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IL SIGNIFICATO DELLA MINDFULNESS PARTE 1 Con il crescere dell’interesse per la mindfulness fra clinici e ricercatori, il termine ha acquisito significati sempre più ampi. Per capire come le pratiche della mindfulness possano informare la psicoterapia, e come la psicoterapia possa arricchire la pratica della mindfulness, è utile avere le idee chiare su che cosa sia la mindfulness e su quali relazioni abbia la pratica della mindfulness con forme tradizionali di psicoterapia. Per preparare il terreno, il Capitolo 1 costituisce una introduzione a mindfulness e psicoterapia: che cos’è la mindfulness, i suoi possibili ruoli nella psicoterapia, le diverse competenze chiamate in causa nella pratica della mindfulness, la storia della mindfulness nella psicologia scientifica e in quella buddista, la mindfulness come nuovo modello di psicoterapia. Forte di questa base, il Capitolo 2 esamina paralleli e differenze fra psi- cologia buddista e approcci psicoterapeutici occidentali fondamentali ed esplora quello che ciascuna tradizione può offrire all’altra.

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IL SIGNIFICATO DELLA

MINDFULNESS

PARTE

1

Con il crescere dell’interesse per la mindfulness fra clinici e ricercatori, il termine ha acquisito significati sempre più ampi. Per capire come le pratiche della mindfulness possano informare la psicoterapia, e come la psicoterapia possa arricchire la pratica della mindfulness, è utile avere le idee chiare su che cosa sia la mindfulness e su quali relazioni abbia la pratica della mindfulness con forme tradizionali di psicoterapia.

Per preparare il terreno, il Capitolo 1 costituisce una introduzione a mindfulness e psicoterapia: che cos’è la mindfulness, i suoi possibili ruoli nella psicoterapia, le diverse competenze chiamate in causa nella pratica della mindfulness, la storia della mindfulness nella psicologia scientifica e in quella buddista, la mindfulness come nuovo modello di psicoterapia. Forte di questa base, il Capitolo 2 esamina paralleli e differenze fra psi-cologia buddista e approcci psicoterapeutici occidentali fondamentali ed esplora quello che ciascuna tradizione può offrire all’altra.

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CAPITOLO

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MindfulnessChe cos’è? Perché è importante?

Christopher K. Germer

Vivere è così stupefacente, che lascia solo poco spazio ad altre occupazioni…

Emily Dickinson (1872)

Il compito degli psicoterapeuti è alleviare la sofferenza emotiva. La soffe-renza arriva sotto innumerevoli spoglie: come stress, ansia, depressione, problemi comportamentali, conflitti interpersonali, confusione, dispera-zione. È il comune denominatore di tutte le diagnosi cliniche ed è endemi-ca alla condizione umana. Talvolta è di natura esistenziale, sotto forma di malattia, età avanzata, morte. Talvolta invece ha un gusto più personale. La causa delle nostre difficoltà individuali possono essere il condizionamento passato, le circostanze attuali, la predisposizione genetica, o un numero qualsiasi di fattori che interagiscono fra loro. La mindfulness, un modo ingannevolmente semplice di porsi in relazione all’esperienza, è usata da molto tempo per ridurre il peso delle difficoltà della vita, in particolare di quelle che ci si crea da soli. In questo volume illustreremo le potenzialità della mindfulness per migliorare l’efficacia della psicoterapia.

Quando entrano in terapia, le persone hanno ben chiara una cosa: vo-gliono sentirsi meglio. Spesso hanno varie idee su come raggiungere quel

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risultato, anche se la terapia non procede necessariamente come si sareb-bero aspettate.

