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Il reato ambientale Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza Costanza Bernasconi Edizioni ETS Temi e problemi del diritto STUDI discipline penalistiche Criminalia JURA Marcello Clarich Aurelio Gentili Fausto Giunta Mario Jori Michele Taruffo collana diretta da

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Il reato ambientaleTipicità, offensività, antigiuridicità,colpevolezza

Costanza Bernasconi

C. B

ernasconi

Il reato ambientale

Il reato ambientale presenta una fisionomia del tutto particola-re. Basti pensare che la gran parte delle fattispecie incrimina-trici previste dalla sconfinata normativa di settore è costituita

da illeciti contravvenzionali, mentre poche e residuali sono le ipo-tesi delittuose. Da qui l’interesse per una dogmatica del reato am-bientale, che faccia vivere i fondamentali principi del diritto pe-nale (legalità, offensività e colpevolezza) nelle categorie del fattotipico, dell’antigiuridicità e della colpevolezza, senza con ciò tra-scurare l’obiettivo di una tutela efficace. Lo studio coglie le rica-dute applicative che discendono dall’analisi strutturale del reatoambientale e tratteggia, de lege ferenda, proposte di razionalizza-zione delle tecniche normative.

Costanza Bernasconi è ricercatore confer-mato nell’Università di Ferrara.

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a mio padre

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INDICE

Capitolo primo L’ATTUALE VOLTO DELL’ILLECITO PENALE AMBIENTALE.

L’ESPERIENZA LEGISLATIVA ITALIANA 1. L’illecito penale ambientale tra concezioni ed istanze contrapposte 1 2. L’evoluzione del diritto penale dell’ambiente: dall’assenza di una normativa anti-inquinamento all’«inquinamento normativo» della materia

4

3. L’ambiente come bene giuridico avente dignità costituzionale 9 4. La tutela dell’ambiente come bene finale: la rivalutazione della concezione antropocentrica

15

5. Il rinvio al diritto amministrativo come caratteristica del diritto penale ambientale italiano

21

6. La natura prevalentemente contravvenzionale dell’illecito posto a tutela dell’ambiente

32

Capitolo secondo LA TIPICITÀ DEL REATO AMBIENTALE

1. La classificazione dei reati ambientali sotto il profilo della tecnica di tipizzazione

37

2. Le fattispecie incentrate sull’inosservanza della disciplina extrapenale 40 2.1. Il rinvio a enunciati normativi di pari grado. A proposito di determinatezza e conoscibilità del divieto penale

44

2.2. Il rinvio a fonti subordinate sotto il profilo della riserva di legge 50 3. Le fattispecie incentrate sulla violazione dei limiti tabellari 59 3.1. La natura delle soglie 61 3.2. La determinazione e l’aggiornamento dei limiti tabellari 64 3.3. L’uso (inedito) delle soglie nella nuova fattispecie di contaminazione ambientale

70

4. L’ancoraggio della tipicità penale all’assenza del provvedimento amministrativo autorizzativo. L’autorizzazione come elemento descritto per il tramite di un elemento normativo

75 5. I reati ambientali che consistono nella violazione del contenuto prescrittivo di un provvedimento amministrativo. Il modello ingiunzionale e la riserva di legge

83

6. 6. L’apporto delle fonti comunitarie alla descrizione del tipo 96

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

X

6.1. Il contributo indiretto 98 6.2. Gli imput normativi diretti di penalizzazione 111 7. Il modello solo parzialmente sanzionatorio: una fattispecie volta a sanzionare la criminalità ambientale «strutturata»

114

Capitolo terzo L’OFFENSIVITÀ DEL REATO AMBIENTALE E

L’ANTICIPAZIONE DELLA SOGLIA DI PUNIBILITÀ 1. L’anticipazione della tutela nella materia ambientale 119 2. L’utilizzo dei reati di pericolo astratto tra tutela di funzioni amministrative e tutela mediata di beni giuridici finali

125

3 . Le condizioni di compatibilità con il principio di offensività 132 3.1. Il pregiudizio potenziale per il bene giuridico finale 139 3.2. Il rango del bene finale tutelato 146 3.3. Le difficoltà di accertamento del nesso causale e del pericolo concreto 147 3.4. L’adeguata tipizzazione della condotta di reato 151

4. I possibili scarti tra conformità al tipo e reale pericolosità della condotta 153 4.1. Il ricorso all’art. 49, comma secondo, c.p. 155 4.2. L’interpretazione teleologica della fattispecie. In particolare: la valorizzazione della cornice empirico-criminologica

160

4.3. La conversione del pericolo astratto in pericolo concreto 164 4.4. L’inversione dell’onere della prova 164

Capitolo quarto

L’ANTIGIURIDICITÀ NEL REATO AMBIENTALE 1. Le fattispecie incentrate sull’assenza della prescritta autorizzazione: il ruolo dell’atto amministrativo tra tipicità ed antigiuridicità

169

2. Le possibili ricadute applicative della distinzione tra autorizzazione operante come elemento negativo del fatto e autorizzazione assimilabile ad una causa di giustificazione

175 3. Spunti per una soluzione del problema nella materia ambientale 177 4. I riflessi dell’illegittimità del provvedimento amministrativo elemento di fattispecie sulla sussistenza del reato

182

5. Il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti mediante ordinanze contingibili e urgenti

194

6. Le fattispecie incentrate sul superamento di limiti tabellari: soglie come elementi del fatto tipico e soglie attinenti all’antigiuridicità

198

Indice

XI

Capitolo quinto LA COLPEVOLEZZA NEL REATO AMBIENTALE

1. L’elemento soggettivo nei reati ambientali 203 2. La rilevanza del caso fortuito. In particolare: il guasto tecnico 204 3. La problematicità delle ipotesi di errore e di ignoranza che caratterizza le fattispecie in materia ambientale

207

4. Il ruolo del «dovere di informazione» nella valutazione del carattere scusabile dell’ignoranza- errore sul precetto

209

5. L’errore indotto dalla pubblica autorità 214 6. La casistica relativa alle fattispecie incentrate su provvedimenti amministrativi autorizzativi nel dibattito dottrinale e nella prassi giurisprudenziale

220

6.1. L’errore sull’obbligatorietà dell’autorizzazione 220 6.2 L’errore sulle norme amministrative che regolano la validità ed il rilascio degli atti autorizzativi

223

6.3 L’errore sull’estensione degli atti autorizzativi 225 6.4 L’errore sul contenuto del provvedimento autorizzativo 226

7. L’errore inevitabile sull’illiceità penale (ma non amministrativa) del fatto 228 8. Le fattispecie incentrate su limiti tabellari e l’errore sulle soglie 231 9. L’elemento soggettivo nelle ipotesi delittuose 234 10. L’efficacia selettiva del dolo specifico nel reato di cui all’art. 260 d.lg. 152 del 2006

235

Capitolo sesto

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 1. L’affinamento della tecnica di descrizione dell’illecito ambientale 237 2. Verso la creazione di un codex ambientale? 241 3. L’incremento di offensività del reato ambientale: la previsione di meccanismi di degradazione dell’illecito penale e le ipotesi di progressione offensiva

242

4. La possibile qualificazione delittuosa di talune incriminazioni 246 5. Il destino delle fattispecie incentrate su provvedimenti autorizzativi 248 6. L’indifferibile introduzione di una responsabilità da reato delle persone giuridiche per gli illeciti ambientali

249

7. Il necessario rafforzamento del sistema sanzionatorio attraverso la diversificazione degli strumenti punitivi

251

BIBLIOGRAFIA

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Capitolo primo

L’ATTUALE VOLTO DELL’ILLECITO PENALE AMBIENTALE.

L’SPERIENZA LEGISLATIVA ITALIANA

SOMMARIO: 1. L’illecito penale ambientale tra concezioni ed istanze contrapposte. − 2. L’evoluzione del diritto penale dell’ambiente: dall’assenza di una normativa anti-inquinamento all’«inquinamento normativo» della materia. − 3. L’ambiente come bene giuridico avente dignità costituzionale. − 4. La tutela dell’ambiente come bene finale: la rivalutazione della concezione antropocentrica. − 5. Il rinvio al diritto amministrativo come caratteristica del diritto penale ambientale italiano. − 6. La natura prevalentemente contravvenzionale dell’illecito posto a tutela dell’ambiente.

