Perché una ricerca sull’etica...

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1 L’etica dei funzionari pubblici di Francesco Merloni 1. Perché una ricerca sull’etica pubblica In questo volume sono pubblicati saggi che presentano una parte dei risultati di una ricerca PRIN dedicata all’etica pubblica 1 La ricerca ha avuto per oggetto l’etica pubblica nella sua dimensione giuridica, non filosofica. Il nostro problema non è quello di giustificare, di dare una base morale al potere (utilitarismo, teoria della giustizia, etiche religiose, ecc.) 2 , ma di verificare e valutare la qualità della disciplina giuridica nella materia. La ricerca è, complessivamente, partita da tre assunti: a) negli ordinamenti giuridici contemporanei, compreso quello italiano, anche presenza di rilevanti fenomeni di privatizzazione sostanziale, l’area delle decisioni pubbliche (di regolazione o di prestazione) non si riduce o mantiene in ogni caso un peso assai rilevante; b) tutti i titolari di poteri pubblici, abbiano essi compiti di indirizzo politico, di gestione, di interpretazione e applicazione di norme giuridiche, operano nel perseguimento di un interesse generale, che si confronta con, ma in definitiva trascende, gli interessi particolari sui quali la decisione pubblica incide; c) nel nostro ordinamento, a partire dalle norme costituzionali sulla imparzialità, è doveroso assicurare il più diffuso rispetto di regole volte ad 1 “Etica pubblica e interessi. Regole, controlli, responsabilità” (coordinatore nazionale: Francesco Merloni). Le unità di ricerca erano quelle di Bologna (due unità), Perugia, Pescara, Torino. 2 Costituiscono una buona sintesi degli approcci filosofici: V MARZOCCHI, Per un’etica pubblica. Giustificare la democrazia, Napoli, 2000; C.A. VIANO, Etica pubblica, Bari, 2002.

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L’etica dei funzionari pubblici di Francesco Merloni

1. Perché una ricerca sull’etica pubblica

In questo volume sono pubblicati saggi che presentano una parte dei risultati di

una ricerca PRIN dedicata all’etica pubblica1

La ricerca ha avuto per oggetto l’etica pubblica nella sua dimensione giuridica,

non filosofica. Il nostro problema non è quello di giustificare, di dare una base

morale al potere (utilitarismo, teoria della giustizia, etiche religiose, ecc.)2, ma

di verificare e valutare la qualità della disciplina giuridica nella materia.

La ricerca è, complessivamente, partita da tre assunti:

a) negli ordinamenti giuridici contemporanei, compreso quello italiano, anche

presenza di rilevanti fenomeni di privatizzazione sostanziale, l’area delle

decisioni pubbliche (di regolazione o di prestazione) non si riduce o mantiene

in ogni caso un peso assai rilevante;

b) tutti i titolari di poteri pubblici, abbiano essi compiti di indirizzo politico, di

gestione, di interpretazione e applicazione di norme giuridiche, operano nel

perseguimento di un interesse generale, che si confronta con, ma in definitiva

trascende, gli interessi particolari sui quali la decisione pubblica incide;

c) nel nostro ordinamento, a partire dalle norme costituzionali sulla

imparzialità, è doveroso assicurare il più diffuso rispetto di regole volte ad

1 “Etica pubblica e interessi. Regole, controlli, responsabilità” (coordinatore nazionale:

Francesco Merloni). Le unità di ricerca erano quelle di Bologna (due unità), Perugia,

Pescara, Torino. 2 Costituiscono una buona sintesi degli approcci filosofici: V MARZOCCHI, Per

un’etica pubblica. Giustificare la democrazia, Napoli, 2000; C.A. VIANO, Etica

pubblica, Bari, 2002.

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indurre nei titolari di poteri pubblici comportamenti “virtuosi”, cioè decisioni

volte alla cura dell’interesse generale.

In questa prospettiva l’etica pubblica equivale al complesso delle regole che

garantiscono il risultato di scelte pubbliche, non in sé “giuste”, ma

“imparziali”, non impropriamente condizionate da interessi particolari. L’etica

pubblica tende così a coincidere con l’imparzialità delle decisioni delle

istituzioni pubbliche. Imparzialità come risultato, come carattere della

decisione pubblica. Per questo approccio insieme oggettivo e soggettivo si

preferisce continuare a parlare di etica pubblica e non di “virtù” o di

“integrità3” pubblica, perché virtù e integrità sono requisiti solo soggettivi,

qualità della persona cui sono affidate funzioni pubbliche.

Anche le scelte politiche, che sembrerebbero il terreno elettivo della

“parzialità”, devono essere imparziali. Possono curare determinati interessi

collettivi, ma mai interessi particolari

La ricerca nel suo insieme intende dare un contributo alla riflessione sull’etica

pubblica in generale, sulla imparzialità delle scelte delle istituzioni

democratiche, sul comportamento dei titolari di compiti pubblici in tutti i

settori in cui tali poteri si esercitano (legislazione, amministrazione,

giurisdizione), anche se l’attenzione maggiore è posta all’imparzialità

nell’amministrazione e nel potere amministrativo.

2. Regole oggettive e regole soggettive

Garantiscono il risultato della scelta imparziale regole, oggettive, che attengono

all’organizzazione delle funzioni pubbliche e allo svolgimento dell’azione:

distribuzione delle competenze, costituzione di uffici e organi, configurazione

dei caratteri dei titolari degli uffici/organi; procedimenti, trasparenza

3 Vedi i riferimenti alla integrity nella disciplina del Regno Unito o all’«integrità» nella recente

legge 4 marzo 2009 , n. 15 (c.d. legge “Brunetta”).

3

sull’organizzazione e sulle decisioni, controlli (non solo tecnici e

amministrativi, ma anche democratici)4.

La scelta imparziale è poi garantita da regole, soggettive, che attengono alla

posizione individuale, personale, del titolare di funzioni pubbliche, che

garantiscono che il soggetto assuma la decisione pubblica non isolato dal

mondo (astratta “neutralità”), ma almeno non impropriamente condizionato da

interessi particolari (a cominciare dai suoi interessi personali) dai quali

l’ordinamento lo deve porre in una situazione di necessaria distanza.

Alle regole soggettive sono dedicati i saggi di questo primo volume5. La ricerca

si è mossa nella ricostruzione di una triplice serie di regole soggettive:

a) le regole volte a disciplinare l’accesso alla titolarità degli uffici e

organi cui sono attribuiti compiti pubblici, più particolarmente le

norme volte a prevenire l’accesso a persone in potenziale conflitto tra

interessi propri (o di gruppi) e interesse generale: ineleggibilità,

incandidabilità, incompatibilità (non solo preventiva, ma anche

successiva);

b) le regole volte a risolvere possibili conflitti di interesse nel corso dello

svolgimento dell’azione da parte dei titolari degli uffici/organi (nei casi

in cui il conflitto insorga solo successivamente): dovere di

dichiarazione della situazione, dovere di astensione dalla

partecipazione alla decisione, doveri di presa di distanza dagli interessi

(blind trust e strumenti consimili);

c) le regole volte a fissare doveri di comportamento, per il periodo di

durata della carica pubblica, nella presa delle decisioni pubbliche, ma

anche al di fuori dello stretto svolgimento dei compiti pubblici.

4 Cui sono dedicati gli altri due volumi che pubblicano i risultati della ricerca: L.VANDELLI (a

cura di), Etica pubblica e buona amministrazione. Quale ruolo per i controlli? e il volume G.

