Potere Che Frena Recensione

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* 59 MERCOLEDÌ 27 FEBBRAIO 2013 CULTURA C’ è un passo enigmatico, nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi (2, 6-7) at- tribuita a S. Paolo, su cui si è esercitata una schiera di esegeti, antichi e moderni, senza mai venirne definitivamente a ca- po. In esso si fa riferimento a un katechon che trattiene il trionfo finale del male, ri- tardando così anche il suo annienta- mento da parte del Signore. Il “mistero”, come l’autore stesso lo definisce, conte- nuto in questo testo riguarda insieme il soggetto e il significato del katechon. Chi, o cosa, è questa forza che frena al con- tempo lo scatenamento del male e la vit- toria del bene? E come, tale funzione, va interpretata — come espressione diabo- lica o come forza spirituale? La questione torna ad essere interrogata, con straordi- naria acutezza analitica, da Massimo Cacciari in un piccolo, ma denso, libro appena edito da Adelphi col titolo Il pote- re che frena. Saggio di teologia politica. Nella sua interpretazione, natural- mente, non è in gioco solo il senso di quel passo e l’identità della figura che esso evoca, ma l’intero rapporto tra teologia e politica — il ruolo del potere e la ma- schera della sovranità, il contrarsi del tempo e l’immagine dell’eternità, il tra- vaglio del cristianesimo e il destino del mondo contemporaneo. Il presupposto da cui Cacciari parte è che tra teologia e politica vi sia una relazione ineliminabi- le. Non solo nel senso, teorizzato da Carl Schmitt, che i principali concetti politici abbiano un’origine teologica. E neanche in quello, affermato dal grande egittolo- go Jan Assmann, che le categorie teologi- che contengano un originario nucleo po- litico. Ciò che presuppone Cacciari è un rapporto insieme più vincolante e più contraddittorio. E cioè che la vita religio- sa abbia già in sé un impulso politico, co- sì come un autentico operare politico non possa mai smarrire la propria radice spirituale. La drammatica figura del katechon si situa precisamente all’incrocio di queste traiettorie — rendendole, se è possibile, ancora più impervie. Intanto non è chia- ro chi storicamente lo incarni. Gli inter- preti sono divisi — la maggioranza di es- si pensa alla potenza dell’impero roma- no, altri all’apparato istituzionale della Chiesa. In nessuno dei casi, tuttavia, il mistero del katechon sembra sciogliersi, acquietarsi in una soluzione soddisfa- cente. Certamente esso si pone in un tempo ultimativo. L’età presente sta per finire — questa è la convinzione della co- munità cristiana cui Paolo dà voce. Ma come avverrà tale fine? E cosa ci sarà do- po di essa — un’altra epoca o l’Evo eter- no, la fine gloriosa della storia? Che il soggetto del katechon sia l’Im- pero oppure la Chiesa, resta la domanda di fondo. Come comporre gli opposti — tempo ed eternità, potere e bene, forza e giustizia? L’un termine non renderà va- no l’altro? Per trattenere il male, sia l’Im- pero sia la Chiesa non possono fare a me- no di usare quel potere che ad esso è con- naturato. Perciò il katechon, qualunque cosa sia, opera sempre con le armi del Nemico dello Spirito. Ciò è ben visibile nelle vicende sanguinose dell’Impero romano; ma risulta altrettanto evidente nella storia della Chiesa, da sempre im- pastata con le forze che combatte, inca- pace di rispondere alla parola purissima da cui nasce. Certo, entrambi, Impero e Chiesa guardano oltre il proprio tempo, si fanno carico di una missione universa- le. Ma per produrre novitas — per dare espressione veritiera alla propria epoca — essi devono prima di tutto durare, conservarsi, con ogni mezzo possibile, compresi l’inganno e la violenza. Le pagine di Cacciari restituiscono a pieno l’intensità di questo dramma. Il bene non è rappresentabile dal potere, ma per