1. L’illecito penale ambientale tra concezioni ed istanze contrapposte Il tema della tutela dell’ambiente ha da tempo assunto rilevanza ed

attenzione crescenti tanto nella coscienza collettiva quanto in ambito giuridico. Come è noto, infatti, negli ultimi decenni la minaccia ecologica ha assunto dimensioni un tempo sconosciute sia per qualità sia per quantità. La rilevazione di questo dato ha indotto, come logica conseguenza, i legislatori dei diversi Paesi ad adottare misure, variamente congeniate, per la prevenzione e la repressione delle offese alle risorse naturali. L’ambiente ha, in altre parole, progressivamente acquisito dignità di autonomo bene giuridico, di pari passo con il consolidarsi della convinzione in merito alla necessità e meritevolezza di una sua protezione. Graduale è stata, altresì, l’emersione dell’esigenza di predisporre una disciplina penale in questo peculiare settore, anche se a tutt’oggi non parrebbe esservi più alcun dubbio sulla circostanza che la tutela dell’ambiente rientri a pieno titolo tra i compiti del diritto penale1.

Il vero puctum dolens concerne, piuttosto, l’individuazione dello spazio da riservare in subiecta materia al diritto penale e delle modalità di costruzione delle

1 F. GIUNTA, Ideologie punitive e tecniche di normazione nel diritto penale dell’ambiente, in Riv. trim. dir. pen.

econ., 2002, 845. Per una recente esplicita presa di posizione in questo senso si veda la Relazione al Disegno di legge recante: “Disposizioni concernenti i delitti contro l’ambiente. Delega al Governo per il riordino, il

coordinamento e l’integrazione della relativa disciplina”, approvato dal Consiglio dei ministri nella seduta del 24 aprile 2007.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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relative incriminazioni. Due istanze contrapposte, infatti, parrebbero negli ultimi tempi avere scatenato in questa materia un vero e proprio cortocircuito nell’ambito della scienza penalistica. Da un lato vi è chi auspica un congedo dal diritto penale nel settore ambientale2, dall’altro lato, viceversa, vi è chi propugna un rafforzamento degli strumenti di tutela3.

La verità è che la regolamentazione dell’ambiente “ha posto il diritto in difficoltà da molti punti di vista, trovandolo impreparato di fronte a problemi che ne scardinavano consolidate certezze”4. Sicché, una corretta analisi delle problematiche afferenti a questo delicato campo e una proficua elaborazione di possibili direttrici di riforma non possono, a nostro avviso, non tenere conto di due dati fondamentali di partenza. Il riferimento è, in primo luogo, alla scarsa consapevolezza della rilevanza e della fisionomia del bene ambiente nel momento in cui il legislatore ha cominciato ad adottare i primi interventi normativi a difesa dello stesso. In secondo luogo, non si deve sottovalutare il peculiare procedimento di formazione progressiva della legislazione in materia ambientale. Il sinergico operare di siffatte due circostanze ha, invero, ostacolato per lungo tempo ogni tentativo di elaborazione sistematica della materia, favorendo, per converso, la diffusione di formule tralatizie che, almeno in

2 Tra gli altri, F. STELLA, Giustizia e modernità. La protezione dell’innocente e la tutela delle vittime, Milano,

2002, in particolare 419 ss. Per un quadro di sintesi delle possibili articolazioni di siffatta prospettiva cfr., da ultimo, L. SIRACUSA, La tutela penale dell’ambiente. Bene giuridico e tecniche di incriminazione, Milano, 2007, 39 ss. Anche nell’ambito dell’ordinamento tedesco una parte della dottrina da tempo auspica l’abrogazione delle fattispecie incriminatici poste a tutela di beni collettivi. In merito a tale dibattito cfr. già W. HASSEMER, Grundlinien einer personalen Rechtsgutslehre, in Jenseits des Funktionalismus, a cura di L. PHILIPPS, H. SCHOLLER, Heidelberg, 1989, 93; O. HOHMANN, Das Rechtsgut der Umweltdelikte. Grenzen des strafrechtlichen Umweltschutzes, Frankfurt am Main, Bern, New York, Paris, 1991, 188; W. HASSEMER, Kennzeichen und Krisen des modernen Strafrechts, in ZRP, 1992, 378; O. HOHMANN, Von der Konsequenzen einer personalem Rechtsgutsbestimmung im Umweltstrafrecht, in GA, 1992, 76; W. HASSEMER, Produktverantwortung im modernen Strafrecht, Heidelberg, 1996, 22. Per talune osservazioni critiche nei confronti di siffatta impostazione v., però, C. E. PALIERO, L’autunno del patriarca. Rinnovamento e trasmutazione del diritto penale dei codici?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, 1249; G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Diritto penale ‘minimo’ e nuove forme di criminalità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 813 ss.

3 Nella dottrina italiana più recente manifesta perplessità nei confronti dell’estromissione del diritto penale dal settore della tutela ambientale G. COCCO, Beni giuridici funzionali versus bene giuridico personalistico, in Studi in onore di G. Marinucci, I, Milano, 2006, 181 ss. A favore di un rafforzamento della tutela penale nel settore de quo, da ultimo, A. MANNA, V. PLANTAMURA, Una svolta epocale per il diritto penale ambientale italiano?, in Dir. pen. proc., 2007, 1075 ss. Nella dottrina tedesca auspicano l’elaborazione di un più efficiente diritto penale dell’ambiente, tra gli altri, B. SCHÜNEMANN, Kritische Anmerkungen zur geistigen Situation der deutschen Strafrechtswissenschaft, in GA, 1995, 209; C. ROXIN, I compiti futuri della scienza penalistica, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, 5.

4 M. TALLACCHINI, Diritto per la natura. Ecologia e filosofia del diritto, Torino, 1996, 185.

L’attuale volto dell’illecito penale ambientale

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alcuni casi, non corrispondono più al volto attuale del più recente diritto penale dell’ambiente.

Dal punto di vista fenomenologico, poi, è necessario considerare che l’impulso incessante e irresistibile allo sviluppo scientifico e tecnico ha innescato “la forma più incredibile di dominio e trasformazione della natura”5, sì da comportare “non solo una distruzione e un consumo sempre più massicci delle risorse naturali, ma anche un aumento della complessità tecnologica e, con essa, una diminuzione verticale della capacità di controllare i rischi di disastri, proprio a causa di questa complessità”6. Da qui si spiega anche l’instaurarsi di una dialettica frenetica tra le istanze di garanzia proprie del diritto penale, che spingono verso la creazione di illeciti conformi al canone dell’offensività, e le nuove frontiere della “precauzione”7, le quali, viceversa, parrebbero orientare i paradigmi di tutela verso forme sempre più arretrate ed anticipate8. L’illecito penale ambientale parrebbe, in sintesi, incarnare emblematicamente uno di quei settori con riferimento ai quali si allude ad una “difficile scommessa da giocare”, tra “l’ossequio tributato al «diritto penale classico» e l’apertura verso gli sviluppi della «modernità» (o postmodernità)”9.

Occorre, dunque, prendere le mosse dall’insieme di questi dati, tra di loro disomogenei, da un lato, per capire se e in quale misura l’attuale diritto penale ambientale si sia modificato rispetto alle sue prime forme di manifestazione a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, nonché, dall’altro lato, per verificare se sia possibile costruire, anche alla luce dell’esperienza maturata in altri ordinamenti, un modello di illecito penale ambientale in grado di coniugare e contemperare le forze centrifughe che parrebbero oggi minarne sotto diversi profili la credibilità e l’efficacia. L’impressione che trasmette l’analisi dell’attuale diritto penale dell’ambiente è quella di un sistema che in larga misura stenta a

5 H. JONAS, Sull’orlo dell’abisso. Conversazioni sul rapporto tra uomo e natura, trad. it. a cura di A.

PATRUCCO BECCHI, Torino, 2000, 6. 6 G. FORTI, Tutela ambientale e legalità: prospettive giuridiche e socio-culturali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2003,

1358. 7 La letteratura sul punto è ormai sconfinata; ci si limita in questa sede a ricordare, per tutti e di

recente: G. FORTI, “Accesso” alle informazioni sul rischio e responsabilità: una lettura del principio di precauzione, in Criminalia, 2006, 155 ss.; F. GIUNTA, Il diritto penale e le suggestioni del principio di precauzione, ivi, 2006, 227 ss.; C. RUGA RIVA, Principio di precauzione e diritto penale. Genesi e contenuto della colpa in contesti di incertezza scientifica, in Studi in onore di G. Marinucci, I, Milano, 2006, 1743 ss.; G. FORTI, La «chiara luce della verità» e «l’ignoranza del pericolo». Riflessioni penalistiche sul principio di precauzione, in Scritti per Federico Stella, Napoli, 2007, I, 573 ss.

8 Sul tema v. L. STORTONI, Angoscia, tecnologia ed esorcismo penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 71 ss. 9 G. DE FRANCESCO, Programmi di tutela e ruolo dell’intervento penale, Torino, 2004, 11.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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mettere a fuoco e a ritagliare forme insidiose di aggressione al bene protetto, che parrebbero oscurate dallo schermo diffuso di un’ipertrofica proliferazione di microincriminazioni10. Ne consegue in molti casi una fisiologica incapacità delle previsioni esistenti di fronteggiare i fenomeni che intendono combattere, con l’effetto di provocarne la bagatellizzazione11.