Per esempio, una giovane donna con un disturbo da panico, che chia-meremo Lynn, può prendere appuntamento da un terapeuta, sperando di sfuggire alla tempesta emotiva della sua condizione. Lynn forse cerca libertà dalla sua ansia, ma con il procedere della terapia scopre in re-altà la libertà nella sua ansia. Che cosa è successo? Una forte alleanza terapeutica può dare a Lynn il coraggio e la sicurezza di cominciare a esplorare il suo panico più da vicino. Attraverso l’auto-consapevolezza, Lynn comincia a essere consapevole delle sensazioni di ansia nel suo cor-po e dei pensieri che vi sono associati. Impara come far fronte al panico convincendo se stessa a superarlo. Quando si sente pronta, fa esperienza diretta delle sensazioni di ansia che innescano un attacco di panico e si mette alla prova in un centro commerciale o su un aereo. Tutto questo processo richiede che Lynn prima si rivolga verso l’ansia. Si è verificato un “bait and switch” compassionevole.

I terapeuti che seguono un modello più relazionale o psicodinamico possono osservare un processo simile. All’approfondirsi della connes-sione fra paziente e terapeuta, la conversazione diventa più spontanea e autentica, e il paziente acquisisce la libertà di esplorare che cosa lo preoc-cupi realmente, in un modo più aperto e curioso. Con il sostegno del-la relazione, il paziente viene esposto gentilmente a quello che succede dentro di lui e scopre che non è necessario evitare quell’esperienza per sentirsi meglio.

Sappiamo che possono funzionare molte forme di psicoterapia fra loro apparentemente dissimili (Seligman, 1995, Wampold, 2012). Esiste un fattore curativo comune alle diverse modalità che possa essere identifi-cato e affinato, magari addirittura addestrato? La mindfulness sta dimo-strando di essere un ingrediente di questo tipo.

UNA RELAZIONE SPECIALE CON LA SOFFERENZAUna terapia che ha successo cambia la relazione del paziente con la pro-pria sofferenza. Ovviamente, se siamo meno sconvolti da ciò che accade nella nostra vita, la nostra sofferenza diminuirà. Ma come possiamo esse-re meno disturbati da esperienze spiacevoli? Il dolore fa parte della vita. Forse che corpo e mente non fanno istintivamente resistenza alle espe-

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rienze dolorose o non cercano di evitarle? La mindfulness è una capacità che ci consente di essere meno reattivi a ciò che succede nel momento; è un modo per essere in relazione con tutte le esperienze, piacevoli, spiace-voli e neutre, in modo tale che la nostra sofferenza complessiva diminui-sca e il nostro senso di benessere aumenti.

Essere mindful significa svegliarsi, riconoscere che cosa sta accaden-do nel momento presente con un atteggiamento amichevole. Purtroppo, raramente siamo in un atteggiamento mindful. Di solito siamo irretiti in pensieri che ci distraggono o in opinioni su quel che succede in quel momento. Questa è mindlessness. Fra gli esempi di mindlessness rien-trano (adattati dalla Mindful Attention Awareness Scale [Brown & Ryan, 2003]):• svolgere di corsa ogni attività senza prestarvi alcuna attenzione;• rompere o rovesciare cose per trascuratezza, mancanza di attenzione

o perché si sta pensando ad altro;• non notare sensazioni sottili di tensione fisica o di disagio;• dimenticare il nome di una persona quasi subito dopo averlo sentito;• trovarsi preoccupati per il futuro o per il passato;• fare uno spuntino senza rendersi conto che si sta mangiando.

La mindfulness, invece, concentra la nostra attenzione sull’attività o sul momento presente. Quando siamo mindful, la nostra attenzione non è irretita nel passato o nel futuro e non stiamo rifiutando quello che ci sta capitando in quel momento, né ci stiamo aggrappando ad esso. Sia-mo presenti in modo aperto. Questo tipo di attenzione genera energia, chiarezza mentale e gioia. Per fortuna, è una capacità che chiunque può coltivare.

Quando Gertrude Stein (1922/1993, p. 187) scriveva «Una rosa è una rosa è una rosa è una rosa» riportava il lettore di nuovo, e poi di nuovo ancora, sulla semplice rosa. Stava forse suggerendo che cosa una rosa non sia. Non è una relazione romantica conclusasi tragicamente quattro anni fa; non è l’imperativo di potare le siepi durante il fine settimana – è solo una rosa. Il percepire con questo tipo di “nuda attenzione” è solitamente associato alla mindfulness.

