a scuola, o contro la scuola - Gli Asini - Rivista...Racconti crudeli di madri, bambine e bambole...

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BENFANTE | BONVISSUTO | CARSETTI | CORNIA DELL’AQUILA | DE MOJANA | FOFI | FRESCO | HONEGGER | GIUNTA | MONTESANO MORI | PULEO | RADIO GHETTO | ROHRWACHER |RUGANTI TARGHETTA | VARRÀ | VILLA ANNO III -AGOSTO/SETTEMBRE 2012 8,50 BIMESTRALE E D U C A Z I O N E E I N T E RV E N TO S O C I A LE Il futuro della scuola La corsa dei topi Contro il Tirocinio Formativo Attivo Il disagio della creatività Montesano: professori senza dignità Cornia: ma che lavoro è insegnare? Bonvissuto: tra carcere e scuola Cosa fece Franco Basaglia Assistenti e assistiti Il diritto di asilo La Fortezza Europa Asinitas, una scuola per gli immigrati Asnada, una mostra degli immigrati Cosa vedono e leggono i bambini Disney ieri e oggi Il famigerato Tintin Le forme della nostalgia a scuola, o contro la scuola DOSSIER L’Africa in casa BRAMBILLA | CIAFALONI | FERRARIS MONTI | SCHIAVONE | SCORZONI 11 11 2012 9 788863 571073 ISBN 978-88-6357-107-3

Transcript of a scuola, o contro la scuola - Gli Asini - Rivista...Racconti crudeli di madri, bambine e bambole...

  • È meglio l’isolamento da questa società dell’illegalitàlegalizzata che qui, nel casertano, toglie ai ragazzi ilrespiro, gli toglie qualsiasi forma di diversità possibile; igrandi titoli dei giornali parlano sempre del folclore cri-minale, non parlano mai della cosa più interessante, cioèl’illegalità diventata legale sia tecnicamente, nella socie-tà, ma soprattutto nella testa delle persone. È una muta-zione profonda e grave, che rende difficile ogni discorso,ogni ragionamento, perciò diventa difficile arrivare alpiano etico: ed è per questo che da queste parti “etica” èuna parola ipocrita, utilizzata da coloro che ne sono lanegazione; una parola che più viene detta, ripetuta, uti-lizzata dal gruppo familista – che va dal politico all’ulti-mo dei custodi di edifici pubblici – e meno diventa realenei comportamenti, nei gesti, nella vita quotidiana dellepersone. Ma anche nella dimensione privata, nelle rela-zioni affettive tra i ragazzi, con le famiglie, che spessosono o disastrosamente assenti o iperaffettive in sensofalso: “Faccio finta di darti tutto perché in realtà non tisto dando niente di essenziale”. (...) Andate come inse-gnanti a Scampia o al Parco Verde o al Villaggio Coppola:i ragazzini che nella criminalità ci vivono da sempreanche se non sono tecnicamente “criminali” sono com-pletamente spaccati a metà, tra l’orsetto di peluche com-prato all’ipermercato e lo spaccio pomeridiano nei luoghidelle periferie coatte, tra bisogno di affetto morboso,infantile, con un’età mentale e affettiva di tre anni, eun’età reale, fisica, di quaranta, e quaranta vissuti nellatotale alienazione da bello e bene.

    BENFANTE | BONVISSUTO | CARSETTI | CORNIADELL’AQUILA | DE MOJANA | FOFI | FRESCO |

    HONEGGER | GIUNTA | MONTESANOMORI | PULEO | RADIO GHETTO |

    ROHRWACHER |RUGANTI TARGHETTA | VARRÀ | VILLA

    ANNO III -AGOSTO/SETTEMBRE 2012 € 8,50

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    Il futuro della scuolaLa corsa dei topi

    Contro il Tirocinio Formativo AttivoIl disagio della creatività

    Montesano: professori senza dignitàCornia: ma che lavoro è insegnare?

    Bonvissuto: tra carcere e scuolaCosa fece Franco Basaglia

    Assistenti e assistitiIl diritto di asilo

    La Fortezza EuropaAsinitas, una scuola per gli immigrati

    Asnada, una mostra degli immigratiCosa vedono e leggono i bambini

    Disney ieri e oggiIl famigerato Tintin

    Le forme della nostalgia

    a scuola, o contro la scuola

    DOSSIER

    L’Africa in casaBRAMBILLA | CIAFALONI | FERRARIS MONTI | SCHIAVONE | SCORZONI

    11

    112

    01

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    9 788863 571073

    ISBN 978-88-6357-107-3

  • ALBANESI | BENADUSI | BENFANTE | BRAUCCI | CENTROTERRITORIALE MAMMUT | COLLETTIVO OLTRE IL GIARDINOFOFI | FRESCO | GIACOPINI | HONEGGER | LAFFI | MONTI G.

    MONTI L. | MORREALE | NERI | PETRUCCI |RUGANTISAMERSKI | STEFANI | TAMBURINI | TOLLE

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    ANNO I - LUGLIO/AGOSTO 2010 € 8,50E D U C A Z I O N E E I N T E R V E N T O S O C I A L E

    Oggi e domaniL’illusione e l’assedio

    Le frecce e il bersaglioLe pedagogie nere

    Una madre giudica la scuolaLa scuola interculturale

    tra oasi e ghettoLa macchina del sociale

    Utopie e metodo Il paradosso del servizio sociale

    Genovesi senza portoLa riforma scolastica negli Usa

    La Freie Schule di BremaBòtti di tamburo

    Virus

    DOSSIER

    Il giovane normaleBRUNO | FOFI | GIPI | LAGIOIA | MONICELLI |PICCOLI | VANNUCCI | VILLA

    individui o servi

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    ANERVI | ARENA | AUGÉ | BATTISTON | CANEVARO | CORNIAFOFI | GAGLIANONE | GRAZIANI | HONEGGER | LORENZONIMAFFUCCI | MASPOLI | NALETTO | PAGANOTTO | PASSONI

    RAFFAELI | RIOLI | RUGANTI | SACCHETTINI | SCHIANCHITERZAGHI | VASTA | VILLA | ZONTA | ZÜRCHER

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    ANNO I - SETTEMBRE/OTTOBRE 2010 € 8,50E D U C A Z I O N E E I N T E R V E N T O S O C I A L E

    La scuola, tutto da rifare?Cosa succede nelle elementari

    Il paesaggio della “media”L’università, riformarla

    o distruggerla?La disfatta del ceto pedagogico

    Una nuova utopia dell’educazioneLa scuola di PasoliniMigranti: la politica

    che escludeLa cultura al tempo di Berlusconi

    I nuovi fenomeni da baracconeIl racconto

    dei mal sincronizzatiFare arte a Teheran

    Santarcangelo dei bambiniViaggiatori solitari

    Al passaggio della cometaAutobiografia della mia infanzia

    DOSSIER

    Il giovane delinquenteBERTOLAZZI | BURGIO | DELIGNY | D’ERRICOPANIZZA | RAMPINI

    anno scolastico 2010-2011

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    GRUPPO DI ANN ARBOR | DE MOJANA | D’ERRICODONOLO | FERRUTA | GALLI LAFOREST | GIACCHÈ

    GRAZIOSI | HONEGGER FRESCO | MAGNANIMARCHESINI | ORECCHIO | ORWELL | PICCOLI

    VANNUCCI | VILLA D. | VILLA N.

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    ANNO I - NOVEMBRE/DICEMBRE 2010 € 8,50E D U C A Z I O N E E I N T E R V E N T O S O C I A L E

    Gli studenti si muovonoLa rabbia giovane

    Lo studente quotidianoLa società della conoscenza

    Agonia dell’universitàUna crisi di sistema

    Perché scrivoProgramma di liberazione dei giovani

    Apologo del fuori sedeNella Repubblica di Erode

    Una scuola italianaIl bambino dalle uova d’oro

    Oltre la scuolaPedagogia del cielo

    RadiciSatiri e ninfe

    Asilo politico per alieni

    DOSSIER

    I giovani e la musicaACOTTO | ANTONELLI | APPINO | BERLIOCCHICAPUTO | FIORI | MAFFUCCI | PIT | REA RUGANTI | VIGNOLA

    cosa fanno e non fanno gli studenti

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    ANDERS | ANTONELLI | BANDINI BARTOLI | CAPUTO | CASTALDO

    COLAMARTINO | D’ERRICO | DE VITAHONEGGER | LANGER | LUCCHESINI

    MARCON | MILANI | MIRANDOLA MURATORI | PONTREMOLI | RUGANTI | VILLA

    ANNO I - GENNAIO/FEBBRAIO 2011 € 8,50

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    E D U C A Z I O N E E I N T E R V E N T O S O C I A L E

    Guerra e pace 2011Tunisini d’Italia

    Social network qui e làLa guerra contro i romIl pilota di Hiroshima

    Il cinema che racconta i bambiniL’ultimo film di Mike Leigh

    Racconti crudeli di madri, bambine e bambole

    Bambini e animali, la natura traditaLa perla di Labuan.

    A duello con SalgariUno studente legge la Mastrocola

    ’U sceccuDue settimane in Egitto

    DOSSIER

    “Fuori di testa”: bambini, giovani e disagio mentale

    BASTELLI | CASTELLI | GASPERINI LOMBARDO RADICE | MILANA | MONNIELLO |MONTI | SPAZIANI | TRINCI | DELL’AQUILA

    la guerra e la scuola

    04

    ARGENZIANO | ARMELLINI | AZEVEDO | BARTOLI BATTISTON | BENFANTE | BICHSEL | DE MICHELE

    DONATI | GIACCHÈ | GIACOPINI | HONEGGER FRESCO LAFFI | LAMA ROSSI | LUCCHESINI | NAGY

    PERROTTA | PUSTERLA | RÉNYI | RIOLI | SERGITUMMOLO | VIANELLO | VILLA | ZONTA | ZOPPOLI

    ANNO I - MARZO/APRILE-MAGGIO/GIUGNO 2011

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    E D U C A Z I O N E E I N T E R V E N T O S O C I A L E

    Dopo il referendumChi ha paura dell’infanzia?

