IL SUICIDA PER FAME* L’INFANZIA TRADITA Elogio funebre · 2014. 6. 8. · ai livelli più infimi....

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mensile di cultura politica costume www.ilpensierolibero.it Aprile 2014 - Anno V - N. 4 L’INFANZIA TRADITA N on è vero che la pedagogia sia utile; non è vero che famiglia e scuola siano gli ambienti, dove i bambini sono più sicuri. Bi- sogna procedere con le negazioni, con la cancellazione di luoghi comuni e di affermazioni scontate, per rendersi conto di quanto il mondo sia caduto. Oggi gli unici convegni, che potrebbero tenersi sui grandi temi dell’infanzia, dovrebbero avere per titolo sempli- cemente “L’Infanzia tradita”. Qualcuno dirà che il problema è antico e che nella tradizione giu- daico cristiana vi è il tentato assassinio del figlio Isacco da parte del padre Abramo. Per carità! Non si possono istituire confronti! Era stato Dio ad or- dinarlo, ma solo per vedere se l’uomo avesse obbedito sino in fondo, salvo frenare la sua mano all’ultimo momento. Bel modo, però, di sperimentare la fedeltà di una persona. Signifi- cava sancire il diritto di vita e di morte del genitore sul figlio, fis- sare l’etica della ragion di Dio e, poi, quella di stato, sino a giungere ai livelli più infimi. Distingui di responsabilità o falsi pietismi non servono, comunque ed in ogni caso, a riscattare od annullare il profondo tradimento che le società perpetrano nei confronti dell’infanzia. Nella famiglia il tradimento si compie con le sindromi di Crono e di Medea. Crono, il padre degli dei, divora i figli per non essere spodestato. Medea, tradita, uccide per vendetta i figli e li offre in vi- sione a Giasone, il padre traditore. È mitologia, ma le radici del rac- conto sono vere. Uccidere i figli, perché in entrambe le sindromi i bambini vengono giustiziati, indica la volontà di possesso ed insieme il desiderio di negazione di se stessi. È una condizione paradossale, contradditto- ria, tipica dei grandi scontri psicologici, che la cultura greca seppe elaborare e che ci ha consegnato, come se duemila e più anni non siano mai passati. È un fenomeno da studiare, liberandosi però da ogni pregiudizio di tipo morale. Analizziamo gli infanticidi, da parte delle madri. Negli ultimi venti anni gli episodi si sono moltiplicati ed in quasi tutti i casi le madri negano di averlo fatto, cioè rifiutano se stesse, eliminando le loro creature. A Cogne agli inizi del decennio (caso Franzoni), come a Lecco di recente, dove sono stati uccisi tre adolescenti a colpi di coltello, l’orrore per l’efferatezza si trasforma in un atteggiamento di stu- pita pietà da parte di una società, che vuole negare i fenomeni ed in- sieme rimuovere se stessa. Anche gli infanticidi da parte dei padri sono statisticamente au- mentati. Sia che nascano da un disagio interno alla famiglia, sia che provengano da un disagio sociale, comune è il desiderio di non la- sciare alcun segno di sé agli altri e di non delegare la funzione di padre, che nell’inconscio resta sempre anche quella di padrone. Difficile leggere una società con questi elementi. E le altre agenzie formative? La scuola è un laboratorio perfetto, per individuare i tradimenti che si commettono verso infanzia ed adolescenza, anche se la legge del “non vedere” sembra avvolgere in una cortina di silenzio i tanti drammi del quotidiano. La Chiesa non è priva di colpe, fortissime, enormi, senza appello. Così le altre forme di struttura sociale, quelle che organizzano gli sport o i divertimenti. In questa galleria, in cui i ritratti degli orchi sembrano sogghignare sinistramente, trovano largo spazio anche uccisioni e violenze impietose verso bambini, colpevoli di appar- tenere a famiglie legate a bande criminali o di trovarsi al posto sba- gliato durante i continui agguati delle organizzazioni mafiose. Organizziamo le fiaccolate, pensando di esorcizzare il male. Ma è tutto abbastanza inutile, se non riusciamo ad analizzare e com- prendere le profonde trasformazioni del sistema sociale. A Lecco le indagini della polizia scientifica hanno rilevato che una delle bambine, uccise dalla madre, si era ribellata ed aveva cercato disperatamente di difendersi. Molto probabilmente aveva già ini- ziato a perdere, da tempo, la fiducia assoluta nei confronti della madre e della famiglia. In altre circostanze i figli si sono abbando- nati senza riserve, sicuri, alla volontà dei genitori. A Taranto, nell’agguato mafioso in cui è stato ucciso un bimbo di tre anni, a bordo dell’auto vi erano altri due bambini, rimasti illesi. Hanno dichiarato “candidamente” di essersi salvati, perché si sono finti morti. Ma che razza di educazione hanno ricevuto? Hanno solo imparato a non fidarsi della società, a muoversi nella finzione. Due vicende radicalmente diverse ci dicono la stessa cosa. Infanzia ed adolescenza non si abbandonano più con fiducia alla famiglia e non credono nella società e nelle sue forme. Ed allora fingersi morti, può rappresentare l’ultima ed unica forma di sopravvivenza. editoriale di Francesco Fasolino di Mimmo Cozzolino* La grande risorsa deLL’itaLia: i giacimenti cuLturaLi Caro Gerardo, la vittoria di un film italiano, premiato con il riconoscimento più alto sul palcoscenico della Mecca della cinematografia mondiale è certamente per noi motivo di innegabile e naturale soddisfazione. Un importante risultato come questo impone comunque delle ri- flessioni, data la sua portata, sulle motivazioni che hanno convinto la qualificata giuria. La trama è sicuramente intrigante: le problematiche dell’esistenza di un uomo del nostro tempo visto in uno spaccato di società nel quale si riconoscono i tormenti e le contraddizioni comuni a tante vite, intellettuali e non. Si avvertono il disagio di chi nell’età del bi- lancio esistenziale è costretto a prendere atto dei suoi fallimenti e ad avvertire l’inadeguatezza a continuare il tram tram quotidiano e la necessità di ritornare ad un’epoca precedente per trovare o ri- trovare una perduta identità. La vicenda si svolge nella città dell’Urbe, la grande Roma, che con il suo patrimonio artistico antico e rinascimentale, fa da sfondo e da contrasto allo sgranarsi dei giorni del protagonista. Da una parte quindi il profondo dramma dell’uomo moderno insi- curo e smarrito nella noia e nella pochezza di superficiali ed inap- pagati rapporti, dall’altra la grandiosità della Roma immortale e magnifica, segno più alto dell’ingegno umano e della straordinaria capacità creativa del nostro essere italiani. Nasce però una riflessione molto amara e forse disperata: che cosa abbiamo fatto o facciamo per difendere questo stivale ricco di bor- chie d’oro e di diamanti che si protende geograficamente nel Me- diterraneo e culturalmente e spiritualmente nell’animo della Comunità mondiale? Molti altri popoli civili costruiscono musei intorno ad una statua di Pompei o ad un affresco preraffaellita, sottratti in qualche modo da quelli che Pino Rauti definiva - ed il mio ricordo risale agli anni ‘70 - “giacimenti culturali” e che oggi possiamo chiamare giacenze depositate negli scantinati dei palazzi antichi o nei depositi delle sovrintendenze. Che cosa intendeva dire Rauti con il termine giacimenti se non ric- chezze immutabili nella storia da indicare la grandezza non solo del nostro paese, ma di tutta l’umanità, per insegnarci il senso della bellezza e della civiltà? Occorre anche sottolineare l’indiscussa importanza di questo pa- trimonio artistico nello sviluppo economico dell’Italia soprattutto nella considerazione che sono fondamentali per noi l’incremento e la valorizzazione del settore turistico unica vera ricchezza della penisola. Le necessarie tappe di questo viaggio passano attraverso le sedi di culto religioso, i giacimenti archeologici, il fascino della nostra ri- gogliosa natura. È questo il vero petrolio italiano, l’energia che oltre a creare cultura crea ricchezza. Purtroppo è un messaggio antico che non ha trovato né trova ascolto nei centri decisionali della politica. Eppure dovremmo ri- flettere sul significato degli interventi stranieri nella difesa del no- stro patrimonio in sostituzione dei nostri (vedi i milioni di euro impegnati dalla comunità europea per la salvaguardia di Pompei.) Di fatto l’unica vera legge organica per la difesa del territorio e dei beni culturali risale al 1939. (Legge 1089/Bottai: tutela delle cose di interesse artistico e storico - integrata dalla legge 1947 - e protezione delle bellezze naturali dello stesso anno). Questa legge dimostrava la primaria importanza assegnata all’arte quale strumento necessario di educazione della collettività. Prima di questa svolta in Italia i provvedimenti normativi erano stati co- stituiti da interventi di urgenza per situazioni contingenti o per la tutela e protezione delle proprietà dei sovrani. Fino al 99 silenzio legislativo. Poi il testo unico 490/99 fino al codice dei beni cultu- rali del 2004 redatto in osservanza della modifica del titolo quinto della costituzione approvato con una strettissima maggioranza (quattro voti) al Senato ed oggi da tutti contestato per i gravissimi danni prodotti. Il motivo fondamentale delle modifiche consisteva nell’assegnare allo Stato il compito della tutela ed all’ente Regione quello della valorizzazione. Oltre all’adeguamento alle normative comunitarie ed agli accordi internazionali. Abbiamo quindi assistito ad un lungo iter di codici, disposizioni e commissioni durato oltre settanta anni. Di tutto quanto resta come pietra miliare la legge Bottai del ‘39. I risultati sono davanti a noi. Fra pochi anni, continuando così, altro che giacimenti, ci resteranno giacenze di rovine. Il Nobel alla cinematografia premia certamente il lavoro dei no- stri cineasti ma forse contiene anche un monito ed un messaggio della cultura mondiale: italiani, attenti, queste grandiose bellezze, eterne, sono di ogni essere umano. Difendetele. * medico - già Senatore della Repubblica Lettera al Direttore editoriale Assiduo lettore della cronaca triste, l’episodio m’aveva colpito. E la notizia (il Secolo, 16 giugno 1911) diceva: « AFFAMATO CHE SI GETTA SOTTO UN TRENO. «Alle 13 ieri, al Ponte del Diavolo in via Modena, uno sconosciuto sui trentacinque anni, poveramente vestito, si gettava sotto un treno proveniente da Bologna. L’infe- lice rimase orrendamente sfracellato. Sul posto accorse il reggente la delegazione di P. S. alla stazione, avv. Panzetti, il quale sequestrò un piccolo notes del suicida, sul quale, scritto a lapis blu, si leggeva: “Mi uccido da cinque giorni non mangio!”. «A fianco, con la stessa matita, era dise- gnato un teschio, e sotto la data: “15 giu- gno, giovedì”. «Poco discosto dal punto dell’investi- mento il suicida aveva deposto un mazzo di fiori di campagna. «La morte fu constatata dal dott. Ferrari dell’ispettorato ferroviario. Le gambe dello sciagurato erano letteralmente tron- cate e la testa. presentava una orribile fe- rita. La morte era stata fulminea. I poveri resti, con l’apposita automobile-lettiga co- munale, furono trasportati alla camera mortuaria del Cimitero Monumentale e esposti per il riconoscimento». *** All’indomani, spinto da un impulso che non saprei definire, mi recai al Monu- mentale. Penetrai nella camera mortuaria. Chissà? Io avevo conosciuto molti irre- golari, molti bohémiens, molti refrattari durante le mie irrequiete peregrinazioni da città a città. Li avevo incontrati lungo le strade polverose, nelle brevi tappe di un’ora…, eterni viandanti, incorreggibili vagabondi, sospinti dalla nostalgia dei cieli, dei lidi nuovi e ignorati a cammi- nare, camminare, camminare.... Forse avrei riconosciuto il suicida. Gli scopersi il volto, lo guardai. Io lo avevo visto certo altra volta il suicida per fame, ma non ri- cordavo, per quanti sforzi mi facessi, né dove, né come, né quando... Evocate, pa- recchie immagini tumultuavano nel mio cervello, ma nessuna così precisa che mi permettesse di gridare: «È lui!». Chiesi al custode l’ora del seppellimento e me ne andai. Due giorni dopo, sotto la canicola ar- dente, tornai al Cimitero. Il cadavere del disgraziato chiuso in una povera cassa d’abete stava per essere calato nella buca profonda, nel reparto dei miserabili non ricordati da marmi né indicati da croci.... E attorno alla cassa - sulla terra mossa - fui non poco sorpreso di trovare raccolte alcune decine di persone. Chi erano? Amici del morto? Nessuno lo aveva ri- conosciuto. Cristiani pietosi? Non ne avevano l’aria. Erano uomini malvestiti, dalle facce tormentate. Erano i refrattari di Vallès accorsi a rendere l’estremo omaggio all’amico ignorato che aveva gettato la vita come un greve e molesto fardello.... E quando la cassa fu calata in fondo alla buca, uno degli uomini si staccò dal gruppo, si scoverse e parlò: «Non è il solito elogio funebre, più o meno convenzionale e bugiardo, quello che io intendo tessere, oggi, davanti a voi. Quest’uomo che noi non cono- scemmo, non chiede le nostre lacrime. E noi qui venendo senza bisogno d’intese, di manifesti, di circolari, vogliamo com- piere non un atto inutile di pietà, ma un gesto di rivolta. Io innalzo questo cada- vere come una bandiera di guerra. «Pensate: quest’uomo nacque con diritti uguali a quelli degli altri uomini. Dove? Superflua domanda. Certo, egli fu con- cepito nella miseria. E della miseria portò la·maledizione sino all’ultim’ora. Vagabondo? Fannullone? No. Piuttosto che ricorrere al suicidio liberatore, allora si sarebbe rassegnato a vivere d’espe- dienti e di elemosina. «Egli era un vinto. Oh le tormentose ri- cerche di lavoro, il lungo attendere da- vanti alle porte delle officine. le ripulse secche dei padroni, le miserie che con- ducono al Monte di Pietà, le fami che spingono al suicidio. «Quest’uomo è andato spontaneamente incontro alla morte, dopo cinque orribili giorni di digiuno. E i giornali borghesi hanno annunciato laconicamente il fatto senza accorgersi che vi è contenuta la più tremenda delle condanne alla iniqua società ch’essi voglion difendere. IL SUICIDA PER FAME* Elogio funebre di Benito Mussolini “Il peregrinare tra libri” mi ha fatto incrociare un articolo del Luglio 1911 di Be- nito Mussolini. Ho deciso di pubblicarlo. La drammatica attualità dell’argomento non può non far riflettere sulla miserrima condizione di questa Italia del 2014. Nulla di più se non un confronto sul piano storico-culturale. gdp PAGANI AL VOTO TURARSI IL NASO PER ANDARE A VOTARE? E PER VOTARE CHI? PARLIAMONE… - continua a pag. 6 - * Benito Mussolini - Opera Omnia vol. IV pag. 49.

