Il ricordo Sette tedeschi, sette esseri umani che ci ... · che ci aiutarono a vivere Il ricordo La...

20
28 Sette tedeschi, sette esseri umani che ci aiutarono a vivere Il ricordo La testimonianza di un deportato italiano a Kahla, dove Mi ha davvero aiutato, Dio. Anche a tener lontano quel passato che quando ritorna menoma il cervello e la psiche. Dura un momento ma è terribile: rivedo mio padre mo- rente di fame su un pagliericcio pieno di pidocchi, nella baracca dei lager E. Accanto a lui altri morenti di fame, chi scheletrito chi gonfio di nefrite. Io devo lasciarlo in ba- racca ogni mattina, devo andare a lavorare sulla collina di Walpersberg. Picco e pala per dieci ore, pioggia, vento, neve. Sì, perché io sto ancora in piedi anche se peso tren- tanove chili alla bilancia dell’infermeria del campo di Grosseutersdorf. Il dottore mi dice che mio padre ed io sia- mo due lavativi, è già molto che lui permetta a mio padre di restare in baracca. A sera quando rientro non so se è an- cora vivo. C’è un fossa comune con calce viva vicino alla baracca, quelli come lui sono tanti. Speriamo che qualcu- no mi aiuti a portacelo se è morto. Da solo non ce la farei. Ho diciassette anni. È un dicembre nero e nevoso. A Natale mio padre, gonfio, livido, irrico- noscibile, non ha più la forza d’alzarsi. Il dieci gennaio muore. È dal quel giorno del 1945 che mi sforzo di tener lontano quel passato. Per attenuare il trauma. Per restare nor- male. Ormai ho settant’anni, ci sono quasi riuscito… Dio mi ha dato una mano. Fummo presi nell’agosto del 1944 a Massarosa, pres- so Lucca (Italia), con pochi panni addosso. Venti gior- ni più tardi, dopo una sosta a Dachau, eravamo a Kahla, nel lager E, presso il vil- laggio di Grosseutersdorf. Subito a lavorare sulla col- lina di Walpersberg. Il clima era mite, avevamo una zuppa a Mittagessen (pranzo) e 300 grammi di pane all’Abendessen (ce- na), con salame, o margari- na o marmellata, qualche volta burro. Tutti eravamo sicuri di sopravvivere, ma sbagliavamo. Già a fine settembre il fred- do e i pidocchi comincia- vano a mordere. Mancava il tempo di lavarci, e in ogni caso non avevamo né sapo- ne né asciugamano né pan- ni di ricambio. Le docce restavano utiliz- zate solo dai cucinieri, gli infermieri e i guardiani del campo. di Furio Gabbrielli Agosto 1944 … …ottobre... A ottobre la buona zuppa di Mittagessen fu abolita, ce ne davamo una alle sei del mattino, acqua e rape, una zuppa miserabile che ci da- va un terribile Durchfall (diarrea). Con quelle poche calorie in corpo marciava- mo per sei chilometri sotto la sorveglianza di uomini ar- mati per andare a lavorare sul cantiere di Walpersberg; per dieci ore, con una sosta di mezz’ora a mezzogiorno per permettere ai guardiani di mangiare qualcosa. A sera sul cantiere ci resti- tuivano l’Ausweis (tesseri- no) e ci davano l’Abende- ssen Karte (il tagliando per la cena). Con quel cartellino miracoloso in tasca ritorna- vamo nal lager E senza al- cuna sorveglianza. I guar- diani erano sicurissimi che saremmo andati di buon pas- so alla cucina del lager per aver la cosa che più deside- ravamo al mondo : una zup- pa un po’ sostanziosa, con qualche bella patata. A vol- te al posto della zuppa c’e- ra un bel pezzo di pane di 300 grammi con un po’ mar- garina o di burro. Ma a metà ottobre la razione di pane passò da 300 a 150 grammi. Mio padre ed io non avem- mo mai la fortuna di lavora- re negli Stollen (sotterranei) “Avevo 17 anni e vidi mio padre morire di stenti”. La costituzione di una pista d’aerei che avrebbe dovuto far vincere la guerra a Hitler. Una zuppa miserabile per dieci ore di fatica bestiale nel gelo. Poi … apparvero Karl, Anna Bechmann e gli altri “Davanti agli abitanti di Massarosa, il 16 aprile del ‘44, vengono fucilati due giovani ragazzi renitenti alla leva, Domenico Randazzo di Agrigento e Vittorio Monti di Camaiore. In risposta a questo infame gesto, i partigiani Taddei e Bertini prendono d’assalto la caserma dei carabinieri e rapiscono il maresciallo, azione della quale vengono ritenuti responsabili tutti gli abitanti di Massarosa che vengono così rastrellati e deportati in massa.” Tra questi c’era l’autore di questa testimonianza.

Transcript of Il ricordo Sette tedeschi, sette esseri umani che ci ... · che ci aiutarono a vivere Il ricordo La...

28

Sette tedeschi,sette esseri umani che ci aiutarono a vivere

Ilricordo

La testimonianza di un deportato italiano a Kahla, dove

Mi ha davvero aiutato, Dio. Anche a tener lontano quelpassato che quando ritorna menoma il cervello e la psiche.Dura un momento ma è terribile: rivedo mio padre mo-rente di fame su un pagliericcio pieno di pidocchi, nellabaracca dei lager E. Accanto a lui altri morenti di fame,chi scheletrito chi gonfio di nefrite. Io devo lasciarlo in ba-racca ogni mattina, devo andare a lavorare sulla collina diWalpersberg. Picco e pala per dieci ore, pioggia, vento,neve. Sì, perché io sto ancora in piedi anche se peso tren-tanove chili alla bilancia dell’infermeria del campo diGrosseutersdorf. Il dottore mi dice che mio padre ed io sia-mo due lavativi, è già molto che lui permetta a mio padredi restare in baracca. A sera quando rientro non so se è an-cora vivo. C’è un fossa comune con calce viva vicino allabaracca, quelli come lui sono tanti. Speriamo che qualcu-no mi aiuti a portacelo se è morto.Da solo non ce la farei. Ho diciassette anni. È un dicembrenero e nevoso. A Natale mio padre, gonfio, livido, irrico-noscibile, non ha più la forza d’alzarsi. Il dieci gennaiomuore. È dal quel giorno del 1945 che mi sforzo di tenerlontano quel passato. Per attenuare il trauma. Per restare nor-male. Ormai ho settant’anni, ci sono quasi riuscito… Diomi ha dato una mano.

Fummo presi nell’agostodel 1944 a Massarosa, pres-so Lucca (Italia), con pochipanni addosso. Venti gior-ni più tardi, dopo una sostaa Dachau, eravamo a Kahla,nel lager E, presso il vil-laggio di Grosseutersdorf.Subito a lavorare sulla col-lina di Walpersberg. Il clima era mite, avevamouna zuppa a Mittagessen(pranzo) e 300 grammi dipane all’Abendessen (ce-na), con salame, o margari-

na o marmellata, qualchevolta burro. Tutti eravamosicuri di sopravvivere, masbagliavamo. Già a fine settembre il fred-do e i pidocchi comincia-vano a mordere. Mancavail tempo di lavarci, e in ognicaso non avevamo né sapo-ne né asciugamano né pan-ni di ricambio. Le docce restavano utiliz-zate solo dai cucinieri, gliinfermieri e i guardiani delcampo.

di Furio Gabbrielli

Agosto 1944 …

…ottobre...A ottobre la buona zuppa diMittagessen fu abolita, cene davamo una alle sei delmattino, acqua e rape, unazuppa miserabile che ci da-va un terribile Durchfall(diarrea). Con quelle pochecalorie in corpo marciava-mo per sei chilometri sotto lasorveglianza di uomini ar-mati per andare a lavoraresul cantiere di Walpersberg;per dieci ore, con una sostadi mezz’ora a mezzogiornoper permettere ai guardianidi mangiare qualcosa.A sera sul cantiere ci resti-tuivano l’Ausweis (tesseri-no) e ci davano l’Abende-ssen Karte (il tagliando per

la cena). Con quel cartellinomiracoloso in tasca ritorna-vamo nal lager E senza al-cuna sorveglianza. I guar-diani erano sicurissimi chesaremmo andati di buon pas-so alla cucina del lager peraver la cosa che più deside-ravamo al mondo : una zup-pa un po’ sostanziosa, conqualche bella patata. A vol-te al posto della zuppa c’e-ra un bel pezzo di pane di300 grammi con un po’mar-garina o di burro. Ma a metàottobre la razione di panepassò da 300 a 150 grammi.Mio padre ed io non avem-mo mai la fortuna di lavora-re negli Stollen (sotterranei)

“Avevo 17 anni e vidi mio padre morire di stenti”. La costituzione di una pista d’aereiche avrebbe dovuto far vincere la guerra a Hitler. Una zuppa miserabile per dieci oredi fatica bestiale nel gelo. Poi … apparvero Karl, Anna Bechmann e gli altri

“Davanti agli abitanti di Massarosa,il 16 aprile del ‘44, vengono fucilati due giovaniragazzi renitenti alla leva, Domenico Randazzo di Agrigento e Vittorio Monti di Camaiore. In risposta a questo infame gesto, i partigiani Taddei e Bertini prendono d’assalto la caserma dei carabinieri e rapiscono il maresciallo,azione della quale vengono ritenuti responsabili tutti gli abitanti di Massarosa che vengono così rastrellati e deportati in massa.”Tra questi c’era l’autore di questa testimonianza.