    Che fine ha fatto la relazione educativaProcesso alla scuola

    Gusci vuoti o organizzazioni vive?Diario di un insegnante

    Il teatro e l’infanziaUn racconto di Peter Bichsel

    Alice Rohrwacher e il nostro “corpo celeste”

    Infanzia e rivoluzione: Walter Benjamin1968: un anno vissuto pericolosamente

    Il villaggio-scuola di Rasa di VareseGiro del mondo: Pane,

    Islam e kalashnikovRivoluzione generazionale in Tunisia

    Orfani e disillusi, i ragazzi dell’EstInsegnare in Italia e insegnare in Brasile

    Il muro, a GerusalemmeTummolo: uomini e ombre

    DOSSIER

    Il giovane delinquente. 2BRAUCCI | CAPITTA | CAVAZZINI | CIAFALONIDELL’AQUILA | D’ERRICO | FOFI GONNELLA | GRAZIANI | GRECO MISSAGLIA | RUGANTI | VANNUCCI

    giovani alle urne

    5-6 € 12

    www.gliasinirivista.org

    CERSOSIMO | COGNETTI | CONTE FOFI | GALLINO | LORENZONI

    LUCCHESINI | MAMMARELLA | MONTIONGINI | PERNA | PUGLIESE | RUGANTI

    SETOLA | SINISCALCHI | TAMBURINI | TORINO | VILLA

    ANNO II - SETTEMBRE/OTTOBRE 2011 € 8,50

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    E D U C A Z I O N E E I N T E R V E N T O S O C I A L E

    Comiche finali o inizialiSei domande sulla crisi

    L’ignobile pianto dei giovani su Steve Jobs

    Io e il mio doppio. L’impossibilità della rivolta

    Giovani veteraniL’italiano sotto della luna

    La scuola in technicolorLe canaglie al saccheggio di Londra

    Il libro necessario di Carla MelazziniO tutti o niente: la nuova scuola

    Corpi vivi ma per quanto?Salire su una zattera

    Sull’ingenuitàRitratti

    DOSSIER

    I giovani e la crisiCIAFALONI | DONOLO | GIACCHÈ LAFFI | MARCON | SACCHETTINI

    la tempesta che arriva

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    AGNOLI | BORELLA | CARSETTICIAFALONI | DELL’AQUILA | DELPERO

    FERRARIS | GALATI | GRASSOLAFFI | LANDOLFI | MARCON

    MELOGRANO | MISSAGLIA | MONTIPANIGADI | PANIZZA | PERROTTA

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    Storia del mutuo appoggioCom’è cambiato il lavoro umano

    Sul welfare

    L’acqua bene comuneIl campeggio libero come esempio

    La biblioteca è una piazzaDifesa della pluriclasse

    Oltre il terzo settore

    Il ritorno alla terraLe foto contadine di Berengo Gardin

    Sud e migrantiRiprendiamoci la cittàLa difesa della salute

    Riprendiamoci l’economiaEtica e denaro

    Sul microcreditoUn manifesto dagli Usa

    Il socialeal tempo della crisiTEORIA E PRATICHE

    semi di socialismo

    BALSAMINI | CAPRILLI | DELPERODONOLO | FERRARIS | FOFI | GABRIELLI

    GIACCHÈ | HONEGGER FRESCO | LUCCHESINIMARCON | MONTI | NALETTO | PACCAGNINI

    PAGLIARO | PICOZZA | RUGANTISCUOLA POPOLARE PIERO BRUNO

    ANNO II - APRILE/MAGGIO 2012 € 8,50

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    E D U C A Z I O N E E I N T E R V E N T O S O C I A L E

    La pedagogia agonizzanteDon Milani rivisitato

    I 90 anni di Mario LodiI beni comuni

    tra il sociale e il politicoSenza passaporto

    Didattica e lotte sindacaliNotizie dalle scuole medie

    PluriclasseUn insolito doposcuola

    Un’insolita scuola privataI cinesi a Prato

    Carlo Cecchi: insegnare a recitareStefano Talone: imparare a nuotare

    Ricordo di Pino Ferraris

    DOSSIER

    Fuga dalla metropoliCOPPOLA | TOBIAS | VILLA | ZETTI

    scuola e altre scuole

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    Gli Asini è un bimestrale di educazione e intervento sociale che affronta i temi della scuola, dell’immigrazione, delle forme alternative di educazione

    e inclusione sociale, ospitando un osservatorio permanente sulla condizione giovanile in Italia.

    Abbonati a G

    li Asini - bim

    estrale di educazione e intervento sociale

    Scrivono per Gli Asini:VINICIO ALBANESI | GIULIANO BATTISTON MARCELLO BENFANTE | PETER BICHSELMAURIZIO BRAUCCI | FRANCESCO CIAFALONI UGO CORNIA | CARLO DONOLO | PINO FERRARISGOFFREDO FOFI | PIERGIORGIO GIACCHÈ VITTORIO GIACOPINI | GRAZIA HONEGGER FRESCONICOLA LAGIOIA | GIULIO MARCON | LUIGI MONTIGRAZIA NALETTO | GIACOMO PANIZZA RODOLFO SACCHETTINI | GIOVANNI ZOPPOLI

    Abbonamento a 6 numeri della rivista:Annuale per l’Italia e il Canton Ticino 550 euro

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  • a scuola, o contro la scuola

  • Bimestrale · anno III · n. 11agosto / settembre 2012

    Redazione via Buonarroti, 39 - 00185 Roma

    tel. 06.8841880

    e-mail: [email protected]

    sito web: www.gliasinirivista.org

    Editore Edizioni dell’asino

    Stampa Grafica Giorgetti

    Distribuzione Pde S.p.A.

    via Forlanini, 36 · 50019 Osmannoro · Sesto F.no (FI)

    tel. 055.301371 · fax 055.301372

    Direttore Luigi Monti

    Vice-direttore Nicola Villa

    Direttore responsabile Goffredo Fofi

    Redazione Cecilia Bartoli, Maurizio Braucci, Gianluca D’Errico,

    Vittorio Giacopini, Sara Honegger,

    Federica Lucchesini, Nicola Missaglia, Ludovico Orsini,

    Ivan Pagliaro, Fabio Piccoli, Nicola Ruganti,

    Giulio Vannucci, Giovanni Zoppoli.

    Collaboratori Vinicio Albanesi, Fulvia Antonelli,

    Linda Babbini. Giuliano Battiston, Marcello Benfante,

    Stefano Benni, Giacomo Borella, Beatrice Borri,

    Marco Carsetti, Simone Caputo, Roberto Catani,

    Francesco Ciafaloni, Francesco Codello, Nunzia Coppedé,

    Costantino Cossu, Nicola De Cilia, Dario Dell’Aquila,

    Danilo De Luise, Lorenzo Donati, Enzo Ferrara, Marina Galati,

    Nicola Galli Laforest, Piergiorgio Giacchè,

    Grazia Honegger Fresco, Nicola Lagioia, Stefano Laffi,

    Luca Lambertini, Alessandro Leogrande, Franco Lorenzoni,

    Lorenzo Maffucci, Emanuele Maspoli, Giulio Marcon,

    Giorgio Morbello, Emiliano Morreale, Giacomo Panizza,

    Roberta Passoni, Mimmo Perrotta, Giordana Piccinini,

    Giacomo Pontremoli, Filippo Rea, Maria Chiara Rioli,

    Achille Rossi, Rodolfo Sacchettini, Maria Salvati,

    Matteo Schianchi, Chiara Scorzoni,

    Serena Terranova, Manuela Trinci,

    Emilio Varrà, Cristina Ventrucci.

    Progetto grafico orecchio acerbo

    Abbonamenti annuale (6 numeri): 50,00 euro

    Per informazioni: [email protected]

    Si collabora su invito della redazione,

    i manoscritti non vengono restituiti.

    Finito di stampare settembre 2012

    Registrazione presso il Tribunale di Roma 126/2012 del 03/05/2012

    Hanno collaborato a questo numero: AssociazioneGiunchiglia-11, Simone Calabrò, Serena Chiodo, AnnaGarappa, Fausto Stocco.

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    Strumenti4 Il carnevale dei serissimi di Nicola Ruganti7 La scuola e il futuro di Luca Mori

    13 La corsa dei topi di Grazia Honegger Fresco15 La scuola al tempo di Monti di Renata Puleo18 Molto più di un pasticcio: Tfa all’italiana di Francesco Targhetta22 Esami e quiz anche per gli insegnanti di Claudio Giunta25 Tra peluche e cinismo di Giuseppe Montesano30 Il disagio della creatività di Alice Rohrwacher33 “Ma che lavoro sto facendo?” di Ugo Cornia

    incontro con Luigi Monti

    Film: L’Africa in casa43 I rifugiati e la Fortezza Europa di Francesco Ciafaloni51 Voci di terra, voci dal mare di Valeria Ferraris 55 Oltre i confini della legge di Anna Brambilla60 Il diritto di asilo di Gianfranco Schiavone

    incontro con Chiara Scorzoni68 Assistiti e assistenti di Luigi Monti

    La lingua e oltre73 L’alfabeto per imparare a pensare di Marco Carsetti89 179 luoghi di Sara Honegger96 Radio Ghetto di attiviste e attivisti del campo ”Io ci sto”

    Cosa vedono cosa leggono103 Forme della nostalgia di Emilio Varrà105 Sull’epopea del celeberrimo e diffamato Tintin di Marcello Benfante 114 Disney, ieri e oggi di Niccolò De Mojana

    Cosa vedere cosa leggere119 Sandro Bonvissuto, Dentro di Sara Honegger122 La pratica viene prima della teoria di Sandro Bonvissuto

    incontro con Nicola Ruganti e Nicola Villa127 Cosa fece Franco Basaglia di Dario Stefano Dall’Aquila130 Stoner, il racconto dell’accademiadi Nicola Villa133 Su alcuni film italiani di questi mesi di Goffredo Fofi

    AGOSTO/SETTEMBRE 2012

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    Il carnevale dei serissimidi Nicola Ruganti

    Il sistema scolastico nazionale è sofferente e venirne a capo, anche so-lo per sapere cosa succede là dentro, è difficile: come introdursi in un qualun-que sistema amministrativo complesso. Nel caso della scuola non se ne puòfare a meno, è un dovere, anche quando è evidente a tutti che si affronta unmeccanismo noioso e immerso nelle sabbie mobili. Per il destino che riguardail nazionalpopolare in Italia anche per la scuola, come per la formazione dellanazionale di calcio, tutti se la sentono di intervenire.

    Diritti e doveri dei ragazzi e degli insegnanti si sono incardinati nelle nor-mative e la ratio dominante è stata sopravvivere a una burocrazia che per ga-rantire il futuro doveva tutelare il passato e che rimpiangendo il passato non èmai riuscita a fare scelte lungimiranti.

    Per quanto inutile elencare i paradossi dell’istruzione bisogna anche noncommettere l’errore di dimenticarli per rimozione.

    Le elementari, le medie inferiori e superiori sono posti di lavoro diversis-simi in cui le competenze hanno differenze enormi eppure il personale dellascuola italiana può trasferirsi da un luogo all’altro e passare dall’insegnamen-to ai bambini di prima elementare a quelli di quinta superiore. Se la legge loconsente è possibile, ma sarà almeno inopportuno?

    Le vicende peggiori sono quelle che riguardano la leggerezza con cui si pren-de in considerazione la professionalità del lavoro: l’insegnamento di sostegnoè ormai una sorta di parcheggio in cui si prendono i punti anche per le gra-duatorie che riguardano la materia. Cosa fanno migliaia di insegnanti, consa-pevolmente e per comodità? Stanno ad accudire i ragazzi che hanno la necessitàdi un accompagnamento individuale magari anche con una buona dose diempatia, ma senza studiare su quel tipo lavoro, così importante e così diversodall’insegnamento sulla classe. I docenti aspettano i punti, prendono il ruolosul sostegno e poi, bisognerebbe filmarli, come sollevati da un peso, vanno ainsegnare sulla materia, che però non insegnano più da anni.

    Se si tratta di scegliere tra il lavoro e la disoccupazione, non ci sono dub-bi, ma questo ragionamento portato alle estreme conseguenze è dannoso pertutto il sistema scolastico perché non si ammette più il rischio anche quando

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    è relativo. La conseguenza fa già parte del presente: una popolazione di inse-gnanti si addentra nei meandri della pubblica amministrazione e cerca, insie-me ai sindacati, la strada più comoda, e sempre regolare, per il posto fisso.

    Nel frattempo si sono laureati molti giovani che più che legittimamentechiedono cosa mai bisognerà fare per entrare in una classe e insegnare...

    Niente di più facile c’è il Ministero che pensa a loro! Prima il Miur hacreato i Tfa (Tirocini formativi attivi) una sorta di Ssis, cioè la modalità di abi-litazione precedente, della durata di un anno e ha sbagliato tutto: dalla formu-lazione delle domande all’impostazione generale sconnessa dal mondo scolasticoattivo. Il ministero dopo aver creato un corso abilitante bandisce un concorsoper abilitati per l’immissione in ruolo, ma udite udite, con le modalità dell’ul-timo concorso quello del 1999 e soprattutto facendolo prima che i nuovi lau-reati entrati nel Tfa abbiano concluso la loro abilitazione, quindi di fattoescludendoli. I giovani aspiranti insegnanti non sono ancora corporativizzatie quindi possono fare minor pressione, mentre i precari scafati, docenti sì main burocrazia, si arrabattano nel mare magnum e cercano di guadagnare più po-sizioni possibili prima dell’arrivo dei nuovi.