La maggior parte delle persone in psicoterapia è preoccupata per even-ti futuri o passati. Chi è depresso, per esempio, spesso prova rimpianto,

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tristezza o senso di colpa per il passato, e chi è ansioso ha timore del futu-ro. La sofferenza sembra aumentare non appena ci allontaniamo dal mo-mento presente. Quando la nostra attenzione viene assorbita dall’attività mentale e cominciamo a ruminare, senza essere consapevoli di farlo, la nostra vita quotidiana può diventare davvero piena di tristezza. Qualche paziente si sente come bloccato in una sala cinematografica, costretto a guardare e riguardare lo stesso film inquietante, senza possibilità di an-darsene. La mindfulness può aiutarci a uscire dal nostro condizionamen-to e a vedere di nuovo le cose – a vedere una rosa per quello che è.

DEFINIZIONI DI MINDFULNESSIl termine mindfulness è una traduzione inglese della parola pali sati. Pali era la lingua della psicologia buddista 2500 anni fa e la mindfulness è l’insegnamento centrale di quella tradizione. Sati connota consapevolezza, attenzione e capacità di ricordare.

Che cos’è la consapevolezza? Brown e Ryan (2003) definiscono consa-pevolezza e attenzione sotto l’ombrello della coscienza:

«Coscienza comprende sia consapevolezza che attenzione. Consapevolezza è il “radar” di fondo della coscienza, che con-trolla continuamente l’ambiente interno ed esterno. Si può essere consapevoli degli stimoli senza che questi siano al cen-tro dell’attenzione. Attenzione è un processo di focalizzazione della consapevolezza cosciente, che determina una sensibili-tà più elevata a una gamma limitata di esperienza (Westen, 1999). In effetti, consapevolezza e attenzione sono intreccia-te, così che l’attenzione estrae continuamente “figure” dallo “sfondo” della consapevolezza, mantenendole focalizzate per intervalli di tempo variabili» (p. 822).

Mentre leggete queste parole, utilizzate sia la consapevolezza sia l’at-tenzione. Un bollitore che fischia in sottofondo può richiedere la vostra attenzione se il suo suono diventa abbastanza intenso, in particolare se avete voglia di una tazza di tè. Analogamente, possiamo percorrere una strada in automobile guidando automaticamente, vagamente consapevoli della strada, ma rispondere immediatamente se un bambino attraversa la

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via di corsa davanti a noi. La mindfulness è l’opposto del funzionamento a “pilota automatico”, l’opposto del sognare a occhi aperti; è prestare attenzione a ciò che è saliente nel momento presente.

La parola mindfulness può essere usata per descrivere un costrutto te-orico (l’idea di mindfulness), pratiche per coltivare la mindfulness (per esempio la meditazione), o processi psicologici (meccanismi d’azione del-la mente e del cervello). Una definizione di base di mindfulness è “con-sapevolezza momento-per-momento”; altre definizioni sono «mantenere la propria coscienza viva alla realtà presente» (Hanh, 1976, p. 11); «la consapevolezza chiara e determinata di quello che succede effettivamente a noi e in noi nei momenti successivi della percezione» (Nyanaponika, 1972, p. 5); «la consapevolezza che emerge attraverso il prestare atten-zione, volontariamente, nel momento presente, e senza giudicare, al di-spiegarsi dell’esperienza momento per momento» (Kabat-Zinn, 2003, p. 145). In ultima istanza, la mindfulness non può essere catturata a pieno in parole perché è un’esperienza sottile, non verbale (Gunaratana, 2002). È la differenza fra sentire un suono nel proprio corpo e descrivere quello che forse si sta sentendo.

