Il trionfo della morte - D'Annunzio - recensione

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 Zanatta Nicole 5 BL Il trionfo della morte Gabriele D’Annunzio Gabriele D’Annunzio, uno dei più importanti poeti italiani del suo tempo, nasce a Pescara nel 1863 e muore a Gardone Riviera nel 1938 da una famiglia borghese agiata, che lo ricopre di attenzioni anche  per la sua precocità intellettuale. Importante figura di spicco, abbandona presto gli studi, e trasferitosi a Roma, preferisce vivere tra salotti mondani e redazioni dei giornali, dosando perfettamente la propria attività e coltivando la  propria fama sia nell’ambito letterario che in quello mondano. Sono gli anni in cui l’autore si crea la maschera di quell’individuo superiore che fugge inorridito dalla mediocrità borghese e si rifugia in un mondo di pura arte, disprezzando la morale corrente e accettando come regola di vita solo il ‘bello’.  Nel 1892 D’Annunzio si accosta al pensiero del filosofo tedesco Nietzsche, e rimodella il ruolo del superuomo nietzschano conferendogli una superiorità sugli altri per il suo culto della bellezza, per la sua sensibilità artistica, ed inoltre gli conferisce un diritto di trasgredire le regole morali e sociali in virtù del proprio modo d’essere. È a questo punto che l’autore scrive nel 1894 ‘Il trionfo della morte’, uno dei suoi più importanti romanzi, nel quale intreccia un ritmo cupo ed ossessivo ad una tragica storia passionale. Il trionfo della morte è un esempio di romanzo psicologico, nel quale la trama le vicende cedono il  posto alla visione soggettiva del protagonista e all’esplorazione della sua coscienza, nella cui mente si svolge l’intera vicenda romanzesca. Romanzo dedicato a Francesco Paolo Michetti, in cui il poeta vuole interpretare gli aspetti dell’individualismo romantico e dell’estetismo europeo, rappresenta un  punto importante perché vi si avverte il primo contatto dell’autore con la filosofia di Nietzsche ed in  particolare con il mito del superuomo. Protagonista del romanzo è il giovane Giorgio Aurispa, un esteta alla ricerca di un significato alto e nobile da conferire alla propria esistenza, in contrapposizione alla volgarità e alla banalità della vita quotidiana, un emblema della condizione negativa dell’uomo moderno, che cerca in ogni modo di capire il senso della vita attraverso varie esperienze, tra le quali ritroviamo l’abbandono alla forte  passione sensuale per una giovane donna di nome Ippolita. Ma nel romanzo, fin dalle prime pagine, troviamo un senso di catastrofe incombente, la morte si presenta quasi subito ai due innamorati ed allora tutto si mescola e viene incentrato su quell’abisso incolmabile che separa gli individui da se stessi. Tutto appare vano, il protagonista si sente sempre più estraneo a se stesso e persino la presenza della donna amata diventa fastidiosa, diventa sinonimo di pericolo, quasi fosse un nemico, e l’unica soluzione al problema esistenziale del protagonista si rivela nella morte. Giorgio porta dentro di sé una disperazione inconsolabile, un mal di vivere che inevitabilmente lo porta alla morte, a quell’atto imprudente che finisce per coinvolgere anche Ippolita. Fino alla fine, amore e morte si intrecciano, dando un ritmo cupo e ossessivo al romanzo, quasi ipnotizzante. Il linguaggio immediato e quasi spoglio è assai musicale interiormente ed esprime così un’arte libera dalle convenzioni di struttura e di genere letterario, rendendo il romanzo scorrevole ma non per questo facile da comprendere: oltre a riferimenti a Nietzsche, ne troviamo anche a Verlaine e a Baudelaire, o ai simbolisti, e di conseguenza per essere compreso fino in fondo richiede una buona base letteraria. Vi sono abbandonanti ricorsi simbolici, come per il suicidio iniziale che già presagisce la morte del  protagonista, ma in realtà il romanzo utilizza le vicende dell’amore tra lo stesso D’Annunzio e Barbara Leoni per rappresentare ancora una volta la storia di un fallimento. Questa soggettività dell’impostazione narrativa è anche dovuta al peculiare carattere dell’eroe dannunziano, malato e gelosamente chiuso in se stesso, per il quale la realtà umana si rivela senza speranza, vuota ed inutile.

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Recensione del libro di D'Annunzio del 1894, Il trionfo della morte.

