di ridurre al minimo i cambiamenti e isindacati non vogliono perdere il poco che hanno. Il problema è che se non si riforma l'economia la'torta' si restringerà, mentre quello che serve è una crescita dinamica che dia spazio alle emergentirichieste di giovani privi di diritti e disoccupati.

    B. L'EGITTO: RIVOLUZIONE IN PIAZZA

    24. Diversamente da quanto accaduto in Tunisia, in Egitto il pluridecennale governo di HosniMubarak aveva ormai iniziato a corrompere ed erodere praticamente tutte le istituzioni statali.L'unica, parziale eccezione è costituita dall'apparato militare, ed è interessante ed anchecomprensibile che i dimostranti, in piazza Tahir e altrove, abbiamo accolto favorevolmentel'intervento militare. L'esercito egiziano era forse l'unica istituzione non disprezzata dalla grandemassa del popolo egiziano, ma resta da vedere se esso saprà tollerare un regime autenticamenteaperto e democratico - una condizione che influenzerebbe ovviamente la maniera in cui l'apparatomilitare stesso è percepito (el Rashidi). L'atteggiamento della popolazione riguardo alle forze dipolizia di Mubarak, invece, era improntato a un profondo risentimento: le forze di polizia erano nonsoltanto ritenute fortemente corrotte ma anche viste come le responsabili di arresti arbitrari etorture. Il Ministero dell'interno post-Mubarak avrà il difficile compito di riabilitare la pessimareputazione della polizia egiziana.

    25. L'esercito egiziano ha dei legami forti con i vertici politici e l'economia nazionale, che non èstata certo caratterizzata da libertà e apertura. "Possiede imprese che vendono di tutto, da estintorie attrezzature mediche a computer, televisioni, macchine da cucire, frigoriferi, pentole, bombole dibutano, acqua minerale e olio d'oliva. Il suo patrimonio comprende vasti territori, inclusa la zona divilleggiatura di Sharm el-Sheikh. Il pane dei suoi forni ha contribuito a sventare le proteste per lapenuria di cibo" (Ross). È stato sempre visto come il grande difensore dello status quo, eppure èstato fondamentale nella cacciata di Mubarak. Con i suoi tentacoli allungati in tante direzioni,l'apparato militare avrà tuttavia la tentazione di resistere a politiche di liberalizzazione che

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    potrebbero creare nuove opportunità economiche per una fetta più ampia della società egiziana. Ilmancato varo di riforme economiche potrebbe quindi diventare un grosso ostacolo all'esercizio delcontrollo civile sull'apparato militare, il che porrebbe dei problemi in tutta la regione.

    26. Lo Stato egiziano era diventato fortemente corrotto a tutti i livelli, passando dalla sottrazionemassiccia di risorse pubbliche ai più alti livelli di governo alla corruzione minore ai livelli più bassi.Riguardo all'offerta dei servizi statali di base, la maggior parte degli egiziani si sentiva in obbligo dipagare tangenti perfino per ottenere i servizi più banali, e ciò ha creato forte risentimento. Losradicamento di questa tradizione estremamente nefasta e consolidata sarà una sfida impegnativaper qualsiasi governo risultante dalle elezioni nazionali previste verso la fine del 2011.

    27. Nella società egiziana vi è stato un relativo grado di tolleranza verso la libertà di espressione,e i giornali egiziani erano a volte, rispetto agli standard regionali, abbastanza aperti e attivi. Ciò hatenuto in vita l'importante prassi democratica del dibattito pubblico e ha contribuito a promuoverenella società un grado di apertura maggiore di quello di molti altri paesi arabi (Anderson). Ciòpotrebbe spiegare la disciplina e la non-violenza delle manifestazioni di piazza Tahrir, che hannomesso in luce una forte e probabilmente diffusa determinazione a creare un assetto più aperto,tollerante e democratico. Gli egiziani hanno garantito che in tutto il paese, anche in un momento diforte tensione politica, si sarebbero mantenuti l'ordine e il rispetto per gli altri. Questa particolaredisposizione rappresenta un segnale positivo per il futuro dell'Egitto, anche se la creazione di unnuovo ordine democratico presenta notevoli difficoltà e l'unità dimostrata in piazza Tahrir sembrastia già iniziando a sfaldarsi.

    28. A causa di un controverso referendum nazionale in materia di modifiche costituzionali, leelezioni politiche e presidenziali si dovrebbero tenere il prossimo autunno. Il Consiglio supremodelle froze armate ha però annunciato che non saranno ammesse nel territorio egiziano le missioniinternazionali di controllo delle procedure elettorali (Chick). Una volta eletto, il nuovo parlamentoistituirà una commissione incaricata di redigere una nuova costituzione. Seguiranno le elezionipresidenziali, dopo di che i militari hanno annunciato che cederanno il potere. I parlamentarisaranno eletti per metà in collegi uninominali e per metà su base proporzionale. Il vecchiocontingente di seggi per le donne è stato abolito, ma resteranno in vigore quelli per gli agricoltori egli operai.

    29. Sono molti gli interrogativi su quale sarà il ruolo dei militari durante questa delicata fase dipassaggio. Dall'11 febbraio, giorno in cui il Presidente Mubarak trasferì il potere al Consigliosupremo delle forze armate, un numero compreso fra settemila e diecimila civili è stato condottoinnanzi a tribunali militari, spesso con accuse fasulle (Hammer ed Ismail). Amnesty Internationalha definito questi procedimenti, spesso condotti senza rispetto per le norme del giusto processo,una violazione fondamentale dei diritti dell'uomo. Secondo alcuni, questi tribunali rientrano unastrategia militare antirivoluzionaria ed hanno l'obiettivo di intimidire gli attivisti democratici chevogliono un governo trasparente e democratico. Altri sostengono invece che i militari mirano piùche altro a tutelare il proprio impero commerciale, che va dalle attrezzature medicali fino al centrodi villeggiatura di Sharm el-Sheikh. Il Consiglio militare, con il visibile sostegno dei Fratellimussulmani e di altre formazioni conservatrici, ha anche adottato una serie di misure che hannoconcesso poteri extracostituzionali ai militari – misure che le forze liberali e democratiche hannoduramente denunciato. Un generale in pensione ha recentemente dichiarato: "[I militari] sanno chisono i fratelli mussulmani, sanno chi sono i resti del vecchio regime, non sanno chi sono i liberali ei rivoluzionionari. Ai Fratelli serve l'approvazione dei militari come ai militari ora servono i Fratelli"(El Rashidi, 14 luglio 2011). Infine, in Egitto ci sono problemi di ordine pubblico e qualche segnalepreoccupante di scontri religiosi. A maggio ci sono stati scontri fra cristiani e mussulmani, chehanno causato quindici morti e oltre duecento feriti. I membri della comunità cristiana copta hannosubìto una serie di attacchi dopo la caduta del governo Mubarak che le autorità hanno accolto conindifferenza (El Rashidi, 14 luglio 2011). Anche al Cairo c'è stata un'ondata di criminalità nei mesisuccessivi alla caduta del governo.

