ilcarrettinodelleidee anno II NUM XIV

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ANNO III NUM.XIV Don Costantino Stella Kinisia: irregolarità e pestaggi N Migliori Lettera di un giovanealla città Il Coraggio di resta- “Barcellona puòrinascere: ora tocca a noi”. G.C. Faso lo Raccontinellarete: trionfa ilmessineseAlessandro Russo Ildoloreditantibambini

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settimanale on line di comunicazione sociale

Transcript of ilcarrettinodelleidee anno II NUM XIV

Page 1: ilcarrettinodelleidee anno II NUM XIV

ANNO III NUM.XIV

Don Costantino Stella

Kinisia: irregolarità e pestaggi N Migliori

Lettera di un giovane alla città

Il Coraggio di resta-

“Barcellona può rinascere: ora tocca a noi”. G.C. Fasolo

Racconti nella rete: trionfa il messinese Alessandro Russo

Il dolore di tanti bambini

Page 2: ilcarrettinodelleidee anno II NUM XIV

Redazione:

Sebastiano Ambra—Direttore Responsabile

Eleonora Currò— Capo Redazione

Giuseppe Lonia—Opinionista

Giuseppe Fontana— Giornalista, Servizi video

Giuseppe Campisi— Corrispondente da Palermo

G. Carmen Fasolo—Corrispondente da Barcellona P.G

Pietro Giunta- Giornalista, consulente legale

Placido Sturiale— Editore, Fotografo

Contatti

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Via Romagnosi,2 Messina

Recapiti telefonici: 090363551—3396285616

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Editore: [email protected]

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In questo numero

Kinisia; irregolarità e pestaggi

Di Natya Migliori…………………………….…...pag 3

Il coraggio di restare

Di Emanuele Rigano…………………….………...pag

La legge del buco

Di Giuseppe Campisi…………………….………..pag

Barcellona può rinascere:ora tocca a noi

Di G. Carmen Fasolo………………….……...…..pag

Lettera di un giovane alla città

Redazione………………………………...……...…pag

Il dolore di tanti bambini

Gian Ettore Gassani……………...……………....pag

Le sorti dell’Europa (la situazione)

Di Giuseppe Campisi………………………...…...pag

Le sorti dell’Europa (il problema)

Di Giuseppe Campisi………………………….…..pag

Le sorti dell’Europa (il dramma)

Di Giuseppe Capisi………………………….…….pag

Palazzo Comitini potrebbe essere un museo

Di Giuseppe Campisi……………………………...pag

Mafie in Emilia Romagna; il dossier lo

presentano gli studenti

Redazione…………………………………………...pag

Caro PD devi rappresentare il lavoro

Di Lillo Oceano………………………………..…..pag

A small document—the new midle age

Di Gregorio Parisi.……………………………….pag

L’arsenale dei sogni

Di Gregorio Parisi…………………….……...pag

Delitto Rostagno; riassunto 14° udienza

Di Rino Giacalone……………………….…….pag

Quando Giuliano Pisapia voleva

Difendere Mauro

Di Rino Giacalone……………………………..pag

Continua l’attività dell’avv. Ezio Bonanni

Redazione……………………………………...pag

SETTIMANALE ON-LINE DI COMUNICAZIONE SOCIALE SETTIMANALE ON-LINE DI COMUNICAZIONE SOCIALE

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SETTIMANALE ON-LINE DI COMUNICAZIONE SOCIALE

Page 4: ilcarrettinodelleidee anno II NUM XIV

Kinisia: irregolarità e pestaggi Di Natya Migliori

Mentre il sole non riesce a brillare, anche

il vento sembra urlare di rabbia oggi a

Kinisia.

Riesco ad entrare alla tendopoli,

cavandomela con poche domande e molti

sguardi sospettosi.

Intorno alle 16.00 ottengo di parlare con

Mohamed J, Mohamed K. e Karim, numeri

di matricola 228, 229 e 230.

Decido di andare dopo aver ricevuto

venerdì sera una telefonata allarmata.

“Li hanno pestati nel refettorio della

tendopoli -mi dice il giovane ancora dentro

il CIE trapanese che fortuitamente è riu-

scito a telefonarmi- hanno fatto uscire tutti e li hanno riempiti di botte e manganellate. Il pavimento era un lago di sangue.

Erano nudi...aiutaci.”

La sua voce trema ancora.

“Quando è successo?”

“Ieri sera. Sono riusciti a scappare in cinquantanove. Tre li hanno presi e li hanno riportati qui...”