realizzarsi, sia pure imperfetta- mente, in questo mondo, è costretto a far ricorso ad esso. Così le due autorità che per un millennio hanno combattuto per assicurarsi il governo, politico e spiritua- le, degli uomini, si sono a lungo spec- chiate l’una nell’altra. Agostino e Dante sono i due grandi interpreti di questo scontro epocale. Il primo destituendo di ogni sacralità il potere dell’impero. Il se- condo, cercando in esso il necessario contraltare alla potenza della Chiesa. Nonostante questa divergenza profon- da, per entrambi le due città non soltan- to sono divise tra loro, ma divise anche al loro interno tra i salvi e i reprobi, tra colo- ro che limitano lo sguardo al proprio in- teresse e coloro che lo allargano all’inte- ra comunità. Nulla meglio della figura del Grande Inquisitore di Dostoevskij rappresenta questo tragico conflitto. Con lui il male ha già vinto. Dando per scontata l’inca- pacità dell’uomo a sostenere la libertà, egli si è posto a fianco dell’Anticristo. Ep- pure anche nella sua maschera esangue traspare qualcosa dell’antica battaglia, come una eco non spenta di quell’an- nuncio che, dolorosamente, ha tradito. C’è anche questa infinita nostalgia nel bacio livido che egli depone sulle labbra di Cristo. L’Inquisitore è l’ultimo rappre- sentante di quella vicenda prometeica che ha scandito la storia del mondo, so- spendendola allo scontro senza esito tra verità e potere. Dopo di lui non resta che il compi- mento del nichilismo — il tempo dell’ul- timo uomo di cui parla Nietzsche. In es- so non trapela più il raggio di una possi- bile redenzione. Ma non si avverte nean- che il frastuono dell’apocalisse. Piutto- sto il deserto del nulla — la gestione tec- nica come forma anomica dell’età globale. Esaurito lo spazio del sacro, vie- ne meno anche quello del politico che ad esso corrisponde. Senza la polarità teo- logica non si dà vera politica. Natural- mente ciò vale, se regge il presupposto di partenza di tutto il discorso — e cioè il ra- dicamento originariamente teologico del politico e viceversa. Che così sia, Cac- ciari lo dà per scontato. Ma si tratta del- l’unica verità possibile? O non è un effet- to ottico della stessa macchina teologi- co-politica che egli analizza, situandosi al suo interno? E ancora — qual è oggi il compito della filosofia contemporanea? Scendere sempre più a fondo dentro questo tragico viluppo o tentare di aprire un nuovo orizzonte di pensiero, con tut- to il rischio che ciò comporta? Il dibattito che si va aprendo sulla teologia politica ha per posta questa questione decisiva. © RIPRODUZIONE RISERVATA Come risulta dalla storia, la Chiesa è da sempre impastata con le forze che dovrebbe combattere Nella nostra epoca assistiamo al trionfo del nulla, che diventa gestione tecnica dello spazio globale Un saggio di Massimo Cacciari affronta una classica controversia da San Paolo fino a Nietzsche e Carl Schmitt ROBERTO ESPOSITO La scoperta TROVATE 50 POESIE DI RUDYARD KIPLING LONDRA — Sono tornate alla luce 50 poesie ine- dite di Rudyard Kipling (1865-1936), l’autore del Libro della giungla. Lo studioso americano Tho- mas Pinney, professore emerito di inglese all’Università della Ca- lifornia, ha scoperto i manoscrit- ti in un archivio newyorchese di un ex dirigente della Cunard Li- ne, la più importante compagnia di navigazione britannica. I componimenti sconosciuti si aggiungono ai 1.300 già noti del- lo scrittore la cui opera completa in tre volumi sarà pubblicata il prossimo 7 marzo in Gran Bretagna con il titolo Cambridge Edition of The Poems of Rudyard Ki- pling. I versi, leggeri o con riferimenti agli even- ti del tempo, sono datati all’inizio del Novecen- to, alla vigilia della Grande Guerra. IL LIBRO Il potere che frena di Massimo Cacciari Adelphi pagg. 211 euro 13 SE LA RELIGIONE SI SPORCA COL POTERE TEOLOGIAePOLITICA