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    30. La profonda trasformazione dell'Egitto è tutt'altro che terminata. Chi ha occupato PiazzaTahrir al Cairo ed ha manifestato in altre città egiziane sembra determinato a mantenere l'energiae lo spirito del movimento. Il problema è che la grande unità dimostrata dall'Egitto nellosconfiggere il vecchio regime sembra ora incrinarsi e lo slancio verso un autentico cambiamentodemocratico potrebbe farne le spese (el Rashidi).

    C. LA LIBIA E LA GUERRA CIVILE

    31. In Libia lo sfaldamento del vecchio sistema presenta marcate differenze rispettoall'esperienza della Tunisia e dell'Egitto. A parte le evidenti differenze storiche e culturali tra questipaesi, va detto che lo storico leader libico, Muammar Gheddafi, aveva fatto in modo che leistituzioni dello Stato fossero entità fragili e fortemente personalizzate e che la società civile fossedebole e incapace di ritagliarsi un ruolo autonomo. Purtroppo, questi sono i mattoni con cui sicostruisce la democrazia. La fragilità dello Stato ed il carattere fortemente arbitrario epersonalistico del governo di Gheddafi hanno alimentato forte risentimento nella società libica. Leantiche fedeltà tribali sono praticamente diventate l'ultimo riparo dalle prepotenze del regime, masono rimaste oscurate dalla finzione – messa in atto dal regime stesso – di aver creato una sorta diutopia. La recrudescenza del tribalismo nel corso della rivolta contro il regime di Gheddafi e ilrapido passaggio dalla protesta politica alla guerra civile sono stati una diretta conseguenza delmodo di governo impulsivo e vendicativo del regime. Lo stato libico era ormai pronto per ildisfacimento ed è bastata una serie di manifestazioni nel paese per provocare il crollo dellalegittimità del regime e l'inizio di una guerra civile, nell'ambito della quale la NATO, agendo in basealla risoluzione 1973 dell'ONU, è diventata essa stessa una protagonista.

    32. Il regime di Gheddafi si è quindi dimostrato uno dei più fragili della regione, eppure non èimmediatamente crollato, mostrando anzi all'inizio di essere in grado di resistere alla ribellioneappoggiata dalla NATO. Ma la coesione e le capacità del suo apparato militare sono limitate e lostesso Gheddafi si affida al sostegno di mercenari non libici, la cui fedeltà è sempre stata dubbia.Importanti diserzioni nella vecchia élite al potere e nel settore militare hanno indebolito la mano delregime e hanno subito rivelato che l'apparato statale era in una certa misura tenuto insieme più dalterrore che dalla fedeltà. Questo apparato è rimasto aggrappato al potere per mesi non perchéintrinsecamente forte, ma perché l'opposizione era debole, frammentata e costretta a costruire dazero una propria struttura militare. Inoltre, il mandato della NATO era molto limitato e l'Alleanzanon poteva, né voleva, partecipare alla guerra di terra, anche se una serie di paesi NATO hafornito un importante appoggio aereo (7.459 attacchi fino al 21 agosto 2011), insieme con logistica,attrezzature, intelligence, tutti elementi che hanno contribuito a erodere la compattezza, gliapprovvigionamenti, la mobilità e la forza stessa delle armate di Gheddafi (Benitez; Schmitt eMeyers). La forza aerea della NATO ha compromesso la capacità del regime di esercitare ilcomando centrale sulle proprie forze ed ha impedito che la potenza di fuoco di Gheddafi siaggregasse in modo significativo. È anche chiaro che l'efficacia della NATO è aumentata colpassare del tempo e gli attacchi sono diventati meglio controllati e coordinati con le forze di terra.Inoltre, il Regno Unito, la Francia ed altri paesi hanno inviato forze speciali in Libia per addestrareed armare i ribelli, la cui efficacia è andata aumentando col tempo, il sostegno e l'esperienza.

    33. Al momento della redazione del presente documento, il regime di Gheddafi è crollato e iribelli sono entrati a Tripoli, ma che tipo di governo potrà sostituire il vecchio regime e quale potereeffettivo di mantenimento dell'ordine riuscirà ad avere questo nuovo governo resta dubbio. Adifferenza di Egitto e Tunisia, le basi su cui costruire uno Stato successore sono qui quasiinesistenti. Il Consiglio nazionale di transizione di Bengasi è stato riconosciuto l'organo legittimorappresentante il popolo libico da oltre 30 paesi, fra cui Francia, Italia, Spagna e, dal 21 agosto,Stati Uniti. Alcuni osservatori occidentali, fra cui alcuni parlamentari statunitensi, temono che nelleforze di opposizione vi sia una forte presenza di jihadisti, alcuni dei quali sarebbero da tempo legatiad al-Qaida, ma queste ipotesi sono state recisamente negate dal Consiglio nazionale di

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    transizione e da gruppi della società civile (Pelham). Desta preoccupazione, anche in prospettivadi ciò che potrebbe accadere in futuro, l'assassinio da parte di alcuni islamisti affiliati ai ribelliantigheddafiani del proprio comandante in campo, Abdel Fattah Younes, un'evidente resa dei conticon un uomo che aveva servito Gheddafi. La presenza di gruppi armati operanti al di fuori di unastruttura di comando centralizzata è fonte di gravi timori. I parlamentari USA che si erano oppostiall'operazione della NATO chiedono se la Libia sia abbastanza importante strategicamente dagiustificare l'uso di risorse e di capitali diplomatici in un momento in cui le risorse per la difesa sonoestremamente limitate e gli Stati Uniti sono già impegnati in una serie di operazioni militari in altreregioni del mondo. Alcuni hanno anche suggerito che la NATO sia andata oltre il proprio mandatodi protezione della popolazione civile, partecipando di fatto ad operazioni finalizzate al cambio diregime; tutto questo, peraltro, senza che l'amministrazione Obama avesse richiesto al congressol'autorizzazione all'operazione, in violazione della Legge sui poteri in tempo di guerra del 1973[War Powers Act] (Fahrentold).

    34. I gruppi ribelli e il Consiglio nazionale di transizione hanno inoltre avuto cura di dissociarsidagli elementi rivoluzionari salafisti e i paesi NATO hanno gradualmente approfondito i legami conl'opposizione, fornendo materiali, addestramento e sostegno nell'intelligence. La NATO è stataanche molto attenta a non provocare perdite fra i civili, cosa che sarebbe in diretta violazione delmandato dell'ONU e sarebbe disastrosa dal punto di vista diplomatico e morale (Locklear). Direche si tratta di un intervento condotto con delicatezza è un eufemismo, ma tale approccio haaiutato a stabilire relazioni tra l'opposizione e i governi occidentali, trasmettendo al tempo stessoun segnale importante al resto della regione. La missione dichiarata della NATO, consistentenell'applicare il divieto di sorvolo e proteggere i civili coinvolti nella guerra civile, ha tuttavia vistoun'evoluzione quando diversi leader, fra cui i Presidenti Sarkozy e Obama, la Cancelliera Merkel eil Primo Ministro britannico Cameron, giunsero alla conclusione che la permanenza di Gheddafi alpotere non era più accettabile. Un maggiore coinvolgimento nella guerra civile faceva aumentare lapropria responsabilità di aiutare il Consiglio di transizione a rimettere insieme i pezzisuccessivamente. I governi dei paesi NATO devono ora cominciare ad affrontare il nodo dellaricostruzione e dello sviluppo.