Mohamed J. Parla solo in francese, ma riesce a farsi capire bene anche a gesti.

“Eravamo in tre. Io sono stato picchiato sul naso, sulle braccia e sulle cosce.”

Mi mostra un livido sul braccio.

“Te lo hanno fatto loro?”

“Si. La polizia, con il manganello. E c'era lo stesso Ispettore di oggi.”

“Vi hanno picchiati perché eravate scappati?”

“Si. Ma succede sempre qui. A me era successo anche quattro giorni fa. La notte aprono le tende, ci cercano mente dor-

miamo e ci picchiano. Abbiamo molti problemi con la polizia. Spesso sono arrabbiati con qualcuno di noi ma si sfogano con

tutti. In particolare con i tunisini.”

“Io sono scappato -mi racconta Mohamed K- perché qui sto male: sono asmatico. Mi danno il Ventolin, ma c'è troppo caldo

e troppa polvere al campo e mi manca l'aria. Cercavo solo un posto con l'aria più pulita. Ma mi hanno preso e picchiato

insieme agli altri. Mi hanno colpito sul collo e sulla schiena...Ho avuto un attacco mentre mi battevano. Non volevano fer-

marsi, anche vedendo che respiravo male. Per fortuna qualcuno che lavora qui mi ha difeso e si sono fermati. Io voglio solo

stare meglio. Ho un fratello in Sicilia e vorrei solo uscire per andare da lui e cercare un lavoro.”

Karim arriva zoppicando. Non è da solo. Lo accompagnano l'Ispettore di turno e una guardia della Finanza.

È l'Ispettore a parlare per lui.

“Vede? Provano a scappare e si fanno male...io glielo dico sempre: perché scappi? È molto meglio per te se parli con noi e

ti fai ascoltare. Ma non sentono ragioni. Tornano con i piedi gonfi perché scappano scalzi e poi tornano per farsi medicare.

Per di più vanno raccontando in giro che siamo noi a picchiarli. State molto attenti a quello che vi dicono.”

“Da quanto tempo sei qui?” riesco a chiedergli.

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Come molti altri Karim si trova qui da più

dieci giorni, ma senza nessun ordine di

trattenimento.

“Un Giudice di Pace -mi spiegherà succes-

sivamente l'avvocato Fabio Giacalone, tra-

panese, legale di alcuni dei profughi di

Kinisia- deve convalidare entro novantasei

ore il provvedimento di trattenimento. Se ciò

non è avvenuto c'è evidentemente qualcosa

di strano.”

“Di fatto queste persone si trovano recluse

illecitamente. Come è possibile? Com'è

giustificata la loro presenza al CIE?”

“Capita spesso in realtà che alle Commis-

sioni di controllo venga dichiarato che i ra-

gazzi si sono rifiutati di firmare la notifica e

che non ne hanno nemmeno voluto una

copia. In altre parole, si attribuiscono a loro

le irregolarità.”

Allarmato dalle voci insistenti sulle condizioni inumane della tendopoli di Kinisia, a Trapani, il deputato PD Jean Leonard

Touadì ha visitato oggi pomeriggio la tendopoli-lager.

“Ho trovato delle persone -dichiara- che stanno male e che non dovrebbero stare qui. Mi muoverò per risolvere in maniera

decisiva ed al più presto questa situazione.”

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IL CORAGGIO DI RESTARE Di E. Rigano

In una recente conversazione, per

l’ennesima volta, mi è stato detto

“per voi giovani qui non c’è

futuro, vai via finché sei in

tempo”. Di consueto questa af-

fermazione è seguita da un “non si

ha coraggio, ma chi ha talento do-

vrebbe scappare da questa cit-

tà”. Troppo facile. Scappare equi-

vale a non lottare. Non lottare e-

quivale a non avere identità. Non

avere identità vuol dire spesso e

volentieri vivere di modelli pre-

costituiti, in qualche modo social-

mente imposti da vecchi e nuovi

media. Ricercarsi in stereotipi

sempre più diffusi in cui molti gio-

vani si rivedono, che altri (pochi)

cercano di contrastare bloccandone

la diffusione mentre i “grandi” difficilmente riescono a capire senza mal giudicare. Eppure forse que-

sti ultimi i principali responsabili di quanto sta accadendo.

