Imaging La nascita del DNA - bios-spa.it · ESEGUITE CON METODICHE ... Ecocardiogramma,...

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BIMESTRALE DI INFORMAZIONE E AGGIORNAMENTO MEDICO N. 3 - 2013 Edizioni BIOS S.p.A. Sovrappeso e obesità in età evolutiva: cosa fare? Imaging in senologia: tra presente e futuro La nascita del DNA

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BIMESTRALE DI INFORMAZIONE E AGGIORNAMENTO MEDICO N. 3 - 2013

Edizioni BIOS S.p.A.

Sovrappeso e obesità in età evolutiva: cosa fare? Imaging in senologia: tra presente e futuro La nascita del DNA

DIAGNOSTICADILABORATORIO

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ANALISICLINICHEESEGUITECONMETODICHEADALTATECNOLOGIA

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Periodico della BIOS S.p.A. fondata da Maria Grazia Tambroni Patrizi

Direttore ResponsabileFernando Patrizi

Direzione ScientificaGiuseppe Luzi

Segreteria di RedazioneGloria Maimone

Coordinamento EditorialeLicia Marti

Comitato ScientificoArmando CalzolariCarla CandiaVincenzo Di LellaFrancesco LeoneGiuseppe LuziGilnardo NovellliGiovanni PeruzziAugusto VellucciAnneo Violante

Hanno collaborato a questo numero:Irene Carunchio, Alessandro Ciammaichella, Annarita D’Angelo, Marco Falomi, Silvana Francipane, Francesco Leone, Giuseppe Luzi, Mario Pezzella, Giorgio Pitzalis, Maria Giuditta Valorani, Lelio R. Zorzin

La responsabilità delle affermazioni contenute negli articoli è dei singoli autori.

Direzione, Redazione, AmministrazioneBIOS S.p.A. Via D. Chelini, 3900197 Roma Tel. 06 [email protected]

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Edizioni BIOS S.p.A.Autorizzazione del Tribunale di Roma:n. 186 del 22/04/1996

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In merito ai diritti di riproduzione la BIOS S.p.A.si dichiara disponibile per regolare eventuali spettanze relative alle immagini delle quali non sia stato possibile reperire la fonte

Pubblicazione in distribuzione gratuita.

Finito di stampare nel mese di giugno 2013

BIOS S.p.A.Struttura Sanitaria PolispecialisticaVia D. Chelini, 39 - 00197 RomaDir. Sanitario: dott. Francesco LeoneCUP 06.809.641

Un punto di forza per la vostra salute

Gli utenti che, per chiarimenti o consulenza professionale, desiderano contattare gli autori degli articoli pubblicati sulla rivista Diagnostica Bios, possono telefonare direttamente alla sig.ra Pina Buccigrossi al numero telefonico 06 809641.

L’EDItORIALE 2Una gestione strategica della salute per affrontare la crisi economica

Imaging in senologia: tra presente e futuro 3Marco Falomi

Una molecola multiuso nell’evoluzione: l’acido sialico 11Mario Pezzella

mIxING 16Alessandro Ciammaichella

A tUttO CAmPOLa nascita del DNA 18Giuseppe Luzi

IL PUNtOSovrappeso e obesità in età evolutiva: cosa fare? 20Giorgio Pitzalis

SELECtIO 28

LEGGERE LE ANALISIIl potassio e la potassiemia 29Francesco Leone

ImPARARE DALLA CLINICALa gotta: storia, eziopatogenesi 31Lelio R. Zorzin, Silvana Francipane

BIOS – NOvItà PER IL mEDICOUn indicatore della riserva ovarica 36Irene Carunchio, Annarita D’Angelo

fROm BENCH tO BEDSIDE 38a cura di Maria Giuditta Valorani

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L’E

DIt

OR

IAL

E UNA GEStIONE StRAtEGICA DELLA SALUtE PER AffRONtARE LA CRISI ECONOmICAGiuseppe Luzi

Nel 1948 venne firmato l’atto costitutivo dell’Or-ganizzazione Mondiale della Sanità (OMS),

che includeva e sostituiva precedenti istituzioni va-riamente disperse. Nel 1949 compare la definizione di salute come “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente un’assenza di malattia o infermità”. Oggi possiamo definire tre cardini essenziali che agiscono sull’individuo per la “costruzione” di uno stato di salute: caratteri genetici (genotipo, con i correlati fattori di rischio ereditari), qualità dell’ambiente (fattori di rischio biologico, fi-sico, ma anche economico, sociale), comportamento e abitudini individuali (alimentazione, attività fisica, sovrappeso, uso di droghe, abitudine al fumo, etc.). È immediatamente evidente come la definizione di salute che fornisce l’OMS sia un auspicio, un pro-getto ottimale.

Lo stato di salute di un individuo (e di una po-polazione) è in sintesi definito/influenzato da nu-merosi fattori che agiscono contemporaneamente. Questi fattori sono i determinanti della salute che in varia misura possono condizionare sia l’insorgenza dei diversi fenomeni morbosi sia l’evoluzione stes-sa della salute. Nel corso degli ultimi anni l’atten-zione della comunità scientifica si è concentrata su due fondamentali obiettivi strategici: la promozione della salute e il concetto di prevenzione. Con questo approccio la finalità è stata/è quella di ridurre la spe-sa sanitaria e arrivare a un decremento del numero degli accessi negli ospedali, con riduzione del con-sumo dei farmaci e minore ricorso a prestazioni sa-nitarie. I risultati però non sono stati molto brillanti e mettono in luce, per esempio, le gravi differenze che dividono paesi economicamente depressi dalla così detta società affluente. Ma nelle stesse società eco-nomicamente sviluppate sono sempre esistite sacche non protette di popolazione e queste aree di forte di-sagio sociale si stanno drammaticamente ampliando ai nostri giorni per il cronicizzarsi e il peggiorare della depressione economica che colpisce diretta-mente o indirettamente la vita di ogni cittadino.

Proprio l’intreccio tra dimensione individuale e contesto ambientale/comunitario rende di grande interesse il ruolo dei determinanti sociali della sa-lute (d.s.s.), che modificando in senso favorevole o svantaggioso lo stato di salute di una popolazione possono avere benefici effetti o conseguenze nega-tive sul singolo individuo. Studi di vari centri inter-nazionali hanno messo in evidenza i fattori che, per esempio, correlano con la longevità di una popola-zione, considerando la longevità come un indicatore di stato di salute. Ebbene i fattori socio-economici rappresentano la metà dei determinanti sociali del-la salute, l’ambiente influisce attorno al 30%, il

rischio genetico tra il 20 e il 30%, mentre il ruolo dei servizi sanitari non supera il 15%. Le condizio-ni socio-ambientali o psicosociali sono fortemente correlate alla posizione/ruolo socio-economico di ogni persona. Situazioni a breve o lungo termine che inducono circostanze di vita stressanti possono condizionare in modo rilevante i parametri dei d.s.s. (abuso di alcol, scarsa attività fisica, fumo di siga-retta, etc.) e necessariamente coinvolgere il sistema sanitario. Quindi se il sistema sanitario agisce come fattore percentuale attorno al 15% per la longevità, è altrettanto vero che il significato “operativo” della sanità è assolutamente più ampio nella definizione di qualità della vita. La qualità della vita è percepita in modo diverso dal singolo individuo e dalla co-munità e quindi spesso gli interventi elaborati dalla politica non raggiungono il fine per il quale sono messi in atto.

Il sistema sanitario è un determinante sociale di salute fondamentale e critico proprio perché può intervenire a vari livelli: attraverso la prevenzione, riducendo la diffusione delle malattie con la vacci-nazione, attraverso interventi di riabilitazione, for-nendo forme di difesa contro le conseguenze econo-miche della malattia grazie a copertura assicurativa. Un nuovo disegno del/dei sistemi di organizzazione sanitaria è da prendere in considerazione proprio per la sua funzione strategica in ambito sociale e alla lu-ce di quanto premesso. Guido Rossi, editorialista de Il Sole 24 ore, il 12 maggio 2013 ha scritto, riferen-dosi a un saggio pubblicato sulla rivista Lancet sul tema della salute in Europa e nella successiva analisi dell’argomento: “La technè ha oggi raggiunto vette di sviluppo insospettate e la salute degli uomini è diventata sempre più a rischio, sottraendo spesso dignità e identità all’uomo, nonché il diritto alla salute e alla vita che la logica del capitalismo dei mercati è ben lontana dall’assicurare”. E più avanti: “Insomma, la conclusione è chiara. I tagli alla sanità pubblica costituiscono un pericolo per l’uomo, ma anche per lo sviluppo del sistema economico, con l’infausta conseguenza del passaggio dalla crisi eco-nomica a una devastante crisi sociale”.

Da queste considerazioni emerge con piena consapevolezza l’obiettivo di ri-pensare e ri-ordi-nare il ruolo del sistema sanitario per compensare le carenze che il sistema pubblico non è in grado di affrontare e che il sistema privato, in un’ottica di equilibrio economico, qualificazione professio-nale e rigore nelle prestazioni può adeguatamente risolvere. Sistemi non in concorrenza ma sistemi in equilibrio, proprio quando i cittadini sentono at-tenuarsi le garanzie di una copertura efficace per i loro problemi di salute.

3

IMAGING IN SENOLOGIA: tRA PRESENtE E fUtUROMarco Falomi

Nell’era tecnologica che stiamo vivendo

purtroppo oltre il 60% delle donne scopre

di avere un tumore mammario con le proprie

mani, con l’autopalpazione. La prognosi nella

media dei casi è favorevole, ma il nostro com-

pito come classe medica è quello di educare le

pazienti alla prevenzione. Non potendo attuare

nel tumore mammario una prevenzione prima-

ria, cioè evitare che questo insorga, pur cono-

scendo numerosi fattori di rischio ma non essen-

do a conoscenza dei fattori scatenanti intriseci,

dobbiamo orientarci verso quella secondaria,

cioè guarire/eliminare la lesione prima che la

malattia si manifesti clinicamente. Lo strumen-

to della prevenzione secondaria è la diagnosi

precoce che, nel caso dei tumori mammari, può

avvenire solo con l’ausilio della diagnostica per

immagini, che ci permette la scoperta di tumo-

ri in fase iniziale, non ancora palpabili (sotto

il centimetro) e le cui ridotte dimensioni sono

fondamentali per il successivo iter diagnostico

e prognostico. Per questo motivo le metodiche

che possono contribuire alla diagnosi dei tumori

maligni sono al centro dell’interesse di medici e

ricercatori da molti anni.

La ricerca internazionale è orientata verso

nuove tecnologie che possano fornire ulteriori

informazioni diagnostiche a integrazione dei da-

ti attualmente disponibili, per ottenere una più

completa e accurata diagnosi.

mAmmOGRAfIA

La mammografia, anche se vecchia, resta

l’indagine principe. A partire dal 2000, alla

tradizionale tecnica analogica, basata sull’ac-

coppiamento schermo-pellicola, si è affiancata

4

quella digitale approvata dalla Food and Drug

Administration, l’agenzia statunitense respon-

sabile della protezione e della promozione della

salute pubblica attraverso la regolamentazione

e la supervisione di alimenti e dispositivi me-

dici.

Con la digitalizzazione si è ottenuto una

riduzione della dose di radiazioni ionizzanti al

paziente e un aumento della sensibilità della me-

todica, grazie anche all’ausilio, per il radiologo,

di un post-processing dell’immagine e dell’e-

ventuale uso di un CAD (Computer Aided De-

tection), software per l’aiuto alla refertazione.

tOmOSINtESI

Negli ultimi anni l’esame mammografico

si è arricchito inoltre con la Tomosintesi, esa-

me nel quale la mammella viene radiografata

a strati, ottenuti con esposizioni multiple con

diverse angolazioni in sequenza, tramite il mo-

vimento del tubo, per un determinato arco di

tempo (1, 2). La scomposizione in strati della

mammella permette una ridotta sovrapposizio-

ne dei tessuti con conseguente migliore evi-

denziazione di lesioni che potrebbero essere

mascherate dalla sovrapposizione di strutture

normali (3).

ECOGRAfIA

L’altro pilastro fondamentale della preven-

zione mammaria è l’ecografia, che non usa

radiazioni ionizzanti, ma ultrasuoni, esame di

scelta in pazienti al di sotto dei 40 anni, che at-

tualmente si avvale anche di software 3D e 4D

attraverso sonde volumetriche, capaci di analiz-

zare contemporaneamente le strutture secondo

tutti i piani dello spazio (lunghezza, larghezza

e profondità). L’ecografia mammaria, tuttavia,

rimane ancora esame complementare alla mam-

mografia e non dovrebbe essere utilizzata come

unico esame diagnostico se non nel caso sopra

esposto.

Nell’ultimo decennio si è affermata una

nuova metodica ecografia che, superata la fase

sperimentale, è entrata a far parte della pratica

clinica (6): l’elastosonografia (4). Questa tecni-

ca è in grado di valutare l’elasticità e la consi-

stenza (rigidità) dei noduli della mammella con

il presupposto di base che la rigidità e la consi-

stenza sono proprie delle formazioni tumorali

maligne mentre l’elasticità è propria delle le-

sioni benigne.

La durata dell’esame è di pochi minuti, ge-

neralmente si effettua al termine dell’esame

tradizionale su noduli sospetti evidenziati. Il

software traduce le comparazioni di compressi-

bilità/deformabilità tra tessuti sani e patologici

studiati, in differenze di colore. Il gradiente di

colore è differente a secondo della macchina

utilizzata.

Si usano tre gradienti di colore:

blu = duro/poco compressibile;

verde = soffice/ ben compressibile;

rosso = densità intermedia/uguale rispetto al tes-

suto normale.

L’elastosonografia rappresenta un significati-

vo avanzamento soprattutto per le piccole lesioni

dubbie (circa 5-10 mm) poiché ne permette me-

glio la caratterizzazione riducendo i falsi positivi

e incrementando la specificità con conseguente

5

riduzione del numero delle pazienti che debbono

proseguire l’iter diagnostico utilizzando metodi-

che più invasive e traumatiche (agoaspirato, ago-

biopsia e biopsia chirurgica) (7).

L’indagine elastosonografica, tuttavia, allo

stato attuale non può e non deve prescindere da-

gli attuali protocolli di indagine consolidati, così

come i suoi dati devono essere sempre correlati

con quelli rilevati dall’indagine ecografica tradi-

zionale, color e power-doppler (5).

RISONANZA mAGNEtICA

Una terza tecnica di imaging comunemente

utilizzata, ma solo a integrazione di mammogra-

fia e dell’ecografia, è la RM mammaria (8).

Bisogna sottolineare che la RM non è propo-

nibile come primo esame diagnostico, se non in

casi strettamente selezionati, sia per il suo alto

costo, sia perché aumenta il rischio di casi dubbi

o falsi positivi (20/25%) con il conseguente uti-

lizzo di altre metodiche, di controlli a distanza

di tempo o di biopsie.

Bisogna quindi rispettare le indicazioni prin-

cipali che sono (9):

• studio di donne a rischio genetico o elevato

rischio familiare per carcinoma mammario;

• ricerca di carcinoma primitivo occulto meta-

statico (CUP syndrome);

• ricerca di multicentricità, multifocalità, bila-

teralità, in caso di lesioni maligne già dia-

gnosticate con tecniche tradizionali e candi-

date a intervento chirurgico conservativo;

• monitoraggio delle lesioni mammarie tratta-

te con chemioterapia neoadiuvante prechi-

rurgica;

• follow-up della mammella sottoposta a chi-

rurgia conservativa e/o a radioterapia, qualo-

ra gli esami tradizionali pongano dubbi nella

diagnosi differenziale tra recidiva e cicatrice

non risolvibili con il prelievo cito/istologico;

• valutazione di donne con protesi;

• valutazione di mammelle di difficile inter-

pretazione alle tecniche tradizionali e di-

screpanza tra differenti approcci diagnostici,

in particolare in casi di difficile (o rifiutato)

approccio bioptico.

L’esame RM mammario si basa sulla capaci-

tà di rilevare l’angiogenesi, caratteristica di ogni

processo tumorale che per il suo accrescimento

richiede una rete di vasi sanguigni che apporti

nutrimento e ossigeno e rimuova le scorie in ac-

crescimento (22, 23, 24). Un complesso proces-

so porta alla formazione nella zona tumorale di

nuovi vasi che aumentano la vascolarizzazione

della zona soddisfacendo i requisiti per la cre-

scita, elemento sfruttato dalla RM, perchè favo-

risce l’impregnazione della lesione da parte del

mezzo di contrasto paramagnetico.