Un’opera di ripensamento dell’illecito penale in materia ambientale deve, dunque, necessariamente muovere dall’analisi della struttura delle fattispecie incriminatrici vigenti nella materia de qua per individuarne punti di forza e profili di criticità. Stimolanti spunti di riflessione ci sembra, peraltro, che possano derivare anche da una lucida analisi delle novità, di carattere per lo più rapsodico e settoriale, che il diritto penale degli ultimi anni ha comunque saputo registrare.

2. L’evoluzione del diritto penale dell’ambiente: dall’assenza di una normativa anti-inquinamento all’«inquinamento normativo» della materia

La locuzione “diritto penale ambientale” è relativamente recente nel

linguaggio giuridico. Infatti, fino alla metà degli anni sessanta circa, mancava nel nostro ordinamento una specifica organica normativa ambientale ed il punto di riferimento privilegiato dal punto di vista sanzionatorio era costituito dal Codice penale; quest’ultimo, tuttavia, sorto in un contesto socio-politico completamente diverso da quello attuale, non conteneva alcuna norma incriminatrice che assumesse esplicitamente e direttamente a oggetto della propria tutela il bene giuridico ambiente. Tale circostanza non ha comunque impedito che talune fattispecie codicistiche venissero utilizzate −−−− in un primo tempo in via esclusiva ma tuttora in alcuni casi in via concorrenziale con la normativa di settore −−−− a fini ambientalisti12. Solo per fare alcuni esempi e senza alcuna pretesa di completezza, si pensi ai reati di incendio (art. 423 c.p.), avvelenamento di acque o di sostanze alimentari (art. 439 c.p.), diffusione di una malattia delle piante o degli animali (art. 500 c.p.), danneggiamento (art. 635 c.p.), inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità (art. 650 c.p.), disturbo

10 Svolge riflessioni di analogo tenore, sia pure con riferimento più ampio ai reati posti a tutela di

beni funzionali, G. COCCO, Beni giuridici funzionali versus bene giuridico personalistico, cit., 176. 11 G. COCCO, op. ult. cit., 177. 12 Sul punto cfr., amplius, A. BERNARDI, La tutela penale dell’ambiente in Italia: prospettive nazionali e

comunitarie, in Annali dell’Università di Ferrara, Saggi, IV, Ferrara, 1997, 47 ss.; F. GIUNTA, Ideologie punitive e tecniche di normazione nel diritto penale dell’ambiente, cit., 857.

L’attuale volto dell’illecito penale ambientale

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delle occupazioni e del riposo delle persone (art. 659 c.p.), getto pericoloso di cose (art. 674 c.p.), distruzione o deturpamento di bellezze naturali (art. 734 c.p.) 13.

Sennonché, anche quando ha incominciato a svilupparsi in Italia una vera e propria legislazione ambientale, a differenza di quanto avvenuto in altri ordinamenti, per lungo tempo nessuna delle nuove figure di reato contro l’ambiente è stata collocata all’interno del codice penale. Considerazioni di vario tipo hanno finito per giocare un ruolo fondamentale a favore della soluzione extracodicistica, che, peraltro, parrebbe la meno idonea a sottolineare l’importanza primaria dei beni coinvolti ed a porre in mostra il coefficiente di disvalore delle aggressioni all’ambiente14; senza trascurare, inoltre, che siffatta soluzione non riesce in alcun modo ad arginare la tentazione del legislatore medesimo di inserire nuove fattispecie penali nelle più disparate leggi di settore. A favore della soluzione extracodicistica vengono, comunque, addotte considerazioni di diverso genere, quali, in particolare, il necessario collegamento funzionale e sistematico tra norma penale e disciplina extrapenale, nonché la fisiologica mutevolezza della realtà extranormativa di riferimento, che potrebbe ripercuotersi negativamente sulla stabilità della disciplina codicistica medesima.

Nondimeno, l’eventuale inserimento delle fattispecie penali ambientali (o quantomeno di alcune fondamentali fattispecie a carattere generale) all’interno, anziché fuori dal codice, costituisce un’idea tutt’altro che abbandonata, come testimoniato dalle diverse proposte di riforma che nel corso degli anni si sono succedute in questa direzione15. A titolo meramente esemplificativo si pensi agli articoli 102 e 103 dello Schema di delega legislativa al Governo per l’emanazione di un nuovo codice penale presentato nel 1992 dalla Commissione Pagliaro16. Più di recente, ci si limita a ricordare il disegno di

13 Per un esame delle principali fattispecie codicistiche a tutela dell’ambiente cfr., tra gli altri, i

commenti agli artt. 423 bis, 424, 500, 635, 650, 659, 674, 734 di P. POMPEI, R. GUERRINI, D. GUIDI, P. PIRAS, R. LOTTONI, C. PAONESSA, in Codice dei reati e degli illeciti ambientali, a cura di F. GIUNTA, Padova, 2007, 1663 ss.

14 In questo senso espressamente A. BERNARDI, La tutela penale dell’ambiente in Italia, cit., 57. 15 Per un quadro di sintesi relativo ad alcune proposte di riforma, E. LO MONTE, Diritto penale e

tutela dell’ambiente. Tra esigenze di effettività e simbolismo involutivo, Milano, 2004, 335 ss. 16 L’art. 102 dello Schema recita: “1. Prevedere il delitto di alterazione dell’ecosistema, consistente

nel fatto di chi, effettuando scarichi, immissioni di sostanze o energie ovvero emissioni di suoni e rumori in violazione dei limiti di accettabilità fissati secondo la legge, contribuisce a determinare una alterazione della composizione o dello stato fisico dell’ambiente. 2. Prevedere come circostanza

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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legge 3960 presentato nel 1999 per la riforma del diritto penale ambientale, che prevedeva l’introduzione nel codice penale del Titolo VI bis, contenente, appunto, i “Delitti contro l’ambiente”17, nonché, da ultimo, l’analogo disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 24 aprile 200718.

A ciò si aggiunga la circostanza che il legislatore parrebbe effettivamente avere già intrapreso qualche timido passo verso l’inserimento di fattispecie poste a tutela dell’ambiente all’interno del codice penale, sia pure attraverso interventi puntiformi. Ci si riferisce, in particolare, all’introduzione, ad opera del d.l. 4 agosto 2000, n. 220, convertito in l. 6 ottobre 2000, n. 353, nel titolo VI del codice penale (“Dei delitti contro l’incolumità pubblica”) del reato di incendio boschivo (art. 423 bis). Tale fattispecie, infatti, nonostante la

aggravante l’essere l’alterazione atta ad offendere la salute collettiva. 3. Configurare il fatto anche come delitto colposo”.

L’art. 103 dispone: “Prevedere le contravvenzioni: dell’inquinamento ambientale, consistente nel fatto di chi effettua scarichi o immissioni di sostanze od energie ovvero emissioni di suoni o rumori in violazione dei limiti di accettabilità fissati secondo la legge; b) dell’esercizio abusivo di attività di ricerca, consistente, se il fatto non costituisce più grave reato, nello svolgimento di attività di ricerca o sperimentali senza le autorizzazioni prescritte o in violazione delle medesime, ovvero non osservando le norme di sicurezza ovvero sottraendosi ai prescritti controlli”.

Il testo completo del suddetto Schema di delega legislativa può essere consultato ne L’Indice pen., 1992, 579 ss. Per talune osservazioni in merito agli articoli in esame v. A. MANNA, Realtà e prospettive della tutela penale dell’ambiente in Italia, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1999, 863 ss.

17 Il disegno di legge 3960 del 1999 suggeriva l’introduzione nel titolo VI bis del codice penale degli articoli: 452-bis (Inquinamento ambientale), 452-ter (Distruzione del patrimonio naturale), 452-quater (Traffico illecito di rifiuti), 452-quinquies (Frode in materia ambientale), 452-sexies (Circostanza aggravante per i reati commessi da un associato per delinquere),452-septies (Ravvedimento operoso), 452-octies (Delitti colposi contro l’ambiente), 452-nonies (Pene accessorie).