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MERCOLEDÌ 27 FEBBRAIO 2013

la Repubblica

CULTURA

C’è un passo enigmatico,nella Seconda Lettera aiTessalonicesi (2, 6-7) at-tribuita a S. Paolo, su cuisi è esercitata una

schiera di esegeti, antichi e moderni,senza mai venirne definitivamente a ca-po. In esso si fa riferimento a un katechonche trattiene il trionfo finale del male, ri-tardando così anche il suo annienta-mento da parte del Signore. Il “mistero”,come l’autore stesso lo definisce, conte-nuto in questo testo riguarda insieme ilsoggetto e il significato del katechon. Chi,o cosa, è questa forza che frena al con-tempo lo scatenamento del male e la vit-toria del bene? E come, tale funzione, vainterpretata — come espressione diabo-lica o come forza spirituale? La questionetorna ad essere interrogata, con straordi-naria acutezza analitica, da MassimoCacciari in un piccolo, ma denso, libroappena edito da Adelphi col titolo Il pote-re che frena. Saggio di teologia politica.

Nella sua interpretazione, natural-mente, non è in gioco solo il senso di quelpasso e l’identità della figura che essoevoca, ma l’intero rapporto tra teologia epolitica — il ruolo del potere e la ma-schera della sovranità, il contrarsi deltempo e l’immagine dell’eternità, il tra-vaglio del cristianesimo e il destino delmondo contemporaneo. Il presuppostoda cui Cacciari parte è che tra teologia epolitica vi sia una relazione ineliminabi-le. Non solo nel senso, teorizzato da CarlSchmitt, che i principali concetti politiciabbiano un’origine teologica. E neanchein quello, affermato dal grande egittolo-go Jan Assmann, che le categorie teologi-che contengano un originario nucleo po-litico. Ciò che presuppone Cacciari è unrapporto insieme più vincolante e piùcontraddittorio. E cioè che la vita religio-sa abbia già in sé un impulso politico, co-sì come un autentico operare politiconon possa mai smarrire la propria radicespirituale.

La drammatica figura del katechon sisitua precisamente all’incrocio di questetraiettorie — rendendole, se è possibile,ancora più impervie. Intanto non è chia-ro chi storicamente lo incarni. Gli inter-preti sono divisi — la maggioranza di es-si pensa alla potenza dell’impero roma-no, altri all’apparato istituzionale dellaChiesa. In nessuno dei casi, tuttavia, ilmistero del katechon sembra sciogliersi,acquietarsi in una soluzione soddisfa-cente. Certamente esso si pone in untempo ultimativo. L’età presente sta perfinire — questa è la convinzione della co-munità cristiana cui Paolo dà voce. Macome avverrà tale fine? E cosa ci sarà do-po di essa — un’altra epoca o l’Evo eter-no, la fine gloriosa della storia?

Che il soggetto del katechon sia l’Im-pero oppure la Chiesa, resta la domandadi fondo. Come comporre gli opposti —tempo ed eternità, potere e bene, forza egiustizia? L’un termine non renderà va-

no l’altro? Per trattenere il male, sia l’Im-pero sia la Chiesa non possono fare a me-no di usare quel potere che ad esso è con-naturato. Perciò il katechon, qualunquecosa sia, opera sempre con le armi delNemico dello Spirito. Ciò è ben visibilenelle vicende sanguinose dell’Imperoromano; ma risulta altrettanto evidentenella storia della Chiesa, da sempre im-pastata con le forze che combatte, inca-pace di rispondere alla parola purissimada cui nasce. Certo, entrambi, Impero eChiesa guardano oltre il proprio tempo,si fanno carico di una missione universa-le. Ma per produrre novitas — per dareespressione veritiera alla propria epoca— essi devono prima di tutto durare,conservarsi, con ogni mezzo possibile,compresi l’inganno e la violenza.