L’identificazione della lesione avviene ela-

borando le immagini con la sottrazione, che

consente di esasperare la risoluzione di contra-

sto e pertanto di visualizzare le aree a maggiore

vascolarizzazione, che si impregnano di mezzo

di contrasto e divengono per questo iperintense.

L’incremento di intensità viene definito en-

hancement con curve intensità/tempo che ca-

ratterizzano le varie lesioni mammarie, benigne

e maligne. A queste metodiche classiche se ne

affiancano altre riconosciute dal mondo scienti-

fico, ma considerate di nicchia, in relazione agli

alti costi e/o alla loro invasività.

LA SCINtImAmmOGRAfIA

È un’indagine non invasiva, ma costosa, che

utilizza radiofarmaci (principalmente il 99mTc-

Sestamibi) per evidenziare la vitalità e la cellu-

larità delle lesioni mammarie, il cui accumulo è

proporzionale alla proliferazione cellulare (10).

La tecnica scintigrafica ha una risoluzione spa-

ziale inferiore rispetto alla RM e all’ecografia,

ma è caratterizzata da una maggiore sensibilità.

Essa è in grado di visualizzare la distribuzione

dei traccianti marcati a concentrazioni molto

basse (< 1 nanomole/litro) (11).

La scintimammografia, usata necessaria-

mente dopo mammografia ed ecografia, ha co-

me indicazioni (12):

6

• presenza di una mammografia dubbia per tu-

more mammario, come esame complemen-

tare in presenza di microcalcificazioni, di

una mammella densa e di protesi mammarie;

• completamento diagnostico nella identifica-

zione di tumori multicentrici, multifocali o

bilaterali in pazienti con tumore mammario

già accertato;

• studio della multi-drug resistance;

• valutazione della risposta del tumore alla

chemioterapia adiuvante.

Va evitata in gravidanza e durante l’allatta-

mento e dovrebbe essere eseguita prima o alme-

no da 7 a 10 giorni dopo un ago aspirato, da 4 a 6

settimane dopo una biopsia mammaria e almeno

da 2 a 3 mesi dopo l’intervento chirurgico al se-

no o la radioterapia.

mAmmOGRAfIA A CONtEGGIO fOtO-NICO

Questa indagine si avvale di un mammogra-

fo apparentemente uguale agli altri ma che uti-

lizza il photon-counting: una tecnologia promet-

tente in grado di contare, letteralmente, ciascun

fotone che raggiunge la superficie del rilevatore.

I fotoni X sono misurati direttamente in valori

da attribuire a ciascun pixel con efficienza vici-

na al 100% in quanto rileva i soli fotoni e non il

rumore elettronico e nessuna informazione vie-

ne persa per conversioni o per diffusione come

per le attuali piastre al selenio o ai fosfori.

Tutto questo porterebbe a una riduzione di

dose per il paziente e a una migliore definizione

dell’immagine. Attualmente il “gold standard”

per la diagnosi precoce del tumore mammario

su una popolazione maggiore di 40 anni è dato

dalla mammografia associata all’ecografia. A

queste indagini si può affiancare la RM mam-

maria e successivamente, per una migliore ca-

ratterizzazione della lesione, il prelievo citologi-

co o microbioptico. Negli ultimi anni la ricerca

internazionale si è orientata verso nuove tec-

nologie che possano affiancare e in alcuni casi

sostituire le metodiche sopra citate per ottenere

una più completa e accurata diagnosi.

ABvSIl metodo a ultrasuoni, anche se in fase ini-

ziale, consente la scansione dell’intera mam-

mella in maniera tridimensionale, mediante

scansione volumetrica automatizzata (ABVS:

Automated Breast Volume Scanner).

I vantaggi dell’ABVS rispetto alle indagini

convenzionali a ultrasuoni sono: la scansione

automatizzata dell’intera mammella, effettuabi-

le da un tecnico radiologo anziché da un medi-

co; l’insieme di immagini 3D, che consente una

elaborazione più sofisticata in fase post-esame

e una valutazione più completa di tutti i dati; da

ultimo il risparmio di tempo, sempre prezioso in

questi casi (13).

mAmmOGRAfIA DUAL-ENERGY CON mDC

La mammografia a sottrazione digitale dual-

energy sfrutta il principio che i diversi tessuti

presenti nella mammella presentano una diversa

7

dipendenza dall’energia del fascio radiante (14).

Scegliendo opportunamente le due energie, è

possibile in pratica “cancellare” il fondo ed en-

fatizzare il contrasto delle strutture patologiche.

Nel caso specifico del seno, ipotizzando una

struttura a tre componenti, cioè tessuto adipo-

so, tessuto fibroghiandolare e tessuto tumorale

(sia esso un nodulo o una microcalcificazione),

lo scopo è di rimuovere il contrasto del tessuto

sano (adiposo-fibroghiandolare) per meglio evi-

denziare la lesione.

Le microcalcificazioni (15) manifestano già

un alto contrasto radiografico ma sono difficil-

mente riconoscibili per via delle ridotte dimen-

sioni, mentre le masse tumorali spesso non sono

visibili a causa della minima differenza di atte-

nuazione ai raggi X col tessuto circostante.

La mammografia a doppia energia potrebbe

risultare insufficiente nell’individuazione delle

masse di piccole dimensioni poiché, pur rimuo-

vendo il “rumore” strutturale, il segnale radio-

grafico della patologia rimarrebbe molto debole.

Per enfatizzare queste differenze ecco l’ab-

binamento della mammografia dual-energy con

l’uso del mezzo di contrasto (16, 17) che aumen-

ta la visibilità del segnale d’interesse grazie alla

proliferazione di nuovi vasi sanguigni nell’area

tumorale, e grazie alla neo-angiogenesi, peral-

tro sfruttata da altre metodiche che si basano su

questa caratteristica tumorale.

La mammografia dual-energy potrebbe co-

stituire una valida alternativa alla RM della

mammella, nell’approfondimento dell’analisi di

un’area che non possa essere investigata in mo-

do soddisfacente con mammografia o ecografia,

essendo più economica, più rapida e praticabile

anche in pazienti che soffrono di claustrofobia o

portatrici di impianti metallici quali i pacemaker.

mAmmOGRAfIA CON LUCE DI SIN-CROtRONE

Questa nuova tecnica d’indagine è ancora

agli albori come ricerca clinica e vuole esplora-

re il vantaggio dovuto al fatto che, a differenza

dei tubi a raggi X comunemente utilizzati, la ra-

diazione di sincrotrone è una radiazione molto

collimata, composta da fotoni di un’unica ener-

gia che grazie alla tecnica del contrasto di fase

riesce a ottenere dei contorni nitidi anche per

dettagli praticamente trasparenti alla radiografia

convenzionale e vedere quindi strutture che, nel-

la mammografia tradizionale, sono impossibili

da rilevare (18, 19, 20). Queste caratteristiche

della radiazione portano una migliore qualità

dell’immagine e una dose minore di radiazione

per le pazienti.

mAmmOGRAfIA-PEt

La mammografia-PET, come la preceden-

te, è ancora agli albori come ricerca clinica e

si basa, attraverso il dispositivo MAMMI, sulla

tecnica di tomografia a emissione di positroni

(PET) generati da un acceleratore di particelle:

il ciclotrone (21).

La tecnica PET nel dispositivo MAMMI

misura l’attività metabolica del tumore localiz-

zando l’alto assorbimento di glucosio da parte

delle cellule cancerose. Il dispositivo MAMMI

può vedere lesioni di appena 1,5 mm, mentre il

migliore dei sistemi attualmente esistenti offre

una risoluzione di 5 mm. Il sistema è valido in

tutti i casi, ma è particolarmente efficace per le

donne con protesi al seno o nelle giovani donne

con seno molto denso.

L’uso dell’apparecchiatura è inoltre orienta-

to verso la gestione della risposta alla terapia,

Convenzionale Dual-energy

8

ed è ragionevole pensare che questa complessa,

sofisticata e costosa tecnica di imaging moleco-

lare, attraverso un utilizzo accorto e ragionato,

possa portare a un miglioramento del manage-

ment delle pazienti indirizzando correttamente

alla terapia più appropriata.

mAmmOGRAfIA A fIBRE OttICHE

Una nuova metodica, già da anni motivo di

studio e di sperimentazione, è quella che fa uso

di raggi infrarossi per lo studio della mammella.

Negli anni sono usciti vari acronimi per ca-

ratterizzare questa metodica: DOBI (Dynamic

Optical Breast Imaging) (26), NIBI (Near Infra-

red Breast Imaging) (27).

Queste metodiche si basano sul riconoscere

nel sangue la differenza nel contenuto tra os-

siemogoblina (sangue ossigenato) e deossiemo-

globina (sangue povero di ossigeno) che hanno

un differente spettro di assorbimento. È stato

inoltre evidenziato che la vascolarità associa-

ta alla crescita delle lesioni maligne è diversa

dalla vascolarità osservata nei tessuti non pa-

tologici.

Questi principi sono associati al concetto di

“neoangiogenesi” dei tumori maligni in gene-

rale (25), specie quelli mammari, principi che

vengono sfruttati per il riconoscimento della

lesione da parte di questa nuova metodica, e già

sfruttati anche dalla RM, valutando la localiz-

zazione e lo sviluppo di tale “neoangiogenesi”.

Questa tecnica di imaging ha avuto una for-

te risonanza nell’opinione pubblica, in quanto

pubblicizzata come metodica “innocua” che

non utilizza radiazioni ionizzanti, né mezzi di

contrasto, capace di porre diagnosi senza ricor-

rere a indagini mini-invasive come il prelievo

bioptico, con un costo d’istallazione e di eser-

cizio basso, rispetto alle metodiche tradizio-

nali, ma con un forte ritorno economico (27,

28). Benché le ultime metodiche sopra esposte

abbiano una loro validità scientifica, non biso-

gna dimenticare che queste devono essere an-

cora validate da studi scientifici seri basati su

un’ampia popolazione, per uscire dall’attuale

fase sperimentale ed entrare in quella diagno-

stica. Queste nuove indagini vanno sempre af-

fiancate a quelle tradizionali, mai usate come

alternative ed eventuali risultati discordanti con

le metodiche classiche non possono essere presi

in considerazione al 100%.

In conclusione non dobbiamo denigrare que-

ste nuove indagini che si affacciano nel mondo

senologico e che potrebbero sicuramente ave-

re un futuro, ma non dobbiamo neanche farci

fuorviare da messaggi sbagliati e faziosi, consi-

derando che alla stato attuale dell’arte la mam-

mografia e l’ecografia anche se metodiche del

“millennio scorso” mantengono tutt’ora la loro

validità come “gold standard” per la prevenzio-

ne del tumore mammario.

9

BIBLIOGRAfIA

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Presso la BIOS S.p.A. di Roma in via Chelini 39, il dr. Marco Falomi svolge attività di consulenza per la Radiologia.

Per informazioni e prenotazioni: CUP 06 809641

11

Circa 70 anni fa dall’idrolisi delle mucine sa-

livari e dai glicolipidi cerebrali venne otte-

nuto un acido, chiamato acido sialico, dal greco

σιάλον (siálon, saliva).

Già negli anni ’40 del XX secolo prima che

venisse conosciuta la struttura, la chimica e la

biosintesi, per opera dei due ricercatori Geor-

ge Hirst e Frank Macfarlane Burnet, è stato di-

mostrato che l’acido sialico era implicato nella

diffusione del virus dell’influenza, in quanto

componente del recettore cellulare per virus in-

fluenzali.

Inoltre, nel 1957 Alfred Gottschalk ha sug-

gerito il nome di neuraminidasi a una proteina

che agiva come una sialidasi, rilasciando acidi

sialici da macromolecole. Una simile attività è

stata poi dimostrata anche nei batteri. In gene-

re il legame di una particella virale ai recettori

superficiali di una cellula ospite è mediato dalle

proteine del virus che specificamente ricono-

scono i recettori. Questi possono essere peptidi,

lipidi e carboidrati (1).

ACIDO SIALICO E vIRUS

I virus dell’influenza A e B hanno glico-

proteine sulla loro superficie che si legano ai

recettori presenti sulla superficie degli eritrociti

umani e sulle membrane cellulari delle vie re-

spiratorie superiori. I recettori sono costituiti da

glicoconiugati sialici superficiali emergenti dal-

la parete cellulare.

Gli acidi sialici sono di solito in posizione

terminale delle catene olisaccaridiche presenti

sulla superficie cellulare. I virus dell’influen-

za A e B riconoscono specificamente l’acido

acetil-neuramminico (Neu5Ac), il più comune

acido sialico.

Il primo evento dell’infezione dei virus

dell’influenza, (sottotipi A e B), è mediato dal-

la principale glicoproteina superficiale virale,

emoagglutinina (HA) che lega i residui termina-

li di acido sialico presenti sulla cellula bersaglio

cui segue la fusione delle membrane cellulari e

virali per endocitosi (2).

UNA mOLECOLA mULtIUSO NELL’EvOLUZIONE: L’ACIDO SIALICOMario Pezzella

12

L’altra proteina influenzale è la neuramini-

dasi (NA), una esoglicosidasi che ha la funzione

di catalizzare l’idrolisi del legame glicosidi-

co tra l’acido sialico terminale e il carboidrato

adiacente di una varietà di glicoconiugati (1).

L’attività della neuraminidasi è essenziale

per la mobilità del virus facilitandone il rilascio

dalla cellula ospite. L’inibizione dell’attività

neuraminidasica risulta quindi letale per il virus

che, penetrato nella cellula bersaglio e in essa

replicato, non può essere rilasciato dalla mem-

brana cellulare e continuare la progressione del-

la infezione virale (3).

Osservando più da vicino l’acido sialico

(Neu) si rileva che esso è un monosaccaride

con 9 atomi di carbonio e contenente 5 gruppi

idrossilici e uno carbossilico -COOH sul car-

bonio C1. Questo consente la formazione di

sali essendo carico negativamente a pH fisio-

logico.

I gruppi idrossilici dell’acido sialico sui

carboni denominati C7 e C8 contribuiscono

in maniera significativa all’affinità dell’acido

sialico con emoagglutinina. Essi partecipano

al legame funzionando sia come accettori sia

come donatori di legami idrogeno con gli am-

minoacidi della proteina. Anche le forze di Van

der Waals partecipano al legame coinvolgendo

piccoli frammenti idrofobici sulla superficie

degli zuccheri. L’insieme di queste forze di le-

game assicura l’affinità e specificità dell’emo-

agglutinina.

Da queste acquisizioni ne deriva che l’affi-

nità dei diversi ceppi virali dell’influenza può

variare con i tipi di acido sialico (oltre 50 finora

individuati), determinando quale specie animale

può essere infettata.

Esistono varietà di modificazioni naturali

e l’acido N-acetil-neuramminico (Neu5A) è il

più diffuso membro di una famiglia di molecole

correlate che derivano dall’acido neuramminico

(Neu) (fig. 1A e 1B).

Il virus dell’influenza umana preferenzial-

mente lega l’acido sialico Neu5Ac nelle cellule

epiteliali del tratto respiratorio superiore (tra-

chea) (fig 2).

fig. 1A e 1B – formula chimica dell’acido neuramminico (A) e dell’acido N-acetilneuramminico (Neu5Ac) (B) il più comune acido sialico. Sul carbonio C5 (b) è presente il gruppo N-acetile.

fig. 2 - I ceppi di virus influenzali umani sono all’apice di una struttura biantennaria legato con legame α (2,6) al galattosio, nell’anatra (in figura) con legame α (2,3). Inoltre sotto la struttura biantennaria è illustrata la struttura del glicano costituita da zuccheri. La freccia indica il legame tra galattosio e acido sialico che viene scisso ad opera dell’enzima neuraminidasi.(virology blog about viruses and viral disease Influenza virus attachment to cells: role of different sialic acid. 5 may 2009)

A

B

13

Quando l’acido sialico non occupa una po-

sizione terminale nell’ambito di una catena oli-

gosaccaridica (glicano) le posizioni di legame

interessate sono i carboni C2 e C8, gli stessi im-

plicati nella formazione dell’acido polisialico.

Il gruppo sostituente, N-acetile, è critico per

le interazioni con emoagglutinina. L’orienta-

mento del gruppo carbossilico è essenziale per

il legame dell’emoagglutinina dei virus influen-

zali.

La combinazione di differenti legami gli-

cosidici con la moltitudine di possibili naturali

modificazioni genera centinaia di modi con i

quali l’acido sialico può essere chimicamente

presente e agire. La notevole diversità chimica

contribuisce a una varietà di glicani sulla super-

ficie cellulare.

ACIDO SIALICO E ANtICORPI

Le immunoglobuline sono costituite da 5

classi distinte, isotipi, IgG, IgA, IgM, IgE, IgD

che differiscono fra loro per dimensioni, carica

elettrica, composizione amminoacidica e conte-

nuto glucidico (dal greco γλυχύς, glucús, dolce).