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  • mensile di cultura politica costume www.ilpensierolibero.itAprile 2014 - Anno V - N. 4

    L’INFANZIA TRADITA

    Non è vero che la pedagogia sia utile; non è vero che famiglia escuola siano gli ambienti, dove i bambini sono più sicuri. Bi-sogna procedere con le negazioni, con la cancellazione di luoghicomuni e di affermazioni scontate, per rendersi conto di quanto ilmondo sia caduto. Oggi gli unici convegni, che potrebbero tenersisui grandi temi dell’infanzia, dovrebbero avere per titolo sempli-cemente “L’Infanzia tradita”.Qualcuno dirà che il problema è antico e che nella tradizione giu-daico cristiana vi è il tentato assassinio del figlio Isacco da partedel padre Abramo.Per carità! Non si possono istituire confronti! Era stato Dio ad or-dinarlo, ma solo per vedere se l’uomo avesse obbedito sino infondo, salvo frenare la sua mano all’ultimo momento.Bel modo, però, di sperimentare la fedeltà di una persona. Signifi-cava sancire il diritto di vita e di morte del genitore sul figlio, fis-sare l’etica della ragion di Dio e, poi, quella di stato, sino a giungereai livelli più infimi. Distingui di responsabilità o falsi pietismi non servono, comunqueed in ogni caso, a riscattare od annullare il profondo tradimentoche le società perpetrano nei confronti dell’infanzia.Nella famiglia il tradimento si compie con le sindromi di Crono edi Medea. Crono, il padre degli dei, divora i figli per non esserespodestato. Medea, tradita, uccide per vendetta i figli e li offre in vi-sione a Giasone, il padre traditore. È mitologia, ma le radici del rac-conto sono vere.Uccidere i figli, perché in entrambe le sindromi i bambini vengonogiustiziati, indica la volontà di possesso ed insieme il desiderio dinegazione di se stessi. È una condizione paradossale, contradditto-ria, tipica dei grandi scontri psicologici, che la cultura greca seppeelaborare e che ci ha consegnato, come se duemila e più anni nonsiano mai passati.È un fenomeno da studiare, liberandosi però da ogni pregiudizio ditipo morale.Analizziamo gli infanticidi, da parte delle madri. Negli ultimi ventianni gli episodi si sono moltiplicati ed in quasi tutti i casi le madrinegano di averlo fatto, cioè rifiutano se stesse, eliminando le lorocreature.A Cogne agli inizi del decennio (caso Franzoni), come a Lecco direcente, dove sono stati uccisi tre adolescenti a colpi di coltello,l’orrore per l’efferatezza si trasforma in un atteggiamento di stu-

    pita pietà da parte di una società, che vuole negare i fenomeni ed in-sieme rimuovere se stessa.Anche gli infanticidi da parte dei padri sono statisticamente au-mentati. Sia che nascano da un disagio interno alla famiglia, sia cheprovengano da un disagio sociale, comune è il desiderio di non la-sciare alcun segno di sé agli altri e di non delegare la funzione dipadre, che nell’inconscio resta sempre anche quella di padrone.Difficile leggere una società con questi elementi. E le altre agenzieformative?La scuola è un laboratorio perfetto, per individuare i tradimenti chesi commettono verso infanzia ed adolescenza, anche se la legge del“non vedere” sembra avvolgere in una cortina di silenzio i tantidrammi del quotidiano.La Chiesa non è priva di colpe, fortissime, enormi, senza appello.Così le altre forme di struttura sociale, quelle che organizzano glisport o i divertimenti. In questa galleria, in cui i ritratti degli orchisembrano sogghignare sinistramente, trovano largo spazio ancheuccisioni e violenze impietose verso bambini, colpevoli di appar-tenere a famiglie legate a bande criminali o di trovarsi al posto sba-gliato durante i continui agguati delle organizzazioni mafiose. Organizziamo le fiaccolate, pensando di esorcizzare il male. Ma ètutto abbastanza inutile, se non riusciamo ad analizzare e com-prendere le profonde trasformazioni del sistema sociale.A Lecco le indagini della polizia scientifica hanno rilevato che unadelle bambine, uccise dalla madre, si era ribellata ed aveva cercatodisperatamente di difendersi. Molto probabilmente aveva già ini-ziato a perdere, da tempo, la fiducia assoluta nei confronti dellamadre e della famiglia. In altre circostanze i figli si sono abbando-nati senza riserve, sicuri, alla volontà dei genitori.A Taranto, nell’agguato mafioso in cui è stato ucciso un bimbo ditre anni, a bordo dell’auto vi erano altri due bambini, rimasti illesi.Hanno dichiarato “candidamente” di essersi salvati, perché si sonofinti morti. Ma che razza di educazione hanno ricevuto?Hanno solo imparato a non fidarsi della società, a muoversi nellafinzione.Due vicende radicalmente diverse ci dicono la stessa cosa. Infanziaed adolescenza non si abbandonano più con fiducia alla famiglia enon credono nella società e nelle sue forme.Ed allora fingersi morti, può rappresentare l’ultima ed unica formadi sopravvivenza.

    editoriale

    di Francesco Fasolino

    di Mimmo Cozzolino*

    La grande risorsa deLL’itaLia:

    i giacimenti cuLturaLi

    Caro Gerardo,la vittoria di un film italiano, premiato con il riconoscimento piùalto sul palcoscenico della Mecca della cinematografia mondialeè certamente per noi motivo di innegabile e naturale soddisfazione.Un importante risultato come questo impone comunque delle ri-flessioni, data la sua portata, sulle motivazioni che hanno convintola qualificata giuria.La trama è sicuramente intrigante: le problematiche dell’esistenzadi un uomo del nostro tempo visto in uno spaccato di società nelquale si riconoscono i tormenti e le contraddizioni comuni a tantevite, intellettuali e non. Si avvertono il disagio di chi nell’età del bi-lancio esistenziale è costretto a prendere atto dei suoi fallimenti ead avvertire l’inadeguatezza a continuare il tram tram quotidianoe la necessità di ritornare ad un’epoca precedente per trovare o ri-trovare una perduta identità.La vicenda si svolge nella città dell’Urbe, la grande Roma, che conil suo patrimonio artistico antico e rinascimentale, fa da sfondo eda contrasto allo sgranarsi dei giorni del protagonista.Da una parte quindi il profondo dramma dell’uomo moderno insi-curo e smarrito nella noia e nella pochezza di superficiali ed inap-pagati rapporti, dall’altra la grandiosità della Roma immortale emagnifica, segno più alto dell’ingegno umano e della straordinariacapacità creativa del nostro essere italiani.Nasce però una riflessione molto amara e forse disperata: che cosaabbiamo fatto o facciamo per difendere questo stivale ricco di bor-chie d’oro e di diamanti che si protende geograficamente nel Me-diterraneo e culturalmente e spiritualmente nell’animo dellaComunità mondiale?Molti altri popoli civili costruiscono musei intorno ad una statua diPompei o ad un affresco preraffaellita, sottratti in qualche modo daquelli che Pino Rauti definiva - ed il mio ricordo risale agli anni ‘70- “giacimenti culturali” e che oggi possiamo chiamare giacenzedepositate negli scantinati dei palazzi antichi o nei depositi dellesovrintendenze.Che cosa intendeva dire Rauti con il termine giacimenti se non ric-chezze immutabili nella storia da indicare la grandezza non solo delnostro paese, ma di tutta l’umanità, per insegnarci il senso dellabellezza e della civiltà?

    Occorre anche sottolineare l’indiscussa importanza di questo pa-trimonio artistico nello sviluppo economico dell’Italia soprattuttonella considerazione che sono fondamentali per noi l’incremento ela valorizzazione del settore turistico unica vera ricchezza dellapenisola.Le necessarie tappe di questo viaggio passano attraverso le sedi diculto religioso, i giacimenti archeologici, il fascino della nostra ri-gogliosa natura. È questo il vero petrolio italiano, l’energia cheoltre a creare cultura crea ricchezza.Purtroppo è un messaggio antico che non ha trovato né trovaascolto nei centri decisionali della politica. Eppure dovremmo ri-flettere sul significato degli interventi stranieri nella difesa del no-stro patrimonio in sostituzione dei nostri (vedi i milioni di euroimpegnati dalla comunità europea per la salvaguardia di Pompei.)Di fatto l’unica vera legge organica per la difesa del territorio e deibeni culturali risale al 1939.(Legge 1089/Bottai: tutela delle cose di interesse artistico e storico- integrata dalla legge 1947 - e protezione delle bellezze naturalidello stesso anno).Questa legge dimostrava la primaria importanza assegnata all’artequale strumento necessario di educazione della collettività. Primadi questa svolta in Italia i provvedimenti normativi erano stati co-stituiti da interventi di urgenza per situazioni contingenti o per latutela e protezione delle proprietà dei sovrani. Fino al 99 silenziolegislativo. Poi il testo unico 490/99 fino al codice dei beni cultu-rali del 2004 redatto in osservanza della modifica del titolo quintodella costituzione approvato con una strettissima maggioranza(quattro voti) al Senato ed oggi da tutti contestato per i gravissimidanni prodotti.Il motivo fondamentale delle modifiche consisteva nell’assegnareallo Stato il compito della tutela ed all’ente Regione quello dellavalorizzazione. Oltre all’adeguamento alle normative comunitarieed agli accordi internazionali.Abbiamo quindi assistito ad un lungo iter di codici, disposizioni ecommissioni durato oltre settanta anni.Di tutto quanto resta come pietra miliare la legge Bottai del ‘39. Irisultati sono davanti a noi. Fra pochi anni, continuando così, altroche giacimenti, ci resteranno giacenze di rovine.Il Nobel alla cinematografia premia certamente il lavoro dei no-stri cineasti ma forse contiene anche un monito ed un messaggiodella cultura mondiale: italiani, attenti, queste grandiose bellezze,eterne, sono di ogni essere umano. Difendetele.

    * medico - già Senatore della Repubblica

    Lettera al Direttore editoriale

    Assiduo lettore della cronaca triste, l’episodio m’aveva colpito. E la notizia(il Secolo, 16 giugno 1911) diceva:

    « AFFAMATO CHE SI GETTA SOTTOUN TRENO.«Alle 13 ieri, al Ponte del Diavolo in viaModena, uno sconosciuto sui trentacinqueanni, poveramente vestito, si gettava sottoun treno proveniente da Bologna. L’infe-lice rimase orrendamente sfracellato. Sulposto accorse il reggente la delegazione diP. S. alla stazione, avv. Panzetti, il qualesequestrò un piccolo notes del suicida, sulquale, scritto a lapis blu, si leggeva: “Miuccido da cinque giorni non mangio!”. «A fianco, con la stessa matita, era dise-gnato un teschio, e sotto la data: “15 giu-gno, giovedì”.«Poco discosto dal punto dell’investi-mento il suicida aveva deposto un mazzodi fiori di campagna. «La morte fu constatata dal dott. Ferraridell’ispettorato ferroviario. Le gambedello sciagurato erano letteralmente tron-cate e la testa. presentava una orribile fe-rita. La morte era stata fulminea. I poveriresti, con l’apposita automobile-lettiga co-munale, furono trasportati alla cameramortuaria del Cimitero Monumentale eesposti per il riconoscimento».

    ***All’indomani, spinto da un impulso chenon saprei definire, mi recai al Monu-mentale. Penetrai nella camera mortuaria.Chissà? Io avevo conosciuto molti irre-golari, molti bohémiens, molti refrattaridurante le mie irrequiete peregrinazionida città a città. Li avevo incontrati lungole strade polverose, nelle brevi tappe diun’ora…, eterni viandanti, incorreggibilivagabondi, sospinti dalla nostalgia deicieli, dei lidi nuovi e ignorati a cammi-nare, camminare, camminare.... Forseavrei riconosciuto il suicida. Gli scopersiil volto, lo guardai. Io lo avevo visto certoaltra volta il suicida per fame, ma non ri-cordavo, per quanti sforzi mi facessi, nédove, né come, né quando... Evocate, pa-recchie immagini tumultuavano nel miocervello, ma nessuna così precisa che mipermettesse di gridare: «È lui!». Chiesi al custode l’ora del seppellimentoe me ne andai.

