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Spedizione in A.P. - 45% art. 2 Comma 20/b legge 662/96 - Filiale di Firenze - Settimanale - 1,50 Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XXXVI - N. 3 - 26 gennaio 2012 2012 - 21 GENNAIO - 1924 88° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DEL GRANDE MAESTRO DEL PROLETARIATO INTERNAZIONALE Gloria eterna a Lenin L’ONESTA’ DI LENIN PAG. 6 Lenin nel 1917 Sulla base di una relazione di Giovanna Vitrano COMPAGNI E AMICI SICILIANI DEL PMLI DISCUTONO SULLA CULTURA DEL PROLETARIATO Il PDCI di Acireale propone alleanze col PMLI e con tutti i partiti antifascisti della provincia per combattere assieme i fascisti SCUDERI: “ALIMENTIAMOCI REGOLARMENTE CON LA CULTURA DEL PROLETARIATO PER ESSERE PIÙ FORTI POLITICAMENTE” PAG. 10 RILEVAZIONE ISTAT Un giovane su tre è senza lavoro 2,142 milioni di disoccupati ufficiali LE DONNE SONO LE PIU’ PENALIZZATE PAG. 8 Nella bozza di decreto sulle liberalizzazioni che sta per essere varato dal governo Monti LE MANOVRE DEL GOVERNO PER CANCELLARE L’ART. 18 MONTI VA ABBATTUTO DALLA PIAZZA PRIMA CHE COMPLETI LA MACELLERIA SOCIALE PAG. 2 AL COMITATO CENTRALE La sinistra della FIOM chiede lo sciopero generale contro il governo BELLAVITA: IL CONTRATTO DELLA FIAT NON VA FIRMATO ANCHE SE PERDEREMO IL REFERENDUM Landini invece chiede il rispetto dell’accordo del 28 giugno e opta per una manifestazione nazionale di sabato PAG. 3 La cricca degli appalti gli pagava le vacanze MALINCONICO COSTRETTO A DIMETTERSI GLI INTRALLAZZI DI PATRONI GRIFFI, DE LISE, MILONE E MARTONE NO ALLA SOPPRESSIONE DELLE LINEE FERROVIARIE DEL VAL DI NOTO! Potenziare il trasporto ferroviario in Sicilia! PAG. 4 PER NON CREARE PROBLEMI AL GOVERNO La Consulta boccia i referendum elettorali IGNORATA LA RICHIESTA DEI 1.210.466 PROPONENTI PAG. 5 UNA RIPROVA CHE LE MAFIE SONO DENTRO LE ISTITUZIONI BORGHESI La Camera nera assolve e applaude il camorrista Cosentino Decisivo il voto contrario dei radicali e dei leghisti bossiani. Pilatesca assenza dell’aula del governo Monti. Nel segreto dell’urna hanno votato a favore anche i deputati PD e UDC I PM: “IL SUO APPOGGIO AI CASALESI E’ PROVATO” “Nessuna lezione dall’UDC” sostenitrice del governo Monti e della controriforma universitaria GLI STUDENTI CONTESTANO CASINI A CATANIA Presenti anche studenti militanti e simpatizzanti del PMLI PAG. 11 PAG. 6 Catania, 7 gennaio 2012. Uno scorcio della sala, nella splendida Sede rossa della Cellula “Sta- lin” della provincia di Catania, durante la riunione di studio sulla cultura del proletariato PAG. 11

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GLORIA ETERNA A LENIN

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Spedizione in A.P. - 45% art. 2 Comma 20/b legge 662/96 - Filiale di Firenze - Settimanale - € 1,50 Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XXXVI - N. 3 - 26 gennaio 2012

2012 - 21 GENNAIO - 192488° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DEL GRANDE MAESTRO DEL PROLETARIATO INTERNAZIONALE

Gloria eternaa Lenin

L’ONESTA’ DI LENIN PAG. 6

Lenin nel 1917

Sulla base di una relazione di Giovanna Vitrano

COMPAGNI E AMICI SICILIANIDEL PMLI DISCUTONO

SULLA CULTURA DEL PROLETARIATOIl PDCI di Acireale propone alleanze col PMLI e con tutti i partiti antifascisti della provincia per combattere assieme i fascisti

SCUDERI: “ALIMENTIAMOCI REGOLARMENTECON LA CULTURADEL PROLETARIATO PER ESSERE PIÙ FORTI POLITICAMENTE”

PAG. 10

RILEVAZIONE ISTAT

Un giovanesu tre è senza lavoro

2,142 milioni di disoccupati uffi cialiLE DONNE SONO LE PIU’ PENALIZZATE

PAG. 8

Nella bozza di decreto sulle liberalizzazioni che sta per essere varato dal governo Monti

LE MANOVRE DEL GOVERNOPER CANCELLARE L’ART. 18MONTI VA ABBATTUTO DALLA PIAZZA PRIMA

CHE COMPLETI LA MACELLERIA SOCIALE PAG. 2

AL COMITATO CENTRALE

La sinistra della FIOM chiedelo sciopero generale contro il governo

BELLAVITA:IL CONTRATTO

DELLA FIAT NON VA FIRMATO ANCHE SE

PERDEREMOIL REFERENDUM

Landini invece chiede il rispetto dell’accordo del 28 giugno e opta

per una manifestazione nazionale di sabato

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La cricca degli appalti gli pagava le vacanze

MALINCONICOCOSTRETTO A DIMETTERSIGLI INTRALLAZZI DI PATRONI GRIFFI,

DE LISE, MILONE E MARTONENO

ALLA SOPPRESSIONEDELLE LINEEFERROVIARIE

DELVAL DI NOTO!

Potenziare il trasporto ferroviario in Sicilia!

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PER NON CREARE PROBLEMI AL GOVERNO

La Consulta bocciai referendum elettorali

IGNORATA LA RICHIESTADEI 1.210.466 PROPONENTI

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UNA RIPROVA CHE LE MAFIE SONO DENTRO LE ISTITUZIONI BORGHESI

La Camera nera assolve e applaude il camorrista CosentinoDecisivo il voto contrario dei radicali e dei leghisti bossiani. Pilatesca

assenza dell’aula del governo Monti. Nel segreto dell’urna hanno votato a favore anche i deputati PD e UDC

I PM: “IL SUO APPOGGIO AI CASALESI E’ PROVATO”

“Nessuna lezione dall’UDC” sostenitrice del governo Monti e della controriforma universitaria

GLI STUDENTI CONTESTANO

CASINI A CATANIAPresenti anche studenti militanti

e simpatizzanti del PMLIPAG. 11

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Catania, 7 gennaio 2012. Uno scorcio della sala, nella splendida Sede rossa della Cellula “Sta-lin” della provincia di Catania, durante la riunione di studio sulla cultura del proletariato

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2 il bolscevico / governo monti N. 3 - 26 gennaio 2012

Nella bozza di decreto sulle liberalizzazioni che sta per essere varato dal governo Monti

LE MANOVRE DEL GOVERNO PERCANCELLARE L’ART. 18

Estensione dei contratti in deroga anche nel trasporto ferroviario. Via alla privatizzazione dei servizi pubblici locali. Aggirato il referendum sull’acqua

MONTI VA ABBATTUTO DALLA PIAZZA PRIMA CHE COMPLETI LA MACELLERIA SOCIALE“Una rivoluzione per decre-

to”: questa la definizione con cui il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà, ha annunciato il pacchetto delle liberalizzazioni ad una settimana dalla sua approvazione nel pros-simo Consiglio dei ministri del 20 gennaio. Una definizione che la dice lunga sul merito e sul meto-do del provvedimento che il go-verno Monti si appresta a varare, mirante a rivoltare come guanti interi settori del commercio e dei servizi pubblici e privati per aprir-li completamente alle leggi del mercato e del profitto capitalisti-ci, e per di più attraverso un atto di forza che viola la Costituzione. L’art. 75, infatti, stabilisce che i decreti non possono avere valo-re di legge ordinari e vieta al go-verno di ricorrervi se non “in casi straordinari di necessità e urgen-za”. Questo invece viene adotta-to senza aver neanche ascoltato le ragioni delle categorie profes-sionali e dei cittadini coinvolti da un provvedimento così radicale e improvviso.

A preparare il terreno all’acce-lerazione del governo ha provve-duto una relazione compiacen-te del presidente dell’Antitrust, Giovanni Pitruzzella, che il 5 gennaio ha fornito all’esecutivo un elenco di settori e di servizi su cui concentrare la sua furia liberalizzatrice: dall’energia (Eni, Enel, distributori di carburanti), ai trasporti (ferrovie, autostrade, taxi), dalle poste ai servizi locali (municipalizzate di acqua, gas, trasporti, ciclo dei rifiuti), dal commercio (negozi e farmacie) agli ordini professionali (avvocati, notai, architetti, ingegneri ecc.). E per ognuno di questi settori era-no indicate anche varie proposte di intervento, come per esempio la liberalizzazione dell’apertura di nuovi impianti di distribuzione di carburante, anche automatizzati e multimarca, l’abolizione di ogni vincolo all’apertura di nuovi eser-cizi commerciali e alle svendite senza limiti temporali e di settore, la moltiplicazione delle farmacie e la vendita dei medicinali di fascia C anche nelle parafarmacie, l’au-mento delle licenze dei taxi, l’ob-bligo per i comuni di procedere alla privatizzazione dei servizi locali, una società separata per Bancoposta con la riduzione del servizio postale pubblico ai soli servizi essenziali non copribili dal servizio privato, lo scorporo della rete ferroviaria dalle ferrovie dello Stato e apertura totale ai sogget-ti privati, anche per i treni locali (modello inglese che ha dato ri-sultati disastrosi), l’abolizione delle tariffe minime degli ordini professionali, e così via.

Gli obiettivi antioperaie liberistici del decreto

in preparazioneÈ sulla base di questo pac-

chetto di proposte che l’11 gen-naio il governo ha fatto circolare una prima bozza di decreto sulle liberalizzazioni, con l’evidente intento di saggiare il terreno alle reazioni dei soggetti coinvolti e dell’opinione pubblica. Una bozza di decreto in 28 articoli che dietro formulazioni estremamente com-plesse e tecnicistiche delinea una ben precisa e calcolata strategia: quella dell’attacco ai diritti e alle conquiste dei lavoratori e della

PER IL 27 GENNAIO PROSSIMO

USB proclama lo sciopero generale in difesa dei beni comuniRiceviamo e pubblichiamo in

estratti il comunicato dell’Unio-ne Sindacale di Base.

L’Unione Sindacale di Base chiama tutti i lavoratori e le la-voratrici, i pensionati, i disoc-cupati, i migranti, gli studenti, a scioperare e a scendere in piaz-za a Roma il prossimo 27 gen-

naio contro il governo Monti e le sue politiche di liberalizzazione a tutela del grande capitale ban-cario, finanziario ed economico.

Fra le scelte dell’attuale ese-cutivo rientra il tentativo di can-cellare il netto pronunciamento con cui il 95% dei cittadini italia-ni ha detto no alla privatizzazio-ne dell’acqua e dei beni comuni

attraverso il referendum del giu-gno scorso, cinicamente definito “un mezzo imbroglio” dal sotto-segretario all’Economia Polillo.

USB, che è stata parte costi-tuente del comitato referendario “2 Sì all’acqua bene comune”, chiama dunque tutte e tutti allo sciopero generale e generaliz-zato, indetto insieme alle altre

organizzazioni di base e conflit-tuali, in difesa della democrazia e della volontà popolare, contro le logiche di privatizzazione dei beni comuni, per contrapporsi con forza a questo governo e all’Europa delle banche e della finanza.

Ufficio stampa USBRoma, 11 gennaio 2012

Firenze, Piazza SS. Annunziata. Manifestazione in occasione dello sciopero ge-nerale proclamato dalla CGIL il 12 marzo 2010. Foto rilanciata di recente da alcuni giornali tra cui “il manifesto” e “Il fatto quotidiano”

liberalizzazione e privatizzazio-ne dei beni comuni e dei servizi pubblici.

Basti pensare, per esempio, all’inserimento nell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori di un com-ma, il comma 1 bis, che così reci-ta: “In caso di incorporazione o di fusione di due o più imprese che occupano alle proprie dipenden-ze alla data del 21 gennaio 2012 un numero di prestatori d’opera pari o inferiore a quindici, il nume-ro di prestatori di cui al comma precedente è elevato a cinquan-ta”. E il comma precedente, il n. 1 all’art. 18 della legge 300 del 1970, è proprio quello che ob-bliga le aziende sopra 15 dipen-denti a riassumere il dipendente licenziato senza giusta causa. Così, con un trucco vergognoso come i tanti a cui ci avevano abi-tuato Berlusconi e i suoi tirapiedi, il governo degli “austeri profes-sori”, ha pensato bene di fregare lavoratori e sindacati estendendo surrettiziamente da 15 a 50 il nu-mero di dipendenti per l’applica-bilità dell’art. 18: lo stesso che la ministra Fornero aveva “pro-messo” di accantonare in questa fase degli incontri separati con le

segreterie sindacali sulla “riforma del mercato del lavoro”.

Con questo espediente il go-verno mira evidentemente a con-cedere una sorta di “sanatoria” a quelle aziende che per non appli-care l’art.18 e avere mano libera nei licenziamenti si sono struttu-rate in due o più aziende sotto i 15 dipendenti ma collegate fra di loro. In questo modo potranno tornare a formare un’unica azien-da più grande senza obbligo di dover rispettare lo Statuto dei lavoratori. Addirittura verrebbero ad acquisire un vantaggio rispetto alle altre che già avevano un nu-mero di dipendenti compreso tra 15 e 50, che resterebbero invece soggette allo Statuto. Un’assurdi-tà giuridica, come quella del resto che si produrrebbe nel caso di un’azienda di poniamo 30 dipen-denti, e quindi non soggetta al-l’art. 18, che ne acquisisca un’al-tra di poniamo 10: i 30 lavoratori dell’azienda incorporante perde-rebbero allora il diritto acquisito alla giusta causa? Tutto ciò non potrebbe che aprire dei conten-ziosi che è facile intuire finirebbe-ro per spianare solo la strada alla solita equiparazione al livello più

basso: l’abolizione dell’art. 18 per tutti i lavoratori indistintamente.

Per il momento i sindacati confederali, nella ritrovata unità d’azione, hanno detto di no. Raf-faele Bonanni per la CISL ha det-to: “L’articolo 18 non va modifi-cato. Come abbiamo detto in più occasioni, non è stato oggetto di trattativa con il ministro del Lavo-ro, Fornero. È davvero singolare ritrovare ora questo tema in una bozza di provvedimento sulle li-beralizzazioni”. Luigi Angeletti per la UIL ha affermato che: “Non vedo francamente alcun disastro per nessuno avere l’articolo 18 così com’è. Ci sono anche altri paesi europei in cui è previsto il reintegro”. Mentre per la CGIL, Fulvio Fammoni, rispondendo anche alla Marcegaglia che con-sidera l’articolo 18 una “anomalia tutta italiana”, ha precisato che: “L’Ocse segnala che la rigidità in uscita colloca l’Italia al di sotto della media europea e che il no-stro paese non costituisce affatto un caso anomalo”. L’analisi com-parata “evidenzia come la tutela fondata sul reintegro, in caso di licenziamento illegittimo non rap-presenti affatto una anomalia del nostro ordinamento”.

Ma basteranno solo le parole a convincere il governo Monti a fare marcia indietro e a cancel-lare questa norma dal decreto per le liberalizzazioni? I vertici sindacali confederali terranno la posizione di difesa intransigen-te dell’articolo 18? Noi abbiamo forti dubbi che ciò avvenga per davvero, tenuto conto che CGIL, CISL e UIL chiedono al governo di condividere un nuovo “patto sociale” sui temi del “mercato del lavoro”, precariato e occupazione giovanile,e per questo stanno ela-borando una piattaforma unitaria, per il raggiungimento del quale potrebbe rispuntare la trattativa sulle modifiche dell’articolo 18.

Contro il governo Monti e la sua politica di devastazione dei diritti dei lavoratori e di impove-rimento delle masse popolari oc-corre viceversa una lotta dura, di massa e di piazza. Al CC del 10 gennaio la sinistra della FIOM ha chiesto a gran voce lo sciopero generale contro la politica antio-peraia e antipopolare del gover-no Monti. E in questo senso si sta muovendo l’Unione sindacale di base (USB) che per il 27 gennaio prossimo ha indetto lo sciope-ro generale con manifestazione nazionale a Roma “non soltanto utile per dimostrare dissenso – si legge in una nota – ma indispen-sabile per iniziare a bloccare un processo che se non ostacolato, ridurrà milioni di italiani in vera e propria povertà”.

Monti come Marchionne, Sacconi e Berlusconi Forse neanche l’ex ministro

Sacconi, che pure di porcate contro i lavoratori ne ha fatte tan-te, ultima quella dell’art. 8 della manovra di agosto che ha legaliz-zato i contratti aziendali in deroga alla Marchionne, avrebbe avuto l’ardire di spingersi fino a que-sto punto. Se lo ha potuto fare il governo Monti è proprio perché gode di un sostegno politico sen-za precedenti, che va dalla gran-de finanza internazionale e dalla UE, a Napolitano e a quasi l’intero perlamento. E perché anche per questo odioso colpo di mano ha avuto la copertura del liberale Bersani, che ha tentato di dribbla-re l’imbarazzante argomento con questa vergognosa motivazione: “ Non ragiono su bozze, se no ci sono solo discussioni virtuali che creano solo agitazione”.

Ciononostante, di fronte alle reazioni indignate di parte sinda-cale, stavolta anche abbastanza univoche tra le tre confederazioni, Monti ha poi dovuto correggere il tiro e assicurare che l’argomento non farà parte del decreto sulle liberalizzazioni. Ma ammesso che mantenga questo vago impegno, il fatto che ci abbia provato con tanta sfacciata arroganza fa ca-pire che quello dell’abolizione dell’art. 18 è diventato un suo chiodo fisso da realizzare in ogni modo e con qualsiasi mezzo. An-che se più dissimulata dietro lo stile anglosassone, la sua insof-ferenza per il rispetto dei diritti dei lavoratori e per tutto ciò che si frappone alla libertà di mercato e di impresa non è inferiore a quelle del nuovo Valletta, Marchionne, e dello stesso neoduce Berlusconi. Lo dimostra anche un’altra clau-sola fortemente antisindacale che ha voluto inserire nella bozza di decreto: l’art. 24 che elimina l’obbligo di applicare i contratti collettivi nazionali di settore nel trasporto ferroviario. Quello cioè che in sostanza estende l’appli-cazione dell’art. 8 della manovra estiva (contratti aziendali in dero-ga a quelli nazionali e alle dispo-sizioni di legge) anche ai contratti nel trasporto ferroviario.

Al contrario del favore fatto alla Fiat di Marchionne, retroce-dendo addirittura la validità del-l’art. 8 per includere gli accordi separati di Pomigliano e Mirafiori, Sacconi aveva escluso le ferrovie per non agevolare Montezemolo e Della Valle, rivali di Berlusconi, che stavano per entrare in campo con la loro nuova compagnia di treni veloci NTV. Adesso Monti ha eliminato anche questo residuo ostacolo al suo progetto di scor-

poro della rete ferroviaria per pro-cedere alla piena privatizzazione del trasporto, consentendo sia a Trenitalia, che a NTV o a qualsiasi altro soggetto privato, di godere appieno dei vantaggi dei contrat-ti in deroga secondo il modello Sacconi-Marchionne.

Aggirato il risultato dei referendum sull’acqua

Quanto alle liberalizzazioni vere e proprie il cuore della bozza di decreto è costituito dagli arti-coli 18, 19 e 20, che riguardano la gestione dei servizi pubblici. I pri-mi due sanciscono e rinforzano la reintroduzione sotto altra veste dell’art. 23 bis della legge Ronchi sulla privatizzazione dei servizi locali, che era decaduto teorica-mente con il referendum sull’ac-qua dello scorso giugno; articolo che invece era stato ripescato dal governo Berlusconi con la mano-vra di ferragosto e riapplicato pari pari a tutti i servizi pubblici locali (trasporto locale, ciclo dei rifiuti), “escluso” l’acqua: una furbata, ma anche un chiaro abuso anti-costituzionale, perché il referen-dum lo aveva fatto decadere per tutti i servizi pubblici, e non solo per l’acqua. Ora il governo Monti, ben consapevole della debolezza giuridica di quella operazione, lo ha reinserito nella bozza di de-creto ma cercando di camuffarlo meglio con formulazioni “tecni-che” più complesse e sfuggenti da poter essere contestate diret-tamente, e per di più estenden-dolo anche all’acqua attraverso opportune pezze d’appoggio.

A supporto dell’operazione di ripescaggio dell’abrogata legge Ronchi il governo Berlusconi si era avvalso dei consigli del do-cente di diritto pubblico Giulio Napolitano, figlio del capo dello Stato, che in un rapporto com-missionatogli dalla romana Acea a sostegno della continuità del processo di privatizzazione del-l’acqua della capitale, iniziata nel 1998 da Rutelli e portata avanti da Veltroni e Alemanno, assicu-rava che malgrado il referendum “l’intera materia dei servizi pub-blici (…) rimane disciplinata dal testo unico sugli enti locali”. Ed è proprio a questo studio che si rifà anche l’art. 20 della bozza di decreto sulle liberalizzazioni, con una modifica ad un articolo del testo unico sugli enti locali che esclude dalla gestione pubblica (cioè gli enti non economici come le aziende speciali e i consorzi) i “servizi di interesse economico generale”, acqua compresa. Po-tranno gestirli infatti solo le so-cietà per azioni, preferibilmente a capitale privato, tramite gara, e i comuni in difficoltà avranno l’ob-bligo di vendere le loro quote pri-ma di chiedere l’aiuto dello Stato.

È proprio vero: il governo Monti è nato per portare avanti la stes-sa politica liberistica, antioperaia e privatizzatrice dello screditato governo Berlusconi, ma con un consenso politico, mediatico e internazionale senza confronti, che lo incoraggia a spingersi fin dove lo stesso nuovo Mussolini non era ancora riuscito ad arri-vare. Esso va quindi abbattuto al più presto con la lotta di piazza, prima che completi del tutto il massacro sociale avviato dal suo predecessore nonché suo princi-pale azionista della maggioranza.

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N. 3 - 26 gennaio 2012 lotta di classe / il bolscevico 3

La sinistra della Fiom chiedelo sciopero generale contro il governo MontiLandini invece chiede il rispetto dell’accordo del 28 giugno e opta per una manifestazione nazionale di sabatoBELLAVITA: IL CONTRATTO DELLA FIAT NON VA FIRMATO ANCHE SE PERDEREMO IL REFERENDUM

La riunione del Comitato cen-trale della FIOM tenutasi il 10 gen-naio si è conclusa con la votazione di due documenti contrapposti.

Il primo presentato dal segre-tario generale, Maurizio Landini, ha ottenuto 91 voti. Quello propo-sto da Sergio Bellavita, segretario nazionale FIOM e tra i principa-li leader della componente di sini-stra “Rete 28 aprile”, ha ricevuto 19 consensi. Le astensioni sono state 35 in prevalenza espressione della componente di destra capita-nata da Durante. Anche in questo caso dunque, la sinistra ha preso le distanze e ha votato contro le posi-zioni di Landini. Ed è un fatto che si sta ripetendo da quando egli ha ammorbidito il dissenso nei con-fronti della Camusso, fino ad ac-cettare di fatto l’accordo intercon-federale del 28 giugno 2011 che recepiva buona parte della con-troriforma contrattuale sottoscrit-ta a suo tempo dal governo Ber-lusconi, Confindustria, CISL e UIL. Provocando nel contempo un cambiamento di atteggiamen-to della destra di Durante che vi-ceversa ha incominciato a votare a favore o ad astenersi sulle propo-ste del segretario generale.

Documento BellavitaNel suo documento Bellavi-

ta propone che la FIOM chiami tutti i lavoratori metalmeccanici alla massima mobilitazione con

una giornata di sciopero genera-le con manifestazione naziona-le a Roma “per la riconquista del contratto nazionale, contro il Go-verno Monti, contro le politiche d’austerità della Bce e dell’Unio-ne europea, contro il disegno Fiat e a sostegno della lotta per l’occu-pazione a partire da Fincantieri, Alcoa, Jabil”. L’esclusione deci-sa da Federmeccanica della FIOM dai diritti e dalle agibilità sindaca-li in quanto sindacato non firmata-rio dell’accordo separato è giudi-cata “un atto di una gravità senza precedenti, figlio della stessa logi-ca liberticida di Marchionne a cui bisogna rispondere con una mobi-litazione straordinaria di tutta la categoria”.