La loro struttura è costituita da 2 identiche

catene pesanti e 2 identiche catene leggere tenu-

te da ponti disolfuro e divise in regioni di omo-

loga sequenza.

Nella risposta immunitaria gli anticorpi le-

gano e neutralizzano gli antigeni estranei con

il frammento cosidetto Fab (Fragment binding

antigen) formando immunocomplessi e attivano

la citotossicità anticorpo dipendente, l’opsoniz-

zazione di antigeni e l’iniziazione della fago-

citosi.

Il frammento cristallizzabile Fc, di ogni im-

munoglobulina è deputato alle funzioni effettri-

ci, legandosi a specifici substrati cellulari.

Le funzioni effettrici sono fortemente dipen-

denti dalla frazione glucidica presente nel do-

minio CH2 di Fc, localizzato immediatamente

dopo la regione cerniera.

Dal punto di vista chimico ciascuna IgG

umana presenta due identici siti di N-glicosi-

lazione nel dominio CH2 (asparagina 297) che

conferiscono la capacità di formare legame co-

valente (O-glicoside ed N-glicoside) con il gli-

cano (fig. 3).

Il primo tipo di legame, riguardante l’N-

acetil-galattosammina (GalNAc) è formato con

lo zucchero in configurazione α nell’apparato di

Golgi mentre il secondo tipo di legame N-acetil-

glucosammina (GlcNAc) presenta lo zucchero

in configurazione β a livello del reticolo endo-

plasmatico.

La parte glucidica delle immunoglobuline,

presente in percentuale del 2-3%, può essere

costituita da qualche decina di zuccheri (fino a

Fab

CH2 domain

CH3 domain

Fab

Fc

hinge

Asn 297

Antigen binding

Effector functions

fig. 3 - Struttura IgG umana che dimostra le regioni funzionali

costituite da catene leggere e pesanti e la posizione dei

domini di fc. Inoltre è indicata la posizione dell’asparagina

(Asn posizine 297 del dominio CH2) che forma legami

O-glicosidici e N- glicosidici con l’oligosaccaride che è integrato

nella struttura proteica ed ha una precisa conformazione

(Royston Jefferis: “Glycosylation of recombinant

antibody therapeutics” Biotechnology Progress 2005;

21:11-16)

fab: fragment antigen binding

Hinge: regione cerniera

fc: funzioni effettrici

14

centinaia) grazie alle innumerevoli possibilità di

legame che portano alla formazione di strutture

glucidiche diverse. In particolare le IgG presen-

tano almeno 30 differenti complessi olisaccari-

dici a struttura definita “diantennaria”. Le IgG

quindi contengono glicani altamente eterogenei

a causa della presenza di differenti possibili zuc-

cheri intermedi e terminali (5)

L’analisi cristallografica ai raggi X rivela

che la struttura dell’oligosaccaride è ben defi-

nita e forma multiple interazioni non covalen-

ti, forze di Van der Waals e legame idrogeno,

con la superficie proteica del dominio CH2. Di

conseguenza la conformazione di Fc risulta dal-

le reciproche interazioni tra la parte proteica e

quella oligosaccaridica.

Gli acidi sialici, presenti su alcune cellule

della risposta immunitaria, giocano un ruolo

chiave nelle funzioni effettrici delle IgG in-

fluenzando il legame delle IgG ai recettori Fc

e C1q (6).

La glicosilazione avviene per vari motivi.

La parte glucidica provoca un ripiegamento

corretto della molecola consentendo di espli-

care la propria funzione e, nello stesso tempo,

consentendo di proteggere la molecola proteica

dall’attacco delle proteasi.

La presenza o l’assenza dei glucidi non in-

fluenza la capacità del frammento Fab di legare

specificamente l’antigene ma ha un particolare

effetto sui meccanismi biologici che sono atti-

vati dall’immunocomplesso formato tra l’anti-

gene estraneo e i frammenti Fab.

Studi strutturali indicano che la presenza o

l’assenza di specifici glucidi terminali può in-

fluire sulle interazioni idrofiliche e idrofobiche

tra zuccheri e amminoacidi del frammento Fc.

In relazione alle funzioni biologiche gli aci-

di sialici, le glicoproteine e i glicoconiugati so-

no necessari per un appropriato sviluppo delle

cellule dei mammiferi. Poiché gli acidi sialici,

carichi negativamente a pH biologico, sono in

genere localizzati al terminale delle strutture

dei glicani, le glicoproteine sializzate possono

inibire molte reazioni intermolecolari e inter-

cellulari. Nell’uomo, in particolare, la più alta

concentrazione di Neu5Ac è localizzata nel cer-

vello dove è parte integrante della struttura dei

gangliosidi nella sinaptogenesi e trasmissione

neurale (7).

Numerose malattie autoimmuni e infiam-

matorie umane vengono anche trattate con

immunoglobuline IgG endovena contenenti

una varietà di distinte specificità anticorpali in

quanto ottenute da pool di centinaia di donatori.

Osservazioni sperimentali rilevano inoltre

che i glucosidi presenti nel dominio IgG-CH2

mantengono le due catene pesanti di Fc in una

conformazione aperta necessaria per attivare il

recettore FcγRs presente sul macrofago effet-

tore e responsabile dell’effetto infiammatorio.

I benefici di tale trattamento di IgG endovena,

ottenibili solo ad alte dosi, suggeriscono che le

preparazioni di IgG da donatori normali con-

tengano una piccola frazione ad attività tera-

peutica costituita da specifici glucidi che hanno

profonde implicazioni sulle funzioni effettrici

di Fc.

Le IgG-Fc sializzate sono responsabili

dell’attività antinfiammatoria su uomini e mo-

delli animali con diverse malattie quali purpura

trombocitopenica, nefrite nefrotossica e artrite

reumatoide (8). Il modello ipotizzato è che il

frammento Fc-IgG sializzato, naturalmente

presente in bassa percentuale nelle immunoglo-

buline endovena, si lega al recettore specifico

dell’acido sialico SIGN-RI presente sui macro-

fagi provocando il rilascio di mediatori solubili

che attivano i macrofagi effettori aumentando

l’espressione dei recettori inibitori (8, 9).

Altre osservazioni sembrano confermare

che gli Fc-glicani influenzano il legame delle

IgG ai recettori Fc e C1q e sono importanti per

le funzioni effettrici delle IgG. Il risultato te-

rapeutico finale si manifesta con una evidente

azione anti-infiammatoria.

15

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16

MIX

ING

Età mAtERNA E SINDROmE DI DOWN

Sta aumentando l’età media della mamma

partoriente. Con l’età della madre, ma anche del

padre, aumenta il rischio di malattie cromoso-

miche, soprattutto della Sindrome di Down, do-

vuta alla trisomia del cromosoma 21: è questa

la causa più frequente di disabilità intellettiva

per anomalia cromosomica. Le alterazioni so-

matiche più frequenti del Down sono: brachice-

falia, mani corte e tozze, 5° dito breve, epicanto,

orecchie displasiche, protrusione della lingua.

Ma con l’incremento dell’età materna cresce

anche il rischio di complicanze, quali il distacco

di placenta, la pre-eclampsia, il deficit di cre-

scita intrauterina, il travaglio prematuro, il parto

distocico.

IL “LABORAtORIO ENDOtELIALE”

Il termine va riservato all’endotelio “non ca-

pillare”, definibile come micro-organo endocri-

no-metabolico ubiquitario. L’endotelio capillare

ha invece solo la funzione di permeabilità. Di

norma, l’endotelio sano libera sostanze preva-

lentemente antiadesive e antiaggreganti piastri-

niche e anche anticoagulanti: ad es. prostaci-clina, EDRf, trombomodulina, attivatore vascolare del plasminogeno. E inoltre libera

sostanze vasodilatanti.

Se l’endotelio è sottoposto a diverse noxae

– anossia, endotossine batteriche, fattori attivati

dal complemento, linfociti citotossici, mediatori

della flogosi – libera molecole potenzialmente

protrombogene: tromboplastina, PAf, inibito-ri della fibrinolisi (PAI). Questo spostamento

protrombogeno dell’equilibrio emostatico en-

doteliale coinvolge sia l’attivazione piastrinica

sia quella leucocitaria: i globuli bianchi forma-

no il “trombo bianco”, aderente all’endotelio in

quanto ricco di fibrina. La sofferenza endotelia-

le libera poi sostanze vasocostrittrici. Terapia.

Antiaggreganti piastrinici e leucocitari, nonché

vasodilatatori.

ICtUS A 3 ANNI

Per la prima volta nel mondo una bambina

di 3 anni è stata operata per ictus con esito posi-

tivo. Ricoverata con tetraplegia e coma nell’O-

spedale “Maria Vittoria” di Torino, è stata poi

trasferita nell’Ospedale “Le Molinette”: qui è

stata diagnosticata un’occlusione di un’arteria cerebrale posteriore. L’intervento chirurgico è

stato eseguito per via endovascolare. Attraver-

so un’arteria femorale, il catetere è stato fatto

risalire a monte: aorta addomino-toracica, arco

aortico, arteria vertebrale, a. basilare, a. cerebra-

le posteriore che è stata disostruita. Intervento

seguito da ripresa dello stato di coscienza: buo-

no il decorso post-operatorio. È seguita poi la

riabilitazione.

DUE NUOvI fARmACI PER DImAGRIRE

La serotonina o enteramina o 5-OH-tripta-

mina è presente nei mastociti, nelle piastrine,

17

nelle pareti del tubo digerente, nel cervello.

Stimola la muscolatura liscia (nausea), aumen-

ta la permeabilità vascolare e la sensibilità dei

ricettori dolorifici dei vasi e dei tessuti (cefalea)

e inoltre inibisce la secrezione gastrica. È su

quest’ultimo effetto che si basa l’azione dei 2

nuovi farmaci per l’obesità.

Lorcaserina: attiva i ricettori della serotoni-

na presenti nell’encefalo, per cui sopprime l’ap-

petito; possibili effetti collaterali quali cefalea,

nausea, vertigini. fentermina, simpatico mime-

tico già usato negli U.S.A. per la cura a breve

termine (settimane) del sovrappeso.

Entrambi i farmaci, utilizzati in aggiunta

alla dieta dimagrante e all’esercizio fisico, fa-

voriscono il calo ponderale nel primo anno di

terapia, molto meno nel secondo anno.

GEStIONE DELLA mALAttIA DIABE-tICA tIPO 2

Passato recente. Analoghi dell’insulina uma-

na, a rilascio lento o rapido. Automonitoraggio

glicemico. Stiloiniettore o “penna”. Microinfu-

sore con infusione continua sotto cute di insu-

lina.

Prossimo futuro. Erogazione di insulina “ad ansa chiusa”, identificabile con un pancreas ar-

tificiale: l’infusione automatica di insulina con

un microinfusore è pilotata dai valori della gli-

cemia. Differenziazione delle cellule staminali

oppure la loro trasformazione da altre cellule in

β-cellule.

PRImO ImPIANtO DI “CLIP mItRA-LICA”

Presso il Dipartimento “Cuore e grossi va-

si” del Policlinico Umberto I è stato per la

prima volta impiantato un dispositivo metallico

all’interno della valvola mitrale, molto dilatata

con conseguente grave insufficienza. Ciò in con-

seguenza di un precedente esteso infarto mio-

cardico.

L’intervento, durato 2 ore, è stato eseguito

in un paziente di 84 anni in modo non invasivo:

senza apertura del torace, è stato introdotto un

catetere per via venosa. Questa patologia col-

pisce il 10 % della popolazione con più di 70

anni.

CANI DA fIUtO E CANCRO mAmmA-RIO

I tumori maligni emanano odori del tutto

particolari, ma di intensità talmente debole che

non vengono percepiti dal nostro odorato. Ca-

ni da fiuto ben allenati in merito, possono ben

riconoscerli e distinguerli dagli altri odori. Ciò

però si verifica quasi esclusivamente per i tumo-

ri della mammella, posti molto vicini alla cute.

Pertanto le loro emanazioni odorose arrivano

molto più facilmente al naso del cane rispetto

alle neoplasie profonde, quali sono quelle nello

stomaco, fegato, polmoni, colon, utero.

A cura di A. Ciammaichella

18

A t

Ut

tO

CA

mP

O LA NASCItA… DEL DNA

Giuseppe Luzi

Dal 25 aprile 1953 è cambiata la visione del

mondo, e sia la biologia sia la medicina

hanno iniziato un nuovo percorso. Due scienzia-

ti, James Watson (biologo statunitense) e Fran-

cis Crick (biofisico britannico), pubblicano (A

Structure for Deoxyribose Nucleic Acid by Ja-

mes D. Watson and Francis H.C. Crick, Nature

1953; 171: 737) la struttura del DNA (acido de-

sossiribonucleico) rivoluzionando le conoscen-

ze sull’interpretazione “funzionale” degli esseri

viventi.

È una data realmente liberatoria il 25 aprile

(in Italia coincide con un’altra lieta liberazione,

quella dal nazifascismo nel 1945), liberatoria

da tante incertezze sul concetto di ereditarietà,

sulla possibilità di “leggere” i caratteri somatici,

sulla necessità di tentare un approccio sistemico

all’evoluzione delle specie, nel percorso traccia-

to da Charles Darwin.

I primi anni Cinquanta del ventesimo secolo

segnano una svolta preziosa sia sotto il profilo

strettamente scientifico sia per quanto concerne

le implicazioni culturali. Cominciava uno studio

formidabile del patrimonio genetico che alcuni

anni dopo, tutto sommato non molti, avrebbe

portato al progetto genoma. Di solito per queste

tappe così importanti si ricorre ad anniversari un

po’ standard (25 anni, 50 anni, etc.).

Il 25 aprile 2013 sono sessanta anni dalla

pubblicazione dell’articolo di Watson e Crick,

ma l’evento merita un importante ricordo. Molti

libri sono stati scritti e molti punti sulle modali-

tà del successo scientifico legato al DNA sono

stati chiariti e la storia della biologia moleco-

lare, e quindi delle conoscenze sulla struttura e

funzione della cellula, ha una valenza culturale

non inferiore ai lavori nell’ambito della fisica

(struttura della materia, leggi dell’universo, teo-

ria della relatività e così via) o di altre discipline

fondamentali come la chimica e la matematica.

Non dimentichiamo che Watson nasce come

biologo-zoologo e che Crick studia fisica. Ma

un anniversario implica anche l’obbligo di ricor-

dare altre personalità importanti e originalmente

meno “riconosciute” nel prevalente successo del

duo Watson e Crick. Ai due va il merito indiscus-

so di una grande intuizione/sintesi, dell’ultimo

passaggio “critico”, ma dietro il brillante paper

su Nature ci sono molte “tappe preliminari”: lo

studio del virus del mosaico del tabacco, la dif-

frazione a raggi X, le ricerche del grande biochi-

mico Linus Pauling sulla struttura delle proteine.

Un’altra figura fondamentale è quella di Ro-

salind Franklin, che aveva svolto diversi studi

sul DNA e fornì a Watson e Crick consistenti

informazioni fondamentali per il lavoro fina-

le. In particolare, Rosalind Franklin contribuì

all’individuazione dei gruppi fosfato nella strut-

tura degli acidi nucleici (posizione esterna). Se

ne poteva dedurre che il nocciolo dell’informa-

zione risiedeva nella sequenza delle quattro basi

azotate.

19

fig. 1 - Pagina tratta dal lavoro originale di James D. Watson and francis H.C. Crick (Nature 1953; 171: 737)

A Watson va il merito di aver chiarito l’“ap-

paiamento” delle basi azotate e quindi, in so-

stanza, la struttura stessa del DNA come abbia-

mo imparato a conoscerla.

Un contributo fondamentale alla costruzione

del modello fu anche opera di Francis Crick e,

come si può leggere in varie fonti, fu proprio la

moglie di Crick, Odile Speed, pittrice e in buoni

rapporti con la cristallografa Franklin, a disegna-

re l’immagine che poi fu proposta per la pubbli-

cazione originale sulla rivista Nature (fig. 1).

Assieme a Watson e Crick anche Maurice

Wilkins venne inserito nel gruppo degli scien-

ziati ai quali fu conferito il Premio Nobel per la

Medicina nel 1962, per la scoperta della struttu-

ra del DNA. Maurice Wilkins è il “terzo uomo”

della doppia elica e aveva studiato anche lui, a

lungo e brillantemente, gli aspetti cristallogra-

fici del DNA. Il lavoro della Franklin ebbe solo

riconoscimenti postumi perché la giovane scien-

ziata morì di cancro nel 1958, a 38 anni.