GARDINI E P.LALLI (a cura di), Per un’etica dell’informazione e della comunicazione.

Giornalismo, radiotelevisione, new media, comunicazione pubblica, Milano, 2009. 5 Il profilo delle regole soggettive è curato anche nel volume G. GARDINI, P. LALLI (a cura di),

Per un’etica dell’informazione…, op. cit.. Da segnalare, in particolare, il lavoro di M. Caporale

sull’etica dei giornalisti.

4

Non sono affrontate, se non indirettamente, quanto ai rapporti che

l’ordinamento stabilisce con le regole soggettive e con gli strumenti di diritto

amministrativo, le problematiche di diritto penale.

La scelta non nasce da una sottovalutazione del tema, perché si è ben

consapevoli che oggi la repressione penale dei reati contro la pubblica

amministrazione (in particolare i reati più gravi, corruzione e concussione) è

rimasta quasi la sola risposta visibile delle istituzioni ad arginare il fenomeno

della corruzione6 e della maladministration

7, per l’azione di deterrenza che essa

produce presso i soggetti titolari di compiti pubblici. Essa nasce, oltre che dalla

necessità di concentrare le relativamente scarse risorse a disposizione sulle

risposte fornite dalla disciplina più strettamente amministrativa, dall’idea di

fondo che, per arginare veramente il fenomeno non sia sufficiente “isolare”, sia

pure a fini esemplari, alcuni casi, finendo inevitabilmente per colpire solo

quelli più evidenti e comunque solo quelli che (più o meno casualmente)

vengono ad emergere, ma che occorre rivisitare tutti gli strumenti che possano

contribuire ad una cultura della legalità, della imparzialità e dell’etica pubblica

la più vasta e radicata possibile. In primo luogo presso gli stessi soggetti titolari

6 Sulla corruzione si veda, per tutti, D. DELLA PORTA, A. VANNUCCI, Mani impunite, Bari,

2007, che contiene anche una esaustiva bibliografia (prevalentemente sulla letteratura socio-

politica). Di recente è intervenuta la Memoria del Procuratore generale della Corte dei conti

relativa al Giudizio sul rendiconto generale dello Stato per il 2008 (Roma, 25 giugno 2009), che

così scrive: «Il fenomeno della corruzione all’interno della P.A. è talmente rilevante e gravido di

conseguenze in tempi di crisi come quelli attuali da far più che ragionevolmente temere che il

suo impatto sociale possa incidere sullo sviluppo economico del Paese anche oltre le stime

effettuate dal SaeT (Servizio Anticorruzione e Trasparenza del Ministero della P.A. e

dell’innovazione) nella misura prossima a 50/60 miliardi di euro all’anno, costituenti una vera e

propria “tassa immorale ed occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini”. Altre e

maggiori conseguenze vengono prodotte dalla corruzione serpeggiante nella P.A. sul piano della

sua immagine, della moralità e della fiducia che costituiscono un ulteriore costo non

monetizzabile per la collettività , che rischia di ostacolare (soprattutto in Italia meridionale) gli

investimenti esteri, di distruggere la fiducia nelle istituzioni e di togliere la speranza nel futuro

alle generazioni di giovani, di cittadini ed imprese.» (pag. 237 e ss.). 7 Sulla maladministration e gli strumenti (soprattutto giuridici) di contrasto nell’esperienza

italiana si veda S. CASSESE, «Maladministration» e rimedi, in Foro It., 1992, B.G.

MATTARELLA, Le regole dell’onestà, Bologna, 2007, G. MELIS, Etica pubblica e

amministrazione. Napoli, 1999.

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di funzioni pubbliche (e le loro categorie e strutture associative), in secondo

luogo presso la cittadinanza più in generale. Se il cittadino percepisce che la

corruzione, invece di un sistema al quale rassegnarsi, è un fenomeno

apertamente e tenacemente combattuto già nell’organizzazione e nel

funzionamento delle pubbliche amministrazioni, dovrebbe rinascere una

maggiore fiducia nelle istituzioni democratiche e, forse, anche l’applicazione di

canoni di maggiore virtuosità nella stessa società civile.

L’etica di cui ci occupiamo è “laica”, dà per scontato che il soggetto decida

sulla base di una sua visione del mondo, ma evita che esso sia impropriamente

condizionato da interessi esterni8 e evita che queste visioni del mondo,

soprattutto se consistenti nella partecipazione a partiti politici o a ben definiti

gruppi di interesse (religiosi, etnici, economici, ecc.), possa pregiudicare il

bene, prezioso, dell’affidamento del cittadino nella imparzialità soggettiva del

titolare di compiti pubblici. Il funzionario, come il magistrato, oltre che essere,

deve anche apparire imparziale, così incrementando la fiducia dei cittadini

nella istituzione nelle quale opera e nella democrazia più in generale.

3. Regole soggettive e categorie di soggetti titolari di funzioni

pubbliche

L’approccio, quanto alla individuazione delle figure soggettive oggetto

dell’indagine, è stato molto ampio, perché sono compresi tutti i titolari di

uffici/organi cui sono affidati compiti pubblici.

Nelle pubbliche amministrazioni, quindi, non solo i funzionari professionali,

ma anche i titolari degli organi di governo e i soggetti con incarico fiduciario.

Attenzione è dedicata anche ai magistrati9, non perché oggetto specifico della

8 Tra i condizionamenti esterni un particolare rilievo va dato a quelli derivanti da interessi

economici e i fenomeni di lobbying sul decisore pubblico (politico o amministrativo). Ad essi è

dedicato il saggio di E. Carloni. 9 Vedi il saggio di B. Ponti, dal quale si traggono interessanti spunti sull’attivazione della

responsabilità disciplinare dei magistrati nella prospettiva di una sua possibile rivisitazione per i

funzionari, professionali e non.

6

ricerca sia l’esercizio della funzione giurisdizionale, ma perché la posizione di

indipendenza personale che l’ordinamento deve assicurare ai magistrati può

costituire un valido punto di riferimento per costruire analoghe posizioni di

indipendenza anche per i titolari di uffici/organi all’interno delle pubbliche

amministrazioni.

Nelle pubbliche amministrazioni la figura del “funzionario” si applica tanto ai

titolari degli organi politici che degli uffici/organi amministrativi.

Nel modello a responsabilità ministeriale, vigente fino alla riforma del 1992-

93 con la quale è stato introdotto il principio della distinzione tra politica e

amministrazione, la figura tipica del funzionario finiva per coincidere con

quella del funzionario professionale, anche se il suo ruolo nell’amministrazione

era soprattutto quello di collaboratore con gli organi politici titolari della

decisione finale. Il funzionario professionale, assunto per concorso e legato da

un rapporto di lavoro continuativo e esclusivo, pur subordinato (spesso anche

gerarchicamente) all’organo politico, garantisce l’imparzialità con la sua

neutralità politica, ovvero con la sua disponibilità alla collaborazione,

indipendentemente dall’indirizzo politico espresso degli organi di governo. La

sua collocazione professionale, il suo status10

, garantisce, quindi, la sua

indipendenza tanto dalla politica quanto dagli interessi economici che possono

influire sulla decisione amministrativa.

La figura del dipendente pubblico, in virtù del rapporto di lavoro che si instaura

con l’amministrazione diviene così la figura tipica, ideale, di funzionario, che

dà la garanzia dell’esercizio imparziale del potere amministrativo,

compensando la “parzialità” della politica.