    Due giorni dopo, sotto la canicola ar-dente, tornai al Cimitero. Il cadavere deldisgraziato chiuso in una povera cassad’abete stava per essere calato nella bucaprofonda, nel reparto dei miserabili nonricordati da marmi né indicati da croci....E attorno alla cassa - sulla terra mossa -fui non poco sorpreso di trovare raccoltealcune decine di persone. Chi erano?Amici del morto? Nessuno lo aveva ri-conosciuto. Cristiani pietosi? Non neavevano l’aria. Erano uomini malvestiti,dalle facce tormentate. Erano i refrattaridi Vallès accorsi a rendere l’estremoomaggio all’amico ignorato che avevagettato la vita come un greve e molestofardello.... E quando la cassa fu calata infondo alla buca, uno degli uomini sistaccò dal gruppo, si scoverse e parlò: «Non è il solito elogio funebre, più omeno convenzionale e bugiardo, quelloche io intendo tessere, oggi, davanti avoi. Quest’uomo che noi non cono-scemmo, non chiede le nostre lacrime. Enoi qui venendo senza bisogno d’intese,di manifesti, di circolari, vogliamo com-piere non un atto inutile di pietà, ma ungesto di rivolta. Io innalzo questo cada-vere come una bandiera di guerra. «Pensate: quest’uomo nacque con dirittiuguali a quelli degli altri uomini. Dove?Superflua domanda. Certo, egli fu con-cepito nella miseria. E della miseriaportò la·maledizione sino all’ultim’ora.Vagabondo? Fannullone? No. Piuttostoche ricorrere al suicidio liberatore, allorasi sarebbe rassegnato a vivere d’espe-dienti e di elemosina. «Egli era un vinto. Oh le tormentose ri-cerche di lavoro, il lungo attendere da-vanti alle porte delle officine. le ripulsesecche dei padroni, le miserie che con-ducono al Monte di Pietà, le fami chespingono al suicidio. «Quest’uomo è andato spontaneamenteincontro alla morte, dopo cinque orribiligiorni di digiuno. E i giornali borghesihanno annunciato laconicamente il fattosenza accorgersi che vi è contenuta lapiù tremenda delle condanne alla iniquasocietà ch’essi voglion difendere.

    IL SUICIDA PER FAME*Elogio funebredi Benito Mussolini

    “Il peregrinare tra libri” mi ha fatto incrociare un articolo del Luglio 1911 di Be-nito Mussolini. Ho deciso di pubblicarlo. La drammatica attualità dell’argomentonon può non far riflettere sulla miserrima condizione di questa Italia del 2014.Nulla di più se non un confronto sul piano storico-culturale. gdp

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    * Benito Mussolini - Opera Omnia vol. IV pag. 49.

  • La mia idea era quella della schematicità.Una classica intervista in cui si susse-guivano con fulminea meccanicità domandee risposte, così, mentre percorrevo le stradedella mia città, che presto mi avrebbero con-dotto presso la chiesa del CORPO DI CRI-STO, mia destinazione, formulavo nella miatesta le domande da porre a Flaviano Ca-lenda parroco della chiesa madre…Il nome delle opere?“S. Anna, S. Gioacchino e la Vergine bam-bina accolti in paradiso, l’Addolorata,L’Immacolata”.La loro datazione?“A cavallo tra il ‘600 e il ‘700”Il loro valore?“Alto, tanto da non averne una stima precisa”Scuola di provenienza?“Una forse la più ammirata quella del Solimena”Quando e come la loro scomparsa?“Nell’ottantacinque, per presunta venditadel parroco ad un antiquario di Salerno, lacertezza è che questi quadri sono stati rubatialla chiesa così come la sentenza ha emessoin quanto dopo essere stati ritrovati questiquadri hanno dovuto affrontare un itinereancor più lungo del previsto perché l’anti-quario sosteneva che avendoli acquistati, taliquadri fossero suoi. Il problema però sta nelfatto che chiunque fosse il venditore di sud-

    detti non ne era il legittimo proprietario, poi-ché il loro unico proprietario era ed è lachiesa che non solo si era ben guardata dalvenderli ma ha subito provveduto a riaverli”Questo era quello che mi ero prefissa, manon avevo fatto i conti con quello che avreitrovato, quando sarei giunta in parrocchia.Arrivo con un quarto d’ora di ritardo, spe-rando potesse essere sufficiente alla fama diritardatario di “Don Flaviano”, ma sba-gliavo. Il parroco non c’era, così prendo co-raggio e faccio capolino in segreteria doveda sempre c’è lei, la tanto temuta “signo-rina” le chiedo di Don Flaviano pur sapendobenissimo non ci fosse e con mio stupore“l’inavvicinabile perpetua” mi dice con ariadolce e molto garbata: “non c’è, ma aveteun appuntamento?” Io rispondo di si e lei“perché può arrivare alle cinque e mezzaalle sei comunque non vi preoccupate aspet-tiamo dieci minuti e lo telefoniamo”. Pas-sano i dieci minuti, “signorina venite dentro,sedetevi altrimenti prendete freddo e vi stan-cate, ora lo chiamiamo… arriva tra due mi-nuti”. In quei due minuti, non propriod’orologio, lo stupore più grande. Chiac-chieriamo in maniera confidenziale e tra letante cose mi dice anche che Don Flavianoha avuto tanto coraggio per riportare la

    2Aprile 2014 - Anno V - N. 4

    Con questo numero iniziamo a delineare lastoria dell’Istituto femminile delle SuoreFrancescane di s. Antonio, di cui Pagani (SA)ospita due case religiose, il “Carminello” a viaMatteotti e l’Istituto “Immacolata” a via Cesarano. Oggi la Congregazione delle Suore France-scane di s. Antonio è presente in Italia, Messicoe Indonesia. Soffre la carenza di vocazioni re-ligiose come tutti gli altri Istituti, ma svolgeun’ammirevole attività didattica, educativa eassistenziale a favore di bambini e anziani chel’allinea con altre istituzioni similari più nume-rose e con più ricca vita.Il progetto di una storia dell’Istituto è nato dallavolontà dell’attuale Superiora Generale, MadreTecla Giannubilo, che avverte questo vuotocome carenza d’interesse nei confronti dellapropria famiglia religiosa la quale, comunque,vanta circa due significativi secoli di storia: ilprimo di vita edificantemente contemplativa eil secondo di vita efficacemente attiva. L’Istituto, sotto il profilo dell’attenzione al suopassato, mentre può vantare due pubblicazionisulla fondatrice, la Serva di Dio Suor MariaLuigia del Cuore di Gesù, non può esibire al-cuna memoria storica della Congregazione.Forse i biografi della fondatrice – il france-scano p. Paolo Rosati e don Mario Vassal-luzzo, già vicario episcopale della Diocesi diNocera Inferiore e Sarno – avrebbero potutoallargare la propria indagine anche alla Con-gregazione identificandone, almeno per uncerto periodo, le due storie, come ha fatto il p.Antonio Tannoia, primo biografo di s. Alfonso,ma anche primo storico della Congregazionedel SS. Redentore.

    C’è da rilevare anche un altro dato, che investele responsabilità delle Superiori Generali lequali, nel corso dei rispettivi mandati, hannotralasciato sia un’attenzione alla memoria sto-rica della loro famiglia religiosa che alla pro-secuzione di un processo di beatificazione diSuor Maria Luigia, autentica mistica, eroicanelle virtù, dispensatrice di celesti favori, ope-ratrice di prodigi.L’Istituto francescano di s. Antonio nacque periniziativa di Suor Maria Luigia (1790-1829) delCuore di Gesù. La data ufficiale dell’approva-zione della nuova Congregazione, compren-dente sia quella religiosa che quella civile, è il12 dicembre 1828. Ovviamente la prima ap-provazione è di solo diritto diocesano ed è afirma del Cardinale di Napoli del tempo, RuffoScilla. L’Istituto di Suor Maria Luigia porta ilnome di Suore Francescane, dette Solitarie Al-cantarine, viventi in clausura.Anche se la data della doppia approvazione (ci-vile ed ecclesiastica) è del 1828, quella dellaprima convivenza della nuova comunità reli-giosa raccolta intorno a Suor Maria Luigia è daanticipare al 1821. All’epoca di questi fatti Suor Maria Luigia abi-tava con le prime compagne in una piccolacasa, adattata a conventino con cappella apertaal pubblico, del signor Francesco Cappa aiCacciottoli in prosieguo della salita ai Montifuori Porta Medina (P. Rosati, Una rosa tra lespine, p. 48). Al momento della nascita ufficiale del nuovoIstituto religioso, Suor Maria Luigia era cir-condata da una ventina di ragazze, che la fre-quentavano soprattutto per crescere nellaconoscenza della dottrina cristiana e apprendere

    da lei l’arte del ricamo e del cucito. Di questegiovinette ella scelse inizialmente solo dodicitra le più virtuose. Il numero voleva simboleg-giare le dodici stelle che cingono il capo dellaVergine Immacolata, secondo quanto lei stessascrisse al Cardinale Ruffo Scilla, quando nechiese l’approvazione canonica.Tra queste prime compagne il Rosati menzionaRaffaella Cardone, figlia di Angelo e Rosa Co-lafiore, di cui in precedenza la Serva di Dioaveva preso in fitto una stanza prima di trasfe-rirsi ai Cacciottoli. Tra le consorelle della prima ora il Rosati ri-corda anche Maria Senese che, da alcantarina,prese il nome di Suor Maria Concetta dellaCroce. È particolarmente interessante la testi-monianza che ci ha lasciato: «Soffrivo convul-sioni, e fui costretta a venire a Napoli, ovedimorava mia madre, che mi condusse in unacasa presso Portici, ove frequentavo spesso unaChiesa detta di S. Maria del Soccorso, tra S.Giovanni a Teduccio e Portici; spesse volte,dopo la S. Comunione, mi sentivo ispirata eduna voce mi diceva: “Vai a trovare Suor MariaLuigia del Cuore di Gesù poiché ella ti desi-dera”. Andata a Napoli, Suor Maria Luigia midette saggi consigli e mi infervorò a vestire l’a-bito francescano. Cosa che feci e d’allora inpoi, non soffrii più convulsioni». (Rosati, p. 52-53) L’episodio richiama alla mente fatti simililetti in tante vite di santi, soprattutto di san Ge-rardo Maiella. I suoi biografi riferiscono casi incui l’umile fratello laico redentorista si presen-tava con la massima disinvoltura alla personache ne aveva richiesto la presenza – qualchevolta superiori; una volta addirittura il RettoreMaggiore, don Alfonso M. de’ Liguori – e, da-

    vanti alla meraviglia di costoro nel vederseloinnanzi, con semplicità rispondeva: “ma voi miavete chiamato!...”Chi ha conoscenza di problemi relativi alle ori-gini di Istituti religiosi, sa anche che uno fon-damentale di questi è costituito dalla stesura deltesto delle Regole e Costituzioni del nuovo entereligioso. Il testo di tali Regole è la conditiosine qua non per l’approvazione sia ecclesia-stica che civile. Capita qualche volta che il fondatore del nuovoIstituto religioso, immerso nel mondo dello spi-rito, non prenda troppo in considerazione que-sto dato, per cui la mancanza della Regolacostituisca una difficoltà primaria per l’appro-vazione ecclesiastica o civile. È il caso di sanFrancesco d’Assisi (1182-1226), il quale so-steneva essere il Vangelo la regola del suo or-dine (Propositum o Prima Regola costituita dafrasi evangeliche e norme di vita approvata solooralmente dal Papa Innocenzo III). Per ovviarea sconcerti determinatisi nel tempo anche a mo-tivo della mancanza di una Regola piùconforme al Diritto Canonico, ne dovette scri-vere un’altra. Lo fece in collaborazione con ilCardinale Ugolino di Anagni, futuro Papa Gre-gorio IX (Regola Bollata approvata dal PapaOnorio III nel 1223). Diverso è il caso della Regola della Congrega-zione del SS. Redentore fondata da sant’Al-fonso M. de’ Liguori (1696-1787), uomo dilegge, ex avvocato del foro napoletano. Altempo del fondatore dei Redentoristi, comesarà anche per Suor Maria Luigia, oltre l’ap-provazione ecclesiastica, occorreva anchequella civile, che doveva portare la firma delRe. Alfonso fondò il suo Istituto il 9 novembre1732. Nel febbraio del 1749 ottenne l’appro-vazione da parte del Papa Benedetto XIV. Percirca cinquant’anni, e cioè fino al 1780, nonriuscì a strappare una firma al Re di Napoli perl’approvazione civile. Il 22 gennaio 1780 fi-

    nalmente ottenne da Ferdinando I l’approva-zione con il famigerato “Regolamento regio”,che causò la prima divisione nel suo Istituto se-parando i Redentoristi dello Stato Pontificio ri-conosciuti dal Papa Pio VI come uniciRedentoristi, da quelli del Regno di Napoli,bollati dal medesimo Papa come non esistenti,tamquam non essent. Il fondatore della Con-gregazione del SS. Redentore, morto il 1° ago-sto 1787, concluse la sua giornata terrena –stando al documento papale – come non re-dentorista. Il motivo di un tale triste episodiostava nel disaccordo tra Papa e Re. A pagarne lespese, però, fu proprio s. Alfonso. Questa divi-sione durò fino al 1793 quando il nuovo Ret-tore Maggiore della Congregazione, PietroPaolo Blasucci, riuscì a ricomporre i dissidi in-terni e a riportare l’Istituto nell’unità. A proposito di Regole e Costituzioni, dunque,Suor Maria Luigia è sulla stessa linea di sanFrancesco d’Assisi: non tanto una Regolascritta con particolare attenzione anche a normegiuridiche e canoniche, «bensì la sua stessacondotta edificante, la sua vita solitaria e peni-tente. Questa doveva essere la vera Costitu-zione, la perfetta Regola» (Rosati, p. 60).Eppure, a differenza dei Redentoristi che eb-bero tanto a penare per il regio exequatur, leSuore Francescane, dette Solitarie Alcantarine,viventi in clausura, non incontrarono alcunadifficoltà per entrambe le approvazioni chegiunsero, come abbiamo detto sopra, il 28 di-cembre 1828. I tempi erano cambiati, le circostanze diverse;soprattutto quel giurisdizionalismo tanucciano,che era stato una spina nel cuore e nella vita siadi Alfonso che del suo Istituto, era ormai supe-rato. Quelle difficoltà, però, stanno a dimostrareancora oggi quanto grande sia stato quel Fon-datore, quanto utile la sua Congregazione.