Esplicito l’attacco di Bellavita al governo Monti che ha eliminato le pensioni di anzianità, ha opera-to l’ennesimo attacco ai redditi da lavoro dipendente e si appresta a manomettere un mercato del lavo-ro tra i più flessibili d’Europa con l’obiettivo di ledere i diritti sanci-ti nell’art. 18 dello Statuto dei la-voratori. “Il tavolo di confronto - si legge - sulla cosiddetta ‘riforma del mercato del lavoro’ non ha al-tro obiettivo se non quello di ren-dere più facili i licenziamenti”. Circa l’estensione dell’accordo di Pomigliano a tutto il gruppo Fiat, il documento “dichiara che in ogni caso la Fiom non firmerà l’accor-do per le stesse ragioni per le quali ha riconosciuto illegittimo il refe-

rendum di Pomigliano, Mirafiori ed ex Bertone”.

Nelle conclusioni Bellavita cri-tica FIM e UILM che hanno con-diviso il modello di Marchionne e di Federmeccanica che, escluden-do i sindacati non firmatari, can-cella il diritto dei lavoratori di sce-gliere la propria rappresentanza. Chiede che sia rilanciata la legge di iniziativa popolare sulla demo-crazia sindacale e la rappresentan-za nei luoghi di lavoro. Ribadisce che la lotta contro l’affermazio-ne del modello Marchionne è un aspetto decisivo per la riconquista del contratto nazionale di lavoro per tutti i lavoratori metalmecca-nici.

Alla CGIL Bellavita chiede di organizzare le assemblee nei luoghi di lavoro per definire una “piattaforma generale del lavo-ro… adeguata alla portata dello scontro e in grado di rispondere ai bisogni delle lavoratrici e dei lavo-ratori”.

Documento LandiniNel documento Landini la cri-

tica alle controparti risulta debo-le, qualche rivendicazione appare non condivisibile e le iniziative di lotta meno incisive. Si parla solo di “contrarietà alla scelta della Fiat di cancellare il Ccnl, la con-

trattazione collettiva, peggiora-re le condizioni di lavoro e ledere le libertà sindacali”. Ci si limita a dire che l’intesa “firmata anche da Fim-Cisl e Uilm-Uil si pone al di fuori e in contrasto con l’accordo unitario del 28 giugno 2011”. Per passare subito al sostegno della ri-chiesta sottoscritta da migliaia di lavoratori “di indire un libero refe-rendum a carattere abrogativo del-l’accordo che estende il modello di Pomigliano a tutto il gruppo”. Al governo viene chiesto un tavolo di confronto sul piano industriale della Fiat e una modifica dell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori per garantire “il diritto democratico di validazione dei contratti collettivi e di elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie”.

Il documento Landini giudi-ca in modo negativo la manovra varata dal governo Monti per il suo carattere recessivo, l’allunga-mento dell’età pensionistica e la cancellazione della pensione di anzianità. Ad esso si chiede l’isti-tuzione di una patrimoniale, la lot-ta all’evasione fiscale e un piano straordinario di investimenti per sostenere un piano per il lavoro stabile e per il rilancio del Paese e del Mezzogiorno.

In materia di “riforma” del “mercato del lavoro” lo stesso do-cumento contiene le seguenti pro-

poste: estensione della cassa inte-grazione a tutte le imprese, a tutti i settori e a tutte le forme di lavoro; il lavoro a tempo pieno e indeter-minato, riducendo il lavoro atipi-co a 4/5 forme; l’istituzione di un reddito di cittadinanza (più volte criticato dal PMLI); parità di retri-buzione oraria e di diritti nei luo-ghi di lavoro a parità di mansione e un costo maggiore del lavoro ati-pico per le aziende che ne fanno uso; redistribuzione del lavoro e la tutela dell’occupazione a partire dalla aziende in crisi con “contrat-ti di solidarietà”.

A sostegno di queste posizio-ni Landini ha proposto una cam-pagna di assemblee nei luoghi di lavoro e 4 ore di sciopero da ef-fettuarsi in modo articolato, decise territorialmente. E la realizzazione per sabato 11 febbraio a Roma, di una “grande manifestazione na-zionale delle lavoratrici e dei lavo-ratori metalmeccanici”.

Messi a confronto i due docu-menti, quello di Landini risulta chiaramente più a destra rispetto a quello di Bellavita.

Nel giudizio sul governo Monti e la sua politica di lacrime e san-gue, di cui l’attacco all’articolo 18 è parte integrante, per esem-pio. Landini, con una impostazio-ne emendativa, si limita a critiche parziali e non denuncia il disegno

complessivo liberista e neofascista dell’esecutivo Monti, perciò non promuove la mobilitazione ge-nerale dei lavoratori contro il go-verno. Le 4 ore di sciopero indet-te e la manifestazione nazionale dell’11 febbraio hanno altri obiet-tivi sia pure importanti: il contra-sto all’accordo separato della Fiat, la riconquista del contratto nazio-nale di lavoro.

Un’altra differenza tra i due documenti, non di poco conto, ri-guarda il referendum sindacale abrogativo dell’accordo Fiat, per lo svolgimento del quale la FIOM ha raccolto le firme necessarie. Per il segretario delle tute blu della CGIL l’esito deve essere vincolan-te. Pertanto, nel caso prevalessero i no, la FIOM dovrebbe sottoscrive-re l’accordo separato che estende il modello imposto da Marchion-ne a Pomigliano, Mirafiori e alla ex Bertone all’intero gruppo Fiat. Il che equivarrebbe, di fatto, alla capitolazione, al tradimento del-la lotta condotta sin qui. Su que-sto punto Bellavita e con lui la si-nistra CGIL sostiene invece che la FIOM non deve firmare, qualun-que sia il risultato del referendum. Ciò con la forza di quanto previsto dallo Statuto della FIOM che vie-ta “di sottoporre al voto tutto ciò che riguarda i diritti indisponibili dei lavoratori”.

MARCEGAGLIA BUGIARDA

Non è veroche l’articolo 18 è una “anomalia italiana”

L’OCSE: “La rigidità in uscita colloca l’Italia sotto la media europea”

È una bugia meschina e dal-le gambe corte quella di Emma Marcegaglia, presidente di Con-findustria, pronunciata in occa-sione dell’incontro con il mini-stro del Welfare, Elsa Fornero. A suo dire la norma contenuta nell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che garantisce il rein-tegro in caso di licenziamento il-legittimo, “è un’anomalia rispet-to al resto d’Europa”. Pertanto andrebbe tolta o quanto meno modificata in modo da amplia-re gli spazi della flessibilità in uscita. In altre parole rendere più facili i licenziamenti, anche quelli senza “giusta causa”, da liquidare eventualmente con un mero indennizzo economico.

Per smentire questa balla ci sono i dati dell’Organizzazione per lo cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) i quali certi-ficano che riguardo alla rigidità in uscita l’Italia viene collocata al di sotto della media europea ed essa non costituisce affatto un caso anomalo nel quadro continentale. Ciò è dimostrato dall’analisi comparata contenu-ta in un rapporto dell’European Labour Law Network presentato nel novembre scorso al semina-rio sul “licenziamento individua-le in Europa”.

Inoltre, c’è da aggiungere che anche l’articolo 30 del-la Carta di Nizza prevede che

“ogni lavoratore ha diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato”. “L’Italia è l’unico paese insieme al Belgio – af-ferma il segretario confederale della CGIL Fiammoni – in cui non c’è preavviso, in Francia e in Germania (indicati come mo-dello dalla Marcegaglia, ndr) an-che nei licenziamenti individuali sono coinvolte le rappresentan-ze sindacali, in Olanda per li-cenziare occorre una autorizza-zione amministrativa preventiva che vaglia la ragionevolezza. In diversi paesi, finché il giudice non si pronuncia il licenziamen-to è sospeso e così via”.

È per questo che gli indici OCSE sulle cosiddette rigidità mettono l’Italia al di sotto del-la media europea, quasi uguale alla Danimarca che viene spes-so citata e ben al di sotto delle Germania. “L’Italia non rappre-senta alcuna anomalia - ribadi-sce il sindacalista CGIL - ma il contrario”. Se c’è un’anomalia essa è rappresentata dall’ar-ticolo 8 della manovra econo-mica del precedente governo Berlusconi che permette alle aziende di derogare dai con-tratti collettivi e persino dalle leggi, ivi compreso, in caso di accordo aziendale, il vituperato articolo 18 dello Statuto dei la-voratori. Su questo la Marcega-glia non ha nulla da dire?

Delusione e rabbia dopo l’incontro col ministro Passera

GLI OPERAI FINCANTIERI DI SESTRI BLOCCANO L’AUTOSTRADA

La FIOM proclama lo sciopero generale di 8 ore di tutto il gruppoIl giorno dopo le “promesse”

del ministro dei trasporti e infra-strutture Corrado Passera sul futuro di Fincantieri, non si placa la rabbia e la delusione dei lavo-ratori per i risultati dell’incontro romano dal quale sono stati tut-t’altro che rassicurati.

Infatti a parte il vacuo impegno che (“nessuno degli otto cantie-ri chiuderà”) Passera ha aperto il tavolo esprimendo un giudizio “ottimo” sull’accordo separato del 21 dicembre con i suoi 1.243 esuberi e oltre 3 mila lavoratori in cig. E poi niente. Non una sola parola sul varo della rottamazione dei vecchi traghetti e sulla costru-zione di navi mangiarifiuti, mezzi off shore e piattaforme per la la produzione di energie alternati-ve. “L’impegno a non chiudere

Sestri Ponente e Castellammare – spiega Alessandro Pagano, re-sponsabile Fincantieri della FIOM – è vuoto se si considera immo-dificabile il piano dell’azienda. Significa che quei due cantieri saranno chiusi per due anni con tutti i 1.400 lavoratori in cassa in-tegrazione. Da Passera ci aspet-tavamo una disponibilità a riaprire il confronto con l’azienda, invece ci si limiterà a monitorare gli ac-cordi locali tra tre mesi”.

E la risposta degli operai, fin dall’alba è stata durissima. L’11 gennaio con il ritorno della loro delegazione da Roma, poco dopo le 6.30, i lavoratori della Fincantieri di Sestri Ponente sono tornati subito in piazza. Da prima dell’alba sono state bloccate via Soliman e le strade limitrofe, con

cassonetti rovesciati e l’impossi-bilità di raggiungere il centro dal ponente, e viceversa.

Poco dopo le 8.30, i lavoratori in corteo si sono diretti verso il vi-cino casello autostradale dell’ae-roporto bloccandolo per due ore. In seguito, tutti si sono spostati verso il centro di Sestri, e da lì in direzione di Cornigliano, per poi tornare, intorno alle 12, al presi-dio davanti allo stabilimento.

La FIOM, facendo propria la richiesta dei lavoratori, ha deciso di indire 8 ore di sciopero per l’in-tero gruppo entro gennaio.

Dura nei confronti del ministro Passera anche il sindaco di Ge-nova, Marta Vincenzi che, par-tecipando al blocco del casello autostradale insieme ai lavorato-ri, parla dell’incontro al ministero

come di una “doccia fredda” e che “non si può prendere in giro una città in questo modo ... si va verso uno sciopero generale”.

Ma la protesta degli operai delusi dal governo sta montando in tutto il gruppo. Oltre a Genova, l’11 gennaio sono scesi in piaz-za anche i lavoratori di Palermo e di Marghera protestando con-tro uno scenario produttivo sem-pre più ridotto e che fa crescere la preoccupazione per l’avvio di una nuova stagione di tagli.

A Palermo un migliaio di la-voratori dello stabilimento e del-l’indotto ha manifestato per le vie della città fino alla prefettura. A Marghera (Venezia), si è svolto uno sciopero di quattro ore con volantinaggio di protesta davanti allo stabilimento.

Sestri Ponente (Genova), 11 gennaio 2012. Il corteo dei lavoratori della Fincantieri blocca il casello autostradale sulla A10 che porta all’aeroporto

AL COMITATO CENTRALE

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4 il bolscevico / governo monti N. 3 - 26 gennaio 2012

ONESTA’DI LENIN

“Sempre più in alto è la bandiera del leninismo - La bandiera della Rivo-luzione internazionale proletaria”. Nell’originale la parte superiore è tut-ta in rosso, la parte inferiore è tutta in nero. Manifesto sovietico del 1932

Visto che non avete ottemperato alla mia insisten-te richiesta di indicarmi i motivi per i quali mi avete aumentato lo stipendio, a partire dal 1° marzo 1918, da 500 a 800 rubli mensili, e data la palese illegali-tà di tale aumento, da voi eseguito arbitrariamente, d’accordo col segretario del consiglio Nikolai Petro-vic Gorbunov, in aperta violazione del decreto del Consiglio dei commissari del popolo del 23 novembre 1917*, vi infliggo un severo biasimo.Il Presidente del Consiglio dei commissari del popolo

V. Ulianov (Lenin)

* Il limite massimo dello stipendio dei commissari del popolo era stato fissato a 500 rubli mensili, più 100 rubli per ogni compo-nente la famiglia inabile al lavoro.

(Lettera a Vladimir Dmitrievic Bonc-Bruievic, Direttore degli affari generali presso il Consiglio dei commissari del popolo, del 23 maggio 1918, pubblicata la prima volta nel 1933, Opere complete, vol. 35, pag. 240, Editori Riuniti)

Malinconicocostretto a dimettersiIl sottosegretario alla presidenza del Consiglio di Monti: “conti pagati a mia insaputa”

Travolto dalla scandalosa vi-cenda delle vacanze dorate a Porto Ercole “pagate a sua insa-puta” dalla cricca degli appal-ti capeggiata dall’ex presidente del Consiglio superiore dei lavo-ri pubblici Angelo Balducci e dai costruttori Francesco De Vito Pi-scicelli e Diego Anemone (coim-putati al processo per i lavori del G8 che si apre a Perugia il 23 apri-le prossimo) il 10 gennaio, a poco più di un mese dalla sua nomina, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Editoria Carlo Malinconico è stato costret-to a dimettersi.

Si tratta di una nuova ignomi-niosa storia di corruzione; in elo-quente continuità col malaffare del governo Berlusconi; che ricalca alla lettera l’altrettanto vergogno-sa vicenda dell’attuale ministro della Funzione Pubblica, Filippo Patroni Griffi, che ha pagato appe-na 170 mila euro un appartamento di 109 metri quadri accanto al Co-losseo svendutogli dall’Inps; che a sua volta richiama alla memoria il caso dell’ex ministro Scajola a cui gli stessi personaggi della cricca versarono 900 mila euro, anche in questo caso sempre a sua “insapu-ta”, per l’acquisto del lussuoso ap-partamento fronte Colosseo.

Corruttele di palazzo, insom-ma, che continuano come prima e

più di prima e che fanno letteral-mente a cazzotti con l’immagine “sobria e rigorosa” e “l’esempio di etica, serietà e buona politica” che il capo della macelleria socia-le Monti e il suo governo di tec-nocrati in camicia nera dicono di rappresentare.

A incastrare Malinconico è sta-to il suo stesso “benefattore” Pi-scicelli, famigerato per aver riso al telefono la notte del terremo-to all’Aquila parlando degli affa-ri che si prospettavano con la rico-struzione, il quale nei giorni scorsi aveva ammesso di aver pagato di tasca propria diversi pacchetti va-canze all’Argentario tra il 2007 e il 2008 all’allora segretario generale di Palazzo Chigi, Carlo Malinco-nico, su richiesta di Balducci.

Le dichiarazioni di Piscicelli sono finite agli atti dell’inchiesta sugli appalti per il G8 della pro-cura di Firenze e sono suffraga-te dalle numerose intercettazioni dei Ros da cui emerge non solo la stretta amicizia di Malinconi-co con gli esponenti della cricca, ma anche e soprattutto l’interesse di Balducci, Piscicelli e Anemone ad esaudire le richieste di vacanze a sbafo di Malinconico per avere mano libera sugli appalti pubblici.

“Con Malinconico eravamo buoni conoscenti, ci davamo del tu – ha confermato Piscicelli agli

inquirenti - È stato a colazione a casa mia, e con la sua compagna è stato ospite sulla mia barca”.

Mentre nell’informativa del 7 giugno 2010 inerente le lussuose vacanze di Malinconico e della sua compagna presso il lussuoso hotel “Il Pellicano” di Porto Ercole, un 5 stelle di proprietà Roberto Sciò dove una camera costa 1.500 euro a notte, gli agenti del Ros fra l’al-tro scrivono che: “È stato rilevato, in sintesi che, tra il 2007 e il 2008, il professor Carlo Malinconico ha soggiornato più volte presso la struttura alberghiera Il Pellicano, e le relative spese quantificate in complessivi euro 19.876,00 sono state pagate, con varie modalità, di seguito specificate, da Piscicel-li Francesco Maria” il quale “alle ore 11,27 del 20-08-2007 ha salda-to anche le spese extra per un im-porto di euro 685,00 a mezzo car-ta di credito American Express… della Opere Pubbliche e Ambiente spa”, cioè la società che lavorava ai cantieri dei Mondiali del Nuoto 2009, controllati dalla Presidenza del consiglio, dove Malinconico aveva le mani in pasta come segre-tario generale.

Fatti e circostanze confermati dallo stesso Piscicelli che tra l’al-tro ha precisato: “Ho sempre pa-gato io, ma l’ho fatto su input di Balducci. La prima volta ho antici-pato di tasca mia 9.800 euro, anzi, mi sembra di più, 9.800 è la cifra che ho letto sui giornali, ma poco importa. Poi, visto che nessuno mi aveva rimborsato, mi sono fat-to dare i soldi da Balducci”. Pisci-celli aggiunge anche un’altra cir-costanza: “Quest’estate sono stato risentito dai magistrati di Roma, abbiamo parlato della cricca e an-che delle vacanze di Malinconi-co”.

Il fatto che le vacanze dell’al-lora segretario generale di Palazzo Chigi fossero a carico di Piscicelli lo ammette anche Sciò che ha rife-rito di aver “visto molte volte Ma-linconico in albergo e sicuramente una parte dei soggiorni fu paga-ta da Piscicelli, su questo non c’è ombra di dubbio. Di più non so, non mi occupavo della parte ope-rativa”.

Tutto ciò, secondo gli inquiren-ti, fa parte di una precisa strategia adottata dalla cricca degli appalti per accaparrarsi i lavori pubblici più importanti. “L’organizzazio-ne e il pagamento delle vacanze per conto dell’ingegner Balducci in favore del professor Malinconi-co – sottolineano gli investigatori del Ros - rientrano nel complesso delle attività che lo stesso impren-ditore ha efficacemente riassunto parlando con Riccardo Fusi (al-tro costruttore fiorentino coinvol-to nelle indagini, ndr) come il suo ‘background di dieci anni di butta-mento di sangue’ che gli ha con-sentito di intessere un’importan-te rete relazionale che lo agevola nell’aggiudicazione di lavori pub-blici”.

Non a caso, dopo la sostitu-zione di Malinconico con Mauro Masi a Palazzo Chigi la cricca ri-volge le sue attenzioni e i suoi fa-

vori verso il nuovo sottosegretario assumendo per esempio il fratello della fidanzata Anthony Smith per poter continuare con la giostra de-gli appalti.

Ma la cosa che colpisce di più è il fatto che, nel suo miserabile ten-tativo di autodifesa, Malinconico parla anche di “eventi forzati, tra l’altro già da tempo noti”. Ciò si-gnifica che anche Monti era al cor-rente del comportamento non pro-prio “trasparente” di Malinconico e nonostante i favori e i privilegi ricevuti lo ha nominato lo stesso sottosegretario.

Di fronte a tutto ciò Monti si dovrebbe solo vergognare!

Invece domenica 10 gennaio ha avuto la faccia tosta di presentarsi alla trasmissione di Fabio Fazio e dire: “Sono fiero della mia squa-dra”. Non solo. All’indomani del-le dimissioni di Malinconico, il presidente del consiglio “ha ma-nifestato al sottosegretario il suo apprezzamento per il senso di re-sponsabilità dimostrato nell’ante-porre l’interesse pubblico ad ogni altra considerazione - il presiden-te Monti si legge ancora nella nota diffusa da Palazzo Chigi – ha inol-tre ringraziato il sottosegretario per il suo contributo al lavoro del governo, pur nella brevità del suo incarico”.

Insomma, altro che “gente per bene”, altro che “salvatori della patria, fuori da ogni logica parti-tica” il cui unico scopo è “salvare l’Italia dal baratro economico”.

Monti e il suo governo di tec-nocrati della grande finanza, del-la Ue e della macelleria sociale ol-tre ad essere depositari di grossi conflitti di interesse sono sempre pronti ad allearsi sia con la destra che con la “sinistra” del regime neofascista per occupare i gangli vitali della vita politica ed econo-mica del Paese e difendere perso-nalmente gli interessi della propria cosca di appartenenza.

Del resto basta scorrere il lun-go curriculum di Carlo Malinconi-co Castriota Scanderbeg, questo è il suo nome completo, per render-si conto che non si parla certo del-l’ultimo arrivato. 61 anni, avvoca-to, ex consigliere di Stato, titolare della cattedra di diritto dell’Unio-ne Europea a Tor Vergata; Malin-conico è anche l’unico italiano a essere diventato ordinario grazie a una leggina, poi abolita, che con-sentiva agli insegnanti nominati dal ministro del Tesoro alla Scuola superiore di Economia e Finanze di transitare automaticamente nei ruoli dei professori universitari.

Capo dell’ufficio legislati-vo alle Partecipazioni statali nel 1990 con l’ultimo governo di Giu-lio Andreotti; poi passato al Teso-ro fra il 1995 e il 1996, con Lam-berto Dini; quindi al vertice delle authority, all’Antitrust e all’Auto-rità dell’Energia e infine l’appro-do a Palazzo Chigi con il secondo governo Prodi e la riconferma ai vertici dell’amministrazione con Berlusconi grazie alla “buona pa-rola” spesa in suo favore dal mini-stro per l’attuazione del Program-ma Giulio Santagata.

GLI INTRALLAZZI DI PATRONI GRIFFI,DE LISE, MILONE, MARTONE

VACANZE DORATE PAGATEDALLA CRICCA DEGLI APPALTI

Carlo Malinconico non è l’uni-co “mariuolo” del governo Monti.

Dopo le sue dimissioni altri ministri, sottosegretari e esponen-ti dei vertici istituzionali potrebbe-ro finire vittime dei loro loschi in-trallazzi.

Tra questi c’è sicuramente il ministro della Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi la cui vi-cenda dell’acquisto di una casa di proprietà dell’Inps a prezzi strac-ciati, ricalca quella di Scajola. Non a caso la Procura di Roma il 12 gennaio ha aperto un’inchie-sta affidata al procuratore aggiun-to Alberto Caperna il quale ha già incaricato il Gruppo di polizia tri-butaria della Guardia di finanza di ricostruire l’iter della compra-vendita. Soprattutto per quanto riguarda il ruolo svolto dal mini-stro nell’affare visto che al mo-mento dell’acquisto Patroni Grifi era membro del Consiglio di Sta-to, lo stesso organismo che quali-ficò lo stabile nel centro della Ca-pitale come edificio non di pregio, facilitando così la vendita a prezzi stracciati.

Fra gli altri condomini, che hanno usufruito del prezzo di fa-vore, figura anche il deputato PDL Giuliano Cazzola, vicepresiden-te della commissione Lavoro di Montecitorio, ex socialista e segre-tario nazionale CGIL, ma soprat-tutto membro e poi presidente (dal 2003 al 2007) del collegio sinda-cale dell’Inps, ossia capo dell’or-gano di controllo dell’Istituto e di fatto compratore e al tempo stes-so venditore. Protagonista in quel-lo stesso periodo di una campagna

stampa contro “il sistema previ-denziale italiano” che “deve essere subito riformato” in quanto troppo “generoso” coi suoi assistiti.