    L’un contro l’altro armati nella battaglia della miseria ci sono anche gli ac-cademici che sono invece contenti del concorso perché, laureati intorno al 2000(dipende dalla durata delle lauree), possono partecipare e far valere titoli uni-versitari e pubblicazioni, per una volta vedono una via di fuga dal carrozzoneche sta stringendo con decisione i cordoni della borsa.

    Il concorso rimescolerà un po’ le graduatorie a esaurimento – nomen omen– ma poco altro e questa spinta verso i giovani è una bufala visto che è tecni-camente impossibile che ci siano abilitati entro i trentanni e che i Tfa sono sta-ti tagliati fuori.

    Nel frattempo le graduatorie di cui sopra, che sono provinciali (che finefaranno nelle province che verranno chiuse?) verranno riaperte e ci sarà unanuova migrazione interna in regime normativo a corrente alternata un po’provinciale e un po’ nazionale, un colpo al cerchio e uno alla botte…

    I funzionari, i dirigenti e i politici ministeriali devono essere affidabili per imercati, gli insegnanti stanno in classe: stanchi di abbaiare, gli abilitati, per qual-che punto in più, si iscrivono a www.voglioilruolo.it (tutto vero) e fanno test suinternet con il manuale davanti agli occhi pagano e passano avanti al prossimo.

    Nel carnevale dei serissimi, gli spazi per gli insegnanti che interpretano unruolo, che ne vedono il senso identitario e non quello contrattuale, quello pe-dagogico e didattico per l’approfondimento, la lettura e l’interpretazione del-la complessità sono ridottissimi.

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    I margini ci sono tutti invece per l’“efficientismo” quelli che per risolve-re il rancore fra poveri sventolano la bandiera del neoliberismo del tagliarecorto e spiccio alla Matteo Renzi, ricette buone per il popolo stordito delcentro sinistra.

    Insegnanti, aspiranti insegnanti, sindacati, presidi e ministri tutti si pren-dono sul serio, troppo. Il lavoro è poco per tutti, lo Stato zoppica, e la situa-zione è grama per tutti e nessuno prova a disinnescare i musi lunghi.

    La consapevolezza di essere in un carnevale potrebbe essere un primo pas-so, sarebbe una bella sorpresa scoprire che sdrammatizzare e de-ideologizzarepotrebbe servire a sgombrare il campo da un linguaggio vecchio e, con ideepiù nitide, riorganizzare luoghi e discorsi.

    Si arrivasse all’impellenza del “diamoci una mossa”, ma siamo lontani, al-meno per quanto riguarda i docenti, le cose da fare dovrebbero avere un ideapreordinatrice: il problema non è scoprirsi sempre più poveri, ma non averegli strumenti e la disponibilità ad analizzare il presente.

    Che esista un potere ministeriale a cui il piccolo borghese possa rivolgersiper perorare la propria causa è una fandonia enorme. Se mai esistesse una pos-sibilità è quella di percorrere una strada territoriale: intanto non più caro mi-nistro, ma caro preside.

    E non per le gite, per i permessi brevi o per le ferie, ma per lavorare me-glio nei consigli di classe, per affrontare gli enormi problemi didattici che nonriguardano la polemica con i programmi, che ormai lasciano completa liber-tà, ma per le questioni che riguardano il come si apprende.

    Bisogna iniziare a sfondare quel muro invisibile che è l’impossibilità di di-re: “se sei in prima e non sai leggere, oppure non sai stabilire le più immedia-te connessioni logico matematiche allora ripartiamo da zero con un approccioimprontato sulle necessità e veicolato dai desideri”. L’altra possibilità, quellain atto, è fare finta di nulla spiegando in automatico ciò che è tecnicamenteimpossibile da recepire.

    Ma carissimo insegnante cosa conosci del tuo territorio? Da dove vengo-no i tuoi ragazzi? Qual è la condizione demografica della tua provincia? Qua-le valore dai all’inchiesta sociale?

    L’insegnante è un mestiere ben preciso, né poliziotto, né assistente socialené professore universitario e, se lavora, può attuare cambiamenti reale nellacomunità scolastica locale.

    Più che salire a Barbiana o riparlarne bisognerebbe saper scrivere lettere col-lettive, come l’Mce come Bruno Ciari, al proprio sindaco. Ragionare sulle re-sponsabilità degli adulti e sull’infinita rabbia, però poco assertiva, dei ragazzi.

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    Bisognerebbe smetterla con il ritornello del precariato “come si fa a starecon una classe un anno solo, che posso fare?” Molte realtà educative hannomolto meno tempo e contesti con minore possibilità di dare continuità al pro-prio lavoro, di che ti lamenti? Le condizioni lavorative sono pessime… pace!Se si lavora è buon segno, ma se si esercita il proprio mestiere mantenendo ivizi e i vezzi del parastato del novecento allora il problema più grave diventanon il se, ma il come si lavora. Siamo precipitati agli antipodi di una riflessio-ne durata per anni, il mantra recitava: “fare l’insegnante non è una missione”è stato così convincente che hanno trionfato gli anaffettivi, i professionisti del-la didattica e le matrone materne.

    Non c’è una coscienza comune non può esserci nell’individualismo, mapotremmo cercare una inedita sintesi tra i consapevoli di essere rimasti frega-ti – astenersi piagnistei – da questo presente, e quelli che non hanno perso ilsenso della pedagogia, quelli che entrano in classe e non sono colletti bianchivestiti casual. Ecco questo potrebbe essere un tentativo.

    La scuola e il futuro, ovvero:come sollevarsi tenendosi per i lacci delle scarpe

    di Luca Mori

    Italia, estate 2012. Ancora una volta si attende l’inizio del nuovo anno sco-lastico con un diffuso senso di scoramento riguardo alle condizioni in cui si po-trà insegnare. Benché siano costitutive delle relazioni e delle imprese umane, quil’incertezza e la provvisorietà hanno superato da tempo la soglia oltre la qualediventano patogene, alimentando i circoli viziosi che vanno dalla frustrazionee dalla rassegnazione al disimpegno e allo sfinimento. Gli ultimi mesi sono sta-ti segnati dalle polemiche più varie: sui criteri di giudizio per le abilitazioni scien-tifiche nazionali, sull’impostazione dei tirocini formativi attivi e sui relativi testdi preselezione, sul destino dei precari, sui diritti dei supplenti, sui tagli preve-dibili e imprevedibili ai fondi per l’autonomia scolastica, su concorsi e ricorsiper la riorganizzazione del sistema della dirigenza e su innumerevoli altre que-stioni, piccole e grandi. Tra annunci e revisioni, le misure incorniciate dai tito-li-slogan “decreto sullo sviluppo” e “spending review” danno l’impressionesconfortante di una serie di micro e macrointerventi senza capo né coda e noncontengono l’ombra di un progetto per la scuola. È disarmante seguire giornoper giorno la cronaca di queste vicende, piegando la testa sui dati e provando a

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    immaginare cosa accadrà se gli insegnanti non avranno più – oltre alla volontà– tempo e risorse per formarsi, se le motivazioni superstiti saranno ulterior-mente umiliate e private di mezzi, se le classi continueranno a essere troppo af-follate, se le differenti storie, difficoltà e curiosità di bambini e ragazzi nontroveranno forme di supporto altrettanto differenziate che ne siano all’altezza.

    Nelle proposte e nelle proteste, la scuola è apparsa perlopiù, in controlu-ce, come un arcipelago di posizioni e di interessi distinti tra chi è comunque“dentro” a tempo indeterminato, chi è precario, chi è in lista d’attesa dopoavere fatto le Ssis, chi consegna le proprie speranze ai futuri tirocini e chi haincarichi tecnico-amministrativi. In uno scenario così frantumato sembra es-sere svanita una qualsiasi visione di sistema e non stupisce che, a un certo pun-to, il quotidiano più letto a sinistra abbia potuto presentare come buone notiziel’annuncio della possibile retromarcia sui tagli dei finanziamenti alla ricerca –che poi c’è stata – e l’annuncio sulle 26mila assunzioni previste a partire dasettembre. Certo, sono notizie e non sono cattive. Ma per interpretare l’annun-cio di una possibile retromarcia come buona notizia bisogna aver attribuitouno statuto speciale all’eventualità, alla chance che chi governa, privilegiandoscelte non buone né lungimiranti, si corregga in extremis, come per generosaconcessione: purtroppo è l’atteggiamento mentale dei sudditi, ben coltivatonegli ultimi vent’anni. Per quanto riguarda le assunzioni, sono senz’altro buo-ne notizie anzitutto per chi sarà assunto: ma bisognerebbe capire, appunto,chi sarà assunto, in quali condizioni potrà lavorare, con quale impegno sapràfarlo, per chi e per che cosa.

    Nel gioco di prestigio tra le dichiarazioni di principio, che periodicamen-te riconoscono centralità strategica alla scuola, e le scelte di fatto, che altret-tanto periodicamente sforbiciano risorse o minacciano di procedere in tal senso– senza aver mai affrontato seriamente la questione del merito – si perdono divista i temi davvero fondamentali. Banalmente: possono ancora e soprattuttovogliono, lo Stato e le amministrazioni pubbliche a vari livelli, condividere l’im-pegno a sostenere, proprio per il bene pubblico, quello che dovrebbe essere ilcompito primario dei formatori, cioè la possibilità di generare possibilità persé e per gli altri attraverso la ricerca, la conoscenza e l’esperienza? Una strate-gia complessiva manca e le migliori esperienze continuano a dipendere dal bi-sogno di inventare di singoli dirigenti e docenti, o dall’impegno di singoleamministrazioni. Avremmo bisogno di inediti intrecci tra immaginazione po-litica e immaginazione educativa, ma di questi tempi il gusto e il coraggio ne-cessari all’una e all’altra sono rari. Chi riesce a resistere dove le cose sembrerebberodestinate a peggiorare, chi riesce a inventare pratiche di libertà nonostante i

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    vincoli e i disagi esistenti, si sente generalmente parte non di un sistema edu-cativo, ma di una costellazione non ben definita di minoranze, che procedo-no faticosamente controcorrente. Sullo sfondo emerge un triste, avvilenteparadosso: ogni anno si ha l’impressione che le condizioni e gli ambienti del-l’apprendimento possano peggiorare per l’accumularsi dei problemi irrisolti eper la comparsa di misure ulteriormente penalizzanti, anche se l’urgenza di ri-pensare il modo di insegnare e di stare in classe si fa impellente come non maiper la qualità delle nostre vite e della nostra democrazia, e nonostante le ideee le prospettive che potrebbero aiutarci nel cambiamento siano in buona par-te già disponibili, formulate a partire da un secolo fa.