Io Messina, finché potrò, non la lascio. Non condanno chi lo fa per lavoro o per studio, chi con

sacrifici, per un’occupazione stabile, cerca fortuna altrove, accetta di lasciare la propria terra per

garantire un avvenire migliore alla propria famiglia e ai propri cari. E’ la storia che insegna, che

racconta quanto questa strada sia stata seguita nei secoli. Salvaguardare un’identità vuol dire però

continuare comunque a credere nel riscatto della terra amata, non criticarla ad ogni costo ma fare,

anche poco, per contribuire a migliorarla. Recuperare il gap perduto con il passato per guadagnare il

futuro, se non personale, delle successive generazioni. C’è chi rinnega, chi è sempre bravo a criticare

senza mai costruire, chi si lagna senza muovere un dito. Lo spirito piagnucolone è ormai consolidato

nell’anima di un territorio che, come la maggior parte degli storici sottolineano, dopo il terremoto del

1908 ha purtroppo perso anima e spirito. Dire che tutto non va bene e attribuire puntualmente la colpa

all’altro di turno, il concittadino, il politico, etc. Le responsabilità degli amministratori sono evidenti

ma come un boomerang tornano sulle spalle di chi ha permesso agli amministratori di rappresentarci,

lasciando che Messina andasse sgretolandosi con buon accoglimento delle altre province. Per i

giovani il discorso è più ampio. Qui, come in buona parte del mezzogiorno, gli spazi sono ridotti

(eufemismo) e risulta poco semplice trovare gli stimoli per crescere insieme alla città che ci ha visto

nascere, che ci ha dato il latte ma non riesce a darci il pane.

Fa male mordersi la coda ogni giorno, “combattere” contro un “nemico” immaginario che uccide

sogni, desideri, ambizioni e sacrifici fatti. Ma la forza dell’umiltà e l’audacia dell’appartenenza

devono spingere noi tutti, prodotti messinesi, a crederci, sfidando il pessimismo cosmico trasmessoci

e le ritrosie di chi cerca di dirci che l’erba che non ci appartiene è sempre la più verde. Non è facile, è

innegabile, soprattutto quando intorno le ingiustizie si moltiplicano e la città continua a smarrire punti

di forza, poteri e ricchezze, talvolta usurpati da chi è pronto ad approfittarne nell’indifferenza

generale. Quell’indifferenza che noi non dobbiamo emulare, assoldandoci in quella missione che nel

piccolo o nel grande di quello che facciamo deve vederci difendere il nostro orgoglio. Scappare è

quello che egoisticamente potrebbe aiutarci. Ma avere coraggio equivale a restare.

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La legge del buco A Palermo più cittadini o dipendenti comunali?

Di Giuseppe Campisi

Quante volte e quante volte, alla fatidica – e

perenne – risposta della politica ai cittadini «soldi

non ce n‟è», ci chiediamo dove vanno a finire le

tasse che ogni mese paghiamo a livello comunale,

provinciale, regionale, nazionale ed – indirettamente

– internazionale. È un dubbio perenne questo, un

tormento, che si fa sempre più pressante ogni volta

che notiamo che – di tutto quello affidiamo alle fidate

mani del Comune, della Provincia, della Regione e

dello Stato – , quello che ci consente di elevare un

po‟ il livello dei servizi di cui disponiamo arriva dritto

dritto – scuole ed università ne sanno parecchio –

dall‟Europa, dai fondi dell‟Ue. Eppure la

immaginiamo lì quest‟Europa, così lontana, dentro le

televisioni, ed invece vediamo così da vicino le altre

istituzioni.

Ci passiamo davanti in autobus, in macchina, in motorino, in bici, a piedi. Le guardiamo con noncuranza – da qualche tem-

po con più smorfie sul viso – , e sono così mute quelle costruzioni, ferme, morte. Ci pare quasi che quello che arrivi lì den-

tro, lì dentro stesso resti, lì dentro muoia. Immaginiamo – forse lo immagino soltanto io, in verità – ci sia un buco

all‟ingresso di quei palazzi – e dico Palazzo delle Aquile, Palazzo Comitini, Palazzo dei Normanni – , che risucchia ogni

cosa. È un grande buco, enorme, e chi entra non se lo aspetta; solo quelli che lo conoscono bene il palazzo sanno come

non cadere nel buco, tutti gli altri «aaaaaaaaaaaah!». Risucchiati dal buco. Risucchiati perché il buco, quello con la “b”

maiuscola, non si accontenta di aspettare a fauci aperte gli arrivi dall‟alto, ma suca suca e suca tutto quello che gli passa

sopra, chiunque non sappia come difendersi dal buco stesso. Ho sempre pensato che in quel buco ci fosse ogni sorta di

tesoro, ed ho pure pensato di farci un salto un giorno dentro quel buco – che poi sono quei buchi, perché ce n‟è uno per