La storia, svelata per la prima volta dal “Fatto quotidiano”, ini-zia verso la fine degli anni ’80, quando il magistrato Griffi e Caz-zola prendono in affitto due appar-tamenti nello stabile di proprietà dell’Inps di via Monte Oppio 12. Anni dopo l’edificio finisce nel-le cartolarizzazioni offrendo così agli inquilini in affitto la possibili-tà di acquistare il proprio apparta-mento con un forte sconto. La leg-ge però esclude categoricamente gli stabili di pregio che, secondo la normativa del 2001, devono es-sere venduti al prezzo di merca-to, e l’antica casa fra il Colosseo e il parco cittadino di Colle Oppio rientra in questa categoria. Ma gli inquilini non ci stanno e, assieme all’attuale titolare della Funzione pubblica e al deputato PDL, deci-dono di fare ricorso al Tar vincen-do in primo grado.

Il loro avvocato, neanche a dir-lo, è Carlo Malinconico, il sottose-gretario dimissionario per lo scan-dalo delle vacanze di lusso a spese della Cricca. A quel punto l’Inps, il cui vertice del collegio sindaca-le è presieduto da Cazzola, decide di ricorrere al Consiglio di Stato; ossia lo stesso organismo dove Pa-troni Griffi è presidente di sezio-ne. Sul ricorso che lo riguarda il ministro si astiene, ma alla fine ar-riva la sentenza favorevole agli af-fittuari: l’immobile non è da con-siderarsi di pregio e quindi può essere venduto ai prezzi stracciati

con buona pace dell’Inps. Quindi tutti gli inquilini, Patroni Griffi e Cazzola compresi, possono coro-nare il proprio sogno: acquistare un appartamento “vista Colosseo” per soli 1600 euro circa al metro quadro.

Decisiva nella causa è stata la “verificazione” disposta dal Con-siglio di Stato nel 2004 ed effet-tuata da due funzionari del mini-stero delle infrastrutture, Raniero Fabrizi e Filippo Di Giacomo. En-trambi figurano più volte nelle in-tercettazioni telefoniche del 2008 effettuate dai carabinieri del Ros nell’ambito delle indagini sulla cosiddetta “cricca” degli appalti pubblici.

Poi c’è il caso del sottosegreta-rio alla Difesa Filippo Milone, già condannato e più volte indagato ai tempi di Tangentopoli, l’ex capo segreteria e consigliere per la po-litica industriale dell’ex ministro La Russa, è attualmente coinvolto nell’inchiesta sulle nomine, fondi neri, appalti e tangenti di Finmec-canica.

Milone, che fra l’altro è anche consigliere di Ansaldo Sts che fa capo a Finmeccanica, è al centro di una conversazione telefonica fra Lorenzo Borgogni, ex direttore centrale delle relazioni istituzio-nali di Finmeccanica, con Marco Forlani, dirigente del gruppo. Nel-la intercettazione i due manager parlavano di un contributo solleci-tato dallo stesso Milone in occa-sione della convention del PDL a Milano del 2010.

Quindi Pasquale De Lise, uomo di Gianni Letta in odore di

massoneria, vicino all’Opus Dei e consultore di Propaganda Fide, che è stato chiamato dal governo a dirigere la nuova Agenzia per strade e autostrade. Grande ami-co di Angelo Balducci, molto vi-cino alla sua “cricca” delle Grandi Opere, il nome di De Lise figura spesso anche nelle intercettazioni e negli atti delle varie procure che si occupano dello scandalo degli appalti pubblici. A lui, in qualità di presidente del Consiglio di Sta-to, gli imprenditori di Anemone chiesero un intervento per ferma-re un esposto. In più, venne senti-to dai pubblici ministeri di Perugia per un bonifico sospetto spiegato con una compravendita all’Argen-tario (da giudice amministrativo ha venduto a un avvocato ammi-nistrativista per oltre un milione di euro). Vanta un patrimonio immo-biliare stimato intorno ai 15milio-ni di euro e sotto la sua presidenza i consiglieri di Stato si sono rega-lati oltre al lauto stipendio inden-nità aggiuntive dai 20 ai 50mila euro.

Infine c’è il viceministro per il Lavoro e Politiche sociali Mi-chel Martone, figlio del magi-strato Antonio che è indagato nell’inchiesta sulla P3. Professo-re di diritto del Lavoro non anco-ra quarantenne, già consulente di Renato Brunetta e vicino all’as-sociazione Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo, Mi-chel nel novembre del 2010 è già salito agli “onori” della crona-ca per la scandalosa consulenza d’oro da 40 mila euro assegnata-gli da Brunetta.

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N. 3 - 26 gennaio 2012 interni / il bolscevico 5

Giovedì 12 gennaio, con una decisione clamorosa, la Corte co-stituzionale ha bocciato i quesiti proposti dai promotori referendari ritenendoli inammissibili.

Il primo quesito chiedeva l’abrogazione totale del cosiddetto “Porcellum”, il sistema elettorale voluto dal fascio-leghista Caldero-li; il secondo interveniva per chie-dere l’abrogazione delle novità in-trodotte da questa legge rispetto a quella precedente. Il risultato, dunque, è quello del mantenimen-to della vecchia legge elettorale neofascista, fortemente contestata dai promotori.

Il “Porcellum”Con la legge n. 270 del 21 di-

cembre 2005, il governo del neo-duce Berlusconi, con l’arrogante e prepotente minaccia “di crisi di governo nel caso in cui non venis-se approvata la riforma”, ha modi-ficato il sistema elettorale in senso neofascista.

Ideatore principale fu l’allora ministro della Lega fascista, raz-zista e xenofoba Roberto Calde-roli, che la definì, tanto era vergo-gnosa quella normazione in tutte le sue intercapedini, “una porca-ta”; proprio per questo venne de-nominata Porcellum. In partico-lare, la legge Calderoli sostituì le leggi precedenti nn. 276 e 277 del 1993 (il cosiddetto Mattarel-lum), introducendo un sistema radicalmente differente. La casa del fascio, con in testa il partito

di Berlusconi, AN, UDC e, chia-ramente, Lega Nord, votarono a favore del nuovo sistema elettora-le che modificò, di fatto, il prece-dente meccanismo misto per 3/4 a ripartizione maggioritaria dei seg-gi, in favore di un sistema propor-zionale corretto, a coalizione, con premio di maggioranza ed elezio-ne di più parlamentari contempo-raneamente in collegi estesi, senza possibilità di indicare preferenze.

Il sistema introdotto dalla leg-ge 270 apparve completamente nuovo, anche se il premio di mag-gioranza per la coalizione vincen-te alla Camera si era già verificato in due leggi elettorali italiane del passato: la legge fascista Acerbo, che Mussolini utilizzò per conso-lidare il suo potere e che attribui-va i due terzi dei seggi alla lista che avesse ottenuto anche solo il 25% dei suffragi, in maniera for-malmente “legale” e utilizzando una procedura di revisione costi-tuzionale, con la quale si assicurò tutto il potere esecutivo con la tri-stemente nota normativa del 24 di-cembre 1925.

Questa legislazione esautorava il parlamento e conferiva a Mus-solini la carica di primo ministro, capo del governo e segretario di Stato, con la prerogativa della no-mina e della revoca dei ministri, soggetta all’approvazione pura-mente formale del sovrano, Vit-torio Emanuele III, che condivise e avallò tutta la manovra musso-liniana. Oltre a questa deve ricor-darsi la famigerata “legge truffa”

del 1953 propugnata dalla DC e spazzata via da un grande movi-mento di massa al punto da esse-re abrogata il 31 luglio dello stes-so anno.

La decisione dei giudici costituzionali

Dopo 9 ore di camera di con-siglio, i 15 giudici costituziona-li hanno dichiarato inammissibili i due referendum che intendeva-no, dunque, abrogare totalmente il Porcellum. A favore della dop-pia bocciatura si sono pronunciati il presidente Alfonso Quaranta, il relatore Sabino Cassese, i giudici Paolo Grossi, Marta Cartabia, Lui-gi Mazzella e Paolo Maria Napo-litano (questi ultimi famigerati per la cena con il neoduce Berlusco-ni e i suoi gerarchi Alfano e Letta alla vigilia della sentenza sul lodo salva-premier).

E pensare che la stessa Consul-ta poteva scegliere un’altra strada, quella della possibilità di sollevare d’ufficio l’eccezione di incostitu-zionalità dell’attuale sistema elet-torale neofascista. Lo dimostrano le parole di uno dei giudici, di area “centro-sinistra”, Gaetano Silvestri, il quale affermava che il porcellum “non subordina il premio di mag-gioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o seggi”.

L’ipotesi di esercizio del pote-re di autorimessione veniva cla-morosamente obliterato (per un solo voto contrario) a favore della

scelta opzionale dell’inammissibi-lità: se fosse passata l’eccezione, invece, i giudici avrebbero dovuto sospendere il giudizio sul referen-dum, in attesa del pronunciamen-to, nel merito, sulla costituzionali-tà della legge Calderoli.

Il ruolo decisivodi Napolitano.Esulta la P3

Le motivazioni sostenute dal-la Corte Costituzionale verran-no depositate entro il 10 febbraio. Di sicuro, i giudici costituziona-li si sono trincerati, ben coperti dal nuovo Vittorio Emanuele III, Giorgio Napolitano, dietro la fra-se ben studiata a tavolino del “pe-ricolo di vuoto normativo” in caso di vittoria dei referendum e abro-gazione della legge elettorale at-tuale. D’altronde quella del capo dello Stato non era altro che una manovra da vecchio volpone re-visionista per salvare il governo Monti dal possibile pantano del varo di una legge elettorale, ac-cantonando la fase delle nuove controriforme di macelleria so-ciale, ma anche di riappacificare i partiti politici, tanto che le dichia-razioni di Alfano, Casini e Bersa-ni erano tese a riprendere il filo di un tavolo di discussione su di una nuova legge elettorale.

In un comunicato congiunto, espresso poco dopo la decisione della Consulta, i presidenti della Camera e del Senato, Fini e Schi-

Denuncia di “Cittadinanzattiva”

UN TERZO DELLE SCUOLE ITALIANEE’ FUORI LEGGE

La scuola italiana è allo sfa-scio, e non solo metaforica-mente. Dopo che il rapporto dell’Organizzazione per la Coo-perazione e lo Sviluppo Econo-mico (OCSE) (vedi Il Bolscevico

n. 34/2011) sull’istruzione aveva relegato la scuola italiana al 29° posto su 34 Paesi considerati, la scorsa settimana l’associazione “Cittadinanzattiva” ha pubblica-to il rapporto “Sicurezza, quali-

tà e comfort degli edifici scola-stici”, sulla base di un sondaggio su 88 scuole in 13 province di 12 regioni dal Nord al Sud, dal qua-le risulta che il 28% delle scuole è fuori legge perché non rispetta i requisiti base previsti dalla leg-ge per la sicurezza. In generale la media degli edifici scolastici a ri-schio è del 30,4% con picchi in Calabria e Lazio, per non parla-re della Sicilia dove ben il 90% delle scuole non ha superato i test antisismici.

Il 70% degli edifici scolastici italiani sono stati costruiti prima del 1974 e mancano di manuten-zione e ristrutturazione. I risulta-ti di questo disinteresse scellerato non tardano a farsi sentire: negli scorsi due anni 98.429 studenti e 14.735 hanno subito incidenti do-vuti alle strutture fatiscenti. Al di là dei numeri, ciò significa che una percentuale significativa di studen-ti, docenti e personale Ata sono in pericolo mentre si trovano sul loro luogo di studio o di lavoro.

“Cittadinanzattiva” segnala an-che che la percentuale delle classi sovraffollate (con più di 30 alun-ni) è dell’1,7% (il ministero par-

la dello 0,6%), aggravato dal fat-to che l’88% delle scuole non ha porte antipanico e il 22% manca-no di scale antincendio.

L’allora ministro Gelmini ave-va annunciato trionfalmente il ri-sparmio di 200 milioni di euro per la pulizia. Ebbene il rapporto rileva che ciò è dovuto al taglio del 25% del personale nonché del materiale per bagni e palestre, dove mancano sapone, asciuga-mani e pronto soccorso.

Giuseppe Castiglione, presi-dente dell’UPI (Unione Provin-ce Italiane), denuncia che i 773 milioni previsti dai fondi Fas (fondo aree sottoutilizzate) non sono mai stati erogati, scarican-do gran parte dei costi sulle pro-vince. Detto fatto: il 20 settembre scorso il ministero ha promesso 426 milioni che non si sa come e quando saranno erogati.

Ad emergere è un quadro de-solante che però punta il dito contro la negligenza e il disinte-resse criminali delle istituzioni borghesi non solo per l’istruzio-ne pubblica, ma anche per la sa-lute e la sicurezza di studenti, do-centi e personale Ata.

COMUNICATO DELLA RETE DELLA CONOSCENZA

Occupata Casa dello Studente a Torino per il diritto allo studioDi seguito il comunicato della

Rete della Conoscenza sull’oc-cupazione da parte di borsisti, studentesse e studenti della Casa dello Studente di Via Verdi a To-rino per rivendicare il diritto allo studio avvenuta il 12 gennaio scorso.

A pochi giorni dallo sfratto di Amna e Khaled Ben Ayed, due fratelli tunisini di 19 e 21 anni, dal-la casa dello studente che aveva-no in assegnazione, prosegue la protesta degli studenti torinesi contro i tagli al diritto allo studio in Piemonte.

Dall’assemblea che si stava svolgendo a Palazzo Nuovo è partito un corteo con centinaia di borsisti e tante altre studentesse e studenti.

Il corteo si è diretto alla casa dello studente di Via Verdi 15, da anni in stato di abbandono e in attesa dei lavori per la riapertura,

e l’hanno occupata.In questo momento l’edificio è

occupato da tantissimi studenti, che si stanno organizzando su come proseguire la mobilitazio-ne.

Al centro della protesta c’è la situazione di circa 8.000 studenti idonei, meritevoli e con reddito basso, esclusi dalle graduatorie di assegnazione della borsa di studio. Fino all’anno scorso la Regione Piemonte era in grado di erogare le borse di studio al 100% degli aventi diritto, ed era una delle punte più avanzate del sistema nazionale di diritto allo studio.

A ridosso delle vacanze di Na-tale, la Regione aveva trasferito in extremis 5 milioni che permet-teranno l’inserimento in borsa di 3.000 persone, lasciando comun-que esclusi 5.000 studenti. Ad oggi, tuttavia, nessuno ha ancora ricevuto un euro.

La Consulta bocciai referendum elettorali

IGNORATA LA RICHIESTA DI 1.210.466 PROPONENTI

PER NON CREARE PROBLEMI AL GOVERNO

Richiedete

Le richieste vanno indirizzate a: PMLI - [email protected] postale: IL BOLSCEVICO - C.P. 477 - 50100 FIRENZETel. e fax 055 2347272

fani, e il nuovo Vittorio Emanue-le III, Napolitano, ritenevano che “alla luce della sentenza emessa dalla Corte Costituzionale, spetta ai partiti e al Parlamento assume-re il compito di proporre e adot-tare modifiche della vigente legge elettorale secondo esigenze lar-gamente avvertite dall’opinione pubblica”. Che tradotto, significa: trovate un accordo definitivo, non disturbate il governo che già deve verificare i suoi precari equilibri dopo le controriforme di macelle-ria sociale. Non a caso il ruolo di Napolitano è stato decisivo, alme-no nelle pressioni verso i giudici della Consulta, al punto che persi-no Di Pietro ha parlato in maniera dura contro l’ex dirigente del PCI revisionista: “La democrazia è sot-toterra, ci manca solo l’olio di ri-cino, è un golpe bianco: dal primo giorno in cui Berlusconi si è di-messo, siamo di fronte al governo del Presidente. Napolitano ha fatto dichiarazioni da premier e non da capo dello Stato: c’è una sospen-sione della democrazia”. Non è tardata la risposta stizzita di Napo-litano che ha ritenuto le afferma-zioni del leader IDV “insinuazioni volgari e scorrette”, con l’appog-gio immediato di PDL, PD e UDC che censuravano Di Pietro.

Secondo il legale del Comita-to promotore referendario, Ales-sandro Pace, un risultato diverso da quello deciso dalla Consulta avrebbe creato non pochi proble-mi all’attuale governo Monti che sarebbe caduto più velocemente, con l’effetto di ritornare alle urne. Ancora più netta la posizione del costituzionalista Zagrebelsky che parla di un possibile astensioni-smo dilagante alle prossime ele-zioni: “I cittadini delusi e decisi a far valere la loro volontà potrebbe-ro essere indotti a un drammatico

sciopero del voto, cioè a non ac-cettare di andare nuovamente alle urne con il porcellum”. Significa-tivo e inquietante il commento del cosiddetto “geometra” della P3, il giudice tributario Pasquale Lom-bardi, indagato nell’inchiesta dal-la procura di Roma sull’associa-zione segreta: “La Corte stavolta ha fatto benissimo: ci siamo tolti un impiccio perché rischiava di far saltare il governo Monti”.

Mentre il neoduce Berlusconi e i suoi accoliti, rinfrancati dal voto contrario del parlamento all’arre-sto di Cosentino non tardavano a festeggiare la bocciatura della Consulta, lo staff del neoliberale Bersani precisava che il leader PD non aveva firmato il referendum, dopo aver opportunisticamente at-teso l’esito dei giudici costituzio-nali, rilanciando la possibilità di un maggioritario misto (sic!).

In ossequio alla volontà di Na-politano, la Consulta ha finito per confermare la vigente famigerata legge elettorale Calderoli. Qual-siasi accordo che potranno rag-giungere i partiti del regime neo-fascista non potrà che muoversi nel solco del presidenzialismo neofascista giacché la legge Cal-deroli del 2005, così come la leg-ge Mattarella del 1993, hanno già completamente stravolto il siste-ma elettorale democratico borghe-se disegnato dalla Costituzione del ’48, introducendo di fatto il presi-denzialismo, aumentando il pote-re delle lobby economiche e finan-ziarie, personalizzando le battaglie elettorali, accentrando i poteri nei vertici istituzionali ai vari livelli, diminuendo il peso dell’elettorato sugli eletti, sulle istituzioni e sul governo, eliminando i partiti più piccoli, salvo quelli che si alleano e si sottomettono ai partiti mag-giori.

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6 il bolscevico / regime neofascista N. 3 - 26 gennaio 2012

UNA RIPROVA CHE LE MAFIE SONO DENTRO LE ISTITUZIONI BORGHESI

La Camera nera assolve e applaude il camorrista Cosentino

Decisivo il voto contrario dei Radicali e dei leghisti bossiani. Pilatesca assenza dall’aula del governo Monti. Nel segreto dell’urna hanno votato a favore anche deputati PD e UDC

I PM: “IL SUO APPOGGIO AI CASALESI È PROVATO”Giovedì 12 gennaio, 298 voti

favorevoli, 309 contrari, la Ca-mera dei deputati respinge nuo-vamente la richiesta di arresto reiterata dalla Procura della Re-pubblica di Napoli nei confronti del deputato del PDL, ed ex sot-tosegretario all’economia, Nicola Cosentino, accusato di “concorso esterno in associazione mafiosa”: 15 magistrati e 18 “pentiti” di ca-morra lo qualificano come il refe-rente politico della holding mafio-sa dei Casalesi.

Il parlamento nero, rispolve-rando il cosiddetto “fumus per-secutionis” (parvenza di persecu-zione), ha così bocciato l’operato della stessa Commissione giusti-zia che, qualche giorno prima, si era espressa per l’arresto, con 11 voti a favore e 10 contrari. Il mes-saggio ai magistrati non allineati al regime neofascista è il seguen-te: qualsiasi reato abbia commesso il coordinatore del PDL in Campa-nia è un intoccabile e va protetto con lo scudo dell’immunità parla-mentare.

Stando alla quantità e gravità dei reati, nonché al concreto pe-ricolo di inquinamento delle pro-ve da parte dell’imputato, si tratta quindi di una decisione mostruo-sa dal punto di vista politico, aber-rante dal punto di vista giuridico e assolutamente inaccettabile in particolare per gli abitanti di un terra un tempo fertilissima, come il casertano, devastata e avvelena-ta in modo irreversibile dai camor-risti di Stato.

I voti decisivi Oltre a tutti i deputati del PDL,

hanno votato a favore del “boss” i deputati di “Popolo e territorio” e “i Responsabili” di Scilipoti, il cosiddetto “Gruppo misto” e una parte consistente della Lega Nord, da sempre razzista e xenofoba nei confronti delle masse popolari del Sud mentre si sottrae a qualsia-si guerra aperta alla mafia al Sud

Benché avesse inneggiato pubblicamentealla cosiddetta “repubblica di Salò” e con saluti romani

LA FARNESINA PROTEGGEIL CONSOLE FASCISTA VATTANI

Anpi: “Rivela il clima di nostalgismo fascista che è penetrato fi n dentro le istituzioni”L’attuale Console genera-

le d’Italia a Osaka - il fascista Mario Vattani che si è ripetuta-mente esibito in camicia nera come cantante del gruppo mu-sicale di estrema destra Sotto Fascia Semplice nei locali di Casapound di Roma – non ha subito il provvedimento disci-plinare della rimozione dal suo incarico diplomatico, come in-vece ha richiesto a gran voce da dicembre, quando è scoppiato il caso sui giornali, tutta l’opi-nione pubblica democratica, i sindacati confederali e l’ANPI. Quest’ultima ha immediata-mente sottolineato la gravità di tale condotta del diplomatico che dovrebbe rappresentare al-l’estero un Paese che nella sua Costituzione considera (almeno sulla carta) reato l’apologia del fascismo ma che poi in concre-to lo tollera, lo protegge, se non addirittura, lo alimenta.

Del resto l’attuale mini-stro degli esteri, l’ambasciatore Giulio Terzi, ha un passato gio-vanile di simpatie nei confron-

ti dell’allora Movimento sociale italiano del fucilatore di parti-giani Almirante, e quindi non stupisce di certo l’atteggiamento blando assunto dal suo dicastero nei confronti di questo rampollo della borghesia fascista.

Nato nel 1966, figlio del di-plomatico Umberto Vattani già Segretario generale del mini-stero degli Esteri e considerato il più influente diplomatico ita-liano, il console è entrato in po-litica internazionale nel 1991, a 25 anni dopo aver militato sin da giovanissimo nel Movimen-to sociale italiano dove conob-be Gianni Alemanno al quale è sempre rimasto legato. E la fe-deltà alla camicia nera deve es-sergli di certo rimasta, visti i testi delle sue canzoni che in-neggiano apertamente alla cri-minale “repubblica di Salò”, esaltano l’antisemitismo, il raz-zismo ed i peggiori disvalori dell’infame ideologia fascista.

E la cosa gravissima è che finora questo personaggio ha gestito incarichi importanti nel-

lo stesso Paese (il Giappone) che ha dato asilo a Delfo Zorzi e in cui l’estrema destra locale non ha mai smesso di avere una forte influenza sulla classe po-litica nipponica e su una vasta rete economico-imprenditoria-le: dal 2004 al 2008 è stato capo dell’Ufficio economico com-merciale presso l’Ambasciata italiana di Tokyo, dal 2008 al 2011 Consigliere diplomatico del sindaco di Roma, a marzo 2011 poi è stato nominato mi-nistro plenipotenziario e nel lu-glio dello stesso anno è diven-tato Console generale d’Italia ad Osaka, la seconda città del Giappone per numero di abi-tanti e distretto industriale più grande del Paese asiatico.

Insieme a tutti gli autenti-ci antifascisti, il Partito marxi-sta-leninista italiano chiede la immediata destituzione e ra-diazione dal corpo diplomatico di questo spregevole figuro che oltraggia la Resistenza e i suoi martiri.

496 pagine608 pagine

come al Centro e al Nord.Le cifre precise e i nomi dei

votanti pro Cosentino non sono disponibili, a causa del ricorso al voto segreto. Solo i leghisti han-no cambiato in corsa le intenzioni di voto? Per fare schizzare i voti contrari all’ordinanza da 255, os-sia quelli previsti alla vigilia, fino a 309 (+54), ciò significa che qua-si tutti i 56 deputati leghisti devo-no avere votato contro, ma le ver-sioni in tal senso sono discordanti. Al cosiddetto “cerchio magico”, garante della tenuta o della “rico-struzione” dell’asse Bossi-Berlu-sconi, vengono attribuiti non più di 15 deputati. “Almeno 25 dei no-stri hanno votato contro”, sostiene Umberto Bossi, mentre l’altro lea-der della Lega, l’ex-ministro del-l’Interno Roberto Maroni rivela: “molti voti a favore di Cosentino sono arrivati anche dal PD e dal-l’UDC”.