    35. In ogni caso, la Libia si trova ad affrontare una sfida imponente. La recrudescenza dellerivalità tribali, ad esempio, potrebbe compromettere ulteriormente la fiducia sociale. Il Consiglionazionale di transizione non ha ancora dimostrato di avere autorità ed i suoi legami reali con lasocietà non sono noti. Non è chiara l'esatta rappresentatività dei suoi membri e la loro eventualecapacità di esercitare l'autorità dopo il crollo del regime di Gheddafi. Più di qualsiasi altro paesedella regione, a parte lo Yemen, la Libia dovrà affrontare il duplice compito di costruire lo Stato erafforzare la società civile, e il retaggio di decenni di oppressione renderà entrambi i compiti moltodifficili da assolvere. La pianificazione di una Libia postgheddafiana è già in corso nel paese e nellacomunità internazionale. Vengono stretti contatti diplomatici sempre più intensi fra i governi deipaesi NATO e la dirigenza politica dei ribelli, con l'obiettivo immediato di evitare il caos nel paese edi garantire l'afflusso di derrate alimentari e approvvigionamenti medici ed eventualmenteumanitari. Lo scongelamento dei beni libici in vari Stati esteri pone un'altra serie di nodi giuridici ediplomatici, soprattutto in quanto alcuni paesi ritengono che una decisione di questo tipocostituirebbe un tacito riconoscimento del Consiglio di transizione. Si valuta che i beni libicicongelati rappresentino un valore di 37 miliardi di dollari negli USA e di 20 miliardi di dollari nelRegno Unito (CBS/AP, 24 agosto 2011). Questi fondi serviranno a garantire la ricostruzione, a farripartire l'economia e ad aiutare il Consiglio di transizione ad assicurare una transizione stabile eveloce verso la democrazia in Libia. Tutto ciò rientra nella missione di protezione della popolazionecivile.

    36. Anche se le proteste contro l'autorità e la legittimità governativa sono emerse in tutta laregione, la comunità internazionale ha scelto di intervenire militarmente soltanto in Libia. Leimmagini della feroce repressione di Gheddafi e la sua promessa di vendetta nei confronti di coloroche avevano sfidato il suo potere hanno causato sdegno presso l'opinione pubblica occidentale e

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    contribuito a indurre la comunità internazionale, incluse la Lega araba e istituzioni come le NazioniUnite, a prendere posizione contro la politica del regime verso i suoi cittadini. Ciò ha aperto la viaal mandato ONU per l'intervento internazionale. Il punto è se si è qui stabilito un precedente per lemissioni di protezione della popolazione civile che potrebbe essere applicato anche in altri casi –per esempio la Siria – o se si tratta di una situazione unica non replicabile a breve. È significativo,per esempio, che in sede di Consiglio di sicurezza dell'ONU la Cina e la Russia hanno sostenutoche i bombardamenti NATO e l'appoggio fornito ai ribelli dall'Alleanza atlantica sono andati oltre ilmandato delle Nazioni Unite e che Brasile, Russia, India, Cina e Germania si sono astenuti sulvoto della risoluzione 1973.

    37. Nel giustificare il sostegno degli Stati Uniti all'intervento, il Presidente Obama ha fornito tremotivazioni: evitare un massiccio flusso di rifugiati che avrebbe potuto destabilizzare i paesi vicini,ovvero Egitto e Tunisia, trasmettere ad altri regimi il messaggio che la violenza è una rispostainaccettabile alle richieste di maggiore apertura politica, e, infine, sostenere l'autorità del Consigliodi Sicurezza dell'ONU (Slaughter). Se le truppe di Gheddafi fossero entrate a Bengasi, cosa chel'intervento internazionale ha contribuito ad evitare, si sarebbe verificato un bagno di sangue, e ciòavrebbe pesato fortemente su una comunità internazionale che è stata fin troppo spesso accusatadi passività di fronte a questo tipo di massacri. Ma c'era anche la forte sensazione fra i tanti paesiimpegnati nella campagna ONU che gli attacchi di Gheddafi contro il suo popolo lo avevano privatodella sua legittimità (Corbin).

    38. Vi è un altro motivo per cui diversi importanti attori internazionali hanno optato perl'intervento: esso rappresentava il tentativo di orientare gli eventi in Medio Oriente dopo mesi in cuici si è limitati a reagire agli eventi stessi, spesso sottovalutando il potere dei giovani nelle piazzearabe. Numerosi governi hanno preso posizione contro un regime riprovevole con il quale avevanoin precedenza concluso affari semplicemente perché aveva rinunciato alle sue ambizioni in terminidi armi nucleari e al terrorismo. Guardando indietro, tale decisione potrebbe essere stata miope, inquanto non c'era stata alcuna modifica sostanziale nella natura del regime stesso. Se la comunitàinternazionale avesse avviato una riconciliazione con Gheddafi, il suo popolo non avrebbe maipotuto cogliere la possibilità, fornita dalla Primavera Araba, di spingere per un cambiamentofondamentale. Quanto meno, l'intervento ha permesso ai governi partecipanti di segnalare aigiovani che erano finalmente dalla loro parte, che le loro aspirazioni ad una maggiore aperturaerano legittime e che l'uso sistematico della violenza per reprimere la libertà di espressione erainaccettabile.

    39. Un importante paradosso, tuttavia, sta nel fatto che un messaggio altrettanto potente,seguito da un'azione reale, non è stato trasmesso ai giovani della Siria e del Bahrein. Ciò dipendedai mezzi, dalla coalizione di forze internazionali e dal complesso gioco di interessi e valori che inultima istanza forgiano la politica estera e di sicurezza. Per motivi diversi, i governi di Bahrein eSiria, uno considerato amico dell'Occidente e l'altro considerato rivale, non si sono trovati di fronteallo stesso tipo di reazione riservato alla Libia. In questo senso, la crisi ha fornito un'illustrazionepiuttosto eloquente del ruolo dei valori e degli interessi nella politica internazionale e delle lorocomplesse interazioni. Il rischio del ricorso ai valori universali per giustificare l'intervento militare èche così facendo si creano aspettative di aiuto anche altrove. Se queste aspettative non vengonosoddisfatte, possono generare cinismo e delusione. Questo è il rischio che si corre in Bahrein e inSiria, dove l'opposizione è stata lasciata sola e ne ha sofferto le pesanti conseguenze.