Si comprende quindi come, per definire il rapporto che lega il titolare di un

ufficio o organo che non abbia un sottostante rapporto continuativo ed

esclusivo di lavoro, si sia fatto riferimento alla figura del funzionario,

qualificando il titolare di un organo politico (o le figure che comunque

collaborano solo temporaneamente allo svolgimento di funzioni pubbliche)

10

Alla nozione di status, in generale e applicata ai funzionari professionali, sono dedicate

interessanti pagine nei saggi di B. Gagliardi, D. Casalini. M. Consito

7

come “funzionario onorario11

”, cioè non professionale, legato

all’amministrazione da un rapporto solo di ufficio e destinato a durare per un

tempo determinato, quello dell’incarico ricoperto. Il funzionario onorario non

viene retribuito per la sua prestazione a favore dell’amministrazione (come il

funzionario professionale), ma riceve solo un’indennità, volta a compensare i

mancati introiti (da reddito professionale, da lavoro o di impresa) derivanti

dallo svolgimento della carica.

Pur costruito ad immagine e somiglianza della figura del funzionario

professionale, il funzionario onorario è, nel modello della responsabilità

ministeriale, titolare di rilevanti poteri pubblici: in quanto organo di governo è

titolare quasi esclusivo dei poteri decisionali, sia quanto alla definizione degli

atti normativi e amministrativi generali, sia quanto a puntuali decisioni

amministrative; in quanto soggetto con incarico fiduciario è spesso il più vicino

collaboratore dell’organo politico, ovvero è esso stesso titolare di compiti di

regolazione generale e di gestione puntuale (si pensi ai vertici delle strutture

paraministeriali (agenzie), degli enti pubblici e delle società in controllo

pubblico).

La disciplina del rapporto di ufficio del funzionario onorario, pertanto, non

ignora che occorra garantire la sua imparzialità, la sua distanza da interessi

particolari che possano impropriamente condizionarne le scelte.

In virtù del mancato instaurarsi di un sottostante rapporto continuativo di

lavoro, la disciplina del rapporto tende a trascurare le regole del tipo c), quelle

consistenti nella definizione di doveri di comportamento, anche perché, sempre

in virtù del mancato rapporto di tipo continuativo e di lavoro, non è possibile

configurare un coerente regime di responsabilità, di tipo disciplinare, nel quale,

come si sa, si mescolano profili di responsabilità per mancata o insufficiente

prestazione lavorativa e per violazione di regole di comportamento

nell’esercizio della funzione (nello svolgimento dell’azione) amministrativa.

Largamente praticate, indipendentemente dalla qualità della regolazione e dai

risultati raggiunti12

, sono invece le regole di tipo a), quelle volte a prevenire il

11 Si veda la voce di G. FERRARI, Funzionario onorario., in Enc. Dir.. 12 Sui quali si soffermano i saggi di G. Sirianni e di A. Gualtieri. Si veda anche G. SIRIANNI,

Etica della politica, rappresentanza, interessi, Napoli, 2008.

8

conferimento della titolarità di un organo politico (o fiduciario) a persone che

potrebbero avere interessi in conflitto con l’esercizio imparziale delle funzioni

assegnate all’organo e le regole di tipo b), quelle volte a ridurre al minimo

l’impatto di conflitti di interesse non evitati dalle norme di tipo a), attraverso

limitazioni alla partecipazione della persona in conflitto di interesse alle

decisioni che ne potrebbero essere impropriamente condizionate.

Con il complesso delle regole di tipo a) si curano interessi generali diversi e

non sempre concordanti: da un lato il regime delle ineleggibilità/incandidabilità

è posto innanzitutto a tutela della libertà dell’elettore, che non deve essere

condizionato da candidature che, per radicamento territoriale o per peso delle

risorse economiche a disposizione o per disponibilità di strumenti di influenza

sull’opinione pubblica e sulla scelta del singolo elettore, possono distorcere la

regolare competizione tra liste e candidati diversi; dall’altro lato il regime delle

incompatibilità è, in gran parte, costruito in termini di garanzia della

dedicazione piena del titolare dell’organo al suo ufficio, senza essere distratto

da altri impegni (politici, economici, professionali) e molto meno alla garanzia

della posizione di personale indipendenza del titolare dell’organo rispetto ad

interessi che possano condizionarlo nello svolgimento della funzione.

Le norme di tipo b) sono le più controverse, quanto ai loro effetti di

contenimento dei conflitti di interesse: si pensi alle infinite possibilità di

aggirare il dovere di astensione dalla partecipazione alla decisione (il titolare si

astiene, ma solo al momento formale della adozione dell’atto, avendo avuto

ampia possibilità di condizionare colui che assumerà la decisione finale, spesso

membro del suo stesso organo collegiale) o alle dismissioni solo formali da

responsabilità dirette in attività imprenditoriali o professionali13

.

In entrambe i casi (regole a) e b)), rilevanti sono i problemi di effettiva

applicazione, per la difficoltà a trovare organi adeguati. Le ineleggibilità (e le

incompatibilità) degli organi politici sono spesso affidate a giurisdizioni

domestiche delle assemblee elettive (a salvaguardia, secondo la teoria liberale

classica, della posizione dell’eletto contro le intromissioni dell’esecutivo) e

13 Per una critica al modello italiano di soluzione del conflitto di interessi si veda il saggio di G.

Sirianni. Si veda anche S. PASSIGLI, Democrazia e conflitto di interessi. Il caso italiano,

Firenze, 2001.

9

quindi a decisioni influenzate da logiche politiche; tanto che, da più parti, se ne

propone il superamento, a favore di un regime di incandidabilità, verificabile

da un organo giurisdizionale14

.

Per converso anche la disciplina della posizione del funzionario professionale

risente del modello complessivo. Il funzionario concorre alla decisione, non

l’assume; a questo fine si reputa sufficiente l’incompatibilità oggettiva creata

dall’instaurarsi di un rapporto di lavoro continuativo ed esclusivo con

l’amministrazione per tenere lontani interessi impropri. Se, poi, questa non

dovesse essere sufficiente, soccorrono specifiche regole di incompatibilità

(assai poco praticate), le regole di tipo b) sui doveri di astensione ovvero la

fissazione dei doveri di comportamento, la cui violazione da luogo alla

responsabilità disciplinare.

Si noti che in questo modello il funzionario professionale finisce per equivalere

al “dipendente pubblico”: coloro che concorrono all’esercizio della funzione

sono tutti oggetto di una disciplina tendenzialmente uniforme, che non

distingue, in via preventiva, i doveri in rapporto al grado o all’intensità della

partecipazione del funzionario alla decisione (dell’organo politico).

Una disciplina, quindi, per molti aspetti squilibrata: attenzione per gli organi

politici alle regole di carattere preventivo, che evitano l’assunzione della

carica, che sono però spesso prive di un connesso regime di responsabilità e

soprattutto di organi neutrali che le applichino, con scarsa, se non nulla,

attenzione per la definizione dei doveri di comportamento. Per i funzionari

professionali, all’opposto, scarsa fiducia nella disciplina dell’accesso agli

incarichi, nessuna distinzione in rapporto al grado di partecipazione del

funzionario all’esercizio della funzione, applicazione di regole generali sui

doveri di astensione, articolazione non particolarmente diffusa (se comparata

con le esperienze, ad esempio, francese o tedesca) dei doveri di

comportamento, affidata ad una responsabilità disciplinare, che, già negli

14 Si tratterebbe, secondo queste proposte, di estendere l’istituto già applicato per gli organi

politici delle amministrazioni locali, per contratsare le infiltrazioni della criminalità organizzata.