Nessun dubbio invece per quan-to riguarda i voti decisivi dei depu-tati Radicali, i quali hanno votato compatti a favore di Cosentino, seguendo l’ordine di scuderia dei caporioni Pannella e Bonino. Ri-marrà negli annali della vergogna, e non potrà essere dimenticato, il discorso del radicale Turco che ha fatto a gara con il leghista Paoli-ni per santificare il mammasantis-sima plurinquisito, come non può essere dimenticata la vomitevole ammucchiata e la sguaiata esul-tanza al termine del voto, quando l’aula di Montecitorio è stata tra-sformata in un bivacco privato per i manipoli della cricca di Cosen-tino.

Piduisti e mafiosial contrattacco

Tra applausi scroscianti, il pri-mo ad abbracciare Cosentino è

stato Luigi Cesaro (presidente del-la provincia di Napoli, anch’egli tra gli indagati dalla Procura par-tenopea), poi Alessandra Mussoli-ni, Osvaldo Napoli, il piduista plu-rinquisito Denis Verdini, ancora una volta, coadiuvato da Cicchitto e Paniz, il regista della “compra-vendita di voti” per conto del ritro-vato asse Bossi-Berlusconi.

E ancora spiccano gli abbracci calorosi di Alfonso Papa, in odo-re di P3 ed appena uscito dal car-cere di Poggioreale, quelli del-l’ex-mazziere napoletano Amedeo Laboccetta e degli ex ministri al-l’ambiente e alle infrastrutture, Stefania Prestigiacomo e Altero Matteoli, che hanno coperto per anni le scorribande dei Casalesi da Sud e Nord e viceversa.

Il neoduce Berlusconi, il vero padrino politico dell’intera ope-razione, ha esternato: “è stata una battaglia di libertà e l’abbiamo vinta”, “una decisione giusta del Parlamento che non poteva rinun-ciare a tutelare se stesso”. Una fra-se che è tutto un programma, un programma, come sempre, golpi-sta che mira alla delegittimazio-ne dei giudici che saranno impe-gnati nel processo (che tra l’altro confermano: “l’appoggio ai Casa-lesi è provato”) e più in generale alla legittimazione e legalizzazio-ne del ruolo e della funzione del-la borghesia mafiosa e massonica, che governa da sempre parte della Campania, della Sicilia, della Ca-labria, della Puglia e che col tem-po, garantendo i propri variega-ti servigi ai partiti di governo e ai grandi pescecani e monopolisti del Nord, è riuscita a compenetrarsi fortemente nelle istituzioni locali, nei palazzi romani e nell’econo-mia di gran parte delle altre regio-ni italiane.

Una borghesia che si ritiene in-toccabile perché inserita nei gangli

stato egli stesso oggetto di dossie-raggio da parte della cricca pidui-sta (secondo il collaudato “metodo Boffo”), durante la corsa alla candi-datura per le scorse elezioni regio-nali? Clamoroso, in questo quadro, il silenzio assordante, e compli-ce, del PD di Bersani e D’Alema, ma anche soprattutto del presidente Giorgio Napolitano e del neomini-stro della giustizia, l’avvocato Pao-la Severino. Col loro assordante si-lenzio e “omertà”, una battuta sorge spontanea: forse Napolitano vuole che l’art. 1 della Costituzione reci-ti: “l’Italia è una repubblica fondata sulla mafia”?

Le pagliacciatedi Maroni

Per quanto riguarda lo “scon-tro”, in verità molto teatralizzato, tra Bossi e Maroni, va detto che esso non riguarda il merito della vicenda, ossia l’alleanza (indiret-ta?) della Lega Nord con i Casale-si, ma esclusivamente le preoccu-pazioni circa le ricadute elettorali del voto pro-mafia e le scherma-glie per la successione al vertice del partito tra Maroni e quel “cer-chio magico” che ha incoronato Calderoli a proconsole di Bossi a Roma e il figlio Renzo (detto “il trota”) quale “erede al trono”.

Un gioco delle parti quello tra Bossi (che poi l’ha smentita) e Maroni, per evitare la spaccatu-ra tra base e vertice nella Lega? L’impressione è proprio che la lotta alle mafie non c’entri un granché.

vitali del “sistema” degli appalti e dei subappalti, nonché negli appa-rati dello Stato (magistratura stes-sa) e dei partiti istituzionali, nel-l’economia, nella finanza. Come dimostra la sfrontatezza dell’im-putato: il tempo di uscire dal ri-storante in cui si era precipitato a festeggiare e il mantra del perse-guitato “sono vittima di una vio-lenza mediatica, politica e giudi-ziaria” si riveste nuovamente dei toni berlusconiani della minaccia nei confronti della magistratura. Lo stile è quello di Cosa Nostra. Cosentino cita persino direttamen-te l’ex-Pm Narducci (ora in quo-ta alla giunta De Magistris), reo di avere istruito uno dei processi in corso a suo carico. Un messaggio ai clan mafiosi che ruotano intorno alla rete di potere piduista? Un in-vito al contrattacco? Non bisogna dimenticare che lo stesso clan dei Casalesi, pur dimezzato, è ancora economicamente, politicamente e istituzionalmente molto potente in Campania, così come nelle regio-ni del Centro-Nord. È ricchissimo e radicato a livello internaziona-le, e soprattutto sa tante cose del-la storia d’Italia. È quindi ancora in grado, come la mafia siciliana e la ’ndrangheta calabrese, di “av-velenare i pozzi” e quindi di ricat-tare i politicanti a qualsiasi livello, di controllare pacchi consistenti di voti e quindi di influenzare la for-mazione dei governi locali e na-

zionali. D’altra parte, al di là dell’arre-

sto del capo clan della mafia del cemento, Zagaria, pompato non a caso dai media, la situazione degli uffici giudiziari antimafia al Sud è davvero disastrosa, basti pensa-re al rapido processo di smantel-lamento della minuscola Procu-ra di Santamaria Capua-Vetere, al taglio di fondi e mezzi e persi-no delle scorte a disposizione dei magistrati della DDA di Napoli. Il primo passo è sempre l’isolamen-to, ma inquietanti e frequenti sono anche i guasti e gli incendi al pa-lazzo di Giustizia al Centro dire-zionale di Napoli.

Il silenziodi Napolitano

Emblematico del potere di in-fluenza e di ricatto che Cosentino esercita ancora nella super-corrot-ta vita politica italiana è il compor-tamento del presidente del Consi-glio Monti, il quale era presente in aula nella mattinata, ma prima del voto è letteralmente fuggito insie-me ai suoi ministri e si è dileguato, evidentemente per lasciare campo libero all’intrallazzo tra i partiti che lo sostengono. E che dire della timorosa prudenza del governato-re della Campania Stefano Caldo-ro nel pronunciare il nome del suo collega di partito, pure essendo

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N. 3 - 26 gennaio 2012 strage da amianto / il bolscevico 7

IL COMUNE DI CASALESVENDE LA STRAGE ETERNIT

La giunta comunale deve dimettersi

Protestano i parentidelle vittime

Che la stragrande maggioran-za dei tumori maligni sia causato dal modo di produzione capitali-stico basato sulla ricerca del mas-simo profitto è un’evidenza che la “scienza” borghese tenta in tutti i modi di occultare.

Per quanto riguarda l’eternit, materiale isolante a larghissima diffusione, il nesso causale con l’asbestosi, il mesotelioma e i car-cinomi polmonari, è noto e accer-tato da almeno mezzo secolo.

Soltanto nel 2009 però è stato istruito a Torino un serio proces-so penale ai pescecani capitalisti che hanno provocato le stragi ope-raie causate dalle micidiali fibre di asbesto.

Alla sbarra, rinviati a giudizio per “disastro ambientale doloso permanente”, ci sono il magna-te svizzero Stephan Ernest Sch-midheny, ex presidente del Cda e responsabile della gestione della società Eternit Spa di Casale Mon-ferrato (in provincia di Alessan-dria) e di quelle affiliate, e il baro-ne belga Jean Louis De Cartier de Marchienne, anch’egli ex ammini-stratore delegato dell’azienda kil-ler negli anni che vanno dal 1973 al 1986.

Stando al lungo elenco di mor-ti depositato dai Pubblici ministe-ri (1.378 vittime accertate a Casa-le Monferrato, su una popolazione di 35mila abitanti, e quasi 3mila in tutta la provincia di Alessan-dria) i due avidi e disumani padro-ni hanno omesso reiteratamente e coscientemente di adottare misure fondamentali per la salute dei la-voratori (reato di “omissione vo-

tore e produttore di energie puli-te e rinnovabili fino a diventare un consigliere di Clinton quando era alla Casa Bianca e presentarsi come relatore in conferenze orga-nizzate dal Vaticano.

Va ricordato che sotto accusa dal punto di vista politico comin-cia ad esserci anche il neo-mini-stro della Salute, Renato Balduz-zi che nel merito ha rilasciato la seguente ambigua dichiarazione: “sono disponibile ad incontrare il Comune e le associazioni in modo che, il più celermente possibile, sia completato il percorso di usci-ta dalla problematica”.

Nell’esprimere quindi la nostra piena solidarietà a tutti i lavoratori e alle vittime dell’amianto il nostro auspicio è che il processo si fac-cia, il pm Guariniello possa anda-re avanti, la verità dei fatti, quanto mai evidenti, trionfi e i colpevo-li siano condannati ed obbligati a pagare risarcimenti proporzionali all’entità dell’ecatombe causata e

bonifiche integrali dei siti. Visto che la svendita di una

strage come quella dell’Eternit per un piatto di lenticchie è inac-cettabile, il sindaco e la giunta di Casale Monferrato che hanno im-punemente calpestato la volontà popolare, devono dimettersi!

Il governo della sanguisuga Monti deve assumersi le sue re-sponsabilità e garantire che ven-gano immediatamente messi in si-curezza e bonificati integralmente tutti i treni, le navi, gli acquedot-ti, le scuole, le case, i piccoli ma-nufatti dove è presente la fibra di amianto!

Più in generale per prevenire e ridurre l’incidenza dei tumori ma-ligni causati dall’inquinamento ambientale, in Italia e nel mondo, occorre battersi per dire basta con il barbaro e velenoso sistema capi-talistico, ci vuole un nuovo modo di produzione non più basato sulla proprietà privata dei mezzi di pro-duzione: ossia il socialismo!

Casale Monferrato (Alessandria), 7 gennaio 2012. In 3 mila manifestano per chiedere giustizia per le vittime dell’amianto e contro la decisione della giunta comunale di accettare il risarcimento offerto dall’ex presidente della Eternit Spa e con esso il ritiro del comune piemontese dalla costituzione di parte civile

La protesta dei familiari delle vittime dell’amianto davanti al palazzo di giustizia di Torino durante le sedute del processo nel 2009

Eternit (dal latino aeternitas, eternità) è un fibrocemento uti-lizzato in edilizia come materiale da copertura nella forma in lastra piana o ondulata, oppure come coibentazione di tubature.

Nel 1928 inizia la produzione di tubi in fibrocemento, che fino agli anni Settanta rappresente-ranno lo standard nella costruzio-ne di acquedotti. Nel 1933 fanno la loro comparsa le lastre ondu-late, in seguito usate spesso per tetti e capannoni. Negli anni ’40 e ’50 l’Eternit trova impiego in pa-recchi oggetti di uso quotidiano. Dal 1963 l’Eternit viene prodotto in varie colorazioni.

Benché almeno sin dal 1962 fosse noto, con certezza e in tut-to il mondo, il nesso causale tra la polvere di amianto, generata dall’usura dei tetti e usata come materiale di fondo per i selciati, e una grave forma di cancro mali-gno, il mesotelioma pleurico (oltre alla classica fibrosi polmonare, detta asbestosi), a Casale Mon-ferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Broni (Pavia), Bagnoli (Napoli) e Bari le multinazionali Eternit e Fibronit continuarono a produrre manufatti sino al 1986 (1985 per Bari e 1992 per Broni). E tentarono in tutti i modi di man-tenere i propri operai in uno stato di totale ignoranza circa i danni (soprattutto a lungo termine) che le fibre di amianto provocano, al fine di prolungare l’attività degli stabilimenti e quindi accrescere i profitti.

Di conseguenza, in partico-

lare a Casale Monferrato, i morti e i contaminati da amianto sono stati migliaia. Solo nella provin-cia di Alessandria si contano più di 1.600 morti accertati per esposizione ad amianto. Morti avvenute per lo più nel silenzio degli “organi di informazione”. Lo stabilimento disperdeva con dei potenti aeratori la polvere di amianto in tutta la città causando la contaminazione anche di per-sone non legate direttamente alle attività produttive dell’Eternit. La strage è ancora in corso visto che soltanto nel periodo 2009-2011 nella città monferrina ci sono stati 128 nuovi casi di mesotelioma e siccome la malattia ha un periodo di incubazione di circa 30 anni, si trovano attualmente in pericolo tutti coloro i quali fino alla fine degli anni ’80 risiedevano in zone limitrofe alle fabbriche contami-nate dalle polveri.

Nonostante in Italia la produ-zione e la commercializzazione di tale prodotto o comunque della variante cemento-amianto, sia finalmente cessata (tra il 1992 e il 1994 ben oltre gli altri paesi europei) e l’Eternit sia fallita, i re-sponsabili delle stragi da amianto non sono stati praticamente per-seguiti, le bonifiche sono tutt’al-tro che ultimate e molte scuole, case, ospedali, acquedotti, non sono mai state messi in sicurez-za. È triste consuetudine ritrovare l’amianto killer smaltito illegal-mente all’interno della miriade di discariche controllate da clan camorristi e mafiosi come quelli

campani, che non disdegnano all’occorrenza di dare alle fiamme questo vero e proprio veleno, non di rado proveniente dalla pseu-do-bonifica del sito di Coroglio (Napoli).

Eppure, tecnicamente, le procedure di bonifica non sono certo complicate. Innanzitutto si deve determinare la presenza di amianto nella lastra di fibroce-mento, e questo si può accertare risalendo alla data d’acquisto del manufatto, oppure semplicemen-te facendo analizzare un campio-ne, possibilmente una lastra inte-ra, poiché uno o più frammenti, se poi confermati contenere amianto, sono nella condizione ideale per nuocere gravemente alla salute. Il costo di un’analisi (che dovrebbe essere a carico dello Stato) presso un laborato-rio privato non supera i 200 euro. L’incapsulamento, è quindi un metodo di bonifica “transitorio” che prevede il trattamento della superficie delle lastre esposta agli agenti atmosferici con so-stanze sintetiche, idonee ad in-globare e consolidare le fibre di amianto al manufatto cementizio ed impedirne il rilascio nell’am-biente. La fase successiva è la bonifica “radicale” per la quale occorre prevedere diverse pro-cedure speciali atte a garantire la sicurezza: degli operatori addetti alle varie operazioni di rimozione, trasporto e smaltimento, delle persone e degli animali che si trovano in prossimità del cantiere e dei mezzi usati nel trasporto e infine in generale dell’ambiente dove si opera.

Oggi anche dal punto di vista legislativo la situazione rimane a

dir poco scandalosa. La legge di riferimento, la 257/1992, rico-nosceva i rischi per la salute e metteva al bando tutti i prodotti contenenti amianto, vietando l’estrazione, l’importazione, la commercializzazione e la pro-duzione di amianto e di prodotti contenenti amianto, ma non la loro utilizzazione. Un crimine so-stanzialmente reiterato dai gover-ni che si sono succeduti negli ul-timi 20 anni e che si è riproposto anche nella cosiddetta “normati-va sulla sicurezza”, contenuta nel D.Lgs. 81/2008.

Tra i paesi occidentali l’Italia è tra i più colpiti dall’epidemia di malattie asbesto-correlate e di casi di tumori al polmone, alla laringe, all’esofago. I tumori da amianto (mesoteliomi) colpisco-no 1.350 italiani ogni anno, con un’incidenza pari a circa 3,5 casi ogni 100 mila abitanti negli uomini e a un caso per 100 mila donne.

La maxi-inchiesta del proces-so di Torino (iniziato nel 2009) ha appurato che per il periodo che va dal 1973 al 1986, anno in cui gli stabilimenti Eternit han-no cessato di produrre amianto, ben 2.056 persone sono morte di cancro e altre 830 sono af-fette dallo stesso male per aver respirato il micidiale pulviscolo lasciato nell’aria dall’amianto, per un totale di 2.886. In provincia di Alessandria si continua a morire di amianto con una media di 55 casi all’anno. Ogni famiglia ha un morto di amianto, quando non di più, da piangere: il marito, il pa-dre, il fratello, la sorella oppure la moglie o la madre solo per avere lavato le tute di lavoro inzuppate di polveri micidiali.

Breve storia dell’Eternit

lontaria di cautele nei luoghi di lavoro”) e cagionato “un disastro dai quali è derivato un pericolo per la pubblica incolumità”. Il procu-ratore Raffaele Guariniello e il suo pool hanno chiesto, nel luglio 2011, 20 anni di reclusione per De Cartier e Schminey e tre pene ac-cessorie: l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, l’incapacità di trattare con la Pubblica Ammini-strazione per tre anni e l’interdi-zione temporanea dalla direzione di imprese per dieci anni.

Il prossimo 13 febbraio è attesa presso il tribunale di Torino la sen-tenza di primo grado, sulla quale incombe il rischio della “prescri-zione” dei reati.

No al colpo di spugna peri fabbricanti di morteÈ accaduto così che, consiglia-

to dai suoi avvocati (ben 25), Sch-midheny ha offerto 18,3 milioni di euro di “risarcimento danni” al Comune di Casale con lo scopo palese di ottenere, con questa ele-mosina, il ritiro del Comune pie-montese dalle costituite parti ci-vili.

La viscida mossa “difensiva”, per adesso, sembra avere raggiun-to lo scopo, visto che il 17 dicem-bre scorso, alle 3 di notte (a causa delle numerose interruzioni dovu-te alle vibranti proteste da parte dei cittadini e dei parenti delle vit-time che hanno assediato l’aula), il consiglio comunale di Casale ha varato una vergognosa delibera

che accetta il misero indennizzo, approvandola con diciannove voti favorevoli e undici contrari. Ciò significa, è scritto, che il Comune non solo non è più parte civile al processo ma anche che rinuncerà a intraprendere future azioni legali nei confronti degli stessi imputati.

La Costituzione di parte civile del Comune era stata votata dal-la giunta del precedente sindaco, Paolo Mascarino (1999-2009), poi deceduto improvvisamente lo scorso 17 agosto. Suo successore è il neo-podestà Giorgio Demez-zi, sostenuto da PDL, Lega Nord e UDC, per il quale la delibera ap-provata serve ad “ottenere adesso il risarcimento, anziché aspettare la fine del processo che potrebbe richiedere molti anni. Questo de-naro – promette - sarà investito nella bonifica e nella ricerca”.

Di tutt’altro avviso è inve-ce Bruno Pesce, responsabile del “Comitato Vertenza Amianto di Casale Monferrato” e anima del-l’“Associazione Familiari Vitti-me Amianto”, che ha così com-mentato la decisione della giunta e del consiglio comunale, avallata anche dalla giunta regionale Pie-monte: “sparge sale su una ferita ancora apertissima. Tradisce i cit-tadini e le famiglie di Casale che ancora oggi stanno facendo i con-ti con quel disastro”, aggiungen-do: “dando il via libera a questo accordo si stanno fornendo og-gettivamente delle attenuanti alla Eternit, una cosa quindi ingiustifi-cabile per chi ha dovuto piangere

dei morti”. Si tratta in sostanza di un vero e proprio colpo di spugna, della svendita di tutte le stragi cau-sate dalle aziende Eternit in Italia, in Europa e nel mondo.

Occorronorisarcimenti adeguati, condanne esemplarie bonifiche integrali

Va ricordato infatti che il Pro-cesso di Torino è il primo in as-soluto che si celebra in Europa su questo argomento. Un proces-so dunque sul quale sono riposte molte attese e che potrebbe fare scuola a livello nazionale e inter-nazionale, per il futuro.

Va ricordato che le parti civi-li che si sono costituite contro la fabbrica-killer sono 736 “persone fisiche”, 29 enti, con in testa le as-sociazioni delle vittime, regioni, come il Piemonte e la Campania, province e comuni dove erano col-locati gli stabilimenti, alcuni sin-dacati, l’Inail e altri.

Va ricordato che alle prime udienze hanno significativamente partecipato, con i loro striscioni, anche i lavoratori e i familiari del-le vittime della Thyssen Group.

Va ricordato che i danni econo-mici richiesti agli imputati si aggi-rano sui 400 milioni di euro, ben più dei 18 elargiti dai padroni as-sassini.

Va ricordato che Schmidheiny furbescamente nel frattempo si è messo fuori da Eternit e si è rici-clato come ambientalista, promo-

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8 il bolscevico / interni N. 3 - 26 gennaio 2012

RILEVAZIONE ISTAT

Un giovane su tre è senza lavoro2,142 milioni di disoccupati uffi cialiLE DONNE SONO LE PIU’ PENALIZZATE

Ancora cattive notizie sulla disoccupazione giovanile fra i 15 e i 24 anni che, stando ai dati Istat diffusi il 5 gennaio, a no-vembre 2011 ha raggiunto il re-cord dal 2004 (inizio serie stori-che mensili) con il 30,1%, cioè 0,9 punti in più rispetto ad otto-bre e 1,8 punti in più rispetto al-l’anno scorso. Insomma, un gio-vane su tre risulta ufficialmente senza lavoro.

La disoccupazione generale a novembre si posiziona all’8,6% (in aumento), con un calo di oc-cupati che ha interessato sola-mente le donne lavoratrici, ma fra

i dati più preoccupanti c’è la se-gnalazione che la disoccupazione di lunga durata, oltre i di 12 mesi, è salita al 52,6% rispetto all’anno scorso, record dal 1993.

La situazione peggiora nel Mezzogiorno, dove ben il 39% delle giovani donne fra i 15 e i 24 anni si trova senza lavoro.

Di certo il disastro dell’oc-cupazione giovanile e femmini-le non può essere risolto con il ricorso massiccio all’apprendi-stato, richiamato dalla consiglie-ra nazionale di pari opportunità Alessandra Servidori, poiché è una pratica alla quale sempre più

spesso non fa seguito l’assunzio-ne a tempo indeterminato, finen-do così per essere un incentivo anziché un argine al precariato e alla disoccupazione.

Questi dati, che dimostrano ancora una volta come la crisi del capitalismo impazza tuttora e che la borghesia la fa pagare alle masse lavoratrici e popolari, so-prattutto giovanili e femminili, non potranno che essere aggra-vati se andrà in porto l’ennesima macelleria sociale pianificata dal governo Monti con la “riforma” del “mercato del lavoro”, in testa la cancellazione o eliminazione

di fatto dell’art. 18, le relazioni industriali mussoliniane inaugu-rate da Marchionne e il “contrat-to unico” precario ideato dal giu-slavorista piddino ultra-destro Pietro Ichino.

I giovani della CGIL (che annunciano una campagna per “svelare trucchi e magie del ‘contratto unico’, in realtà ‘in-ganno unico’”) affermano che “servono scelte precise che ridu-cano le 46 tipologie contrattua-li esistenti”, che privilegino “un contratto di ingresso al lavoro con pieni diritti e finalità forma-tiva” e comprendano la “garanzia

di continuità di reddito per tutti nei periodi di disoccupazione, anche ai giovani e precari”.

E, aggiungiamo noi, urge una

forte mobilitazione per buttare giù il governo della grande fi-nanza, della Ue e della macelle-ria sociale.