    40. Infine, questa missione si differenzia enormemente dalle altre missioni NATO in quanto ilruolo di prima linea è stato svolto dalle forze europee, mentre gli americani hanno svolto unimportante funzione di supporto, anziché di prima linea. Gli Stati Uniti hanno guidato le primeincursioni aeree della coalizione nel mese di marzo, ma già ad aprile si sono ritirati dallapartecipazione attiva alle operazioni belliche, provvedendo ai rifornimenti in volo, alla sorveglianzadel campo di battaglia e ad altre attività di supporto (Charlton e Lekic). Ciò ha generato alcunepolemiche, ma d'altro canto si può dire che questa situazione rappresenta il tipo di condivisione

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    degli oneri che gli Stati Uniti chiedevano da tempo. Ciò non significa che il ruolo degli USA siastato irrilevante. Quando le forze ribelli hanno scatenato l'ultima offensiva su Tripoli,l'intensificazione della sorveglianza aerea da parte americana ha rappresentato un fattore centralenell'erosione della forza militare di Gheddafi. I bombardamenti mirati della NATO sono stati moltopiù precisi nell'ultima settimana della campagna e gli Stati Uniti hanno messo a disposizione gliaeromobili a pilotaggio remoto Predator per identificare, puntare e sparare sulle forze di Gheddafi(Schmitt e Lee Myers). L'intervento in Libia segna il terzo successo della NATO nell'uso della forzaai fini della protezione della popolazione civile – dopo la Bosnia nel 1995 e il Kossovo nel 1999(Hoagland). Ciò significa che chi considerasse l'Europa irrilevante da un punto di vista militare ediplomatico, farebbe bene a rivedere le proprie posizioni, nonostante il divario di risorse finanziariee di capacità che esistono in seno all'Alleanza.

    D. ORA TOCCA ALLA SIRIA?

    41. Ora che i ribelli entrano a Tripoli ed il regime di Gheddafi ha chiaramente perso il potere, è laSiria a conquistare il primo piano della Primavera Araba. Ma la situazione in questo paese ètotalmente diversa. In Siria non ci sono ribelli armati, tutte le città sono controllate o circondate daimilitari e la stessa Siria è una grossa potenza regionale con istituzioni ragionevolmente sviluppate,anche se non sempre legittime; praticamente nessuno chiede un intervento militare e gliavvenimenti siriani avranno molto probabilmente notevoli ripercussioni oltre i confini nazionali.(Shadid, 22 agosto 2011). Inoltre, mentre la Libia non godeva di alcun appoggio internazionale, laSiria di Assad è fortemente appoggiata dalll'Iran. Secondo l'Unione Europea, Al Quds, una unitàscelta del Corpo delle guardie rivoluzionarie "fornisce assitenza tecnica, mezzi e sostegno alleforze di sicurezza siriane, al fine di reprimere i movimenti di protesta popolare" (Bakhri 24 agosto2011). Anche Cina e Russia hanno ritardato nel criticare il regime di Assad per i mezzi violentiimpiegati per restare aggrappato al potere.

    42. In Tunisia e in Egitto, la dirigenza militare nazionale ha di fatto abbandonato i regimi cheaveva giurato di difendere. Le ragioni di questo comportamento sono complesse e includono ildesiderio di evitare la guerra civile ma anche quello di partecipare al processo decisionale nelnuovo ordine e di difendere il proprio "orto". Tale decisione, comunque sia, è servita a minimizzarela violenza in un momento di tremenda pressione sociale e politica. Le forze siriane, al contrario,non hanno neanche provato a prendere le distanze dalla brutale dittatura del Presidente BasharAl-Assad e, su ordine del governo, avrebbero ucciso 2.200 persone fra marzo ed agosto, al fine direprimere le dimostrazioni di piazza (Bakri). Sembra che ci siano state molte diserzioni fra i militari,nonostante le severissime pene previste per i disertori (Oweis).

    43. Assad non ha manifestato alcuna intenzione di cedere alle richieste di giustizia,trasparenza e democrazia. Il suo governo, il Partito baath e la struttura di comando militare sono inmano agli alauiti, un ramo dell'Islam sciita i cui affiliati rappresentano appena il 12% dellapopolazione del paese e che molti mussulmani considerano eretici. Nelle forze armate siriane, perogni ufficiale sunnita c'è sempre un superiore ed un sottoposto alauita (Nackleh e Feldman), segnoevidente di quanto il governo tema la maggioranza e di quali acrobazie è disposto a fare perevitare che tale maggioranza conquisti rilevanza sociale. Non sorprende pertanto, che moltigiovani manifestanti appartengano alla maggioranza sunnita e quindi esiste, almeno teoricamente,una dimensione religiosa in questo conflitto sempre più sanguinario tra il regime, che si dichiaralaico da sempre, e i suoi oppositori – un gruppo molto più eterogeneo che forse riflette meglio lavarietà sociale. Queste divisioni politiche sono, inoltre, potenzialmente inasprite da legami tribali eclientelari, che potrebbero costituire una miscela esplosiva di divisioni trasversali.

    44. Come già evidenziato, l’esercito siriano fa direttamente capo al Presidente e al Partito baathe, di conseguenza, alla comunità alauita. Le unità dominate dagli alauiti, compresa la divisionedell’esercito guidata dal fratello minore del Presidente Maher al-Assad, assicurano un sostegno

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    essenziale al regime ed hanno guidato alcune delle operazioni più orribili recentemente condottecontro importanti città siriane. Ciò non ha fatto altro che inasprire il risentimento della maggioranzasunnita verso alauiti, accentuando i timori riguardo ad un bagno di sangue di matrice religiosa.Almeno per il momento, l’esercito siriano non intravede alternative al sostegno al regime di Assade va detto che è stato appositamente strutturato per giungere proprio a questa conclusione.Questo è uno dei motivi che spiegano l’elevato grado di violenza. È opportuno ricordare che sicalcola che nel 1982 l’esercito siriano, all’epoca agli ordini del Presidente Hafez al-Assad, abbiaucciso 10.000 cittadini a Hama a seguito dello scoppio di una rivolta sunnita.

    45. Negli ultimi sei mesi, il governo ha oscillato fra aspra repressione ed irregolari, tiepidiappelli al dialogo e riforme che quasi nessuno ha preso in seria considerazione. Ma, nelle ultimesettimane, è aumentato il livello dell'oppressione, degli arresti e degli omicidi. All'inizio di agosto,almeno 41 persone sono rimaste uccise a Deir al-Zor, il cuore dell'industria petrolifera siriana,dopo l'ingresso in città di blindati e carri armati. Altri 19 sono stati uccisi dal fuoco dei carri armatinella città di Hula (provincia di Homs) e nella provincia di Dar'a (Bloomfield, Adrian; Syrian Unrest,Saudi Arabia calls on killing machine to stop, The Daily Telegraph, 9 agosto 2011). Le uccisioni ela violenza dei militari si sono estese ben al di là della provincia di Dar'a, dove è cominciata laprotesta; atrocità sono state anche commesse a Homs, Aleppo, Deir al-Zor e Laodicea (Latakia),per citare solo alcuni casi. Anche Damasco è stata teatro di operazioni sanguinarie contro idimostranti. Secondo alcune fonti, vengono passati alle armi i soldati che si rifiutano di sparare aidimostranti (Bakri 9/19). A metà agosto il Presidente Assad riferì al Segretario generale dell'ONUBan Ki-moon che le operazioni erano cessate, in un momento in cui ogni evidenza indicava ilcontrario. Un delegazione di alto livello dell'ONU sui diritti umani ha dichiarato che la repressione,accompagnata dall'esecuzione sommaria di 353 persone elencate nel documento, potrebbeconfigurarsi come crimine contro l'umanità. Nella relazione ONU si legge che "la missione è statatestimone di regolari violazioni dei diritti umani nella forma di ampi e sistematici attacchi contro lapopolazione civile, che possono costiture un crimine contro l'umanità" (Bassem). L'Altacommissaria ONU per i diritti umani Navi Pillay ha sollecitato il Consiglio di sicurezza a deferire laquestione al Tribunale penale internazionale. Questo documento è stato importante per modificarela percezione della comunità internazionale sul conflitto e per rimodulare le relazioni con il governosiriano.