Né si può mettere in seconda linea Linus

Pauling, costantemente presente all’orizzonte,

tra i più celebri scienziati del ventesimo secolo,

uno dei quattro che hanno ricevuto due premi

Nobel (nel suo caso, per la chimica e per la pa-

ce), artefice di acquisizioni fondamentali sulla

struttura delle proteine ma che non riuscì, forse

per circostanze non favorevoli, a descrivere il

DNA nella sua formulazione a doppia elica.

20

IL P

UN

tO

SOvRAPPESO E OBESItà IN Età EvOLUtIvA: COSA fARE?Giorgio Pitzalis

L’alimentazione è la più elementare e al tem-

po stesso la più complessa manifestazione

della vita umana, permeata di significati nutri-

zionali, comportamentali, culturali, religiosi,

sociali, economici; è oltremodo variegata di

tradizioni, credenze, simbolismi, condizionata

dai mutamenti secolari della storia dell’umanità

ed essa stessa spesso artefice di tali mutamenti.

Studi compiuti su varie popolazioni hanno

mostrato che nell’ultimo secolo si è assistito,

nei paesi sviluppati, a un rapido e progressivo

aumento della statura media della popolazione;

di seguito si è osservato un incremento esponen-

ziale della prevalenza dei soggetti sovrappeso e

obesi e un trend di anticipazione dell’età della

pubertà. Ora, purtroppo, si rileva una riduzione

dell’età media, sempre grazie a un “mal appor-

to” alimentare.

La rapidità e l’entità di tali fenomeni rende

palese l’influenza di fattori ambientali (appor-

ti di energia e nutrienti, dispendio energetico).

Il fenomeno è particolarmente importante nei

primi periodi della vita in quanto essi sembra-

no avere non solo effetti immediati sull’accre-

scimento del bambino ma anche sul “program-

ming” endocrino-metabolico dell’individuo,

condizionandolo quindi per tutta la vita.

Mala tempora currunt: proprio per questo il

Pediatra è chiamato a intervenire in prima per-

sona. In particolare, il Pediatra di base del SSN

trascorre con il bambino e la sua famiglia 5840

giorni (0-16 anni) e rappresenta il primo e spes-

so l’unico “nutrizionista” del nucleo familiare.

Il suo sforzo deve quindi tendere a diffondere

buoni principi alimentari.

Attualmente in Italia, 4 bambini su 10 in

età scolare sono sovrappeso o obesi, con un

andamento progressivamente crescente dal

nord al sud Italia. Gli alimenti tipici della dieta

mediterranea, quali olio di oliva, frutta e ver-

dura, vengono consumati in misura maggiore

Per aiutare i figli a crescere bene,

i genitori devono guardare lontano.

A volte lontanissimo.

È nella seconda parte della vita, infatti,

che la salute può presentare il conto.

I bambini hanno bisogno di imparare

buone abitudini, che proteggano il loro

sviluppo ma anche la loro vita adulta.

(anonimo)

21

al nord, mentre il pesce è presente, anche se

in quantità insufficiente, nel sud Italia. Risulta

comunque eccessivo il consumo di carni rosse.

Altra problematica nutrizionale comune all’età

pediatrica è la scarsa assunzione di latte (in me-

dia 100 ml/giorno). Di conseguenza, l’introito

medio di calcio e vitamina D risulta inferiore a

quanto consigliato in tutte le età evolutive.

La persistenza dell’obesità in età adulta

comporta numerose complicanze a carico di di-

versi organi e apparati (tab. 1).

Quale bambino sarà obeso? Il 70-80% dei figli di entrambi i genitori

obesi saranno, a loro volta, obesi in età pedia-

trica. Tale percentuale scende al 30-40% se uno

solo dei genitori è obeso.

Quanti bambini rimarranno obesi dopo la pubertà? La probabilità di essere sovrappeso od obe-

so in età adulta aumenta in relazione all’età di

insorgenza dell’incremento ponderale: 30% a 5

anni, circa 35% a 10 anni, 50% a 15 anni e 70%

a 18 anni. È quindi indispensabile un’attenta

sorveglianza staturo-ponderale e delle abitudini

alimentari durante tutta l’epoca evolutiva.

Come definire l’obesità ? Per obesità si intende un accumulo eccessi-

vo e generalizzato di grasso nel tessuto sottocu-

taneo, ma anche negli altri tessuti e può essere

associato ad alterazione di parametri metabolici,

con conseguenze sullo stato di salute fisico e psi-

cologico, presente e futuro.

TAB. 1 – COMPLICANZE DELL’OBESITÀSISTEMA ENDOCRINO pubertà precoce, riduzione di GH e prolattina, carente risposta secretoria e

soppressiva dell’ADH, aumentata secrezione degli oppioidi endogeni, aumentato turnover del cortisolo, aumentata secrezione di androgeni surrenalici, aumento degli estrogeni sierici, diminuzione del testosterone, iperinsulinismo da resistenza perife-rica all’insulina, valori modicamente elevati di fT3

METABOLISMO sono frequenti la ridotta tolleranza glucidica, il diabete di tipo 2 (da resistenza periferica), quadri dislipidemici (ipertrigliceridemia, ipercolesterolemia, diminuzione dell’HDL-C, aumento delle LDL-C e delle VLDL-C), iperuricemia

APPARATO RESPIRATORIO

diminuita compliance toracica, dispnea da sforzo, ipoventilazione polmonare con ipossia e ipercapnia, s. di Pickwick (rara), crisi di apnea notturna, ostruzione ed infezioni delle vie respiratorie, asma. L’influenza della “sola” obesità sulla funzione respiratoria si realizza con riduzione del Volume di Riserva Espiratorio ed ipossie-mia con aumento della pCO2

APPARATO CARDIO-VASCOLARE

nei grandi obesi sono pressoché costanti cuore polmonare cronico e insufficienza cardiaca (scompenso cardiaco congestizio), ipertensione arteriosa (circa il 60% degli obesi sono ipertesi, mentre la metà circa degli ipertesi sono anche obesi), forme più o meno precoci di aterosclerosi, malattia ischemica del miocardio (angina, infarto), ipertrofia e/o dilatazione del miocardio, stasi venosa agli arti inferiori, ede-mi, varici. Il bambino obeso ha certamente un aumentato rischio di coronaropatia.

APPARATO DIGERENTE colelitiasi e steatosi epatica sono i quadri più frequenti

APPARATO LOCOMOTORE

osteoartrosi, scoliosi, piede piatto, tibia vara (m. di Blount), ginocchio valgo, m. di Legg-Calvè-Perthes, scivolamento della testa del femore, epifisiolisi

CUTE intertrigine, foruncolosi, acanthosis nigricans, smagliature cutanee.

COMPLICANZE GINECOLOGICHE E OSTETRICHE

menarca e menopausa precoce, irregolarità del ciclo mestruale, meno-metrorragie, complicanze gravidiche (gestosi, eclampsia)

NEOPLASIE è stata riportata un’aumentata incidenza di tutti i tumori estrogeno-dipendenti (ca. della mammella, fibromi uterini, adenocarcinoma dell’endometrio), nonché del ca. del colon-retto, della prostata, di alcuni tumori dell’ovaio e della colecisti

COMPLICANZE DI INTERESSE CHIRURGICO

aumentata frequenza di ernie ombelicali, inguinali e crurali; fra le ernie diafram-matiche, aumentata frequenza dell’ernia iatale da scivolamento; maggior rischio operatorio in generale

COMPLICANZE PSICOLOGICHE di varia natura

22

Come valutare il sovrappeso e l’obesità?Nella pratica clinica il concetto di sovrappe-

so e/o obesità può essere ottenuto attraverso il

semplice calcolo dell’Indice di Massa Corporea

(IMC) o Body Mass Index (BMI), ottenuto dal

rapporto tra il peso in kg e la statura in metri al

quadrato:

IMC o BMI = kg/m2

Nell’adulto i valori superiori a 25 e 30 kg/

m2 esprimono rispettivamente la situazione di

sovrappeso ed obesità.

Il valore del BMI dimostra una sufficien-

te correlazione con il grasso corporeo e risulta

pressochè indipendente dall’altezza e correla

bene con il peso. La correlazione del BMI con il

contenuto di grasso corporeo è buona (variando

da 0,6 a 0,8 secondo l’età). L’errore della pre-

dizione della percentuale corporea di grasso (3-

5%) è simile a quella osservata con la misura

delle pliche cutanee o dell’impedenza corporea.

Anche in età pediatrica il calcolo del BMI

può essere un indice semplice e affidabile di adi-

posità. Superato il BMI limite riportato in tabel-

la 2, il soggetto sarà sovrappeso (> 85° centile)

od obeso (> 95° centile).

Un ulteriore parametro quantitativo dell’en-

tità dell’eccesso ponderale, è rappresentato dalla

deviazione percentuale del peso corretto per la

statura. Tale calcolo, frequentemente impiegato

in ambito pediatrico, si esegue sulle tavole dei

centili del peso e della statura (http://www.cdc.

gov/growthcharts), così da definire le seguenti

classi di peso:

90-110% normopeso

111-120% sovrappeso

> 120% obesità

> 150% obesità di grado elevato o “supero-

besi”.

OBESItà: QUALI I PERIODI A RISCHIO

Sono almeno 3 periodi a rischio per obesità:

primo anno di vita, tra i 4 ed i 6 anni, il periodo

puberale. Tre sono anche i periodi di iperplasia

degli adipociti. Il tessuto adiposo può aumentare

per iperplasia o per ipertrofia oppure per entram-

bi i fattori. La prima intensa moltiplicazione cel-

lulare si verifica negli ultimi mesi di vita intrau-

terina, cosicché alla nascita il neonato possiede

circa 5 miliardi di adipociti (10-15% della mas-

sa corporea totale). Il neonato con peso elevato

per l’età gestazionale è più a rischio di obesità e

diabete nelle età successive. Comunque il primo

periodo a rischio per obesità è il primo anno di

vita, durante il quale il numero degli adipociti

resta stabile, mentre ne aumenta il volume; co-

sicché la percentuale di tessuto adiposo sale al

25-30% della massa corporea totale alla fine del

primo anno. L’accrescimento volumetrico è tale

che a quest’età le dimensioni degli adipociti rag-

giungono già i valori dell’adulto. In questa epo-

ca della vita sono da evitare eccessivi apporti in

proteine e carboidrati rispetto ai reali fabbisogni.

Dai due anni fino alla pubertà (secondo pe-

riodo di iperplasia), il tessuto adiposo si espande

progressivamente per un lento aumento numeri-

co degli adipociti (fino a 15 miliardi in età pre-

puberale). In particolare, tra 4 e 6 anni (secondo

periodo a rischio per obesità), l’alimentazione

errata (in particolare l’eccessivo intake protei-

co), la sedentarietà e l’influenza dell’ambiente,

possono portare ad una anticipazione dell’adi-

posity rebound, che di solito avviene a 6 anni.

TAB. 2 - CUT-OFF DEL BMI PER SOVRAPPESO E OBESITÀ IN ETÀ EVOLUTIVA

Età (anni)

Sovrappeso Obesità

Maschi Femmine Maschi Femmine

2 18,4 18,0 20,1 20,1

4 17,6 17,3 19,3 19,1

6 17,6 17,3 19,8 19,7

8 18,4 18,3 21,6 21,6

10 19,8 19,9 24,0 24,1

12 21,2 21,7 26,0 26,7

14 22,6 23,3 27,6 28,6

16 23,9 24,4 28,9 29,4

17 24,5 24,7 29,4 29,7

18 25,0 25,0 30,0 30,0

(Cole tJ. Et al. BmJ 2000)

23

Questo sembra associato all’insorgenza di obe-

sità nelle età successive. Se nel breve periodo,

l’eccessivo apporto di proteine animali com-

porta un sovraccarico renale, a lungo termine si

hanno elevati livelli ematici di IGF-1, iperplasia

del tessuto adiposo e aumento della differenzia-

zione dei preadipociti in adipociti. Il periodo

puberale coincide con il terzo periodo di iper-

plasia ed il terzo periodo a rischio per obesità:

gli adipociti raggiungono il numero totale fra 20

e 40 miliardi.

L’obesità del bambino è caratterizzata certa-

mente da un’ipertrofia cellulare, ma soprattutto

da un aumento delle cellule: nel soggetto obeso

post-pubere il numero medio delle cellule adi-

pose supera i 70 miliardi.

Il periodo fetale, i primi due anni di vita e

l’adolescenza sono dunque i periodi maggior-

mente a rischio per lo sviluppo di un’eventuale

futura obesità, in quanto una volta verificatasi

l’iperplasia, non è poi possibile sopprimere lo

“stimolo della fame” prodotto da tali cellule.

In conclusione, le cellule adipose sono im-

mortali o meglio muoiono, ma subito vengono

rimpiazzate da altre dello stesso tipo (10% ogni

anno). La differenza del numero di cellule di

grasso tra le persone obese e magre si stabilisce

durante l’infanzia e rimane tale per tutta la vita!

ESIStONO PIù fORmE DI OBESItà?

Esistono due tipi fondamentali di obesità

infantile: un’obesità secondaria (5% dei casi)

a cause organiche ben identificabili che pos-

sono essere di natura endocrina, genetico-mal-

formativa, iatrogena, neurologica, neoplastica.

L’obesità può anche rappresentare la manife-

stazione più evidente di una malattia organica

di base quali l’ipersecrezione di cortisolo, ipo-

tiroidismo, iperinsulismo, alterazioni diencefa-

liche

L’obesità secondaria si associa sempre a ri-

tardo di crescita e ipostaturalità, a ritardo men-

tale nelle forme genetico-malformative e ad altri

sintomi specifici secondo l’eziologia.

Un’obesità non attribuibile a cause pa-tologiche (95% dei casi) è detta primitiva o essenziale e si associa a statura media o elevata,

accelerata maturazione ossea e sessuale e ad uno

sviluppo psichico regolare.

IL BAmBINO OBESO: ESAmE OBIEttI-vO E ItER DIAGNOStICO

L’esame obiettivo del bambino sovrappeso/

obeso deve indagare circa la familiarità per obe-

sità, dislipidemie, diabete, malattie cardiovasco-

lari. Inoltre deve essere considerata l’età e le mo-

dalità di insorgenza di tale patologia, ricostruire

una curva di crescita staturo-ponderale, indagare

circa le abitudini alimentari, eventuale storia me-

struale, livello socio-economico della famiglia,

valutazione di problematiche psicologiche-rela-

zionali in ambito familiare e/o scolastico.

Deve essere ovviamente rilevato peso e sta-

tura, ma anche pressione arteriosa, stadio pube-

rale, presenza di irsutimo o altri segni di iperat-

tività androgenica, volume testicolare, sviluppo

psichico, la presenza o meno di dismorfismi

facciali e anomalie delle mani e dei piedi. Per

una valutazione più approfondita possono es-

sere impiegate metodiche non invasive, quali

plicometria cutanea, impedenziometria e studio

delle circonferenze corporee. Alcune indagini

ematochimiche e strumentali devono essere ri-

chieste in presenza di obesità essenziale, mentre

nel sospetto di obesità secondaria possono esse-

re aggiunte altre indagini.

24

I principali errori alimentari nutrizionali rile-

vati comunemente in diversi studi effettuati “sul

campo” sono di seguito riportati.

• La prima colazione è di frequente frettolosa,

ridotta o “dimenticata”.

• Lo spuntino del mattino è, di conseguenza,

ipercalorico.

• Il latte è spesso precocemente abolito e so-

stituito da bevande gassate e zuccherate (che

determinano una ridotta assunzione di calcio

e aumento della quota di fosforo assunto con

la dieta).

• È frequente un consumo eccessivo di protei-

ne animali, grassi saturi e sodio, mentre si

registrano carenze di carboidrati complessi

(amidi), fibra alimentare, calcio, ferro, zinco

e ac. folico.

• Il pranzo è spesso incompleto e veloce.

• La merenda del pomeriggio, carente di latte

o yogurt o frutta, è basata su cibi industriali

(snack dolci o salati) o carboidrati ad alto in-

dice glicemico (pane, patate, succhi di frutta,

dolciumi).

• La cena (molto spesso l’unico momento di

“aggregazione familiare”), tende ad essere il

pasto principale della giornata, spesso iperca-

lorico e carente comunque di verdure e frutta.

• La tendenza è di ridurre il numero dei pasti

assunti negli orari canonici al domicilio e di

ingerire più “pasti-snack”, consumati senza

soluzione di continuità durante la giornata a

scuola, al lavoro o nei locali pubblici.

• La diffusione nelle scuole di distributori

automatici di alimenti ad alto contenuto di

grassi e di zuccheri semplici e di bibite anal-

coliche dolci, non facilita il corretto compor-

tamento alimentare.