29

gli schiavi cadevano distrutti dalla fatica e dalla fame

...novembre...

...dicembre, gennaio...

al riparo dal maltempo.Durante le dodici ore di vi-ta all’aperto prendevamo tut-

to quello che cadeva dal cie-lo. L’indomani mattina in-dossavamo i panni bagnati.

A novembre il freddo di-venne intenso, ci detteroguanti e mutande lunghe,ma molti di noi comincia-rono ad ammalarsi. Il dot-tore dell’infermeria dava almassimo due giorni di ri-poso per i più gravi. E daparte sua, il Lagerführer (ca-pocampo) intervenne subi-to contro i Drückeberger (si-mulatori, lavativi); chi sidava per malato e restavanel campo avrebbe presosoltanto Halb Portion (mez-za razione) del cibo. E fe-ce scrivere sulle baracchein molte lingue «Chi non la-vora non mangia». Tra i malati c’era chi anda-va a lavorare per non mori-re di fame, spesso qualcunodi loro cadeva di sfinimen-to durante le ore di lavoro.

Nei mesi di dicembre, gen-naio e febbraio i morti au-mentavano. Chi non riusci-va più ad alzarsi la mattinaper andare a lavorare era pra-ticamente alla fine dei suoi

giorni. Avveniva che qual-che guardiano facesse dellozelo: quando uno di noi ca-deva sul cantiere, si prende-va subito una scarica di le-gnate. Il guardiano voleva

Solo se moriva sotto gli oc-chi dei guardiani la sua mor-te veniva registrata perché ilguardiano aveva l’Ausweissdel morto, con nome e fo-to.Quando invece cadeva emoriva dopo il lavoro, sulsentiero che riconduceva allager, la sua morte restavaspesso sconosciuta, qualcu-no infatti si precipitava sulmorto o sul moribondo perimpossessarsi del suoAusweis e soprattutto delsuo Abendessen Karte peravere due zuppe. Quando ilgiorno dopo passava la squa-dra che raccoglieva i cadaveriessa raccoglieva un mortosenza nome.Eravamo più d’un migliaionel solo lager E di Gros-seutersdorf.

assicurarsi che non si trat-tava di un simulatore.I nostri guardiani erano qua-si tutti civili sui sessant’an-ni e oltre. Ben pasciuti, benvestiti, ben rasati, con bafficurati, talvolta anche d’a-spetto signorile. Ma questonon impediva loro di basto-narci quando lavoravamofiaccamente. Il più forte picchiatore di tut-ti era il gran capo, l’inge-gnere, un uomo d’una qua-rantina d’anni, coi denti in-cisivi prominenti, semprevestito di nero. Lui volevamostrare ai guardiani comesi trattavano gli Untermen-schen (i sottouomini, gli es-seri inferiori). Tali infatti era-vamo per sporcizia e debo-lezza fisica.Mi sono domandato tantevolte come avveniva che gliuomini d’aspetto così civilepotessero mettere tanto ze-lo in un lavoro che richie-deva di essere tanto bestia-le. L’unica spiegazione chemi davo era che questi uo-mini si erano lasciati robo-tizzare dalla propaganda per-ché non avevano avuto il co-raggio di reagire alla propa-ganda stessa. Insomma, era-no dei codardi. Ed estende-vo questo giudizio a tutti itedeschi.Dovetti ricredermi quandoincontrai Karl e Anna Bech-mann, di Kahla.Una mattina la mia squadra

fu mandata alla stazione fer-roviaria di Kahla per scari-care longarine di ferro daivagoni e ricaricarle su ca-mion. Dieci ore di questo la-voro senza mangiare sottouna pioggerella freddissimadi dicembre. A sera, quando attraversa-vamo Kahla per rientrare allager con il nostro miraco-loso Abendessen Karte misentii mancare le forze. Miappoggiai a una stacciona-ta di legno presso il cimite-ro, non so per quanti minu-ti. I miei compagni mi ab-bandonarono, avevano trop-pa fame per occuparsi di me.D’un tratto comparvero da-vanti a me un uomo e unadonna lei un po’più alta, conuna grande capigliatura bian-ca. C’era un po’di luna, ve-devo che mi stavano guar-dando. Mi avvicinarono, perguardami meglio.«Oh… so jung…» (oh, cosìgiovane) disse lei. La voceera piena di pietà. «Wie altbis du?» (quanti anni hai?)chiese lui. «Siebzehn», (di-ciassette) risposi.Mi sembrava un miracolo.Era la prima volta che ve-devo dei tedeschi provarepietà. Ciò mi dava forza elucidità, il mio tedesco di-ventava efficace, rispondevoa tutto, dicevo chi ero, che imiei compagni mi avevanoabbandonato che avevo ilmio Abendessen Karte in ta-

Furio Gabbrielli e la sorella nel settembre2000, a Kahla,quando portarono fiorialla fossa comune dove si trovano i resti del loro padre.

L’orrore del campo nel libro

di un giovane storicoA Kahla, in mezzo ai bo-schi della Turingia, nel1944-45 i tedeschi co-struivano una pista di lan-cio per aerei tanto “spe-ciali” che avrebbero dovu-to far vincere la guerra aHitler. Nei boschi c’eranoun centinaio di campi diconcentramento e in essivarie migliaia di deporta-ti, riserva inesauribile dischiavi.Un giovane professore te-desco di storia, WillySchilling, nel corso di una ricerca d’archivio scoprì do-cumenti che provavano che quei campi detti «di lavo-ro» erano, in verità, campi di sterminio: infatti il 63%della mano d’opera vi figurava morta di fame.Un suo libro intitolato “Kahla”, sulla storia della cittàdel 1919 al 1949, Geiger editori, stampato a Horb sulNecker, ha avuto successo fin dalla prima edizione.Successivamente l’autore venne informato che un so-pravvissuto italiano, Furio Gabbrielli, poteva testimo-niare la condizione disumana cui erano costretti i de-portati. Willy Schilling gli chiese - qualche anno fa -una testimonianza “diretta e soggettiva”. Testimonianzache è apparsa nella terza edizione del libro, tradotta intedesco alle pagine 141-145, che pubblichiamo nel te-sto originale in italiano.

30

Sette tedeschi,sette esseriumani checi aiutarono a sopravvivere

sca, che in baracca mi aspet-tava la zuppa, che pure miopadre mi aspettava… se eraancora vivo.La signora dai capelli bian-chi mi disse allora che il suonome era Bechmann che abi-tava a Rollestrasse 15, chevoleva darmi da mangiare…«Bitte komme. vergiss ni-cht…» (vieni, non dimenti-care) anche domani… Il ma-rito annuiva. Raggiunsi il la-ger in un baleno, mangiai lamia zuppa, andai alle doc-ce, mi grattai un po’di spor-cizia dalla faccia e dal collo.L’indomani sera da Walper-sberg mi precipitai a Kahla,Rollestrasse 15. Frau Bech-mann e suo marito mi ac-colsero con un amorevolesorriso. Mangiai.Due giorni dopo stessa ope-razione… e poi di nuovo.Mio padre morì il dieci gen-naio, ma prima di morire eb-be la certezza che almenoper il momento io non sareimorto di fame. Fu, credo, lapiù grande gioia della sua

vita. Gliela avevano dataKarl e Anna Bechmann. Loro non si erano lasciati ro-botizzare. Avevano conser-vato il coraggio di avere pietàe di disubbidire a un regimeche li voleva crudeli.I Bechmann stavano ri-schiando ma erano decisi afare di tutto per salvarmi. Ungiorno mi dissero « I vicinisi sono accorti che vienispesso qui… è pericoloso…per un paio di settimane nonfarti più vedere… vai da FrauFanny Herzer, ti spetta, hogià parlato con sua figliaRosemarie… ti daranno damangiare loro… poi torna atrovarci…»Frau Herzer abitava a BibraerStrasse con figlia e genitori.A due passi da Walpersberg,facile raggiungerla.Sapevano già tutto di me. Aloro si unì frau Hannemann,vicina di casa e parente.Mangiavo da loro anche trevolte la settimana. Poi pre-si a fare la spola tra loro e iBechmann. Il miracolo con-

tinuava e io stavo fiorendo.Quando arrivarono gli ame-ricani ero un diciottenne dal-l’aspetto quasi normale.Nella baracca del lager, imiei compagni sopravvis-suti erano meno della metà,sembravano larve.Karl e Anna Bechmann, frauHannemann, frau Herzer coigenitori e la figlia Rosemarie.Sette esseri umani che con-servarono il coraggio di re-stare umani in un periodo incui ai tedeschi si chiedevadi essere inumani.Il mio giudizio su tutti i te-deschi è sempre stato con-dizionato da queste sole set-te persone.