Manifestazione sindacale per il lavoro in Calabria

Depositati gli atti di indagine su alcuni imputati

COINVOLTI NEL “SISTEMA SESTO”IL VERTICE DEL PD E LE COOP

Si allunga la lista degli indagati. A Penati un milione e 400 mila euro di tangente per la campagna elettoraleTRA LE CARTE DELL’INCHIESTA SPUNTANO I NOMI DI BERSANI E D’ALEMAL’avviso di chiusura indagine

notificato dalla procura di Monza l’8 novembre scorso ad alcuni im-putati di secondo piano coinvolti nell’inchiesta sul cosiddetto “Si-stema Sesto” inerente il colossa-le giro di tangenti ruotato intorno alla mega speculazione immobi-liare delle ex aree industriali del-la Falck e Ercole Marelli di Sesto San Giovanni e l’acquisizione del-l’autostrada Milano-Serravalle da parte della Provincia di Milano, allunga nuove ombre sulla “cor-ruzione gravissima” messa in atto dall’indagato principale, l’ex sin-daco di Sesto San Giovanni, Filip-po Penati, divenuto poi presidente della Provincia di Milano e capo della segreteria politica di Pier Luigi Bersani.

Lo scenario politico-giudizia-rio che si prospetta all’orizzon-te appare molto più inquietante di quanto non sia emerso finora so-prattutto perché il prosieguo delle indagini chiamano direttamente in causa i vertici del PD con alla te-sta Bersani e coinvolgono in pieno

anche la Lega delle Coop. Si tratta di “un sistema tan-

gentizio, tuttora operante” che “dal livello comunale” arriva fino alla “direzione centrale del Parti-to Democratico” si legge fra l’al-tro in uno degli atti depositati dai Pubblici ministeri (Pm) di Monza Walter Mapelli e Franca Macchia.

Le intercettazioni di una quin-dicina di indagati tra cui spiccano Penati, il suo braccio destro Gior-dano Vimercati e imprenditori del calibro di Luigi Zunino e Bruno Binasco del gruppo Gavio deli-neano “un quadro impressionante, per continuità ultradecennale e ri-levanza delle somme promesse, di accordi, progetti e pagamenti ille-citi” che, secondo la procura sono parte integrante di una vera e pro-pria “rete parallela occulta tra po-litica e imprenditoria” e sono alla base di un “sistema tangentizio” che parte dal “gruppo dirigente sestese” passato nel 2004 in bloc-co in Provincia, dove “con l’ap-poggio della stessa Banca Intesa presente nella vicenda dell’area

Falck”, si conclude l’operazione Serravalle con Gavio-Binasco. E arriva con Penati e il “collettore Renato Sarno”, fino a “imprendi-tori nazionali come Itinera-Gavio e Risanamento” e “alla direzione centrale Pd”.

Ed è proprio sul fronte della co-siddetta “autostrada dei miracoli” che il 13 dicembre gli inquirenti hanno effettuato oltre una ventina di perquisizioni con nuove ipote-si di accuse corruttive che porta-no a un milione e 400 mila euro la tangente destinata a finanziare la campagna elettorale di Penati.

L’operazione eseguita dalla Guardia di Finanza ha portato al-l’iscrizione di nuovi nomi sul re-gistro degli indagati accusati di corruzione. Tra questi spiccano il banchiere Guido Roberto Vitale, che all’epoca fu incaricato di sta-bilire la congruità dell’offerta fat-ta da Penati al gruppo Gavio per acquistare le azioni della Serra-valle Autostrade Spa che vennero pagate sette volte il prezzo di mer-cato stabilito pochi mesi prima, in

tutto 238 milioni di euro con una plusvalenza, per il gruppo Ga-vio, di circa 170 milioni. Mentre a Vitale la consulenza redatta nel giro di sole 12 ore gli fruttò ben 80 mila euro per l’incarico di as-sistenza sulla quotazione in Borsa e, dopo la conclusione dell’acqui-sto, altri 120 mila euro per “cer-tificare” la congruità del prezzo delle azioni.

Indagato anche l’immobiliari-sta Matteo Giuseppe Cabassi, ac-cusato di concorso in corruzio-ne, per aver venduto, grazie a una provvidenziale “soffiata”, la nuo-va sede di Assago alla società au-tostradale. Dello stesso reato deve rispondere anche Paolo Colom-bo, presidente dell’Enel, chiama-to in causa in qualità di presidente di Sintesi, una società del gruppo Cabassi, e destinatario dell’infor-mazione riservata “concernente la ricerca dell’immobile per la nuova sede della Milano Serravalle”.

Una nuova informazione di ga-ranzia infine è stata recapitata an-che all’architetto Renato Sarno, considerato il collettore dei finan-ziamenti a Penati. Anche Sarno, come Massimo Di Marco, ex am-ministratore delegato della Milano Serravalle e attuale amministrato-re delle Tangenziali milanesi, ha usufruito, secondo gli inquirenti, dell’affare sull’autostrada, il pri-mo grazie a ben remunerate con-sulenze, il secondo attravero una ristrutturazione gratuita dell’ap-partamento.

Uno scenario confermato an-che dalle testimonianze rese dal boss del trasporto locale Piero Di Caterina e dal costruttore Giusep-pe Pasini: i due imprenditori ex al-leati e sostenitori di Penati che ad un certo punto non potendo più fare fronte alle continue richieste di tangenti hanno deciso di denun-ciare tutto alla magistratura tra-sformandosi nei principali accusa-

tori di Penati e della sua banda.Nel giugno 2010, Di Cateri-

na, interrogato dal procuratore ag-giunto di Milano Francesco Gre-co, rivela nuovi particolari inerenti il losco rapporto d’affari che lega Penati al gruppo Gavio. “Io – ricor-da Di Caterina - sono stato anche a Tortona, dove c’era Marcellino Gavio, perché dovevo recupera-re questi soldi prima che morisse” e inoltre “Ho incontrato Gavio da Penati”. Circostanza che conferma in pieno l’ipotesi investigativa se-condo cui Piero Di Caterina, che doveva avere dei soldi da Penati, fu indirizzato dallo stesso ex sin-daco di Sesto da Bruno Binasco, manager del gruppo Gavio, che in effettì saldò il conto come se fos-se in debito con Penati. Tant’è che quando il Pm Greco chiede a Di Caterina perché: “questi signori, che sono degli imprenditori, si de-vono preoccupare del benessere di Penati?”. La risposta è quasi scon-tata: “Perché loro – ha confermato l’imprenditore - hanno fatto l’ope-razione Serravalle”.

Marcellino Gavio, ora defun-to, riuscì a vendere alla Provin-cia di Milano (presidente Penati) le sue azioni dell’autostrada Mila-no-Serravalle a un prezzo di gran lunga superiore al loro valore reale e pochi giorni dopo impiegò par-te della faronica plusvalenza per finanziare la scalata della Unipol di Giovanni Consorte alla Banca Nazionale del Lavoro. Circostan-za comprovata da prove e testimo-nianze inoppugnabili che induco-no gli inquirenti a ipotizzare un collegamento tra il “sistema Pena-ti” e i vertici dei DS prima e del PD poi.

Non solo. In mano agli inqui-renti ci sono elementi concreti che chiamano in causa Bersani fino a ipotizzare che fu proprio il segre-tario del PD, circa un anno prima dell’operazione Serravalle, a met-

tere in contatto Gavio e Penati.Dalle carte emerge anche il pe-

sante coinvolgimento della Lega delle Coop e in un verbale di in-terrogatorio in particolare viene tirato fuori anche il nome dell’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema.

Dalle intercettazioni effettuate nel giugno 2011, sottolinea la pro-cura, emerge anche “la spregiudi-catezza delle Coop e di Omer De-gli Esposti (vicepresindente delle Ccc, ndr.) nell’acquisizione di la-vori” a Sesto. Si parla di “affari condotti in modo sospetto come l’aggiudicazione dei lavori per la Brebemi” ossia il collegamento autostradale Brescia - Bergamo - Milano che rappresenta uno dei più ricchi appalti del nord Italia e che è alla base di un nuovo filone di indagine.

Illuminante in tal senso è la te-stimonianza di Giuseppe Pasini, il costruttore sestese, ex proprietario della gigantesca area Falck ma an-che titolare di una cospicua serie di operazioni sul territorio della cit-tà. Pasini parla degli emissari dei DS-PD e delle Coop e dice: “Era gente che arrivava tutta insieme e si attaccava all’osso perché era un osso abbastanza grosso che vole-vano rosicchiare... Non so come si dividessero i soldi, per me era un blocco di gente tutta uguale”.

Sul ruolo di Francesco Agnel-lo e Gianpaolo Salami, i due “consulenti” legati alle Coop a cui dovette versare tangenti, Pa-sini ha precisato che: “non li ho certo scelti per la particolare esperienza nella commercializza-zione di aree industriali dismes-se... Tutte le fatture si riferiscono a prestazioni fasulle... in sostan-za il contratto è falso: ho paga-to questi qui perché le cooperati-ve se ne andassero fuori dai piedi o comunque riducessero le loro pretese nell’affare”.

Richiedete

Le richieste vanno indirizzate a:[email protected]

indirizzo postale:IL BOLSCEVICOC.P. 47750100 FIRENZE

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N. 3 - 26 gennaio 2012 interni / il bolscevico 9Facilitò i legami tra Pavelic, Mussolini e il papa fascista Pio XII

IL NERO RATZINGERFA SANTO STEPINAC, VESCOVO

DEI FASCISTI USTASCIA Fu l’artefi ce della “soluzione fi nale” contro musulmani e cattolici ortodossi

Nella completa omologazione della Chiesa cattolica alla nera dottrina di Karol Wojtyla prima e dell’ex giovane hitleriano e attua-le papa Ratzinger, non è mancato il completamento della santifica-zione di una delle figure più lugu-bri del Novecento cristiano, quale è quella del vescovo Stepinac.

Già beatificato nel 1998 dal falso antinazista Giovanni Paolo II, nonostante le proteste dei cat-tolici più progressisti, l’alto prelato croato è stata una vera e propria cerniera tra i fascisti croati, gli Ustascia, agli ordini di Ante Pa-velic, Mussolini e il papa fascista Pio XII, nell’ottica di far sviluppare l’ideologia e l’occupazione milita-re nazi-fascista nell’area dei Bal-cani. In cambio la Chiesa cattoli-ca, completamente ammanigliata alle dittature terroristiche fascista e nazista, propugnava l’espan-sione del cattolicesimo nella zona della ex Jugoslavia e una sorta di “soluzione finale” che eliminasse il problema dei serbi musulmani.

Il tutto ben sintetizzato dai proclami alla Goebbels di Pave-lic: “Un terzo dei Serbi deve di-ventare cattolico, un terzo deve abbandonare il paese, un terzo deve morire!”. Gli Ustascia pas-sarono dalle parole ai fatti e nella Croazia ormai fascistizzata furo-no assassinati tre vescovi, più di cento preti e monaci ortodossi e 180.000 fra serbi ed ebrei. Per ordine dell’ordinariato episcopa-le le chiese ortodosse vennero

trasformate in luoghi di culto cat-tolico oppure furono completa-mente distrutte. Il mese seguente vennero ammazzati oltre 100.000 Serbi, donne, vecchi, bambini, mentre nella chiesa di Glina av-venne una delle stragi più efferate e trasformata in un vero e proprio mattatoio.

Tutto ciò sotto gli occhi dell’al-lora presidente della conferenza episcopale croata e arcivescovo di Zagabria che, vigliaccamente, non usciva allo scoperto, tessen-do le fila della soluzione finale dietro le quinte, anche se, tronfio della sua nefanda opera, esternò compiacimento verso Pavelic, soprattutto con l’avvento degli anni ‘40 e l’aumento della recru-descenza fascista croata: “che Pavelic è un devoto cattolico e la chiesa gode di una piena libertà d’azione”, compiacendosi, Stepi-nac, della dichiarazione di guerra aperta e senza regole alla chiesa ortodossa.

Successivamente il vesco-vo nero completò l’opera di ri-congiungimento con la Chiesa cattolica e fece riconoscere uffi-cialmente la Croazia degli Usta-scia. In tutta risposta la Chiesa appoggiò in maniera convinta il fascismo croato e nel gennaio del 1942 Stepinac venne nominato dal Vaticano Vicario militare degli Ustascia: subito quasi 150 preti divennero cappellani dell’esercito ustascia. Dal canto suo Pavelic, sempre ben foraggiato e protet-

to dal duce Mussolini, ricambiò la “cortesia” e nel 1944 Stepinac venne decorato dal governo fa-scista croato con la «Gran Croce con Stella», una delle massime onorificenze del regime. Il geno-cidio in atto voluto da Pavelic e da Stepinac si concluse con la vittoria sul mostro ustascia da parte dei partigiani jugoslavi e la nuova Jugoslavia colpì il potere cattolico fascista chiudendo le scuole cattoliche, espropriando le proprietà della Chiesa, requi-sendo le tipografie eliminando la religione dall’insegnamento ufficiale delle scuole. Nonostan-te Stepinac avesse sostenuto il regime fascista croato, Pio XII lo confermò provocatoriamente alla carica di primate di Croazia.

Le dure proteste delle masse popolari liberate portarono il 18 settembre 1946 la magistratura di Zagabria a disporre l’arresto di Alojzije Stepinac, accusandolo di “collaborazionismo e di attività eversiva contro lo Stato jugosla-vo”. Il processo contro di lui per presunta collaborazione con gli ustascia iniziò il 30 settembre 1946 e queste furono vili afferma-zioni di Stepinac in sua “difesa”: “Sono stati falsificati i documen-ti e le foto che mi mostrano con la mano alzata in saluto fascista e non è vero che ho preso par-te alla benedizione delle flotte croate che partirono per il mar Nero; non presi parte né a quel-la cerimonia, né sollevai la mano

in segno fascista”. La requisitoria della pubblica accusa fu durissi-ma: collaborazione con i nazisti, relazioni con il governo di Paveli, nomina di cappellani dell’eserci-to croato, conversione forzata di serbi-ortodossi al cattolicesimo, opposizione al governo sociali-sta. Il processo durò pochi giorni e dei 35 testimoni proposti dalla difesa, tra cui c’erano alcuni ser-bi ed ebrei, ne vennero ascoltati solo 8. L’ 11 ottobre 1946 l’arci-vescovo Stepinac veniva con-dannato “alla pena di privazione dalla libertà con lavori forzati per la durata di 16 anni e alla priva-zione dei diritti politici e civili per la durata di cinque anni”. Non vi fu, giustamente, alcuna amnistia dall’allora governo jugoslavo e lo stesso vescovo degli ustascia fa-scisti morì nel 1960, completan-do l’iter dei lavori forzati cui era stato condannato.

Nessun revisionismo storico, dunque, sul collaboratore dei na-zifascisti Stepinac come dice il papa nero Ratzinger, né l’assunto che il vescovo ustascia “conces-se inizialmente qualche protezio-ne agli ustascia ma che poi si ac-corse strada facendo dell’errore compiuto e prese le distanze” si possono accettare. I collaborato-ri del nazifascismo, al pari dei fa-scisti e dei nazisti, hanno per noi marxisti-leninisti posto solo nello squallido pattume della storia e per loro non esisterà, né ora né mai, alcuna riabilitazione.

Ante Pavelic e l’arcivescovo Stepinac nella cattedrale di Zagabria in occasione della rituale messa per l’inaugurazione del parlamento croato

L’inviato del Vaticano in Croazia, Marcone (in abito bianco) con accanto Stepi-nac in un incontro con i militari croati e della Germania nazista

SENTENZA DI PRIMO GRADODEL TRIBUNALE DI MILANO

Illegittimii licenziamentidi 50 operai

ex Alfa di AreseÈ stato dichiarato illegittimo

il licenziamento di 50 dipen-denti da parte di Innova Ser-vice, l’azienda di servizi in cui erano stati ricollocati altrettanti ex operai dell’Alfa Romeo di Arese e che fino a febbraio del 2011 aveva l’appalto per la ge-stione delle portinerie sull’area già sede dello storico stabili-mento automobilistico: lo ha sentenziato nel primo grado di giudizio il Tribunale di Milano il 28 dicembre che ha accol-to interamente il ricorso che i 50 lavoratori avevano esperito sia contro la citata azienda sia contro la società ABP, control-lata dall’americana AIG Lincoln Italia, proprietaria di un terzo dei 2 milioni e 300 mila metri quadrati delle aree industriali dell’Alfa Romeo.

I cinquanta operai non po-tranno però essere reintegrati nel posto di lavoro, come essi chiedevano in base allo Statu-to dei lavoratori, in quanto nel frattempo Innova Service ha cessato la propria attività e nei giorni scorsi anche la ABP ha venduto gran parte dei propri terreni. Il giudice ha comun-que disposto, proprio in base all’art. 18 dello Statuto dei la-voratori, il risarcimento degli stipendi non versati dalla data del licenziamento, avvenuto appunto nel febbraio 2011, a quando Innova Service ha formalmente cessato l’attività, cioè nell’ottobre dello stesso anno, per un totale di circa 720.000 euro.

La sentenza è motivata dal mancato rispetto delle pro-cedure per la mobilità dei 62 dipendenti, ma durante il pro-cesso 12 operai hanno ritirato il ricorso avendo già accettato un risarcimento dall’azienda.

Secondo gli operai ricor-renti in giudizio la Innova Ser-vice avrebbe ricevuto dai pro-prietari alcune aree in appalto

con il compito di licenziare gli ex operai dell’Alfa Romeo che erano stati ricollocati seguen-do gli accordi presi con Fiat, proprietaria dell’Alfa Romeo, e certamente essi dovranno va-lutare se ci siano i presupposti per proseguire per vie legali e far dichiarare nullo l’appalto da ABP ad Innova Service in modo da far sì che la prima as-suma i lavoratori.

Gli operai intanto continua-no a presidiare l’area dello sta-bilimento di Arese e sono deter-minati ad andare fino in fondo puntando all’assunzione da parte di ABP la quale però nel frattempo, con l’inerzia com-plice del ministero del Lavoro, del governatore della Lombar-dia Formigoni e del presidente della provincia di Milano Pode-stà, ha venduto 260.000 metri quadrati dell’area della ex Alfa di Arese a Unipol, Lega Coop, CCL (Acli-Cisl), Intesa Sanpao-lo, Compagnia delle Opere e Brunelli (IPER) e altri 260.000 metri quadrati alla TEA S.R.L, e quest’ultimo lotto è proprio quello presidiato dai lavora-tori. Nell’area in questione dovrebbe sorgere il più gran-de supermercato d’Europa, e questo spiega tali operazioni speculative immobiliari. La so-cietà ABP rimane comunque proprietaria di 180.000 metri quadrati dell’area.

Quanto ad Innova Service, essa ha già cessato l’attività ma nel frattempo la sua tito-lare, Angela Di Marzo, sotto processo a Milano per la ci-mice messa sotto il tavolo del capo dell’EXPO Giuseppe Sala, continua a gestire per conto dei proprietari dell’area le attività all’Alfa di guardiania, manutenzione e pulizie serven-dosi di altre società che a lei fanno capo, come DM e ISMI, impiegando altri lavoratori sot-topagati e senza diritti.

D’ALEMA: “NON È PIÙ TEMPODI INTERNAZIONALE SOCIALISTA”. È MEGLIO CHIAMARSI PROGRESSISTI

Il vicepresidente dell’Internazionale socialista auspica un governo tra “progressisti e moderati”“L’Internazionale socialista ri-

flette un mondo che non c’è più”. Con queste parole il rinnegato del comunismo Massimo D’Alema ha recitato il de profundis all’organi-smo che rappresenta i partiti so-cialdemocratici di tutto il mondo e di cui egli stesso è il vicepresi-dente dal 2003.

Lo ha fatto intervenendo a un seminario dell’associazione “La-voro & Welfare” che si è tenuto il 26 settembre scorso nella sede centrale del PD sul tema, appun-to, dell’“eclisse della socialde-mocrazia”, a cui sono intervenuti anche altri due big del partito, in rappresentanza rispettivamente dell’anima cattolica e di quella liberale: l’ex segretario del PPI, Castagnetti, e l’ex ministro del Lavoro, Damiano.

D’Alema, che doveva eviden-temente rappresentare quella socialdemocratica, ha invece colto l’occasione per un’altra delle sue inopinate sterzate a destra, gettando clamorosamen-te nella pattumiera della storia la socialdemocrazia per affiliarsi ai “progressisti” (D’Alema è anche presidente della Fondazione dei progressisti europei), in attesa di chiudere la sua parabola di revi-sionista del PCI e poi di rinnega-to, con un approdo definitivo e ufficiale al liberalismo. Il modello socialdemocratico “è definiti-vamente tramontato”, ha detto infatti il presidente del Copasir, perché “sono venute meno le premesse su cui si fondava, com-presa la società divisa in classi”. Ossia per lui nell’attuale società

capitalista esiste una sola classe, la borghesia, che abbraccia dal-l’ultimo dei barboni che chiedono l’elemosina fino a Bill Gates, per cui non c’è ragione di continuare a richiamarsi a una tradizione e a una storia, quella socialdemo-cratica, che anche se solo per il nome rievoca inevitabilmente i fantasmi della lotta di classe e del socialismo che vorrebbe esorciz-zati per sempre.

Perciò nel futuro dei social-democratici, per D’Alema, ci può essere solo il liberalismo, tant’è vero che si è detto “perplesso sulle critiche da sinistra alla Ter-za via”, perché “se è vero che ha dimostrato una certa subalternità al pensiero liberista, con un ot-timismo eccessivo sulla globa-lizzazione, è anche vero che ha

portato una cultura liberale che non deve essere rinnegata dai socialisti”. Se ci si chiede “come promuovere una strategia per una nuova stagione progressista”, ha detto, questa non può essere basata “sul semplice rilancio del-la tradizione socialdemocratica, non può essere un semplice re-cupero”, ma deve muovere “sulle basi di una coalizione progressi-sta, con un progressismo plura-le basato su nuovi principi; avrà l’europeismo come pilastro ma soprattutto dovrà avere consa-pevolezza dei limiti del passato”. Ed ha quindi invitato i socialde-mocratici europei a prendere atto che tutte “le grandi forze progres-siste al governo non hanno matri-ce socialista” e ad andare perciò “oltre i confini della loro esperien-

za storica e geografica”, perché “l’Internazionale socialista riflette un mondo che non c’è più”.

Dunque il capofila dei rinnegati ha fatto un ulteriore e ancor più si-gnificativo passo verso una totale conversione liberale, dopo quello compiuto nel gennaio 2011 ad un analogo seminario organizza-to dai gruppi parlamentari, in cui aveva dichiarato che la sfida per i socialisti era “allargare i confini”, perché l’Internazionale sociali-sta “è figlia del secolo scorso”. Il loro compito, aveva aggiunto, era quello di costruire una “coa-lizione ampia” di forze di sinistra, ambientaliste, democratiche e di centro in grado di rappresentare “un’alternativa robusta alle destre e al populismo”. Oggi ha aggior-nato quella ricetta con la formula

“lavorare a un’alleanza tra pro-gressisti e moderati”, cioè ad un governo con PD e UDC.

Se si pensa che fino a ieri D’Alema era ancora accreditato come il garante dell’anima so-cialdemocratica del PD, quel-lo che si era sempre opposto alla trasformazione del PD in un partito compiutamente liberal-democratico di centro (si pensi alla polemica a suo tempo con Rutelli sul come schierare il PD nei gruppi parlamentari europei, se tra i socialisti o tra i liberali), c’è da chiedersi a questo punto come farà a distinguersi il suo eterno rivale Veltroni, che rispet-to a lui ha sempre rappresentato tradizionalmente la destra del partito: forse confondendosi con Casini?

Intervenendo a un seminario del PD sulla socialdemocrazia

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10 il bolscevico / PMLI N. 3 - 26 gennaio 2012

Sulla base di una relazione di Giovanna Vitrano

COMPAGNI E AMICI SICILIANI DEL PMLI DISCUTONO SULLA CULTURA DEL PROLETARIATOIl PDCI di Acireale propone alleanze col PMLI e con tutti i partiti antifascisti della provincia per combattere assieme i fascisti

SCUDERI: “ALIMENTIAMOCI REGOLARMENTE CON LA CULTURA DEL PROLETARIATO PER ESSERE PIU’ FORTI POLITICAMENTE”

Dal nostro corrispondente della SiciliaSi è svolta il 7 gennaio 2012,

presso la splendida Sede rossa del-la Cellula “Stalin” della provincia di Catania, una riunione aperta ai simpatizzanti e amici siciliani del PMLI, presieduta dalla Responsa-bile del PMLI per la Sicilia, com-pagna Giovanna Vitrano. Alla pre-sidenza anche il Segretario della Cellula “Stalin” della provincia di Catania, il compagno Sesto Schembri, e un membro della Cel-lula “1° Maggio-Portella 1947” di Palermo, il compagno Marco. Alla riunione hanno partecipato compagni della provincia di Cata-nia, Palermo, Messina, tra cui al-cuni giovani lavoratori e studenti. Assenti giustificati per motivi pro-fessionali, di studio e di salute al-cuni militanti, tra cui il Segretario della Cellula “Mao” di Troina, il Responsabile dell’Organizzazione di Siracusa, e la compagna Alba, che hanno inviato messaggi di sa-luti e auguri alla riunione, e alcu-ni simpatizzati storici del Partito. Anch’essi hanno inviato dei com-moventi messaggi di saluto che mostrano il loro profondo legame con il PMLI.