• Infine è pressante il ruolo dei mass media, i

soli a fare educazione alimentare, quasi mai

obbiettiva.

QUALE DIEtA IN Età EvOLUtIvA?

Una corretta alimentazione, valida anche per

l’età infantile, prevede che il 12-15% delle ca-

lorie sia fornito dalle proteine, il 25-30% circa

dai lipidi e il 55-60% circa dai carboidrati. La

percentuale dei lipidi dovrebbe essere suddivisa

in: 10% acidi grassi saturi, 7-8% polinsaturi e

12-13% monoinsaturi. L’apporto di colesterolo

non deve superare i 100 mg/1000 kcal.

Il calo ponderale deve risultare lento ma

progressivo e la dieta deve essere ipocalorica bi-

lanciata in termini di macronutrienti (proteine,

carboidrati, lipidi) e contenere in quantità ade-

guata minerali e vitamine. In genere è consiglia-

to ridurre del 30% gli apporti calorici calcolati

per l’età e sesso.

La distribuzione dei pasti deve avvenire in 5

appuntamenti con il cibo, così suddivisi: 15% di

calorie a colazione, due piccoli snacks che ap-

portino un 10 % di energia, 40% a pranzo, 35 %

a cena. Comunque il tipo di trattamento dipen-

derà dal grado di obesità, dall’età, dalla presen-

za di complicanze, dalla volontà del bambino e

della famiglia di cambiare.

Età ADOLESCENZIALE ED OBESItà: QUALI PROBLEmAtICHE?

Una corretta alimentazione dovrebbe essere

un’abitudine trasmessa continuamente ai nostri

figli sin dall’infanzia. Ma, durante la pubertà,

tali segnali rischiano di interrompersi, influen-

zati dall’adolescenza, periodo di grandi cam-

biamenti e di grosse conflittualità. La ricerca

di una propria individualità si manifesta in tutti

gli aspetti della vita e di conseguenza anche in

quello alimentare. È in questa fase, purtroppo,

che buona parte della popolazione giovanile si

allontana da un modello nutrizionale bilanciato

e corretto. Anche se oltre 8 adolescenti su 10

dicono che una corretta alimentazione è essen-

ziale per la salute, la maggior parte consuma i

pasti fuori casa e finisce spesso per assumere

hamburger, patatine, snack e bibite zucchera-

te. Oggi il 20-30 % degli adolescenti è obeso,

soprattutto al sud-Italia. È un dato da non sot-

tovalutare, anche perché un adolescente obeso

sarà quasi certamente un adulto obeso, che può

25

imm

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andare incontro a gravi patologie. In genere, in

età adolescenziale si ha una stima confusa del-

la propria classe di peso, fino a quadri di vera

e propria dismorfofobia (sensazione soggettiva

di deformità o di difetto fisico, per la quale il

paziente ritiene di essere notato dagli altri, no-

nostante il suo aspetto rientri nei limiti della

norma).

È utile conoscere, a questo proposito, il va-

lore medio della massa grassa nei soggetti in

età evolutiva. Fino a 4 anni il valore medio del-

la massa grassa è simile nei due sessi (16-17%

del peso corporeo). In seguito le femmine au-

mentano la massa grassa, fino a raggiungere il

25% del loro peso mentre i maschi contengono

questa percentuale (13%). Quindi, nei ragazzi le

spalle si allargano, aumenta il loro tessuto mu-

scolare, tendono a perdere peso. Di contro, le

ragazze, a causa del rallentamento della velocità

della crescita, tendono ad ingrassare e, soprat-

tutto, ad accumulare adipe sui fianchi.

La conseguenza (non banale!) di tutto ciò è

che i maschi sono generalmente molto contenti

di quello che gli sta succedendo, mentre le fem-

mine no. Il perché è facilmente immaginabile:

nella nostra società le ragazze inseguono il mito

della magrezza. La pubertà è invece per loro as-

sociata a una tendenza inesorabile ad ingrassare;

il vedersi grasse (soprattutto rispetto ai canoni

che la società ci impone) può associarsi a una

percezione negativa di sé e del proprio corpo e

questo comporta, molto spesso, l’inizio di diete

severe.

L’anoressia, spesso associata alla bulimia,

è una malattia dei nostri tempi: nel 1955 erano

anoressici 30 giovani su centomila, oggi sono

80. Colpisce quasi l’1% delle diciassettenni,

ma ultimamente si ammalano anche ragazze

più giovani, di 12-13 anni. La causa scatenante

può essere il disagio verso il proprio corpo, ma

anche un lutto, una delusione amorosa, un con-

flitto con i genitori o un episodio depressivo di

un genitore.

Nell’adolescenza, poi, i rapporti sociali si

vanno formando sempre più ed è proprio que-

sta la fase in cui i ragazzi frequentano assidua-

mente i “fast-food”. Ormai è dimostrato che

il frequente consumo di pasti “fast-food”, può

rappresentare una possibile fonte di squilibri

nutrizionali nel senso di un eccessivo introito

di grassi e di proteine animali e un ridotto ap-

porto di fibre. Un errore spesso commesso dai

frequentatori di fast-food (essenzialmente in età

giovanile) è quella di ritrovarsi tra amici in un

ambiente accogliente e informale e, proprio per

occupare un tavolo, consumare cibi e bevande

prima o dopo aver assunto il “pasto casalingo”.

INCENtIvAZIONE DELL’AttIvItà fI-SICA

La terapia dell’obesità infantile deve tenere

conto di una complessa serie di fattori che inte-

ragiscono gli uni con gli altri. I bambini di oggi

consumano approssimativamente circa 600 kcal

al giorno in meno dei loro coetanei di 50 anni fa.

Recenti linee guida suggeriscono che i bambi-

ni dovrebbero praticare 60 minuti di moderata-

intensa attività fisica ogni giorno, integrata da

attività regolari che migliorino la forza e la fles-

sibilità. Comunque l’attività fisica per i bambini

piccoli deve essere di intrattenimento e diver-

tente. È quindi fondamentale incentivare sem-

26

pre una moderata attività fisica: il camminare o

andare in bicicletta offrono sostanziali benefici

per la salute.

È dimostrato che uno stile di vita sedentario

nell’infanzia favorisce lo sviluppo di malattie

cardiovascolari, diabete e obesità in età adulta.

Negli anni novanta del XX secolo, il diabete mel-

lito di tipo 2 veniva diagnosticato solo nell’1-2%

dei giovani; dal 1994 rappresenta più del 16%

dei nuovi casi di diabete infantile. Comunque un

valore di glicemia nel bambino superiore a 100

mg/dl deve essere considerato anormale e meri-

tevole di approfondimento diagnostico.

ALtRA fUNZIONE DEL PEDIAtRA: RE-SPONSABILIZZARE I GENItORI

Per molti secoli il compito principale dei

genitori è stato quello di assicurare ogni giorno

il cibo ai propri figli. Negli ultimi decenni, nei

Paesi ritenuti più industrializzati, il panorama è

totalmente cambiato. L’offerta alimentare è au-

mentata in maniera impressionante e si è passati

a un’alimentazione eccessiva e spesso monoto-

na: un bambino sovrappeso è un problema com-

plesso per se stesso, per la sua famiglia e per la

società.

In ogni famiglia c’è spesso un settore della

vita del figlio a cui dedicare particolare attenzio-

ne: scuola, amici, sport; in questo senso anche

l’alimentazione costituisce un classico “terreno

di battaglia”. D’altra parte attraverso il compor-

tamento alimentare i genitori hanno l’opportu-

nità di capire il proprio bambino. Il consiglio è

allora quello di non fuggire dal problema ma di

raccogliere la sfida che può costituire un’occa-

sione unica di maturazione e di crescita per la

famiglia nel suo complesso. Spesso si mangia

più del necessario per ansia, tristezza o noia. La

soluzione? Non solo ridurre la quantità degli ali-

menti ma anche cercare i motivi della sofferenza

che causa l’iperalimentazione. Importante è ri-

costruire l’autostima dell’individuo.

“Mio figlio non mangia niente!” Ancora og-

gi il cibo è considerato simbolo di sicurezza e

serenità. Spesso uno o entrambi i genitori sono

convinti di essere più validi se riescono a “iper-

nutrire” il proprio figlio. Il bambino può allora

avere due comportamenti: assecondare i genito-

ri, diventando così sovrappeso o, al contrario,

mangiare sempre meno.

Una volta seduti a tavola sarebbero da evita-

re frasi come quelli riportate in figura 1.

Complessivamente esprimono in maniera

autoritaria un solo concetto: “in te c’è qualcosa

di negativo!” Il risultato è scontato: il bambino

non collabora più alla sua alimentazione e tende

a rifiutare gli alimenti proposti.

Attenzione. Il gusto può essere educato, an-

che in maniera negativa: negli ultimi decenni,

ad esempio, è aumentato il consumo di fruttosio

(dolcificante a basso costo derivato dal mais) e,

di pari passo, il tasso di obesità. Attualmente i

nostri bambini fin dai primi mesi di vita sono

“addomesticati” al gusto dolce che ricercano

poi, negli anni successivi, negli alimenti, a costo

calorico eccessivo. In questo senso bibite dolci

e gassate non aiutano certo a controllare il peso

corporeo.

Le problematiche alimentari non risolte in

età scolare si ripercuotono, inevitabilmente, in

età puberale. L’indagine, che la Società Italiana

di Pediatria effettua ormai da diversi anni su un

fig. 1

27

campione nazionale di studenti di età compre-

sa tra i 12 e i 14 anni mostra un rapporto non

incoraggiante: largo impiego dei fuoripasto e

alimentazione poco variata. 1 ragazzo su 3 di-

chiara di mangiare quotidianamente, al di fuo-

ri di pranzo e cena, biscotti, panini, cioccolata,

caramelle, gelati, patatine e merendine. L’altro

problema nutrizionale deriva dalla dieta poco

variata: il 15% degli intervistati ha dichiarato di

mangiare “sempre le stesse cose” e il 41% di

mangiare “solo le cose che piacciono”. I com-

portamenti alimentari, inoltre, peggiorano con

l’aumentare delle ore trascorse davanti alla tele-

visione o ad un PC.

È quindi necessario impostare, fin dai primi

anni di vita del bambino, un programma educa-

tivo che può essere riassunto nella tabella 3.

Frutta e verdura andrebbero assunte in quan-

tità adeguata (per intenderci un volume pari 5

“pugni” del bambino al giorno) e l’impiego del

sale andrebbe ridotto, anche mediante l’impiego

delle spezie che possono essere usate per insa-

porire gli alimenti. Educare la nostra alimenta-

zione è quindi possibile ma è necessario una pur

minima attenzione, evitando di mangiare “co-

me capita” e soprattutto, perché impossible is nothing!

Impossibile è solo una parola pronunciatadai piccoli uomini che trovano più facilevivere nel mondo che gli è stato dato,piuttosto che cercare di cambiarlo,è un’opinione.Impossibile non è una regola, è una sfida.Impossibile non è uguale per tutti.Impossibile non è per sempre.

TAB. 3 - PROGRAMMA EDUCATIVO ALIMENTARE

Niente cibo davanti alla televisione

Meglio poca tv e soprattutto senza cibo. Mangiare meccanicamente davanti al video è il modo migliore per perdere il controllo e per riempirsi di cibo senza accorgersene. Inoltre rimanendo seduti le calorie accumulate non vengono smaltite.

Niente scorte di “cose buone” in casa

Non tenete scorte di merendine, biscotti, dolci, patatine fritte e altri cibi che possano essere saccheggiate senza controllo, meno che mai se il bambino rimane spesso solo in casa. Se non potete comperarli man mano che servono, teneteli in un posto a cui non possa accedere liberamente. Però nessun cibo è da vietare del tutto, i divieti stimolano.

Il gusto del proibito Conviene “contrattare” le occasioni in cui certe golosità sono concesse e, per quelle più facilmente disponibili, fargli capire che vanno mangiate in piccole quantità.

Attenzione alle bevande gassate

In questo caso anche il bere fa ingrassare, perché le bevande gassate sono ricche di zuccheri. Una bibita ogni tanto è concessa, ma bisogna far capire che la sete si toglie con l’acqua. Mai lasciare in frigo bottiglie da due litri dalle quali attingere liberamente: per un bambino il contenuto di una lattina è già troppo.

Mai mangiare troppo in fretta

Quando si mangia troppo velocemente, la mente non ha neppure il tempo di rendersi conto che lo stomaco si è già riempito. Ci vogliono infatti circa 20 minuti perché il segnale di sazietà arrivi al cervello dallo stomaco pieno. Insegnate al bambino a ma-sticare bene, a fare una pausa dopo ogni portata o, meglio ancora, quando il piatto è vuoto a metà. Naturalmente devono mangiare piano anche i genitori.

Non saltare la colazione del mattino

Anche se può sembrare strano, i bambini che saltano la colazione rischiano di ingrassare quattro volte di più, perché partono con un debito calorico che tendono a riempire in eccesso durante la giornata. Nell’intervallo a scuola è sufficiente un frutto.

Non spingetelo a vuotare il piatto

Insegnargli a non fare avanzare il cibo è una buona abitudine, ma solo se le porzioni non sono eccessive. Se vi capita spesso di insistere per farlo mangiare, probabilmen-te ha ragione lui: fate porzioni più piccole e semmai concedete un bis.

Non esagerate con la carne

Almeno cinque volte alla settimana va sostituita con i legumi o con del pesce (soglio-la, nasello, palombo, pesce azzurro) che contiene gli acidi grassi insaturi fondamen-tali, specie nei primi tre anni di vita, per lo sviluppo del sistema nervoso centrale.

28

SEL

EC

tIO

Siamone conSapevoli[Marik Kloestner]

L’uomo ritiene di essere il picco più alto della creazione, la parte pensante del cosmo, lo

scopo di tutto. È gratificante crederlo, ma l’universo potrebbe avere un’opinione diversa.

vUna perla

[Ultimo passo del Tao-teh-ching, Cit. in “Sull’Anima” di Hermann Hesse]

Le parole vere non sono belle,

Le belle parole non sono vere.

La bravura non convince,

La convinzione non è brava.

Il saggio non è erudito,

L’erudito non è saggio.

L’eletto non accumula ricchezze,

Tanto più fa per gli altri,

Tanto più possiede.

Quanto più dà agli altri,

Tanto più ha.

Il significato del cielo è benedire senza far danno.

Il significato dell’eletto è operare senza discutere.

vil vero SenSo pratico

[In “Sator Arepo eccetera” di Umberto Eco - Edizioni nottetempo, 2006]

Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo

quello che sai tu”.

vle tre leggi della robotica

[di Isaac Asimov]

1. Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del

proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.

2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non

contravvengano alla Prima Legge.

3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti

con la Prima o con la Seconda Legge

29

LE

GG

ER

E L

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LIS

I

IL POtASSIO E LA POtASSIEmIA Francesco Leone

Per potassiemia si intende la concentrazione

di ioni potassio (K+) nel plasma sanguigno.

Nel nostro organismo il potassio si presenta co-

me ione positivo (catione). Il K+ è lo ione inor-

ganico più abbondante all’interno delle cellule,

nelle quali viene introdotto mediante meccani-

smi che richiedono un apporto di energia. La

concentrazione degli ioni K+ nel sangue deve

avere oscillazioni molto ristrette poiché con-

centrazioni troppo alte (iperkaliemia) o ridotte

(ipokaliemia) possono avere gravi conseguenze

sul cuore e sulla funzione dei nervi. La potas-

siemia è mantenuta a un livello costante dall’at-

tività dei reni, nei quali gli epiteli dei tubuli se-

cernono gli ioni potassio scambiandoli con ioni

sodio o con ioni idrogeno contenuti nel filtrato

glomerulare.

Il potassio regola la pressione osmotica del-

le cellule e l’eccitabilità delle fibre muscolari.

In particolare è il muscolo cardiaco che risul-

ta molto sensibile alla concentrazione ematica

del K+. La quantità di potassio nell’organismo,

oltre che dalla funzione renale, è tenuta sotto

controllo dall’apparato digerente, sebbene in

minima parte. Una quota veramente esigua vie-

ne eliminata attraverso la sudorazione. L’esame

di laboratorio si effettua con un prelievo di san-

gue venoso, a digiuno, e i valori nel range della

norma sono compresi tra 3,5 e 5 mEq/L.