Ilricordo

Il propulsore di una bomba a razzo V2 per cui veniva costruita la rampa di lancio dai detenuti a Kahla.

47

A Mauthausen per raccogliere il giuramento dei deportati

Nell’anniversario della liberazione del campo

La commemorazione al Memorial italiano.

1500 partecipanti, di cui 500 dalla Toscana.

Più di 50 gonfaloni dei Comuni italiani.

Mauthausen, 5 maggio 2002,57° anniversario della libe-razione. Davanti al Memorialitaliano, oltre 1500 nostriconcittadini commemoranogli oltre 7000 caduti in que-sto lager, e tutte le vittimedei campi di concentramen-to. Sono superstiti e i lorofamigliari, studenti, ammi-nistratori locali. Molti, cinquecento, i tosca-ni guidati dal presidente del-la loro Regione, On. Martini. Più di 50 i gonfaloni deiComuni. L’incontro “dellaMemoria” è aperto da ItaloTibaldi che con poche, com-mosse parole ricorda la pri-gionia e le ore della libera-zione di Mauthausen eEbensee.Subito dopo l’intervanto del-l’ambasciatore d’Italia aVienna, Pierluigi Rachele,un discorso chiaro e corag-gioso, di totale solidarietà epartecipazione.L’addetto militare e il Con-sole depongono una coronaai piedi del Memorial.Poi le parole del presidentedel liceo Gramsci di Ivrea, asollecitare ancor più l’im-pegno delle istituzioni sco-lastiche e delle famiglie nel-la costruzione e nel raffor-zamento della Memoria, co-me diga a difesa delle gio-vani generazioni di fronte alpericolo del ripetersi di im-mani tragedie.Un famigliare dei deportatirichiamandosi alle parole diuna preghiera ebraica, con-

ferma l’impegno, laico o re-ligioso che sia, a credere “no-nostante”.Credere nell’uomo, nella suaforza, nella sua capicità dilibertà.Luisa Laurelli, consiglierecomunale romana, e a lun-go presidente del Consigliocapitolino, a nome deiComuni italiani pronunciaparole che ribadiscono i le-gami con la storia della de-portazione e con la scelta ir-reversibile dell’antifascimo.La lettura della storia, ha det-to tra l’altro - “con il passa-re dei decenni deve esserelimpida a cominciare dal ri-conoscimento delle respon-sabilità che nessuno potràmai cancellare. La pietà per i morti non puòannebbiare la verità. Perchéla morte rende tutti ugualima non può negare le re-sponsabilità e le scelte indi-viduali e collettive.Si dice che il secolo appenapassato sia stato il più buio,quello di due guerre mon-diali con milioni di morti.Questo nuovo secolo si èaperto all’insegna delle guer-re, delle sopraffazioni, dinuove forme terribili di ter-rorismo, di istituzioni mon-diali insufficienti, con Paesiche sempre più si arricchi-scono a spese di quelli po-veri.Nella nostra civile Europa -ha ricordato - si affermanopolitiche di esclusione, po-litiche razziste, la negazione

dei diritti delle persone.Fenomeni di regressione cul-turale che giustificano leguerre e cancellano dirittifondamentali (il diritto al la-voro, all’autodeterminazio-ne, il diritto alla vita), chedanno dignità alla persona.Troppo spesso culture su-perficiali e qualunquisticheod oppressistiche tendono amettere sullo stesso pianovincitori e vinti, carnefici evittime.Non dobbiamo dimenticaremai, qui come nelle nostrecittà, quello che è stato: nondobbiamo consentire la di-storsione dei fatti della sto-ria”.Luisa Laurelli ha citatoPrimo Levi: “Ogni stranieroè nemico. Per lo più questaconvinzione giace in fondoagli animi come una latenteinfezione; si manifesta in at-ti saltuari e scoordinati e nonsta all’origine di una situa-

zione di pensiero. Ma quan-do questo avviene allora, altermine della catena, sta illager.”“Cari anziani sopravvisuti atanto orrore”, ha conclusol’oratrice, “Siamo qui perprendere il testimone da voi.Ai giovani e a tutti, chiedia-mo di condividere e di ac-cettare il giuramento che ideportati scrissero e appro-varono alla liberazione diMauthausen.Esso si chiude così: Nel ri-cordo del sangue versato datutti i popoli, nel ricordo deimilioni di fratelli assassina-ti dal nazionalsocialismo,giuriamo di non abbando-nare mai questa strada. Vogliamo erigere il più belmonumento che si possa de-dicare ai soldati caduti perla libertà sulle basi sicuredella comunità internazio-nale: il mondo degli uominiliberi”.

48

Le iniziative per una intera settimana. L’incontro degli

Giornatadella

memoria

Nel nuovo millennio - hanno scritto i ragazzi della scuola elementaredi Spezzano Albanese presentando le loro iniziative - si festeggia la 2°giornata della Memoria, in ricordo dello sterminio e delle persecu-zioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani neicampi nazisti. Gli alunni della scuola elementare di Spezzano Albanese voglionocontribuire affinché il ricordo delle pagine più tristi della nostra sto-ria di uomini non si cancellino nella nostra memoria.

Ecco come l’ha vissuta la scuolaUn gruppo di ragazzial convegno nella sala consiliare.

49

alunni con gli insegnanti. Dai film sulla Shoah un contributo alla riflessione

IL NOSTRO PAESE, TERRA DI IMMIGRATI

elementare di Spezzano Albanese

Rappresentiamo la scuola elementare di Spezzano Albanese,un paese di origine Arbëreshe, fondato nella metà del se-colo XV dai profughi fuggiti dall’Albania, in seguito al-l’invasione dei turchi. La lingua parlata oggi da noi Arbëreshe è il “tosco”, undialetto del sud dell’Albania, ma che purtroppo va manmano scomparendo perché i ragazzi sono abituati dai lorogiovani genitori, più intellettualizzati rispetto alle genera-zioni passate, a parlare la lingua iataliana. Però nel cuore di noi ragazzi ci sono dei valori e delle tra-dizioni che i nostri genitori ci hanno tramandato e che ci por-tano a pensare alle sofferenze e alle miserie che i nostri an-tenati hanno affrontato nel venire qui.

Ed è per questo che tutti noi siamo disponibili ad acco-gliere i profughi albanesi, che lasciano la loro patria perun avvenire migliore, per cercare quella libertà che è la“molla” del vivere umano.Accogliendo l’invito del nostro dirigente scolastico a ce-lebrare la “Giornata della Memoria” ci siamo prodigati,aiutati e guidati dai nostri docenti, a ricordare, analizzaree meditare i fatti terribili della Shoah. Che il loro sacrifi-cio rappresenti per noi la fine del terrore e l’inizio di unmondo di pace.

Gli alunni della scuola elementare di Spezzano Albanese(Cosenza)

I NOSTRI

RAGAZZI

Le iniziative per dare un “fu-turo” alla Memoria si sonosviluppate nell’arco di unasettimana.Gli alunni, dalla prima ele-mentare alla quinta e i do-centi, hanno assistito allaproiezione dei film sull’Olocausto: La vita è bellaregia di Roberto Benigni,Jona che visse nella balena,di Roberto Faenza, Il diariodi Anna Frank, di GorgeStevens; Un ebreo in fuga(18000 giorni fa) diGabriella Gabrielli, che han-no contribuito a far riflette-re sulle problematiche del-la Shoah.Le loro scene ci hanno mes-so di fronte a terribili even-ti che non potevano emer-gere da uno studio cartaceo.L’attività è proseguita convarie riflessioni sugli even-ti storici e si sono concre-

blica istruzione. Durante l’incontro gli alunni hannopresentato poesie, canzonied elaborati dedicati agliinternati di Ferramonti, luo-go di sofferenza e di isola-mento dai propri affetti edalle proprie abitudini divita.Tutto ciò ha rappresentatoun momento di straordina-ria ricchezza. La manife-stazione è stata organizzatada una commissione desi-gnata dal Collegio dei do-centi, composta dalle inse-gnanti:

Vincenzina Bevacqua Emilia Oriolo

Giuseppina Sirangelo Anna Maria Squillace

Coordinatadal collaboratore

vicario Antonio Bosco

Una mostra “racconta”le emozionitizzati con la realizzazionedi numerosi pannelli.La manifestazione si è con-clusa con un convegno nel-la sala consiliare del Comu-ne, nella quale per l’ occa-sione, è stata allestita unamostra di lavori realizzatidagli alunni, con grande im-pegno e fervore. Al conve-gno, dopo il saluto del pre-sidente del Consiglio di cir-colo, Damiano Libonati el’introduzione del sindaco,

Marcello Corsina, hanno pre-sentato relazioni il dirigen-te scolastico GiuseppeMontone e l’ ispettore tec-nico del MIUR FrancescoFusca.Hanno portato una testimo-nianza diretta sul tema del-la “Memoria” l’editoreWalter Brenner e IsaccoNuna, figli di ex deportari.Hanno concluso i lavoriDonatella Laudadio, asses-sore provinciale della pub-