Mindfulness terapeuticaUna definizione precisa di mindfulness ci può sfuggire anche perché le definizioni moderne divergono dalla multidimensionalità delle loro radici buddiste (Grossman, 2011; Olendzki, 2011) e tradizioni diverse entro la psicologia buddista non necessariamente concordano sul significato della mindfulness (Williams & Kabat-Zinn, 2011). Fra gli approcci pratici alla definizione della mindfulness in contesti clinici rientrano la scoperta di elementi comuni ai vari programmi di formazione (Carmody, 2009) o lo studio di quello che sembra utile ai pazienti in un trattamento orientato alla mindfulness. Riassumendo le opinioni che trovavano maggiore con-senso fra gli esperti, Bishop e colleghi (2004) hanno proposto un modello della mindfulness a due componenti: «La prima componente comporta l’auto-regolazione dell’attenzione in modo che sia mantenuta sull’espe-rienza immediata, permettendo così un maggiore riconoscimento degli eventi mentali nel momento presente. La seconda componente comporta l’adozione di un particolare orientamento verso la propria esperienza, caratterizzato da curiosità, apertura e accettazione» (p. 232).

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Anche se nella letteratura psicologica dell’ultimo decennio è stata pre-sa in considerazione soprattutto la regolazione dell’attenzione, in conte-sti clinici è particolarmente importante la qualità della consapevolezza mindful, caratterizzata da assenza di giudizio, accettazione, gentilezza amorevole e compassione. Jon Kabat-Zinn (2005), il principale pioniere della mindfulness nel campo della salute, l’ha definita «consapevolezza aperta, momento per momento, non giudicante» (p. 24). Quando abbia-mo a che fare con emozioni intense e incessanti, abbiamo bisogno di una risposta compassionevole al nostro dolore (Feldman & Kuyken, 2011, Germer, 2009). Se il terapeuta o il paziente si ritraggono dall’esperienza sgradevole con ansia o disgusto, la nostra capacità di lavorare con quell’e-sperienza diminuisce significativamente.

Nella prospettiva della mindfulness, accettazione si riferisce alla ca-pacità di consentire alla nostra esperienza di essere così come è nel mo-mento presente – accettando sia le esperienze piacevoli sia quelle do-lorose quando si presentano. Accettazione non significa approvare un comportamento negativo; l’accettazione momento per momento è anzi un prerequisito per il cambiamento comportamentale. «Il cambiamento è il fratello dell’accettazione, ma è il fratello minore» (Christensen & Ja-cobson, 2000, p. 11). Anche i clinici orientati alla mindfulness conside-rano l’auto-accettazione centrale al processo terapeutico (Brach, 2003; Linehan, 1993a). Per usare le parole di Carl Rogers, «Il curioso para-dosso della vita è che, quando mi accetto così come sono, allora posso cambiare» (Rogers, 1961, p. 17).

La definizione concisa di mindfulness che usiamo in questo volume è consapevolezza dell’esperienza presente con accettazione. Queste tre componenti si possono trovare nella maggior parte delle discussioni della mindfulness sia nella psicoterapia sia nella letteratura buddista. Le componenti sono completamente intrecciate in un momento di mindful-ness, ma nella vita comune la presenza di un elemento non implica ne-cessariamente gli altri. Per esempio, la nostra consapevolezza può essere completamente assorbita dal passato anziché dal presente, come nel caso di una collera cieca per un’ingiustizia percepita. Possiamo anche avere consapevolezza senza accettazione, come nell’esperienza della vergogna. Analogamente, può esistere accettazione senza consapevolezza, come nel perdono prematuro; e una centratura sul presente senza consapevolezza

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può sorgere in un momento di ebbrezza. I terapeuti possono usare que-sti tre elementi come una misura della mindfulness in se stessi e in altri pazienti. Siamo consapevoli di quello che accade in noi e intorno a noi, in questo momento preciso, con un atteggiamento di accettazione calda e partecipe?

MINDFULNESS E LIVELLI DI PRATICAPer conoscere la mindfulness bisogna sperimentarla. Si può praticare la mindfulness con gradi di intensità diversi. A un estremo del continuum della pratica sta la mindfulness quotidiana. Anche nella nostra vita quoti-diana, spesso vissuta sotto pressione e nella distrazione, è possibile avere momenti mindful.