Le pagine di Cacciari restituiscono apieno l’intensità di questo dramma. Ilbene non è rappresentabile dal potere,ma per realizzarsi, sia pure imperfetta-mente, in questo mondo, è costretto a farricorso ad esso. Così le due autorità cheper un millennio hanno combattuto perassicurarsi il governo, politico e spiritua-le, degli uomini, si sono a lungo spec-chiate l’una nell’altra. Agostino e Dantesono i due grandi interpreti di questoscontro epocale. Il primo destituendo diogni sacralità il potere dell’impero. Il se-condo, cercando in esso il necessariocontraltare alla potenza della Chiesa.

Nonostante questa divergenza profon-da, per entrambi le due città non soltan-to sono divise tra loro, ma divise anche alloro interno tra i salvi e i reprobi, tra colo-

ro che limitano lo sguardo al proprio in-teresse e coloro che lo allargano all’inte-ra comunità.

Nulla meglio della figura del GrandeInquisitore di Dostoevskij rappresentaquesto tragico conflitto. Con lui il maleha già vinto. Dando per scontata l’inca-pacità dell’uomo a sostenere la libertà,egli si è posto a fianco dell’Anticristo. Ep-pure anche nella sua maschera esanguetraspare qualcosa dell’antica battaglia,come una eco non spenta di quell’an-nuncio che, dolorosamente, ha tradito.C’è anche questa infinita nostalgia nelbacio livido che egli depone sulle labbra

di Cristo. L’Inquisitore è l’ultimo rappre-sentante di quella vicenda prometeicache ha scandito la storia del mondo, so-spendendola allo scontro senza esito traverità e potere.

Dopo di lui non resta che il compi-mento del nichilismo — il tempo dell’ul-timo uomo di cui parla Nietzsche. In es-so non trapela più il raggio di una possi-bile redenzione. Ma non si avverte nean-che il frastuono dell’apocalisse. Piutto-sto il deserto del nulla — la gestione tec-nica come forma anomica dell’etàglobale. Esaurito lo spazio del sacro, vie-ne meno anche quello del politico che ad

esso corrisponde. Senza la polarità teo-logica non si dà vera politica. Natural-mente ciò vale, se regge il presupposto dipartenza di tutto il discorso — e cioè il ra-dicamento originariamente teologicodel politico e viceversa. Che così sia, Cac-ciari lo dà per scontato. Ma si tratta del-l’unica verità possibile? O non è un effet-to ottico della stessa macchina teologi-co-politica che egli analizza, situandosial suo interno? E ancora — qual è oggi ilcompito della filosofia contemporanea?Scendere sempre più a fondo dentroquesto tragico viluppo o tentare di aprireun nuovo orizzonte di pensiero, con tut-to il rischio che ciò comporta? Il dibattitoche si va aprendo sulla teologia politicaha per posta questa questione decisiva.

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Come risulta dallastoria, la Chiesaè da sempre impastatacon le forze chedovrebbe combattere

Nella nostra epocaassistiamo al trionfodel nulla, che diventagestione tecnicadello spazio globale

Un saggio di Massimo Cacciari affronta una classica controversia da San Paolo fino a Nietzsche e Carl Schmitt

ROBERTO ESPOSITO

La scoperta

TROVATE 50 POESIEDI RUDYARD KIPLING

LONDRA — Sono tornate alla luce 50 poesie ine-dite di Rudyard Kipling (1865-1936), l’autore delLibro della giungla. Lo studioso americano Tho-mas Pinney, professore emeritodi inglese all’Università della Ca-lifornia, ha scoperto i manoscrit-ti in un archivio newyorchese diun ex dirigente della Cunard Li-ne, la più importante compagniadi navigazione britannica. Icomponimenti sconosciuti siaggiungono ai 1.300 già noti del-lo scrittore la cui opera completain tre volumi sarà pubblicata ilprossimo 7 marzo in Gran Bretagna con il titoloCambridge Edition of The Poems of Rudyard Ki-pling. I versi, leggeri o con riferimenti agli even-ti del tempo, sono datati all’inizio del Novecen-to, alla vigilia della Grande Guerra.