    Prendiamo, ad esempio, la bozza di fine maggio con le indicazioni nazio-nali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione.Si riferiscono a quei livelli di scuola che in molte parti d’Italia si sono contrad-distinti negli ultimi decenni per la qualità e la varietà della proposta formati-va; non casualmente, i livelli dell’istruzione in cui la postura frontale e trasmissivaè assente o più spesso interrotta dal coinvolgimento in molteplici esperienze.Nelle scuole elementari si va da quelle che adottano il modello “senza zaino”,con classi senza cattedre né banchi individuali, a tutte quelle che durante l’an-no propongono in modo più o meno articolato e costante laboratori, proget-ti, esperienze di scoperta che coinvolgono mente e corpo in relazione. Certo,può capitare, anche spesso, che le cose siano fatte “tanto per fare”, che i pro-getti diventino una specie di “moda” e che la scuola si trasformi – come dico-no alcuni – in un “progettificio” confuso, dove le energie si disperdono rincorrendoimpegni e scadenze. Proprio qui servirebbe confliggere sulle idee, sulle moti-vazioni e sulla professionalità, elaborando di conseguenza indicazioni sul dafarsi; tornando alla menzionata bozza di indicazioni, troviamo tante straordi-narie dichiarazioni di principio enunciate in modo limpido, che tuttavia dalpunto di vista pedagogico aggiungono poco di nuovo a quanto è stato detto epensato fin dalla prima metà del Novecento. Nel paragrafo sugli ambienti diapprendimento, ad esempio, si raccomanda di fare in modo che le diversitànon diventino diseguaglianze, di dedicare tempo all’esplorazione e alla scoper-ta, di incoraggiare l’apprendimento collaborativo, di promuovere nei giovanila consapevolezza del proprio modo di apprendere, di realizzare attività didat-tiche in forma di laboratorio. Idee tanto buone quanto datate, certamente av-vertite con più urgenza in un mondo come quello attuale, segnato da immanicatastrofi ambientali, economiche e sociali, attraversato da presagi di catastro-fi ancora peggiori e caratterizzato da trasformazioni tanto rapide quanto tur-bolente sul piano delle condotte e dei contesti di vita. Considerando però il

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    quadro complessivo sopra accennato, occorre chiedersi: come tradurre in pra-tica quelle idee e quelle indicazioni? In quali classi? Da parte di quali inse-gnanti? Con quale sostegno ideale e materiale da parte dell’amministrazionepubblica e con quali possibilità di intreccio sistematico tra ricerca ed esperien-ze educative fuori e dentro le scuole?

    Bisogna sottolineare che non è soltanto questione di fondi, aspetto sulquale sarebbe fin troppo facile denunciare politici e tecnici di turno, scriven-do l’ennesimo cahier de doléances. Spostando l’attenzione su chi insegna,chiediamoci perché siamo ancora qui a proporci come obiettivi nuovi, diffi-cilmente raggiungibili o ideali quelle mete e aspirazioni che la pedagogia haformulato da un secolo e che in vario modo hanno dato vita a tante speri-mentazioni nel secondo dopoguerra. Non è da ieri, infatti, che si è iniziato aparlare dell’inadeguatezza del modello trasmissivo dell’insegnamento e, comealternative, di educazione problematizzante, di gruppi di lavoro, di processidi scoperta, di co-costruzione di significati e così via. Prendiamo un testo diDewey pubblicato in prima edizione nel 1910, intitolato Come pensiamo,forse in Italia meno conosciuto di altri. Il saggio invitava alla riformulazionedel rapporto tra educazione e pensiero riflessivo, evidenziando che non puòesserci attività riflessiva se non proponendo situazioni perturbate, dubbie oincerte: a tal fine, si sottolineava l’importanza di mettere i bambini in condi-zione di escogitare ipotesi e di dare autonomamente forma ai problemi, poi-ché “si è in grado di pensare riflessivamente solo quando si è disposti a prolungarelo stato di sospensione e ad assumersi il fastidio della ricerca”. Era una chiaracritica all’approccio trasmissivo, allora e oggi prevalente, che trascura la di-mensione problematizzante ed esperienziale dell’apprendimento e fa dipen-dere tutto dalle buone intenzioni o dalla buona volontà di bambini e ragazzi,arrivando fino all’autocontraddizione performativa delle ingiunzioni all’at-tenzione: ma “i comuni appelli a pensare, rivolti a un bambino (come a unadulto), senza tener conto della esistenza o meno, nella sua esperienza, di unaqualche difficoltà che lo turbi o che alteri il suo equilibrio, sono altrettantofutili quanto, per così dire, l’invitarlo a sollevarsi da terra reggendosi con ilacci delle scarpe”.

    In sintesi: non basta l’appello alla riflessione e alla motivazione, per susci-tarle; allo stesso modo, non bastano i reiterati appelli ai grandi principi persollevare la scuola dallo stato in cui è caduta.

    La similitudine proposta da Dewey può servirci a descrivere la nostra at-tuale condizione e l’impegno necessario a uscirne: sollevarsi da terra tenendo-si per i lacci delle scarpe, da soli, è impossibile, ma tanti bambini sono riusciti

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    a farlo, aiutati talvolta soltanto da uno o due insegnanti con la vocazione perla professione; parimenti ci sono insegnanti che, anche in piccolissimi gruppi,continuano a esercitare un’immaginazione educativa all’altezza dei tempi, sol-levandosi ben al di sopra delle macerie livellate nei cui interstizi tanti si sonoadattati. Un primo problema, però, è che sta diventando sempre più difficileesplorare alternative all’appiattimento e al compromesso al ribasso, poiché lecondizioni ideali e materiali dell’insegnamento (gli ambienti, i numeri, i tem-pi, la qualità delle relazioni, la formazione dei formatori) continuano a logo-rarsi. Un secondo problema è che la scuola, essendo tra le Zone grigie di cui hascritto Goffredo Fofi (Donzelli 2011) – territorio di minoranze non consen-zienti ma anche di ignavi e conformisti – è al tempo stesso il soggetto e il luo-go dello sprofondare, il soggetto educativo che sprofonda e le sabbie mobili incui l’apprendimento sta sprofondando. L’aggravante di entrambi i problemi èche la tendenza non cambierà, se non si inizierà a pensare e ad agire per unarivoluzione dell’esistente, senza concentrare le energie soltanto sulla difesa con-servativa di porzioni di diritti e rendite di posizione.

    Chiediamoci: quanto ancora vogliamo autoingannarci sul fatto che la scuo-la, così com’è perlopiù, possa orientare alla cittadinanza attiva, al rispetto disé, alla critica, alla coscienza ecologica e a tutte le sfide che il nostro tempo ciimpone? Più direttamente: che ruolo ha avuto la scuola nel formare tanti cit-tadini che poi sono diventati elettori entusiasti oppure – a destra e sinistra –complici passivi o anche emulatori del sistema di potere spettacolare che ha go-vernato l’Italia nell’ultimo ventennio? Quanto ha contribuito la scuola all’ane-stesia delle coscienze e quanto vi sono penetrati i due modelli della coercizionee della seduzione commerciale, che Miguel Benasayag (L’epoca delle passioni tri-sti, Feltrinelli 2005) ha indicato come tentazioni ricorrenti delle nostre socie-tà? Rispondere a domande come queste sarebbe un primo passo per provare acapire come reagire, senza lasciarsi colonizzare e sopraffare pezzo per pezzo dal-le azioni o dalle omissioni di attori politici poco solerti nelle sfide della scuo-la pubblica del ventunesimo secolo.

    Ciononostante, non mancano gli insegnanti, i dirigenti e gli istituti impe-gnati per inventare serie alternative all’esistente e che, nel farlo, possono conta-re sull’aiuto di amministrazioni locali, associazioni, formatori attivi al di fuoridella scuola. Si parla spesso di “buone pratiche”, ma c’è da augurarsi che si pos-sano incontrare presto pratiche rivoluzionarie. Impossibile prevedere se sarà pos-sibile: quello delle scuole, infatti, è un universo di marcati chiaroscuri e chiunquel’abbia attraversato negli ultimi anni avrà avuto modo di accorgersi che i vissu-ti prevalenti sono quelli che Giuseppe Varchetta ha indicato come caratteristi-

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    ci di tutte le organizzazioni nella stress economy contemporanea (L’ambiguitàorganizzativa, Guerini e Associati 2007): in primo luogo l’ansia, nelle tre va-rianti “depressiva”, “persecutoria” e “confusionale”. Molte persone – specialmen-te quelle che hanno scelto la professione per vocazione – stanno male a scuola,perché si sentono costrette e soffocate dai continui cambiamenti delle regoledel gioco e nei vincoli pratici all’azione, che appaiono complessivamente insen-sati e ingiusti; perché nel disorientamento che ne consegue si trovano impossi-bilitate ad autorealizzarsi e a intervenire in modo sensato nei meccanismi operativiistituzionali, finendo con l’oscillare tra il senso di colpa di chi si sente inadegua-to al compito e la frustrazione di chi si sente perseguitato dall’insolenza o dal-l’ignoranza di chi ha il potere di imporre scelte non partecipate, né condivise.Più a fondo, il vissuto prevalente è forse quello dell’autotradimento, per usareun concetto di Luigi Pagliarani, promotore tra gli anni sessanta e settanta conFranco Fornari del gruppo anti-H e dell’Istituto di polemologia. Autotradirsisignifica, in questo caso, dimenticare l’aspirazione ideale della vocazione all’in-segnamento – se la si è avuta – per accontentarsi di tirare avanti, sopravviven-do come possibile tra un compromesso e l’altro. Pagliarani citava al riguardo unaforisma di Friedrich Nietzsche, tratto da Umano, troppo umano: “In viaggio co-munemente si dimentica lo scopo di esso. Quasi ogni professione viene sceltae incominciata come mezzo per uno scopo, ma perseguita come ultimo scopo.Il dimenticare gli scopi è la stupidaggine che si fa più frequentemente”.

    Nella scuola si può entrare con molti scopi: ai due estremi, per avere unposto o per accompagnare i giovani ad apprendere. Le due cose possono legit-timamente andare insieme, ma la seconda comporta la disponibilità a sforzistraordinari e volontari spesso non riconosciuti, un impegno costante e gratui-to nella ricerca e il tenace esercizio dell’immaginazione formativa, anchequando le mansioni e la burocrazia sembrano pensate per impedirlo. Solo qual-che minoranza ce la fa, non per eroismo, ma per il gusto e per un residuo sen-so di responsabilità e di decenza nel fare il proprio mestiere. Nella maggiorparte dei casi si cercano altrove, fuori dalle proprie competenze, le colpe delfallimento delle promesse dell’educazione. Così, accade spesso che genitori einsegnanti si delegittimino a vicenda, attribuendosi reciprocamente l’incapa-cità di farsi carico dell’educazione dei giovani: nel tiro incrociato probabilmen-te ci saranno motivi di ragione e di torto dall’una e dall’altra parte, ma fermareil confronto a questo livello è sterile. Se la crisi è sistemica, le responsabilità del-la crisi andranno cercate a tutti i livelli del sistema, non solo e non tanto perattribuire le colpe, quanto piuttosto per riconoscere la propria parte di colpae comprendere dove e come trasformarsi. I tempi non sono fausti: gli adulti e

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    soprattutto i giovani ancora desti non percepiscono più davanti a sé il futurocome promessa, ma lo avvertono – con indizi difficilmente ignorabili – comeminaccia. Forse però qualcosa può cambiare, per i giovani proprio partendoda questo sentimento di soglia e per i formatori, per quelli che hanno a cuoreil proprio mestiere, dall’elaborazione del sentimento dell’autotradimento; dal-la voglia di riscatto, di resistenza e di liberazione che potrebbe conseguirne. Lepromesse da tempo affidate alla scuola pubblica, prima fra tutte quella di eman-cipare il più possibile le giovani menti e di formarle alla critica, evidentemen-te non sono state mantenute; ma è pur sempre nella scuola pubblica che leminoranze non ancora dormienti, o addomesticate all’esistente, devono cerca-re vie per passare dal modello oggi vincente, del consumare e del mero soprav-vivere in competizione con gli altri, al modello del cooperare e del vivere beneinsieme agli altri.