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Zanatta Nicole 5 BL

Il trionfo della morteGabriele D’Annunzio

Gabriele D’Annunzio, uno dei più importanti poeti italiani del suo tempo, nasce a Pescara nel 1863 emuore a Gardone Riviera nel 1938 da una famiglia borghese agiata, che lo ricopre di attenzioni anche

 per la sua precocità intellettuale.Importante figura di spicco, abbandona presto gli studi, e trasferitosi a Roma, preferisce vivere trasalotti mondani e redazioni dei giornali, dosando perfettamente la propria attività e coltivando la

 propria fama sia nell’ambito letterario che in quello mondano. Sono gli anni in cui l’autore si crea lamaschera di quell’individuo superiore che fugge inorridito dalla mediocrità borghese e si rifugia in unmondo di pura arte, disprezzando la morale corrente e accettando come regola di vita solo il ‘bello’.

 Nel 1892 D’Annunzio si accosta al pensiero del filosofo tedesco Nietzsche, e rimodella il ruolo delsuperuomo nietzschano conferendogli una superiorità sugli altri per il suo culto della bellezza, per la

sua sensibilità artistica, ed inoltre gli conferisce un diritto di trasgredire le regole morali e sociali invirtù del proprio modo d’essere. È a questo punto che l’autore scrive nel 1894 ‘Il trionfo della morte’,uno dei suoi più importanti romanzi, nel quale intreccia un ritmo cupo ed ossessivo ad una tragicastoria passionale.

Il trionfo della morte è un esempio di romanzo psicologico, nel quale la trama le vicende cedono il posto alla visione soggettiva del protagonista e all’esplorazione della sua coscienza, nella cui mente sisvolge l’intera vicenda romanzesca. Romanzo dedicato a Francesco Paolo Michetti, in cui il poetavuole interpretare gli aspetti dell’individualismo romantico e dell’estetismo europeo, rappresenta un

 punto importante perché vi si avverte il primo contatto dell’autore con la filosofia di Nietzsche ed in

 particolare con il mito del superuomo.Protagonista del romanzo è il giovane Giorgio Aurispa, un esteta alla ricerca di un significato alto enobile da conferire alla propria esistenza, in contrapposizione alla volgarità e alla banalità della vitaquotidiana, un emblema della condizione negativa dell’uomo moderno, che cerca in ogni modo dicapire il senso della vita attraverso varie esperienze, tra le quali ritroviamo l’abbandono alla forte

 passione sensuale per una giovane donna di nome Ippolita. Ma nel romanzo, fin dalle prime pagine,troviamo un senso di catastrofe incombente, la morte si presenta quasi subito ai due innamorati edallora tutto si mescola e viene incentrato su quell’abisso incolmabile che separa gli individui da sestessi. Tutto appare vano, il protagonista si sente sempre più estraneo a se stesso e persino la presenzadella donna amata diventa fastidiosa, diventa sinonimo di pericolo, quasi fosse un nemico, e l’unicasoluzione al problema esistenziale del protagonista si rivela nella morte. Giorgio porta dentro di sé unadisperazione inconsolabile, un mal di vivere che inevitabilmente lo porta alla morte, a quell’attoimprudente che finisce per coinvolgere anche Ippolita. Fino alla fine, amore e morte si intrecciano,dando un ritmo cupo e ossessivo al romanzo, quasi ipnotizzante.

Il linguaggio immediato e quasi spoglio è assai musicale interiormente ed esprime così un’arte liberadalle convenzioni di struttura e di genere letterario, rendendo il romanzo scorrevole ma non per questofacile da comprendere: oltre a riferimenti a Nietzsche, ne troviamo anche a Verlaine e a Baudelaire, o aisimbolisti, e di conseguenza per essere compreso fino in fondo richiede una buona base letteraria.Vi sono abbandonanti ricorsi simbolici, come per il suicidio iniziale che già presagisce la morte del

 protagonista, ma in realtà il romanzo utilizza le vicende dell’amore tra lo stesso D’Annunzio e Barbara

Leoni per rappresentare ancora una volta la storia di un fallimento. Questa soggettivitàdell’impostazione narrativa è anche dovuta al peculiare carattere dell’eroe dannunziano, malato egelosamente chiuso in se stesso, per il quale la realtà umana si rivela senza speranza, vuota ed inutile.

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Infatti persino l’amore per Ippolita alla fine non è capace di dare alcuna consolazione al protagonista, e per questa ragione non rimane gli altra scelta se non quella di porre fine a quel ‘mal di vivere’ che gli èinsopportabile.

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