    46. Il 18 agosto scorso, il Presidente USA Barak Obama ha chiesto le dimissioni del presidentesiriano ed ha annunciato una nuova serie di sanzioni contro il paese. Ha dichiarato che "leviolazioni del diritto universale dei cittadini siriani hanno mostrato alla Siria, alla regione e al mondola madornale violazione della dignità dei cittadini siriani perpetrata dal governo di Assad". Haaggiunto poi che gli appelli al dialogo e alle riforme del presidente siriano sono "parole vuote,pronunciate mentre incarcera, tortura e massacra il suo popolo" (Obama). L'amministrazione USAha bloccato ogni importazione di petrolio dalla Siria e ha imposto il divieto ai cittadini americani diintrattenere rapporti con il governo siriano. Lo stesso giorno, anche i leader di Germania, Franciaed UE hanno invitato Assad alle dimissioni. L'UE ha imposto un embargo sulle esportazioni versola Siria di armi e di qualsiasi materiale che possa essere utilizzato per la repressione interna ed hasospeso l'emissione di visti ai dirigenti del regime. È inoltre in fase di studio un divieto diimportazione di petrolio esportato dalla Siria. Va qui osservato che è in Europa che arriva lagrandissima parte del petrolio esportato dalla Siria e che quindi una decisione di questo tipoavrebbe un impatto economico significativo e potrebbe costringere il governo di Damasco acontrarre quella parte di spesa pubblica volta a mantere intatta la macchina militare. Una serie dipaesi arabi sta interrompendo le relazioni con Damasco. L'Arabia Saudita, per esempio, harichiamato il proprio ambasciatore nella capitale siriana e Re Addullah ha chiesto al governosiriano di fermare la "macchina di morte". Lo stesso giorno, il Consiglio di cooperazione del Golfoha chiesto alla Siria di "porre fine al bagno di sangue". Ciò è molto significativo in quanto, come harecentemente osservato Jim Hoagland del Washington Post, "il clan alauita al potere – grazie aldenaro estorto ai sauditi e agli altri paesi petroliferi del Golfo e grazie anche alle generosedonazioni ricevute dal regime iraniano – ha dato soldi e armi agli assassini dei Marines americani,

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    di un ex primo ministro libanese e di molti altri ancora" (Hoagland). Allo stesso tempo, gli USA e iloro alleati europei hanno essenzialmente escluso la possibilità di avviare un'azione militare controla Siria e si sono dati un gran daffare per tracciare le differenze fra la situazione siriana e quellalibica, alla vigilia dell'intervento NATO in Libia. Gli analisti militari ricordano che la Siria è moltopotente militarmente e che un intervento potrebbe portare ad una guerra civile dalle conseguenzeimprevedibili ed eventualmente ad una deflagrazione a livello regionale che sarebbe molto arduocontrollare.

    47. La repressione è stata ispirata in parte dalla repressione della Rivoluzione Verde in Iran,anche se in Siria il fallimento del pugno duro è fino ad oggi totale, in quanto le dimostrazionicontinuano e i dimostranti hanno soltanto aumentato le loro richieste al regime. Un rapportodell'International Crisis Group così descrive il comportamente del governo: Il regime ha revocato lalegge di emergenza ma ha consentito ai servizi di sicurezza di continuare ad agire come sempre,dimostrando innanzitutto la scarsa importanza che attribuisce al concetto di legalità. Autorizza lemanifestazioni anche se afferma che non siano più giustificate, per poi accusare i manifestanti ditradimento… Infine, benché abbia avviato diverse trattative bilaterali con rappresentanti locali, sirifiuta di aprire un dialogo nazionale, che potrebbe rappresentare l’ultima, debole opportunità pertrovare una soluzione pacifica… Il regime sembra sperare che una violenta azione di repressioneriesca a mettere in ginocchio i rivoltosi. C’è chi sostiene che una dimostrazione di forza serva aristabilire la calma e creare un clima favorevole alle riforme. Un simile approccio comportamassicce perdite di vite umane. Potrebbe inaugurare una fase di scontri religiosi dalleconseguenze devastanti per la Siria. Potrebbe destabilizzare i paesi vicini e, in ultima analisi, hascarse probabilità di successo (Steele).

    48. Le notizie che giungono dal paese indicano che i detenuti sono sottoposti a trattamentiatroci, come la tortura e la privazione di cibo (Ruthven). Le forze di Assad sono molto piùorganizzate e temibili di quelle di Gheddafi e non ci sono forze internazionali o forze armatedell’opposizione che proteggano la popolazione da questa carneficina. Dagli oppositori sono staticommessi pochi atti di violenza, dato che a quanto pare le manifestazioni scoppianoimprovvisamente, spesso all’uscita dalle moschee dopo la preghiera e senza una guidachiaramente individuabile. Considerata la propensione del regime agli arresti arbitrari, alla tortura ealle esecuzioni sommarie, l’anonimato è essenziale e l’opposizione, attraverso i suoi contatti con imedia mondiali, ha chiesto la fine della repressione, della violenza e della corruzione (Ruthven).Durante un incontro tenutosi nella città turca di Antalya, alcuni rappresentanti dell’opposizione inesilio hanno recentemente chiesto l’adozione di una tabella di marcia per la transizionedemocratica e l’amnistia per tutti i detenuti politici, ma l'aspra repressione che è seguita a queigiorni ha reso molto pessimisti sia l'opposizione sia gli osservatori internazionali, in ordine allaprospettiva di una trattativa col regime di Assad, la cui violenza ne ha frantumanto la credibilità(Global Voices).

    49. Il problema è che, in assenza di un’opposizione chiaramente individuabile, con preciseambizioni politiche, il clima politico della Siria è caratterizzato da enormi incertezze, che sono unodei motivi dell'iniziale riluttanza del mondo arabo ad appoggiare i manifestanti con maggiorfermezza. Anzi, la Lega Araba in un primo momento si era rifiutata di adottare una posizione fortecontro le azioni del governo ai danni dei manifestanti, benché avesse rivolto un appello generico anon utilizzare proiettili – il che non ha propriamente rappresentato un forte appoggioall’opposizione! Sulla scia delle azioni militari che il governo di Assad ha lanciato lo scorso agostocontro le sue città ed il suo popolo, alcuni paesi arabi hanno cominciato ad adottare posizioni piùcritiche. In alcuni ambienti governativi arabi sono serpeggiati timori sul possibile tentativo da partedei salafiti di approfittare di questa rivolta per scatenare una violenta epurazione su base religiosanella società siriana. Ma, naturalmente, il regime di Assad ha tutto l’interesse a diffondere questoconcetto. Allo stesso tempo, il regime ha ripetuto più volte che i disordini interni sono dovuti alleingerenze di Israele, dell’Arabia Saudita e degli Stati Uniti. A quanto pare, nella stessa Siria sono

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    in molti a rifiutare apertamente questa argomentazione, definendola una tattica per distoglierel’attenzione dal vero problema.