    Incontro con don Flaviano

    di Maria Pepe

    Storia dell’Istituto Francescano di s. Antoniodi p. Paolo Saturno C.Ss.R.

    - continua nel prossimo numero -

    PAGANI: FESTA GRANDE ALLA CHIESA “SS. CORPO DI CRISTO”

    Invitato da don Flaviano, l’otto Marzo scorso ho partecipato con vivo interesse ad una ma-nifestazione di alto livello culturale, senza nulla togliere al pur significativo momento religioso.La Chiesa del SS. Corpo di Cristo si è riappropriata di tre opere pittoriche sulla cui valenzaartistica ho potuto attingere tramite l’interessante relazione del dott. Antonio Braca So-vrintendenza per i Beni Culturali di Salerno.Un tantino di orgoglio ho intimamente provato allorquando il dott. Braca ha evidenziato lapreziosa risorsa artistica e culturale rappresentata dalle Chiese di Pagani, scrigni autenticidi opere d’arte di significativo valore.Non potevo non andare con la mia mente alla “straordinaria stagione” della promozionedelle attività dell’Associazione ex consiglieri comunali di Pagani, all’epoca da me presie-duta. A riguardo invito a leggere il n. 16 dell’Aprile 2011 de I Quaderni “Dieci anni di im-pegno tra Memoria Solidarietà e Cultura a cura di Raffaele Aufiero”. A pag. 76 il seguentestralcio, tanto per dare un’idea. “… e in questo contesto è da registrare anche il successoche hanno riscosso presso il pubblico giovanile soprattutto le visite guidate ai luoghi sim-bolo di Pagani, Chiese, Conventi e Musei che spesso sono stati utilizzati come locations perlo svolgimento delle manifestazioni…”In questa pagina, come preannunciato a don Flaviano, il contributo, anche se modesto, perfar conoscere le cose belle di Pagani. Al dott. Antonio Braca il personale ringraziamento perla squisita collaborazione nel farmi tenere la stringata sintesi della sua relazione. A don Fla-viano, appositamente intervistato dal nostro direttore responsabile, Maria Pepe, l’appunta-mento in occasione dell’ulteriore arrivo in chiesa di altre significative opere.

    Gerardo De Prisco

    Il 29 Gennaio 1985 la Guardia di Finanza di Salerno effettuò un sequestro diopere d’arte in possesso di un commerciante di cose di Antiquariato, che si sonorivelate appartenere alla chiesa del SS. Corpo di Cristo di Pagani. In quella occa-sione le opere furono affidate in custodia giudiziale alla Soprintendenza di Sa-lerno, e successivamente tre dipinti furono affidati alla Guardia di Finanza diNapoli presso la Caserma Zanzur. La vicenda giudiziaria è andata avanti per di-versi anni fino al pronunciamento del 1997 quando il Tribunale di Salerno ha ri-gettato l’istanza del Commerciante di restituzione. Il dissequestro, invece, èavvenuto lo scorso anno con Ordinanza del giorno 8 Aprile 2013, Proc. 60/1995,con cui il Tribunale di Salerno, Prima Sezione Penale, ha accolto l’istanza del-l’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Nocera ed ha dispoto “la restituzione deibeni ancora in sequestro”. Finalmente, in data 22 Gennaio 2014 sono stati resti-tuiti i dipinti conservati presso la Guardia di Finanza di Napoli. Si tratta di tre di-pinti di diversi autori. Di questi ha una spiccata rilevanza l’Immacolata (Foto 1)di Giovan Battista Beinaschi, un pittore piemontese trasferitosi a Napoli alla finedegli anni sessanta del Seicento. Il suo stile è caratterizzato da una forma di baroccotenebroso che coniuga le istanze luministiche di memoria naturalistica con la piùmoderna cultura cortonesca. La sua produzione napoletana, per alcuni versi alter-nativa a quella di Luca Giordano, offre spunti al giovane Francesco Solimena. Ilsecondo dipinto è costituito da una Madonna Addolorata con puttini (Foto 2), lacui definizione stilistica è riconducibile alla produzione tarda di Angelo Solimena,alla fine del Seicento, dopo la campagna decorativa per il duomo di Sarno, datato1694. Il terzo dipinto presenta un soggetto inusuale. Esso raffigura, infatti, S. Anna,s. Gioacchino e la Vergine bambina accolti in paradiso (Foto 3) che reca un mo-nogramma CG, impropriamente letto come Giacinto Diano. Probabilmente si trattadi Girolamo Cenatiempo, un artista fortemente collegato al pittoricismo giorda-nesco, con una datazione che difficilmente riesce a superare i primi anni del XVIIIsecolo.

    Altri beni sono ancora in affidamento alla Soprintendenza BSAE di Salerno, ossia due dipinti(S. Rocco e S. Lucia), un pulpito ligneo ed un mobile di sacrestia, che saranno restituiti ap-pena l’Autorità Giudiziaria avrà emesso un’apposita determinazione. La restituzione dei dipinti, anche se a distanza di anni, costituisce indubbiamente una importanteacquisizione per i beni culturali non solo di Pagani, ma dell’intera Diocesi di Nocera-Sarno.

    *Storico dell’Arte Direttore Coordinatore Soprintendenza BSAE di Salerno ed AvellinoResponsabile Ufficio Vincoli Funzionario di zona Agro Nocerino-Sarnese e Valle dell’Irno

    - continua a pag. 6 -

    La restituzione delle opere sequestratedi Antonio Braca*

    Foto 1

    Foto 2

    Foto 3

  • 3 Aprile 2014 - Anno V - N. 4

    naPoLi. – Tra IV e III sec. a.C. tutto ilmondo greco – dalla madrepatria alla colonied’Oriente e d’Occidente -, passando per quelpulviscolo di stati che i generali macedoni ave-vano creato alla morte di Alessandro Magno –fu al centro di un’autentica rivoluzione, impo-stasi non con la violenza delle armi ma per lostringente sviluppo delle conoscenze scienti-fiche. Sulla base di raffinati sistemi di calcoloprendevano corpo per la prima volta le speri-mentazioni sottoposte a verifiche e così la pra-tica del metodo deduttivo segnava gli esordidella vera scienza, finalmente intesa comeconcreta possibilità di tradurre le acquisizioniteoriche in applicazioni pratiche capaci di pla-smare la realtà circostante. Fu una stagione dipensiero fecondissima ma di breve durata, in-franta sotto il tallone delle legioni romane che,tra il III sec. a.C. e il principio dell’era cri-stiana, dilagarono nel bacino del Mediterra-neo. A pensarla così è Lucio Russo, ordinariodi Calcolo delle probabilità all’Università diRoma “Tor Vergata” che ha pubblicato pressoFeltrinelli “La rivoluzione dimenticata (L.42.000), un testo documentatissimo e dirom-pente che ha fatto piazza pulita di molti luoghicomuni. «L’idea tradizionale che le legioni ro-mane – dice Russo, di passaggio all’Osserva-torio di Capodimonte – portassero la civiltàdappertutto trae origine dal fatto che ciò è lar-gamente vero per l’Occidente non per l’O-riente. Così, le coorti di Cesare portarono inGallia solo quello che della civiltà maturata inOriente era sopravvissuto alle distruzioni delIII sec. a.C. Nella memoria di molti i due mo-menti si confondono e si sovrappongono cro-nologicamente. L’universo variegato eculturalmente evoluto che viene messo in gi-nocchio dalla potenza di Roma e dallo zelo deisuoi fiancheggiatori – primo fra tutti quel To-lomeo VIII, maestro di orrori, che non avevaesitato a uccidere e a dare in pasto a sua so-rella il figlio che con lei aveva generato dopoaverla sposata – gravita attorno ad Alessandria

    d’Egitto, ai cui splendori il Petit Palais di Pa-rigi dedica una mostra che rimarrà aperta finoal 28 luglio prossimo in coincidenza col due-centesimo anniversario della spedizione napo-leonica nella terra dei faraoni. La città,affollata e dotta, aveva nella sua biblioteca unmilione di rotoli e papiri che parlavano di tutto,dai versi di Callimaco ai postulati di Euclide,ed era al centro di scambi commerciali conogni angolo del mondo in cui fossero arrivatii greci, da Pergamo a Marsiglia passando perSiracusa, patria di Archimede, forse il piùgrande uomo di scienza che mai sia fioritosotto il cielo. «Archimede – si infervora Russo– era capace di controllare fino in ogni detta-glio il delicato passaggio dai dati più astrattidella matematica alla loro applicazione tecno-logica. Per esempio, prende in considerazionela stabilità dell’equilibrio al galleggiamento diun solido a forma di paraboloide di rotazione,occupandosi di un oggetto che, a prima vista,non pare molto interessante quanto ad appli-cazioni pratiche. Ma se si considera che essonon è troppo diverso da un paraboloide ellit-tico il cui aspetto somiglia molto a quello diuna nave, si comprende la scelta di Archimedecui era evidente la possibilità di trasferire allatecnologia navale le conoscenze che avevaraggiunto col paraboloide di rotazione galleg-giante, tanto è vero che, proprio sotto la suasupervisione fu allestita la “Siracusa”, unanave così grande che i siracusani dovettero do-nare ai Tolomei perché il porto della loro cittànon poteva consentirne l’ormeggio! E non ètutto. Egli, considerando l’area di un segmentodi parabola, fornì il primo esempio di calcolointegrale e, superando le difficoltà della linguagreca che non aveva termini per esprimere nu-meri enormemente grandi, elaborò un sistemanumerico per dare un valore anche al rapportotra il volume più grande, quello della sferadelle stelle fisse, e quello più piccolo, pari a ungranello di sabbia, che allora si potessero con-cepire. Per giunta, oltre al principio dei vasi

    comunicanti, formulò l’assioma che porta ilsuo nome sulla possibilità di stabilire una re-lazione fra grandezze omogenee e finalmentedette la dimostrazione della sfericità deglioceani, e dunque della Terra, solitamente attri-buita a Newton, che si può considerare ilprimo passo verso una concezione modernadella gravità, vista come interazione fra unaqualsiasi coppia di corpi». Purtroppo un geniocosì grande avrebbe trovato la morte per manodi un anonimo centurione del console Mar-cello! Certo i Romani ebbero un atteggia-mento contraddittorio nei confronti dellacultura ellenistica. Ne restavano ammirati,tanto da affidare i loro giovani a maestri greciridotti in schiavitù, ma non la capivano. «I Ro-mani – spiega Russo – appartenevano a unasocietà prescientifica e trovavano difficoltà da-vanti alle sottili speculazioni greche. Con lorosi determinò uno sfasamento, che temo chetemo si stia riproponendo ai nostri giorni, traprogresso scientifico e sviluppo tecnologico.Insomma, la tecnologia, sottoprodotto dellascienza, può continuare a evolversi anche solobasandosi su acquisizioni scientifiche elabo-rate parecchi decenni prima. E i Romani, inte-ressati da determinati prodotti tecnologici, se lifacevano costruire direttamente da ingegnerigreci o li copiavano da questi, poco curandosidei presupposti teorici di quelle applicazioni. Ilrisultato finale fu che in età imperiale la tec-nica romana non riusciva più a produrre cata-pulte efficaci proprio perché nessuno si eraoccupato dei principi della meccanica appli-cati alle catapulte!». La rivoluzione scientifica ellenistica venne ri-mossa e continuò ad esserlo con l’Umanesimoe l’Illuminismo. «Era facile – conclude Russo– recuperare gli aspetti tecnici della scienzaantica, non quelli legati alla matematica teo-rica. E si è dovuto aspettare il 1872 perchéWeierstrass e Dedekind capissero finalmenteuna definizione degli “Elementi” di Euclide,fondamento dell’analisi matematica!».