IL LIBRO

Il potereche frenadi MassimoCacciariAdelphipagg. 211euro 13

SE LA RELIGIONE SI SPORCA COL POTERETEOLOGIA ePOLITICA

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MERCOLEDÌ 27 FEBBRAIO 2013

la Repubblica

seminati nell’arco di cin-quant’anni su diversi giornali e ri-viste (la Fiera letteraria, Mondooperaio), testimonianza appuntodi incontri con la poesia, talvoltamolto congeniale all’autore, tal-volta meno. Pagine che diventanoun corpus di notevole impatto perchi voglia, come suggerisce Bec-caria nella prefazione, recuperareanche voci perdute o semplice-mente accantonate nel corso deltempo. Caproni con queste voci,più che intavolare un discorso cri-tico, semplicemente dialogava edera felice se il dialogo continuavanegli anni. Con la poesia friulanadi Pasolini ci fu una specie di col-po di fulmine, poi i due si frequen-tarono a Roma quasi quotidiana-mente negli anni Cinquanta. «Permolto tempo ci siamo visti quasiogni giorno», ricordava Caproni.«Mi veniva a trovare nella minu-scola casa Incis dove da poco ave-vo trovato alloggio, dirimpetto allussuoso appartamento di Berto-lucci… Era povero quanto me:forse più di me, che non avevo

nemmeno una sedia da offrirgli».«Un poeta esemplare per il ni-

tore e la fermezza della propriaparola», dice ancora Caproni, lacui poesia cresce e si confrontacon quella di Pasolini specie all’al-tezza delle Ceneri di Gramsci. Maqui rimando al saggio introdutti-vo di Raffaella Scarpa che analizzaquesto e altri rapporti in mododettagliato. Piaceva a Caproni chePasolini uscisse dal frammenti-smo per ritentare a suo modo unaforma chiusa della poesia. Dellapoesia Caproni ci dà svariate defi-nizioni: gli appare in concorrenzacon la storia, ma anche leggera.Dice a proposito di una raccolta diLeonardo Sinisgalli: «La poesia, sisa, è leggera come una piuma, piùd’una piuma, addirittura comel’aria». Però se qualcuno insidia lapoesia, la sua poesia, ecco subitouna difesa molto accorta. Così difronte al gioco erudito del latinistae scrittore Luca Canali che hacompilato una antologia di imita-zioni, Alla maniera di, in cui è pre-sente anche un apocrifo di Capro-ni, si sente spinto a intervenire eprecisare che certi vocaboli usatidall’imitatore proprio non gli ap-partengono. E c’è una piccola do-se di malizia nell’incipit del pezzo,quando dice: «Di solito a fare ilverso a qualcuno ci provan gusto ibambini, o le scimmie».

Dunque la poesia è sì leggera,ma leggera non vuol dire labile, néinconsistente. «Non ho mai di-menticato l’emozione che mi die-de, tanti anni fa, il mio primo in-contro con la poesia d’AlfonsoGatto», racconta Caproni, alloraancora a Genova e studente di vio-

lino, che aveva sottratto qualchecentesimo destinato a pagare lalezione di musica per comprarsi larivista con i versi di Gatto, Erba elatte. Una poesia che entra imme-diatamente nel sangue, conclude,ribadendo che Osteria flegrea glirinnova quell’antica sensazione.Aver bisogno della poesia signifi-ca anche impossessarsene adogni costo. Caproni confessa a uncerto punto di aver sottratto dallabiblioteca di un avvocato dove fa-ceva pratica Allegria di naufragidiUngaretti.