50

In visita al campo di internamento a Ferramonti, i ragazzi delle scuole sono

Oggi è stato un giorno in-dimenticabile.Come ogni giorno sono an-data a scuola. Da lì alle no-ve siamo andati a visitare“Ferramonti di Tarsia”, ilcampo di concentramentodella Calabria, noto ancheper la solidarietà tra gli in-ternati e gli abitanti del luo-go. Ci siamo messi in viag-gio con quattro pulmini esiamo partiti.Durante il percorso io eRosita ammiravamo il me-raviglioso paesaggio che ciaccompagnava, mentre pen-savamo che tra pochi mi-nuti saremmo giunte al cam-po di concentramento.Che impazienza! Che ten-sione! Tutti non vedevamol’ora di arrivare, e final-mente questo momentogiunge. Era incredibile, ve-dere quello scenario di ba-racche rotte che mi porta-va alla mente il ricordo digente costretta a morire.Tutto mi sembrava un so-gno! Scendiamo dai pul-mini ed entriamo nel cam-po, dove ad attenderci c’e-rano il vice sindaco diTarsia, che ci ha parlatodella storia del campo, e ilsindaco che ci ha raccon-tato la vita che gli ebrei do-vevano affrontare ognigiorno con la paura di es-sere uccisi. Il vice sinda-co ci ha ricordato che ilcampo sorse nel 1940 nelcomune di Tarsia, che lebaracche erano 92 e che gliinternati oltre 2000. Inoltre,facendoci visitare varieparti del campo, ci ha nar-rato che per lavarsi gli ebreivenivano portati al fiume

Crati dal loro comandante.Un uomo con un gran cuo-re, che “considerava” il suoprossimo e che non facevamancare niente ai suoi in-ternati, che aumentavanoogni giorno di più.Visitando il campo, osser-vando che ormai delle nu-merose baracche ne era ri-masta alcuna, pensavo aquanta storia, a quanto do-lore e a quanta sofferenza

si nascondeva dentro di lo-ro. Ero tanto felice e tantoemozionata di visitareFerramonti, che rimasi zit-ta ad osservare ed ascolta-re quasi tutto il tempo. Dico quasi, perché ad uncerto punto della giornatala mia maestra di italianoPina Melicchio, mi di-ce:”Angela, l’hai portata lapoesia?” “si” le risposi, “eallora tra pochi minuti an-

drai a recitarla”. Ed è pro-prio in questo momento cheho sentito la mia tranquil-lità andarsene e lasciare po-sto ad una tremenda agita-zione.Mi sentivo tanto nervosache ad un certo punto non hopiù capito nulla. Ho sentitosoltanto il mio nome e misono ritrovata a recitare lamia poesia. Immaginatequesto momento! Il mio cuore si “sentiva” piùdella mia voce. Mi miserovicino al monumento dedi-cato agli eroi, cioè gli ebrei,accanto al sindaco; mi fecicoraggio e cominciai la miapoesia.Ah! che sollievo, finalmentel’ansia era finita insieme al-la poesia; e con grande or-goglio ho sentito un enor-me applauso, sentendomiuna star! che bello! ce l’a-vevo fatta! A seguirmi c’er-ano Di Sanzo e Di Novi, duemiei compagni di classe chehanno recitato con me le lo-ro poesie, anch’esse moltobelle.Ed ecco che giunge il mo-mento del rientro, con unpo’di malinconia risaliamosui pulmini. Io e Rosita, come all’anda-ta, ci siamo messe vicino alfinestrino riprendendo aguardare il paesaggio cheprima ci aveva visto arriva-re al campo; però al con-trario dell’ andata, guarda-vamo tutto con aria più tri-ste, perché stavamo per la-sciare un posto da non di-menticare.

Angela Toma(Scuola elementare VD)

“Quante sofferenze in quelle baracche”

Campo Ferramonti: i ragazzi alla deposizione di una corona alla lapide che ricorda gli internati

51

stati accolti dal sindaco e dal vice sindaco di Tarsia

I NOSTRI

RAGAZZI

“Vogliamo ricordare per dire mai più”

“ Ghetto novo “, questa è lascritta che appare quandosi entra nel Ghetto degliebrei, dove ancora oggi vi-ve la piccola comunità ebrai-ca di Venezia. Di tutte le co-se che ci sono nel quartiereebraico ce n’è uno in parti-colare, che rimane impres-sa nel ricordo: una sempli-ce lapide di commemora-zione dell’ Olocausto chechiude con queste parole:“… nell’ora dell’ inumanaviolenza “.Una frase tremendamentevera che ci fa capire la cru-deltà di cui l’uomo può es-sere capace. Non pensiamosolo alla follia nazista, ma atutte le volte in cui, anchein tempi recenti, l’odio e lastoltezza della violenza han-no avuto ragione dei vinti edei vincitori. Noi, comescuola, vogliamo ricordaretutti coloro che sono statistraziati nel fisico e nell’animo fino ad essere nonpersone.Vogliamo ricordare per di-re mai più. In Europa ci fu-rono molti campi di con-centramento nazisti, tra i piùimportanti, ai tempi della

seconda guerra mondiale,ricordiamo:Austria (Hartheim-Mauthausen);Polonia(Auschwitz-Treblinka-Majdanek-Sobibor);Germania(Flossenburg-Buchenwald-Dachau-RavensbruckSachsenhausen);Francia(Natzweilzer-Struthof).In Italia ricordiamo i cam-pi di Fossoli e Bolzano. La Risiera di San Sabba aTrieste, fu uno dei lager piùspietati. Nel sud d’Italia trai più importanti campi di in-ternamento, ricordiamo“Ferramonti di Tarsia” inprovincia di Cosenza, cheè stato il più grande ma an-che il più umano. Ferramonti è molto vicinoall’ubicazione della nostrascuola e anche per questomotivo il dirigente, gli alun-ni e i docenti hanno volutovisitarlo un occasione del-la giornata della Memoria,con la deposizione di unacorona di alloro al monu-mento dedicato agli inter-nati.

La lapide eretta il 25 aprile 1990 a monumento nel campoFerramonti. Ancora oggi ilricordo degli internati è vivo tra le persone che li hanno conosciuti

52

Quanti pianti,quanta tristezzaquante urla, c’erano in quel luogo;lì nessun uccello si avvicinava con il suo meraviglioso canto,dove neppure l’erba cresceva.Tutto cessava di vivere,la vita si spegneva in quei luoghibui e paurosi.Ognuno cercava di evitare;ma era tutto inutile.In quei campi di concentramento La libertà negata Uccideva ogni creaturaChe contro di questi non poteva nulla.

Teresa di Novi / classe V C

Neppure l’erba cresceva

Il ricordo e il dolore

I campi di concentramento, la guerra, lo sterminio, lepersecuzioni nazifasciste (in particolare contro gli ebrei),sono stati “il filo” che lega le poesie scritte da alunni del-la scuola elementare di Spezzano Albanese.I N

OSTRI

RAGAZZI

Uno tra i dolori che pesano sulla memoriaÈ legato al tragico destino degli ebrei nella storia.Di quel periodo, per me abbastanza lontano,ancora oggi non si parla mai invano.Non vi era gioia, amore e altruismoMa solo un tenace e perfido razzismo.La guerra, la fame e la sofferenza,portata sino ai giorni miei,ricordano il pianto straziante dei poveri ebrei.Il sogno per essi di una vita colorata,persa nella realtà di una esistenza spezzata.L’indescrivibile sofferenza che avvolse Ferramonti,distrusse ad ogni bimbo rosei orizzontidi un futuro nuovo, senza volti ostili,senza immagini aberranti e spari di fucili.Il marciare prepotente di stivali minacciosi,pronti a spezzare pochi momenti di speranza gioiosi.… bambini!!! Venite a giocare!!!Ma era solo un pretesto … “TI DEVO AMMAZZARE”.Ma il cuore innocente di ogni bambino,pulsava nuove speranze dal più grande al più piccino.“non riesco immaginare un mondo,con miseria e morte,anche se a volte ogni speranza sembra averchiuso le porte”.“Nonostante tutto, in fondo al cuore,voglio ancora credere che l’uomo abbia amore”!

Angela Toma / classe V D

53

Guerra, guerra, guerraNon è:nient’altro che odio,nient’altro che distruzione,nient’altro che morte tra i popoli.Nei campi di concentramentoGli uomini spogliati della loro DIGNITA’,trattati come schiavi,trattati come bestie fino alla morte.Nessuna pietà,nessuna umanità per quei bimbi innocenti impauriti e sfiniti.Guerra, la più grande macchia di morte,che noi ragazzi del 2000 la cancelleremo con pace, pace, pace.

Pettinato Simona / classe IV A

Spogliati della dignità

La vita

Eccoli, tutti in fila con le loro giacche a righee le stelle sul petto,marchiati, come bestie.I loro occhi spiritati,pieni di tante storieche ormai non servono più a nulla.Donne, uomini, bambiniChe non hanno più futuroE che finiscono In una nuvola di fumo.

Rossella Ferrari / classe IV C

Con gli occhi pieni di storie

La vita così preziosa,così bella,così fragile,nessuno ha il diritto,in qualunque momento,per inutili motivi,di spezzarla o di rubarla.Nessuno è padrone Della vita Degli altri.In un attimo di Crudele stupiditàFinirla, distruggerla.Allora cos’è la vita?È solo un soffio,è come la fiamma di una candela spenta dal vento dell’odioe dalla cieca follia.