Il compagno Schembri ha in-trodotto i lavori con un saluto e un ringraziamento ai presenti. La pa-rola è passata alla Responsabile re-gionale che, prima di pronunciare il suo intervento, ha letto l’applau-dito messaggio del Segretario ge-nerale del PMLI, compagno Gio-vanni Scuderi, nel quale si dice:

Immensa gratitudine e onore al PMLI

e al “Bolscevico”Cari compagni,mi scuso se utilizzo questo ter-

mine impropriamente, non essen-do (almeno ad ora) nel Partito. Tuttavia, sentendomi molto vicino a tutti voi, desidero esprimervi la mia gratitudine.

Grazie di cuore al PMLI, che sta facendo veramente tanto per persone che ancora non se ne ren-dono conto, e che magari arriva-no anche a denigrare o snobbare il suo operato. Il modo di essere e agire del Partito credo davvero sia degno di immensa stima e onore.

Grazie di cuore al Bolscevi-co, UNICO esempio di stampa li-bera in Italia! Vicino alle persone in ogni modo possibile, è l’unico vero “strumento di analisi” (pren-do in prestito l’espressione) di ciò che ci circonda e spero che sempre più persone lo possano capire!

Infine, grazie di cuore al gran-de amico e compagno Federico di Sesto S. Giovanni, vera figura di riferimento nel mio processo di scoperta e avvicinamento al pen-siero marxista-leninista.

La strada è ancora lunga, ma ho già capito che la via è una sola, ed è rossa!

Ciao a tutti.Giovanni -

Sesto S. Giovanni (Milano)

Vorrei tanto entrare a far parte del PMLI

Salve,sono uno studente di 18 anni da

sempre comunista convinto e forte sostenitore dello stalinismo in tut-te le sue forme.

Vorrei tanto far parte di questo Partito perché voglio sostenervi nella lotta operaia (con ogni mez-zo) fino ad arrivare alla così detta dittatura del proletariato.

Spero di entrare a far parte del PMLI. Ho letto lo Statuto e il Pro-gramma del Partito.

Arrivederci.Francesco -

provincia di Verona

Da molti anni seguo il fantastico sito del PMLI

Salve,vi ho conosciuto tramite Inter-

net, il sito del PMLI è fantastico. Sono sempre stato un appassiona-to di filosofia marxista e di storia fin dalle elementari (colpa della famiglia). Ho studiato storia e fi-losofia, ma non ho portato a termi-ne gli studi, fatto sta che ora lavoro come impiegato.

Vi seguo da parecchio tem-po su Internet, la prima volta che ho scoperto il sito avevo 16 anni, vi ho anche contattato e mi avete risposto su alcune domande. Mi sono anche procurato il giornale Il Bolscevico tramite i ragazzi che lo diffondono alle manifestazioni.

Giordano - provincia di Roma

Leggo “Il Bolscevico” in pdf ma mi voglio

abbonareSalve,volevo sapere come fare per

avere il nn. 1 e 2 di quest’anno de Il Bolscevico. Ho letto il pdf nel sito del PMLI, ma per me la carta è la carta e poiché mi potrei abbo-nare, volevo visionare le copie di cui sopra.

Aspetto notizie, grazie.Corrado - Roma

Grande e mirabile l’impegno proletario de

“Il Bolscevico”Salve,a proposito del passaggio della

dittatura nelle mani dell’Alta Fi-nanza (chiamarlo governo mi fa un po’ impressione) non ho altro da aggiungere alle informazioni che già Il Bolscevico divulga setti-manalmente con grande e mirabile impegno proletario.

Io ho solo 18 anni, perciò le conseguenze dirette dell’immi-nente stangata le riscontro solo culturalmente nell’ambiente sco-lastico e giovanile di cui faccio parte. La mia più grande delusio-ne è sentire i coetanei - immersi nel revisionismo più becero - par-lare di Monti come di un liberato-re dal berlusconismo, applaudire il nuovo governo che “non è partito affatto male”, inneggiare alla rina-scita dell’Italia dopo quasi 20 anni

di Berlusconi, ecc., senza accor-gersi minimamente né della natura antipopolare di questo governo né che la soluzione per evitare l’abis-so che ci aspetta non sta affatto in parlamento.

Saluti marxisti-leninisti.Marco -

Sesto S. Giovanni (Milano)

Spero tanto torni Stalin a far piazza pulita

Salve,io abito vicino a Trento e sono

molto arrabbiato con i miei politi-ci. Ma avete visto quanto prendo-no? Luis Durnwalder prende più del presidente americano, Dellai prende più della Merkel, ecc.

Non vi sembra che sia una ver-gogna tutta questa faccenda? Per governare una regione fatta per un 90% da montagne che sembrano le valli dell’inferno. Gli darei io ben altro, una bella e grossa corda al collo per tutti i soldi che hanno ru-bato dalle tasche dei lavoratori ita-liani e anche dai lavoratori trentini per non parlare di tutte quelle leggi stupide che ogni giorno s’inventa-no pur di tirar su i soldi dalle tasche dei consumatori. È uno schifo.

Io spero tanto che torni Stalin a far piazza pulita di questa brutta gentaglia. Non se ne può più di do-ver convivere ogni giorno con la-dri di questa mole. Sono indignato da tanta corruzione.

Saluti.Emiliano -

provincia di Trento

LE INFLUENZE ERRATE DEL FEMMINISMO E

DELL’“ULTRASINISTRISMO” NELLE GRANDI RIVOLTE

DEL SESSANTOTTOE DEL SETTANTASETTE

Studiando il documento del CC del PMLI “Viva la Grande Rivolta del Sessantotto” (14 di-cembre 1988), la memoria va a quel Settantasette che in qual-che modo rappresenta l’onda lunga del Sessantotto che è sta-to il più grande avvenimento della storia della lotta di classe del dopoguerra in Italia.

All’epoca avevamo appena 18 anni, credevamo in qualche modo che quella breve distan-za di 10 anni potesse in qual-che maniera resuscitare quello stesso spirito combattivo del Sessantotto e in più superarne gli errori.

Uno di questi: il femmini-smo che riportava alla menta-lità borghese di differenza tra i sessi mentre invece le uniche differenze sono quelle politiche e di classe. Il femminismo solo in un secondo tempo – per l’ac-condiscendere del PCI e per i gravi errori dell’“ultrasinistra” - riuscirà a corrompere la co-scienza della maggioranza di queste nuove e fresche energie rivoluzionarie facendole devia-

re verso lidi – come il separati-smo e la “differenza sessuale” - che allontanano il movimento femminile dalla via classica e comprovata dell’emancipazio-ne della donna, la cui sostan-za consiste nella realizzazione della più assoluta eguaglianza economica, sociale, politica, giuridica, morale e culturale tra i due sessi, nelle piccole come nelle grandi cose, nella vita pri-vata come nella pubblica.

Un altro errore è rappresen-tato dall’“ultrasinistrismo” che dava il fianco a quel PCI revi-sionista, e che brucerà un’inte-ra generazione in una corsa ver-so l’abisso del terrorismo che si rivelerà manovrato dai servizi segreti e il ritorno al rimbambi-mento dei “valori” borghesi o ancor peggio nelle droghe.

Ma oggi anche se la strada al socialismo è lunga, coi Mae-stri e il PMLI, la vittoria è cer-ta.

Da un rapporto interno del-l’Organizzazione di Civitavec-chia (Roma) del PMLI

Catania, 7 gennaio 2012. La presidenza della riunione di studio con al centro la compagna Giovanna Vitrano, Responsabile del PMLI per la Sicilia, che ha tenu-to la relazione introduttiva. Da sinistra il compagno Sesto Schembri, Segretario della Cellula “Stalin” della provincia di Catania, e il compagno Marco

“Care compagne e cari compagni, auguro pieno successo alla vostra riunione su un tema di fondamen-tale importanza per trasformare il mondo e noi stessi. Alimentiamo-ci regolarmente con la cultura del proletariato per essere più forti po-liticamente, come l’alimentazione quotidiana con il cibo ci rende più forti fisicamente. Buona discus-sione e grazie di cuore per i vostri sacrifici al servizio del popolo e della nobile causa del socialismo e del nostro amato Partito”.

La compagna Vitrano ha poi introdotto il tema della cultura del proletariato, non prima di aver espresso solidarietà militante agli

operai della Fincantieri di Paler-mo, impegnati in una dura lotta per la salvaguardia del posto di la-voro, e dopo aver elogiato un gio-vane compagno palermitano che ha elaborato per la Cellula un tem-pestivo comunicato stampa sul-la lotta operaia e aver ringraziato i generosi compagni della Cellula “Stalin” della provincia di Cata-nia che hanno ospitato la riunione. Nella sua relazione la compagna ha messo in evidenza soprattutto l’importanza strategica che riveste per il PMLI la cultura proletaria e la formazione marxista-leninista dei militanti e dei simpatizzanti del Partito. La compagna ha for-

nito dei suggerimenti concreti di studio che saranno utili soprattut-to ai nuovi militanti: “se non riu-sciamo ad acquisire la concezione proletaria del mondo – ha detto - non saremo mai in grado di porta-re avanti nella nostra amata Sicilia l’obbiettivo che ci siamo dati che è quello di rovesciare il vecchio mondo con tutto il suo portato di oppressione, sfruttamento e vio-lenza nei confronti del proletaria-to e delle masse siciliane, non sa-remo in grado di far piazza pulita della borghesia e costruire il nuo-vo mondo, la società socialista”.

L’acquisizione della cultura proletaria va fatta anche nell’ottica della costruzione di Istanze auten-ticamente bolsceviche e del radi-camento tra le masse, ha spiegato Vitrano che ha poi lanciato un ap-pello ai simpatizzanti e agli amici presenti ad avvicinarsi alla cultura proletaria e studiarla.

La compagna ha rilanciato l’importanza delle coordinate che “hanno un livello di fruibilità im-mediato, in quanto ci indicano in modo puntuale, immediato, qual è la linea del Partito su determinati argomenti di grande rilevanza per il lavoro politico. Ma allo stesso tempo, in quanto coordinate, pun-ti, di un sistema teorico e politico ben organizzato, sono in grado di segnalarci tutte le strade che dob-biamo percorrere per risalire alla linea organica del Partito su un de-terminato tema. Non sottovalutia-mo mai lo strumento delle coor-dinate, facciamolo conoscere ai

nuovi compagni siciliani, abituia-moli ad usarle”.

A più riprese Vitrano ha par-lato dell’importanza del brillante, lungimirante e strategico discorso del Segretario generale del PMLI “Applichiamo gli insegnamenti di Mao sul Partito del proletariato”, invitando i presenti a studiarlo e ad esprimere la propria opinione in merito.

La Responsabile regionale del PMLI ha concluso lanciando alcu-ne parole d’ordine tra cui “lottia-mo contro il governo del falso me-ridionalista Lombardo e le giunte delle città in cui siamo presenti!”.

Tra gli intervenuti il Segre-tario della Cellula “Stalin” della provincia di Catania che ha mes-so in evidenza l’importanza dello studio proletario e ha citato un im-portante testo di Mao. Il Segreta-rio della Cellula “Lunga marcia” di Messina ha portato il suo saluto. Sono stati letti i saluti del Segreta-rio della Cellula “Mao” di Troina e della compagna Alba.

Sono intervenuti diversi simpa-tizzanti e amici presenti che hanno aperto un vivace dibattito sui temi della cultura proletaria e, in alcuni casi, hanno dato vita a un vero e proprio scontro tra le due culture e visioni del mondo inconciliabi-li. Un amico del Partito ha soste-nuto che la cultura è unica e non è corretto individuare due conce-zioni antagoniste del mondo. Egli, sostanzialmente si basava su una concezione idealista della cultu-ra, come entità astratta e separata dagli interessi di classe. Gli è sta-

to detto che per riuscire a vedere le due culture contrapposte biso-gna comprendere che esistono due classi socialmente e storicamen-te antagoniste e inconciliabili. A questo punto appare chiarissimo che la borghesia usa la sua cultura per mantenersi al potere e schiac-ciare le masse lavoratrici, per con-tro il proletariato usa la sua nel progetto strategico della rivolu-zione. Negando l’esistenza di due culture contrapposte, la borghe-sia, come tutte le precedenti clas-si sfruttatrici dominanti, si presen-ta come classe universale e cerca di imporre la sua cultura e conce-zione del mondo come l’unica che accomuna l’intera società.

Un amico del Partito, giovane militante dei Comunisti italiani, nell’intervenire nella discussione ha invitato i compagni catanesi a partecipare ad una riunione che si terrà a breve per la formazione di un largo fronte unito nella provin-cia che si basi sull’antifascismo e coinvolga tutte le organizzazioni del territorio.

Altri compagni, come il com-pagno Salvo, e un altro compagno operaio edile, sono intervenuti di-fendendo e appoggiando la cultu-ra proletaria. Non sono mancati gli attacchi al governo Monti e alla sua manovra di lacrime e sangue.

Dopo le conclusioni in cui la compagna Vitrano ha ribadito la necessità dello studio e di lavorare per radicarsi tra le masse, un brin-disi di augurio per un rosso e com-battivo 2012 ha concluso in un cli-ma di fraternità la riunione.

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N. 3 - 26 gennaio 2012 sicilia / il bolscevico 11

No alla soppressione delle lineeferroviarie del Val di Noto!

Potenziare il trasporto ferroviario in Sicilia!Dal nostro corrispondente della SiciliaAnni di lotte delle masse popo-

lari del Sud per il dritto alla mobi-lità, miliardi di investimenti pub-blici buttati alle ortiche: è questo il primo pensiero davanti alla deva-stazione delle linee ferroviarie del Sud Italia.

Stazioni chiuse da anni, linee ad un binario dissestate o soppres-se, vagoni sfasciati e sporchi, ba-gni impraticabili, passeggeri che, pur pagando cifre altissime, ol-tre cento euro, sulle lunghe tratte sono costretti a viaggiare in piedi perché Trenitalia intende specula-re sulla pelle dei lavoratori pendo-lari e migranti del Mezzogiorno. A ciò si aggiungono i tagli a decine di corse ferroviarie diurni e nottur-ni, giornalieri e periodici, in par-tenza da Puglia, Calabria e Sicilia e diretti a Bolzano, Roma, Milano, Torino e Venezia e viceversa dal Nord verso il Sud, con un taglio di posti che, con l’indotto, va oltre i mille lavoratori. C’è una condizio-ne che si potrebbe eleggere a sim-bolo dello sfascio in cui i mana-ger di Trenitalia hanno gettato le ferrovie meridionali, con l’avallo dei governi che si sono succedu-ti, compreso l’ultimo del tecnocra-

Un aspetto delle condizioni di abbandono e degrado in cui versa la stazione di Ragusa (foto Il Bolscevico)

“Nessuna lezione dall’UDC” sostenitrice del governo Monti e della controriforma universitaria

GLI STUDENTI CONTESTANO CASINI A CATANIAPartecipano anche studenti militanti e simpatizzanti del PMLI

Dal corrispondentedella Cellula “Stalin”della provincia di CataniaSabato 14 gennaio alcuni mili-

tanti e simpatizzanti della Cellula “Stalin” della provincia di Catania del PMLI si sono uniti in quanto studenti al Movimento studente-sco Catanese (MSC) in occasione

della lectio magistralis su “l’auto-riforma della politica” che il pre-sidente del partito democristia-no UDC ha tenuto nella facoltà di scienze politiche di Catania.

I marxisti-leninisti catanesi ed alcuni componenti del movimento studentesco catanese (movimen-to in cui, ultimamente, i compa-

gni stanno portando avanti la linea marxista-leninista sull’astensioni-smo alle elezioni universitarie) si sono incontrati circa un’ora prima, rispetto all’orario in cui sarebbe poi iniziata la “lezione” del partito filomafioso di Pierferdinando Ca-sini, per organizzare nei dettagli la forma di protesta.

All’arrivo in facoltà, alle 9.30, i contestatori sono stati fermati dal-l’imponente “servizio d’ordine”, il quale avendo riconosciuto nei marxisti-leninisti e negli studen-ti del MSC, una potenziale “mi-naccia”, ha fatto di tutto, accam-pando scuse poco credibili, quali una fantomatica bonifica dell’aula (mentre per metà era già occupata da esponenti dell’UDC e studenti, lì presenti anche contro voglia per l’obbligo di firma che un profes-sore aveva imposto in occasione di questa lezione così “speciale”), per ritardare l’ingresso dei poten-ziali contestatori.

Una volta avuto libero accesso, i contestatori hanno occupato un paio di file dell’aula e, intorno alle 10.15, a seguito dell’intervento del rettore di Catania, Recca (era-no presenti anche il preside della facoltà Barone e personaggi al-quanto equivoci come D’Onofrio dell’UDC), dopo un paio di minuti dall’inizio della lectio magistralis del leader del “Terzo Polo”, hanno aperto uno striscione che recitava a grandi lettere “nessuna lezione dall’UDC”, ed esposto dei cartelli con un simbolo del partito di Casi-ni modificato, utilizzando l’acro-nimo UDC per indicare Università Di Catania. Inoltre sono stati distri-

Catania, 14 gennaio 2012. Un momento della contestazione al leader dell’UDC Pierferdinando Casini

Accade nullaattorno a te?

RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’Chissà quante cose accadono attorno a te,

che riguardano la lotta di classe e le condizioni di vita e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove lavori, nella scuola o università dove stu-di, nel quartiere e nella città dove vivi. Chissà quante ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi politici e sociali ti fanno ribollire il sangue e vor-resti fossero conosciuti da tutti.

Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua disposizione le seguenti rubriche: Lettere, Dialogo con i lettori, Contributi, Corri-spondenza delle masse e Sbatti i signori del pa-lazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi ``pezzi’’ a:

IL BOLSCEVICO - C.P. 47750100 FIRENZE

Fax: 055 2347272e-mail: [email protected]

te borghese Monti: quella delle li-nee ferroviarie che ruotano attorno al comprensorio del Val di Noto in Sicilia. Si tratta della zona tra i comprensori di Ragusa, Siracusa e parte di Catania e Caltanissetta, il più vasto sito Unesco patrimonio dell’umanità, che comprende, tra gli altri, i comuni di Caltagirone (Catania), Militello in Val di Ca-tania, Catania, Modica (Ragusa), Noto (Siracura), Avola (Siracu-sa), Palazzolo Acreide (Siracusa), Ragusa e Scicli (Ragusa), meta di migliaia di turisti ogni anno. È una zona ad alta vocazione agrico-

la, basti ricordare le produzioni di pomodoro di Pachino (Siracusa), la mandorla e il nero d’Avola, il cioccolato di Modica.

Ebbene, proprio in questo ter-ritorio, la cui economia agricola è la più ricca della Sicilia, dove la grande produzione ortofrutticola e vivaistica sviluppa una grande mole di traffico su strada di auto-carri, autoarticolati e autobus che si riversa quotidianamente sulle già intasate direttrici stradali verso Catania e il nord, dove mancano autostrade, strade moderne e ae-roporti, a parte quello di Catania,

Trenitalia ha deciso di sopprimere intere tratte ferroviarie e licenzia-re decine di lavoratori. Un duris-simo colpo alla mobilità, all’eco-nomia ortofrutticola e turistica, che da oltre tre anni ha suscitato una vertenza tra sindacati e azien-da con lotte, scioperi e persino una denuncia per interruzione di pub-blico servizio a carico dei vertici di Trenitalia da parte della Filt-Cgil Sicilia. La vertenza riguar-da la soppressione di tutti i treni della linea Gela-Modica-Siracusa. A questa situazione si aggiunge la prossima soppressione della trat-

ta Catania-Gela, che l’8 maggio 2011 ha subìto il crollo del viadot-to Caltagirone-Niscemi, costruito negli anni Cinquanta e lasciato in abbandono. La tragedia su quel-la tratta si evitò soltanto perché il ponte crollò di domenica.

Tanto per dare un’idea dell’at-mosfera della dismissione: la sta-zione della città di Ragusa, uno dei capoluoghi siciliani, cuore del Val di Noto, non esiste più. È let-teralmente in disuso, deserta. Nes-sun lavoratore, nessun ufficio in-formazione. L’unica macchinetta di distribuzione dei biglietti sfa-

sciata. Si può aspettare per ore let-teralmente senza che passi anima viva. Ogni tanto arriva un bus pri-vato per raccogliere chi deve re-carsi a Modica o a Noto. Lo stes-so dicasi per le stazioni di Noto e Avola chiuse e deserte.

Cosa ha fatto il governo regio-nale, guidato dall’imbroglione e falso meridionalista Lombardo, MPA, per opporsi allo scempio delle ferrovie siciliane? Cosa stan-no facendo le amministrazioni comunali e provinciali del Val di Noto? Il 7 gennaio nella stazione di Modica è stata indetta un’as-semblea di tutti i ferrovieri del Val di Noto per resistere a questo progetto devastante e, come dice il volantino di indizione, “esigere una ferrovia moderna!”.

I marxisti-leninisti siciliani esprimono la massima solidarie-tà alla lotta dei ferrovieri del com-prensorio del Val di Noto e riven-dicano con forza che la rete di questa importantissima zona agri-cola e turistica della Sicilia venga potenziata e ammodernata. Che si usino i finanziamenti previsti per il Ponte sullo Stretto e quelli per la devastante Tav in Val di Susa, inu-tili, dannosi e mostruosi progetti osteggiati dalle masse popolari!

buiti dei volantini che spiegavano le motivazioni della contestazione. La contestazione è stata applaudi-ta da una parte dei partecipanti alla lectio magistralis, alla quale un componente del MSC, militante dei Giovani Comunisti di Catania, ha dato seguito lanciando delle ac-cuse, attraverso un megafono (pre-ventivamente occultato alla digos catanese che teneva sotto occhio i ben noti potenziali “disturbatori”), nei confronti del rettore di Catania e dell’UDC. Lo studente del Prc ha ripetuto quelle che sono le ri-vendicazioni della protesta, rimar-cate poi nel successivo comunica-to, apparso nel pomeriggio sul sito del MSC: “È stato contestato in primo luogo il carattere elettora-le dell’iniziativa e il conflitto d’in-teressi del Rettore dell’Università di Catania, Prof. Antonino Recca, ex Presidente dell’UDC siciliana, decaduto per la sopraggiunta in-compatibilità della carica. Nella

sala erano infatti presenti bandie-re dell’UDC, anche se mai sven-tolate ed era notevole la presenza di esponenti di Partito, scomparsi non appena ha smesso di parlare l’‘On’. Casini. Inoltre fa riflettere che la pubblicizzazione dell’ini-ziativa è stata affidata al Partito e solo ieri l’Università ha emana-to il proprio comunicato. Il Mo-vimento Studentesco Catanese ed il Collettivo Scienze Politiche de-nunciano il sistematico utilizzo da parte di Antonino Recca della sua carica di Rettore per sponsorizzare il proprio Partito.

L’invito a Casini è solo l’ulti-mo scandaloso atto dopo gli inviti a Buttiglione e Vietti e il conferi-mento della Laurea Honoris Causa a Francesco Bellavista Caltagiro-ne, speculatore edilizio il cui uni-co merito è di essere il suocero di Casini. È stato inoltre contestato il ruolo dell’UDC nel governo Mon-ti e la sua complicità nella contro-

riforma dell’Università. Il nuovo governo nazionale con la scusa della riduzione del debito sta an-nientando il potere d’acquisto dei cittadini italiani, sta smantellando lo “Stato sociale”, sta demolendo i diritti dei lavoratori e sta tentan-do di privatizzare ogni bene co-mune. Casini è stato contestato in qualità di massimo sostenitore po-litico delle manovre di questo go-verno che, ancora una volta, col-piranno i giovani e gli studenti. Il Movimento Studentesco Catane-se ed il Collettivo Scienze Politi-che hanno voluto aprire gli occhi sull’aberrante situazione che vive l’Università di Catania e l’inte-ro Paese. Movimento Studente-sco Catanese e Collettivo Scien-ze Politiche non hanno, a seguito della contestazione, partecipato al dibattito in quanto non accettano di prendere parte ad un’iniziativa di Partito, seppur camuffata come lectio magistralis.