Navigando tra le recensioni,che come si è visto nascondonospesso dei piccoli racconti o con-fessioni autobiografiche, è possi-bile ricostruire la mappa dei poetifrequentati da Caproni. I liguri,per i quali proprio Caproni inven-ta la cosiddetta “linea ligustica”,hanno un posto di rilievo, da Cec-cardo a Sbarbaro, passando per ifratelli Novaro. Poi c’è AdrianoGrande e la rivista Circoli, ma sipuò dire che dei liguri Caproninon trascura nessuno, che sianopoeti o meno. Frequenta il pen-siero del filosofo Giuseppe Rensi,rende omaggio a Boine e natural-mente a Montale. Ma Sbarbaro èuna sorta di stella fissa e credo sisentisse vicino a lui anche per ilmodo di vivere, austero e apparta-to, studiando i licheni e facendotraduzioni. Uscendo dalla Liguriaè con il toscano Betocchi che Ca-proni costruisce un solido rap-porto, perché, ancora una volta,guarda una poesia nella quale sipuò specchiare, fatta di azionisemplici e di semplici oggetti. Pro-seguendo negli anni è invece congli sperimentali che Caproni legapoco. Lo aveva già detto Bianca-maria Frabotta in un suo bel sag-gio (Officina edizioni 1993).

Una volta Beniamino Placido,turbato dalla scoperta che Mon-tale si servisse di Henry Furst perfarsi scrivere delle recensioni chepoi lui firmava, se la prese un po’anche con Caproni. Aveva sentitoalla radio una sua poesia in cuiconfessava di buttar via «il libro dimerda» che aveva dovuto recensi-re. Caproni rispose che la poesianon era esattamente così e la pa-rola “merda”, a lui del resto pococongeniale, usata come interie-zione non si riferiva al libro. Ca-proni era invece un recensore ingenere attento e appassionato.Bastava una plaquette di VanniScheiwiller a metterlo di buonu-more.

Tra tante pagine mi piace isolare un’immagine: Giorgio Capro-ni, poeta e maestro elementare, è nella sua classe un poco pri-ma che entrino i suoi ventitré bambini. Fa freddo, Caproni si ap-poggia al calorifero acceso per la prima volta quel giorno (è il 26

novembre) e legge un libro di poesia, La capanna indianadi Attilio Ber-tolucci. Lo stesso libro, racconta ancora Caproni, rimasto tutto il giornonell’orecchio, viene ripreso a casa, la sera, dove però non ci sono ter-mosifoni e la famiglia si scalda alla margherita del gas. La poesia, ci dicesommessamente Caproni, fa parte della vita e alla vita è necessaria. Al-la vita di tutti i giorni, con i suoi umili riti e i suoi semplici oggetti. In-contrare la poesia è dunque un piccolo miracolo ed è bello che si ripeta.

Questo è un po’, in estrema e certo sgraziata sintesi, il succo delle pro-se critiche di Caproni che ora l’editore Aragno pubblica in quattro volu-mi (oltre duemila pagine) a cura di Raffaella Scarpa (una cura durataquindici anni) e con una prefazione di Gian Luigi Beccaria. Sono scritti

In quattro volumi le prose critiche dell’autore livornese

CAPRONI, UNA POESIAPER OGNI GIORNO

PAOLO MAURI

I VOLUMI

Prose critichedi GiorgioCaproni(Aragno,4 volumi,pagg. 2168,euro 150)

IL LIBRO

On the Mapdi SimonGarfield(ProfileBooksPagg. 464euro 17,74)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Cinquant’annidi saggi su Montale,Pasolini, Ungarettie Gatto. E sulla suaidea di letteratura

Nel nuovo libro,Simon Garfieldracconta abbaglie stranezzedella cartografiafino a Google

Città e isole che non c’eranotutti gli errori delle mappe

ATLANTIDEULTIMAFERMATA

Potevano sollevare montagne, spostare continenti, radere alsuolo intere città o erigerle dal nulla in pochi secondi: il tuttosenza nemmeno lasciare la scrivania. Erano i cartografi, raz-za speciale d’uomini in bilico tra scienza ed arte, ormai estin-ti per far posto alle mappe digitali e al Gps. A raccontare le lo-

ro gesta più eclatanti è l’inglese Simon Garfield, giornalista per l’Inde-pendente l’Observer, nel saggio On the Map: A Mind-expanding Explo-ration of the Way the World Looks (Profile Books, pagg. 464, euro 17,74).