    Nella stracolma dellaGalleria Maiorino, èstato presentato, il 22 s.m.,con il patrocinio dell’Ammi-nistrazione comunale, l’ul-timo lavoro del prof.Fiorentino Di Nardo: gliapprezzi di nocera (1521-

    1660), edito da ViVa Liberedizioni di Valeria Spa-gnuolo e Vincenzo Grimaldi,e stampato dalla pibiesses.r.l., entrambe di Nocera In-feriore.Il volume apre la collanaCAMPANIA, Diretta daiDocenti universitari Vin-cenzo Aversano e Giuseppe Luongo affiancatinel Comitato scientifico dai colleghi FrancoSalerno, Silvia Siniscalchi e Alfonso Tortora.Il primo Apprezzo, quello del 1521, riguardal’acquisto della città da parte Tiberio Carafa,che divenne il Primo duca di Nocera, la cui fa-miglia si estinse con la morte del Sesto duca,Francesco Maria Domenico, che morì nel 1648in giovane età senza eredi.Il secondo, quello del 1660, relativo all’acqui-sto della città da parte di Francesco Mogra yCorte Real, marchese di Castelrodrigo, erastato già pubblicato nel 1990, con Prefazionedel compianto Prof. Raffaele Pucci, prefazionegiustamente richiamata del corposo e dottosaggio introduttivo del Prof. Alfonso Tortoradell’Università di Salerno. La riedizione diquesto Apprezzo si avvale, rispetto alla primaedizione, di una maggiore elaborazione storicadi cui alle riviste, dotte e puntuali note portateda 129 a 202!Ha coordinato i lavori l’esperta Direttrice dellalocale TV “Telenuova”, Dott.ssa Aurora Torreche dopo una breve ed efficace introduzione haposto alcune opportune domande dando cosìvia alla manifestazione con la pregevole letturadel Prof. Franco Pinto del primo dei quattropassi tratti dall’Introduzione del testo, relativoalla definizione di Apprezzo. Gli altri tre, ri-guardanti rispettivamente le molte informa-zioni sul feudo che ci danno gli estensori deldocumento, sulle ragioni della mancanza deicontadini e dei braccianti negli Apprezzi e ladescrizione del palazzo dei Carafa, hanno in-tramezzato i vari interventi.Il Vice-Sindaco e Assessore alla cultura,

    Dott.ssa Maria Laura Vi-gliar, ha porto il saluto delSindaco, Avv. Manlio Tor-quato, e, con opportuni rife-rimenti, soprattutto delsecondo apprezzo, ritenutopiù interessante per lei in unaprima e veloce lettura, si ècomplimentata con l’Autore,suo amico e collega da an-tica data.Ha preso la parola, qualeprima relatrice, la Dott.ssaClaudia Pingaro. La giovanee valente ricercatrice, checollabora col Prof. Tortoraall’Università di Salerno, ha

    dato un taglio storico al suo intervento soffer-mandosi lungamente ed opportunamente sul-l’importanza storica del Regno di Napoli e suidue periodi storici, anni 20 del 1500 e secondametà del 1600, in cui vennero redatti gli ap-prezzi e sulla differenza che ne deriva nella ste-sura degli stessi. Infatti, “il primo, datato 1521,è un atto completamente medievale sia nel-l’impostazione del documento che nei conte-nuti che sono strettamente giuridici ed esulanoda qualsiasi descrizione di cose e luoghi […]Completamente diverso è l’apprezzo del 1660che si presenta, come gli altri apprezzi delXVII secolo, oltremodo interessante, in quantoci fornisce una serie di importanti notizie to-pografiche, geografiche, demografiche, sullestratificazioni sociali, sulla produzione e suiconsumi, sulle attività economiche, sulla pro-duzione locale, sugli edifici religiosi, sull’or-ganizzazione politica, offrendoci una posizionedi indagine privilegiata”. Si è poi soffermatasul citato saggio introduttivo del Prof. Tortorache nel delineare i meriti, le finalità del testodel Di Nardo e il suo trentennale impegno, netraccia i punti salienti e documentati sull’iden-tità, la storia locale, il complesso rapporto trastoria e geografia.Il Prof. Franco Salerno della Università di Sa-lerno si è soffermato, invece, sugli aspetti antropologici del secondo Apprezzo. Da con-sumato oratore, più volte interrotto da calorosiapplausi, è entrato nelle pieghe segrete del testoattraverso il “liminarismo” che, proposto dallaRivista Lyceum del Liceo classico “T.L. Caro”di Sarno, è un “orizzonte di valori che tende afare emergere il carattere fondante dell’alterità

    da rispettare, della scoperta da tentare, del li-mite da conoscere, della soglia da oltrepassare.Di qui l’importanza del passaggio, del muta-mento, del confine, del dettaglio”.I doppi individuati dall’oratore nel saggio delDi Nardo sono stati: 1) i due testi degli apprezzie un apparato di note, numerose e robuste, dafarne un altro testo nascosto, da non trascurare;2) Passato- Presente, richiamando il concettodi identità e dell’orizzonte di senso che ave-vano i nostri padri; 3) microstoria – macrosto-ria, richiamando la nota a pag. 109 in cuiparlando della famiglia Pagano l’Autore ri-corda la persona più illustre di questa famiglia:Ugone, “indicato da molti come nato a Pagani,che fu uno dei fondatori e, nel 1119, primoGran maestro dell’Orine dei Templari.”; 4)Alto-basso: evidenziando come la classe su-balterna sia poco trattata; 5) temporale – spiri-tuale: realtà terrena e vita religiosa.Ricordando che il sacro si manifesta col pro-fano: la terra e il monte (Ierofanie) l’oratore haterminato, contrariamente alla tradizione, conla copertina del libro che riporta l’immaginedell’Arcangelo Michele che sconfigge il Dia-volo, augurandosi che anche da noi si possavincere il male, il negativo della Storia.Ha preso quindi la parola Fiorentino Di Nardo,il cui impegno storico è stato puntualmente ri-portato nella nota 6 del saggio introduttivo, ilquale prima di passare ad una doverosa seriedi ringraziamenti ha richiamato la dignità deglistorici locali che a differenza degli storici diprofessione non scrivono la storia, ma la rac-contano vivendo nel territorio dove si svolgonogli eventi ed ha dichiarato il suo impegno a oc-cuparsi della storia della sua terra usque adfinem.La serata si è conclusa con l’invito della coor-dinatrice al Prof Tortora a dire “due parole”;questi, brevemente, ha sottolineato la necessitàdell’opera del Di Nardo, in un momento in cuicol referendum nel Veneto si corre il rischio didividersi mentre c’è necessità di una forte iden-tità in un mondo sempre più globalizzato e, ri-chiamando la Rivista Mundus del lo storicoLiverani, ha ribadito l’utilità per i giovani deilibri di storia.Per scelta del prof. Di Nardo copie del librosono state donate ai presenti che, comunque,hanno inteso dare delle offerte che saranno de-volute in beneficienza.

    Renato Nicodemo

    “Gli Apprezzi di Nocera (1521-1160) di Fiorentino Di Nardo”

    Se “la seconda volta non si scorda mai”, inquesto caso, la seconda è stata più belladella prima o, se si vuole, ancora meglio in-terpretata, rappresentata, recitata, impersonatadagli attori (è proprio il caso di dirlo) che sisono avvicendati sulla scena. Nessuno escluso.Miseria e nobiltá, cavallo di battaglia deipiù grandi attori napoletani, è stato presentato,infatti, per la seconda volta dalla compagniateatrale “Pro-Loco in Scena” della Pro-Locodi Sant’Egidio del Monte Albino in un’edi-zione leggermente rivista, ma ugualmentericca, bella e coinvolgente, che il pubblico,numerosissimo (circa 500 spettatori), ha am-mirato nell’ambito della rassegna teatralepresso il teatro San Francesco di Scafati, sa-bato sera 15 marzo. La commedia, scritta nel 1887 da EduardoScarpetta, ha come protagonista Felice Scio-sciammocca, scrivano squattrinato. La tramagira attorno all’amore del giovane nobile Eu-genio per Gemma, ballerina, figlia di GaetanoSemmolone, un cuoco arricchito. Il ragazzoha però paura di non ottenere il consenso allenozze da parte della sua nobile famiglia, per-chè Gemma è la figlia di un cuoco. Così, Eu-genio elabora uno stratagemma, chiedendol’aiuto di Pasquale il salassatore, Felice Sio-sciamocca e delle rispettive famiglie…… Due atti, due ore e mezza circa di recitazione,sotto la brillante regia di Anna Serra. Nel primo atto, al centro del palcoscenico, untavolo (mezzo scassato), alcune sedie spa-gliate e pareti disadorne e sconce sono gliunici elementi scenici che si offrono al pubblico.  Ma il ritmo, grazie alla bravura di tutti, è in-calzante, mai lento, e prende avvio dai litigitra Emma Annunciata, nel ruolo di Concetta,moglie di Pasquale, con la spalla della figlia,Emilia Ferraioli, nel ruolo di Pupella, e An-gela De Rosa, Luisella, convivente di Scio-sciamocca, prime vittime della miseria e dellafame che regna in casa (in fitto). Premiante labravura e la scioltezza nell’interpretazione di“vasciaiole” partenopee di tutte e tre le figure,salvo cambiare il tono (quelle di finte nobili)nel secondo atto. Anche qui,  bravura e sciol-tezza caratterizzeranno le tre attrici. 

    Quindi, Felice Coppola, nel ruolo di Pasqualeil salassatore, bravissimo nell’interpretare ipanni di uno squattrinato, vittima delle con-dizioni di un mercato del lavoro che è cam-biato (i salassi non si fanno più). Pertanto,Salvatore Attianese, nel ruolo del protagoni-sta, Felice Sciosciamocca, che in questoprimo atto sembra fare da spalla a Pasquale,ma ottimo nell’interpretare, nelle sfumaturedei vari toni, un personaggio, maschera dellostesso Scarpetta, a metà tra il drammatico edil farsesco.  Anche Coppola e Attianese, nel secondo atto,da finti nobili, daranno prova di un’interpre-tazione da attori professionali. Tutto ciò, anticipato e alternato da varie en-trate: Annamaria De Felice, Donna Giusep-pina nella commedia, la proprietaria dellacasa che avanza cinque mesate. Brava nel-l’interpretare una donna in affanno per recu-perare le sue spettanze; Francesco Pagliuca,nel ruolo di Luigino, figlio del cuoco arric-chito, innamorato di Pupella, emerge nella suainterpretazione di giovane innamorato e neltono divertito e irriverente che termina nel-l’intercalare “bellezza mia”;  Peppiniello, fi-glio di Felice Scisciamocca, è interpretato dauna giovanissimo Francesco Serra,  magi-strale nel ruolo di scugnizzo napoletano, co-stretto a lasciare la casa e a rifugiarsi, comecameriere, da Gaetano Semmolone. Andrea La Storia, nel ruolo del nobile e gio-vane Eugenio, è l’orditore dell’inganno persposare la bella Gemma. Bravo e disinvoltonel ruolo di nobile innamorato. Scena finale con una cuoca, distaccata e di-vertita, new entry della compagnia, interpre-tata da Livia Rossi. Tutti ottimi interpreti nel tenere ritmo e toni. Nel secondo atto la verve ed il ritmo cre-scono ancora di più, anche in conseguenzadella concitazione che porta il dramma alla ri-soluzione finale. La scenografia, che descrivel’interno della villa di Gaetano Semmolone,il cuoco arricchito, è completamente diversadalla quella del primo atto: quadri alle pareti,divani, una vetrata che apre sul giardino,tende e servitù. 

    Miseria e nobiltà, buona la prima….meglio ancora la seconda….

    di Alfonso Tortora

    «La rivoluzione dimenticata» di Lucio Russo

    La scienza soffocata dalle legioni romaneLa rivoluzione scientifica ellenistica fu rimossa e continuò a esserlo fino a Umanesimo e Rinascimento.

    Emblematico il caso del siracusano Archimede

    di Antonio Pecoraro Sono un ragazzo di 15 anni, al secondoanno del liceo classico G.B. Vico di No-cera Inferiore. Come tutti i ragazzi di oggi,uso tutte le diavolerie della comunicazionemoderna, specie facebook e whatsapp. Sipuò dire che oggi noi ragazzi passiamo il no-stro tempo molto più a “scrivere” che a par-lare. Forse dovrei utilizzare più un terminedella cultura moderna come “chat” e non laparola scrivere. Io che studio le materie clas-siche, lo scrivere dovrebbe significare unqualcosa di più complesso fatto con preciseregole sintattiche, grammaticali e lessicali.Ma non solo lo scrivere, anche il parlare. Lascuola ce la mette tutta per formarci, darciuna cultura adeguata, di usare una ricca ter-minologia, insiste con le lingue classichecome latino e greco ma appena fuori dallascuola la musica cambia, si passa dalla sin-tonia alla distonia. In tutti i campi: giornali-smo, spettacolo, politica, cinema, assistiamoa un nuovo modo di utilizzare le parole, per-sino la religione ha smesso di usare già datempo i lessici classici, per adeguarsi aitempi moderni. L’uomo ha sempre avuto ilbisogno di esprimersi fin dall’età della pietrae lo ha fatto in un modo diverso a secondadella nazione di appartenenza. Abbiamoavuto nella storia processi di colonizzazionedurati decenni per cercare di unificare interepopolazioni sotto una sola lingua comune.Oggi nel mondo ci sono centinaia di lingue edialetti diversi, ma l’inglese è la lingua pereccellenza, l’unica riuscita ad emergere tratante, e anch’essa ha subito delle modifichenel tempo come tutte le altre lingue. Conl’avvento della tecnologia, sviluppatasi giàdalla fine del 900, ha permesso una mag-giore comunicazione tra le nazioni e lo svi-luppo di un linguaggio del tutto nuovo. Ilibri, i giornali, la stampa in generale sono incrisi, non si legge più come una volta, primaessi erano l’unica fonte di informazione deifatti di un paese. In passato se un politico vo-leva annunciare qualcosa lo faceva tramiteun comunicato ufficiale che veniva mandato

    all’ANSA (agenzia nazionale stampa asso-ciata) e poi a sua volta veniva diffuso tramiteun’agenzia ai cittadini. Oggi, invece, bastaavere uno smartphone o un tablet per saperetutto del mondo. Con i cosiddetti “socialnetwork” le notizie si conoscono immedia-tamente prima che arrivino sul giornale. Nefanno uso politici, scrittori, attori del cinemae della televisione e anche noi ragazzi. Mal’uso che ne fa la politica è impressionante,su twitter i politici confrontano i loro con-sensi con il numero di followers che possie-dono. Il primato in assoluto di followers,oggi è detenuto dal segretario del movimento5 stelle, Beppe Grillo. Non è da dimenticareperò che non sono i social network chehanno fatto la cultura italiana ma i filosofi,gli artisti, i poeti che tramite un linguaggioorale o scritto hanno contribuito a trasmet-tere la vera cultura alla nostra società. Èovvio che non si può pretendere di utilizzareparole complesse e di difficile comprensionequando ci troviamo di fronte a strumenti dicomunicazione di massa. Anche Dante conil suo De vulgari eloquentia affrontava il pro-blema della lingua e sosteneva, anche se inlatino, che il volgare poteva veicolare con-cetti forti di cui tutti avrebbero potuto fruire,e non solo quei dotti che, mentre in casa ma-cinavano volgare, quando scrivevano scim-miottavano malamente il “latino diCicerone”, ammesso poi che il latino medie-vale avesse qualcosa in comune con quellocosiddetto classico. La semplicità, i nuovimezzi di comunicazione, la tecnologia è giu-sto che ci siano, questi sono i tempi in cui vi-viamo. Ma lo scandalo maggiore oggi lovediamo in politica dove è permesso di tuttoe di più, si utilizza la lingua come meglio sicrede, utilizzando molte volte vocaboli fortie a volte anche offensivi, per far presa in tuttii modi sui propri sostenitori. Le allusioni sessuali non mancano mai, anzi sono le piùgettonate. Il movimento 5 stelle è stato di