Il Movimento Studentesco Ca-tanese ed il Collettivo Scienze Po-litiche chiedono infine alla diri-genza dell’Università di Catania e della Facoltà di Scienze Politiche di annullare l’annunciata lectio magistralis di Raffaele Lombar-do. Sarebbe infatti grave ed inac-cettabile che un’istituzione presti-giosa quale l’Università di Catania si presti ad accogliere un indagato, prima per mafia e poi per voto di scambio”.

Casini ha risposto alla conte-stazione rivendicando il suo ap-poggio al governo Monti senza però dir nulla sulle altre accuse lanciategli.

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12 il bolscevico / cronache locali N. 3 - 26 gennaio 2012

RENZI INTASCA120 MILA EURO L’ANNO

Redazione di FirenzeSono stati pubblicati i reddi-

ti degli amministratori comunali di Firenze: nel complesso, il Con-siglio comunale costa alle mas-se fiorentine tra i 600 e i 700 mila euro l’anno. I tagli che imperver-sano su tutti i settori, in primo luo-go la spesa sociale, non toccano i

rappresentanti dei partiti borghesi ben sistemati sulle dorate poltrone di Palazzo Vecchio.

Al neopodestà Matteo Renzi (PD) vanno, come sindaco, circa 120 mila euro lordi l’anno, ai suoi assessori 60 mila. Ai consiglie-ri comunali va un minimo di 15 mila euro l’anno, che possono lie-

vitare con i gettoni presenza di 92 euro, concessi sia per le presenze in consiglio che nelle commissio-ni, fino a 1.800 euro il mese; ogni consigliere può partecipare a un massimo di tre commissioni.

Il più ricco di Palazzo Vecchio risulta Giovanni Galli (Lista Galli) con 302.689 euro. Sopra i 70mila

euro l’anno troviamo Gallo, Livi, Meucci e Pugliese del PD, Tene-rani del PDL, Giambanco, Locchi e Sabatini della Lista Galli, Sarra di FLI, De Zordo di Unaltracittà e Spini della lista Spini per Firenze.

Da notare che Renzi ha dichia-rato come reddito solo quello che percepisce come sindaco.

I redditi dei consiglieri comunali di Firenze

PD

Renzi Matteo 120.000

Agostini Susanna 43.520

Albini Tea 57.932

Bassi Angelo 43.362

Bertini Enrico 63.289

Bieber Leonardo 25.071

Biti Caterina 20.168

Bonifazi Francesco 45.992

Borselli Andrea 57.389

Chiavacci Francesca 49.721

Collesei Stefania 45.725

Dormentoni Mirko 54.372

Fratini Massimo 56.902

Gallo Giampiero Maria 136.832

Giani Eugenio 62.953

Giuliani Maria Federica 20.825

Lauria D’Antonio 57.860

Livi Claudia 165.060

Matteuzzi Lucia 1.197

Meucci Elisabetta 115.739

Pezza Cecilia 17.011

Pierguidi Michele 39.207

Pugliese Andrea 84.680

Ricci Francesco 50.423

Scino Salvatore 53.940

Sguanci Maurizio 20.301

PDL

Alessandri Stefano 37.638

Cellai Jacopo 16.990

Roselli Emanuele 30.273

Stella Marco 33.761

Tenerani Mario 71.183

Torselli Francesco 17.047

LISTA GALLI

Galli Giovanni 302.689

Giambanco Antonio 108.801

Locchi Alberto 79.011

Sabatini Massimo 106.060

FLI

Bertini Stefano 67.285

Giocoli Bianca Maria 39.970

Sarra Riccardo 79.389

IDV

Fittante Giovanni 41.795

Scola Giuseppe 56.328

GRUPPO MISTO

Di Puccio Stefano 52.086

Grassi Tommaso 19.558

Pieri Massimo 33.066

PERUNALTRACITTA’

De Zordo Ornella 88.384

SPINI PER FIRENZE

Spini Valdo 176.972

SEL

Cruccolini Eros 43.968

LEGA NORD

Razzanelli Mario 48.398

Sciopero alla Selex Galileodi Firenze

L’azienda rompe le relazioni sindacali con la Fiom, poi se le rimangia. Solidarietà del PMLI

Redazione di FirenzeAncora pesanti tagli ai con-

tributi che il Comune di Firenze elargiva alle famiglie con proble-mi economici. Sotto il neopodestà Matteo Renzi (PD) la scure si ab-batte invariabilmente sulle masse popolari.

Sono in via di azzeramento i contributi per le badanti: sono sta-ti assicurati, ma solo per quest’an-no, i contributi per le 385 famiglie che ne usufruiscono, mentre non ne verranno concessi altri; in lista di attesa ci sono circa 2.000 fami-glie. Sotto la scure anche le 1.100 persone seguite dall’assistenza do-miciliare (in genere per un’ora al giorno); sono saliti anche gli one-ri a carico delle famiglie per i ri-coveri in Rsa (residenze assistite), dall’11,5% del 2011 al 13,4%.

I contributi per gli affitti alle fa-miglie a basso reddito, già scesi a circa 200 euro al mese e distribui-

ti a 1.450 famiglie, sono destina-ti a scendere ancora nel 2012, ve-nendo a mancare sia una parte di finanziamenti statali (-10 milioni) che regionali; la Regione Toscana scenderà da quasi 9 milioni a 600 mila euro.

Intanto Palazzo Vecchio spende ben 3,3 milioni l’anno per l’affitto di 28 uffici, nonostante che sia uno dei più grossi proprietari immobi-liari della città, un patrimonio che, tra l’altro, ha deciso di ridurre ven-dendo numerosi immobili e, fra questi, anche quelli di prestigio.

Rincara la tassa sui rifiuti (Tia) per un introito di circa 1 milione di euro l’anno per la società Il Qua-drifoglio; aumento motivato dagli investimenti per realizzare i cas-sonetti interrati nella città-vetrina del centro. Eppure la quantità di rifiuti globalmente prodotta nei 12 comuni serviti da Il Quadrifoglio è diminuita.

I redditi degli amministratori comunali di Firenze

Redazione di FirenzeIl modello delle relazioni sin-

dacali inaugurato da Marchionne alla Fiat prende campo anche nel-le aziende a partecipazione statale come Finmeccanica e in specifico alla Selex Galileo di Firenze dove la direzione aziendale il 12 gen-naio ha rotto i rapporti con la RSU Fiom, dopo che l’organizzazione aveva indetto un’ora di sciopero con assemblea per protestare con-tro il rifiuto della stessa azienda di

fornire chiarimenti su una vicen-da interna. La RSU Fiom e i lavo-ratori hanno risposto con un’altra ora di sciopero con assemblea il 13 gennaio.

In un successivo incontro del 16 gennaio l’azienda faceva un passo indietro e comunicava al sindacato territoriale Fiom che si era tratta-to di un “malinteso”. Un atteggia-mento inaccettabile che comunque la dice lunga su come la Selex Ga-lileo e la controllante Finmeccani-

ca intendono discutere col sindaca-to locale e nazionale sui problemi interni a partire dalla riorganizza-zione del settore Difesa che pre-vede l’accorpamento delle diverse società in una sola, definita guarda caso una NewCo. E che preoccupa non poco i lavoratori.

La vicenda era iniziata prima della chiusura di fine anno quando era venuta fuori la notizia che a un bando di gara del novembre scor-so della società spaziale naziona-le (Asi) su apparati elettrottici da installare su satelliti, una commes-sa dal valore solo nella prima fase di 15 milioni di euro, erano state invitate a partecipare due società, una francese e una di Milano ma di proprietà tedesca, poiché, si af-fermava nel bando, in Italia non erano presenti capacità produttive per tali apparati. Della questione si interessava anche la regione To-scana che con una lettera del pre-sidente Enrico Rossi al ministro Profumo, che come responsabile della Ricerca è anche responsabile dell’Asi, affinché fosse modifica-to il bando di gara dando la pos-sibilità alla Selex Galileo di parte-cipare.

Ai primi di gennaio, alla riaper-tura dopo le ferie, la RSU chiedeva

un incontro all’azienda per avere chiarimenti e denunciando che gli apparati elettrottici sono uno dei prodotti di punta dello stabilimen-to fiorentino cui veniva scippato un importante lavoro. L’azienda rispondeva in maniera informa-le che non c’erano problemi e che probabilmente parte di quel lavoro poteva arrivare alla Selex Galileo, ingaggiata come subfornitore. Un ruolo secondario. Tanto bastava a Fim e Uilm ma non alla Fiom che rinnovava la richiesta di incontro e al rifiuto dell’azienda proclama-va lo sciopero con assemblea del 12 gennaio. Ripetuto il giorno suc-cessivo dopo l’annuncio da parte dell’azienda della rottura delle re-lazioni sindacali.

Il PMLI esprime solidarietà alla RSU Fiom della Selex Gali-leo che ha saputo rispondere nella maniera giusta al comportamento inaccettabile dell’azienda.

Il 16 gennaio assieme al pas-so indietro dell’azienda sulle re-lazioni sindacali arrivava anche la notizia che il ministro Profumo ha convocato Asi, Finmeccanica e Regione al ministero per discu-tere della questione. La vicenda è ancora aperta grazie alla mobilita-zione dei lavoratori.

Comunicato della Cellula“Stalin” di Forlì del PMLI

NO AI LICENZIAMENTI E ALLA DISMISSIONE DELLO STABILIMENTO CTE DI BERTINORO

Solidarietà militante dei marxisti-leninisti ai lavoratori scesi in lotta

Il presidio dei lavoratori della CTE (ex Bizzocchi) di Bertinoro, in pro-vincia di Forlì

La Cellula “Stalin” di For-lì del PMLI esprime solidarie-tà militante ai lavoratori della CTE di Bertinoro che da questa mattina sono in sciopero e pre-sidiano i cancelli della fabbri-ca per protestare contro il pia-no industriale volto a trasferire i tre quarti della produzione in un altro stabilimento del grup-po, e per impedire l’uscita delle macchine prodotte.

Anche in questo caso i lavo-ratori sono stati spremuti come limoni, avendo fatto straordi-nari fino al mese di dicembre, per poi trovarsi di fronte all’an-nuncio di 23 “esuberi” su 41 dipendenti e all’indisponibilità

dell’azienda a ridiscutere il ver-gognoso piano di dismissione dello stabilimento di Bertinoro.

Il PMLI, che oggi si è recato sul posto per verificare la situa-zione ed esprimere solidarietà, appoggia la lotta dei lavoratori della CTE che chiedono che la produzione rimanga dov’è.

I padroni non possono di-sporre a loro piacimento del-la vita dei lavoratori e dei frutti del loro lavoro.

Nessun posto di lavoro vada perso!

Cellula “Stalin”di Forlì del PMLI

16 gennaio 2012

FIRENZE

Ancora tagli ai contributi comunali per

affitti e badantiRincara la tassa sui rifi uti

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N. 3 - 26 gennaio 2012 cronache locali / il bolscevico 13In risposta ai 325 licenziamenti nello stabilimento di Cassina De’ Pecchi (Milano)

GLI OPERAI E I LAVORATORI DELLA SIEMENS NOKIA-JABIL OCCUPANO

LA FABBRICA E RIAVVIANO LA PRODUZIONESolidarietà di classe del PMLI

Redazione di Milano

Quando lo scorso 12 dicembre alla Siemens Nokia-Jabil di Cassi-

na De’ Pecchi (Milano) sono arri-vati i preannunciati licenziamenti, operaie, operai e tecnici aveva-no subito occupato la fabbrica, ed

Fine dicembre 2011. Un aspetto del presidio permanente dei lavoratori della Siemens Nokia-Jabil davanti allo stabilimento contro i 325 licenziamenti e la chiusura della fabbrica di Cassina De’ Pecchi (Milano)

PROVINCIA DI MILANO

Sfida a quattro nel “centro-sinistra” perla poltrona di sindaco

a Sesto S. GiovanniI MARXISTI-LENINISTI INVITANO A

DISERTARE LE URNE DELLE “PRIMARIE”Dal corrispondente dell’Organizzazione di Sesto S. Giovanni del PMLIIl 22 gennaio a Sesto S. Gio-

vanni (Milano) si terranno le co-siddette “primarie” che dovreb-bero eleggere il candidato del “centro-sinistra” alla poltrona di neopodestà cittadino.

Dopo lo tsunami giudiziario che la scorsa estate ha scoperchia-to il colossale giro di tangenti del “sistema Sesto” travolgendo la giunta di “centro-sinistra” guida-ta dal neopodestà Giorgio Oldrini arrivando fino ai vertici dell’intero suo partito, il PD, con il coinvolgi-mento del braccio destro di Bersa-ni ed ex neopodestà sestese Filip-po Penati, l’attuale maggioranza, che da sempre amministra la cit-tà, ha cercato di correre ai ripari presentandosi come “rinnovata”. In realtà tutti i candidati, compresi quelli “indipendenti”, vantano un passato all’interno delle istituzio-ni borghesi.

Quattro sono i nomi che si sfi-deranno a suon di programmi foto-copia, che in nessun punto affron-tano i reali problemi delle masse lavoratrici e popolari sestesi: Mo-nica Chittò, candidata del Partito democratico, proveniente da una quasi decennale esperienza politi-ca, anche come assessore nell’at-tuale giunta comunale; Demetrio

Morabito, candidato del PRC, con una ventennale esperienza politica nelle vesti di consigliere prima, e assessore poi; Moreno Nossa, can-didato “indipendente” appoggiato da SEL, con alle spalle esperienze in commissioni sport e cultura di quartiere; Vito Romaniello, can-didato “indipendente” iscritto al-l’ANC (Associazione Nazionale Carabinieri), proveniente da una decennale esperienza come consi-gliere alla circoscrizione 5 (Gatti-Parpagliona).

La campagna elettorale per queste primarie, che costituisco-no unicamente una messa in sce-na folkloristica per consentire al “centro-sinistra” di restare in sella, si sta comunque svolgendo nel di-sinteresse da parte delle masse la-voratrici e popolari sestesi, le quali stanno pagando sulla propria pelle i conti dell’attuale micidiale crisi del capitalismo e non sono più di-sposte a dare per l’ennesima volta fiducia a tutte le cosche partitiche coinvolte in speculazioni e ruberie e che hanno ripetutamente dimo-strato di disinteressarsi di loro.

L’Organizzazione di Sesto S. Giovanni del PMLI invita operai, lavoratori, studenti e pensionati ad abbandonare ogni illusione eletto-rale e governativa e a disertare le urne delle primarie del “centro-si-nistra”.

Civitavecchia (Roma)

BUONA DIFFUSIONE DEL VOLANTINO DEL PMLI IN DIFESA DELL’ARTICOLO 18

Dal corrispondente dell’Organizzazione di Civitavecchia del PMLIIl 12 gennaio l’Organizza-

zione di Civitavecchia (Roma) del PMLI ha diffuso il volanti-no dal titolo “L’articolo 18 non si tocca” davanti alla Conad Le Terme. Pur essendo una gior-nata molto fredda, con un ven-to gelido che tagliava la faccia, l’iniziativa è andata bene e ha destato molta curiosità.

Alcuni si sono fermati a parlare con chi diffondeva rice-vendo spiegazioni circa il vero scopo antidemocratico e an-tisindacale insito nell’attacco del governo Monti all’articolo 18. Un attacco in linea con il modello autoritario e neofasci-sta imposto da Marchionne alla Fiat, dove il padronato vuole obbedienza totale dai lavorato-ri, senza diritti e senza libertà di sciopero, sulla base di rela-

zioni industriali di tipo corpo-rativo finalizzate agli interessi del profitto aziendale.

Una donna dopo aver letto il volantino camminando è torna-ta indietro per dirci che era d’ac-cordo col suo contenuto. E, pur non specificando il suo orienta-mento politico, ci ha detto che alcune sue amiche condividono la posizione del PMLI.

Il nostro Partito a Civitavec-chia è ormai una presenza fis-sa sia in occasione di mobilita-zioni di massa sia per ciò che riguarda i volantinaggi e l’atti-vità di propaganda. Uno sforzo continuato che molti comincia-no ad apprezzare, anche se an-cora non ci abbracciano come liberatori dal capitalismo; sia-mo sulla buona strada.

Avanti con forza e fiducia verso l’Italia unita, rossa e so-cialista! Coi Maestri e il PMLI vinceremo!

COMUNICATO DELL’ASSEMBLEA TERRA DI LAVORO (CASERTA)

Considerazioni a freddosul mancato arresto di Cosentino

Riceviamo e pubblichiamo in estratti.

Noi, che conosciamo Nicola Cosentino da molti anni, abbiamo le idee più chiare delle massime istituzioni di questo Paese. Noi, che viviamo nella terra delle cen-trali turbogas, delle discariche abusive e delle grandi aziende del cemento, del movimento ter-ra, delle bufale e dei centri com-merciali, non abbiamo a disposi-zione il tempo, elefantiaco, delle Giustizia (borghese) italiana.

Andiamo di fretta. Sarà l’esi-genza di restare vivi, di soprav-

vivere al deserto culturale, allo schiavismo dello sfruttamento in salsa casalese (ma anche non). Nostro malgrado, abbiamo avuto ed abbiamo bisogno di giungere ad una conclusione precisa, frut-to di una valutazione ponderata seppur rapida: Cosentino è un nostro nemico. E non aspettere-mo nessuna sentenza, nessuna autorizzazione a procedere atten-deremo per continuare a contra-stare i progetti di questa paranza predatoria che spreme la nostra gente e la nostra vita. In simbio-si con lo Stato, fino al cambio di guardia, fanno affari legalmente

e non, ma con la stessa prepo-tenza. Coperti e garantiti da un sistema che ha bisogno di loro e dei loro soldi, da quello stesso sistema che crea la crisi e la sca-rica sulla moltitudine proletaria in Terra di Lavoro come altrove.

Non invochiamo le manette, non lo abbiamo fatto mai. Non siamo rimasti delusi, avevamo poca fiducia negli interpreti di questa vicenda. Chiamiamo alla lotta sociale, semmai. Invochia-mo un cambio di rotta che parta dalle strade delle nostre città, dei nostri paesi, dai luoghi dello sfrut-tamento nei quali produciamo

per il loro tornaconto. In provincia qualcosa si muove. Ci sono realtà radicate da anni e movimenti, co-mitati, gente comune che prende parola e combatte. Sono le lotte per la difesa dei beni comuni, dei diritti calpestati degli immigrati, del grido di rabbia di chi, lavo-ratore e già precario, è sfruttato. È questa la strada da percorrere per non avere mai più un Cosen-tino a decidere delle nostre sorti. È la strada che seguiremo.

Assemblea Autonoma Terra di Lavoro (Caserta)

ora, dopo un’accurata manuten-zione ordinaria e straordinaria di macchinari e strumentazione, han-no rimesso in moto linee e posta-zioni di lavoro.

Il ciclo produttivo funziona perfettamente. La sua ripartenza è stata preceduta da una meticolo-sa perizia e con tutte le cautele del caso, tenendo conto del fermo du-rato un mese.

Il lavoro c’è, i componenti e tutta la fornitura pure. Si tratta della produzione che i capitalisti della multinazionale finno-tede-sca Siemens Nokia e di quella fal-limentarista americana Jabil han-no fatto interrompere bruscamente con la serrata e coi licenziamenti del 12 dicembre 2011.

”Non intendiamo arrenderci all’idea che la produzione ven-ga abbandonata, non ne vediamo il motivo, dato che le commesse non mancavano” afferma Anna Lisa Minutillo, confermando la stessa forte determinazione ri-scontrata lo scorso 1° novembre nella sua intervista a Il Bolscevi-co. “Speriamo di attirare l’interes-se di un possibile compratore e di tornare a lavorare. In questo pe-riodo di arresto della produzione, durato un mese, ci siamo occupa-ti della manutenzione dei macchi-nari, adoperandoci per preservare dall’incuria le condizioni interne dello stabilimento. In un’Italia in ginocchio, vogliamo dimostrare che grazie alla volontà della for-za lavoro è ancora possibile anda-re avanti”.

C’è una mano d’opera alta-mente specializzata: sono i 325 operai e lavoratori licenziati, che possono continuare a sfornare un prodotto di alta qualità tecnolo-gica apprezzata in tutto il mon-do. La ripresa della produzione è la garanzia dell’integrità del ci-clo produttivo, ed è al tempo stes-so la miglior medicina per il suo mantenimento all’adeguata effi-cienza.

Le operaie e gli operai della Ja-bil hanno voluto ribadire con la ri-presa della produzione per poche ore al giorno, che la fabbrica è

pronta a ripartire, che non può es-sere sepolta con 325 licenziamen-ti, per fare spazio alla speculazio-ne edilizia.

Per il sostegno economi-co alla loro giusta lotta gli ope-rai Siemens Nokia-Jabil di Cas-sina De’ Pecchi hanno aperto un conto corrente: CC IBAN IT 28 S 0312732860000000000331 al quale invitano a sottoscrivere con la causale “presidio Jabil”.

Il Comitato lombardo del PMLI saluta con gioia militante l’occupazione e l’iniziativa di ri-prendere la produzione. Un atto che dimostra concretamente che mentre i capitalisti hanno bisogno (per i loro profitti) degli operai, questi, viceversa, non hanno al-cun bisogno dei padroni per man-dare avanti la produzione. Se gli operai sono costretti a trovare al-tri capitalisti compratori ciò è do-vuto unicamente alla arretratezza dei rapporti di produzione - basati sulla proprietà privata dei mezzi di produzione sociale - della global-mente fallimentare società capita-listica!

I marxisti-leninisti lombardi ri-badiscono solidarietà di classe alla grande lotta degli operai e dei la-voratori Siemens Nokia-Jabil che sono d’esempio per tutti i lavora-tori in lotta per la difesa del posto di lavoro!

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14 il bolscevico / contributi N. 3 - 26 gennaio 2012

A chi serve la guerradello spread

di Ugo Cortesi - Alfonsine (Ravenna)

Tutti i giorni sentiamo parla-re in tv leggiamo sui giornali, di indici economico-finanziari, di mercati monetari, di aumento o diminuzione dello spread, di an-damento delle borse internazio-nali, e così via.

Lo spread, in particolare, fa parte della nostra vita quotidiana e sta diventando un’ossessione per molti e una gioia per altri.

Lo spread nella traduzione del termine finanziario inglese vuol dire divario o differenziale e rappresenta, nel nostro caso, la differenza fra la resa dei titoli pubblici italiani (BTP) e di quelli tedeschi (BUND). Se ad esempio oggi il BUND viene emesso con una resa annua del 2% e il BTP con una resa annua del 7%, si avrà una differenza del 5%, pari a 500 punti. Per semplificare me-glio, se oggi compro 10.000 euro di BUND e 10.000 di BTP, fra un anno incasserò teoricamente 10.200 euro dai BUND e 10.500 euro dai BTP, con variazioni in più o in meno per vendite di medio periodo.

Allora ci si chiederà: come mai se il BTP rende di più del BUND, il differenziale viene calcolato in senso negativo? Per il semplice fatto che a minor resa equivale maggiore affidabilità e, viceversa, a maggior resa minore affidabilità nella possibilità di rimborso.

Se uno Stato emette obbliga-zioni ad un tasso più alto vuol dire che non riesce a trovare moneta sul mercato ad un prezzo infe-riore, quindi deve concedere un rendimento maggiore altrimenti rischia di rimanere a secco. In pratica comprando BUND non hai alcun problema a che il tuo capitale+interessi ti sia rimborsa-to, comprando invece BTP corri un certo rischio, anche se non è poi così vero, ma così ci vogliono far intendere.