10

ultimi periodi di applicazione del modello a responsabilità ministeriale,

comincia a trovare una effettività sempre minore15

.

Le posizioni rispettive del funzionario professionale e del funzionario onorario

sono destinate16

a cambiare radicalmente nel sistema basato sulla distinzione

tra politica e amministrazione.

Come si sa, l’effetto giuridico più rilevante dell’introduzione del principio di

distinzione sta nella riserva delle competenze amministrative e di gestione in

capo alla dirigenza amministrativa. Nel nuovo modello l’adozione degli atti a

contenuto puntuale è di competenza dei dirigenti amministrativi che, in via

generale (salva la sola eccezione della c.d. “dirigenza esterna”), sono

funzionari professionali, che si vedono conferire l’incarico dirigenziale sulla

base di una carriera tutta professionale17

. Gli organi politici svolgono compiti

prevalentemente di indirizzo, propedeutici alla decisione finale, spettante al

dirigente. Il modello sembra ribaltato, anche se non mancano strumenti a

disposizione degli organi politici per aggirare la distinzione o comunque per

cercare di condizionare i dirigenti nello svolgimento dell’azione18

.

Non è questa la sede per occuparci del principio di distinzione e della sua

capacità di tenuta di fronte ai reiterati attacchi che subisce.

15 Anche in virtù del processo di contrattualizzazione del rapporto di lavoro, che ha finito per

trasferire quasi per intero nel contratto la definizione dei doveri, delle sanzioni e dei relativi

procedimenti. 16 Anche se la ricerca pone in evidenza la “resistenza” della disciplina dello statuto dei funzionari

pubblici fissata prima della riforma introdotta negli anni 1992-93 ad adattarsi alla nuova

situazione creata dalla riforma. 17 Con esclusione di rappresentanti politici e sindacali dalle commissioni di concorso. Solo il

procedimento per il conferimento dell’incarico vede, molto spesso, il potere di decisione finale in

capo agli organi politici di indirizzo. Si consideri, però, la previsione dell’articolo 23, comma 1,

del d.lgs. n. 165 del 2001, che prevede il passaggio alla prima fascia della dirigenza (quella

generale) statale per quei dirigenti di seconda fascia che «abbiano ricoperto incarichi di direzione

di uffici dirigenziali generali o equivalenti per un periodo pari almeno a tre anni». Si procede in

carriera quindi solo in base ad una nomina, il conferimento dell’incarico dirigenziale generale,

che spetta ancora all’organo politico. 18 Su di essi si veda F. MERLONI, Dirigenza pubblica e amministrazione imparziale, Bologna,

2006, in particolare il capitolo XI.

11

Da quando il principio è stato considerato dalla Corte costituzionale come

principio direttamente derivante dall’articolo 97 Cost.19

, cioè dal principio di

imparzialità, la interpretazione del nuovo regime diviene obbligata: tanto i

titolari degli organi politici (e i soggetti con incarico fiduciario) quanto i

dirigenti amministrativi sono funzionari, nel senso di soggetti che, titolari di

uffici a competenze diverse, partecipano con attività (di esercizio delle

funzioni) che hanno un contenuto diversificato dalla legge (di indirizzo, di

coordinamento da un lato, di gestione, di decisione puntuale, dall’altro), ma che

tutte devono esser considerate come attività di esercizio di una funzione

pubblica.

La precedente distinzione tra funzionario onorario e funzionario professionale

non perde del tutto rilevanza, perché restano le differenze quanto al rapporto di

lavoro sottostante (e alla connessa difficoltà a configurare per gli organi politici

e i soggetti con incarico fiduciario una responsabilità disciplinare), ma si

riempie di nuovi contenuti. La disciplina del rapporto di ufficio (della

posizione del funzionario titolare di un organo) si fa funzionale, nel senso che

deve esser calibrata in rapporto alla natura e ai contenuti delle attività (di

esercizio della funzione) che ciascun funzionario è chiamato a svolgere.

Ciò impone una revisione critica della disciplina vigente (delle tre tipologie di

regole di cui si diceva prima) per valutare la congruità e l’adeguatezza delle

regole soggettive (relative alla persona titolare) al ruolo e alle competenze oggi

attribuite dalla legge all’ufficio/organo.

Così il “funzionario” organo politico, con la distinzione, non è affatto esonerato

dall’obbligo di imparzialità. Imparziale deve essere nella regolazione generale

(con atti normativi e amministrativi generali) perché essa anche se non da

luogo ad un immediato assetto degli interessi in gioco, è comunque una

determinazione che agli interessi attribuisce rilevanza, priorità e grado di tutela.

Imparziale deve essere nella definizione degli atti di indirizzo, perché questi

19 Vedi le sentenze n. 103 e 104 del 2007, oggetto di una ampia serie di commenti. Tra gli altri,

F. MERLONI, Lo spoils system è inapplicabile alla dirigenza professionale: dalla Corte nuovi

passi nella giusta direzione (commento alle sentt. n. 103 e 104 del 2007), in Le Regioni, n.

5/2007, 836-848.

12

orientano la dirigenza amministrativa nella sua azione. L’atto di indirizzo deve

contenere in sé tutti gli elementi per una sua attuazione imparziale (sia pure

nelle scelte di assetto degli interessi che è propria degli atti di indirizzo). Ci si

deve allora domandare se, in via generale e salve le considerazioni specifiche

sulle diverse discipline, sia sufficiente l’approccio che privilegia le regole di

tipo a) (prevenzione nell’accesso alla carica) rispetto alle altre e in particolare

se non si debba percorrere la strada di una predefinizione di doveri di

comportamento nell’esercizio della funzione. Su questa via vi sono esperienze

straniere di grande interesse, da quella dei codes of conduct per i titolari di

cariche di governo nel Regno Unito, a quella che prevede vere e proprie ipotesi

di reato per comportamenti contrari agli ethical standards negli Stati Uniti20

.

Così il funzionario titolare di ufficio con incarico fiduciario21

deve garantire la

sua distanza da interessi in rapporto ai diversi tipi di contributo che esso può

dare alle decisioni pubbliche: alle decisioni degli organi politici (atti normativi

e di indirizzo politico) e alle decisioni degli organi amministrativi. Contributo

collaborativo subordinato nel primo caso; contributo di coordinamento (con

qualche profilo di sovra ordinazione, sia pure non gerarchica) nel secondo. Per

non trascurare i casi, frequenti, nei quali il soggetto con incarico fiduciario si

veda attribuire, ad eccezione del principio di distinzione, competenze di natura

amministrativa e gestionale. Nonostante la sua collocazione più vicina alla

politica che all’amministrazione anche sul soggetto con incarico fiduciario

incombono obblighi di imparzialità soggettiva, da disciplinare con tutte le

tipologie di regole prima indicate, regole che allo stato risultano o totalmente

mancanti o insufficienti. Il tratto fondamentale dell’attuale disciplina è che le

regole di imparzialità soggettiva derivano, per questi soggetti, dal rapporto di

lavoro ordinariamente svolto prima dell’attribuzione dell’incarico. Un

20 Vedi il Ministerial code, assistito da un imponente serie di organi di controllo (vedi in

proposito il saggio di P.Leyland). La natura giuridica di questo, come degli altri codici di

condotta resta incerta se, come ci ricorda Leyland, si propone di legificare la materia, con un atto

del Parlamento che disciplini in generale il Civil Service, fissando principi di etica da applicare

poi a tutti i titolari di cariche pubbliche. Per l’esperienza degli USA si veda il saggio di F.