    50. Alcuni analisti e diplomatici che hanno incontrato Bashar Assad, che si è formato inOccidente, sostengono che egli oscilli da tempo tra la consapevolezza che le riforme politiche edeconomiche sarebbero fondamentali per il suo paese e una forte esitazione di fronte alcambiamento per via dell’impopolarità del regime, che molti ritengono determinato a mantenere lasua presa sul potere e sulla forza, e dell’interesse della sua famiglia allargata a mantenere lostatus quo. Il regime si è servito della forza e del clientelismo per mantenere il controllodell’apparato statale ed eliminare i potenziali rivali. Questo sistema impedisce da molto tempol’adozione di autentiche riforme. Il fratello di Assad, Maher al-Assad, detiene il comando dellaQuarta Divisione Corazzata dell’esercito e il cognato, Assef Shawkat, è un dirigente dei servizi diintelligence. Entrambi hanno sostenuto l’esigenza di reprimere duramente le manifestazioni dipiazza.

    51. Il conflitto siriano produce conseguenze che si estendono a tutta la regione. Il caos cheregna nel paese potrebbe ripercuotersi oltre confine, sul vicino Libano e addirittura sull’Iran(Worth). L’Iran sostiene tacitamente Assad, con il quale intrattiene stretti legami di collaborazione;il potenziale crollo del suo regime ridurrebbe infatti l’influenza dell’Iran sulla politica mediorientale,impedendogli di avere facile accesso ai gruppi militanti di Hamas e Hezbollah. Ma quel che piùpreoccupa l’Iran è il fatto che la caduta di Assad potrebbe rianimare l’opposizione interna al paese,attualmente messa a tacere, incoraggiandola a credere nella possibilità di un cambiamentopolitico. Quell’opposizione è tutt’ora potenzialmente molto forte, benché la dura azione del governosia riuscita per il momento a reprimerla. I dirigenti siriani, a loro volta, si sono chiaramente ispiratialla spietata repressione attuata dal Presidente Ahmadinejad durante la Rivoluzione Verde del2009.

    III. IL PUNTO DI VISTA DELLA TURCHIA

    52. Le rivolte in Medio Oriente e Nordafrica hanno rappresentato una sfida particolarmenteimportante per la Turchia, che è spesso citata come potenziale modello per la regione nonchéponte tra Oriente e Occidente. In Turchia vi è una società moderna, democratica e islamica, equesto è esattamente ciò che molti manifestanti arabi aspirano a creare nei propri paesi. LaTurchia è anche un paese dall'economia dinamica, e mentre i suoi partner occidentalicontinuavano a combattere con una crescita lenta, il PNL della Turchia nel 2010 ha registrato unacrescita dell'8%. In tutta la regione la Turchia è percepita come una potenza in ascesa con unruolo importante da svolgere a livello regionale. Da parte sua, il governo sembra assolutamenteintenzionato a tradurre tale dinamismo in una maggiore influenza a livello regionale e ritiene dipoter colmare il vuoto di leadership in un momento in cui altri attori, all'interno e all'esterno dellaregione, sono più preoccupati delle proprie questioni interne. La dirigenza turca vede l'Iran comeun potenziale rivale in termini di influenza ma ha anche deliberatamente cercato di dialogarecostruttivamente con il governo di Ahmadinejad, invece che cercare semplicemente di contenerlo,il che ha creato una certa tensione con gli alleati e soprattutto con il governo degli Stati Uniti(Kinzer).

    53. Le relazioni della Turchia con Israele si erano già fatte più tese prima dell'inizio dellesollevazioni, anche a causa del deliberato tentativo di offrire nuove aperture ai governi e allesocietà arabi. La sua linea più intransigente con Israele le ha in effetti fatto guadagnare un certosostegno tra le popolazioni arabe, creando al tempo stesso tensioni con gli alleati occidentali(Kalaycioglu). L'obiettivo generale, tuttavia, è far sì che la Turchia diventi un attore chiave in MedioOriente, sviluppi con esso relazioni economiche ed abbia voce in capitolo a proposito dell'ambientedi sicurezza della regione. Secondo il Ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu, il principale

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    artefice di questa politica, l'obiettivo consiste nell'avere "zero problemi con i vicini" (Traub). Leautorità turche hanno quindi cercato di ritagliare per il proprio paese il duplice ruolo di influentepotenza regionale e di intermediario ed hanno aperto nuovi canali diplomatici perfino con paesicome l'Iran, considerati altamente problematici dagli alleati della Turchia nella NATO.

    54. Eppure, mentre molti dei governi della regione sono caduti o sono in difficoltà, questapolitica della Turchia non ha prodotto i benefici che il Primo Ministro Recept Tayyip Erdogan avevaoriginariamente previsto. Ad esempio, Erdogan aveva sperato di consolidare il rapporto dipartenariato con il governo di Assad, ma il regime di quest'ultimo è stato condannato su scalamondiale per la feroce repressione scatenata nei confronti del suo popolo. Il governo turco avevasommessamente invitato il governo di Assad ad introdurre riforme e a dialogare con l'opposizione,essendo però stato poi costretto a cambiare tattica una volta che sono venuti alla luce gli orroridegli eventi in Siria. Attualmente la Turchia esprime solidarietà agli oppositori del regime siriano edha aperto i propri confini ai profughi provenienti da quel martoriato paese. Ciò ha contribuito arimediare ad alcune tensioni che si erano venute a creare fra la Turchia ed alcuni alleati, a seguitodell'iniziale politica turca verso Siria e Libia. Va qui ricordato che la Turchia ha partecipato allamissione Unified Protector svolta dalla NATO in Libia per dare applicazione alle risoluzioni 1970 e1973.

    55. La Turchia confina con l'Iraq e la Siria ed ha a lungo nutrito preoccupazioni circa possibiliinstabilità nel proprio 'cortile' orientale. Il governo è stato quindi obbligato a rafforzare la presenzadi pattuglie militari lungo i confini per garantire la sicurezza e difendere il proprio territorio. Larecente abolizione del regime di visti per i cittadini di questi due paesi ha reso ancor più complessala situazione. Vi è il timore che migliaia di persone a questo punto cerchino rifugio in Turchia. Ilritiro delle forze statunitensi in Iraq comporta per la Turchia un'ulteriore serie di gravipreoccupazioni in materia di confini (Shadid).

    56. L'iniziale rifiuto di rompere con il governo di Gheddafi da parte della Turchia e la sua offertadi mediazione nella sempre più grave disputa sono altri elementi che hanno avuto un costo, anchese bisogna riconoscere che la Turchia non era certo l'unico paese che tradiva riluttanza asostenere un'opposizione relativamente sconosciuta. All'inizio della ribellione, in Libia vi eranocirca 25.000 lavoratori turchi, e ciò ha fortemente influito sull'approccio cauto del governo rispettoall'evoluzione della crisi (Today's Zaman). Di fatto, la Turchia ha intessuto importanti e crescentilegami economici in tutto il Medio Oriente e il Nord Africa ed ha chiarito di voler rafforzareulteriormente tali relazioni. La crisi che ha colpito la regione ha influenzato negativamente sia leentrate da esportazioni sia le rimesse dei lavoratori in un momento in cui il paese sta perdendo gliinterlocutori così assiduamente coltivati. La crisi regionale sta dunque mettendo a rischio il piùimportante investimento diplomatico ed economico della Turchia dell'ultimo decennio. Il fattopositivo è che se nella regione si affermeranno un maggiore pluralismo e forme di governosostanzialmente democratiche, il modello turco eserciterà verosimilmente una forte influenza e laTurchia stessa diventerà un interlocutore molto gradito.