La guerra dello spread cre-sce in modo feroce in Irlanda nel 2009, quando quella nazione, per salvare la Anglo-Irish Bank mette sul mercato titoli pubblici con un tasso superiore a quelli tedeschi di circa 3,5 punti percentuali. Da questo momento si mettono sempre più a confronto i titoli dei vari Stati (Grecia, Spagna, Italia, Francia) con quelli della Germa-nia che è considerata la nazione più solida dell’euromercato.

Però il problema non è tanto questo quanto il poter ragionare sul perché da un certo momento, certamente di crisi per l’Europa e il mondo occidentale, i Paesi dell’Eurozona si fanno la guerra a colpi di spread. Ma hanno ca-pito di chi stanno facendo il gio-co e quindi a chi fanno il favore, o sono un branco di incapaci? Mah, forse qualcuno non è inca-pace, probabilmente connivente o come meglio si addice: sodale.

L’Italia addestragli afghani alla guerra di Antonio Mazzeo - Messina

Mai così tanti i militari italiani in missione di guerra in Afghani-stan. Quattromiladuecentodieci e solo a metà anno i primi uomini faranno rientro a casa. Per com-pletare il ritiro, secondo il ministro della Difesa Di Paola, bisognerà attendere la fine del 2014.

Dal primo gennaio 2002 al di-cembre del 2011, dispiegamenti di reparti, caccia, elicotteri e tank, blitz e bombardamenti aerei, esercitazioni a fuoco hanno com-portato una spesa per i contri-buenti italiani di circa 3 miliardi e 800 milioni di euro. E le operazio-ni tricolori in Afghanistan assorbi-ranno più della metà delle spese previste per pagare le missioni all’estero nel 2012 (complessiva-mente 1,4 miliardi di euro).

L’Italia ha assunto un ruolo centrale nelle attività di formazio-ne e addestramento dell’esercito (ANA) e della polizia (ANP) afgha-ni, un impegno oneroso dal punto di vista organizzativo e finanzia-rio e che presuppone pure il loro accompagnamento materiale in vere e proprie azioni di combat-timento. L’esercito italiano impie-ga sul campo i cosiddetti OMLT (Operational Mentoring Liason Teams), team composti da 20-30 consiglieri e addestratori “a livello di Corpo d’Armata, di Brigata e di Kandak (battaglione)”.

Ad Alenia North America, so-cietà controllata da Alenia Aero-nautica (gruppo Finmeccanica), è stata affidata la formazione dei piloti e del personale addet-to alla manutenzione dei velivoli da trasporto tattico C-27/G.222. Il contratto, del valore di oltre 4 milioni di dollari, prevede un anno di lezioni teoriche, la formazio-ne pratica e l’addestramento in volo nello stabilimento Alenia di Napoli-Capodichino dei piloti af-ghani e degli advisor statunitensi che sono poi inviati a Kabul per operare con il personale dell’Af-ghanistan National Army Air Cor-ps (ANAAC).

Grazie a un accordo bilatera-le Italia-Afghanistan, carabinieri e fiamme gialle sono pure im-pegnati ad Herat nell’addestra-mento della polizia di frontiera

e doganale, collaborando con il personale USA del Combined Security Transition Command Afghanistan (CSTC-A). Sempre ad Herat, Il ministero della Difesa italiano ha recentemente contri-buito con 100.000 euro alla rea-lizzazione di una nuova stazione della polizia afghana.

Negli ultimi cinque anni, il Pro-vincial Reconstruction Team (PRT) dichiara di aver costruito nel di-stretto di Herat “scuole, ospedali, carceri, strade e ponti” per il va-lore complessivo di 30 milioni di euro, 5,6 dei quali nel solo 2011. Entro la fine di gennaio sarà com-pletata la prima tranche dei lavori di ampliamento del terminal del locale aeroporto (250.000 euro). Per lo scalo di Herat, i progetti-sti del PRT hanno predisposto un masterplan del valore di oltre 137 milioni di euro per realizzare un nuovo terminal, piste aeree e opere viarie di collegamento. Lo scorso 17 dicembre, il program-ma è stato presentato alle autorità nazionali afghane dall’ex ministro allo Sviluppo economico, Paolo Romani, neo-rappresentante del-l’esecutivo Monti per lo “sviluppo economico dell’Afghanistan e dell’Iraq”.

Dal 2001 al 31 dicembre 2010, la Cooperazione italiana ha ero-gato 516 milioni di euro per finan-ziare “iniziative bilaterali e multila-terali” nel “settore infrastrutturale e degli aiuti umanitari”.

L’Afghanistan è proprio la gal-lina d’oro di mercanti d’armi e grandi società di costruzioni. Nel 2012 potrebbero partire i lavori di ristrutturazione della strada He-rat–Chishet Sharif. Prima benefi-ciaria la grande cava di proprietà del magnate statunitense Adam Doost (alla guida dell’American Chamber in Afghanistan), “che di recente ha chiuso un accordo di partnership con la Margraf di Vicenza per commercializzare in Italia e in Europa blocchi di mar-mo inizialmente per 5 milioni di dollari”.

La guerra in Afghanistan si combatte per il gas e il petrolio ma anche in nome e per conto dei pescecani dei mercati finan-ziari planetari.

Il ruolo dellerelazioni sociali

di Salvatore Rizzo -provincia di Catania

Le nostre relazioni sociali con-dizionano i nostri momenti, le nostre giornate, le nostre vite... Ma perché dipendiamo dalle re-lazioni? Dipendiamo da queste perché da esse dipende la no-stra identità. E l’identità non è un dato naturale, ma culturale che si costruisce a partire dal rico-noscimento che otteniamo dagli altri. Questo vale sia per il bam-bino che, quando trascurato, si costruisce un’identità negativa, a differenza del bambino che ap-provato e riconosciuto costruisce un’identità positiva, sia per l’adul-to la cui identità risulta rafforzata o indebolita a partire dalle appro-vazioni o dalle disapprovazioni che riceve.

Ciò premesso, che cosa oggi, nell’età della tecnica e dell’eco-nomia globalizzata, viene da noi approvato o disapprovato? La nostra rispondenza ai valori della

tecnica che sono l’efficienza e la funzionalità, e ai valori del merca-to che sono la produttività e la ca-pacità di creare profitto. In questa maniera la nostra identità, e il tipo di relazione (relazioni) da cui que-sta scaturisce e si forma, si de-clina, si appiattisce su quei valori che non rispecchiano il nostro io e tanto meno le nostre aspirazio-ni più autentiche. Ciò, al posto di una maschera sociale come già, a suo tempo, segnalava Carlo Marx e che dobbiamo indossare per rispondere a quegli indicatori che ci impongono la tecnica e il mercato, appunto.

Questi infatti sono divenuti i generatori simbolici di tutti i va-lori, per cui oggi capiamo unica-mente che cosa è utile, efficace, produttivo; ma nulla sappiamo di cosa è buono, giusto, vero, bel-lo, sacro. Ne è una prova ogni segno artistico in senso lato: l’ar-te diventa arte solo se entra nel mercato. Siccome oggi tecnica

e mercato non sono più semplici aspetti delle relazioni sociali, ma hanno impresso il loro sigillo ad ogni relazione sociale, non incon-triamo più uomini ma ruoli. Per cui, la nostra identità non è più segnalata dal nostro nome, ma da un’attestazione di documento in cui è indicata la nostra funzione, la competenza e così via. Se la relazione sociale è essenziale per

la costruzione della nostra iden-tità, qualora lasciamo riassorbire per intero la nostra identità dal nostro ruolo, allora la relazione sociale diventa una relazione di ruoli, dove il nostro io non è più rintracciabile non solo dagli altri ma neppure da noi stessi.

È questa l’alienazione a cui ci ha portato l’età della tecnica e dell’economia globalizzata.

LETTERA APERTA DELLE RAGAZZE E DEI RAGAZZI DELLO “SPAZIO ANTAGONISTA OCCUPATO GUERNICA” AL PREFETTO

Le istituzioni ci sgomberano mentrenei quartieri di Modena siamo apprezzati

Pubblichiamo in ampi estratti.

Sig. Prefetto,chi le scrive sono dei giovani,

artisti, sportivi, studenti, skater, donne, precari, musicisti, gioco-lieri, lavoratori, mamme, fotogra-fi, scrittori, disoccupati insomma il Guernica. Le scriviamo dopo aver letto le sue dichiarazioni nella conferenza stampa di fine anno e perché riteniamo che le forze politiche modenesi tutte non hanno mostrato alcun inte-resse a instaurare un dialogo con noi, a conoscerci, ad ascoltare le nostre proposte nell’intento di relegarci nel dimenticatoio, a dif-ferenza di ciò che fanno gran par-te dei cittadini modenesi, i quali invece apprezzano e partecipano

alle tante iniziative che costruia-mo all’interno dello spazio di via Zarlati, come del resto anche Lei ha riconosciuto.

E in tutto questo si inserisce la questione del mancato allaccia-mento dell’elettricità da parte di Hera in base a pregiudizi, ordini altrui o chissà quale altro motivo; sicuramente non per questioni di legalità.

Ci pare surreale considerare il Guernica come un problema di ordine pubblico, perché questo progetto è tutt’altro e lo si può constatare nel fatto che dopo ogni sgombero, che dovrebbe risolvere il problema, il Guernica torna con sempre più forza, più partecipazione e più progetti.

Siamo anche molto rattristati

del fatto che ogni nostro tenta-tivo di instaurare un dialogo con la Giunta Comunale sia sempre naufragato nonostante abbiamo esplicitamente preso questa stra-da costituendo una associazione, mettendoci in fila e mostrando le potenzialità di questo progetto; soprattutto in un momento di crisi come quello che stiamo attraver-sando dove la sempre maggior richiesta di attività ludiche, cul-turali o sportive a basso costo si scontra con la necessità di tagli generalizzati al Welfare State, an-che nella nostra provincia.

Vorremmo inoltre porre alla Sua attenzione, essendo un pro-blema sensibile della città, l’enor-me lavoro di riqualificazione che abbiamo svolto in ogni spazio

dove siamo stati presenti, spes-so riconosciuto dai cittadini che vivono quei quartieri. Un lavoro di recupero dal degrado andato perso dopo ogni sgombero.

A fronte di tutto ciò si continua a parlare di sgombero nei nostri confronti e non possiamo na-scondere e ribadire la nostra vo-lontà a difendere questo spazio perché esso non è del Guernica ma è un valore aggiunto per la città, e allora Le chiediamo di at-tivare i suoi strumenti per arrivare ad una soluzione definitiva del problema sperando vivamente che non si debba più parlare del Guernica solo come un problema di ordine pubblico.

Le ragazze e i ragazzi del Guernica - Modena

Il PMLI produce un grosso sforzo per far giungere alle mas-se la sua voce anticapitalista, antiregime neofascista e per l’Italia unita, rossa e socialista. I militanti e i simpatizzanti attivi del Partito stanno dando il mas-simo sul piano economico. Di più non possono dare.

Il PMLI fa quindi appello ai sinceri fautori del socialismo per aiutarlo economicamente, anche con piccoli contributi fi-nanziari. Nel supremo interes-se del proletariato e della causa del socialismo.

Più euro riceveremo più volan-tini potremo diffondere contro il governo della grande finanza, della UE e della macelleria so-ciale guidato da Monti.

Aiutateci anche economica-mente per combattere le illusio-ni elettorali, parlamentari, rifor-miste e governative e per creare una coscienza, una mentalità, una mobilitazione e una lotta rivoluzionarie di massa capaci di abbattere il capitalismo e il potere della borghesia e di isti-tuire il socialismo e il potere del proletariato. Grazie di cuore per tutto quello che potrete fare.

Consegnate i contributi nel-le nostre Sedi o ai nostri mili-tanti oppure inviate i contribu-ti al conto corrente postale n. 85842383, specificando la cau-sale, intestato a:

PMLIvia Gioberti, 10150121 FIRENZE

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N. 3 - 26 gennaio 2012 esteri / il bolscevico 15Imposto da Fmi e Ue

RIVOLTA POPOLARE IN ROMANIA CONTRO IL PIANO DI LACRIME E SANGUE E LA PRIVATIZZAZIONE DELLA SANITÀOltre 70 feriti nei 4 giorni di scontri con la polizia

PER CONTENERE LA CINA E TENERE SOTTO PRESSIONE L’IRAN

Obama rafforza la presenza militare degli Usa nel Pacifico e nel Golfo Persico

SOLDATI USA OLTRAGGIANO LA

RESISTENZA AFGHANA

Grecia

IL GOVERNO PAPADEMOS RIDUCE I SALARI DEI LAVORATORI

Iniziata nella sera del 12 gen-naio a Bucarest con scontri in piazza con la polizia cui partecipa-vano alcune decine di manifestan-ti, la protesta contro il piano di la-crime e sangue imposto dal Fondo monetario internazionale (Fmi) e la privatizzazione della sanità de-cisi dal governo di Emil Boc è sfo-ciata in una rivolta popolare che è dilagata nei giorni successivi dal-la capitale alle principali città del paese.

Migliaia di manifestanti sono scesi spontaneamente in piazza e si sono scontrati con la polizia a Bucarest, Cluj, Iasi, Targu-Mu-res e in altre località. Nelle prote-ste continuate per 4 giorni ci sono stati oltre 70 feriti e oltre 250 gli arrestati.

Il 15 gennaio una folla è sce-

sa in strada a Bucarest chiedendo le dimissioni del primo ministro, del suo governo e del presiden-te Traian Basescu. Il governo ha dovuto annunciare il ritiro seppur momentaneo della riforma sani-taria.

Ma sotto accusa è la politica di lacrime e sangue decisa dal gover-no per “ripianare il debito pubbli-co” e avere un contributo dal Fmi. Già nel 2010 il governo aveva ta-gliato del 15% le pensioni e del 25% gli stipendi dei dipendenti pubblici, falcidiando le già mise-re pensioni che in media sono di 160 euro al mese e i salari medi di circa 350 euro. Misure pesanti per avere in cambio dal Fmi e dal-l’Unione europea (Ue) un presti-to da 20 miliardi di euro che do-vrebbero permettere al paese di

uscire dalla crisi e diventare un paese “virtuoso”, secondo i para-metri Ue, con un livello di deficit dell’1,9% rispetto al prodotto in-terno lordo (pil).

Sotto la scure del governo Boc finiva anche la sanità, con un pro-getto che peggiorava la situazione negli ospedali pubblici e che pun-tava soprattutto alla privatizzazio-ne del settore. Un progetto che non piaceva nemmeno al ministro della Sanità, Raed Arafat, che lo criticava in un dibattito televisivo e durante il quale riceveva con una telefonata in diretta del presiden-te Traian Basescu l’invito a dimet-tersi. Arafat si dimetteva e il suo gesto diventava la “goccia che ha fatto traboccare il vaso”, afferma-va un manifestante sceso in piazza a Bucarest.

Il 5 gennaio il presidente ame-ricano Barack Obama e il suo mi-nistro della Difesa Leon Panetta hanno presentato la nuova “De-fence Strategic Guidance”, le li-nee guida per il bilancio della di-fesa americana per il 2013 e hanno pomposamente annunciato che “dopo un decennio di guerra gli Stati uniti stanno voltando pagi-na”. A partire dai tagli annunciati al bilancio della Difesa, pari a 450 miliardi di dollari in dieci anni, e da uno snellimento della forze ar-mate statunitensi.

In ogni caso il Pentagono non disarma, deve solo razionalizza-re l’uso delle risorse disponibili per rendere la sua macchina bel-lica ancora più efficiente, in gra-do di reggere a nuove sfide fra le quali quelle del contenimento del-la Cina e del mantenimento della pressione sull’Iran.

Panetta ha infatti chiarito che la nuova strategia ha come centro fo-cale il Medio Oriente e la regio-ne Asia/Pacifico, ovvero che gli Usa tengono sotto mira Iran e Si-ria e intendono contrapporsi mili-

tarmente alla Cina e alla Russia. Il presidente Obama ha annunciato che “anche se le nostre truppe con-tinuano a combattere in Afghani-stan, la marea della guerra sta calando” ma “gli Stati uniti man-terranno la propria superiorità mi-litare”, a cominciare dall’area del Pacifico. In altre parole l’enun-ciato che gli Usa “stanno voltan-do pagina”, riguarda solo la forma ma non la sostanza di un impegno militare imperialista che ha lo sco-po, come recita il titolo della nuo-va strategia, di “sostenere la lea-dership globale degli Usa”.

Come ha riconosciuto lo stes-so Obama “sin dall’11 settembre il budget della difesa è cresciuto ad un passo straordinario. Nei prossi-mi 10 anni, la crescita del budget della difesa rallenterà ma conti-nuerà a crescere. In effetti il bud-get continuerà ad essere più ampio di quello negli ultimi anni dell’era Bush”.

La spesa militare Usa è quasi raddoppiata nello scorso decennio e ammonta nel 2012 a oltre 900 miliardi di dollari che secondo va-

rie stime rappresentano il 43% di quella mondiale; supera il 50% di quella mondiale includendoci al-tre spese non del Pentagono ma di carattere militare. Fra le voci di spesa vi sono 118 miliardi per la guerra in Afghanistan e per le “at-tività di transizione in Iraq”.

Nel progetto di Obama saran-no ridotte le truppe, esercito e ma-rines. La nuova strategia testa-ta nella guerra alla Libia avrebbe confermato che il nuovo modo di fare una guerra vittoriosa a poten-ze di media grandezza si basa sul-la schiacciante superiorità aerea e navale. Aviazione e marina sono i due settori che saranno potenzia-ti. Assieme allo sviluppo di siste-mi d’arma ad alta tecnologia e per il controllo dello spazio, all’uso sempre maggiore dei servizi se-greti e delle forze speciali.

Leon Panetta da direttore del-la Cia aveva già accelerato la tra-sformazione dell’agenzia in una vera e propria organizzazione mi-litare che ha impiegato in misura crescente droni armati negli attac-chi in Afghanistan e Pakistan e co-

stituito basi segrete per le opera-zioni di commandos nello Yemen e in altri paesi. Le forze specia-li americane sono oggi dispiega-te in 75 paesi e sono affiancate da un numero crescente di mercenari di compagnie militari private, per condurre quella “guerra sporca” tanto cara a Bush e al suo succes-sore Obama. La guerra è condotta in forme meno visibili e con costi di cui le amministrazioni non de-vono rendere conto.

La crisi economica costringe Obama a tagli anche nel settore militare ma a conti fatti il budget del Pentagono rimane nel 2012 a livelli superiori a quelli del 2007 con Bush. E in ogni caso la cifra che gli Usa continueranno a spen-dere sarà superiore a quella di tutti gli altri 14 Stati messi assieme che li seguono in classifica. E non ci saranno limiti per le armi princi-pali, dai droni, gli aerei senza pilo-ta, impiegati in Afghanistan, Paki-stan e Iran, alle navi necessarie a confrontarsi con la crescente pre-senza militare di Pechino nel Paci-fico occidentale.

Ai primi di gennaio il premier greco Lucas Papademos ha an-nunciato che il suo governo dovrà adottare altre misure per ridurre i salari dei lavoratori, una manovra necessaria per avere altri finanzia-menti da parte di Fondo monetario internazionale (Fmi), Banca cen-trale europea (Bce) e Unione euro-pea (Ue), la famigerata troika che ha imposto le misure di lacrime e sangue anche al governo di Atene. “Senza un accordo (con la troika, ndr) e senza l’erogazione dei fi-nanziamenti ad esso collegati – ha sostenuto Papademos - la Grecia si troverà a marzo di fronte ad un pericolo di default incontrollato’’.

Ha bisogno della settima tranche di aiuti del valore di 5 miliardi di euro e quindi “l’unica strada per evitare un default” sarebbe il ta-glio dei salari. I lavoratori non ci stanno e continuano gli scioperi e le manifestazioni di protesta.

Il governo deve definire con i creditori un accordo per il taglio del 50% del debito pregresso, al-trimenti diventa difficile il pa-gamento della rata che scade nel marzo prossimo quando la Grecia deve pagare interessi per 14,4 mi-liardi di euro.

Per avere gli aiuti finanziari Pa-pademos mette nel piatto l’aboli-zione del salario minino, di tredi-

cesima e quattordicesima, i tagli negli stipendi di alcune catego-rie, nonché degli aumenti salariali periodici che contrattualmente ci sono ogni 3 o 5 anni. Con l’accor-do dei sindacati o senza. In parti-colare per i lavoratori statali, pa-rastatali e delle banche il primo ministro ha minacciato di interve-nire per legge “se non ci sarà un accordo tra le parti sociali”.

Una posizione gradita ai padro-ni che vorrebbero inoltre il conge-lamento degli stipendi per almeno due anni se non di più, la defini-zione di un tetto ai salari pari a 1.500 euro e l’annullamento del-l’aumento del 2,5% previsto dalla

contrattazione collettiva nel pros-simo luglio.

I lavoratori non ci stanno e il 17 gennaio sono scesi in sciopero quelli della regione di Attika. Le organizzazioni sindacali di Atene e Pireo hanno organizzato i cortei di protesta nella capitale per op-porsi al taglio dei salari e per chie-dere investimenti a favore dell’oc-cupazione.

I disoccupati solo nel mese di dicembre sono aumentati di 100.000 unità e hanno superato il numero di 900 mila, per un tasso di disoccupazione del 18,2%. Secon-do le statistiche ufficiali la popola-zione inattiva supera quella attiva.

Le immagini di un video ama-toriale che mostrano alcuni mari-nes Usa che urinano sui cadaveri di tre ribelli afghani appena ucci-si parlano da sole e hanno solleva-to una giusta indignazione tanto che la Casa Bianca non ha potuto che condannare il gesto e promet-tere punizioni. Le immagini testi-moniano un vergognoso oltraggio alla resistenza afghana, lo spregio con i quali quelli che portano “li-bertà e democrazia” nel mondo considerano i loro nemici.

Un portavoce dei talebani ha condannato il gesto e ricorda-to che non si tratta della prima “barbara azione” compiuta dagli americani in Afghanistan e verso i quali continueranno gli attacchi della resistenza.

Il vergognoso oltraggio di un gruppo di marines Usa sui cadaveri di tre ribelli della resistenza afghana

Bucarest (Romania), 15 gennaio 2012. In migliaia protestano nella piazza dell’Università contro la riforma sanitaria e le misure di austerity imposte dal governo

Gli autori del gesto sono quattro cecchini di un battaglione dei ma-rines, di stanza alla base di Camp Lejeune, in North Carolina. I quat-tro soldati e il cameraman che li ha filmati, erano recentemente tornati da una missione nel sud dell’Af-ghanistan, nella provincia di Hel-mand. Una volta alla base avevano orgogliosamente mostrato il video agli altri militari come fosse un trofeo di guerra. A qualcuno non è bastato e le immagini sono fini-te online, suscitando reazioni sde-gnate in tutto il mondo.

Il corpo dei Marines ha tenta-to di prendere le distanze con una nota ufficiale nella quale si affer-ma che “le azioni ritratte non sono in linea con i nostri valori fondan-

ti e non rappresentano l’atteggia-mento dei marine e del nostro cor-po”, come se l’episodio fosse il primo che vede coinvolti i mari-nes in Afghanistan come nel vici-no Iraq. Stessa solfa da parte del comando di occupazione Isaf in Afghanistan e da parte dei verti-ci dell’esercito Usa che definiva-no l’ignobile azione come un cri-mine di guerra in violazione della Convenzione di Ginevra. Il filma-to mostra anche uno dei soldati che si congeda augurando buona giornata al cadavere su cui aveva appena urinato.

Per placare le ire del presidente afghano Hamid Karzai sono dovu-ti intervenire il segretario di stato Hillary Clinton e il segretario alla Difesa Leon Panetta a promettere

indagini rapide. Per quanto riguar-da le punizioni è tutto da vedere. Una vicenda simile, quella del-le immagini pubblicate nel 2004 e scattate a Baghdad, all’inter-no della prigione di Abu Ghraib, che documentavano le torture ai prigionieri iracheni è finita con la sostanziale impunità degli autori delle torture e soprattutto dei re-sponsabili della prigione.

Un trattamento ben diverso da quello riservato al soldato Brad-ley Manning che rischia l’ergasto-lo per l’accusa di “collusione col nemico” e la “diffusione di infor-mazioni militari” per aver passato centinaia di migliaia di documenti riservati del governo americano al sito internet Wikileaks.

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