18 Si tratta del disegno di legge recante “Disposizioni concernenti i delitti contro l’ambiente. Delega al governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della relativa disciplina”. Sul punto amplius A. MANNA, V. PLANTAMURA, Una svolta epocale per il diritto penale ambientale italiano?, cit., 1075 ss. Anche in questo caso il disegno di legge prevede l’introduzione all’interno del codice penale di un nuovo titolo, il VI bis, rubricato Delitti contro l’ambiente, contenente le seguenti disposizioni: art. 452-bis (Inquinamento ambientale), art. 452-ter (Danno ambientale. Pericolo per la vita o l’incolumità personale), art. 452-quater (Disastro ambientale), art. 452-quinquies (Alterazione del patrimonio naturale, della flora e della fauna), art. 452-sexies (Circostanze aggravanti), art. 452-septies (Traffico illecito di rifiuti), art. 452-octies (Traffico di materiale radioattivo o nucleare. Abbandono), art. 452-nonies (Delitti ambientali in forma organizzata), art. 452-decies (Frode in materia ambientale), art. 452-undecies (Impedimento al controllo), art. 452-duodecies (Delitti colposi contro l’ambiente), art. 452-terdecies (Pene accessorie. Confisca), art. 452-quaterdecies (Bonifica e ripristino dello stato dei luoghi), art. 452-quinquiesdecies (Ravvedimento operoso), art. 452-sexiesdecies (Causa di non punibilità), art. 498-bis (Danneggiamento delle risorse economiche ambientali). Sul disegno di legge de quo v. A. L. VERGINE, Sui «nuovi» delitti ambientali e sui «vecchi» problemi delle incriminazioni ambientali (parte prima), in Ambiente – Sviluppo, 2007, 667 ss.; ID., Sui «nuovi» delitti ambientali e sui «vecchi» problemi delle incriminazioni ambientali (parte seconda), ivi, 777 ss.

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suaccennata collocazione sistematica della stessa, parrebbe effettivamente essere volta alla tutela del bene ambiente19, oltre e prima ancora che alla tutela dell’incolumità pubblica. Siffatta interpretazione sembrerebbe, del resto, confermata dalla previsione di un’ipotesi aggravata, contemplata dal quarto comma della disposizione in oggetto, in forza della quale “le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate della metà, se dall’incendio deriva un danno grave, esteso e persistente all’ambiente”.

A tutt’oggi, comunque, la normativa penale finalizzata alla tutela dell’ambiente risulta, per lo più scissa in una pluralità di testi specialistici extra codicem, in cui si assiste, di regola, ad una settorializzazione della tutela sulla base delle diverse componenti ambientalistiche. In misura ancora tutt’altro che trascurabile, nonostante che nel 2006 – come noto – sia entrato in vigore il c.d. Codice dell’ambiente (d.lg. 152 del 2006), gli illeciti penali ambientali vengono faticosamente individuati all’interno di un vasto, complesso e disorganico insieme di norme, in buona sostanza concretamente noto solo agli esperti del settore20. In tale prospettiva si comprende come l’obiettivo perseguito dal d.lg. 152 del 2006 sia stato in primis proprio quello di semplificare e razionalizzare siffatto corpo normativo, al fine di garantire “una più efficace tutela in materia ambientale anche mediante il coordinamento e l’integrazione della disciplina del sistema sanzionatorio, amministrativo e penale, fermi restando i limiti di pena e l’entità delle sanzioni amministrative già stabiliti dalla legge”21. Da qui sono scaturiti il riordino e la riconduzione ad un unico testo normativo delle materie indicate dall’art. 1 del medesimo decreto legislativo, vale a dire, oltre alle procedure di valutazione dell’impatto ambientale, la difesa del suolo, la tutela delle acque, la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati, la tutela dell’aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera.

Tuttavia ci si trova ancora molto lontani dal poter parlare di un vero e proprio testo unico. Troppe, e troppo importanti, le materie che mancano all’appello. Rimangono fuori dal decreto legislativo de quo gli illeciti penali posti a tutela di componenti ambientali diverse da quelle espressamente indicate alla

19 In questo senso S. CORBETTA, Il nuovo delitto di «incendio boschivo»: (poche) luci e (molte) ombre, in Dir.

pen. e proc., 2000, 1175; F. NUZZO, Prime applicazioni della norma sull’incendio boschivo (art. 423-bis c.p.), in Cass. pen., 2002, 596.

20 Sulle caratteristiche evidenziate della legislazione in materia ambientale cfr., di recente, F. FONDERICO, La codificazione del diritto dell’ambiente in Italia: modelli e questioni, in Riv. trim. dir. pub., 2006, 613 ss.

21 Art. 1, comma 8, lett. i), l. 308 del 2004. Sul punto cfr. amplius, A. POSTIGLIONE, Il nuovo testo unico in materia ambientale: un quadro generale, in Dir. giur. agr. amb., 2006, 213 ss.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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voce “campo di applicazione”22. A ciò si aggiunga, inoltre, che anche in relazione alle materie confluite nell’ambito del d.lg. 152 del 2006 continuano a sopravvivere al di fuori dello stesso ulteriori previsioni sanzionatorie di carattere penale. A titolo meramente esemplificativo si pensi che, per quanto, come anticipato, la materia afferente alla gestione dei rifiuti sia disciplinata dalla parte quarta del decreto e nell’ambito della stessa sia prevista una specifica fattispecie incriminatrice volta a sanzionare la realizzazione e la gestione di discariche abusive, esiste al di fuori del medesimo decreto legislativo un intero testo normativo, tuttora in vigore e richiamato dal d.lg. 152 del 200623, che disciplina la fase operativa degli impianti di discarica24. Ebbene, all’interno del predetto testo sono previste ulteriori e specifiche ipotesi di reato, volte a sanzionare l’inosservanza delle procedure di ammissione dei rifiuti in discarica, le quali, peraltro, individuano tuttora la sanzione applicabile mediante rinvio ad alcune disposizioni dell’abrogato decreto Ronchi25, con tutti gli evidenti problemi che una tecnica normativa di questo tipo può sollevare sotto il profilo della determinatezza della fattispecie incriminatrice e della relativa previsione sanzionatoria26.

Il quadro normativo, dunque, si è indubbiamente semplificato, ma rimane estremamente complesso, tanto che da più parti si è parlato, appunto, di un vero e proprio “inquinamento normativo” che ormai, paradossalmente, affligge la materia ambientale27. La legislazione sviluppatasi negli ultimi decenni in Italia

22 Si pensi, senza alcuna pretesa di esaustività, agli illeciti a tutela dei beni culturali e del paesaggio

(disciplinati dal d.lg. 42 del 2004), agli illeciti penali relativi all’inosservanza delle disposizioni in materia edilizia (contemplati dal d.P.R. 380 del 2001), agli illeciti penali posti a tutela delle specie animali e vegetali protette (previsti dalla l. 150 del 1992), o, ancora gli illeciti volti a contrastare peculiari forme di inquinamento (si pensi ai reati che si concretizzano nell’inosservanza delle norme sull’impiego pacifico dell’energia nucleare, ai sensi della l. 1860 del 1962). Rimangono, altresì, al di fuori del testo unico illeciti punitivi, sia pure non penali, in tema di inquinamento elettromagnetico e acustico. Precisazioni in merito all’oggetto della delega ambientale e all’individuazione delle materie escluse dalla predetta delega cfr. A. POSTIGLIONE, Il nuovo testo unico in materia ambientale, cit., 213 ss.

23 Cfr. art. 182, comma 7, d.l.g. 152 del 2006. 24 Si tratta, per la precisione, del d.lg. 36 del 2003 (“Attuazione della direttiva 1999/31/CE

relativa alle discariche”). 25 Art. 16, d.lg. 36 del 2003. 26 Sul punto cfr., infra, cap. II, §§ 2 ss. 27 In questo senso, per tutti, G. AMENDOLA, Con i reati ambientali nel codice penale una difesa

dall’inquinamento normativo, in Guida al diritto, 1999, n. 16, 13 ss. Rilevano come il fenomeno dell’inflazione normativa in materia ambientale sia un dato riscontrabile non solo nell’ordinamento interno, ma comune anche ai livelli di produzione normativa comunitaria e, in genere, internazionale B. CARAVITA, A. MORRONE, L’organizzazione costituzionale e l’ambiente, in Le fonti del diritto italiano. Codice

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ha, infatti, seguito impostazioni spesso non coordinate tra loro e ha risposto con approssimazione ed affanno a domande pressanti imposte dall’emergenza28. Con la conseguenza, però, che disciplinando “troppo” la materia29, il legislatore ha ottenuto poco o nulla in termini di efficacia della tutela. La sensazione è che l’enorme mole di illeciti serva solo “a suscitare l’impressione di una certa sensibilità alla questione ecologica”30.