Clementi. 21 Alla disciplina dei soggetti con incarico fiduciario è dedicato il saggio di F. Merloni.

13

magistrato amministrativo nominato Capo di un gabinetto ministeriale

conserva i doveri di comportamento legati al suo status; il Segretario generale,

se scelto tra i dirigenti generali, conserva il suo status e così via. Manca una

considerazione attenta del regime di

ineleggibilità/incandidabilità/incompatibilità/, del regime di distanza dagli

interessi, del regime dei doveri di comportamento (e connesso sistema di

controllo e sanzione) che sia legata alla particolare attività richiesta

dall’incarico conferito. Manca totalmente, infine, una disciplina della

posizione, assai delicata, dei consulenti politici, cioè di quegli esperti che

operano in posizione di staff, in stretta collaborazione con l’organo politico,

ma in grado di condizionarne le scelte in modo significativo22

Così il funzionario professionale diviene, nel nuovo sistema, garante in prima

persona dell’imparzialità. Il principio di distinzione vuole infatti che la riserva

sia operata a favore di soggetti, i dirigenti amministrativi, che altro non sono

che dei funzionari professionali, tenuti ad operare secondo l’indirizzo politico

legittimamente espresso dagli organi di governo, ma sottratti alle intromissioni

o agli impropri condizionamenti di questi ultimi. E’ evidente che la diretta

attribuzione di competenze operative, per tutti gli atti che impegnano

l’amministrazione verso l’esterno, cambia radicalmente il contributo del

funzionario dirigente all’esercizio della funzione. Se prima egli era solo un

collaboratore subordinato dell’organo politico decisore finale, oggi è egli stesso

decisore finale, colui che individua, previa valutazione degli interessi in gioco,

l’interesse pubblico nel caso concreto. Ed è in rapporto a questo nuovo ruolo

che vanno esaminate le regole volte a garantire l’imparzialità soggettiva del

funzionario.

La prima conseguenza visibile è che diviene sempre meno comprensibile una

disciplina indifferenziata del funzionario pubblico, che non distingua tra

dipendente/funzionario pubblico che continua a volgere il tradizionale ruolo di

supporto (conoscitivo, istruttorio, valutativo dei fatti e degli interessi) della

decisione (che può essere relativa ad atti di indirizzo degli organi politici, di

22 Anche in questo campo l’esperienza del regno Unito si presenta molto ricca, a cominciare dal

Code of Conduct for Special Advisers, su cui si sofferma il saggio di P. Leyland.

14

coordinamento dei soggetti fiduciari, di gestione dei dirigenti) e il funzionario

pubblico dirigente, titolare in proprio dell’organo amministrativo, decisore

finale. Esiste sicuramente una larga base comune di regole23

volte a garantire

l’imparzialità soggettiva di tutti i funzionari professionali, ma vi sono regole e

doveri che possono esser fatti gravare solo sui dirigenti, in rapporto al

contenuto delle attività che sono loro riservate dalla legge. Per fare solo un

esempio: mentre la compatibilità tra lavoro pubblico e appartenenza ad un

partito politico non pone particolare problemi per i dipendenti privi di

competenze decisionali, lo stesso non vale per i dirigenti amministrativi, per i

quali, se non altro, si potrebbero applicare limitazioni quando lo svolgimento di

determinati compiti e cariche di natura politica possa porre in dubbio la loro

imparzialità. Si pensi alla possibilità di candidarsi ad elezioni, anche

amministrative, in pendenza dell’incarico dirigenziale o al dovere di astenersi

dall’ostentazione della propria appartenenza politica24

.

Ma anche la base comune di regole presenta limiti non secondari: assai

modesto il regime delle regole di tipo a)25

; deboli, come segnalato in via

generale, le regole di tipo b); di incerta natura e efficacia le regole di tipo c).

Nel primo caso vale un regime di incompatibilità generale fondato, come

tradizione, più sulla garanzia della prestazione lavorativa che sulla prevenzione

di conflitti di interesse e comunque non articolato su cause specifiche e

preventivamente individuate di incompatibilità, ma solo su un sistema,

successivo, di autorizzazione26

, che lascia un ampio margine di discrezionalità

alle amministrazioni (per le quali il soggetto autorizzante è molto differenziato,

23 Alla cui rivisitazione sono dedicati tutti i saggi della Sezione II del presente volume, che si

occupa dei funzionari professionali. 24 Per un esame comparato dello statuto dell’alto funzionario pubblico vedi F. MERLONI,

Dirigenza pubblica…, op. cit., 87-109. Particolarmente significativi, sotto il profilo del rapporto

con la politica, gli esempi francese e tedesco. 25

Per un’analisi critica della disciplina vigente sulle incompatibilità dei dirigenti si vedano F.

MERLONI, L’Etica della dirigenza pubblica, in G. D’ALESSIO (a cura di), L’amministrazione

come professione, Bologna. 2008, 201-208. Quanto alle prospettive future vi è la delega, già

richiamata, della legge Brunetta, per «rivedere la disciplina delle incompatibilità per i dirigenti

pubblici» (articolo 6, comma 1, lettera m), che contiene, però, solo criteri sulla compatibilità con

cariche sindacali e politiche. 26 Vedi il saggio di M. Longo.

15

potendosi avere la competenza dell’organo politico, del soggetto con incarico

fiduciario, di una sovraordinato organo amministrativo). Nel terzo caso, i

doveri di comportamento, siamo in presenza di una curiosa situazione. Da un

lato, infatti, il d.lgs. n. 165 sembra voler differenziare la posizione del

personale non dirigenziale da quello dirigenziale. Negli allegati al decreto,

infatti, le norme del T.U. del 1957 (d.P.R. n. 3) relative alla individuazione dei

doveri (articoli da 13 a 17) sono soggette alla cessazione degli effetti a seguito

della sottoscrizione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-9727

, ma solo

per il personale non dirigenziale. Per i dirigenti, invece, tali norme sono

mantenute in vigore.

La conseguenza che ci si potrebbe attendere è che per i primi (il personale non

dirigenziale) si applicheranno le norme del Codice di comportamento dei

dipendenti delle pubbliche amministrazioni in quanto recepito dai contratti

collettivi28

, mentre per i secondi (i dirigenti) si applicano solo le norme del

T.U. espressamente mantenute in vigore.

Ma non è così: accogliendo le più convincenti ricostruzioni sulla natura e

l’efficacia del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici29

si deve

concludere che il Codice di comportamento, anche se non recepito dai

contratti30

, è comunque fonte normativa che dispiega direttamente i suoi

effetti31

. I dirigenti, quindi, sono tenuti al rispetto sia delle disposizioni del T.U.

del 1957 che del Codice di comportamento.

Se, poi, andiamo a comparare i contenuti delle due diverse discipline ci

accorgiamo che i doveri di cui agli articoli da 13 a 17 del T.U. del 1957 sono

espressi in termini molto sintetici, si direbbe in norme che si limitano a stabilire

principi generali di azione, mentre il Codice non è altro che una puntuale

articolazione dei doveri così individuati, con alcune disposizioni aggiuntive

27 In realtà la disposizione intende produrre l’effetto della disapplicazione delle disposizioni del

T.U. del 1957 sui doveri di comportamento dalla sottoscrizione dei contratti collettivi per il

quadriennio 1994-97 in poi. 28

Ai quali ormai esso è sempre aggiunto in allegato. 29 Vedi E. CARLONI, Ruolo e natura dei c.d. «codici etici» delle amministrazioni pubbliche, in

Dir. Pubbl. n. 1, 2002. 30 Il codice non è stato fin qui recepito nei contratti collettivi per la dirigenza. 31 Secondo questa ricostruzione il Codice di comportamento si applica anche per il personale

pubblico non contrattualizzato.