    LE PAROLE, MOLECOLE DEL LINGUAGGIO, IMPOVERITE DAGLI INGRANAGGI DEI SOCIAL

    NETWORK (TWITTER , FACEBOOK…) E NON SOLO

    di Simone Miracolo

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  • 4Aprile 2014 - Anno V - N. 4

    Questa rubrica, come sempre, punta alla va-lorizzazione del patrimonio storico, culturalee religioso di questa città, con un occhio sem-pre attento alla realtà e alla quotidianità e perquesto motivo ha voluto nel titolo cogliere lapiù stringente attualità che è quella dell’asse-gnazione del premio Oscar a un nostro con-terraneo che non può che portare lustro a unaterra da sempre martoriata. Anche a Paganic’è una “Grande Bellezza” in quanto, oltre aigià conosciuti e più famosi Madonna delleGalline, Corpo di Cristo, Purità e altre chiese,la nostra città conserva dei veri e proprigioielli dal punto di vista storico/religioso/cul-turale forse meno conosciuti perché meno fre-quentati e che rendono prezioso un patrimoniostraordinario come nelle foto sopra.Questo patrimonio straordinario, (non sempresfruttato al massimo dal punto di vista cultu-rale e turistico, se non relativamente alla Ma-donna delle Galline per la quale si è lasciatoeccedere l’aspetto profano su quello reli-gioso), negli ultimi anni, ma soprattutto daquando la città è commissariata, si trova aconvivere in un contesto squallido dal puntodi vista ambientale che sorprende il visita-tore/turista che si reca a Pagani attratto so-prattutto dalla Basilica S. Alfonso (la cui

    piazza è costantemente sporca perché nonviene pulita dagli addetti alla raccolta). Con-tinua, pertanto, il massacro nella nostra cittàda parte della Commissione Straordinaria sulfronte rifiuti mentre nelle strade si accumu-lano carte e altro tipo di sporcizia che nonvengono rimosse, soprattutto nelle zone peri-feriche. Vi sono zone della nostra città dove lasporcizia nelle strade viene lasciata per mesie solo quando monta la protesta dei cittadinil’amministrazione commissariale interviene,come è avvenuto per la rimozione di rifiutipericolosi (tubi di eternit/amianto sulla va-riante di Pagani, per i quali ci sono voluti bentre mesi dopo varie denunce. Nel momento incui si scrive, a dieci giorni dal carnevale, lestrade della città sono ancora cosparse di co-riandoli (l’amministrazione commissarialeconfida in un acquazzone purificatore!!!!)mentre restano in maniera endemicamentesporche numerose zone, come si può vederedalle foto allegate, e addirittura in qualchecaso si formano vere e proprie discariche lacui rimozione richiede moltissimo tempo. Na-turalmente si sa che la gestione rifiuti è com-pito del Consorzio di Bacino, che per i debitiaccumulati, a causa del mancato pagamentoda parte dei singoli comuni (e il comune di

    Pagani è il primo della lista) non ha i mezzinecessari al lavoro da svolgere tanto da ridursia ripulire le strade e le piazze con strumentiobsoleti e senza le macchine con le spazzolerotanti moderne e funzionali. Ma al cittadinoche si rivolge alla Commissione Straordinariaper protestare non basta sentirsi rispondereche poi il Comune potrà rivalersi legalmentesul Consorzio di Bacino riducendo il paga-mento dei debiti accumulati. Al cittadino (so-prattutto a colui che paga regolarmente tariffealtissime) interessa la città pulita e l’Ammi-nistrazione Commissariale ha il dovere didare risposte concrete (e in tempi brevi e nondopo mesi dopo i quali sono stati segnalati ac-cumuli di rifiuti, soprattutto quando si trattadi quelli pericolosi), perché riassume in setutti i poteri di un primo cittadino e ha il do-vere/obbligo istituzionale di farlo. Si registra, invece e purtroppo, l’unica cosache non deve accadere nella nostra martoriatacittà e cioè l’assuefazione ad uno statu quoche da anni fa sì che la gente si sia abituata avivere nell’immondizia e a vedere le stradeche continuano ad essere sporche ma di unasporcizia endemica che giace a terra in alcunipunti della città da molti mesi, come dimo-strano le foto del parcheggio adiacente al

    “Circolo Unione” dove c’è addirittura unaspecie di isola ecologica dove il cittadino hasversato vetri, pneumatici, bidet e apparecchiigienici, porte e altri tipi di rifiuti, senza chel’amministrazione si preoccupi di bonificarela zona. La gente che abita nella zona passanormalmente e si comporta come se tuttoquello fosse normale senza alcuna forma diprotesta o denuncia. Allo scrivente contri-buente (insieme agli altri cittadini che pa-gano) non interessa se una parte dellapopolazione non rispetta le norme in materiadi pulizia (probabilmente il comune fa poco oniente per educarlo) ma pretende che le stradedella città siano pulite. Dall’altro lato, cioè da parte dell’Ammini-strazione Commissariale, si assiste a una ten-denza all’inerzia e manca del tutto una seriacampagna di sensibilizzazione, come man-cano ormai del tutto contenitori nelle piazzepiù importanti e non vengono sostituiti quellidistrutti dai vandali (che pure ci sono in tuttele città) ma non per questo il cittadino onestodeve essere penalizzato dalla mancanza to-tale di essi. Anche sul fronte evasione, pur-troppo, i risultati non sembrano esseresoddisfacenti, mentre l’Amministrazione nonè in grado di dare risposte concrete (soprat-tutto ai contribuenti onesti e puntuali) rispetto

    all’altissima quota di evasione che per varimotivi è andata in prescrizione negli ultimianni (con il risultato che essa rappresenta unavera beffa per coloro che pagano) mentre siavvicina una nuova ondata di tasse e tariffeche per il nostro Comune si preannuncianoparticolarmente gravosi, visto che si profilala possibilità che a Pagani si debba applicarel’aliquota più alta, sia per la prima casa cheper la seconda casa, visti i debiti pregressi ac-cumulati da una gestione precedente troppodispendiosa e populistica (si ricordano al ri-guardo le spese folli per la festa della Ma-donna delle Galline e per i tanti toselli, sorticome funghi, a volte anche in maniera ap-prossimativa, per le serate canore in PiazzaS. Alfonso, per le luminarie grandiose e i si-stemi di illuminazione della facciata della Ba-silica di S. Alfonso che gridano vendetta eche hanno fatto salire alle stelle un bilancioche ha portato quasi al predissesto del Co-mune sulla pelle dei cittadini). Non ci restache aspettare le sempre più vicine consulta-zioni comunali di Maggio quando il nuovoSindaco di questa nostra città martoriatadovrà affrontare come primo imprescindibileobiettivo una radicale pulizia e disinfesta-zione di tutte le strade per avviare finalmentela rinascita del territorio!!!!!!

    Pagani e dintorni: ieri e oggi di Armando De Virgilio

    La “ grande BeLLeZZa” di Pagani

    alcuni gioielli storico/culturale/religiosi della nostra città ubicati in un contesto ambientale squallido

    BasiLica di s. aLFonso cHiesa di s. domenico congrega di s. aLFonso

    Se fossimo un mensile patinato e glamour,l’incipit di quest’articolo di Rubrichiamocisarebbe, questo mese: Il Pensiero Libero, inoccasione della settimana della moda, volaper voi a Parigi, per svelarvi i trucchi e i se-greti più intimi della città delle luci. Purtroppoo per fortuna siamo un mensile a “gestione fa-miliare” e quindi, approfittando del mio viag-gio a Parigi, ho unito l’utile al dilettevole e hocercato con i limitati mezzi di una giovane tu-rista di scoprire i segreti della vecchia “Paris”. La moda: lasciando perdere quella dellepasserelle, ho guardato con attenzione quasimaniacale la gente comune che mi cammi-nava accanto in strada, piuttosto che in me-tropolitana, e quello che ho notato è che ifrancesi di qualunque età, sono molto legatialla loro cultura e non se ne discostano mai,sono insomma poco aperti alle, come dire,contaminazioni; erano tutti dal primo all’ul-timo vestiti allo stesso modo: francesine bassedi ogni forma e colore, occhialini da sole ri-gorosamente vintage i capi in comune, pari-gine, gonnelline svolazzanti a stampaprevalentemente floreale, calzoncini con lepence, golfini, camicette e cappottini rigoro-samente di panno per lei, calzini monocolore,pantaloni stretti alla caviglia, maglioni di lana,camicie, giacche, foulard di ogni tipo per lui.Uno stile decisamente retrò che non può nonrimandare alle vecchie cartoline di un tempo. La cucina: cibo da strada e bistrot, vec-chi banconi portati in giro per la città da bici-clette o tricicli che sfornano come per magiasucculente crepes dolci e salate, quella più pa-rigina di tutte è quella “au fromage”, eccel-lente forse la migliore di tutta Parigi quellapreparata da un italiano, pensa un po’, ai piedidella Tour Eiffel uno dei simboli parigini pereccellenza, se passate per gli Champs de Marsla sosta è obbligata. D’obbligo consumare unpasto in un bistrot, l’uno vale l’altro insommavi sembrerà di vivere un deja vu, qui non po-trete non mangiare la famosa quiche lorainne,omelettes au fromage e i dolci … i macaronsdi Ladurée valgono da soli il viaggio a Parigi.

    La musica: dimenticate la vie en rose diEdith Piaf che con la sua struggente voce in-cantava malinconica il mondo intero. Parigi:le sue strade hanno una personalissima co-lonna sonora, quella degli artisti di strada unasorta di teatro a cielo aperto. Ovunque. Pren-diamo ad esempio gli Champs Elysées; si

    passa dall’ascoltare musica classica ad assi-stere a spettacoli di break. L’arte: Città d’arte per eccellenza,ogni suapietra meriterebbe una visita, ma quel che misento di consigliare se mai doveste trovarvici,Notre Dame, Sainte Chappelle, Montmatreinteso come quartiere, unica zona di tutta lacittà dove sembra regnare armonia tra personae luogo, dove il grigio colore dominante la-scia il posto ai caldi colori degli acquerelli, ilLouvre. Questi posti insieme ai già citati ma-carons di Laduree vi porteranno nella dimen-sione onirica del sogno. LA CULTURA: il paradosso più grande, per-ché non si può arrivare fino a Parigi per sco-prirsi fieri d’essere italiani; non si può arrivarefino a Parigi per comprendere la magnifi-cenza e la maestosità dell’Italia, a rivelare

    Rubrichiamoci…A cura di Maria Pepe e Nunzia Gargano

    questo, il Louvre, con la sua Galleria dei di-pinti italiani luogo più frequentato di tutto ilmuseo, (lungo gli altri piani il deserto nono-stante lo splendore) fatta eccezione per ilpiano zero dove tutta la folla si accalca su soletre opere: la Venere di Milo, lo Schiavo mo-rente di Michelangelo (vedi foto) e Amore ePsiche di Antonio Canova, guarda caso dueitaliani e inaspettatamente, l’immensa Ver-sailles, mentre la si percorre un pensiero stra-namente passa in mente … “però, la Fontanadi Diana (Reggia di Caserta) è uno degli spet-tacoli più belli mai visti in un giardino”.