    La corsa dei topidi Grazia Honegger Fresco

    Quando i Finlandesi sono sbalzati in cima a tutte le classifiche per labravura dei loro studenti, qualcuno al Ministero avrà pensato: “E noi no?” Qual-che istituto specializzato in domandine e quesiti vari si è dato da fare, assicu-randosi guadagni milionari e anche i nostri studenti a cominciare dai più piccolidella seconda elementare sono stati costretti a rispondere. Costretti? Fino a orale prove non erano obbligatorie, ma nessuno si è sognato di respingerle. Chi sipiglia la briga di rifiutare un diktat del Ministero? E respingerle poi perché?

    Intanto per il giustificato motivo di non sottoporre i bambini, soprattut-to quelli delle primarie, a una prova stressante come questa, pensata da esper-ti (di che cosa?) che con loro non hanno dimestichezza alcuna. Redatte in unlinguaggio che andrebbe tradotto per molti bambini che oggi hanno un voca-bolario sempre più povero (e ben altro si dovrebbe fare per arricchirlo fin dal-la scuola dell’infanzia!), esigono risposte entro limiti di tempo molto ristretti(ai bambini di seconda si chiede a tempo anche la lettura ad alta voce). Neglianni scorsi non pochi dei dati cui bisognava rispondere erano errati, come sisono accorti i nostri ragazzini di quinta classe (le prove erano per la II e la V),tanto che uno di loro ha chiesto se avrebbero avuto un punteggio più alto aven-do scoperto gli sbagli nel testo Invalsi!

    Da quest’anno ci sarà anche la prova per l’inglese, dicono.

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    Per essere alla pari con le statistiche internazionali (saranno poi veritierele raccolte dei risultati? fatte da chi e dove? aspetti su cui si sorvola...) si avva-lora l’idea che la velocità di risposta sia di per sé un valore, declassando percosì dire i bambini riflessivi, più lenti, che possono essere egualmente capaci.Si mettono i rapidi come i disprezzati “lumaconi” in condizioni di stress dicui non capiscono il senso, si accentuano le differenze e di conseguenza lacompetizione, negando, ovviamente per l’esecuzione delle prove, ogni formadi collaborazione. Modalità per nulla formativa che incoraggerà i maestri au-toritari (in quanto tali, non privi di punte di sadismo) ad accentuare in clas-se “la corsa dei topi”, a disprezzare chiunque mostri la minima difficoltà erisulti di intralcio allo “svolgimento del programma”. Anziché condurre i do-centi verso un insegnamento sempre più attento alla persona e dunque for-mativo, si accentua il clima da “Mercato” che soffoca ogni altro aspetto delnostro vivere quotidiano.

    La scuola al tempo di Montidi Renata Puleo

    Il montismo offre della crisi declinazioni fuorvianti: qualcosa diinatteso, di straordinario, l’effetto di una sbornia collettiva. Credo, come mol-ti, che siamo di fronte a uno dei più giganteschi processi di ridistribuzionedella ricchezza verso l’alto tentato da trent’anni a questa parte. Ne è elementointegrante la strategia contraddittoria, ma efficace, di messa a valore da partedel capitale anche dell’educazione dei più giovani, insieme ai saperi, al pensie-ro, al linguaggio. Valorizzazione che, necessariamente, deve basarsi sulla svalo-rizzazione politica, etica, dell’educare, sulla eliminazione di tutto ciò che apparesuperfluo, non immediatamente funzionale alle scelte macro-economiche.

    Eventi e vissuti – ho lavorato nella scuola per quarant’anni, gli ultimi tren-ta come dirigente scolastica di scuola elementare, della scuola d’infanzia e, peralcuni anni, della secondaria – non fanno di me un’esperta di scuola, semmaiun soggetto dotato di un passo esperto, proprio di chi attraversa un territorioe si mantiene in viaggio. La mia riflessione è centrata su alcuni aspetti dell’or-ganizzazione del lavoro scolastico, delinea i cambiamenti introdotti dal legi-slatore, accompagnati da scelte linguistiche utilizzate in modo performativo,dunque descrittivo e prescrittivo. Ogni cambiamento nell’organizzazione in-terna di un ambito lavorativo tocca il sistema di selezione dei lavoratori e la lo-

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    ro formazione, le relazioni tra funzioni e mansioni, la gestione delle risorse intermini economici e culturali, l’elaborazione del consenso interno all’organiz-zazione mediante il sistema di controllo e di indirizzo delle motivazioni e del-le aspirazioni (l’immaginario) e dei livelli salariali, con evidente ricaduta sulposto occupato dal lavoratore nella gerarchia sociale (effetti di promozione odi depressione sociale). Mi concentrerò solo sulla scuola primaria, trattata co-me caso esemplare attraverso tre scenari. Gli esempi servono a disincagliare dal-la rete, all’apparenza incoerente, dei cambiamenti, ciò che è nato dal basso eciò che si è prodotto per moto legislativo e amministrativo.

    Primo scenario. Ottobre 1984, scuola elementare di Moncalieri, hinterlanddi Torino. Un quartiere proletario, operaie e operai – la maggioranza meridio-nali – impiegati in Fiat o nei rivoli dell’indotto: boite, capannoni, fabbrichet-te. La scuola si articola su una doppia organizzazione, il Tempo pieno (Tp), eun residuo di classi con insegnante unico e tempo-scuola antimeridiano (Tn).Gli insegnanti occupati nel Tp vengono da dure lotte condotte per l’elimina-zione del vecchio doposcuola di impostazione cattolico-assistenziale. Dal 1971è effettivo il riconoscimento legislativo del lavoro di due docenti per classe conun tempo-scuola settimanale per i bambini di 40 ore (art. 1, legge 24/09/1971n. 180: un provvedimento-valigia, pieno di altre cose…). I docenti rimasti, permotivi ideologici o personali, nel Tn, in alcuni casi ne riconoscono l’aspettoresiduale, in altri difendono a spada tratta l’importanza del maestro unico (sene ricorderà la Gelmini!), del riferimento affettivo chiaro di cui avrebbero bi-sogno bambini e genitori; ritengono eccessiva, totalitaria, sovietica, la presen-za a scuola degli alunni anche nel pomeriggio. I due docenti impegnati su unaclasse di Tp hanno a disposizione 4 ore di contemporaneità – la cosiddetta com-presenza (se ne ricorderà la Gelmini!) – che utilizzano per formare i sottogrup-pi di rinforzo didattico, di specializzazione di alcune attività laboratoriali, dilivello, alla Vygotskij, dove la disparità delle abilità è considerata generativa dicompetenze in coloro che ne sono meno dotati e, nei bambini tutori, della ca-pacità di riflettere sugli apprendimenti conseguiti, nel momento in cui, spie-gando come si risolve un problema, sono obbligati a svolgere sulla sequenzaoperata una meta-riflessione. Il tempo disteso offre soprattutto la possibilitàdell’ascolto reciproco, ma anche di fare esperienze fuori scuola. Molto spessopadri e mamme chiedono ansiosi agli insegnanti se le tabelle in cui i bambiniimparavano a registrare i dati raccolti nel quartiere, o le mappe disegnate sulterritorio, non compromettano lo studio serio della geografia, se tutto questosperimentare topologico non finirà per lasciare i loro figli nell’ignoranza deiconfini del Piemonte e degli affluenti del Po. Non siamo mai riusciti a elabo-

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    rare un vero consenso. Insistere sulle competenze, e non solo sui contenuti me-diante i quali si esercitano, non ha prodotto un vero e profondo cambiamen-to culturale, neanche fra gli stessi insegnanti, la cui formazione era, ed è, lasciataall’iniziativa personale o a episodiche proposte dall’alto. Alla luce dei fatti suc-cessivi e odierni, mi dico che è mancata un’elaborazione seria, costante, dei pun-ti di forza e delle debolezze. Una buona organizzazione è tale se guadagna a séanche i più riottosi, se è sostenuta da continua critica e da spirito di ricerca.

    Secondo scenario. Settembre 2011, scuola elementare di un qualsiasi cir-colo didattico di Roma. Dopo il panico prodotto dalla ventilata abolizione delmodello a Tp, l’orario lungo (ormai è solo questione di tempo-scuola, e vienecensurata la vecchia dicitura) è rimasto in piedi. La lotta ingaggiata ha evitatolo smantellamento, ma non tutte le classi richieste sono state concesse. Le oredi servizio sono attribuite dalla Direzione regionale in modo forfettario: ognidirigente ne deciderà l’impiego. Malgrado le norme di sicurezza e il semplicebuon senso impongano e suggeriscano altri numeri, le classi hanno fino a 26bambini, in alcuni casi con la presenza di uno o due diversamente abili (locu-zione ipocrita a fronte degli interventi carenti, della mancanza di lavoro di équi-pe con altri operatori: in fondo, dicono i soloni del ministero, è la diversità lavera risorsa!). L’orario di lavoro dei docenti prevede una quota di disponibili-tà a effettuare le supplenze sui colleghi assenti. In alcune scuole il quadro ora-rio complessivo è formulato in segreteria e drena tutte le ore di contemporaneitàper questo scopo, alla convocazione dei supplenti si ricorre solo in casi estre-mi: non c’è la copertura finanziaria, si sostiene. Cosa vera solo in parte, per-ché alle scuole che cercano di non massacrare completamente gli orari e nominanoi supplenti, i finanziamenti, almeno fino al momento di cui racconto, vengo-no erogati. Ma, ormai, la maggioranza dei dirigenti scolastici è stata guada-gnata alla causa del Governo (necessità di economizzare risorse, di abbattere ilfamoso assenteismo femminile nelle scuole, e altri luoghi comuni) e dunque,in ogni classe, troviamo i titolari dei due ambiti disciplinari (apici: matemati-ca e lingua), il docente di inglese (quando c’è), quello di religione cattolica (chenon manca mai), l’insegnante di sostegno, spesso impiegato su più classi. Ladifferenza di ore che matura fra le 24 svolte dai due docenti curricolari più glispezzoni degli altri (1, 2, 3 ore, dipende) e le 40 ore di tempo-scuola per clas-se vengono utilizzati per supplire i colleghi assenti. Poiché spesso non sono suf-ficienti, il dirigente solerte sfonda l’orario della singola classe e ricorre a oreprovenienti da altri team, in parallelo (le stesse classi prime, ad esempio) o inverticale (le ore delle quinte prestate alle prime). Molto più spesso, le sezionirimaste senza maestri vengono smembrate (attenzione: nulla è lasciato al caso,

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    il modello organizzativo è elaborato al computer), e gli alunni confluiscono inaltre sezioni. Si verifica allora che l’insegnante X, che già lavora con 25/26 bam-bini, se ne ritrovi 30 e più, con le seggioline – non ci sono banchi liberi o spa-zi praticabili – accostate al tavolo di lavoro dei compagni. L’insegnante X puòfantasiosamente disporre di alcune alternative: 1. ignorare i nuovi venuti, chefaranno un compito qualsiasi o un disegno, e continuare la lezione program-mata per la sua classe; 2. inventare gruppi di lavoro inediti quanto estempora-nei; 3. raccontare una storia, come va bene in ogni circostanza, e pensare a unfuturo, affrettato, recupero di ciò che non si è potuto svolgere. Il nervosismodegli insegnanti, la ricerca di una qualche solidarietà, lascia indifferenti i geni-tori. Indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza, non solo il di-stratto, suo malgrado, sotto-proletario, ma anche l’avvocato o il medico,commentano che è un problema oggettivo di soldi (e dunque, che farci?), masoprattutto che, in fondo, questa flessibilità spaziale, questi spostamenti, di-vertono molto i loro figli (sic).