R. Gerardi / classe IV C

54

Il più grande campo di concentramento del fascismo

Il 20 giugno 1940 il campodi Ferramonti di Tarsia entraufficialmente in funzione mala sua struttura sarà com-pletata solo col tempo. Il ser-vizio di vigilanza era affi-dato per la guardia esternaa militi fascisti mentre perla guardia interna c’eranoagenti di pubblica sicurez-za comandati dal marescialloGaetano Marrari. Nel luglio 1940 il campocontava circa un centinaiodi internati, per il momentosolo uomini, tutti ebrei stra-nieri arrestati nelle maggio-ri città del nord Italia. Nelmese di settembre giungo-no a Ferramonti duecentoebrei provenienti da Bengasi.È il primo gruppo compostoanche da bambini e da don-ne. Essi vengono dalla Libiae da altri Paesi dell’Europacentro-orientale: volevanoproseguire clandestinamen-te per la terra promessa.Ferramonti con il loro arri-vo tocca le 700 presenze. Nell’inverno del 1940-1941le baracche ultimate sono 92ed il campo viene delimita-to dal filo spinato. Il 22 mag-gio 1941 monsignor Fran-cesco Borgoncini Duca, nun-zio apostolico presso il go-verno italiano, visita per con-to del Papa il campo. Il risultato è che a Ferramonti

di Tarsia viene ospitato uncappellano, padre CallistoLopinot, un cappuccino diorigine alsaziana. Nell’autunno-inverno 1941Ferramonti ospita i primi in-ternati non ebrei, cittadinicontrari al regime diMussolini ritenuti dunquepericolosi: sono sloveni ecroati catturati in Jugoslavia.A questi si aggiungono ungruppo di internati cinesicatturati in Italia o trasferi-ti da altri luoghi di interna-mento.Gli ospiti sono circa 800.Nell’autunno-inverno 1942da Rodi, isola che appartie-ne all’Italia fascista giun-gono a Ferramonti i cosid-detti “profughi di Pentcho”.Si tratta di 500 ebrei per lopiù slovacchi i quali nellaprimavera del 1940 a bordodi una “carcassa del mare”,appunto il piroscafo “Pen-tcho”, avevano tentato di rag-giungere la Palestina per-correndo il Danubio fino alMar Nero. Naufragati nelle acquedell’Egeo e tratti in salvo dauna nave italiana, furono in-ternati a Rodi per più di unanno e poi trasferiti aFerramonti. Il 24 marzo 1942il rabbino capo di GenovaRiccardo Pacifici visita ilcampo, confortando i reclu-

Il 4 giugno 1940 il comune di Tarsia delibera la conces-sione di un lotto di terreno demaniale destinato alla co-struzione di un campo di concentramento per “inter-nati civili di guerra”.

In breve tempo diventerà il più grande campo sorto inItalia a questo scopo. Esso ospiterà gli ebrei e gli apoli-di presenti in Italia nel periodo della seconda guerramondiale.

La Sinagoga (sopra) e alcune baracche del campoFerramonti.

Una scheda su Ferramonti di Tarsia, in Calabria

55

Sicilia: la memoria in decine di scuole

CataniaDue incontri alla scuola me-dia “Giacomo Leopardi”(dibattito con studenti e do-centi e la partecipazione delpreside) e al Liceo classicoMario Cutelli, dove l’aulamagna ha ospitato un con-vegno di studenti a conclu-sione di un seminario di ri-cerca in occasione del 25Aprile e della riccorenzadella seconda guerra mon-diale.Hanno partecipato anche fa-migliari dei ragazzi, insiemeal preside e agli insegnanti.Nunzio Di Francesco haconcluso ricordando il prof.Carmelo Salanitro, docen-te dello stesso Istituto, mor-to a Mauthausen il 24 apri-le 1945. Una corona d’alloro è statadeposta accanto alla lapideche ricorda il 57° anniver-sario della sua scomparsa.

Randazzo“Saltano” gli orari - allascuola media “De Amicis”,per l’incontro del rappre-sentante dell’Aned con stu-denti, docenti e il presidesulla Resistenza e la depor-tazione.Sono stati necessari due tur-ni per far fronte alla vastapartecipazione al dibattito.Sempre a Randazzo, per ini-ziativa del prof. NunzioRaineri, docente delle scuo-le superiori, incontro congli studenti degli istitutiCommerciale, Agrario ecc.nell’aula magna.

I giovani avevano già com-piuto numerose ricerche uti-lizzando l’archivio storico diBolzano, in particolare suMauthausen, dove molti diloro si erano recati in visi-ta di studio. All’introduzione di NunzioDi Francesco, sono seguitimolti interventi, suscitan-do un interesse che ha fatto“saltare” anche gli orari difine lezione.

AcirealeDiverse classi di studenti(con la partecipazione deidocenti) dell’istituto tecni-co industriale “G. Ferrari”hanno accolto Di Francescoe il prof. Rosario Man-giameli, storico, che ha con-cluso il dibattito ricco di in-terventi.

GiarreIl sindaco prof. GiuseppeToscano e il presidente del-la società “Storia patria ecultura” Girolamo Barletta,hanno organizzato un in-contro, con relatore DiFrancesco. È seguito un in-tenso dibattito. Nell’occasione è stata alle-stita una mostra fotografi-ca su Mauthausen, a curadegli studenti del liceo clas-sico “Michele Amari”. Molti i giovani presenti coni loro famigliari, insieme aidocenti e a numerosi citta-dini.Presenti anche alcuni par-lamentari e giornalisti in unasala affollata.

Numerose le iniziative anche in Sicilia per dare un “fu-turo alla Memoria”. Ad esse ha partecipato, in rap-presentanza dell’Aned, Nunzio Di Francesco, già de-portato a Mauthausen.

si. Morirà ad Auschwitz il12 dicembre 1943.Nell’autunno del 1942 giun-gono al campo 300 cittadinigreci deportati dal loro Paesee dalla Libia. Nello stesso periodo arriva-no a Ferramonti tre giovaniebrei polacchi catturati alBrennero, i primi a raccon-tare delle deportazioni na-ziste e dell’esistenza delcampo di sterminio diTreblinka e della loro fugada un campo di lavoro. Nel gennaio 1943 il diretto-re del campo Paolo Salvatoresarà rimosso dall’incaricoperché accusato di atteggia-menti benevoli verso gli in-ternati. Nel marzo del 1943giunge come direttore ilcommissario di poliziaMario Fraticelli che rispet-terà tutte le “anomalie” viavia costituitesi nel campocompreso il “tribunale spe-ciale” o “l’assemblea dei ca-po baracca” o “la scuola”nello spirito di autonomia edi gestione dell’organizza-zione che gli internati si era-no dati. Nello stesso periodo giun-gono da Viterbo,Asti,Aosta,un centinaio di internati fran-cesi provenienti dalla Corsicacon altri 200 jugoslavi e 50antifascisti italiani. I 27 agosto 1943 alcuni ae-rei alleati che probabilmen-te scambiarono il campo peruna base militare mitraglia-no una baracca uccidendoquattro internati e ferendo-

ne undici. Ferramonti il 29agosto 1943 raggiunge la ca-pienza record di 2019 inter-nati.Il Ministero dell’Interno ave-va disposto lo sgombero ela chiusura del campo, tut-tavia, a causa dell’interru-zione delle linee telefonichecalabresi, l’ordine non giun-ge a destinazione. Il 7 set-tembre 1943 il direttoreFraticelli va a Roma persbloccare la situazione manel frattempo molti interna-ti, nel timore dell’arrivo deitedeschi, scappano sulle col-line circostanti. Sette gior-ni dopo il campo viene li-berato dalla 8a ArmataBritannica. Ferramonti fu ilprimo campo europeo libe-rato dagli alleati e diventaun campo profughi sotto ilcontrollo militare alleato.Molti dei fuggiaschi torna-no dalle montagne. Fra ilsettembre 1943 e il gennaio1944 numerose sono le par-tenze e i trasferimenti di ex-internati verso Cosenza, Barie altre città del sud. Altri vanno in Egitto,Palestina, gli Stati Uniti.Nell’aprile 1944 a Fer-ramonti ci sono 930 persone,in agosto 300. Nel dicembre1945 il campo viene chiusoper sempre.