Nelle diete comuni viene assunta una quan-

tità di potassio solitamente superiore alle esi-

genze dell’organismo, ma in diete di tipo ve-

getariano spesso l’incremento del potassio

assunto è molto maggiore del fabbisogno. For-

tunatamente la capacità filtrante del rene con-

sente di riequilibrare anche forti oscillazioni. È

tuttavia essenziale che nel sangue la potassie-

mia si collochi nell’ambito delle variazioni ri-

strette tra 3,5 e 5 mEq/L e in ambito clinico sia

la ipopotassiemia (valori ridotti) sia l’iperpotas-

siemia (valori elevati) debbono essere corretti

prontamente e stabilizzati nel tempo. Valori più

bassi possono essere causati da eccessiva per-

dita che può avvenire per via gastrointestinale

(vomito, diarrea) o renale (uso di diuretici, ipe-

raldosteronismo). Valori più elevati sono di so-

lito associati a insufficienza renale; si possono

riscontrare anche in tutte quelle circostanze con

lesioni delle cellule, come si verifica per le crisi

emolitiche o l’infarto acuto del miocardio e in

corso di ipoaldosteronismo.

IPERPOtASSIEmIA (IPERKALIEmIA)

Quando il potassio nel sangue supera una

certa concentrazione si usa il termine iperpotas-

siemia. Poiché il potassio è il principale catione

intracellulare ed essenziale per definire il poten-

ziale di membrana a riposo, l’iperpotassiemia

genera alterazioni del ritmo cardiaco, causando

aritmie di varia gravità. La concentrazione intra-

cellulare di potassio è attorno ai 150 mmol/L. La

concentrazione plasmatica di potassio è di 3,5-5

mEq/L. Si definisce iperkaliemia quell’insieme

di disordini elettrolitici causati da una concen-

trazione plasmatica di potassio superiore a 5

mEql/L. Molti farmaci possono modificare la

concentrazione del potassio e l’iperpotassiemia

indotta da farmaci è un importante fattore sia

di morbilità sia di mortalità. Le modalità con le

quali i farmaci sono responsabili di iperpotas-

30

siemia includono una ridotta escrezione renale

dello ione correlata a ipoaldosteronismo, ridu-

zione di escrezione passiva, aumento degli ioni

nel contesto dello spazio extracellulare e anche

accresciuto apporto di K+. La condizione di

maggior rischio è l’insufficienza renale cronica

e una serie di condizioni morbose (in particolare

l’ipoaldosteronismo) per le quali vengono im-

piegati farmaci in grado di indurre iperpotassie-

mia. Il paziente deve comunicare al proprio me-

dico di fiducia il numero dei farmaci che assume

e il medico, in relazione alle molecole proposte

per i trattamenti selezionati, deve stabilire con

accuratezza il monitoraggio della potassiemia.

IPOPOtASSIEmIA (IPOKALIEmIA)

La condizione di ipopotassiemia è molto

frequente nella pratica medica. Varie sono le

condizioni che inducono un decremento dei

valori della potassiemia: insufficiente apporto

alimentare, alterato assorbimento dalla via in-

testinale (sindrome da malassorbimento, ste-

atorrea, etc.), aumento dell’eliminazione per

via renale (impiego non controllato di farma-

ci diuretici, iperaldosteronismo, chetoacidosi

diabetica, etc.), patologie cutanee da ustione.

Gli elementi clinici che caratterizzano l’ipo-

potassiemia possono essere asintomatici (nei

casi meno significativi) o causare alterazioni

neuromuscolari (astenia, iporeflessia) con mo-

dificazioni del tracciato elettrocardiografico

(depressione del segmento S-T, inversione delle

onde T, disturbi nel tratto atrio-ventricolare del-

la conduzione elettrica, etc.). Come per l’iper-

potassiemia, anche per le cause che generano

ipopotassiemia ha particolare importanza l’uso

dei farmaci. L’ipokaliemia indotta da farmaci

è frequente sia quando vengono usate dosi te-

rapeutiche sia quando si verifica iperdosaggio.

Alcuni farmaci (agonisti beta2-adrenergici, ti-

roxina, calcioantagonisti, clorochina, etc,) pos-

sono favorire l’ingresso del K dentro le cellule

mentre altri prodotti (lassativi, per esempio)

possono incrementare la perdita di potassio dal

tratto gastrointestinale (importanti il vomito e

la diarrea). Ben noto l’uso di alcuni diuretici

come causa di ipopotassiemia.

I parametri che devono essere controllati

per un monitoraggio dell’ipopotassiemia ri-

guardano la valutazione del tempo di compar-

sa e il livello del decremento. In questo senso

ne derivano poi le scelte per la sospensione del

farmaco ritenuto responsabile e/o l’opportu-

nità di associare un’integrazione del potassio.

Talora l’ipopotassiemia si può associare a de-

cremento del magnesio (diarrea persistente o,

per esempio, impiego di farmaci inibitori della

pompa protonica). Si deve ricordare che una

ipomagnesiemia associata a ipopotassiemia può

aggravare quest’ultima e rendere più difficile il

compenso con terapia di integrazione potassica.

Per il medico, poiché l’ipopotassiemia è piutto-

sto frequente, è di particolare valore un’anam-

nesi farmacologica accurata. Si deve anche con-

siderare che talora i pazienti usano prodotti da

banco e derivati da erboristeria dei quali non si

conosce la composizione. Una correzione tem-

pestiva e un buon monitoraggio possono evitare

varie complicazioni alcune delle quali sono po-

tenzialmente mortali.

Presso la BIOS S.p.A. di Roma in via Chelini 39, si eseguono quotidianamen-te analisi di routine e specialistiche.

Per informazioni e prenotazioni: CUP 06 809641

31

ImPA

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LA GOttA: StORIA, EZIOPAtOGENESI Lelio R. Zorzin, Silvana Francipane

IL PERCORSO StORICO DELLA GOttA

È doveroso premettere che la storia della

gotta si identifica con la Storia della Medicina

attraverso i secoli, dato che le manifestazioni

cliniche di questa malattia dismetabolica hanno

rappresentato nel passato l’epifenomeno della

“flogosi reumatica”.

Il termine “gotta” deriva dal latino “gutta”,

originariamente formulato dal monaco domeni-

cano Inglese Radulphus Bockingus (1) nel se-

colo XIII; però già Ippocrate nel V secolo a.C.

aveva delineato nei suoi Aforismi alcune carat-

teristiche epidemiologiche di questa affezione

(2): la donna non si ammala di gotta prima della

menopausa, gli uomini “ante usum Veneris” e gli

eunuchi sono esenti da questa malattia. Nel III

secolo a.C. Galeno descriveva i tofi. Il termine

gotta, secondo la dottrina ippocratica, configura-

va il fluire degli umori attraverso le articolazioni

e assumeva una differente denominazione a se-

conda della sede: podagra, chiragra, ecc.

La definizione della gotta come morbus

divitum, (figg. 1, 2 e 3) ossia delle classi so-

ciali più elevate, coincideva con quanto Celio

Aureliano, nel I secolo d.C. aveva intuito, os-

sia l’abuso alimentare (3). L’aspetto genetico di

questa malattia veniva ipotizzato già da Sorano

di Efeso nel II secolo d.C. (4), mentre la cli-

nica della gotta (ricorrenza degli attacchi acuti

e presenza dei tofi) era delineata da Areteo di

Cappadocia (5).

Dal punto di vista terapeutico già nel VI se-

colo d.C. Giacomo Psicrista (6) proponeva l’im-

piego dell’estratto di Colchicum autunnale nella

terapia degli attacchi acuti di gotta. Nei confron-

ti della cosiddetta “gotta viscerale” l’attenzione

veniva rivolta all’eventuale impegno renale (7).

fig. 1 - Partita a carte con un soggetto anziano affetto da gotta

32

Una magistrale descrizione dell’attacco acu-

to di gotta risale al 1683 ad opera di Thomas

Sydenham nel suo “Tractatus de Podagra et

hydrope” (8).

Il riscontro dell’acido urico nei calcoli uri-

nari e nei tofi, ad opera di Wilhelm Scheele (9)

e William Hyde Wollaston (10) veniva con-

fermato da Alfred Baring Garrod (11, 12) nel

1848 con il test della muresside e nel 1859 con

il “metodo del filo”; spetta a questo autore l’i-

potesi della precipitazione di acido urico nelle

articolazioni o nei tessuti adiacenti in occasione

di un attacco acuto.

Dal punto di vista della patogenesi di que-

sta malattia Emil Fischer ha formulato la teoria

della derivazione dell’acido urico da

un processo di ossidazione delle basi

puriniche (13) quale prodotto catabo-

lico finale. Va comunque chiarito che

l’espansione del pool dell’acido urico

non necessariamente è sintomatica,

ma quando è clinicamente rilevante

può essere sinonimo di una gotta pri-

mitiva o secondaria.

Nel secolo XX alcune acquisizio-

ni importanti ci vengono dall’impie-

go dei radioisotopi, che ha consentito

la misurazione del “pool miscibile”

dell’acido urico e il suo turnover. Nel

1961 MacCarty e Hollander, mediante la micro-

scopia a luce polarizzata hanno identificato nel

liquido sinoviale di gottosi la presenza di cristal-

li di sodio monourato, responsabili di una rea-

zione infiammatoria (14). Queste acquisizioni

consentivano la formulazione di un importante

capitolo della Reumatologia, ossia quello delle

“artriti microcristalline”, da urato monosodico o

pirofosfato di calcio diidrato.

Nel 1964 Lesh e Nyhan (15) identificavano

un particolare disturbo del metabolismo delle

purine, differenziabile clinicamente dalla gotta,

caratterizzato da iperuricemia e gravi disturbi

neuropsichici; nel 1967 Seegmiller e coll. (16)

hanno documentato la carenza totale di ipoxan-

tina-guanina-fosforibosil-transferasi (HGPRT)

in questa sindrome.

I personaggi della storia ritenuti “gottosi”

forniscono una testimonianza sulla diffusione di

questa malattia nei secoli: tra i “regnanti” ricor-

diamo Alessandro Magno, Ottaviano Augusto, i

Borbone, Enrico VIII Tudor, Carlo V e Filippo

II d’Asburgo e Piero di Cosimo de’ Medici det-

to “il gottoso”; tra i Papi e riformatori Giulio II

della Rovere, Martin Lutero e Giovanni Calvi-

no. Da non dimenticare famosi protagonisti del-

la storia inglese quali Cromwell, Orazio Nelson

e tra gli scrittori e artisti Orazio, Ovidio, Miche-

langelo, Pieter Paul Rubens (17).

Se la gotta nel passato ha colpito prevalen-

temente strati della popolazione più “agiati”, ai

nostri giorni l’incidenza di tale affezione, la più

diffusa delle artropatie microcristalline, ha un

trend in aumento soprattutto nelle popolazioni

più industrializzate e anziane (18, 19).

L’incidenza e prevalenza di questa condizio-

ne morbosa ai nostri giorni può riassumersi nei

termini riportati in tabella 1 (17).

TAB. 1

Sesso M Sesso F

Picco di età (in anni) 4-50 > 60

Distribuzione per sesso 2-7 1

Prevalenza/1000 5-28 1-6

Incidenza annuale (1000) 1-3 0,2

fig. 2 - Rappresentazione socio umoristica di un ricco gottoso costretto a recarsi a consulto medico con l’aiuto di due servitori

fig. 3 - Cartellone teatrale di un musical sulla gotta

33

PAtOGENESI DELLA GOttA

È ammessa una predisposizione genetica a

questa affezione tramite fattori che esercitano un

controllo sulla clearance renale dell’acido urico

(20, 21), sul trasporto renale di acido urico (22)

e sulla regolazione dell’uricemia (23). Un ruo-

lo alla suscettibilità per la gotta è rappresentato

dalla regione lq21 del cromosoma 1, la regione

4q25 del cromosoma 4 e un polimorfismo del

gene per un recettore estrogenico nella regione

6q25, 1 sul cromosoma 6 (24, 25).

Protagonista della patogenesi e clinica di

questa artrite microcristallina è l’acido urico,

in quanto prodotto finale del catabolismo dei

composti purinici (tab. 2). La premessa fonda-

mentale alla formazione dei cristalli di urato

monosodico nell’articolazione è il superamento

della loro soglia di solubilità, ossia la concen-

trazione plasmatica superiore a 7 mg/dl, ossia

420 mmol/1. La solubilità dell’urato è però

condizionata anche da altri fattori, quali il pH,

la temperatura, i traumi e il legame con grandi

proteine plasmatiche (26).

Nell’ambiente articolare interagiscono con i

cristalli i leucociti (neutrofili, e macrofagi), le

cellule endoteliali, i sinoviociti, e le mastcellule

(27); i macrofagi residenti e le mastcellule sono

in grado di rilasciare IL-1 beta in seguito all’atti-

vazione da parte dei cristalli dell’inflammasoma

NALP3, che è un complesso proteico citopla-

smatico composto da una proteina della famiglia

delle NALP, contenenti il recettore per la dime-

rizzazione dei nucleotidi, dalle proteine ASC

adattative (apoptosi-associate) e dalla caspasi-1

(28). I cristalli indurrebbero l’inflammasoma ad

attivare e rilasciare IL-1 beta e IL-18 (29). La

colchicina blocca l’attivazione dell’IL-1 beta e

quindi la flogosi. Interessante l’azione favorente

di acidi grassi liberi (FFAs) legati all’assunzione

di alcol e alcuni cibi, che attiverebbero l’inflam-

masoma, il rilascio di mediatori dell’infiamma-

zione per attivazione endoteliale scatenando

l’attacco di gotta e suggerendo una interferenza

tra gotta e la cosiddetta sindrome metabolica. Il

motivo per cui l’attacco acuto di gotta è auto-

limitantesi risiede nel “couting” dei cristalli, in

quanto questi ultimi, rivestiti da proteine APO

B e APO E inducono la remissione dell’attacco;

interviene anche la fisiologica trasformazione

dei monociti in macrofagi (switch” monociti-

co-macrofagico) con diminuzione della sintesi

delle citochine pro-infiammatorie e aumento di

quelle anti-infiammatorie (TGF-beta) (30).

Da un punto di vista strettamente metaboli-

co, l’iperuricemia, nell’uomo superiore al ran-

ge di 50-70 mg/l e nella donna oltre 60 mg/l,

è condizionata dall’entità del “pool miscibile”,

ossia la totalità dell’“acido urico scambiabile”,

che in condizioni normali è di 1.200 ng. Ogni

giorno dal 50 al 70% (600-800 ng) dell’acido

urico lascia il pool per essere eliminato, men-

tre una analoga quantità lo rimpiazza. In defi-

nitiva l’uricemia dipende dall’equilibrio tra la

produzione e l’eliminazione di acido urico dal

pool miscibile. Importante anche l’eliminazio-

ne dell’acido urico che avviene prevalentemen-

te per via urinaria (2,70 mmol/24 h) mediante

secrezione tubulare, mentre una quota limitata

avviene attraverso l’intestino.

Acidi nucleicialimentari e cellulari

Nucleotidiac. guanilico, ac. adenilico

Nucleotidi ac. inosinico

Ipoxantina

XantinaXantinaOssidasi

Riassorbimento tubolareSecrezione tubolare

Acido urico

Rene

HGPRT

Via lunga Via breve

OloproteineGlicocolla

Sintesi de novo

tab. 2 - Principali tappe del metabolismo dell’acido urico

34

BIBLIOGRAfIA

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13) fisher mE Untersuchungen in der Puringruppe. Springer, Berlin, 1907.

Dal punto di vista classificativo, la gotta pre-

vede una varietà “primitiva” classica, per iper-

produzione, minore eliminazione e condizione

mista, nei confronti dell’acido urico, una gotta

“secondaria” in corso di emopatie linfoprolife-

rative, nefropatia e una gotta “enzimatica” da

deficit parziale o totale di ipoxantina-guanina-

fosforibosil-transferasi (HGPRT) che si identifi-

ca con la “malattia di Lesh-Nyhan”.

fAttORI DI RISCHIO

È particolarmente importante la comorbilità

della gotta con la cosiddetta sindrome metaboli-

ca: in un soggetto iperteso i valori dell’uricemia

sono inversamente correlati con il flusso renale

e la secrezione tubulare di urato, mentre corre-

lano direttamente con le resistenze vascolari.

L’insulino-resistenza è il punto di unione tra la

sindrome metabolica e la gotta, in quanto l’ipe-

rinsulinismo riduce la secrezione renale di sodio

e acido urico nei sani e rappresenta un potenziale

meccanismo comune sia per l’ipertensione, sia

per l’iperuricemia (31). Altro fattore di rischio è

rappresentato dai diuretici, soprattutto tiazidici,

che interferiscono con i meccanismi di trasporto

dell’acido urico a livello tubulare renale (32); da

tenere presente che l’uso di diuretici comporta un

effetto iperuricemizzante dell’acido acetilsalicili-

co a bassi dosaggi (1-2 g/die) (33).