3. L’ambiente come bene giuridico avente dignità costituzionale Il carattere relativamente recente della legislazione in materia ambientale ha

fatto sì che la nozione giuridica di ambiente costituisca ancora oggi un problema aperto, anche perché il concetto di ambiente rilevante per un ramo dell’ordinamento giuridico non necessariamente coincide con il concetto di ambiente rilevante per un’altra branca dello stesso31. Sicché, la ricostruzione organica del significato che il legislatore italiano ha inteso dare all’ambiente

dell’ambiente, a cura di S. NESPOR, A. L. DE CESARIS, Milano, 1999, 114. Nella dottrina spagnola, per analoghe considerazioni, v. J. C. SESSANO GOENAGA, La protección penal del medio ambiente. Peculiaridades de su tratamiento jurídico, in Revista Electrónica de Ciencia Penal y Criminología, 2002, RECPC 04-11, 6 ss.

28 Sul punto S. GRASSI, L’ambiente come problema istituzionale, in Lo stato delle istituzioni italiane. Problemi e prospettive, Milano, 1994, in particolare 610.

29 Così anche L. SIRACUSA, La tutela penale dell’ambiente, cit., 471. 30 L. SIRACUSA, La tutela penale dell’ambiente, cit., 472. Sottolinea analogo fenomeno nell’ambito

dell’ordinamento spagnolo J. M. PRATS CANUT, De los delitos contra los recursos y el medio ambiente, in Comentarios al Nuevo Código Penal, a cura di G. QUINTERO OLIVARES, Pamplona, 1996, 1507.

31 Senza dimenticare che, come rilevato (F. GIUNTA, Il diritto penale dell’ambiente in Italia: tutela di beni o tutela di funzioni, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 1100), già nel linguaggio comune il termine ambiente è polisenso. Sul concetto di bene ambientale nell’ordinamento tedesco cfr., per tutti, O. TRIFFTERER, Umweltstrafrecht, Baden-Baden, 1980, 23 ss.; O. HOHMANN, Das Rechtsgut der Umweltdelikte, cit., in particolare 179 ss.; M. KLOEPFER, H. VIERHAUS, Umweltstrafrecht, München, 2002, 11 ss.; R. SCHMITZ, Vor §§ 324 ff., in Münchener Kommentar zum Strafgesetzbuch, Band 4, München, 2006, 1550 ss.; P. CRAMER, G. HEINE, Vor §§ 324 ff., in A. SCHÖNKE, H. SCHRÖEDER, Strafgesetzbuch Kommentar, München, 2006, 2644. Nella dottrina spagnola cfr. tra gli altri, C. CONDE-PUMPIDO TOURÓN, Introduccion al delito ecologico, in El delito ecologico, a cura di J. TERRADILLOS BASOCO, Madrid, 1992, 16 ss.; I. BERDUGO GOMEZ DE LA TORRE, El medio ambiente como bien juridico tutelado, ivi, 41 ss.; N. J. DE LA

MATA BARRANCO, Protección penal del ambiente y accessoriedad administrativa. Tratamiento penal de comportamientos perjudiciales para el ambiente amparados en una autorización administrativa ilícita, Barcelona, 1996, 46 ss.

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quale oggetto di tutela giuridica costituisce, forse, il punto maggiormente problematico dell’intera materia32.

“Il termine ‘ambiente’ (…) indica un concetto tendenzialmente macroscopico e di difficile determinazione, che manifesta una intrinseca complessità strutturale dovuta, in particolare, al suo carattere poliedrico e multidimensionale”33. Tanto che, ad avviso di una parte della dottrina, “nel linguaggio normativo l’ambiente, per quanto di continuo evocato, non è definito né definibile”34. In altre parole, non sarebbe possibile individuare una nozione di ambiente che “sia apprezzabile in termini giuridici e che, nello stesso tempo, non risulti troppo generica, sfuggente e, quindi, sostanzialmente inutile”35.

Nondimeno, in ambito penale si comprende l’importanza di una rigorosa ricostruzione del concetto di ambiente come bene giuridico. Se, infatti, non si individua con precisione il referente finale dei reati in oggetto, non si potrà neppure verificare l’effettivo livello di anticipazione della tutela presente in ciascuna fattispecie, poiché, come noto, il punto di riferimento della distinzione tra reati di danno e reati di pericolo non può che essere rappresentato proprio dal bene giuridico36. L’afferrabilità del bene, più precisamente, è “il presupposto essenziale affinché le forme dell’aggressione al medesimo siano scolpite dal legislatore o ricavabili, entro i limiti in cui lo consente l’art. 25, 2° comma, Cost., dall’interprete con un elevato grado di certezza”37.

Per una corretta impostazione della questione appare opportuno muovere da un dato ormai diffuso in quasi tutti gli ordinamenti giuridici contemporanei:

32 In argomento cfr., amplius e per tutti, E. CAPACCIOLI, F. DAL PIAZ, Ambiente (tutela dell’). Parte

generale e diritto amministrativo, in Noviss. dig. it., App., I, Torino, 1980, 258; M. CICALA, Ambiente (tutela dell’). Diritto penale e Diritto processuale penale, ivi, 265; M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente. Contributo all’analisi delle norme penali a struttura «sanzionatoria», Padova, 1996, 1 ss.

33 M. CECCHETTI, Principi costituzionali per la tutela dell’ambiente, Milano, 2000, 1. 34 G. MORBIDELLI, Il regime amministrativo speciale dell’ambiente, in Scritti in onore di Alberto Predieri,

Milano, 1996, II, 1123. 35 S. GRASSI, Presentazione al volume Principi costituzionali per la tutela dell’ambiente, di M. CECCHETTI,

Milano, 2000, p. VII. 36 D. SANTAMARIA, Evento (diritto penale), in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, 131; F. ANGIONI,

Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico, Milano, 1983, 7 (nt. 18) e 67; G. GRASSO, L’anticipazione della tutela penale: i reati di pericolo e i reati di attentato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1986, 691; A. DE VITA, I reati a soggetto passivo indeterminato. Oggetto dell’offesa e tutela processuale, Napoli, 1999, 84.

37 F. BRICOLA, Tecniche di tutela penale e tecniche alternative di tutela, in Funzioni e limiti del diritto penale, a cura di M. DE ACUTIS, G. PALOMBARINI, Padova, 1984, 29; ID., Carattere «sussidiario» del diritto penale e oggetto della tutela, in Studi in memoria di G. Delitala, I, Milano, 1984, 127. Su tale problematica cfr., altresì, F. ANGIONI, Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico, cit., 187 ss.

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il riconoscimento dell’ambiente come interesse costituzionalmente rilevante. Invero, fino alla modifica dell’art. 117 Cost., introdotta ad opera della l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, non esisteva alcuna disposizione nella nostra Costituzione −−−− così come nella massima parte delle Costituzioni varate in Europa fino all’inizio degli anni ‘7038

−−−− che indicasse espressamente l’ambiente come oggetto diretto di protezione39. Tale circostanza risulta facilmente comprensibile se si pone mente al fatto che in quel periodo storico la necessità di tutelare siffatto valore non era ancora pienamente avvertita, sebbene alcuni articoli della Carta fondamentale già facessero riferimento a beni o qualità della persona strettamente connessi, appunto, con la problematica dell’ambiente.

Nondimeno, se nel nostro ordinamento la lacuna costituzionale ha costituito per lungo tempo il dato formale di partenza, essa non ha comunque impedito che dottrina e giurisprudenza intraprendessero progressivamente, già prima della summenzionata legge di riforma costituzionale, la ricerca di principi che potessero offrire comunque un fondamento ed una garanzia costituzionale alla sempre crescente domanda sociale di protezione dell’ambiente naturale40. In tale fase, come è stato rilevato41, “elaborazioni dottrinali e decisioni giurisprudenziali si sono unite in un’opera di autentica supplenza del legislatore”. Tuttavia, a differenza di quanto avvenuto in altri Paesi42, fin dalle

38 Sul punto cfr., amplius e per tutti, E. DOLCINI, G. MARINUCCI, Costituzione e politica dei beni

giuridici, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, 348 ss., nonché, M. P. CHITI, Ambiente e Costituzione europea, in Ambiente e diritto, a cura di S. GRASSI, M. CECCHETTI, A. ANDRONIO, Firenze, 1999, I, 133 ss.

39 Anche il Trattato istitutivo della CEE ab origine non faceva alcun riferimento all’ambiente, ma la consapevolezza di dover tenere conto della qualità delle risorse naturali e delle condizioni di vita, nell’organizzazione dello sviluppo economico delle Comunità, indusse la CEE a tracciare le linee di un’azione comunitaria di tutela ambientale e contemporaneamente ad emendare il Trattato per introdurre una competenza in materia; fino a che, dopo l’approvazione dell’Atto Unico, è stato inserito nel Trattato il titolo VII dedicato all’ambiente.