Possiamo staccarci momentaneamente dalle nostre attività facendo consciamente un lungo respiro, raccogliendo la nostra attenzione e poi chiedendoci:

“Che cosa percepisco nel mio corpo in questo esatto momento?”“Quale sentimento provo?”“Che cosa sto pensando?”“Che cosa è vivido e vivo nella mia consapevolezza?”Non è necessario nemmeno essere calmi per avere della consapevolez-

za mindful, come quando scopriamo “Sono proprio in collera in questo momento”. Questa è mindfulness nella vita quotidiana, ed è anche come si verifica normalmente nella psicoterapia.

All’altro estremo del continuum troviamo monaci e laici che trascorro-no notevoli quantità di tempo in meditazione. Quando abbiamo l’occa-sione di stare seduti a lungo con gli occhi chiusi, in un luogo silenzioso, e di perfezionare la concentrazione su una cosa (per esempio, il respiro), la mente diventa come un microscopio che può rilevare la più piccola at-tività mentale. Le istruzioni seguenti costituiscono un esempio di pratica meditativa intensiva:

«Se dovesse essere percepita una sensazione di prurito in qual-siasi parte del corpo, mantieni la mente su quella parte e nota mentalmente prudere… Se il prurito dovesse continuare e diventare troppo forte e dovessi avere l’intenzione di grattar-ti la parte che fa prurito, assicurati di notare mentalmente

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intendere. Solleva lentamente la mano, notando simultane-amente l’azione di sollevare e poi quella di toccare quando la mano tocca la parte che prude. Gratta lentamente in completa consapevolezza di grattare. Quando la sensazione di prurito è scomparsa e intendi smettere di grattare, fai attenzione a prendere la solita nota mentale di intendere. Ritira lentamen-te la mano, al contempo notando mentalmente l’azione, riti-rare. Quando la mano è a riposo nel suo solito posto e tocca la gamba, toccare» (Mahasi, 1971, pp. 5-6).

Questo livello di consapevolezza precisa e sottile, in cui possiamo addi-rittura rilevare l’“intendere”, richiede chiaramente un livello fuori dal co-mune di dedizione da parte di chi lo pratica. Cosa notevole, l’istruzione appena riportata è considerata un’istruzione “di base”.

Mahasi Sayadaw scrive che, in stadi più avanzati, «Alcuni meditatori percepiscono distintamente tre fasi: notare un oggetto, il suo cessare, e il tramontare della coscienza che conosce quel cessare – tutto in rapida successione» (1971, p. 15).

I momenti di mindfulness hanno in comune alcuni aspetti, indipenden-temente da dove si collocano sul continuum della pratica. Nella vita quo-tidiana, il momento effettivo del risveglio, della mindfulness, è all’incirca lo stesso per chi è esperto nella meditazione e per chi è alle prime armi. I momenti mindful sono:• non concettuali: la mindfulness è consapevolezza incarnata, intuitiva,

che si è districata dai processi di pensiero;• non verbali: l’esperienza di mindfulness non può essere catturata a

parole perché la consapevolezza si presenta prima che nella mente sorgano le parole;

• centrati sul presente: la mindfulness è sempre nel momento presente. L’assorbimento nei pensieri ci allontana temporaneamente dal mo-mento presente;

• non giudicanti: la consapevolezza non può presentarsi liberamente se non ci piace quello che stiamo vivendo nell’esperienza;

• partecipativi: la mindfulness non è un essere testimoni in modo distac-cato, ma fare esperienza della mente e del corpo in modo intimo, ma al tempo stesso libero da ogni peso;

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• liberatori: ogni momento della consapevolezza mindful offre un po’ di libertà dalla sofferenza condizionata, un po’ di spazio intorno al nostro disagio.

Queste qualità si presentano simultaneamente in ogni momento di mind-fulness. La pratica della mindfulness è un tentativo cosciente di tornare al momento presente con consapevolezza calorosa e partecipe, più e più volte, con tutte le caratteristiche elencate sopra. La mindfulness stessa non è qualcosa di fuori dal comune; è rara invece la continuità della mind-fulness.