TAB. 3 - RISCHI CORRELATI ALLA MALATTIA (34)

Rischio gottoso quando iperuricemia > 9 mg/dl

Rischio nefrogeno

con iperuricemia 8-12mg/dl (nefropatia interstiziale uratica)

Rischio litiasico nel 25% dei gottosi (iperuricemici primari)

Rischio artrosico (artrosi uratica)

Rischi collaterali Cardiologico (obesità, ipertriglice-ridemia)

Arteriosclero-tico

(insulino-resistenza, ipertensione, obesi-tà, dislipidemia)

Nel 1927 Ellis Havelock e nel 1955 Egon

Orowan hanno sostenuto l’ipotesi di una cor-

relazione tra i livelli di uricemia e le funzioni

cerebrali superiori (35, 36).

35

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36) Stetten D jr, Hearon JZIntellectual level measured by army classification battery and serum uric acid concentration. Sci-ence 1959;129:1737.

Presso la BIOS S.p.A. di Roma in via Chelini 39, il prof. Lelio R. Zorzin è con-sulente per la Reumatologia.

Per informazioni e prenotazioni: CUP 06 809641

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BIO

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UN INDICAtORE DELLA RISERvA OvARICAIrene Carunchio, Annarita D’Angelo

L’ormone antimulleriano (AMH) è una gli-

coproteina dimerica costituita da due unità

monomeriche di 72 kilodalton legate da ponti

disolfuro e appartiene alla famiglia del Tran-

sforming Growth Factor beta family, secreto da

cellule specializzate dette “del Sertoli”.

Questo ormone gioca un ruolo importante

nella differenziazione del sesso durante lo svi-

luppo embrionale stimolando specifici recettori

(zone di una cellula in cui l’ormone si attacca

per svolgere la sua funzione) delle cellule pre-

cursori degli organi sessuali, per programmar-

ne la funzione definitiva. Nei primi mesi dello

sviluppo, infatti, la sua produzione induce la

regressione dei dotti mulleriani, impedendo

che questi si trasformino nelle tube di Fallop-

pio e in altri tessuti dell’apparato riproduttivo

femminile (1). La sua produzione nei maschi

prosegue per tutto lo sviluppo embrionale e,

dopo la nascita, fino alla pubertà. Nel maschio,

serve come tool diagnostico per determinare la

presenza di testicoli funzionanti nei bambini in

cui si sospetta un disordine nello sviluppo ses-

suale: la presenza indica l’esistenza di testicoli

funzionanti, mentre la sua assenza suggerisce

l’alterazione della funzionalità dei testicoli, una

disgenesia gonadica o la sindrome (rara) della

persistenza dei dotti mulleriani, legata a una

mutazione genetica.

A partire dalla 36° settimana di gestazione,

anche negli embrioni di sesso femminile inizia

la produzione dell’ormone antimulleriano, ad

opera delle cellule della granulosa, strettamente

legate all’ovocita. L’AMH viene prodotto fino a

che i follicoli raggiungono i 4-6 mm, momento

in cui diventano recettivi per l’ormone follicolo

stimolante che ne guida la maturazione (2).

Ogni donna possiede nelle ovaie un proprio

patrimonio follicolare: alla nascita, in genere,

contiene intorno a 1-2 milioni di follicoli, al mo-

mento della pubertà questo numero si è ridotto a

circa 300-500 mila follicoli, all’età di 37 anni il

numero è sceso a circa 25 mila mentre a 51 anni,

cioè al momento in cui mediamente insorge la

menopausa, il numero residuo è di circa 1.000

follicoli.

La diminuzione del numero di follicoli ova-

rici (e quindi della riserva ovarica) porta ad una

riduzione della produzione di AMH (3). Diversi

studi hanno dimostrato che il dosaggio ematico

dei livelli di ormone antimulleriano rappresen-

ta uno dei test principali della valutazione della

condizione di fertilità (4).

Questo test viene utilizzato per predire l’età

della menopausa e monitorarne la progressione.

Viene preferito alla valutazione dei livelli ema-

tici dell’ormone follicolo stimolante (FSH) per-

ché la produzione di AMH è indipendente dalle

fasi del ciclo mestruale, e viene preferito alla

conta dei follicoli eseguita con gli ultrasuoni

(USG e ACS) perché eseguibile con un semplice

prelievo di sangue.

La sua valutazione può avere un significato

clinico anche in donne di giovane età. Poiché,

come riportato precedentemente, la sua riduzio-

ne è dipendente dal numero di follicoli ovari-

ci presenti, nelle donne con policistosi ovarica

(sindrome caratterizzata da un aumento degli

ormoni maschili e dall’aspetto ecografico po-

licistico delle ovaie) l’AMH è elevato. Anche

i valori molto elevati di AMH sono patologici

poiché bloccano la sensibilità dei follicoli al

FSH impedendo l’ovulazione.

Viene molto utilizzato anche nella prepara-

zione alla fecondazione assistita, poiché forni-

sce indicazioni sullo stato dei follicoli e sulla

responsività alla stimolazione ormonale. Ov-

viamente non è l’unico parametro da prendere

in considerazione: livelli normali di AMH in-

dicano che ci sarà una consistente produzione

di follicoli, disponibili per la fecondazione in

vitro, ma non dà indicazioni sulle probabilità

37

di riuscita della fecondazione e sullo sviluppo

embrionale (5).

L’aumentata produzione dell’AMH può an-

che essere correlata a patologie neoplastiche a

carico dell’ovaio e può essere anche influenzata

da alcune terapie: la chemioterapia, ad esempio,

riduce considerevolmente i livelli di AMH (6).

In conclusione, il valore dell’AMH è utile

nella valutazione della fertilità essendo espres-

sione della riserva ovarica di una donna.

Identifica anche le donne che rischiano una

menopausa precoce per le quali potrebbe esse-

re necessario considerare un eventuale conge-

lamento degli ovociti o una ricerca anticipata

della gravidanza.

Presso il nostro laboratorio è possibile effet-

tuare la valutazione dei livelli dell’AMH trami-

te un prelievo ematico.

Il dosaggio viene eseguito, con cadenza

quindicinale, tramite la strumentazione MAGO

4S della DELTA Biologicals ed è un test ELISA

(Ansh Lab) ad alta sensibilità.

Il dosaggio dell’ormone antimulleriano è eseguibile di routine nel laboratorio di analisi cliniche della BIOS S.p.A. di Roma in via Chelini 39.

Per informazioni e prenotazioni: CUP 06 809641

Bibliografia

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38

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E I BENIfICI CLINICI DELLA RICERCA: SELEZIONE DALLA LEttERAtURA SCIENtIfICA

SECONDA CONfERENZA INtERNA-ZIONALE vAtICANA SU CELLULE StAmINALI ADULtE: LA mEDICINA RIGENERAtIvA, UN fONDAmENtALE CAmBIAmENtO NELLA SCIENZA E NELLA CULtURA

www.adultstemcellconference.org

Nel mese di aprile 2013 si è tenuta a Roma,

in Vaticano, la seconda Conferenza Internazio-

nale su Cellule Staminali Adulte con lo scopo

di introdurre una maggiore conoscenza delle

potenzialità delle cellule staminali adulte nella

Medicina Rigenerativa.

Con questo secondo evento si dà continuità

alla collaborazione quinquennale tra il Pontifi-

cio Consiglio della Cultura (dal 2007 diretto

dal Cardinale Gianfranco Ravasi) e la NeoStem

Inc., (diretta dal 2006 dalla dottoressa Robin

L. Smith) attraverso le loro organizzazioni in-

ternazionali no profit: STOQ (Scienza, Teolo-

gia e Questione Ontologica) e la Stem for Life

Foundation. La STOQ ha come scopo il costrui-

re ponti tra la scienza e la fede e la Stem for Life

Foundation si dedica alla promozione e sensibi-

lizzazione del potenziale terapeutico delle cel-

lule staminali adulte.

Hanno partecipato a questa Conferenza In-

ternazionale scienziati, medici, ministri e rap-

presentanti politici della sanità, personalità di

spicco nel campo della fede, dell’etica e della

cultura, ambasciatori presso la Santa Sede e alti

funzionari di tutto il mondo culturale e scienti-

fico. Presente anche Sir John Gurdon, biologo

britannico, Premio Nobel 2012 per la Fisiologia

e la Medicina per il suo lavoro sulle cellule sta-

minali pluripotenti indotte.

Nel corso della Conferenza, gli studiosi di

cellule staminali adulte hanno presentato i pro-

gressi compiuti finora nel campo della ricerca

per la cura di organi danneggiati e malati; nella

rigenerazione della pelle per vittime di ustioni;

nella cura di un numero crescente di malattie

croniche; nella cura dei tumori pediatrici; nella

prevenzione del rischio di ictus, del morbo di

Parkinson e di lesioni cerebrali da trauma.

La Santa Sede sostiene la ricerca eticamente

corretta e incoraggia la ricerca scientifica con-

dotta nel rispetto dei valori morali, della dignità

della persona umana e della volontà di porta-

re benefici per l’umanità. Gli organizzatori di

questa Conferenza hanno cercato di promuo-

vere una migliore comprensione degli sviluppi

nell’ambito della ricerca medica, esplorando le

loro possibili conseguenze culturali e sociali,

nonché di rendere tali risultati disponibili a tutti

coloro che soffrono o assistono i malati.

“La nostra Conferenza non solo vuole edu-

care le persone di tutte le età, religioni e culture

a comprendere il potenziale delle cellule stami-

nali adulte per curare le malattie croniche, ma

genererà un dialogo internazionale sulla medi-

cina rigenerativa, che esplora le interconnessio-

ni tra le scoperte scientifiche, la fede, la cultura

e l’etica”.

“Gli sviluppi nella medicina rigenerativa

sono di grande interesse. Essi mostrano come

si evolve la scienza, causando cambiamenti di

paradigma, per esempio in biologia cellulare.

Essi provocano anche profonde trasformazioni

culturali a vari livelli, dalla sanità all’economia,

dalle nuove tecnologie ai problemi giuridici.

Pertanto, gli argomenti che apparentemente

sembrano essere solo teorici, modificano invece

la nostra comprensione dell’essere umano e di

tutta la società, dove gli studi di scienze naturali

giocano un ruolo cruciale, con conseguenze per

l’antropologia teologica e persino per la filoso-

39

fia. È nostra missione e nostro dovere esplorare

queste dinamiche, per offrire migliori strumenti

per la cura pastorale e per la comprensione dei

cambiamenti culturali” ha detto durante un’in-

tervista Monsignor Tomasz Trafny, responsabile

del Dipartimento di Scienza e Fede e Direttore

Esecutivo del Progetto STOQ, presso il Pontifi-

cio Consiglio della Cultura in Vaticano.

ALLERGIE, UN DECALOGO PER PRE-vENIRLE E CONvIvERCI AL mEGLIO

Le allergie rappresentano ormai una vera e

propria emergenza perché colpiscono quattro

italiani su dieci e sono in costante aumento.

Domenica 28 aprile 2013 è stato organizzato

l’“Allergy day”, un appuntamento dedicato al-

le allergie, organizzato dalla Società Italiana di

Allergologia e Immunologia Clinica (SIAIC)

e dall’Associazione Allergologi e Immunologi

Territoriali Ospedalieri (AAITO), che ha visto il

coinvolgimento della Lega calcio.

Ai tifosi che si sono recati allo stadio in

quella data, per veder giocare la propria squadra

di calcio di serie A è stato ricordato, con mes-

saggi dei calciatori e distribuzione di materiale

informativo, un appuntamento con la prevenzio-

ne con i centri di allergologia in tutta Italia.

“Vogliamo puntare alla fascia giovane, a

volte quella più colpita e anche con meno con-

sapevolezza del problema” – sottolinea il presi-

dente dell’AAITO il dr. Gianenrico Senna.

“Molto spesso le allergie – aggiunge il presi-

dente SIAIC prof. Massimo Triggiani – posso-

no degenerare in shock anafilattico, soprattutto

in pazienti in cui si sono presentati preceden-

temente piccoli segnali premonitori, come orti-

caria o angioedema, che non sono stati ricono-

sciuti in tempo: è per questo che occorre essere

consapevoli che un consulto dall’allergologo

può prevenire forme gravi”.

Per l’occasione è stato elaborato un decalo-

go con le cose essenziali da sapere sulle allergie,

per prevenirle e conviverci al meglio.

1) Le allergie nell’ultimo ventennio sono più

che raddoppiate, ne soffrono 4 italiani su 10.

2) Sono comuni a tutte le età.

3) Peggiorano la qualità di vita, causano una

diminuzione della produttività scolastica e

lavorativa con rilevanti costi sociali. Quelle

più gravi possono anche essere fatali.

4) Si possono diagnosticare precocemente e

correttamente in modo da iniziare il più pre-

sto possibile la terapia.

5) Esistono terapie efficaci per controllarle, con

farmaci sicuri, efficaci e con scarsi effetti

collaterali.

6) I vaccini danno un effetto protettivo, anche

nel caso delle allergie più gravi come quella

da veleno d’insetti (api e vespe).

7) Sull’etichettatura dei cibi conservati vige

una nuova normativa europea che impone

la segnalazione dell’eventuale presenza di

allergeni alimentari nascosti, come tracce di

arachidi, nocciole, latte, uovo.

8) Essere allergici ai farmaci non vuol dire evi-

tare ogni tipo di terapia ma scegliere insieme

al proprio allergologo i medicinali da usare

attraverso test appropriati.

9) Svolgere una regolare attività sportiva è pos-

sibile. Le allergie, se trattate correttamente,

consentono a tutti di vivere meglio e di pra-

ticare qualsiasi sport.

10) Esistono centri di Allergologia in tutt’Italia:

presso di essi è possibile effettuare corrette

procedure diagnostiche e idonei approcci te-

rapeutici.

La lista è consultabile sul sito della SIAIC

www.siaic.net e sul sito dell’AAITO www.aai-

to.it.

monsignor tomasz trafny

40

SECONDO UNO StUDIO INGLESE tROPPO ZUCCHERO E SALE NEL CIBO PER I BAmBINI

http://journals.cambridge.org/action/displayAbstract?fromPage=online&aid=8907674

Uno studio, pubblicato sulla rivista Public

Health Nutrition Journal e condotto dal gruppo

diretto dalla dr.ssa Kirsten Rennie della Univer-

sity of Hertfordshire, Hatfield, UK, ha messo

in evidenza che i cibi per bambini considerati

“sani”, per esempio yogurt e cereali dedicati ai

più piccoli, in realtà hanno alto contenuto in sa-

le, zuccheri e grassi e sono quindi di gran lunga

meno salutari degli analoghi cibi in “versione

adulta”. In questo studio sono stati messi a con-

fronto cibi in vendita ai supermercati destinati

ai più piccoli (promossi come cibi per bambini

e pubblicizzati come tali) con analoghi cibi che

invece hanno come destinatario la popolazione

generale.

Oggi si è portati a pensare che i bambini va-

dano soprattutto salvaguardati da snack e cibo

spazzatura; ma sembra che il “nemico” si na-

sconda anche dentro i prodotti considerati salu-

tari. Gli esperti hanno confrontato il contenuto

in sale, grassi e zucchero nei prodotti per bam-

bini e negli analoghi per adulti (yogurt, cereali,

etc.) e hanno visto che i primi hanno un più al-

to contenuto in sostanze che, in eccesso, fanno

male come il sale e lo zucchero.

NEGLI USA BOOm DI SNACK ALLA CAffEINA, fDA APRE UN’INDAGINE

http://www.fda.gov/ForConsumers/ConsumerUpda-tes/ucm350570.htm

Un allarme è stato dato dalla Food and Drug

Administration americana (FDA) che sul suo

sito ha annunciato l’avvio di un’indagine sul te-

ma caffeina presente nei cibi. Infatti negli USA

oltre che nelle bibite, la caffeina si può trovare

adesso anche nei cibi, dalle gomme da masti-

care, agli snack, con effetti imprevedibili per la

salute.

L’ultimo prodotto in ordine di tempo a en-

trare sul mercato è una marca di gomme da ma-

sticare, e ognuna di queste gomme contiene caf-

feina per l’equivalente di mezza tazza di caffè,

ma la molecola è presente anche in caramelle,

gelatine, semi di girasole, waffle e diversi altri

snacks.

“L’agenzia sta studiando il potenziale im-

patto di tutte queste nuove facili fonti di caf-

feina sulla salute soprattutto di bambini e ado-

lescenti” – spiega il dr. Michael Taylor, uno dei

dirigenti della FDA – “La proliferazione di que-

sti prodotti ci preoccupa molto. L’unica volta

che l’agenzia ha dato parere favorevole esplici-

to per l’uso della caffeina come additivo è stato

nel 1950 per la «cola»”.

La dose massima consigliata di caffeina per

gli adulti, ricorda l’esperto, è di 400 milligram-

mi al giorno, mentre bambini e adolescenti non

dovrebbero assumerne affatto.