«C’è un vero e proprio mondo parallelo al nostro, per certi versi im-maginario — le sue fattezze mutano senza sosta — e per altri ancora piùreale di quello in cui viviamo, perché espressione dei nostri desideri diconquista e di esplorazione», spiega Garfield a Repubblica. «È il mon-do delle mappe. Solo lì, una catena montuosa può apparire all’im-provviso, esistere per un secolo e poi svanire in un batter d’occhio: suc-

non erano mai esistite» spiegaGarfield.

«Allo stesso modo, nel 1622, laCalifornia si staccò dal continen-te americano…». Non fu un cata-clisma geologico, sia chiaro, mauna svista che si moltiplicò a di-smisura. Il responsabile fu il frateAntonio de la Ascensión, che ri-cordando (con qualche incertez-za) un suo viaggio di vent’anni

prima disegnò una mappa che ri-traeva la California come un’iso-la. L’errore è riprodotto nel 1624in una mappa olandese e nel 1625il matematico Henry Briggs in unarticolo accompagnato dallamappa scrive della «grande e pro-sperosa isola di California». Da lìsi propaga in centinaia di mappe.Fino a quando, nel 1747, Ferdi-nando VII di Spagna, in un decre-

to regio sull’inesistenza del “Pas-saggio a Nord Ovest”, sente il bi-sogno di ricordare a tutti: «La Ca-lifornia non è un’isola».

«L’infernale moltiplicazionedegli errori era il frutto dell’anticaabitudine dei cartografi di copiar-si tra loro» commenta Garfield.«D’altronde i luoghi fittizi, ma in-seriti nelle mappe a bella posta,sono diventati col tempo uno

strumento utile a smascherare iplagi. E lo sono ancora oggi». Adesempio nel 2001 lo OrdnanceSurvey inglese ottenne 20 milionidi sterline dalla Automobile Asso-ciation che aveva copiato dellemappe riproducendo degli errorideliberatamente commessi daicartografi originali. In altri casi iluoghi inesistenti sono occasionidi sfogo per la vanità, come l’ine-sistente “Mount Richard” che ap-parve come appendice delleMontagne Rocciose negli anniSettanta, ma solo nelle mappe di-segnate da Richard Ciacci. Oppu-re celano uno spirito goliardico. Èil caso delle città fittizie di GoblueBeatosu inserite nel 1978 nellamappa ufficiale dello stato delMichigan da Peter Fletcher, pre-sidente della State HighwayCommission ed ex studente del-l’Università del Michigan comeomaggio al motto «Go blue!» deifan della squadra universitaria, edileggio agli arcirivali della squa-dra della Ohio State University(OSU): «Beat osu!» («battete gliOsu!»).

Tale è il potere del cartografo,

Per una svistanel 1622la Californiasi staccòdall’America

GIULIANO ALUFFI

cesse così per le montagne diKong». A inventarle fu nel 1798l’inglese James Rennell, che pureera uno dei cartografi più abilidell’epoca nonché uno dei fon-datori della Royal GeographicalSociety. La sua topica appare indue mappe allegate al più impor-tante libro di viaggi del tempo:Viaggio all’internodell’Africadel-l’esploratore scozzese MungoPark. Laddove Park raccontava diaver visto solo due o tre monti,Rennell li unì tutti insieme inven-tandosi una catena dall’attualeCosta d’Avorio alla Nigeria. «Dal1798 al 1892 le montagne di Kongcomparvero su almeno 40 mappee nel 1804 il cartografo tedescoJohann Reinecke, con commo-vente eccesso di zelo, le illustrò inun atlante ricoprendone addirit-tura le cime di neve. A raderle alsuolo, per così dire, fu l’ufficialefrancese Louis-Gustave Binger:nel 1888, durante una missione diesplorazione del fiume Niger,semplicemente si accorse che

LA CALIFORNIA

La California come isola in una mappaolandese del 1650

IL RITRATTO

Claudius Ptolemy, cartografo, ritrattosulla mappa Waldseemüller (1507)

I casi