    IV. CONCLUSIONI: LE RISPOSTE OCCIDENTALI AI MOVIMENTI DI RIVOLTA

    57. Ovviamente i movimenti di rivolta nel mondo arabo producono un'ampia gamma diconseguenze per i governi membri della NATO, per i quali è stato estremamente impegnativoelaborare una risposta politica. Molte delle ipotesi occidentali sui paesi chiave della regione MENAhanno perso validità. La fluidità ha sostituito l’immobilismo, l’incertezza regna sovrana, gli eventievolvono più rapidamente della capacità degli stati di adeguare le loro politiche e la comunitàinternazionale ha avuto serie difficoltà a prendere in mano la situazione. In generale, l’Occidente èapparso più reattivo che propositivo, anche se l'intervento in Libia potrebbe segnare una novitàimportante in questo senso. La risposta dei governi NATO alla crisi è stata anche condizionatadalle necessità di contenimento della spesa e di risanamento delle finanze pubbliche. È evidente

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    che le rivolte hanno colto di sorpresa tanto i governi dei paesi NATO quanto i vecchi regimi chesono stati rovesciati o quelli che sono attualmente a rischio. L’eterogeneità e la diversità degliinteressi strategici dell’Occidente rispetto alle singole situazioni ha incrinato la coerenza dellepolitiche di risposta. È inevitabile che si esprimano perplessità quando ci si appella a valoriuniversali per giustificare l’intervento in Libia, mentre si è fatto molto meno per i manifestanti inSiria o in Bahrein.

    58. Infatti, dato che le situazioni variano notevolmente da un paese all’altro, le risposte politichenon sono state uniformi. I governi occidentali hanno finito per appoggiare in varia misura le forzedel cambiamento ma con notevoli differenze rispetto al livello e al tipo di sostegno. Basticonsiderare i casi della Libia e della Siria: in entrambi i paesi, i dirigenti hanno reagito con violenzaomicida alle richieste di cambiamento dei manifestanti. Nel caso della Libia, gli Stati Uniti e uncerto numero di paesi europei hanno denunciato il governo per i crimini commessi, hannosostenuto la Risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che chiedeva l’istituzione di unazona d’interdizione aerea, l’embargo sulle armi e l’adozione di misure militari di protezione dellapopolazione civile del paese, ed hanno conseguentemente aiutato i ribelli a conquistare Tripoli loscorso agosto. In Siria, l'esercito ha una forza soverchiante e finora la comunità internazionale nonha preso in considerazione alcuna opzione di tipo militare. Anzi, gli Stati Uniti hanno esplicitamenteescluso una possibilità di questo tipo. Sia l'Unione Europea sia gli Stati Uniti hanno tuttaviaimposto sanzioni più severe e il regime di Assad resta sempre più isolato. I governi occidentalisono assolutamente giustificati nella loro comune decisione di chiedere le dimissioni di Assad allaluce dell'ondata di uccisioni che il governo siriano ha avviato. Sarebbe utile che tutti i paesi NATOe gli altri paesi arabi imponessero delle pesanti sanzioni sul governo siriano, al fine di isolareAssad e la sua dirigenza.

    59. Il destino della Siria è strettamente legato al processo di pace mediorientale, all’equilibrio dipotere in Libano, alla stabilità lungo i confini con l’Iraq e persino alla stabilità interna dell’Iran, datoil grado di preoccupazione dimostrato dai dirigenti iraniani riguardo alle ricadute interne di unsollevamento popolare in Siria, un importante alleato. Cina e Russia hanno votato contro unarisoluzione dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati che esprime una condanna alregime per gli attacchi contro i manifestanti ed hanno recentemente rifiutato di sostenere unarisoluzione di condanna della Siria, proposta in seno al Consiglio dei diritti umani dell'ONU, cherichiedeva un'inchiesta sulle violenze. Gli altri Stati che hanno espresso un voto contrario sonostati Cuba ed Ecuador. Non è stata quindi ancora raggiunta l'unanimità a livello internazionale sulcosa fare. Negli Stati Uniti ed in Europa c'è ancora preoccupazione per la potenziale situazione dianarchia che potrebbe crearsi in Siria e inizialmente si è cercato di incoraggiare la moderazionepiuttosto che spingere per un cambiamento radicale. Si è giunti alla conclusione che ormai Assaddebba andarsene. Questa opinione è motivata anche dal fatto che il regime di Assad è vistosempre più come una fonte di instabilità piuttosto che di stabilità. I suoi stretti legami con l'Iran nonsono ben visti dai paesi del Golfo ed il suo appoggio a Hamas e Hezbollah non si può dire cheabbia aiutato la stabilità di, rispettivamente, Territori palestinesi e Libano (Nakhleh e Feldman).

    60. È ancora troppo presto per valutare le conseguenze di questi drastici cambiamenti politici sulprocesso di pace in Medio Oriente. La situazione è molto fluida e potrebbe rivelarsi necessariorivedere le ipotesi in essere da lungo tempo su come fare avanzare il processo di pace, dato che lafutura costituzione politica di due attori chiave, l’Egitto e la Siria, appare oggi assai incerta.Èopportuno osservare che la cooperazione di Hosni Mubarak con Israele e la sua forteopposizione a Hamas non sono mai state veramente apprezzate dalla società egiziana e un nuovogoverno di quel paese sarà probabilmente messo sotto pressione per rivedere i suoi rapporti conentrambi. Il fatto che il governo transitorio abbia riaperto il confine con Gaza è indicativo dellapotenziale esistenza nella regione di una nuova equazione politica e diplomatica. Al contempo, laSiria è un forte sostenitore di Hamas e Hezbollah, che si oppongono accanitamente a qualsiasiaccordo di pace tra gli arabi e gli israeliani. Qualsiasi cambiamento dello status quo in Siriapotrebbe modificare anche l’equazione diplomatica e il recente accordo tra Hamas e Fatah

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    potrebbe essere un’anteprima del tipo di cambiamenti che potrebbero profilarsi all’orizzonte. Più ingenerale, per lungo tempo i dittatori hanno agitato la “minaccia israeliana” per giustificarel’adozione di leggi di emergenza e misure di repressione. Se quelle società si apriranno, la politicainterna verrà immediatamente sganciata dalla questione palestinese ma si renderanno anchedisponibili nuovi canali che consentiranno all’opinione pubblica di esprimere i suoi pareri sullaquestione e influenzare il dialogo politico. Tuttavia, rimane tuttora impossibile prevedere l’esito diquesta situazione. Israele stesso è indubbiamente preoccupato per l'instabilità regionale. L'attaccocontro i soldati israeliani nella parte meridionale di Israele del 18 agosto è partito dal Sinai e questoha condotto ad un accordo israelo-egiziano che permette all'Egitto di aumentare la presenzamilitare in zone che il Trattato di pace fra i due paesi designava come demilitarizzate (Issacharoff).