40 Su tale problematica cfr., tra gli altri, F. ANGIONI, Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico, cit., 196 ss.; M. CECCHETTI, Principi costituzionali per la tutela dell’ambiente, cit., 6 ss.

41 G. ALPA, Il diritto soggettivo all’ambiente salubre: ‘nuovo diritto’ o espediente tecnico?, in Ambiente e diritto, a cura di S. GRASSI, M. CECCHETTI, A. ANDRONIO, II, Firenze, 1999, 431.

42 Norme sulla tutela dell’ambiente naturale già da tempo erano, invece, state previste in testi costituzionali più recenti. Il riferimento è, ad esempio, all’art. 45 della Costituzione spagnola del 1978 (sul quale cfr., tra gli altri, I. BERDUGO GOMEZ DE LA TORRE, El medio ambiente como bien juridico tutelado, cit., in particolare 45 ss.; J. C. SESSANO GOENAGA, La protección penal del medio ambiente, cit., 14 ss.), all’art. 225, § 1, della Costituzione brasiliana del 1988 e all’art. 20a della Costituzione tedesca.

Per una visione di insieme in merito alla tutela offerta all’ambiente dai testi costituzionali dei diversi paesi cfr. S. PATTI, Ambiente (tutela dell’). V) Diritto comparato e straniero, in Enc. giur. Treccani, I, Roma, 1988, 2; G. MORBIDELLI, Il regime amministrativo speciale dell’ambiente, cit., 1126 ss.; G. CORDINI, Diritto ambientale comparato, Padova, 2002, 78 ss.

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fasi iniziali del dibattito non si è discusso in Italia sull’inserimento di una specifica norma nella Costituzione, quanto piuttosto si è cercato di individuare nel testo già vigente il possibile fondamento della tutela43. In tale prospettiva, si è ritenuto che il riconoscimento del bene ambiente potesse emergere, innanzitutto, dall’art. 2, in forza del quale “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”, e dall’art. 9, comma 2, secondo cui “la Repubblica (...) tutela il paesaggio e il patrimonio artistico della Nazione”, se letti in combinazione con altre norme costituzionali e in particolare con l’art. 32, comma 1, che tutela “la salute come fondamentale diritto dell’individuo”. Tanto che le Sezioni unite della Corte di Cassazione, già nel 197944, affermarono che “il diritto alla salute piuttosto (e oltre) che un mero diritto alla vita e all’incolumità fisica si configura come diritto all’ambiente salubre”.

La Corte costituzionale ha iniziato ad occuparsi esplicitamente del bene ambiente solo negli anni ‘80, ma è presto pervenuta a riconoscere la natura di valore costituzionale dello stesso sulla base delle sequenze argomentative sopra ricostruite. È ormai costante nella giurisprudenza costituzionale il riferimento alle esigenze di protezione ambientale come ad un valore primario e fondante dell’ordinamento giuridico. Si tratterebbe di un “bene immateriale e unitario sebbene a varie componenti ciascuna delle quali può anche costituire, isolatamente o separatamente, oggetto di cura e di tutela; ma tutte, nell’insieme (…) riconducibili ad unità”45. La Corte ha, infatti, riconosciuto che la Costituzione, pur se rigida, è comunque capace di disciplinare realtà in evoluzione, talora neppure ipotizzabili ai tempi dell’Assemblea costituente46,

43 In argomento cfr., tra gli altri, D. BORGONOVO RE, Corte costituzionale e ambiente, in Riv. giur.

ambiente, 1989, 461 ss.; P. D’ADDINO SERRAVALLE, L’ambiente nell’esperienza giuridica, in Politica e legislazione ambientale, a cura di V. PEPE, Napoli, 1996, 95; B. CARAVITA DI TORITTO, Costituzione, principi costituzionali e tecniche di normazione per la tutela dell’ambiente, in Ambiente e diritto, a cura di S. GRASSI, M. CECCHETTI, A. ANDRONIO, Firenze, 1999, I, 175 ss.

44 Cass. civ., Sez. Un., 6 ottobre 1979, n. 5172, in Giur. it., 1980, I, 859 ss., con nota di S. PATTI, Diritto all’ambiente e tutela della persona, ivi.

45 Corte cost., 30 dicembre 1987, n. 641, in Giur. Cost., 1987, 3788. Sul punto cfr., tra gli altri, A. POSTIGLIONE, Il recente orientamento della Corte costituzionale in materia di ambiente, in Riv. giur. ambiente, 1988, 104 ss.

46 In questo senso cfr., anche tra le altre, Corte cost., 15 novembre 1988, n. 1029, in Giur. cost., 1988, 4935; Corte cost., 24 febbraio 1992, n. 67, in Giur. cost.,1992, 377. Su tale specifico profilo nella dottrina cfr., per tutti, M. CECCHETTI, Il principio costituzionale di unitarietà dell’ambiente, in Ambiente e diritto, a cura di S. GRASSI, M. CECCHETTI, A. ANDRONIO, I, Firenze, 1999, 257 ss. In termini più generali, sui possibili meccanismi di “apertura” della tavola dei valori costituzionali, cfr., A. VALENTI, La “musa negletta”: quando la Costituzione non ispira più il legislatore nelle scelte di incriminazione, ne L’Indice pen., 2003, 967 ss.

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ravvisando nell’ambiente un diritto fondamentale dell’uomo, con il conseguente inserimento dello stesso nella dinamica concreta dei valori costituzionali. Fino a che, a seguito della summenzionata modifica del testo dell’art. 117 Cost., la nozione di ambiente è entrata espressamente e a pieno titolo in Costituzione, o meglio, come è stato rilevato47, “tra le parole della Costituzione”, con la formula: “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”. E ciò, ad ulteriore conferma della valenza, ormai unanimemente condivisa, da riconoscere a tale bene.

Del resto, oltre alla Costituzione, anche la normativa in materia ambientale successiva alla Costituzione medesima costituisce un luogo di progressiva emersione del bene giuridico ambiente. La vera e propria c.d. svolta verde, che ha riconosciuto espressamente valore primario all’ambiente, viene per lo più individuata, a livello di legislazione ordinaria, nella legge 8 agosto 1985, n. 431, sulla tutela delle zone di particolare interesse ambientale, e nella legge 8 luglio 1986, n. 349, che ha istituito il Ministero dell’ambiente. In particolare, l’abrogato art. 18 di quest’ultima legge, introdusse una nozione di danno ambientale coincidente con la lesione non di beni appartenenti a persone fisiche o giuridiche pubbliche o private, ma, appunto, di un’astrazione sovrappersonale ascrivibile alla collettività nel suo complesso e tutelata dallo Stato in quanto bene pubblico48.

Tutto ciò premesso, si tratta ora di verificare quale sia la specifica accezione assunta dal bene giuridico ambiente nel settore penale. A tal fine, si deve precisare che, mentre in alcuni settori del diritto dottrina e giurisprudenza si sono sforzate di ricostruire il concetto di ambiente in termini unitari49, nel diritto penale ambientale parrebbe resistere l’insegnamento tradizionale secondo cui la legge penale tutela non l’ambiente nella sua globalità, ma singoli elementi ambientali50. L’unitarietà dell’ambiente come bene giuridico non

47 A. FERRARA, La “materia ambiente” nel testo di riforma del Titolo V, in Problemi del federalismo, Milano,

2001, 185. 48 Sul punto cfr., per tutti, A. THIENE, Commento all’art. 18 l. 8 luglio 1986, n. 349, in Codice

commentato dei reati e degli illeciti ambientali, a cura di F. GIUNTA, Padova, 2005, 1604 ss., con ampie indicazioni bibliografiche e giurisprudenziali.

49 S. PATTI, Ambiente (tutela dell’) nel diritto civile, in Dig. disc. priv. Sez. civ., I, Torino, 1987, 286; B. CARAVITA, Diritto pubblico dell’ambiente, Bologna, 1990, 43 ss.; A. GUSTAPANE, La tutela globale dell’ambiente: dalla legge 349 el 1986 alle leggi 142 e 241 del 1990, Milano, 1991, 15 ss.; ID., Tutela dell’ambiente (diritto interno), in Enc. dir., XLV, 1992, 413.