    DeliziandoQuesto mese l’attenzione della nostra ru-brica è dedicata a un evento molto impor-tante svoltosi il mese scorso a Castel SanGiorgio. Stiamo parlando di “Vitigno & Ter-roir”, una manifestazione ormai radicatasinel territorio grazie all’impegno di ungruppo di persone volenterose. Incomin-ciato quasi per scommessa, oggi è diventatoun appuntamento imprescindibile per gliamanti del vino e non solo. Migliaia e mi-gliaia di persone ogni anno si affollano neglispazi allestiti per trascorrere qualche ora trale migliori aziende vinicole campane.La quinta edizione del salotto del vino cam-pano si è svolta l’8 e il 9 marzo scorsi nelsuggestivo Palazzo Calvanese alla frazioneLanzara di Castel San Giorgio. Gli appas-sionati e i cultori di vino hanno avuto la pos-sibilità di fare una full immersion tra lemigliori aziende vinicole campane. L’e-vento è frutto della sinergia tra l’Ais (Asso-ciazione Italiana Sommelier) di Salerno el’associazione “Amici di Villa Calvanese”,presieduta da Maristella Caputo, una donnaquotidianamente impegnata nella promo-zione e valorizzazione delle risorse locali. La kermesse ha raggiunto un successostraordinario confermato dalla grande af-fluenza di pubblico selezionato che si è av-venturato per le stanze di un luogo che èfiore all’occhiello dell’intero Agro Noce-rino-Sarnese. Se la manifestazione è riuscita a imporsi al-l’attenzione di addetti ai lavori e non, il me-rito va riconosciuto anche all’organizzatoreche, per primo, ha creduto in un progetto delgenere a Castel San Giorgio. Stiamo par-lando di Carmine Capuano. A lui va il me-rito di aver inventato una formula vincenteche si sta radicando di anno in anno. Gio-vane, volenteroso e capace, quest’ingegnerecon la passione per il vino, la birra e tuttociò che è cibo di alta qualità ha lavoratoininterrottamente affinché niente venissetralasciato. Migliaia e migliaia di volte hafatto da Cicerone ai visitatori non abbando-nando mai la sua cortesia e affabilità.Il salotto del vino monovitigno autoctonocampano si è contraddistinto per essere statoun grande evento che al suo interno, al pari

    di una matrioska, conteneva tanti altrieventi. Per gli ospiti c’era solo l’imbarazzodella scelta. Oltre alla degustazione dei vinidelle diverse aziende vinicole intervenute,il pubblico ha avuto la possibilità di imbat-tersi e conoscere tanti altri prodotti d’eccel-lenza: il tagliere di salumi e formaggiadeguatamente preparato dalla macelleria diGerardo Salvati alla frazione Fimiani, lapasta del pluripremiato pastificio artigianaleVicidomini, il pomodoro San Marzano Dopdell’azienda Danicoop di Sarno, l’olio ex-travergine d’oliva del frantoio Romano diPonte (Bn).Un momento indelebile nelle menti dei par-tecipanti sarà il cooking show della seratafinale. Lo chef Rinaldo Ippolito, patron del-l’Osteria del Castello alla frazione Curteridi Mercato San Severino, ha presentato e il-lustrato alle trenta persone partecipanti ilpiatto pensato per l’occasione, Candele Vi-cidomini ripiene di braciola di capra concrema di pecorino poco stagionato. La pie-tanza è stata accompagnata dalla degusta-zione di tre vini selezionati accuratamentedall’Ais Salerno e illustrati dal delegatoNevio Toti.

    Durante il cooking show, Rinaldo Ippolitoe i prodotti utilizzati per la degustazionesono stati presentati da Marco Contursi, fi-duciario condotta Slow Food dell’Agro e dame, giornalista enogastronomica.Infine, gli organizzatori hanno dato appun-tamento alla sesta edizione.

    Andare a Parigi per scoprire l’Italia

    una vera discarica che giace da mesi nel Parcheggio adiacente il circolo unione

  • Aprile 2014 - Anno V - N. 45

    Obiettivo: miglioramento delle competenze dei giovani, contrasto alla disper-sione scolastica, sostegno alla transizione dalla scuola al lavoro: l’IPSSEOAMarco PITTONI di PAGANI interviene in risposta al Programma Operativo Na-zionale del MIUR, progetto F3, quale Scuola Capofila di una rete di Istituti sco-lastici in sinergia con i fabbisogni del territorio.Nel perseguire l’obiettivo del progetto, l’istituto, mettendo in atto numerose stra-tegie innovative mira a creare un ambiente positivo di apprendimento e a pro-muovere una didattica attiva, accogliente ma rigorosa, tesa a migliorare lecompetenze irrinunciabili e a valorizzare le potenzialità di ogni singolo studente,a

    sviluppare le abilità per la vita (life skills) e le competenze professionalizzanti,tenendo sempre presenti le esigenze del territorio e il background familiare e so-ciale degli allievi. Gli interventi dell’Azione 3 del Piano Azione- Coesione, di cui l’Istituto è ca-pofila, finanziati con le risorse del Fondo Sociale Europeo e gestiti dal MIUR,prevedono lo sviluppo di reti territoriali contro la dispersione scolastica e la crea-zione di prototipi innovativi.L’IPSSEOA M. Pittoni, in qualità di istituto capofila, ha realizzato, pertanto, unprogetto ad ampio respiro comprendente 5 diversi percorsi didattici rivolti ad al-trettanti target di alunni ed articolati ciascuno in vari moduli. Esso è volto a con-trastare il fenomeno della dispersione ed a potenziare il successo formativo, ilconsolidamento delle competenze e l’accrescimento dell’autostima attraverso lastimolazione dell’apprendimento, l’uso di tecnologie innovative, la motivazione

    e la curiosità d’apprendimento, favorendo l’applicazione di una metodologia chetrasformi il “so” nel”saper fare con ciò che so” (Wiggins), di una didattica me-tacognitiva che consenta di “imparare ad imparare”, mirando altresì al riallinea-mento e al consolidamento delle competenze in uscita sia dal primo ciclo che nelpassaggio al secondo ciclo dell’obbligo scolastico. Da qui è nata l’idea di una retedi scuole che fosse “verticale”, al fine di monitorare, orientare e riallineare stu-denti in difficoltà secondo il metodo dello spiral learning, teso ad ottenere ri-sultati più validi e soprattutto permanenti. Al centro della progettazione modularespicca il territorio con le sue due grandi peculiarità: da un lato la produzioneagricola e, con essa, i suoi prodotti di eccellenza e la grande tradizione culina-ria; dall’altro, il territorio stesso, inteso come ambiente da salvaguardare e pa-trimonio turistico su cui investire.

    Prof.ssa Isabella Behar

    Pon F3: La scuola scende in campo per

    “crescere in coesione”

  • chiesa al suo antico splendore. Don Flavianoarriva, e mi apre le porte della sacrestia,della chiesa. Mentre stiamo per iniziare l’in-tervista arriva Ermanno Cutolo il qualesenza problema alcuno gli spiega come in-tenderà allestire l’altare per i sepolcri. Io homolto apprezzato questo suo gesto di fiduciae quindi oltre a non rivelare come sarà l’al-tare, con estremo piacere lascio che sia pre-sente. L’intervista inizia, le domande con lerelative risposte le conoscete già, il tutto pro-cede come si stesse trattando di una chiac-chierata tra amici, so che forse avrei dovutoparlarvi dei quadri, del loro valore e dei loromille dettagli ma a far questo ci penserà chidi dovere, chi ne ha per titolo e merito legiuste competenze. Il mio punto di fuoco èinvece la familiarità, l’amore assoluto chequesto parroco con mio stupore, perché am-metto che non pensavo, ha per la sua gente,la sua gente che va oltre il limite giograficoimposto dal paese… “la chiesa è la miadonna, la mia famiglia è a lei che io donoogni giorno il mio amore assoluto, ed è perquesto che non passa giorno che io nonabbia nei suoi confronti manifestazioni d’af-fetto a questi tre quadri sono un tassello im-portante che va ad incastrarsi perfettamentenel mosaico che stiamo piano piano for-mando: i marmi, le luci, l’organo, altreopere pittoriche, il meraviglioso pulpito chea breve ritorneranno e tanto altro… il de-naro è un dettaglio in qualche modo devopur spenderlo dopotutto come dicevo primaquesta è la mia famiglia”. Arriva l’ora didire messa, è tempo di congedarmi, e men-tre torno a casa, a passo veloce perché lapartita sta per iniziare, non posso non pen-sare alla bella realtà, alle belle persone e aitanti falsi pregiudizi che ronzano loro in-torno. Constatare con mano che qualcosa dibuono da cui partire c’è, riempie il cuore diqualcosa che non so dir cosa è, ma che ècerto, sa di buono.

    6Aprile 2014 - Anno V - N. 4

    Alla fine del primo trimestre del 2014, èsorprendente notare come molti dei pro-blemi che gli investitori si trovavano adaffrontare all’inizio del 2013 sono an-cora sul tappeto. Inevitabilmente, però,adesso si è fatta più pressante la neces-sità di individuare delle soluzioni.

    QUESTIONI IRRISOLTE.

    Il riorientamento dell’economia dellaCina verso i consumi interni è ancora incorso. L’economia degli Stati Uniti nonè né tanto debole da fare temere la ca-duta dei profitti aziendali, né abbastanzaforte da consentire alla Federal Reservedi porre termine agli interventi sul mer-cato obbligazionario. Nel corso del 2013alcuni ostacoli sono stati solo aggirati, edovranno essere risolti in maniera con-vincente quest’anno. Alcuni di essi sonodi natura politica: la nozione di consensobipartisan sarà relegata nel dimenticatoiodella storia degli USA? Potranno i go-verni europei utilizzare il tempo guada-gnato grazie alle misure della BCE perrealizzare le riforme strutturali e co-struire un quadro finanziario integratoper dar vita all’unione bancaria? Comereagiranno i Paesi emergenti al rallenta-mento dalla crescita e saranno in gradodi sostenere il passaggio strutturale ba-sato sull’espansione del mercato in-terno? Inoltre, nella maggior parte deiPaesi avanzata, la sostenibilità del debitodipende ancora dalla liquidità erogatadalle banche centrali. Tutte questioni ir-risolte che continuano a favorire condi-zioni monetarie molto accomodanti, cheinducono gli investitori in cerca di re-munerazioni elevate a comprare azioni,ma allo stesso tempo alimentano ancheun’avversione al rischio strutturale ele-vata. Inoltre, questa situazione favoriscela propensione per gli investimenti rifu-gio, che offrono rendimenti reali nega-tivi al netto dell’inflazione.

    ORIZZONTI FUTURI

    Il 2014 porterà ulteriori chiarezza sulleconseguenze e sull’efficacia delle misurepost-crisi decise da governi e banchecentrali ne momento in cui le economietendono a marciare ad un ritmo suffi-ciente ad uscire dalla crisi, facendo sor-gere dei dubbi circa la necessità di unacrescita più autonoma ed un atteggia-mento meno interventista da parte delleautorità. Nel 2014 sarà importante sce-gliere il momento giusto per entrare ouscire dai mercati (il cosiddetto market-timing), puntando su strategie orientateverso orizzonti di lungo termine.

    PRINCIPALI ASSET CLASS

    La buona notizia è che gli indicatori pro-spettici segnalano chiaramente che lacrescita globale migliorerà nel 2014,benché a ritmo contenuto. La cattiva no-tizia è che se si considera il serbatoio dimanodopera disponibile a livello mon-

    diale, la ripresa non creerà nuovi posti dilavoro. Di conseguenza, un decrementodel tasso di inflazione e/o una fase di de-flazione rimane il rischio principale perle nostre previsioni di rafforzamentodalla crescita.

    I PAESI EMERGENTI

    Non sono sull’orlo di una crisi. Le diffi-coltà strutturali dovranno essere supe-rate, tuttavia, al momento, i Paesi in viadi sviluppo possono contare su ammor-tizzatori più robusti e dato che si indebi-tano in ampia misura nelle rispettivevalute, ciò li rende meno vulnerabili. Lacrisi del 1997 resta nella memoria degliinvestitori ma tendiamo a escludere unareplica.

    LE BANCHE CENTRALI

    Hanno dispiegato notevoli misure di al-lentamento quantitativo e politiche mo-netarie espansive, ma non sono riuscite astimolare l’aumento dei prezzi al con-sumo: tale dato riassume che, nonostantegli sforzi delle banche centrali di USA,Giappone e zona euro, l’inflazione allar-merà di più per la sua assenza che per lasua presenza. Questo ci porta a credereche la fine della fase rialzista sul mercatoobbligazionario non arriverà nel 2014. Siprevede che i rendimenti decennali dellaGermania nell’area euro resteranno sta-bili nel primo semestre del 2014, primadi registrare un lieve rialzo quando la po-litica monetaria USA si normalizzerà ela BCE ribadirà l’obiettivo di mantenerel’inflazione vicina al 2%. In questo con-testo internazionale, caratterizzato darendimenti bassi, incassare le cedoledegli strumenti a reddito fisso rimarràuna strategia interessante.

    I RECORD POST-CRISI

    Registrati da vari indici azionari dei Paesiavanzati nel 2013 sottolineano l’attra-zione che le azioni esercitano sugli inve-stitori che possono contare su unorizzonte di investimento adeguato, men-tre i “beni rifugio” continuano ad offrirela sgradevole alternativa di rendimentireali negativi. I mercati azionari interna-zionali dispongono del potenziale per ge-nerare rendimenti interessanti in terminiassoluti, grazie al miglioramento delleprospettive per gli utili societari che do-vrebbero trainare al rialzo i mercati. Inbase alle nostre stime, gli indici azionaridei Paesi emergenti dovrebbero registrareperformance superiori rispetto a quelledelle aree avanzate. Questa stima si basasulla costatazione che oltre ad un poten-ziale di crescita degli utili più elevato, imercati emergenti dovrebbero benefi-ciare anche di valutazioni interessanti.