16

autonome. In conclusione: il trattamento del personale non dirigenziale

(contrattualizzato o meno) e dirigenziale si trova, ancora una volta, ad esser

quasi del tutto allineato, nel rispetto di una disciplina che contiene doveri

abbastanza generici e indifferenziati e soprattutto non assistito da un efficace

sistema di responsabilità disciplinare32

.

4. Funzioni e funzionari nella Costituzione italiana

Il nuovo principio di distinzione tra politica e amministrazione e la necessaria

rivisitazione delle regole di garanzia dell’imparzialità soggettiva delle diverse

figure di funzionari pubblici (politici, fiduciari, professionali) consente anche

di rileggere in modo organico le diverse disposizioni costituzionali relative ai

funzionari.

La recente giurisprudenza della Corte costituzionale pone al centro il principio

di imparzialità, da combinarsi con quello di buon andamento, ma sempre nel

senso che è il primo a dover essere in ogni caso garantito. L’amministrazione

deve essere funzionale (efficace, efficiente, economica), ma non può non essere

imparziale. All’imparzialità si deve, ove necessario, anche sacrificare (in parte,

nella misura minore possibile) anche la funzionalità. La gara per la scelta del

contraente va effettuata in ogni caso, anche se questo comporta delle

inefficienze e dei ritardi nello svolgimento dell’azione amministrativa. Un atto

amministrativo adottato nel rispetto delle regole del buon andamento ma

viziato per parzialità viene annullato dal giudice amministrativo, mentre non

vale l’inverso: un atto impeccabile sul piano dell’imparzialità, ma adottato in

modo da causare uno spreco di risorse pubbliche non è annullabile.

La norma di riferimento, di carattere oggettivo, è quindi l’art. 97 primo comma

che impone che l’organizzazione degli uffici sia disciplinata dalla legge a fini

di imparzialità.

Le conseguenze da trarne sotto il profilo soggettivo sono abbastanza chiare: le

«sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari»

del secondo comma dell’art. 97 si riferiscono ai funzionari professionali.

32 Sulla responsabilità disciplinare si vedano i saggi di G. Racca e S. Ponzio.

17

Sempre secondo la Corte, la riserva di competenza in capo ai dirigenti (che

sono funzionari professionali) è diretta attuazione del principio di imparzialità.

La posizione soggettiva dei funzionari, la professionalità del rapporto che li

lega all’amministrazione è, di per sé stessa, un garanzia di imparzialità, come

distanza dalla politica e dagli impropri condizionamenti che essa potrebbe

attuare sulla decisione pubblica.

Il funzionario professionale è “protetto” dalla politica sia dal principio

dell’accesso mediante concorso (art. 97, terzo comma), sia dal principio che «i

pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione», laddove per

Nazione si legga non un riferimento solo enfatico, ma un’espressa volontà di

porre il pubblico impiegato/funzionario, in modo continuativo ed esclusivo

(cioè professionale), al servizio dell’interesse generale, sottraendolo ai

condizionamenti di parte33

. Oggi potremmo dire che il costituente aveva di

mira il funzionario collaboratore subordinato, che opera al supporto di

decisioni spettanti ad organi politici. Tale previsione continua ad avere una sua

validità, laddove il funzionario continui a svolgere funzioni di supporto; ma

vale, a maggior ragione, quando le attività di esercizio della funzione affidate

al funzionario diventano, direttamente, attività di decisione finale, di adozione

di atti di individuazione dell’interesse pubblico nel caso concreto.

Se gli articoli 97 e 98 contengono disposizioni che riguardano i soli funzionari

professionali, altre disposizioni costituzionali devono esser riferite alla nozione

più ampia e comprensiva di funzionario, che comprende tutti coloro che a vario

titolo, con attività a contenuto diverso (di indirizzo, di coordinamento, di

gestione) contribuiscono all’ esercizio della funzione.

Così il riferimento ai «funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti

pubblici» di cui all’art. 28 Cost. è da considerarsi una endiadi volta a non

sottrarre nessun funzionario (nel senso più ampio del termine) alle

33 Vedi G. MARONGIU, Funzionari e ufficio nell’organizzazione amministrativa dello Stato, in

G. MARONGIU, La democrazia come problema, Bologna, 1994, 229 ss, che ricorda come la

norma sia di derivazione tedesca (dalla costituzione di Weimar) dove essa aveva appunto la

funzione di sottrarre il funzionario all’influenza della politica. Appare evidente che il riferimento

all’interesse generale in contrasto con gli interessi di parte non esclude solo gli interessi della

politica, ma anche gli interessi privati, economici o professionali, che potrebbero impropriamente

condizionare le scelte pubbliche.

18

responsabilità connesse allo svolgimento concreto delle competenze affidate

all’ufficio/organo di cui sono titolari.

Così, soprattutto, deve esser letta la disposizione di cui all’articolo 54: «i

cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con

disciplina ed onore». Vista la collocazione della norma (nel titolo relativo ai

«Rapporti politici») si può anche pensare che il costituente avesse in mente

soprattutto i cittadini che assumono cariche pubbliche, rappresentative, elettive,

si direbbe per un tempo determinato. Ma la disposizione può essere letta come

norma generale, strettamente connessa al principio di imparzialità: la disciplina

e l’onore richiamano il dovere del funzionario, comunque esso abbia assunto la

titolarità della carica pubblica, di essere imparziale e di apparire come tale,

osservando regole soggettive che gli impongano specifici doveri di

comportamento, connessi alle caratteristiche e al contenuto delle attività

attribuite all’ufficio/organo di cui è titolare. Nello svolgimento di queste

attività, ma anche al di fuori dei “doveri di ufficio”, il funzionario deve essere

“virtuoso” e “integro”, sottratto a condizionamenti impropri.

Questa rilettura delle disposizioni costituzionali offre, in definitiva, una solida

base per la rivisitazione che qui si è tentata della disciplina vigente e per una

suo riscrittura organica.

5. Regole giuridiche e regole “etiche”

Le norme giuridiche (penali, civili, amministrative) coprono solo una parte

delle regole che prescrivono comportamenti

Nelle norme giuridiche il nesso prescrizione/sanzione è ineliminabile. Alla

definizione di uno status, comprensivo di limitazioni e di doveri si accompagna

necessariamente la previsione di misure sanzionatorie in caso di loro

violazione.

Accanto a norme giuridiche è significativa la tendenza all’adozione di norme

etiche, soprattutto nella forma di codici di comportamento. In alcuni casi, come

da noi, si è dato (attraverso il recepimento nei contratti collettivi) valore

giuridico al codice di comportamento dei dipendenti pubblici.

19

Le norme etiche (soprattutto i codici di comportamento adottati da singole

categorie e non rese giuridicamente vincolanti) si pongono al di qua (prima)

della legge e al di là di essa. Ad esempio norme etiche contengono regole di

condotta ulteriori e più dettagliate (di sviluppo) di quelle giuridiche.

Le norme etiche contribuiscono a fissare un quadro di regole più soft, perché

non necessariamente assistito da sanzioni giuridicamente rilevanti.