50 R. BAJNO, Ambiente (tutela dell’) nel diritto penale, in Dig. disc. pen., I, 1987, 116 ss.; A. ALBAMONTE, Sistema penale e ambiente, Padova, 1988, 8 ss.; L. BERTOLINI, Ambiente (tutela dell’). IV) Diritto penale, in Enc. giur. Treccani, I, Roma, 1988, 1; A. FIORELLA, Ambiente e diritto penale in Italia, in Protection of the

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impedirebbe, infatti, di cogliere al suo interno specifici e più ristretti settori di intervento della normativa penale51. Peraltro, tale considerazione, per così dire, analitica del bene ambiente, dal punto di vista strettamente penalistico parrebbe presentare vantaggi apprezzabili anche sul piano della costruzione della fattispecie, nel momento in cui si devono selezionare le specifiche modalità di aggressione. Si comprende, infatti, come risulti più agevole, soprattutto in una prospettiva di concreta offensività del fatto, ritagliare comportamenti dotati di attitudine offensiva nei confronti di ognuna delle componenti ambientali singolarmente considerate, piuttosto che nei confronti del sistema naturale nel suo complesso52. Anche l’accertamento del nesso causale tra una determinata condotta e l’evento offensivo risulta certamente agevolato dalla circostanza che si assumano ad oggetto della tutela i singoli elementi di ciascun ecosistema.

Sicché, pur riconoscendo che l’ambiente costituisce il bene unitario di categoria, non si dovrebbe trascurare l’importanza, de iure condito e – ancor più – de iure condendo, di costruire ed interpretare le singole fattispecie incriminatrici in una prospettiva orientata alla tutela dei singoli elementi (scomposti) di ogni ecosistema53. Questi ultimi, in altre parole, verrebbero ad assurgere al rango di oggetti giuridici specifici, dotati di quella materialità necessaria ad arginare il tanto contestato processo di volatilizzazione del bene tutelato. Siffatta scomposizione del bene ambiente, peraltro, porterebbe con sé il vantaggio che

Environment and penal law, a cura di C. ZANGHÌ, Bari, 1993, 231. Cfr., altresì, M. S. GIANNINI, “Ambiente”: saggio sui suoi diversi aspetti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1973, 15 ss.

51 F. GIUNTA, Il diritto penale dell’ambiente in Italia, cit., 1108, nonché ID., Tutela dell’ambiente (diritto penale), in corso di pubblicazione in Enc. dir., Aggiornamento, § 2.

La considerazione analitica del bene ambiente, dal punto di vista meramente classificatorio induce una parte della dottrina a raggruppare i reati ambientali, con riferimento ai singoli settori di incidenza, in tre categorie. La prima sarebbe costituita dalle norme che mirano a tutelare l’ambiente contro fenomeni di inquinamento atmosferico, idrico, del suolo, acustico e radioattivo: verrebbero, cioè, prese in considerazione le componenti naturali che formano l’ecosistema, a loro volta suscettibili di dare vita ad altrettanti sottoinsiemi normativi a seconda del singolo elemento oggetto specifico di tutela. Un secondo gruppo potrebbe ricomprendere tutte le disposizioni volte a sanzionare l’attività edilizia abusiva: ad essere tutelato in questo caso sarebbe l’ambiente, inteso come assetto e sviluppo urbanistico. La terza categoria di norme penali potrebbe riferirsi alle condotte di depauperamento del patrimonio artistico e culturale.

52 Su tale problematica cfr., tra gli altri, R. M. MATA Y MARTÍN, Bienes jurídicos intermedios y delitos de peligro, cit., 38 ss. Nella dottrina italiana, per tutti, F.C. PALAZZO, Principi fondamentali e opzioni politico criminali nella tutela penale dell’ambiente, in Ambiente e diritto, a cura di S. GRASSI, M. CECCHETTI, A. ANDRONIO, Firenze, 1999, II, 555 ss.

53 In senso analogo F. G. SCOCA, Osservazioni sugli strumenti giuridici di tutela dell’ambiente, in Dir. e soc., 1993, 402 ss.

L’attuale volto dell’illecito penale ambientale

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l’eventuale, e da più parti auspicata, riformulazione delle relative fattispecie incriminatrici nel senso di un (almeno parziale) abbandono del modello del reato di pericolo astratto potrebbe svincolarsi da ogni riferimento a macro-eventi affetti da inevitabile gigantismo.

La prospettata relazione tra bene di categoria e bene specifico, del resto, non è inedita nel nostro ordinamento: basti pensare, solo per fare un esempio, al settore dei delitti contro la persona, che incentrano la loro tipicità su modalità di aggressione nei confronti di specifiche articolazioni (vita, incolumità individuale, libertà, ecc.) del bene di categoria (la persona, appunto)54.

4. La tutela dell’ambiente come bene finale: la rivalutazione della concezione antropocentrica

Nell’ambito della più recente dottrina penalistica sull’argomento suscita

forte attrazione e suggestione l’idea di poter parlare a proposito della tutela dell’ambiente di ecocentrismo (o biocentrismo) piuttosto che di antropocentrismo55, sulla scorta di teorie elaborate in ambito filosofico, “che considerano il rapporto tra uomo e ambiente nei modi più disparati, ponendo l’uomo in posizione di accentuato rilievo ovvero considerandolo semplicemente un

54 Di recente ribadisce la necessità che “(anche) i beni collettivi” sottostiano “ad un processo di

successiva specificazione e «concretizzazione», atto a conferire alla fattispecie un adeguato ruolo selettivo dell’ambito della tutela” G. DE FRANCESCO, Interessi collettivi e tutela penale. «Funzioni» e programmi di disciplina dell’attuale complessità sociale, in Studi in onore di G. Marinucci, Milano, 2006, I, 937. Una concretizzazione, questa, −−−− prosegue l’Autore – “volta ad enucleare dal bene generale e «categoriale» l’interesse pertinente alla singola norma incriminatrice di volta in volta considerata”.

55 Sul punto amplius J. LUTHER, Antropocentrismo ed ecocentrismo nel diritto dell’ambiente in Germania e in Italia, in Pol. dir., 1989, 673 ss. L’Autore osserva come tale concezione si rispecchi perfino nelle stesse formule linguistiche di Umwelt, environment, ambiente, intese come il mondo circostante l’uomo stesso che viene posto al centro del mondo (op. cit., 675). Per un raffronto tra le due opposte concezioni −−−− antropocentrica, da un lato, ed ecocentrica, dall’altro −−−− cfr. nella dottrina tedesca, per tutti, R. RENGIER, Zur Bestimmung und Bedeutung der Rechtsgüter im Umweltstrafrecht, in NJW, 1990, 2506 ss.; M. KLOEPFER, H. VIERHAUS, Umweltstrafrecht, cit., 12 ss.; nella dottrina spagnola, tra gli altri, N. J. DE LA

MATA BARRANCO, Protección penal del ambiente y accessoriedad administrativa, cit., 47 ss.; R. ALCÁCER

GUIRAO, La protección del futuro y los daños cumulativos, in Revista Electrónica de Ciencia Penal y Criminología, 2002, RECPC 04-08, 2 ss.; J. C. SESSANO GOENAGA, La protección penal del medio ambiente, cit., 19 ss. ss.; A. J. BARREIRO, El bien jurídico protegido en los delitos contra el medio ambiente en el CP de 1995, in Estudios sobre la protección penal del medio ambiente en el ordinamiento jurídico español, a cura di A. J. BARREIRO, Granada, 2005, 38 ss.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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elemento dell’ambiente”56. Sennonché, dal punto di vista giuridico questo approccio al problema può risultare fuorviante, posto che il diritto implica una sorta di antropocentrismo necessario in quanto, come scienza sociale, si occupa dell’uomo e quindi non può considerare l’ambiente se non con riferimento all’uomo ed ai suoi comportamenti57.

Il punto merita, però, maggiore approfondimento. Ci sembra, infatti, che la dialettica instaurata tra antropocentrismo ed ecocentrismo nel settore del diritto penale rischi di trascinare con sé un equivoco di fondo. Talora, infatti, pare che l’accoglimento della concezione antropocentrica presupponga la negazione dell’ambiente come oggetto giuridico dotato di dignità autonoma rispetto ai beni della persona, sì da configurare questi ultimi come i soli beni finali tutelati dalle norme incriminatrici58. In realtà, la valorizzazione del bene ambiente come autonomo e rilevante interesse tutelabile, dotato di un proprio substrato empirico, non pare essere una prerogativa della sola prospettiva ecocentrica. La visione “etichettata” come antropocentrica esprime solo l’esigenza che vi sia un necessario contemperamento tra la protezione del bene naturale e quella dei beni personali degli individui o di altri beni collettivi parimenti rilevanti all’interno del contesto sociale59. Circostanza, questa, mai messa in dubbio neppure dai sostenitori della visione ecocentrica, i quali – non a caso – non trascurano mai di qualificare il propugnato ecocentrismo con aggettivi quali “moderato”, “debole”, o sinonimi. Rischiano, dunque, di apparire velleitarie le considerazioni di chi auspica una “rivoluzione culturale” nel segno dell’ecocentrismo moderato, salvo poi riconoscere che “la tutela dell’ambiente in qualità di bene autonomo, dotato di identità materialistica, non necessariamente implica il disconoscimento del collegamento tra esso e gli interessi umani. Ignorare tale collegamento è, infatti, operazione ermeneutica priva di utilità, se si considera che ogni bene giuridico tutelato dal diritto penale è, in quanto tale, un bene a dimensione antropocentrica, protetto in funzione dello scopo di conservare le condizioni di vita dell’uomo, come singolo o come

56 F. G. SCOCA, Osservazioni sugli strumenti giuridici di tutela dell’ambiente, cit., 402. 57 F. G. SCOCA, Osservazioni sugli strumenti giuridici di tutela dell’ambiente, cit., 403. Cfr., altresì, M.