SAGGEZZA E COMPASSIONELa mindfulness in sé non è l’obiettivo: il fine del promuoverla è la li-bertà dalla sofferenza. All’approfondirsi della mindfulness, è probabile che sorgano anche saggezza e compassione, e queste qualità conducono in modo naturale alla libertà psicologica (Germer & Siegel, 2012). La pratica della mindfulness, per esempio, ci libera dal pensiero ripetitivo e questo, a sua volta, ci permette di vedere quanto sia realmente fluida e in continuo mutamento la nostra vita, compreso il nostro senso del Sé. Que-sta consapevolezza ci libera dal bisogno costante di promuoverci nella società e di difenderci da offese meschine. Questa è considerata saggezza nella psicologia buddista – esperienza diretta dell’impermanenza e dell’il-lusorietà di un “sé” costante e comprensione di come creiamo infelicità per noi stessi combattendo la realtà del momento presente.

Il filosofo greco Eraclito scriveva: «Chi vuol raggiungere la saggezza faccia quello che ho fatto io: cerchi dentro di sé» (Hillman, 2003, p. xiii). Il Buddha diceva: «Vieni e vedi» (in pali: ehipassiko). La stretta associa-zione fra insight contemplativo (dovuto all’esperienza diretta: N.d.C.) e saggezza è il motivo per cui la meditazione mindfulness è chiamata anche insight meditation, la pratica di guardare dentro per vedere le cose come sono, sotto le nostre percezioni e reazioni condizionate, per liberare il cuore e la mente.

Saggezza e compassione sono «due ali di un uccello» (Dalai Lama, 2003, p. 56; Germer & Siegel, 2012). Compassione si riferisce alla capa-cità di aprirsi alla sofferenza (in noi stessi e in altri) insieme con il deside-rio di alleviarla. Emerge in modo naturale dalla saggezza – la consapevo-

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lezza profonda e l’accettazione delle cose come realmente sono. Anche la compassione può essere coltivata direttamente attraverso pratiche deliberate. Da terapeuti, se abbiamo sentimenti compassionevoli verso un paziente ma non abbiamo saggezza, rischiamo di essere sopraffatti dall’emozione, incapaci di vedere un cammino che faccia uscire dalla sofferenza, e potremmo arrivare alla conclusione che il trattamento sia senza speranza. Viceversa, se siamo saggi, se afferriamo la natura com-plessa della situazione di un paziente e possiamo vedere una via d’uscita ma non siamo in contatto con la disperazione del paziente, i nostri sug-gerimenti terapeutici arriveranno a orecchie che non sentono. I terapeuti hanno bisogno sia di saggezza sia di compassione, e possono usare pra-tiche di mindfulness per svilupparle.

PSICOTERAPEUTI E MINDFULNESSLa mindfulness è diventata mainstream negli Stati Uniti (Ryan, 2012). In un’indagine condotta nel 2007, il 9,4 per cento degli americani dice-va di aver praticato la meditazione nell’anno precedente, mentre solo cinque anni prima erano il 7,6 per cento (National Center for Comple-mentary and Alternative Medicine, 2007). Non è sorprendente, visto che la scienza esercita una forte influenza nella società moderna e la comunità degli scienziati ha mostrato un forte interesse per la medita-zione. Fra i clinici, la meditazione è diventata uno dei metodi psicote-rapeutici su cui si conducono più ricerche (Walsh & Shapiro, 2006). I clinici sono attratti dalla meditazione per le ragioni più varie: personali, cliniche, scientifiche.

Una breve storia della mindfulness in psicoterapiaL’ingresso formale del pensiero orientale nella filosofia e nella psicologia occidentali può essere fatto risalire alla fine del XVIII secolo, quando gli studiosi inglesi cominciarono a tradurre testi spirituali indiani come la Bhagavad Gita. Quei testi, insieme con gli scritti buddisti, si sono diffusi in America attraverso le opere dei “trascendentalisti” come Henry David Thoreau, che in Walden (1854/2012) scriveva: «Sedevo sulla soglia della capanna, dall’alba al tramonto, rapito in fantasticherie […] Capii cosa gli Orientali intendono per contemplazione» (p. 61, trad. it. p. 176). Agli inizi del XX secolo, William James faceva notare ai suoi allievi allo Har-

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