(ndr: la scheda è stata com-pilata sulla traccia di unaricerca compiuta dalla ProLoco e dall’AmministrazioneComunale di Tarsia)

I NOSTRI

RAGAZZI

56

Viaggio – studio degli studenti di Orbassano nel lager

Il significato di una visitanel lager tedesco con gli stu-denti mi pare che sia prin-cipalmente in queste paro-le: un pellegrinaggio in luo-ghi sacri della sofferenzaumana come percorso di co-noscenza per preservare lamemoria e la vigilanza de-mocratica dei giovani.Ma l’esperienza è resa uni-ca dall’emozione suscita dalracconto dei reduci: sonostati gli ex deportati BeppeBerruto e Giorgio Ferreroad accompagnare gli stu-denti, noi insegnanti e il pre-side del liceo “Amaldi” diOrbassano (Torino) nel viag-gio a dachau, Monaco eUlm.Ciò che colpisce sempre iragazzi che ascoltano le te-stimonianze della deporta-zione è l’amore per la vitache traspare dai racconti diviolenza e di morte degli ex– prigionieri. Il viaggio a Dachau o a

Mauthausen, Ebensee e al-tri campi di sterminio nonè un viaggio triste.L’angoscia, lo stupore, leforti emozioni di fronte alpiazzale dell’ appello, allebaracche, ai forni cremato-ri, sono compensati dallaforte vitalità umana degliaccompagnatori.Viviamo insieme per cin-que giorni, viaggiamo inpullman tutte le ore di unlungo percorso, ci sediamoa pranzo o davanti a una bir-ra insieme, condividiamoogni fatica.Fin dal primo incontro i ra-gazzi parlano con questi an-ziani signori, che potreb-bero ispirare un reverenzialeimbarazzo, con la stessa fa-miliarità che usano con icoetanei. Si danno del “tu”,conversano, ascoltano mu-sica, si commuovono, bal-lano insieme.“Beppe Berruto è straordi-nario, vorrei adottarlo co-

“Il revisionismo storico ha la possibilità di espandersiquando la gioventù democratica non ha abbastan-za conoscenze. Esso gioca sull’ignoranza”.(Emma Alborghetti, guida a Dachau)

Angoscia,emozione,impegno:lezione di storiaa Dachau

I NOSTRI

RAGAZZI

57

me nonno”, mi ha detto unostudente del gruppo.Così, nel modo più naturale,alla narrazione della morte siassocia una concreta certez-za di vita, e noi tutti consta-tiamo con meraviglia che sipuò dare un senso anche all’esperienza più estrema: sce-gliendo di ispirare la propriaesistenza, anche da anziano,ad un’energia vitale che vin-ce ogni disperazione.A Ulm abbiamo visitato lafortezza di Kuhber, uno deiprimi campi di concentra-mento nazisti, e la morte del-la resistenza al nazismo delmovimento della “Rosa bian-ca “, i cui due ispiratori, ifratelli Scholls, furono uc-cisi a poco più di vent’anni.Un piccolo e oscuro monu-mento ricorda questi giova-ni su una strada della città euna targhetta riporta le loroparole di sfida ai nazistitrionfanti:“Wir schweigen nicht.Wir

sind Euer schlechtesGewissen. Die weiesse Roselassat Euch keine Ruhe”(Noi non stiamo zitti. Noisiamo la vostra cattiva co-scienza. La “Rosa bianca”non vi lascerà in pace).Eppure Sophie Scholls, de-capitata a 21 anni per la suaresistenza civile al nazismo,nella bufera della persecu-zione scriveva ad un’amica:“Cara Lisa, nonostante tut-to questo, considero la vitacosì ricca e buona. Forsedobbiamo scoprire che ab-biamo un cuore e farlo par-lare”.Per far parlare tra loro i gio-vani in un comune spirito dipace, abbiamo organizzatol’incontro dei nostri studenticon i giovani allievi delGymnasium di Blaubeuren,vicino ad Ulm.

Alessandra Terrile insegnante

ed accompagnatrice del viaggio a Dachau

“LA MIA AMMIRAZIONE

PER GLI EX DEPORTATI”

“Tutto mi sarei aspettata da un ex – deportato, fuor-ché l’allegria e la gioia di vivere, che in alcuni mo-menti sono davvero tangibili, e l’entusiasmo e lapassione che Beppe mette in tutto ciò che fa… un en-tusiasmo genuino e trascinante che supera di granlungo il mio… un entusiasmo che è la conseguenzadi un dolore immenso che posso solo provare adimmaginare e che mi lascia sgomenta. Anziché rifugiarsi nella sofferenza, il signor Berrutoe il signor Ferrero lo gridano il loro dolore, ma lo fan-no senza rabbia ne odio, solo con la consapevole ac-cettazione di chi non ha potuto scegliere, ma si ètrovato a vivere una vita che certo tanto giusta nonlo è stata!.A loro va tutta la mia ammirazione. Grazie per lavostra testimonianza! (da una riflessione di una studentessa di quinta del Liceoscientifico “Amaldi”, al ritorno dal viaggio a Dachau)

Due momenti del viaggio dei giovani di Orbassano. Sotto, durante la visita al campo di Dachau e, a sinistra,mentre ascoltano, a Ulm, una testimonianza sul movimentoantinazista “Rosa Bianca”.

58

Wilhelm Furtwängler innocente o colpevole?

di Ibio Paolucci

“Ascoltate Beethoven eWagner e sterminate gliebrei. Ma che razza di uo-mini siete? E anche lei, ca-ro maestro, sommo inter-prete di Beethoven, non siè mai guardato allo spec-chio, non le è mai venuto ilsospetto di essere una caro-gna?”.Ci va duro l’ufficiale inqui-rente americano, non ba-dando a scegliere le parole.Furtwangler si difende di-cendo di essersi adoperatoper salvare qualche ebreo edi non avere mai avuto latessera del partito nazista.Vero. Ma ai nazisti interes-sava che lui restasse inGermania per potersene glo-

riare, che continuasse a ri-manere alla testa dellaFilarmonica di Berlino, cheseguitasse a dirigere con-certi e a farsi applaudire daGoebels e da Hitler. “Lei ha anche diretto un con-certo per il compleanno delFuhrer”, accusa l’ufficialeamericano.“Non è vero, io l’ho direttola sera prima” è la debole di-fesa del maestro. Il film, naturalmente, è ric-co delle musiche dei grandicompositori: Beethoven,Schubert, Bruckner.Nell’annunciare con cupasolennità il suicidio di AdolfHitler nel bunker di Berlino,la radio tedesca trasmise il

Requiem di Bruckner pro-prio nell’edizione diretta daFurtwängler, e anche di que-sto il maggiore americanorimprovera il direttore d’or-chestra.“Perché è rimasto inGermania coi nazisti?Poteva andarsene, molti suoicolleghi l’hanno fatto. BrunoWalter l’ha fatto. CertoWalter era anche ebreo e sefosse rimasto, per lui non cisarebbe stato scampo. Lo sa che altri musicisti so-no finiti nei campi di ster-minio?”. Vero, proprio inquesto stesso numero del“Triangolo rosso”, GabrieleManca ci ricorda come ven-nero trattati sotto il nazismo

alcuni musicisti, conside-rati autori di “musica dege-nerata”.Li conosceva Furtwängler?Ha avuto notizie del lorobarbaro trattamento? Sapevache milioni di ebrei veniva-no gasati mentre pensava-no di fare la doccia? Fur-twängler dice che ignoravala tragedia della Shoah. Macome credergli? È anche possibile che nonsapesse dei crematori e del-le camere a gas. Ma della caccia agli ebreisapeva, eccome, come, delresto, sapevano tutti i tede-schi.Mica la nascondevano que-sta caccia spietata i nazisti.

Arte edittatura

Un film ripropone il problema complesso del rapporto tra artisti e potere:

“A torto o a ragione” Ë un magnifico film di IstvanSzabo, che ripropone il problema spinoso e sicuramen-te complesso del rapporto fra arte e politica o, per me-glio dire, fra arte e dittatura. Nella fattispecie la questione trattata è quella del mae-stro Wilhelm Furtwängler, ritenuto uno dei maggiori di-rettori d’orchestra del tempo, se non addirittura il piùgrande. Rimasto in Germania alla direzione dellaFilarmonica di Berlino, Furtwängler fu lodato e cocco-lato dai notabili nazisti, in particolare da Goebels.Principali interpreti del film Harvey Keitel (il maggio-re americano incaricato dell’inchiesta) e Stellan Ska-rsgard (Furtwängler), bravissimi entrambi.

Un concerto di Furtwängler a Roma nel 1947. Nell’altra foto un momento di riflessione del maestro.

59

Tutto il contrario. Ne face-vano, anzi, l’asse della lo-ro politica. Sapeva, dunque. E tuttaviacontinuava a dirigere Mozarte Beethoven, Wagner eBrahms. Non Mendelsohn,però, perché Mendelsohn,grandissimo musicista, eraebreo e la sua musica eraproibita nel Terzo Reich.Furtwängler, come si sa,venne sostanzialmente as-solto e poté continuare a di-rigere vari com-plessi orche-strali importan-ti d’Europa ed’America finoal 1954, annodella sua morte.Il maggioreamericano, rap-presentante del-la giustizia mi-litare degli StatiUniti, l’obbligò,però, a guardar-si dentro, a immergere lesue mani delicate con la suamagica bacchetta nell’or-rendo marciume (il mag-giore più crudamente dicemerda) della barbarie nazi-sta.Certo, Furtwängler non

strozzò, non torturò, ne stu-prò nessuno, come, peresempio, tanto per fare unnome che è tornato al diso-

nore della cronaca, fece ilcriminale Michael Seifert,detto Misha, 78 anni, arre-stato il 30 aprile scorso dal-la polizia canadese, ma ri-lasciato pochi giorni dopoperché ormai quei fatti peri quali un tribunale italianol’ha condannato all’erga-stolo sarebbero lontanissiminel tempo e l’imputato, inol-tre, avrebbe ormai un’etàavanzata, tale da meritarepietà. No, noi non ci stia-

mo. Ci manche-rebbe che il tem-po, cinquanta ocent’anni o ancheduecento, avesseil potere di can-cellare l’infamiadell’Olocausto.Questo per Sei-fert e per tutti glialtri boia ancoraviventi, sfuggitialla giustizia. PerFurtwängler il di-

scorso è sicuramente piùcomplesso, ma noi, franca-mente, dovendo sceglierefra le solide accuse dell’uf-ficiale inquirente e le fragi-li difese del maestro impu-tato, ci metteremmo accan-to al maggiore americano.