    Nel primo scenario non stiamo nel migliore dei mondi, vagheggiato comeun’età dell’oro della scuola. Certo, dal dopoguerra erano avvenute molte cose,nel mondo del lavoro, della cultura, dell’educazione. Mutamenti radicali e ri-forme, scoordinate per tempi e dettato, che pure diedero il segno di un biso-gno sociale di scuola almeno democratica: la legge istitutiva della media unica,la nascita della scuola materna, l’integrazione dell’handicap, l’annoso lavoro(mai terminato!) sui programmi, e altro ancora. Epoca di grandi maestri alfa-betizzatori (Ciari, Lodi, Dolci, Sardelli, Milani) e dell’associazionismo militan-te (Cidi; Mce). Insieme alla conquista dei diritti sul lavoro e alle speranze diun benessere diffuso, fatto anche di opportunità culturali. Come ho detto, ilquadro è pieno di risvolti, di pieghe, di contraddizioni, e sarà nel 2000 che lavena nascosta della strategia liberista si rivelerà appieno. Con i roboanti pro-grammi europei di unificazione culturale oltre che economica, con la cosiddet-ta Strategia di Lisbona, si mostrerà meglio il percorso e calerà il silenzio, anchea sinistra, sulla scuola come la intesero i costituzionalisti. Niente dell’oggi e del-l’immediato futuro può essere spiegato senza rintracciare quella vena, negli ul-timi vent’anni. Se hanno resistito nicchie alternative al nuovo che avanzava,forse va detto che non vennero promosse, non vennero sussunte in un pro-gramma nemmeno riformatore, mentre il riformismo liberista le vampirizza-va, svuotandole di senso.

    Come sarà lo scenario del 2012? La scuola elementare, primaria (vieneprima, non è più quella degli elementi del sapere), continua a essere pensata asinistra, dagli intellettuali che lavorano nelle università e da quelli che scrivo-

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    no di scuola, come capace di buoni risultati. Punto di vista molto italiano,provinciale, proprio di chi non conosce la storia, quella tratteggiata più su, dichi ha figli o nipotini a scuola contenti dei cambi-classe, bambini affidati amaestre comunque affidabili, e via discorrendo.

    Oggi, questo prossimo autunno, la scuola elementare sarà ben dentro loscenario numero due.

    Faccio ancora un passo indietro. Berlinguer aprì il varco nel 2000 (la lezio-ne di Lisbona) con la scuola azienda, la dirigenza, il contratto formativo e il clien-te che lo firma per il suo bambino, l’autonomia senza risorse e molta competizionefantasiosa fra scuole per accaparrarsi i finanziamenti. A seguire, il delirio sullemodalità di reclutamento (università, Ssis, e via verso l’attuale Tirocinio forma-tivo di cui potete leggere su queste pagine), il merito e la divaricazione fittiziadelle carriere mediante incarichi conferiti dai dirigenti. Gli insegnanti elemen-tari, le maestre e i maestri, ne rimangono massacrati, stritolati. Impoveriti perruolo sociale e per reddito, soprattutto colpevolizzati perché lo sfondamentooperato dall’asse Moratti-Gelmini-Profumo mostra i caratteri di una necessità,talvolta di uno svecchiamento, di una de-ideologizzazione, di una risposta eco-nomica contingente o di un adeguamento a una diversa richiesta sociale. La co-scienza collettiva è ottenebrata dalle parole d’ordine che da vent’anni chiamanoalla realizzazione della triade informazione-competizione-crescita, aggiungo in-dividualismo. Poche volte, e in gruppi sporadici, le famiglie partecipano alle bat-taglie che pure si organizzano, contro la ventilata abolizione del tempo pieno,contro il ritorno dell’insegnante unico o – contraddittoriamente – lo sbriciola-mento della funzione docente in mille rivoli disciplinari (le lingue seconde, iprogetti, le sperimentazioni, eccetera). Gli stessi docenti sembrano per lo piùrassegnati, rassegnazione tipica della vittima sacrificale della crisi.

    Molto più di un pasticcio: il Tfa all’italianadi Francesco Targhetta

    Dopo anni di graduatorie bloccate e concorsi azzerati, il ministroProfumo sembra aver inaugurato una nuova fase per l’accesso alla scuola ita-liana. Tra l’avvio del Tirocinio formativo attivo, che sostituisce le vecchie Ssisnell’abilitazione di giovani insegnanti, e l’annuncio di un imminente concor-so per regolarizzare i precari storici, l’effetto propagandistico è stato garantito.La realtà, dietro i proclami, è ben diversa (basti ricordare che questo governo

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    è lo stesso che ha alzato l’età pensionabile, rinviando in modo drastico il turn-over nelle scuole italiane), e rivela, quel che più conta, un’imbarazzante ineffi-cienza nella gestione del conclamato reclutamento. Nel caso particolare dei quizper l’accesso al Tfa, poi, l’inefficienza ha assunto i contorni della più palese ir-regolarità, formalizzata in pieno agosto da una serie di interventi ministerialiche nelle intenzioni sarebbero dovuti essere correttivi ma che invece hanno ag-gravato la situazione e fatto legittimamente infuriare i candidati.

    Mettiamo un po’ di ordine. A maggio esce il bando per il Tfa, la cui fan-tomatica partenza era nell’aria ormai da un paio di anni. Pare che questa siala volta buona. Il corso durerà un anno e prevederà subito, assieme a lezionidi didattica, un’attività di tirocinio da svolgere direttamente nelle aule, in af-fiancamento ad alcuni professori-tutor che hanno dato la propria disponibi-lità a seguire le “nuove” leve. In buona parte, per la verità, gli aspiranti profsono non-più-giovani che hanno già passato anni dietro la cattedra, ma danon-abilitati, per supplenze brevi e sostituzioni di malattie. Di loro la scuolaha già avuto bisogno, ma ora pretende, per regolarizzarli, altri soldi e altreenergie, riconoscendo al loro servizio, a meno che non abbiano insegnato inuna classe di concorso per almeno tre anni, solo qualche punto. Punti che so-no sufficienti, tuttavia, per scoraggiare i neo-laureati senza alcuna esperienzanella scuola (i giovani veri a cui Profumo dice di voler far posto in sala inse-gnanti), i quali sanno bene di avere speranze minime di poter frequentare iTfa. A provare sono in tanti, malgrado le speranze al lumicino: cosa costa,d’altronde? In realtà costa. È dai 100 ai 150 euro la spesa per l’iscrizione aiquiz per ogni singola classe di concorso. Se si superano i test, il Tfa costerà trai 2500 e i 3000 euro. Alla fine del corso si sarà abilitati; non si avrà, natural-mente, il ruolo (per ambire al quale si dovrà passare per il concorsone). Si po-trà, dunque, diventare precari. Da cui si scopre, peraltro, che chi hainsegnato senza abilitazione, in questi anni, va annoverato tra i sub-precari, oqualcosa di simile. Tant’è. Alle etichette svalutativo-depressive c’è una certaabitudine, tra i non-giovani.

    Per accedere al corso bisognerà superare una triplice prova: un quiz a cro-cette sulle materie della classe di concorso prescelta, uno scritto e un orale.Mentre queste ultime due verifiche vengono affidate alle singole universitàche gestiscono i corsi, il quizzone, composto da 60 domande (di cui occorreazzeccarne almeno 42), è allestito da un’équipe nominata dal ministero (Gel-mini) ed è uguale per tutta Italia. Subito, dopo i primi giorni di quiz, si capi-sce che qualcosa sta andando storto. Nei forum vengono segnalate domandesbagliate, ambiguità, scorrettezze nella somministrazione dei test, quesiti ugua-

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    li presenti in quiz diversi, domande copiate dalle vecchie prove per la Ssis, do-mande su argomenti che non rientrano nei programmi scolastici, domande conpiù risposte corrette, definizioni copincollate da Wikipedia, in una brodagliadi nozionismo spiccio da far accapponare la pelle. Solo stando alla A051: il go-verno che ha eliminato la geografia dalle scuole superiori (ora nel biennio delliceo si insegna “geostoria”, con le stesse ore settimanali che spettavano fino adue anni fa alla sola storia) chiede ai candidati i confini del Mali (confina colNiger o con la Nigeria?); Qualcosa era successo di Buzzati diventa Qualcosa eraaccaduto; si confondono tra loro monologo interiore e flusso di coscienza; sioffre una definizione scorretta di “variante”. Luciano Canfora, dalle paginedel “Corriere della Sera”, a proposito dei commissari che hanno preparato iquiz parla di “onnipotenti analfabeti”. Al ministero non si chiedeva un’allegraindulgenza o domande ammiccanti per volemose-bene collettivi, ma una se-verità ragionata e stringente. Il mix di arida erudizione à la “Chi vuol esseremilionario” ed errori marchiani, invece, stride e fa rabbia. Si pretende che siconosca Amafinio (il nuovo Carneade anni zero: a ciascuna epoca il suo), mapoi si ricopiano male i titoli delle opere. “Gli italiani non sanno preparare itest”, si commenta, ricordando altri disastrosi concorsi a quiz della storia re-cente. Allora perché continuare a voler essere dilettanteschi a tutti i costi? I ri-sultati, intanto, confermano l’andazzo negativo. Fanno notizia i quiz di francese(11% di ammessi) e quelli di filosofia e psicologia (addirittura 3%), ma nonva meglio nelle altre classi di concorso. Spesso il numero di ammessi allo scrit-to è minore rispetto al numero chiuso previsto per la partenza dei corsi. Per ilministero è un guaio: come fare cassa se gli studenti sono così pochi? Comearginare la legittima collera dei candidati? Come proseguire il macello?

    In fretta e furia Profumo decide di convocare una commissione incaricatadi rivedere “gli item assegnati ai candidati”, allo scopo di condonare a tutti ledomande scorrette o ambigue. Doveroso. Salvo che il reclutamento dei com-missari avviene in modo del tutto estemporaneo (l’agosto italiano...), con alcu-ne testimonianze accademiche che parlano di mail senza firma inviate in emergenzail giorno prima della convocazione. Molti professori, subodorando la necessi-tà di entrare a patti col ministero sul numero di quesiti da abbonare per far qua-drare i conti, rifiutano di partecipare. Alla fine i nomi dei commissari saltanofuori. L’esito delle revisioni, per alcuni classi di concorso, è sconcertante: neltest di francese si abbonano 24 domande su 60, nelle A043/A050 11 doman-de, tra cui alcune che non sembrano nascondere nessuna ambiguità. Esempi.In riferimento ai Sepolcri di Foscolo si chiede a chi si riferisca il poeta quandoscrive “e l’ossa / fremono amor di patria”. La risposta corretta è: Vittorio Alfie-

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    ri. Non esiste un commento che non lo certifichi. Eppure la domanda vienedata giusta a tutti. “Bere un bicchiere di acqua” è una metonimia. Certamen-te non è una metatesi, un epanodo o una sinafia. Perché la domanda è statacondonata? Lo stesso dicasi per il quesito su Diocleziano, che diede vita alla te-trarchia (non a una diarchia, a una pentarchia o a una triarchia). Com’è possi-bile che test in cui viene annullata quasi la metà delle domande e in cui vengonoamnistiati quesiti apparentemente corretti, secondo una revisione che risultaarbitraria e ingiustificata, mantengano la propria validità? Il risultato è che aprotestare e a minacciare ricorsi non sono soltanto i candidati non ammessi,ma anche quelli ammessi dopo il primo turno di correzioni, che in molti casisi vedono scavalcati nelle graduatorie. L’effetto è la consueta guerriglia italiana:tutti contro tutti. Risulta evidente, in ogni caso, che per raggiungere la coper-tura dei posti messi a disposizione, non potendo modificare il bando (è lo stes-so ministero a confessarlo, quasi con un tono di afflizione, nel decreto 14 del7 agosto), si è scelta l’italianissima strada del condono. Senza alcuna trasparen-za. Almeno fino alla settimana scorsa. Il 29 agosto, dopo la messe di proteste edi mail recapitate alla dott.ssa Lucrezia Stellacci, capo del Dipartimento perl’Istruzione, Profumo decide di rendere noti i nomi dei commissari che stila-rono i quiz e i nomi dei responsabili della revisione. Professori universitari e ri-cercatori. Nessuno, nemmeno chi li ha nominati, si è dimesso. Mancano, perdi più, i verbali in cui si forniscono le motivazioni che hanno portato all’an-nullamento delle domande. Per prenderne visione occorre scrivere a un indi-rizzo e-mail, specificando i propri dati e la ragione della propria richiesta. Comese il caos a cui si è dato vita non fosse già di per sé un’ottima ragione. In ognicaso, ho subito inoltrato la domanda. Finora non ho ottenuto risposta.