Le norme etiche non sono necessariamente del tutto prive di sanzioni: la loro

violazione può comportare conseguenze negative (come la riprovazione del

gruppo di appartenenza) che l’interessato può avvertire persino come più gravi

di quelle giuridiche.

Le norme etiche contribuiscono all’individuazione di un’area grigia di regole al

confine tra il lecito e l’illecito, che consente di “sperimentare”la possibilità di

indurre comportamenti virtuosi senza imporli con norme giuridiche.

Si possono quindi comprendere i variegati rapporti che si stabiliscono tra le due

categorie di norme, con la possibilità di passaggio di singole ipotesi, di singoli

doveri di comportamento, dall’una all’altra. Si pensi, ad esempio, alla

possibilità di fissare con norme giuridiche solo alcuni principi generali (come

avviene da noi, con le norme del T.U. del 1957 e, tutto sommato, con lo stesso

Codice di comportamento), rinviando l’ulteriore articolazione e specificazione

dei doveri alla concreta attività di applicazione, in sede di responsabilità

disciplinare (e alla relativa giurisprudenza, ordinaria e amministrativa). Ovvero

rinviando, più o meno esplicitamente, proprio a codici privi di valore giuridico,

ma dotati di un diversa efficacia normativa perché frutto dell’autodisciplina di

categorie interessate ad aumentare il loro prestigio e la fiducia nella loro

imparzialità.

In questo modo si possono anche “sperimentare” nuovi e più rigorosi doveri in

vista di una loro “giuridicizzazione”, cioè del loro recepimento con norme

giuridiche, assistite dalle relative sanzioni. La soft law non come secca

alternativa , ma come complemento e integrazione della hard law.

Il fatto che vi sia una evidente tendenza, in vari ordinamenti, a dare un ruolo

crescente alle norme etiche non deve alimentare l’dea che l’”etica pubblica” di

cui qui ci siamo occupati coincida solo con questa categoria di norme: essa,

come si è detto, è il risultato dell’applicazione del complesso delle norme che

20

si preoccupano di fissare doveri di comportamento, siano esse giuridiche o

etiche.

6. Necessità di un approccio globale ed organico. Un nuovo

statuto del “funzionario pubblico”

Per entrambe le categorie di regole (giuridiche ed etiche) la ricerca ha fatto una

ricognizione accurata, ha accertato il grado di effettività, ha analizzato

criticamente l’efficacia, cioè la capacità della regolazione di garantire nel suo

complesso il risultato atteso (l’imparzialità personale del soggetto titolare di

cariche pubbliche).

Le singole regole non possono essere isolate dal contesto. Le regole

amministrative, qui classificate secondo le tre tipologie prima indicate, devono

essere valutate, quanto all’efficacia, insieme alle norme penali, da un lato, alle

norme solo etiche dall’altro. La disciplina dei doveri di comportamento di un

funzionario pubblico professionale deve essere vista insieme ai sistemi di

controllo e di sanzione che vengono introdotti per assicurarne l’efficacia e

l’effettività, ma anche quanto al completamento che alla articolazione dei

doveri può derivare dalle norme di carattere etico (nel senso più volte indicato).

Anche il rapporto tra regole amministrative e regole penali ne potrebbe

risultare profondamente modificato.

Oggi, in un quadro di insufficiente contrasto amministrativo delle violazioni

dei doveri di comportamento, la repressione penale svolge un oggettivo ruolo

di supplenza, non privo di gravi lacune, da più parti segnalato: la repressione è

episodica, dipende dalla segnalazione di specifiche fattispecie di reato e spesso

è inefficace (molti rinvii a giudizio danno luogo ad assoluzione perché l’accusa

configura come reati comportamenti in realtà leciti); isola le fattispecie più

gravi e intorno ad esse può conseguire un discreto livello di deterrenza, ma non

crea una cultura diffusa della legalità e dell’imparzialità. Se isolata e percepita

come inefficace, la risposta penale può, addirittura, provocare, diffusi fenomeni

di omertà e di copertura corporativa di comportamenti devianti.

21

L’ipotesi che sta alla base della nostra ricerca è che la stessa azione repressiva

penale è più efficace se può trovare una solida base di regole amministrative ed

etiche che contribuiscono alla condivisione di valori etici e di comportamenti

“virtuosi” da parte della generalità dei funzionari pubblici (nel senso più

ampio: politici, fiduciari, professionali).

La regolazione complessiva oggetto della nostra indagine va riferita anche al

complesso delle categorie di soggetti titolari di poteri pubblici. Regolare solo

alcuni di essi (solo i politici, solo i soggetti con incarico fiduciario, solo i

funzionari professionali) non consente di raggiungere il risultato di una diffusa

condivisione dei valori.

La piena applicazione dei principi costituzionali impone, quindi, la definizione

di uno “statuto” comune del funzionario pubblico, che disciplini tutto il

complesso delle regole soggettive al fine di garantire il rispetto dei principi

generali di etica pubblica e di imparzialità. Vi sono dei principi generali che

tutti discendono dalla moderna interpretazione che qui si è data delle nozioni di

“disciplina” e di “onore” di cui all’articolo 54 Cost34

, che, come si è visto, si

applica per tutti i soggetti «cui sono affidate funzioni pubbliche», senza

eccezioni.

Questo statuto comune non trova più il suo fondamento in un sottostante

rapporto di lavoro (che giustificava l’attribuzione di uno status ai funzionari

professionali, mentre questo veniva negato ai funzionari onorari), ma nello

svolgimento delle funzioni pubbliche.

Questo statuto comune non è, però, sufficiente. Le regole generali ricavabili

direttamente dall’art. 54 possono anche essere considerate direttamente

applicabili35

e quindi adattabili, in sede applicativa e giurisprudenziale, a

diverse fattispecie. Resta comunque evidente l’utilità di differenziare le regole

in rapporto alle diverse situazioni di svolgimento delle funzioni pubbliche

attribuite ai soggetti titolari di uffici e organi pubblici.

34

Si vedano, in particolare, i contributi di R. Cavallo Perin e di G. Sirianni. 35

Vedi il contributo di R. Cavallo Perin.

22

Partendo dal nucleo comune e fondante dei principi generali dell’etica

pubblica, lo statuto del funzionario si può articolare, si può differenziare in

rapporto alla diversità delle funzioni svolte (normative, di indirizzo, di

gestione, di collaborazione all’indirizzo, di collaborazione alla gestione). Si

può funzionalizzare36

adeguandosi alle diverse esigenze di imparzialità.

7. L’etica pubblica e la trasparenza

L’efficacia delle regole volte a garantire l’imparzialità soggettiva dei titolari di

funzioni pubbliche, sia quanto alla condivisione di valori e comportamenti

virtuosi da parte delle diverse categorie di funzionari pubblici, sia quanto

all’effetto deterrente verso comportamenti devianti, dipende largamente dal

grado di conoscenza che di esse consegua il pubblico, cioè la generalità dei

cittadini.

L’affermazione, appena fatta, che uno dei modi per arrivare ad innalzare il

grado di eticità di virtuosità dei pubblici funzionari sta nella condivisione di

regole, giuridiche o solo etiche, da parte delle categorie dei funzionari pubblici,

non vuole affatto predicare una gestione separata, riservata, dell’applicazione

delle regole.

Si parte invece dal presupposto, diverso se non opposto, che una diffusa

conoscenza delle regole da parte del cittadino sia un potente strumento di

garanzia di comportamenti virtuosi.