Ci piacerebbe sapere, però,che cosa ne pensano i no-stri lettori.

il caso di uno dei più grandi direttori d’orchestra nella Germania nazista

Il film: A torto o a ragione L’autore di Mephisto torna, con il film A torto o a ra-gione, sul luogo del delitto: i rapporti tra intellettuali epotere, argomento sempre d’attualità. Vi si ricostrui-sce la vicenda inquisitoria di Wilhelm Furtwängler, ilcelebre direttore d’orchestra che fu messo sotto in-chiesta, e assolto, dalla commissione Alleata per la de-nazificazione della cultura tedesca. [...]La trama propone un aneddoto: Furtwängler dirige peril compleanno di Hitler. Dimostrazione della sua ade-sione ideologica secondo l’accusa, atto di coraggio perla ‘difesa’, poiché il maestro non fece il saluto nazistacon un pretesto: impugnava ancora la bacchetta. Mauno spezzone d’archivio inserito nel finale mostraFurtwängler stringere solo un fazzoletto. Lasciamo al-lo spettatore l’interpretazione di questo ‘segno’. Il do-cumento, però, è un interessante tributo alla potenzadelle immagini, testimoni inoppugnabili e ambigue altempo stesso di un evento.

(Da Drammaturgia.it)

La scheda del film

A torto o a ragione

RegiaIstván Szabó

Titolo originaleTaking Sides

Dall’omonimotesto teatrale di Ronald Harwood

SceneggiaturaRonald Harwood

FotografiaLajos KoltaiMontaggioSylvie Landra

InterpretiHarvey Keitel, StellanSkarsgård, MoritzBleibtreu,Oleg Tabakov,Ulrich Tukur, BirgitMinichmayr, HannsZischler, August Zirner,Robin Renucci, FrankLeboeuf

Sapeva che milioni

di ebrei venivanogasati mentre

pensavano di fare

la doccia?

Harvey Keitel (il maggiore americano incaricato dell’inchiesta)e Stellan Skarsgard (Furtwängler), bravissimi interpreti.

60

Arte edittatura

Il tradimento dei suoni nei lager nazisti

Che la musica sia ordine su-premo del caos sono in mol-ti ad averlo detto, del restol’armonia, come ci ricordail musicologo Van Vlasselaer,non è forse violenza addo-mesticata? Non è forse unasimultaneità di ordine e con-flitto? Non è il dominio delsoggetto sull’ordine delmondo?Nell’inferno concentrazio-nario la musica ha espressola dualità che le è implicita,tragicamente.Nella affermazione del con-cetto di musica elevata e spi-rituale, contrapposta alla mu-sica degenerata (EntarteteMusik), voce disarticolatadi una umanità depravata esubumana, i nazisti sottoli-neano proprio questo carat-tere “tirannico”di afferma-zione dell’ordine superioresull’informe e belluinodell’”altra musica”. Ma il nazismo fa di più: lamusica non è più solo stru-mento di propaganda nel-l’ascesa della razza supe-

riore; la musica diventa ar-nese di annientamento, at-trezzo insanguinato di ster-minio. Musica e crimine, co-me ricorda Paul Celan nellasua Fuga della morte, sonoindissolubilmente abbrac-ciati.L’”armonia”, il “bello”, il“sublime” esistono neiCampi in quanto marcatoridi differenza, di discrimi-nazione, contro quella uma-nità azzerata descritta daPrimo Levi. La musica scandisce il rit-mo della vita dei Lager, ac-compagna gli internati allecamere a gas, giustifica leatrocità proprio rappresen-tando la superiorità dello spi-rito sull’animale, del subli-me sull’abbietto, del nobilesul degradato.Per contro, gli stessi nazisti,usano canzoni popolari, me-lodie ebraiche o canzoni dacabaret come ironica musi-ca di accompagnamento al-la ferocia e alla violenza quo-tidiane.

Fania Fenelon racconta del-la sua esperienza di compo-nente dell’orchestra fem-minile di Auschwitz, com-pagine ideata proprio per ac-compagnare,”rasserenan-

doli”, i condannati alle ca-mere a gas, con una funzio-ne in parte rituale in parte“anti panico”. La grande importanza datadai nazisti a questo genere

di Gabriele Manca

La musica sfruttataper legittimare l’orrore

Nel Trionfo della morte di Pieter Brueghel il Vecchio,uno scheletro timpanista scandisce e ritma, con entu-siastica partecipazione, l’avanzata dell’orrida, miseraschiera di esseri nudi e inermi, sicure vittime di un ine-vitabile sterminio. La musica è qui strumento di dolore, espressione di unferreo rituale, elemento di terrore e insieme di marzia-le disciplina, di inesorabile ordine.

Usata anche comestrumento “anti-panico”

61

di formazioni è dimostrataproprio dal ruolo privilegiatoriconosciuto ai membri chene facevano parte. Essi go-devano infatti di diritti im-pensabili in quei luoghi, co-me biancheria e abiti puliti,doccia giornaliera e cibo ac-cettabile, per suonare “...mu-sica allegra e leggera per ore,

senza interruzione, mentrei nostri occhi seguivano lamarcia di migliaia di perso-ne verso le camere a gas e iforni crematori.”Una fotografia scattata aMauthausen fissa un grotte-sco e tragico corteo di mu-sicanti, in tenuta a righe ver-ticali e zoccoli di legno, che

precede un carretto trainatoda due internati sul qualeviene trasportato un evasodal campo, condannato allaforca. L’orchestrina del cam-po suonava continuamentela canzone J’attendrai tonretour.La messa in scena grottescaaveva in questo caso l’unica

funzione di deridere e an-nientare la dignità del con-dannato e dei partecipantialla assurda processione.Molto veniva chiesto a que-sti musicisti. Dovevano suo-nare per ore durante gli ap-pelli, indipendentemente dal-le condizioni atmosferiche.E dopo l’appello gli altri in-ternati dovevano raggiun-gere i lavori loro assegnati,camminando a tempo di mar-cia; alla sera, poi, tornava-no alle baracche, esausti, ac-colti ancora dall’orchestri-na, che, ancora, scandiva ilritmo dei loro passi. La musica era d’obbligo pertutti gli eventi ufficiali, co-me gli annunci del Lager-führer, o per l’accoglienzagiornaliera ai carichi uma-ni di nuova carne da macel-lo. Si doveva dare ai nuovi ar-rivati l’impressione di esse-re in un luogo non troppo or-ribile, nella loro “nuova ca-sa”. E l’orchestra suonavaquando le nuove vittime ve-nivano scelte per essere spe-dite direttamente nelle ca-mere a gas. Si doveva suo-nare per le temuteSelectionen di sani e mala-ti, questi ultimi separati dachi poteva lavorare ancorail giorno successivo. Inoltre,i musicisti dovevano far mu-sica per lo svago e il diver-timento dei loro stessi car-nefici. Il numero di suicidi tra i mu-sicisti delle orchestre eramolto elevato.

■ Scandiva il ritmo della vi-ta nei campi, dagli appelli

al ritorno nelle baracche, dall’ar-rivo dei prigionieri fino all’ultimo“viaggio”: la camera a gas.La testimonianza di Fania, musi-cista dell’orchestra femminile adAuschwitz.

■ La tragica fine di una gio-vane ebrea: cantava per le

SS ma la sua voce confortava i de-tenuti. Quando i nazisti se ne ac-corsero la gettarono ai cani.Terezin, tappa verso l’annienta-mento ma anche straordinario pun-to di incontro per artisti di diversaestrazione, che i tedeschi sfrutta-rono cinicamente.

■ Le vicende drammatiche dimusicisti, registi, scrittori,

poeti utilizzati e mandati poi allosterminio.Ma l’arte (e in particolare la musi-ca) divenne anche una fonte for-midabile di resistenza.