    Nel frattempo alcune università hanno iniziato gli scritti. A Venezia si è giàsvolta la prova di latino e italiano. Ci siamo presentati in 40 per 15 posti (100candidati non avevano passato il test preselettivo). Lo scritto consisteva nella tra-duzione di un testo di Tacito (dagli Annales), corredato di 5 domande di gram-matica e stilistica, e nell’analisi di una novella tratta dal Decameron attraverso 5quesiti a risposta aperta. Nello scritto si possono ottenere al massimo 30 punti.Non è stato specificato in nessun modo quali fossero i criteri della correzione:quanti punti valesse latino, quanti italiano, quanti le singole domande. Chiun-que abbia un minimo di esperienza di insegnamento sa bene che se si proponeagli studenti una verifica di storia o di matematica senza specificare il valore del-le singole domande o dei singoli esercizi o un tema di italiano privo di “griglia”,si scatena la protesta dei ragazzi (o, peggio, dei genitori), che sono i primi a chie-dere, legittimamente, criteri di correzione chiari. Per poter diventare professori

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    (anzi, precari), però, si devono affrontare prove miste di latino e italiano senzaavere la minima idea dei parametri secondo cui saranno corrette.

    Il Tfa partirà verosimilmente in tardo autunno, ma si è già risolto in unsonoro fallimento. L’annuncio del concorso imminente (al quale potranno par-tecipare, con ogni probabilità, i soli abilitati – i quali peraltro è assurdo chedebbano sottoporsi a un ulteriore esame, dopo aver già superato le Ssis e do-po anni di esperienza nelle aule) e la promessa di immissione in ruolo di20mila precari possono risollevare, purché non avvengano nei modi inganne-voli e populistici con cui sono stati lanciati. Dire che con il concorso si apriràla scuola ai giovani insegnanti è ridicolo, quando si sa bene che i precari di og-gi hanno tra i 30 e i 45 anni. Un passo in avanti rispetto alle gelminiadi c’è,senza dubbio. Ma l’impressione è che occorrano un rigore e una trasparenzadiversi da parte del ministero per affrontare il nodo della scuola italiana. E pertrasmettere ai non-giovani insegnanti (e ai giovani veri a cui, forse, toccheràun giorno) principi che siano diversi dal solito raffazzonato pressapochismoche contraddistingue il nostro paese.

    Esami e quiz anche per gli insegnantidi Claudio Giunta

    Il disastro degli esami d’accesso al Tirocinio formativo attivo (Tfa) rischiadi farci dimenticare perché questi esami, e il Tfa, si fanno: per selezionare e for-mare gli insegnanti migliori. Perciò non dovremmo perdere troppo tempo aridere dei quesiti sbagliati e dedicarne invece parecchio a riflettere sulle moda-lità dell’esame e sulla sua stessa opportunità.

    Riepilogo. Fino al 2009 c’erano le Ssis: o meglio, fino al 2007, dopodichénon è stato più possibile accedervi. Per abilitarsi all’insegnamento un laureatodoveva, dopo l’università, iscriversi (pagando) a un corso di due anni durante iquali, attraverso lezioni e un tirocinio nelle classi, gli si insegnava a insegnare.Le Ssis sono state chiuse, e ora c’è il Tfa, che è simile alle Ssis (anche il Tfa co-sta: 2500-3000 euro) ma dura soltanto un anno, al termine del quale si sostie-ne un esame. Chi lo passa, è abilitato all’insegnamento.

    Per accedere al Tfa occorre fare non uno ma tre esami: anche questi a pa-gamento, tanto per fare un po’ di cassa (50-100 euro). Il primo è quello som-ministrato dal ministero, un test con domande a risposta multipla (“A chi siriferisce il Foscolo scrivendo ‘e l’ossa / fremono amor di patria’?”, seguono quat-

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    tro nomi); il secondo è uno scritto organizzato dalle singole università nellevarie città, e consiste in prove mirate: versioni di latino e greco, temi di italia-no e storia, analisi di testi, eccetera. Il terzo è un esame orale.

    Ora, il problema dell’esame ministeriale non sono gli errori contenuti incerte domande: sono le domande stesse. I quiz a risposta multipla sono infat-ti una scorciatoia che non porta da nessuna parte. Ai candidati alle cattedrenelle scuole medie e superiori si chiedevano cose come “Quando fu pubblica-to in prima edizione il romanzo dannunziano Forse che sì forse che no?”, “Qualè l’anno della Charte octroyée?”, “Dove si trova la città di Porto Fuad?”. Io in-segno Letteratura italiana all’università e non avrei saputo rispondere a nessu-na di queste domande, come a molte altre: avrei tirato a caso tra le quattrorisposte possibili, e sicuramente non avrei superato l’esame. Peggio per me,naturalmente. Forse, se avessi passato l’estate a rileggermi tutti i manuali,comprese le parti scritte in piccolo, ce l’avrei fatta. Ma questo è il modello cul-turale di “Rischiatutto”. In realtà, anche se le domande fossero state più sem-plici, o più sensate, non sarebbero state una base di giudizio affidabile perdecidere chi deve e chi non deve diventare insegnante. I futuri insegnanti do-vrebbero conoscere la loro disciplina (e possibilmente anche qualche discipli-na contigua) ed essere in grado di parlarne e scriverne con proprietà. Non altro.Per verificare il possesso di questi requisiti i quiz a risposta multipla non ser-vono a niente. Servono – per ripetere il triste verbo che si è usato – a screma-re. Ma non è affatto detto che la scrematura faccia emergere i migliori. Se lamia esperienza vale qualcosa, posso anzi dire che un paio di miei allievi, chesarebbero stati (e saranno, spero) insegnanti eccellenti, non hanno passato iltest. Così come posso dire che la scrematura ha fatto venire a galla anche la so-lita crema di furbi truffatori: in certe aule d’esame si è copiato, grazie ai com-puter palmari – me lo assicurano candidati che erano presenti. Un bel risultato!La verità è che l’esame andava annullato e rifatto con tutt’altri criteri.

    Quali? È chiaro che dei temi, delle versioni e dei colloqui individuali sonol’unica cosa seria da fare. Ma poi – ci si domandava allarmati quest’estate, neicorridoi delle università – chi corregge tutti gli elaborati? Chi fa tutti i collo-qui? Ad agosto, con l’ombrellone già prenotato? Ci vorrebbe un organico in-finito. Ci vorrebbe tempo. Infatti: ci volevano persone competenti delegate aquesta sola mansione, e non dei volontari disposti a regalare gli spiccioli delloro tempo, e bisognava fare le cose con più calma. Il Paese del Bisognava.

    Questa era la pars destruens. La pars construens è molto più breve. Tre esa-mi d’ammissione, un esame conclusivo abilitante, e un altro esame per poterandare in cattedra – ma chissà quando – sono troppi, soprattutto quando a

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    doverli superare è qualcuno che ha alle spalle cinque o sei anni di università edue lauree, magari col massimo dei voti, e soprattutto quando una volta am-messi al percorso abilitante bisogna anche pagare tremila euro (oltre a essere ilPaese del Bisognava, l’Italia è anche la Terra delle Opportunità, ma solo finchési scherza: quando si fa sul serio la musica cambia, e ci vogliono i quattrini).La formazione degli insegnanti spetta alle università, di concerto con le scuo-le: attraverso un master simile al Tfa o attraverso corsi di laurea specialisticiconcepiti per questo scopo. I candidati dovrebbero continuare a studiare le di-scipline caratterizzanti ma anche imparare a insegnare, soprattutto attraversoi tirocini in classe. L’università italiana, specie nel settore umanistico, ha unapropensione per la Teoria (confinante con la Fuffa) che è spesso controprodu-cente: piuttosto che strologare sulla pedagogia, si tratta di farla, cioè di fare di-dattica. L’esame finale – analogo all’esame di stato che sostengono gliarchitetti e gli avvocati – dovrebbe verificare sia le competenze disciplinari (pri-ma di saper insegnare bisogna sapere) sia l’attitudine a stare in classe, e in que-sto senso l’idea di introdurre la lezione di prova mi pare una buona idea. Sepoi questi corsi professionalizzanti saranno, come pare inevitabile, a numerochiuso, si porrà il problema di ripensare l’accesso alle facoltà, con una selezio-ne all’ingresso o con una più severa selezione in itinere, auspicabilmente già alprimo anno: altrimenti continueremo a produrre precari e disoccupati restan-do convinti di lavorare nel superiore interesse della Civiltà (che coincide,guarda caso, con l’interesse dei docenti universitari). E la frequenza a questicorsi dovrebbe essere gratuita, o costare molto meno dei tremila euro attuali:se uno è bravo e vuol fare l’insegnante andrebbe incoraggiato in tutti i modi,e non dissuaso da questi balzelli. Dopodiché, l’idea dell’attuale ministero ditornare ai concorsi ordinari mi sembra opportuna. La scuola e l’università han-no bisogno di insegnanti giovani (e 25 anni non sono troppo pochi), e sareb-be bene che nei concorsi che si annunciano, riservati ai già abilitati, venissecontemplata una quota per i non abilitati che hanno avuto solo la sfortuna dinascere tardi, dopo il concorso del 1999 e dopo la chiusura della Ssis, ma chemagari hanno già anni d’esperienza nell’insegnamento, come precari. Sarebbeun segno nella direzione giusta, sarebbe un modo per dire che non è legge che,in Italia, la salvezza di una generazione implichi la dannazione della generazio-ne successiva.

    (Pubblicato su “Domenica de Il Sole 24 ore” del 9 settembre 2012)

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    Tra peluche e cinismodi Giuseppe Montesano

    Io sono un privilegiato: insegnando al liceo la mia platea è diversa daquella delle scuole medie, degli istituti tecnici e professionali. Piccola e mediaborghesia. È più facile lavorare. Ma la vera realtà delle scuole tra Napoli e Ca-serta è quella dell’obbligo: lì la catastrofe è già avvenuta, nel senso che tutte letecniche pedagogiche non hanno senso quando intorno non funziona nientee la scuola non ha un ruolo centrale nella società, ma ne è soltanto un’appen-dice; quindi il suo malessere è solo sintomatico di un male più vasto, ed enfa-tizzare le responsabilità della scuola è una fissazione da politici, per scaricare leresponsabilità. Bisognerebbe stare più zitti, fare quel che si può fare nel picco-lo, nel quotidiano, far circolare idee, far leggere, far vedere cose, sia ai piccoliche ai grandi: i ragazzi sono avidi di sapere, di conoscere, però non lo sannofinché non lo vedono, non lo vivono, non sanno quello che desiderano davve-ro. L’adolescenza è un’età in cui si può ancora cambiare, è forse l’ultima possi-bilità, ma quando si vede quello che viene offerto a chi potrebbe cambiare, sicapisce che il risultato non può che essere sconfortante.