    61. Le conseguenze regionali dei movimenti di rivolta, naturalmente, vanno ben al di là delprocesso di pace. Altri regimi della regione, compresa l’Arabia Saudita, sono semplicementepreoccupati per la caduta di regimi un tempo ritenuti stabili. La loro fine apre inevitabilmente unaserie di interrogativi sull’assenza di dialogo democratico in altre aree della regione. È indubbio cheaumenteranno le pressioni per un cambiamento politico nel Golfo, il centro della produzionepetrolifera mondiale. I responsabili politici europei seguiranno con grande attenzione questasituazione ma il caso del Bahrein potrebbe essere istruttivo. Il collegamento tra interessi energeticie di sicurezza forgerà senza dubbio le future politiche occidentali sulla regione del Golfo, anche seall’interno delle società occidentali ci saranno pressioni per utilizzare questa fase al fine di spingerei paesi del Golfo a procedere sulla strada di maggiore pluralismo, trasparenza e apertura deigoverni. Data la situazione attuale, questo parrebbe un approccio prudente e in linea con i valorieuropei.

    62. Nell’elaborare nuove politiche per affrontare i rapidi cambiamenti in atto nella regione MENA,l’Europa e il Nord America dovranno avere ben chiari i loro interessi di lungo periodo. La stabilitàdella regione è di importanza vitale per gli interessi occidentali e l’ordine mondiale. Questi interessiincludono la riduzione del potenziale di migrazione di massa dalla regione, la prevenzione dellaproliferazione di armi di distruzione di massa, l’incoraggiamento all’apertura del commercio, lalimitazione della capacità della regione di dare rifugio alle organizzazioni terroristiche, la capacitàdi garantire l’accesso permanente alle forniture energetiche della regione a prezzi abbordabili, ilprogresso del processo di pace arabo-israeliano e il sostegno a sistemi politici più moderni e apertiche aiutino la regione a svilupparsi in un clima di sicurezza, stabilità e prosperità. Si tratta di unaserie di obiettivi molto impegnativi che implicano il confronto con molti dilemmi politici checontinueranno ad affliggere i governi occidentali. I regimi attualmente al potere in Siria e in Iranpongono problemi praticamente su tutti questi fronti. Un risultato delle rivolte in corso nella regionepotrebbe essere il loro crescente isolamento, che i paesi occidentali potrebbero essere in grado diincoraggiare. Tuttavia, questo potrebbe complicare le recenti iniziative tese a raggiungere la pacein Medio Oriente che, tra l’altro, avevano elevato la Siria al ruolo di partner strategico. La terribilerepressione in atto in Siria costringe i negoziatori a ricercare altre vie. Il governo di Assad dovràora essere isolato e occorrerà garantire maggiore sostegno a coloro che chiedono giustizia in quelpaese fortemente repressivo e autoritario. La debolezza di Assad potrebbe creare nuovepossibilità – che andrebbero sfruttate – di dialogo ed aperture diplomatiche nella regione.

    63. Il principale insegnamento da trarre dall’instabilità che ha scosso l’intero Medio Oriente èforse quello della vulnerabilità e della fragilità dei regimi non democratici, soprattutto quando ibisogni di base delle popolazioni non possono essere soddisfatti da autocrazie sempre più venali.(Non è un caso che il governo cinese abbia incrementato lo schieramento di forze di sicurezzanelle sue province occidentali proprio nel momento in cui la ribellione egiziana si è pienamenteaffermata). Questi regimi si sono sempre retti sull’uso combinato del bastone e della carota, come isussidi alimentari e energetici per ottenere il sostegno della popolazione, ma queste politiche oggihanno una minore capacità di garantire la pace interna.

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    64. Sarebbe ingenuo ritenere che le rivolte semplicemente si esauriranno e che la regionetornerà allo status quo ante. Il Medio Oriente sta attraversando una fase di cambiamento epocale,che ha fatto emergere la vacuità del vecchio ordine. Nessuno dei governi repressivi e totalitaridella regione dovrebbe sentirsi al sicuro. Sono crollati tre regimi, oltre al probabile crollo delPresidente Saleh nello Yemen, a seguito dell’attacco delle forze tribali contro il palazzopresidenziale nel giugno di quest'anno. Anche l’Iran è vulnerabile e questo spiega perché i suoidirigenti seguano con tanta ansia il corso degli eventi in Siria e in tutta la regione. Per il momento,l’opposizione è stata messa a tacere ma il governo di Mahmoud Ahmadinejad genera profondoscontento e nessuna delle ragioni di tale scontento è stata affrontata. Il regime dispone diimportanti risorse, tra cui forze di sicurezza compatte, motivate e fedeli. Sfrutta il pregiudizio anti-occidentale e il nazionalismo persiano per ottenere legittimità e sostegno da una parte dellapopolazione e utilizza le tattiche della paura e dell’oppressione per imporre l’obbedienza all’altraparte.

    65. Nel frattempo, i governi del Marocco e della Giordania hanno cercato di anticipare le protestepromettendo riforme liberali, forse nel tentativo di prevenire maggiori pretese da parte dellepopolazioni. Questi paesi sono chiamati ad affrontare le stesse sfide in campo economico,demografico e dell’istruzione. Le monarchie, va osservato, hanno la possibilità di cedere i poterilegislativi alle forze democratiche mantenendo il controllo del potere esecutivo (Goldstone). Ciògarantisce loro un certo grado di resilienza istituzionale, che potrebbe mancare alle repubblichedella regione. Il Re Mohammed VI del Marocco, ad esempio, ha fatto importanti concessioni nelcorso dell’anno passato, che hanno contribuito ad arginare la diffusione delle proteste nel paese.

    66. Da una serie di segnali si evince che l’instabilità potrebbe sostituirsi alla difficile stabilitàofferta dai vecchi regimi autoritari che sono stati spodestati, o la cui permanenza al potere èappesa a un filo. Si teme che l’Iran e la Siria riescano a sfruttare la situazione di incertezza perrafforzare la loro influenza su tutta la regione – uno sviluppo che sarebbe fortemente antitetico agliinteressi occidentali. Il passaggio di due navi da guerra iraniane nel Canale di Suez è stato unchiaro tentativo di ribadire questo concetto. Ma l’analista Jack Goldstone, che definisce entrambi iregimi “Sultanati”, propone una visione più ottimistica: “La storia delle rivoluzioni scoppiate neiSultanati dovrebbe in un certo senso alleviare tali preoccupazioni. Nessuno dei sultani spodestatinegli ultimi 30 anni – ad esempio ad Haiti, nelle Filippine, in Romania, nello Zaire, in Indonesia, inGeorgia e in Kyrgyzstan – è stato sostituito da un governo radicale o guidato dall’ideologia. Alcontrario, in tutte queste situazioni, il prodotto finale è stato una democrazia difettosa, spessocorrotta e incline all’autoritarismo, ma né aggressiva né estremistica […] a partire dagli anni 1980,né il modello comunista né quello islamista hanno riscontrato grandi consensi”.

    67. I governi e i parlamenti membri della NAT