62

La musica diventa così ac-compagnamento e forse le-gittimazione rituale di atro-cità incomprensibili anchealle menti più perverse, com-ponente di una scenografia,di una folle messa in scena.La ritualità era un aspettoessenziale nella gestione deiLager e la musica è di sicu-ro una componente essen-ziale ad ogni forma di ritua-lizzazione. La ritualizza-zione ha reso possibili leatrocità nei Campi di con-centramento.Ma la musica assume anche,nei campi nazisti, un ruolo di“ormeggio della memoria”,un luogo di ricostituzionedella dignità perduta, unmezzo per ritrovare una so-cialità calpestata dall’ango-

scia della sopravvivenza. Lamusica ristabilisce la coo-perazione, il rapporto tra idiversi ruoli; ricrea il tessu-to intellettuale in personeche hanno come unico sco-po la pura esistenza in vita.La musica è il contatto conla normalità, con la vita ci-vile e religiosa, con le pas-sioni, le competenze, le spe-cializzazioni, lo studio, leidee.La musica può esistere anchein assenza di mezzi e di stru-menti. Le melodie ebraiche,le canzoni popolari, i moti-vi più o meno celebri del re-pertorio classico, aleggia-vano di continuo prima neighetti, poi nei campi di con-centramento e infine neicampi di sterminio. La mu-

sica è tempo vissuto e ri-creato nel momento dell’a-scolto. La musica rinasce, osopravvive, quasi per auto-combustione e diventa pre-sto “l’arte della resistenzaspirituale”.Una giovane ebrea greca,che lavorava nella area agri-cola di Auschwitz, aveva unsplendida voce e ogni gior-no cantava per i soldati SS.Quando cantava i prigionierisospendevano il lavoro e perqualche istante entravano inun mondo di serena bellez-za.Quando realizzarono che ilsuo canto sollevava lo spiri-to degli internati, i nazistigettarono la ragazza ai ca-ni.Terezin, Theresienstadt in

tedesco, località a nord diPraga, fu mostrato nel 1944a una delegazione dellaCroce Rossa Internazionalecome Campo modello. I pri-gionieri apparivano in buo-ne condizioni fisiche e bennutriti, la vita quotidiana benorganizzata, continuamen-te impegnati in varie occu-pazioni, intenti a vendere ecomprare con una specialemoneta ad uso interno delcampo.La vita culturale risultavaparticolarmente ricca confrequenti concerti di musi-ca classica, spettacoli di ca-baret, esecuzioni di musicajazz. Al centro dello spiazzoprincipale di Terezin era sta-to allestito un palco per i con-certi della banda.

Questo simulacro di cittàaveva lo scopo di persuade-re gli osservatori della infon-datezza delle voci sulle atro-cità nei campi nazisti. Hitlervolle cosÏ consegnare almondo una immagine di cittàideale, affidata soprattuttoai prigionieri ebrei, in cui lavita comunitaria, le arti, lacultura e la musica fosserocoltivate senza restrizioni nécondizionamenti. Ma nono-stante non fosse un campodi sterminio come Au-schwitz, Terezin, “il ghetto-paradiso”, non offriva con-dizioni sopportabili.

Sovraffollamento, denutri-zione situazione igienico-sanitaria infima, rendevanola vita nel Campo insoppor-tabile: dei 140 000 interna-ti, 33 000 morirono di sten-ti e malattie e 87 000 furonotrasportati nei campi di ster-minio. A sottolineare la tra-gica ironia di questa orribi-le messa in scena, fu propriola grande libertà culturale edi espressione accordata agliartisti che vi erano interna-ti. Spesso si trattava di mu-sicisti, esecutori, solisti, at-tori di grande notorietà e li-vello che avevano la possi-

bilità di esibirsi anche in quelrepertorio che “fuori” eraconsiderato degenerato e,perciò, proibito. Pur essendo una tappa delviaggio dei deportati versol’annientamento, Terezin di-venta uno straordinario pun-to di incontro di artisti di di-versa estrazione. L’assolutainaccessibilità del Campo,la decisione comunque disterminio presa dai nazisti,l’origine rigorosamente se-lezionata dei reclusi, fecerodi questo luogo un isola nel-la quale soprattutto la mu-sica poteva riprendere il suo

corso interrotto. Grazie al-l’ingegno e alla passione de-gli artisti internati, si potéricominciare a scrivere mu-sica, a eseguirla, magari construmenti costruiti con ma-teriali di recupero, e ad ascol-tarla. Dopo la lunga giorna-ta di lavoro ci si poteva de-dicare alle attività artistichenella totale libertà: venivanoscritti lavori su temi ebrai-ci, composizioni jazz, pie-ces di cabaret, opere di“Entartete Musik”: i nazistiappoggiavano e sfruttavanoquesto rifiorire delle espres-sioni artistiche, con cinica

Le melodie,uno dei “rituali” del lager

La tragica ironia della messa in scena: a Terezin,prima dello sterminio una grande libertà espressiva

63

sapienza, a fini, come si ègià detto, puramente propa-gandistici. Venne girato an-che un documentario sullemagnifiche condizioni di vi-ta di questa “cittadella del-le arti”. Una delle scene piùagghiaccianti di questo filmintitolato “Der Fuhrerschenkt den Juden eineStadt” (Il Furer dona unacittà agli ebrei) è l’esecu-zione dello Studio per or-chestra d’archi di Pavel Haas,seguita da entusiastici ap-plausi del pubblico. La composizione, breve, in-tensamente contrappunti-stica fu composta da questoimportante compositore cé-co, allievo di Janàcek, perl’orchestra d’archi che KarelAncerl, famoso direttored’orchestra miracolosamentesopravvissuto, era riuscito aorganizzare a Terezin. PavelHaas morirà ad Auschwitzsolo due mesi dopo la rea-lizzazione del film.A Theresienstadt era nata lafolle illusione di una vita nor-male. Altri grandi composi-tori ripresero a scrivere ope-re di grande importanza equalità; stupisce davvero lafuriosa vena creativa in unasituazione assurda e violen-ta quale era, nonostante tut-to, quella del “ghetto-para-diso”.Oltre al già citato Haas, mu-sicisti di solida carriera, quan-do non di vero e proprio suc-cesso, lavorarono intensa-mente nei tre anni di vita “ar-tistica” del Campo di Terezin.Victor Ullmann era sicura-mete il più famoso. Già al-lievo di Arnold Schônberg,Ullmann, anche egli céco,scrisse in quegli anni la sua

opera più importante,“L’Imperatore di Atlantide”,che sarà però rappresentatasolo nel 1975 ad Amsterdam. Nell’opera viene inscenato ilcombattimento tra l’Impe-ratore (con ogni probabilitàHitler) e la Morte, protettri-ce della vita. Anche grazieal bel testo espressionista,scritto dal giovane poetaPeter Kien proprio a Terezin,Ullmann riesce a denuncia-re l’assurda realtà delCampo, della Germania edel mondo tutto. VictorUllmann morirà ad Ausch-witz nell’ottobre del 1944;dell’agosto dello stesso an-no è il suo saggio intitolatoGoethe e il Ghetto, scrive tral’altro: “Theresienstadt è sta-ta, e ancora lo é, maestra diForma. Prima, quando non sentiva-mo né l’impatto né il fardellodella vita materiale perchéattutiti dal benessere, que-sta magica conquista dellaCiviltà, ci era facile conce-pire forme artistiche di unagrande bellezza. Ma è qui, a Terezin, dovenella quotiidianità ci toccavincere la materia facendoappello al potere della for-ma, dove tutto ciòche ha rap-porto con le Muse contrastacosì straordinariamente conl’ambiente in cui viviamo,che si trova il vero insegna-mento dei Maestri. E più avanti dice: “...in nes-sun modo ci siamo sedutia piangere sulle rive dei fiu-mi di Babilonia; e che il no-stro sforzo per servire ri-spettosamente le arti è sta-to proporzionale alla no-stra volontà di vivere mal-grado tutto.”

Attenzione a parte richie-dono le esecuzioni della mu-sica di repertorio nel campodi Terezin. Ricorderemo alcune rap-presentazioni di opere nel-la riduzione per pianoforte,con tanto di coro e solisti vo-cali, come La serva padro-na di Pergolesi, Il flauto ma-gico di Mozart, La sposavenduta di Smetana, IlRigoletto e La Tosca. L’opera per l’infanziaBrundibar, scritta nel 1939 daHans Krasa, anche egli in-ternato a Terezin, e mortoad Auschwitz nel 1944, furappresentata per ben 55 vol-te dai bambini del Campo.Una scena di questa operafa parte del già citato docu-mentario “Der Fuhrerschenkt den Juden eineStadt”.

Il direttore d’orchestra RafaelSchöchter riuscì a eseguiretre volte una versione per so-li, coro, harmonium e duepianoforti del Requiem diVerdi. Le repliche dovetteroessere interrotte perché lamaggior parte dei coristi fudeportata nei campi di ster-minio dell’est.I nazisti ebbero certo l’abi-lità di sfruttare la necessitàvitale del fare musica di mu-sicisti professionisti (in unprimo momento la musicaera rigorosamente proibitae il possesso di uno stru-mento era punito con la mor-te anche a Terezin; i primiconcerti nel Campo eranoperciò clandestini.); tutta-via, probabilmente, non siresero conto di aver inne-scato una macchina formi-dabile di resistenza.

Un ritratto del compositore cekoPavel Haas. A Terezin venne eseguitoun suo studio per orchestra d’archi.Nella foto qui sotto il pubblico tuttodi bambini deportati e nell’altrapagina un murale che “ricorda”la musica nel campo.

I coristi deportati,le repliche interrotte