    Loro, i ragazzi, continuano beatamente e tristemente e in modo depressoa essere ignoranti; non sulle cose scolastiche soltanto, ma sul mondo, e qui siapre la questione se sia la scuola a dover fare la parte della società, se debbasopperire alle sue mancanze, se debba raddrizzarne le storture: io sinceramen-te credo di no. La scuola deve dire per esempio chi è Platone, non può nondirlo, e non solo perché sta scritto nel misero programma ministeriale, maperché è il suo unico compito, la sua unica chance, deve spiegare la geografiaastronomica, i terremoti, i pianeti, le cose elementari e importanti della cultu-ra. Però si tratta di un punto di partenza, quando invece è considerato il pun-to di arrivo, diventando così una stupida gabbia, e non un grimaldello per aprirela gabbia. Questo non succede solo perché molti insegnanti sono pigri, ripeti-tivi, figli di questa società e quindi uguali agli alunni, ma anche perché gli alun-ni adolescenti hanno sì una grande potenzialità, che gli insegnanti, adulti, ingenere non hanno più, ma questa energia spesso non sanno nemmeno di aver-la, e non sanno che possono usarla per sapere e capire il mondo: tutto gli inse-gna, dalla scuola alla famiglia alla società, che il mondo devono solo accettarlosenza capirlo. Poi tra gli insegnanti ci sono i soliti “incomprensibili”, come lichiamo io, persone che spontaneamente hanno voglia di resistere, di mettersiin gioco, di usare la propria vita per fare qualcosa, perché avvertono la sensa-zione di essere altrimenti dei vigliacchi. Credo che questo valga per tutti, non

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    solo per studenti e insegnanti, e se qualsiasi persona che vive qua in Campa-nia avvertisse profondamente questo turbamento, si comporterebbe diversa-mente già con i figli a casa, con le altre persone: non va dimenticato che i ragazzivengono educati per strada, in discoteca, in mille altri modi, ma soprattutto acasa, in famiglia, dove per famiglia intendo però una cosa malefica, che qui èancora molto più forte di quanto si immagina: la famiglia allargata, l’ambien-te. Non a caso i grandi gruppi criminali si chiamano “famiglie”, quella cosa chetende a risucchiarli nel già fatto, già visto, già vissuto, già pensato.

    Isole a GomorraIl familismo è ossessivo, una specie di sistema, di meccanismo, fatto per rias-sorbire qualsiasi cosa metta in crisi questa catastrofe organizzata che va avantisulla base di un equilibrio folle, delirante se visto dall’esterno, ma normale perchi ci vive dentro; è una forma di normalizzazione dell’assurdo che tende an-che ad “aiutare” perversamente le persone, purché non mettano in discussio-ne questo modello culturale. Per esempio la scuola, in certe zone delcasertano, dice all’alunno di non preoccuparsi, spiega che in cambio del fattodi non dare fastidio la vita sarà comoda. È semplicemente un meccanismo quo-tidiano della società che si è completamente impadronito di un’isola, perchéla scuola è un’isola, e dal mio punto di vista farebbe meglio a restare un’isola:visto che non possiamo avere la “scuola che vogliamo”, allora meglio isolata,piuttosto che ingoiata da questo tipo di società locale e forse ormai globale.

    È meglio l’isolamento da questa società dell’illegalità legalizzata che toglieai ragazzi il respiro, gli toglie qualsiasi forma di diversità possibile; i grandi ti-toli dei giornali parlano sempre del folclore criminale, non parlano mai dellacosa più interessante, cioè l’illegalità diventata legale sia tecnicamente, nella so-cietà, ma soprattutto nella testa delle persone. È una mutazione profonda e gra-ve, che rende difficile ogni discorso, ogni ragionamento, perciò diventa difficilearrivare al piano etico: ed è per questo che da queste parti “etica” è una parolaipocrita, utilizzata da coloro che ne sono la negazione; una parola che più vie-ne detta, ripetuta, utilizzata dal gruppo familista – che va dal politico all’ulti-mo dei custodi di edifici pubblici – e meno diventa reale nei comportamenti,nei gesti, nella vita quotidiana delle persone. Ma anche nella dimensione pri-vata, nelle relazioni affettive tra i ragazzi, con le famiglie, che spesso sono o di-sastrosamente assenti o iperaffettive in senso falso: “Faccio finta di darti tuttoperché in realtà non ti sto dando niente di essenziale”, oppure conflittuali inmaniera aperta, totale: “la giungla è fuori casa, e io la porto anche dentro”, an-che se questo è più raro.

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    Quello che una volta si chiamava proletariato o sottoproletariato ha gli stes-si comportamenti della borghesia caramellosa e fasulla: comportamenti tipicidi ceti sociali falsificati e falsi per natura e storia, quelli della borghesia cultu-ralmente intesa (“fatti i fatti tuoi e arraffa quel che puoi tramite parenti e po-litici”) si spostano dentro la giungla dell’ex proletariato o “popolo”, il che nonammorbidisce la giungla, né la coltiva, né funziona da lenitivo, ma aumentasoltanto la scissione dentro le persone e tra le persone. Andate, ma davvero, peresempio come insegnanti, a Scampia o al Parco Verde o al Villaggio Coppola:i ragazzini che nella criminalità ci vivono da sempre, anche se non sono tecni-camente “criminali”, sono completamente spaccati a metà, tra l’orsetto di pe-luche comprato all’ipermercato e lo spaccio pomeridiano nei luoghi delle periferiecoatte, tra bisogno di affetto morboso, infantile, con un’età mentale e affetti-va di tre anni, e un’età reale, fisica, di quaranta, e quaranta vissuti nella totalealienazione dal bello e dal bene. Un ragazzino di tredici anni di certe scuolemedie di Scampia oscilla tra un bambino affettivamente disastrato e un adul-to disastrato, per cui ha un cinismo da adulto, il peggiore possibile, e nello stes-so tempo una fragilità morbosa dal punto di vista affettivo: veramente unmiscuglio tragico.

    Il ragazzino che vorrebbe essere cullato e amato è lo stesso che dice al com-pagno “devi morire, ti uccido”, che utilizza la legge del più forte, l’unica filo-sofia nuova che si sta spandendo dal basso, il che è terrificante, perché questaera la filosofia predatoria e semi-segreta delle classi alte del liberismo ideologi-co, mentre adesso è filosofia di massa. Di fronte a questo forse valgono sem-pre le stesse cose, cioè le isole, le minoranze, i singoli, che però non devonorestare soli. “Là dove sarete in tre, io ci sarò”, recita un passo degli Apocrifi;non troppi, perché presto diventano massa, ma non uno solo, e nemmeno due,cioè la coppia: il Cristo avventuroso e tagliente degli Apocrifi sa che la coppiapuò diventare l’inizio di ogni trappola familista, l’origine di ogni egoismo cie-co. Nello stesso tempo, il Cristo straccione non chiede mai astratti e impossi-bili sacrifici e dice di amare il prossimo “come se stessi”, non ipocritamentepiù di se stessi: chiede un lavoro psicologico su di sé, non chiede la menzognauntuosa e politica della religione.

    E qui, senza alcuna coltivazione delle persone e dell’io, la violenza divenu-ta filosofia inconscia e incosciente (ma ormai attraverso il liberismo ideologiz-zato e vincente anche apertamente propagandata) disgrega le regole non perfarne altre, ma per sopravvivere in mezzo alle macerie. Altrove forse la violen-za è più attutita, ma le dinamiche e le mentalità sono identiche: da almenotrenta quarant’anni questo posto è diventato come tutti gli altri.

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    Classismo ex cathedraTutta la verità del classismo viene fuori quando vedi la tizia con l’anello di sme-raldo – i particolari si fissano perché non sono unici ma diffusi – che dice al-la collega: “Guarda com’è bello, costa diecimila euro”, e dice poi nel consigliodi classe di una scuola media: “Questa ragazza non si lava e ha sempre gli stes-si stivali e quindi la dobbiamo bocciare”, quando questa ragazza ha il compa-gno della madre che non lavora, il padre che non c’è, una casa disastrata,comunque si lava i vestiti da sola, e mette sempre gli stessi stivali, d’inverno ein primavera, perché non ne ha altri. Non voglio fare del patetismo, è un fat-to reale, e non così isolato: nelle scuole medie è diffuso, là si vedono l’odio el’incomunicabilità di chi ha verso chi non ha, anzi là c’è proprio il vecchioclassismo che si credeva legato a epoche diverse, come se non fosse cambiatoniente. Il messaggio classista è: “Noi siamo noi, e possediamo”, e voi esclusiavete solo due possibilità: o fingete ipocritamente che la scuola e il mondo sia-no quelli di un tempo che in realtà non è mai esistito, e quindi sviluppate l’ipo-crisia a dodici anni, oppure la mattina dite che non avete potuto fare dellecose perché dovevate lavarvi gli stivali, ancora sono due le cose: o non vi ascol-tiamo, non vi crediamo, oppure vi odiamo perché siete giovani e belli anchese avete gli stivali malmessi… Perché purtroppo, in questo caso che racconto,come in tanti altri simili, si aggiunge un altro elemento: l’insegnante è anchela classica donna locale, moglie insoddisfatta, aggressiva, incattivita, che devesemplicemente avere qualcuno più debole sul quale sfogare le proprie frustra-zioni: donna perché tale è la maggioranza. Infatti, se l’insegnante è maschio,tutto si ripete uguale in altre forme.

    So che sembra tragico, ma non è meno di questo, c’è una pulsione quasianimale per cui chi si trova in un gruppo di privilegiati può e vuole accanirsicontro chi sta sotto di lui. Ma bisogna verificare quanti, della classe degli in-segnanti, appartengono alla classe dei privilegiati: un’insegnante guadagna 1300euro, non può essere un privilegiata, ma se è figlia di una famiglia con dieciappartamenti a Posillipo, o con trenta ettari di terreno, o sposata con un eva-sore fiscale, un avvocato o un imprenditore o un medico, eccetera, socialmen-te ed economicamente non è più un’insegnate. Noi facciamo un errore,consideriamo l’insegnante un personaggio alla Mastronardi, povero e sfigato,ma quanti sono realmente così e quanti invece sono in questa condizione diprivilegio? Non certo l’1% degli insegnanti, ma almeno il 30%, e statistica-mente, per forza di numeri, si arriva al classismo, perché non è il caso dell’ope-ratore sociale che è precario come il suo assistito: l’insegnante che appartieneper matrimonio o eredità alla classe dei ricchi è un diverso: per quell’insegna-

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    te lo stipendio è solo l’ultima cosa, serve per le spese di svago, o per farne mo-stra. Donne e uomini frustrati, classisti, che fanno gli insegnanti, non posso-no che portare dentro la scuola frustrazione e classismo, e statisticamente sonoin troppi.

    Io quasi non credo a me stesso quando dico “classismo”, perché pensavo sitrattasse di un concetto-ferrovecchio, ma in questi ultimissimi anni più passail tempo e più mi sembra un utensile assolutamente indispensabile per capirecerte cose, e questo mi riporta a una delle mie ossessioni: la Storia non è cat-tiva, il fatto è che in certi posti la Storia non è ancora cominciata o è a un li-vello primitivo. Come diceva un vecchio signore, “noi viviamo ancora nellapreistoria”, e veramente finché esiste e si rafforza come Storia il regno dell’in-giustizia, non trovo niente di più vero di queste parole.

    Formazione e deformazioneCiò che gli organismi preposti al comando e al controllo della scuola italiana,dal più alto al più basso, considerano “formazione” è l’esatto contrario di qual-siasi minima educazione e formazione umana. I vari consulenti dei ministeri,i teorici della formazione, sono del resto quelli che hanno creato le leggi, co-struito i sistemi formativi, immediatamente creato il disastro. Dopo averlo crea-to, hanno offerto alla politica un sistema perverso di controllo dei giovani e diletterale perdita di tempo con cui stressare, angosciare e ansioliticizzare quelliche dentro la scuola vorrebbero fare gli insegnanti, perché il parado