CINQUE PAStI AL GIORNO è LA RE-GOLA mIGLIORE PER UNA DIEtA EQUILIBRAtA. GLI ESPERtI DICONO CHE SONO fONDAmENtALI COLAZIO-NE, SPUNtINO, PRANZO, mERENDA E CENA

http://www.nestle.it/nutrizione_salute_benessere/os-servatorio_adi-nestle

Per insegnare a prendersi meglio cura della

propria alimentazione l’Osservatorio Nestlé-

Fondazione ADI ha studiato le persone che

hanno adottato la “regola dei 5 pasti”, definiti

come “gli appuntamenti irrinunciabili che de-

vono scandire la nostra giornata”. I cinque pasti

fondamentali sono colazione, spuntino, pranzo,

merenda e cena.

“Oggi – dice l’Osservatorio – il trend di

persone che seguono questa regola inizia ad es-

sere positivo: rispetto al 2011 inizia a crescere

del 2%”. I dati dello studio, aggiunge il dr. Giu-

seppe Fatati, coordinatore scientifico dell’Os-

servatorio, “non fanno che validare ulterior-

mente l’importanza di una giusta frequenza dei

41

pasti all’interno dell’alimentazione quotidiana.

Tra coloro che fanno i pasti principali più 1 o 2

spuntini c’è, infatti, una prevalenza di persone

normopeso. I risultati sono comunque molto

incoraggianti soprattutto tra le donne: 4 su 10

fanno lo spuntino al mattino e 5 su 10 al pome-

riggio. Questo dimostra come un’informazione

mirata e le campagne di educazione alimentare

stiano iniziando a portare i primi frutti”.

Secondo l’indagine, le persone che dichia-

rano di saltare i pasti sono in diminuzione ri-

spetto al 2011 (dal 28% al 26%) soprattutto tra

gli over 45 e le donne, e solo 1 su 10 salta la

colazione. Un italiano su 4 dichiara di saltare

i pasti almeno 1 volta alla settimana; in parti-

colare, durante i giorni feriali si tende un po’

di più a saltare il pranzo, durante il weekend

invece la cena.

“Oltre alla frequenza – commenta il dr. Fa-

tati – è necessario ricordare che il tempo dedi-

cato ai pasti è fondamentale per l’assimilazione

dei cibi, il gusto e l’equilibrio di tutta la dieta

giornaliera. Secondo i dati sia cena, sia pranzo

durano in media circa 30 minuti, sia durante i

giorni feriali sia nel weekend, quando invece

bisognerebbe recuperare il valore della convi-

vialità. Infine – conclude l’esperto – un pasto

non può essere costituito da una sola categoria

di alimenti, e una dieta corretta, anche dima-

grante, deve sempre includere tutte le categorie

di alimenti in maniera varia ed equilibrata”.

UN ECCESSO DI StRESS OSSIDAtIvO fA DIvENtARE I CAPELLI BIANCHI

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23629861

Uno studio internazionale pubblicato onli-

ne su The Faseb Journal e condotto al Center

for skin sciences della University of Bradford,

nel Regno Unito, insieme all’Institute for Pig-

mentary Disorders e alla EM Arndt University

Greifswald, in Germania, dimostra che a fare

sbiancare le chiome sia un eccesso di stress os-

sidativo, con conseguente accumulo di perossi-

do di idrogeno nel bulbo pilifero dei capelli e

che una cura sperimentata per la vitiligine si è

dimostrata capace di restituire colore ai capelli

bianchi.

In particolare gli studiosi hanno osservato

un gruppo internazionale di 2.411 pazienti af-

fetti da vitiligine di differente livello, patologia

che provoca chiazze bianche su pelle, capelli,

peli, ciglia e sopracciglia, scoprendo che ad al-

cune forme della malattia corrisponde un’evi-

dente diminuzione delle capacità antiossidanti

da parte di alcuni enzimi, con il massiccio ac-

cumulo di stress ossidativo.

Ma vi si può porre rimedio, garantiscono

gli autori, che hanno sperimentato una crema

topica a base di un particolare enzima, chia-

mato PC-KUS (pseudocatalasi modificata) che

si attiverebbe sotto i raggi ultravioletti di tipo

B per ripigmentare capelli, sopracciglia e pelle

privi di melanina.

“Dopo anni di tentativi, per la prima volta,

abbiamo ottenuto un rimedio che va alla radi-

ce del problema dell’ingrigimento dei capelli

e che dà buoni risultati anche per la vitiligine,

condizione che provoca disagio emotivo e so-

ciale in molte persone”, precisa la dottoressa

Karin Schallreuter, dell’University of Bradford,

che ha diretto la ricerca.

AL vIA UN NUOvO StUDIO NEL REGNO UNItO: UN vIRUS PER RIPARARE IL CUORE DANNEGGIAtO

http: / /c i rchear t fa i lure .ahajournals .org/con-tent/5/3/357.full.pdf+html

Un virus per “riparare” un cuore stanco e

danneggiato è quello che verrà testato sui pa-

zienti che parteciperanno ad una sperimentazio-

ne nel Regno Unito. Per la precisione i ricerca-

tori si serviranno di un virus “ingegnerizzato”

per introdurre materiale genetico nel muscolo

cardiaco, in modo da fermare e invertire il dete-

rioramento del cuore. A darne notizia è la BBC.

Spesso infatti dopo un infarto o un arresto il cuo-

re rimane troppo debole, tanto che si fa fatica

anche a salire le scale. Questo si verifica quando

42

l’organo è danneggiato dopo essere stato privato

dell’ossigeno durante un attacco, diventando co-

sì troppo debole per pompare in modo efficace

il sangue nel corpo.

I ricercatori dell’Imperial College di Lon-

dra hanno scoperto che nei pazienti che hanno

avuto un arresto cardiaco i livelli della proteina

SERCA2a sono più bassi. Perciò hanno pensato

a un virus geneticamente modificato, “istruito”

per produrre maggiori quantità di questa pro-

teina, che può “infettare” il cuore. Il virus verrà

rilasciato nel muscolo cardiaco danneggiato di

200 pazienti partecipanti allo studio, tramite un

tubicino inserito nella gamba e poi spinto in al-

to attraverso i vasi sanguigni.

“Così si riporta indietro il cuore – spiega il

dr. Sian Harding, uno dei ricercatori di questo

studio – al punto in cui il paziente stava bene,

prima che si verificasse il danno. È un tratta-

mento che può migliorare la qualità di vita di

molte persone”. Si tratta della prima sperimen-

tazione di terapia genica per arresto cardiaco.

OmS: OLtRE 270.000 PEDONI mUOIO-NO SULLE StRADE OGNI ANNO NEL mONDO

http://www.who.int/mediacentre/news/notes/2013/make_walking_safe_20130502/en/index.html

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha

affermato in occasione della “Settimana della

Sicurezza stradale” (6-12 maggio 2013), de-

dicata quest’anno ai pedoni, che oltre 270.000

pedoni perdono la vita sulle strade ogni anno

nel mondo, pari a circa al 22% del totale di 1,24

milioni di morti causati da incidenti stradali.

Con eventi in programma in 70 Paesi – spie-

ga l’OMS – la Settimana si propone di esortare

i governi ad adottare misure concrete per mi-

gliorare le condizioni dei pedoni. L’OMS cita

numerosi esempi tra cui la riduzione della velo-

cità degli automobilisti, migliori infrastrutture

per separare i pedoni dal traffico motorizzato

(marciapiedi, attraversamenti pedonali rialzati,

sovrappassi, sottopassi, isole di rifugio), ma an-

che una migliore progettazione dei veicoli con

ad esempio frontali “morbidi“.

I pedoni sono tra gli utenti della strada più

vulnerabili. Gli studi indicano che i maschi,

adulti e bambini, costituiscono una percentuale

elevata dei pedoni morti e feriti. Nei Paesi svi-

luppati – spiega l’OMS – i pedoni più anziani

sono magggiormente a rischio, mentre nei Pae-

si a basso e medio reddito, sono spesso colpiti

i bambini e i giovani adulti.

BOOm DEI CORSI DI BICICLEttA PER PICCOLI E GRANDI

Aumentati i ciclisti sulle strade delle prin-

cipali città e a questo aumento corrisponde an-

che l’incremento di chi in bicicletta non ci sa

andare. Registrano quindi un grande successo i

primi corsi per imparare a pedalare dedicati a

ragazzi e adulti. La Washington Area Bicyclist

Association, si legge sul Washington Post, che

ha dedicato al fenomeno un servizio, ha appena

organizzato 14 corsi differenti per chi non ha

imparato da piccolo a pedalare. In Italia alcu-

ne associazioni organizzano corsi per adulti, a

livello locale.

“Alcuni ragazzini di città non sanno anda-

re in bicicletta, ma neanche moltissimi adulti

perché non l’hanno mai fatto o perché l’han-

no dimenticato” sottolinea il dr. Eugenio Galli

presidente della sezione di Milano della FIAB,

Federazione Italiana Amici della Bicicletta,

onlus.

“Non è facile districarsi per le vie cittadine

e il rischio di farsi male è dietro l’angolo ma la

bici è ora il mezzo che più degli altri registra

un incremento, perché fa bene alla salute ma

anche per ragioni economiche”. “Il segreto per

imparare a pedalare da adulti”, suggeriscono

i bike-trainers statunitensi, “è di cominciare

levando i pedali alla propria bici, spingendosi

con i piedi per trovare l’equilibrio, poi ci sono

moltissime regole da conoscere per evitare di

farsi male pedalando in città”.

43

NUOvA GENERAZIONE DI ANtI-DE-PRESSIvI AD AZIONE RAPIDA CON Ef-fEttO IN GIORNI, ORE

Scienziati e case farmaceutiche sono al la-

voro su una nuova generazione di antidepres-

sivi che, a differenza di Prozac o Celexa, non

impiegano da settimane o addirittura mesi per

fare effetto. Studi iniziali mostrano che questa

nuova classe di farmaci ha il potenziale di fun-

zionare in pochi giorni, o addirittura poche ore:

“È possibile controllare l’ipertensione

nell’arco di minuti: dovremmo arrivare al-

lo stesso per la depressione”, ha detto al Wall

Street Journal il dr. Carlos Zarate, capo della

sperimentazione al National Institute of Mental

Health. Alimentata tra l’altro dalla crisi econo-

mica, la depressione è emergenza nazionale in

molti Paesi europei e negli USA.

In Italia il consumo di antidepressivi è decu-

plicato in dieci anni, mentre in Europa e negli

USA, secondo uno studio condotto tra le Uni-

versità di Oxford e Stanford, le misure di au-

sterity contro la recessione hanno portato a un

milione di nuovi casi di “male oscuro”.

Alcune delle terapie rapide allo studio a ba-

se di ketamina e scopolamina, usano medicine

esistenti in modo nuovo. La ketamina ad alte

dosi è usata da decenni come anestetico. Picco-

le dosi di scopolamina somministrate con ce-

rotti cutanei vengono impiegate contro mal di

mare e mal d’auto.

Le società farmaceutiche AstraZeneca, Nau-

rex e Cerecor hanno allo studio un antidepressi-

vo che agisce come la ketamina. Ci potrebbero

volere un paio di anni prima che i nuovi farmaci

approdino sul mercato, ma potrebbe essere una

rivoluzione. Tra i problemi della generazione

attuale di farmaci c’è il tempo che impiegano

a funzionare e non sempre funzionano per tutti.

Le nuove sostanze agiscono sul cervello, diver-

samente dai popolari anti-depressivi attuali.

La ketamina e le altre sostanze studiate

da AstroZeneca e Naurex agiscono sui recet-

tori N-metil-D-aspartate (NmDa), i terminali

del cervello collegati all’apprendimento e alla

memoria. Questi recettori interagiscono con il

neurotrasmettitore glutamato, i cui livelli appa-

rentemente si sbilanciano durante una depres-

sione. Secondo gli scienziati, il glutamato è un

bersaglio più diretto per la depressione della se-

rotonina, il neurotrasmettitore su cui agiscono

farmaci inibitori come Prozac e Paxil. Secondo

gli esperti, il metodo indiretto di azione degli

inibitori della serotonina è probabilmente la ra-

gione per cui passa un intervallo di tempo prima

che il paziente possa provare sollievo.

mALAttIE SESSUALmENtE tRASmES-SE: ALtI I RISCHI PER GLI ADOLE-SCENtI

Oggi, le malattie sessualmente trasmesse

(MTS) sono un’emergenza e i mesi che prece-

dono l’estate sono i mesi “caldi” per l’informa-

zione ai più giovani. Dalle statistiche 1 su 20 si

ammala. Candida e Trichomonas sono infezio-

ni dell’ultimo tratto delle vie genitali – vulviti

nella donna e balaniti nell’uomo – e il più delle

volte guariscono con una terapia mirata. Altre

infezioni, invece, come ad esempio, le infezioni

da Chlamydia e la Gonorrea, se non diagno-

sticate tempestivamente e non curate in modo

adeguato, possono interessare anche gli organi

genitali interni: utero, ovaie, tube nelle donne,

testicoli e prostata nell’uomo.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della

Sanità (OMS), dei 340 milioni di nuovi casi di

malattie sessualmente trasmesse (MTS) che si

registrano nel mondo ogni anno, almeno 111

milioni interessano giovani sotto i 25 anni di età.

Si stima, infatti, che ogni anno un adolescente

su 20 contragga una MTS e che l’età di insor-

genza tenda progressivamente ad abbassarsi.

L’età del sesso si abbassa. “L’età media in cui le

ragazze scoprono il sesso – spiega la dr.ssa Su-

sanna Esposito, Presidente della SITIP (Società

Italiana di Infettivologia Pediatrica) e direttore

della UOC Pediatria, Clinica della Fondazione

IRCCS, Ca’ Granda Ospedale Maggiore Poli-

clinico di Milano – si è notevolmente abbassa-

44

HANNO COLLABORAtO A QUEStO NUmERO

dr. Irene CarunchioBiologaReparto di Patologia Clinica e servizio DEAL, BIOS S.p.A.

prof. Alessandro Ciammaichella Medico chirurgo, Specialista in Medicina Internagià Primario medico ospedaliero

Annarita D’AngeloBiologaReparto di Patologia Clinica BIOS S.p.A.

dr. Silvana FrancipaneMedico chirurgo

prof. Francesco Leone Specialista in Malattie InfettiveDocente presso “Sapienza” – Università di RomaDirettore sanitario BIOS S.p.A.

prof. Giuseppe Luzi Specialista in Allergologia e Immunologia Clinica

Professore associato di Medicina Interna (f. r.)Docente presso “Sapienza” – Università di RomaFacoltà di Medicina e Psicologia

prof. Mario Pezzella Chimico, Professore associato (f.r.) “Sapienza” – Università di Roma

Giorgio Pitzalis, MD, PhD.Pediatra, GastroenterologoPresidente di Giustopeso Italia

Maria Giuditta Valorani, PhDResearch AssociateInstitute of Child HealthUniversity College of London – London, GB

prof. Lelio R. ZorzinSpecialista in ReumatologiaProfessore associato di Reumatologia (f.r.)

ta (7% già tra i 13-14 anni) ma non si riscontra

ancora un’adeguata consapevolezza che anche

attraverso un singolo rapporto si può contrarre

una malattia trasmessa sessualmente”.

Il pericolo più importante da cui difendersi

evitando rapporti non protetti è l’HIV, ma sono

importanti anche virus come l’Herpes genitale

o il Papilloma virus che hanno la tendenza a

rimanere all’interno dell’organismo e vengono

ritenuti responsabili dell’insorgenza di forme

pre-tumorali del collo dell’utero. Anche altri

batteri, virus, funghi o parassiti che, in genere,

si trasmettono per via sessuale possono provo-

care nella donna la malattia infiammatoria pel-

vica (PID) che rappresenta un pericolo grave

causando infertilità, rischio di gravidanze tuba-

riche e dolore pelvico cronico.

“Risultano, pertanto, a maggiore rischio –

prosegue l’esperta – le persone sessualmente

attive, che hanno rapporti con partner diversi,

soprattutto se occasionali. Se è vero, però, che

i germi responsabili di queste infezioni passano

da un soggetto all’altro prevalentemente attra-

verso un contatto sessuale, nel corso di un rap-

porto completo, o di un rapporto anale o orale

(in quest’ultimo caso l’infezione può colpire la

bocca e la gola), per alcune malattie, come ad

esempio i condilomi, il contagio – conclude la

dottoressa Esposito – può avvenire anche con-

dividendo biancheria o oggetti intimi. Non si

corre alcun rischio, invece, frequentando pisci-

ne o utilizzando servizi igienici pubblici”.

A cura di Maria Giuditta Valorani

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