ogni palazzo – , ma la paura mi fa sempre desistere. In ogni caso, di tutte le possibili cianfrusaglie e straganze che si po-

trebbero trovare nei buchi, e che spesso non immaginiamo neanche, ce ne sono tre che sono tipiche di questi buchi, tre

vittime speciali del risucchio del Buco, accertate ormai da tempo. Sono vittime illustri, e sono le vittime preferite del Buco –

dei Buchi – , perché è attraverso il loro continuo risucchio che il Buco si mantiene in vita. Sono la democrazia, la legge ed i

soldi. Vittime illustri dicevo, celeberrime, perché ci hanno sempre detto che proprio su di esse si fonda il nostro mondo, la

società come noi la conosciamo. Così ci hanno detto, ed è questo che ci lascia perplessi. Se ci avessero detto che la

società si fonda sul Buco, avremmo preso coscienza della cosa, avremmo fatto abitudine suppongo, ci saremmo rasse-

gnati... il problema è che non ci hanno detto questo, ed il Buco ancora ci sembra quasi un‟entità sovrannaturale, che si erge

su di noi e ci controlla.

Ma se da un altro buco – quello della serratura – sbirciamo dentro i nostri palazzi del potere, per ammirare il famoso Buco,

ci rendiamo conto che di sovrannaturale c‟è davvero ben poco. Osservando attentamente, il Buco assume sempre più il

volto di un altro mostro – tanto conosciuto e tanto pericoloso – , il mostro della mala amministrazione e della corruzione,

che infesta i nostri palazzi come la muffa infesta il gorgonzola, e che ruba tutto, democrazia e legalità, per un unico fine: i

soldi. Dal buco piccolo, quello della serratura, non vedi le cose chiaramente, ma di certe cose ti accorgi comunque, e se nel

Comune di Palermo il numero dei dipendenti supera quota 9mila impiegati, è indubbio che ciò significa – in una municipalità

in cui risiedono circa 656mila cittadini – che 1 su 60 di questi sarà un impiegato comunale. Praticamente, ogni volta che

entrate in un autobus della linea 101, almeno una dei passeggeri lì presenti con voi sarà un impiegato del Comune. Per

ragionare sull‟assurdità di ciò basta comparare i dati con il Comune di Milano, che ha una cittadinanza di oltre 1 milione e

300mila abitanti, più del doppio del capoluogo siciliano, ed un numero di dipendenti comunali pari a 16.212. Se è possibile

immediatamente sostenere che, in proporzione, i dipendenti del Comune palermitano dovrebbero essere circa un migliaio e

passa in meno, inserendo nel conto i dipendenti di quelle società o consorzi partecipati dal Comune con una quota del 99 o

100% – ovvero Amap SpA, Amat Palermo SpA, Amg Energia SpA, Amia SpA, Ge.S.I.P. Palermo SpA e Ges.A.P. SpA – il

conto dei dipendenti sottoposti all‟autorità municipale raggiunge un numero che si approssima ai 16mila, e che diventa, per

l‟esattezza, di 21.886 dipendenti se ad esse aggiungiamo anche gli addetti delle altre società partecipate palermitane.

Adesso, in autobus, siete circondati da impiegati – direttamente o indirettamente – comunali. Scappate!

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Negli ultimi due anni, le spese per gli stipendi – fra i quali quello dello skipper del sindaco Cammarata – hanno

rappresentato il 72% della spesa comunale. Lo sconcerto aumenta se si comparano i dati di assenteismo del capoluogo

siculo e di quello lombardo: 33% contro 8%, mentre il Comune di Palermo dovrebbe ringraziare le maestre d‟asilo, le uniche

che – con un tasso di presenza del 93% – elevano una situazione degradante e vergognosa.

Se saltiamo un gradino e dalla serratura dorata degli alti uffici del Comune, invece, prestiamo attenzione al numero ed alla

spesa per i dirigenti di Palazzo delle Aquile, la manfrina non cambia. 102 dirigenti a Palermo (655mila abitanti), 166 Milano

(1milione e 326mila), 106 Torino (907mila), passati dai 203 della giunta Iervolino ai 104 di quella De Magistris a Napoli

(960mila abitanti). E se la media per gli stipendi dei dirigenti di siciliani – 70.795 euro lordi annui – non è paragonabile a

quella di altri capoluoghi – che pure non si trovano in una condizione di tracollo finanziario come quello palermitano, 92.183

Torino e 95.238 Milano – , rimane l‟incognita dei quattro dirigenti – Marina Pennisi (Servizio sport ed Impianti sportivi),

Domenico Verona (attività generali del Servizio SUAP), Calogero Bosco (avvocato dirigente cassazionista) e Maria Concet-

ta Labate (dirigente responsabile del VIII circoscrizione) – e dei 156 titolari di «posizione organizzativa e/o alta professiona-

lità», che il Comune, sul suo sito istituzionale, dichiara ufficialmente di pagare per le loro attività. Probabilmente saranno

stati anche loro risucchiati dal Buco.