    A cura di Enzo Bove*

    LA SFIDA VERSO LA NORMALIZZAZIONE

    *Personal Financial Bankercell. 328.1288640

    Grande risposta del territorio per laraccolta sangue dell’AVIS di Pa-gani, tenutasi domenica 9 marzo, all’O-spedale “A. Tortora”. Presso il nuovoreparto di onco-ematologia, ci sonostate ben 55 donazioni, a fronte delleoltre 200 dall’inizio del 2014.L’AVIS di Pagani sta crescendo molto,oltre che nel numero dei donatori (sem-pre in crescita), anche per ciò che ri-

    guarda l’organizzazione del direttivo ela gestione dell’associazione. Infatti,alla squadra si sono aggiunti l’impegnodella neo responsabile giovani donatori,Carmen Gaudio e la professionalità delDott. Giandomenico Torre, psicologo epsicoterapeuta.All’entusiasmo e alla voglia di operareper il sociale si sta affiancando profes-sionalità e una maggiore strutturazionedel servizio, che lo rendono sempre piùefficace e di facile accesso. Per questoanche le scuole superiori di Pagani sonostate coinvolte in questa esperienza dicrescita del senso civico.“Stiamo creando una piccola rivolu-zione copernicana in ambito sociale,grazie all’apporto di persone altruiste edi professionisti del settore. L’AVIS diPagani sta diventando un punto di rife-

    rimento del territorio per poter com-piere un piccolo gesto che ha un grandeimpatto sociale. Oltre ad essere un’a-zione concreta, la donazione diffonde lacultura dell’altruismo, dell’interesse delprossimo, crea civiltà!” Queste sono leparole del presidente, il Dott. MirkoApa.Tutti sanno che si può donare sangue,ma spesso abbiamo diversi impedimenti

    che non ci permettono di fare questopasso. E infatti, lo psicologo Giando-menico Torre ci spiega quali sono le dif-ficoltà che ci bloccano: “Pensate di nondonare sangue per paura degli aghi? Oper paura del sangue? Perché siete pau-rosi? Non è così! Non donate per negli-genza. Perché non sentite la necessità eil bisogno, e quindi non avete la giustamotivazione. Ma provate ad immagi-nare: cosa succederebbe a queste paurese la vita di un vostro caro fosse in pe-ricolo? Svanirebbero! Adesso non avetepiù scuse per non compiere questo pic-colo ma valoroso gesto.” La prossima donazione si terrà Sabato12 Aprile dalle 8:30 alle 13:00 pressol’ospedale “A. Tortora” di Pagani. E ri-cordatevi che “Chi dona sangue si sentemeglio: Donare dona allegria”.

    «Perché non è il pane che manca.... V’èpane quaggiù, per tutti i figli della terra eforse anche, come cantava Heine, ci sonorose e mirti e bellezze e piaceri e piselli,piselli dolci per tutti. «Io rivivo, O povero amico, io rivivo gliultimi ineffabili giorni del tuo atroce Calvario. «Tu potevi evitare la morte. Potevi, dovevirubare. Mentre le tue viscere si torcevanonei crampi dell’inedia, mentre il tuo cer-vello si ottenebrava, mentre le tue ultimesperanze cadevano, c’era chi godeva, chibanchettava, chi si divertiva. E tu sei pas-sato pallido e sfinito davanti alle vetrinedei negozi di commestibili e non hai osatovarcare le soglie delle grandi trattorie fra-granti di cibi e sfolgoranti di luce. «Ebbene, tu dovevi entrare nelle splendidesale dove la borghesia si diverte. Entrarviarmato dei tuoi digiuni e delle tue collere,entrarvi a spaventare la vile torma dei benpasciuti con un formidabile grido di ven-detta che sarebbe passato brivido freddodi lama attraverso cento reni disfatte.... «E prendere e sfamarti.... «Oh lo so, ti avrebbero arrestato, forse la-pidato.... I giornalisti stipendiati che oggihanno annunciato con termini coccodril-lescamente lacrimevoli il tuo suicidio, tiavrebbero scagliate contro tutte le deplo-razioni dei benpensanti che consideranola digestione la funzione più nobile ed altadella loro vita e non vogliono che sia dachiunque e comunque turbata. «Ma tu avresti dato un esempio e gliesempi scarseggiano in quest’età di ba-stardi che preferiscono la elemosina alla ri-volta. «Ma se eri già stanco ben hai fatto a finirla. «Sulla tua salma noi - vincolati dal co-mune destino - rinnoviamo i nostri propo-siti. Per te, per tutti coloro che sulla facciadella terra soffrono dell’ingiustizia altrui,noi prepariamo, noi aspettiamo “il giornodella liberazione!”».Terminato il discorso, l’oratore gettò nellabuca la prima zolla di terra. Quando tutta lacassa ne fu ricoperta, il gruppo si sciolse.Ognuno riprese la sua strada, in silenzio.

    Da Lotta di Classe, N. 81, 22 luglio 1911, II (c. 87).

    il suicida per fame

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    A fronte del contributo verrà rilasciata fattura o ricevuta. Sarà possibile sul sitowww.ilpensierolibero.it pubblicare attività professionali ed imprenditoriali. Gliinteressati potranno scrivere a: [email protected]

    Contributi pervenuti nel mese di Marzo:- Francesco Fasolino Angri euro 500,00- Ass. Musicale e Culturale S. Alfonso Pagani euro 50,00

    - segue da pag. 1 -

    esempio dal primo giorno che ha messopiede in parlamento, il “regista” Beppe Grilloha fatto scuola sull’argomento. Ultimamentein parlamento hanno anche pesantemente of-feso l’attuale Presidente della Camera Bol-drini, durante una seduta nella quale siopponevano a far passare un decreto legisla-tivo a favore delle banche: la rissa, le paro-lacce e gli insulti dalla camera passano allarete e quindi agli italiani, e così si vive lospettacolo della politica quotidiano. I batti-becchi verbali in parlamento ci sono semprestati, anche con forte virulenza già a partiredai primi anni della Repubblica, quando èstata fatta la costituzione: ex partigiani ed exmonarchi furono coinvolti in continui taffe-rugli nell’aula costituente, ma al cittadinodella strada le notizie, in parte filtrate e cen-site, gli arrivavano sul giornale il giorno

    dopo. La politica oggi è diventata spettacolo:tutti i giorni ormai in televisione da circa unventennio, con l’avvento del berlusconismo,assistiamo a continui talk show con la pre-senza di esponenti politici di opposti schie-ramenti che si offendono a vicenda conappellativi di ogni genere.. “vai a lavorare!”,“non rompere i co…”, “non capisci unama…”, “vai a fare in …” e chi più ne ha piùne metta. Si è superato ogni limite di decenzae del rispetto delle persone. Io sono ancoramolto giovane, non posso giudicare nessuno,forse molte logiche non fanno ancora partedi me, ma di una cosa sono certo, che asso-lutamente, gli ululati di Grillo o i va a fa in… etc… non possono essere insegnamentigiusti per i giovani che come me stanno cre-scendo e sperano in una società migliore fattadi persone oneste che mettono a disposizionela loro cultura, il loro sapere per gli interessidella collettività.

    Le parole, molecole del linguaggio, impoverite…

    - segue da pag. 3 -

    In questo secondo atto, Lorenzo Vacchino,altra new entry, tiene banco con un’ottima in-terpretazione di Gaetano Semmolone, credu-lone mezzo stolto, arricchitosi per una fortunapiovuta dall’alto. Carmela Micucci, nei panni della bellaGemma, nei suoi toni sciolti, leggeri, come siaddicevano ad una ballerina di quei tempi, èautentica nella sua interpretazione. Il vero marchese Favetti, nelle vesti di un taleDon Bebè, è interpretato da un napoletanodoc, Fulvio Giorgione, il quale non fatica a te-nere l’accento e il palco, benché sia alla suaprima uscita. Bella novità della compagnia. 

    Poi Gaetano Iommazzo e Enrico Serra, ottimiinterpreti dei camerieri Biase e Vicienzo chehanno arricchito la scena con toni e battutesempre a ritmo.  Quindi, Giuseppina Ferraioli, nelle vesti diBettina, la moglie di Sciosciamocca, forse ladonna che ancora ama realmente, madre diPeppiniello. Piccata, sempre a tono, tiene lascena con grande bravura. In conclusione, il tutto è riassumibile nellascena finale: la miseria resta miseria e la no-biltà forse non esiste e non è mai esistita, magli attori della “Pro-Loco in Scena” hannofatto rivivere la musicalità di una grande com-media, punto di riferimento dei più grandi at-tori di teatro. 

    Miseria e nobiltà, buona la prima…. 

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    incontro con don Flaviano

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    “CHI DONA SANGUE SI SENTE MEGLIO:

    DONARE DONA ALLEGRIA”di Mirko Apa e Giandomenico Torre

  • Volti e racconti di donne nella nostra so-cietà. Racchiude questo il libro “Ti rac-conto una donna” di Antonio Stecca e AngelaPanaro, presentato in occasione dell’ottomarzo dall’Assostampa Campania Valle delSarno a Villa Calvanese di Castel San Giorgio. Il dottore Alfredo Salucci, giornalista, com-ponente del Consiglio direttivo dell’Asso-stampa ha presentato all’attenta platea ilvolume rimarcando quanto desti oggi curio-sità un libro sulle donne. “La cultura ma-schilista di ogni luogo e ogni tempo – harimarcato Salucci con una presentazione

    quanto mai intensa ed esaustiva – ha impe-dito all’uomo di conoscere l’altra realtà delmondo, perdendo di fatto il 50% della storia,della letteratura, dell’arte... Si è rinunciatoletteralmente all’altro cervello dell’umanitàper inutilizzo, considerato che, anche nelcampo religioso, la figura femminile è spessoconsiderata come subalterna a quella del-l’uomo.”La presentazione del libro è stata organizzatadall’Assostampa Valle del Sarno presiedutada Salvatore Campitiello ed è stata inserita,come spunto di riflessione per l’8 marzo, inun pomeriggio di informazione sulle immi-

    nenti novità che riguardano il mondo dei giornalisti.All’incontro era presente l’autrice della pub-blicazione, Angela Panaro, che, assieme almarito Antonio Stecca, ha scritto i raccontiche confluiscono nel libro e che parlano didonne. Al centro dei racconti ci sono le donneche nonostante il loro quotidiano impegnoanche oggi sono costrette ad avanzare nel no-stro mondo controcorrente, con mezzi spessoinadeguati rispetto alle loro reali potenzialità.Uno stato di cose che si raffigura egregia-mente con l’immagine di copertina del libro:una donna molto bella che viaggia su una bi-cicletta troppo piccola, su una strada sterrata econtrovento.“Ti presento una donna” è uno spaccato delmondo femminile, con pregi e difetti. Il libroparla anche di donne che trovano la forza direagire, di ribellarsi, di affermare il propriopunto di vista in un mondo che in futuro nonpotrà più ignorarle.Particolarmente toccante e significativo il mo-mento in cui l’autrice, prendendo la parola, haindicato una sedia vuota in sala; una sedia me-tafora dell’assenza di tutte le donne di cui leiha sempre cercato di farsi portavoce. AngelaPanaro, infine, non ha mancato di farsi porta-voce dello sforzo che ha compiuto nello scri-vere per interpretare il disagio reale e il doloredei suoi personaggi femminili che, attraversola scrittura, hanno sempre avuto la possibilitàdi materializzarsi in una realtà che mette sem-pre le donne in secondo piano.

    Aprile 2014 - Anno V - N. 47

    Acqua e autismo. Questo il progetto par-tito presso il centro sportivo “Olimpia”di Nocera Inferiore, sabato 8 marzo scorso.L’iniziativa è stata realizzata grazie all’asso-ciazione onlus “Autismo fuori dal silenzio”.Madrina dell’iniziativa: l’atleta, campionessanazionale di salto in lungo, Dariya Derkach.Il sodalizio rivolto ai bambini affetti disturbidello spettro autistico è nato dalla forza di vo-lontà di Alfonso D’Angelo e Marco Cercolache si sono uniti allo psicologo Michele Ianniello. Ogni sabato pomeriggio, da marzo a giugno,quattordici bambini per quattordici settimanesvolgeranno in acqua un’ora di terapia. Perogni ragazzo ci sarà un istruttore specializzatoche ha conseguito il brevetto ad hoc. Infatti,sei volontari dell’associazione hanno parteci-pato al primo corso di formazione organizzatodal piano di zona di Eboli con la supervisionedegli esperti dell’Università dell’Acqua diBrescia, tra cui la dottoressa Moira Faustini.“È stato possibile far partire gratuitamente l’i-niziativa – spiega Alfonso D’Angelo – perchéabbiamo utilizzato i fondi che l’associazioneha raccolto nell’ultimo periodo”.Il sodalizio ha raggiungo traguardi importantigrazie anche alla sensibilità di alcuni impren-ditori che hanno sostenuto l’iniziativa attra-verso erogazioni libere in denaro (Yomi deifratelli Campitiello, Ford Grn di GerardoStanzione, Caffetteria Vergati, Fratelli Cercola, Fratelli Damiano, “Pummarola‘ncoppa” dei fratelli Scisciola. L’acquapsicomotricità è solo l’ultima delle

    iniziative di “Autismo fuori dal silenzio”.L’attività dell’associazione, dalla data di fon-dazione a fine 2012, è stata molto intensa e losarà sicuramente anche da qui a giugno. Inquesti anni sono stati organizzati numerosiworkshop rivolti a bambini, genitori edesperti realizzati con il supporto della dotto-ressa Francesca Degli Espinosa, una luminaredel campo che opera in Gran Bretagna, teo-rica dell’approccio Aba.“Il metodo Aba – illustra Alfonso D’Angelo –prevede 6-7 ore di attività terapica al giornoche, in mancanza di strutture specializzate –viene svolta a casa propria. Ciò comporta l’al-ternarsi durante l’arco della giornata di 2-3 te-rapisti. Quella che conta è la continuità gr