Si pensi all’articolazione dei doveri di comportamento, sia pure differenziati tra

le diverse categorie di funzionari e in rapporto al contenuto della attività svolte,

contenuta nella legge, in norme regolamentari dell’amministrazione (o nei

contratti collettivi di disciplina del rapporto di lavoro) o in codici etici di

autoregolamentazione delle categorie di funzionari. La diffusa conoscenza di

queste regole da parte del cittadino ha un duplice effetto positivo: da un lato

36

La sentenza n. 103 del 2007 della Corte costituzionale sembra svalutare, anche per i

funzionari professionali, gli elementi di status a favore di una disciplina, come quella

vigente, definita come «funzionale» (considerato in diritto n. 8). Per una critica di

questa svalutazione si veda F. MERLONI, Lo spoils system è inapplicabile… op. cit.,

846.

23

alimenta il suo controllo democratico e il suo affidamento verso l’assunzione di

comportamenti etici da parte dell’amministrazione e dei suoi funzionari; il

controllo democratico costituisce una indubbia pressione dell’opinione

pubblica sul funzionario, che sente in tal modo che comportamenti devianti

sono ripudiati non solo dagli appartenenti alla categoria, ma dalla generalità dei

cittadini; dall’altro lato la conoscenza delle regole e la convinzione (che

progressivamente potrà realizzarsi) che esse siano applicate

dall’amministrazione in modo generalizzato, con efficaci strumenti di controllo

e sanzione, contribuisce ad innalzare il grado di condivisione dei valori di

imparzialità e di virtù pubblica presso i cittadini, che dovrebbero tendere ad

assumerli come propri valori di riferimento.

Il valore della trasparenza si afferma, sempre di più, in stretta connessione con

le esigenze di controllo sull’organizzazione delle pubbliche amministrazioni.

Se l’organizzazione degli uffici è, di per sé, ancora prima dello svolgimento

dell’azione, una garanzia per il cittadino37

, la conoscenza diffusa

dell’organizzazione è strumento essenziale di tale garanzia.

Nell’organizzazione da rendere conoscibile non stanno solo gli elementi

oggettivi, la predeterminazione delle competenze degli organi, ma quelli

soggettivi: la configurazione delle caratteristiche personali dei loro titolari, e

la disciplina del rapporto che lega questi ultimi alle pubbliche amministrazioni.

Tra gli strumenti di trasparenza38

, particolare attenzione deve essere data,

anziché all’accesso (che assicura solo un’informazione parziale, episodica e

soggettivamente limitata), alla pubblicità, che può essere progressivamente

ampliata dalla legge e imposta alle pubbliche amministrazioni

Sulla pubblicità da assicurare sull’organizzazione va segnalato un crescendo di

previsioni, soprattutto negli ultimi anni: dapprima la legge modificativa della

legge sul procedimento amministrativo (l. n.15 del 2005), all’articolo 2639

; poi

37 Vedi F. MERLONI, Interesse pubblico, funzioni amministrative e funzionari alla luce del

principio di distinzione tra politica e amministrazione, relazione al Convegno“Interesse pubblico

e disegno organizzativo delle Pubbliche Amministrazioni” (Palermo 20-21 febbraio 2009). 38 Sulla trasparenza si vedano i saggi pubblicati nel volume di F. MERLONI (a cura di), La

trasparenza amministrativa, Milano, 2008. 39 Che prevede la pubblicazione di: «le direttive, i programmi, le istruzioni, le circolari e ogni

atto che dispone in generale sull’organizzazione, sulle funzioni…».

24

il codice dell’amministrazione digitale (d.lgs. n. 82 del 2005), all’articolo 5440

;

infine la legge n.15 del 200941

, che presenta novità significative.

In primo luogo la individuazione della trasparenza come «livello essenziale

delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche a norma dell’articolo

117, comma 2, lettera m) della Costituzione»42

.

In secondo luogo una definizione innovativa e aperta del contenuto della

trasparenza43

.

Anche l’Italia sta intraprendendo la strada di uno stretto collegamento tra etica

pubblica e trasparenza, già seguita da tempo in diverse esperienze straniere, la

più significativa delle quali quella del Regno Unito44

8. La dimensione internazionale

La ricerca ha come oggetto la disciplina italiana dell’etica pubblica, ma si

ispira largamente alle esperienze di altri paesi, i cui ordinamenti dedicano al

tema un’attenzione molto più rilevante che da noi. Questa attenzione è

dimostrata da una parte nei singoli saggi, che utilizzano lo strumento della

comparazione per meglio comprendere qualità e limiti della nostra regolazione

40 Che stabilisce i contenuti minimi dei siti informatici delle pubbliche amministrazioni ed

enumera i dati relativi a «l’organigramma, l’articolazione degli uffici, le attribuzioni e

l’organizzazione di ciascun ufficio anche di livello dirigenziale non generale, non ché il settore

dell’ordinamento giuridico riferibile alle attività da essi svolta, corredati dai documenti anche

normativi di riferimento» (comma 1, lettera a)). 41 Legge 4 marzo 2009 , n. 15 42

Vedi l’articolo 4, comma 6. Il riferimento ai livelli essenziali rafforza, sia per l’accesso che per

la pubblicità, la configurazione della situazione giuridica del cittadino come vero diritto. In

questo senso vedi C. MARZUOLI, La trasparenza come diritto civico alla pubblicità, in F.

MERLONI (a cura di), La trasparenza…, op. cit., 60. 43 Articolo 4, comma 7: «la trasparenza è intesa come accessibilità totale (corsivo nostro), anche

attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti internet delle pubbliche amministrazioni,

delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni

(corsivo nostro), degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per i

perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione

svolta in proposito dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del

rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità». 44 Tutti i «codes of conduct» emanati di recente per le diverse categorie di «Holders of public

office» si ispirano ai sette «Principles of Public Life», tra i quali in stretta connessione: Integrity,

Accountability, Openness, Honesty.

25

e dall’altra dai saggi dedicati a singole esperienze straniere, scelte tra le più

significative45

.

Più nell’ombra, per le già ricordate limitazione temporali e di risorse,

l’esperienza, in crescita, della lotta a livello internazionale contro i fenomeni di

corruzione e di maladministration. Come si ricava dalle riflessioni dedicate

all’argomento46

si moltiplicano strumenti internazionali, su base

convenzionale, per indurre i vari Stati firmatari e ratificanti ad adottare

politiche sempre più efficaci di prevenzione e repressione, tra le quali un posto

del tutto eminente è occupato dalle politiche di repressione con strumenti di

diritto penale. Non mancano, però, attenzioni all’adozione di politiche più

ampie, così come alla prevenzione, con strumenti di tipo amministrativo e con

regole sulla condotta dei pubblici funzionari.

Chiunque nel futuro si vorrà occupare del tema dell’etica pubblica non potrà

non prestare la dovuta attenzione agli impegni internazionali che l’Italia

assume, spesso inconsapevole degli obblighi che da essi derivano, salvo poi a

verificare la propria condizione di inadempienza e, quel che è peggio, la

precaria situazione dell’etica pubblica nel nostro paese, nelle pubbliche

istituzioni e nella società civile.

45 Si vedano i saggi di J.L. Carro per la Spagna, F. Clementi per gli Stati Uniti, B. Gagliardi per

la Francia, P. Leyland per il Regno Unito, D. Schefold per la Germania. 46 Vedi il saggio di S. Bonfigli.