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“Barcellona può rinascere: ora tocca a noi”. Di G. Carmen Fasolo

Barcellona può rinascere: ora tocca a noi”. Questo

lo slogan pennellato su lenzuola bianche collocate in

diversi luoghi determinanti di Barcellona Pozzo di

Gotto a partire dalle 22.30 di ieri 30 giugno 2011. Un

segnale tangibile e inequivocabile che è stato situa-

to a ridosso di chiese, scuole, piazze e del Tribunale

della città del Longano. Il Comitato spontaneo, che

ha organizzato l‟iniziativa, è sostenuto dall‟Oratorio

Salesiano ed è composto da liberi cittadini e

associazioni territoriali tra cui l‟Associazione

antiracket “Liberti tutti”, il Movimento “Città Aperta”, il

Circolo “Arci Città Futura”, l‟Associazione Smasher e

diverse altre.

L‟utilizzo nello slogan del verbo presente sembra

voler sottolineare, semmai ce ne fosse bisogno,

l‟assoluta consapevolezza che non é più possibile

indugiare: Barcellona deve riappropriarsi della sua

storia e della sua libertà dal regime mafioso.

Dopo l‟ultima inchiesta antimafia che la magistratura ha svolto sul territorio barcellonese, dopo gli ultimi avvisi di garanz ia e gli ultimi arresti, la società civile ha capito che le istituzioni della legalità e le forze dell‟ordine hanno una missione ben precisa e chiedono aiuto e sostegno. La risposta non si è fatta attendere: manifestare, combattere, andare contro a quel sistema di disvalori al quale molti cittadini sembrano rassegnati, provare a promuovere gesti di legalità nella quotidianità. La società civile sembra voler puntualizzare, come ha già fatto in recenti circostanze, che è ben cosciente che è tempo di scegliere da che parte stare, è tempo di fare comunità affinché ci si liberi di un cappio che stringe in una morsa feroce l‟economica e la società tutta del territorio di Barcellona Pozzo di Gotto. Un invito, inoltre, viene fatto a tutti i cittadini: esporre un lenzuola bianco, con lo stesso messaggio. La comunità può, se lo vuole, far sorgere un nuovo sistema di valori. Insieme si può…

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Lettera di un giovane alla città

Quando giro per la città di Messina vedo una moltitu-

dine di problemi che rappresentano il substrato di una

società lenta quasi addormentata. Spesso i ceti de-

boli si incrementano nel numero e anche quelli medi

scivolano verso lo spettro della povertà.

C‟è un‟altra fetta di società messinese che, nella quo-

tidianità vive con grande dignità e semplicemente,

facendo imperare l‟onestà e la propositività delle azio-

ni. Mi riferisco a coloro che cercano di trovare del

buono e a promuovere stimoli e coraggio di cambiare

le situazioni.

Penso che Messina abbia bisogno di un nuovo atteg-

giamento di assunzione di responsabilità sia da parte

di chi attualmente governa,sia da parte di noi giovani

detentori del futuro e detonatori di idee e di progetti.

Noi, nella maggior parte, ci proiettiamo dopo la scuola nelle università di altre regioni italiane o addirittura all „ estero.

Bene!! Ma non è and andando via che si risolvono le situazioni. Dobbiamo trovare la forza che, in questo momento è nei

nostri sogni, ma possiamo tramutarla in realtà con:

la potenza della volontà e della speranza del cambiamento, per tramutare non solo nell‟apparenza ma anche nella sostanza

la nostra città.

Dobbiamo sentirci cittadini liberi, autonomi nel pensiero e lontano da condizionamenti. Capaci di andare a testa alta e poter

denunciare a gran voce le situazioni che non vanno.

Di seguito essere pontina attualizzare la valorizzazione delle cose buone che ci sono nel territorio e crearne altre.

Rispetto dell‟ambiente, impedimento di altra cementificazione selvaggia, ripristino delle grandi tradizioni da pubblicizzare

per far conoscere il buono di Messina.

Tutto ciò fa parte non solo dei miei sogni, ma son sogni di altri giovani che come me amano la propria città

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