CECCHETTI, Principi costituzionali per la tutela dell’ambiente, cit., 49 ss. 58 Sembra questa la conclusione prospettata da L. SIRACUSA, La tutela penale dell’ambiente, cit., 14,

37. 59 È noto, del resto, che il menzionato bilanciamento di interessi si verifica anche in altri settori

del diritto penale. Sul tema v., per tutti, D. PULITANÒ, L’anticipazione dell’intervento penale in materia economica, in Atti del IV Congresso nazionale di diritto penale, Torino, 1996, 9 ss.

L’attuale volto dell’illecito penale ambientale

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collettività organizzata in gruppo sociale o Stato”60. Tanto più quando si soggiunge che “vale per la tutela dell’ambiente ciò che vale anche per altri rami del diritto penale, ossia che la natura intrinsecamente antropocentrica dei beni protetti non implica che dal punto di vista della tecnica di redazione delle fattispecie incriminatrici sia necessario configurare per ciascun reato un’offesa agli interessi della persona in aggiunta all’offesa al bene direttamente protetto dalla norma penale”61.

Non si comprende allora perché la concezione antropocentrica dovrebbe portare alla negazione dell’autonomia del bene ambiente e alla sua inaccettabile strumentalità rispetto a beni differenti. È forte l’impressione che l’attuale sbandierata impostazione ecocentrica, tanto in voga negli ultimi tempi, abbia soprattutto un valore simbolico, quasi che solo una concezione ecocentrica sia “in grado di ispirare una tutela che, nella sua tendenziale assolutezza anche ideologica, possa aspirare a qualche maggior risultato”, tanto più “di fronte alle difficoltà che l’ambiente ancora incontra nell’essere riconosciuto come esigenza prioritaria rispetto ai configgenti interessi dello sviluppo e di fronte alla persistente devastazione cui esso spesso soccombe”62. In breve: il novum della concezione econcentrica sembra esaurirsi nel desiderio di svincolare definitivamente l’ambiente dall’ombra di beni giuridici di più risalente e consolidata tradizione.

Sennonché, il risultato di sancire l’autonomia dell’ambiente rispetto ad altri beni giuridici non è incompatibile con i postulati della visione antropocentrica, se non a costo di attribuire a quest’ultima necessariamente un’accezione negativa; quasi che parlare di antropocentrismo equivalga a legittimare da parte dell’uomo uno sfruttamento incondizionato dell’ambiente, il quale – conseguentemente – verrebbe tutelato solo se e nella misura in cui rileva come strumento per la protezione di altri beni o interessi che traggono vantaggio dalla sua conservazione. Ma nulla di tutto ciò sembra, invero, caratterizzare la visione antropocentrica, che non è affatto incompatibile – è bene ribadirlo – con il riconoscimento dell’autonomia del bene ambiente che va di pari passo con l’acquisizione della consapevolezza della sua consistenza ed esatta fisionomia, del formarsi attorno ad esso di un consenso sociale63. Per converso,

60 L. SIRACUSA, La tutela penale dell’ambiente, cit., 241. 61 L. SIRACUSA, La tutela penale dell’ambiente, cit., 241. 62 F. C. PALAZZO, Principi fondamentali e opzioni politico criminali nella tutela penale dell’ambiente, cit., 559. 63 È dell’idea che una verifica “orientata sul consenso sociale” possa “costituire il catalizzatore di

cui la teoria del bene giuridico ha attualmente bisogno per riattivare i suoi processi speculativi” C. E. PALIERO, Consenso sociale e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 886.

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invece, non sarebbe realisticamente sostenibile che il legislatore, tanto più in sede penale, possa spingere la tutela al punto da perdere di vista il ruolo che l’uomo, e gli interessi di cui egli è portatore, assume rispetto all’ambiente64, escludendo in radice −−−− come vorrebbe la prospettiva econcentrica – la possibilità di qualunque bilanciamento65. In realtà, la visione antropocentrica, che piaccia o meno, permea di sé tutta la legislazione in materia ambientale66.

Una corretta impostazione della questione sembra, dunque, presupporre la puntualizzazione di una più moderna forma di antropocentrismo67. In effetti, tradizionalmente la difesa dell’ambiente è stata perseguita solo strumentalmente, in via mediata68. “Altri erano i beni o i valori individuati teleologicamente dalle norme, il cui referente era comunque sempre l’uomo uti singuli o la collettività”69. Ebbene, è questo il dato che può considerarsi “superato”. L’evoluzione sociale e giuridica ha dimostrato, infatti, la necessaria alterità ed autonomia del bene ambiente rispetto ai diversi interessi individuali o collettivi tradizionalmente utilizzati per conseguire una tutela (mediata e indiretta) dell’ambiente medesimo, posta la difficoltà di quest’ultimo ad affermarsi come valore autonomo piuttosto che come mera estrinsecazione del diritto alla salute. Si comprende allora come la concezione ecocentrica abbia (opportunamente) svolto in una certa fase storica il ruolo di grimaldello per scardinare le resistenze al pieno riconoscimento di un valore in via di progressiva emersione. Ma a prescindere da questa rilevanza sul piano

64 Analogamente F. GIUNTA (Tutela dell’ambiente, cit., § 3) osserva come “altro è la necessaria tutela

dell’ambiente dall’uomo, altro è la tutela dell’ambiente a prescindere dall’uomo; quest’ultima opzione, certamente legittima sul piano ideologico, sovverte la gerarchia dell’assiologia costituzionale centrata sulla preminenza della persona”.

65 Sul punto, amplius, F. GIUNTA, Ideologie punitive e tecniche di normazione nel diritto penale dell’ambiente, cit., 846. Nella stessa prospettiva recepita nel testo sembra collocarsi anche G. INSOLERA, Modello penalistico puro per la tutela dell’ambiente, in Dir. pen. proc., 1997, 738.

66 In questo senso anche M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit., 42; E. LO MONTE, Diritto penale e tutela dell’ambiente, cit., 331 ss. Nella dottrina spagnola, a favore di una concezione moderatamente antropocentrica, v. J. C. SESSANO GOENAGA, La protección penal del medio ambiente, cit., 19 ss. e bibliografia ivi riportata

67 In tale prospettiva anche M. CECCHETTI (Principi costituzionali per la tutela dell’ambiente, cit., 54) osserva che “la contrapposizione netta tra l’approccio antropocentrico e quello econcentrico non deve essere forzata rischiando, altrimenti, di condurre a pericolosi, quanto inutili, estremismi. In realtà, occorre accettare senza timori pregiudiziali la prospettiva antropocentrica, recuperandone però una nozione corretta, fondata su una vera centralità dell’uomo nel creato e non sulla contrapposizione utilitaristica”.

68 D. BORGONOVO RE, Ecologia, in Dig. disc. pub., V, Torino, 1990, 354. 69 D. BORGONOVO RE, Ecologia, cit., 354.

L’attuale volto dell’illecito penale ambientale

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ideologico e – come anticipato – simbolico, la concezione econcentrica non corrisponde (e verosimilmente non potrà mai corrispondere) al volto del sistema di tutela dell’ambiente70.

Si potrebbe obiettare che alcuni nuovi strumenti istituzionali si avvicinano ad un’impostazione ecologica di centralità della tematica ambientale e di relativizzazione della posizione antropica71, in quanto immediatamente funzionali alla tutela degli equilibri naturali, sulla base del riconoscimento di un valore autonomo di tali condizioni72. Ma questa significativa e – si sottolinea −−−− positiva evoluzione della tutela ambientale non implica che si sia pervenuti ad una protezione totalizzante ed incondizionata del bene de quo.

Solo per fare un esempio, si pensi all’istituto della valutazione di impatto ambientale. Con quest’ultima si realizza un’autonoma considerazione dell’ambiente73. Tuttavia, “va sgombrato il campo dal postulato (...) che la presenza di un’area di «alto valore ecologico e naturalistico» (…) precluda per ciò stesso una valutazione positiva di impatto ambientale o, addirittura, che il progetto di un’opera da sottoporre a v.i.a., per essere assentito, non debba determinare alcun impatto sull’ambiente. Poiché il concetto di valutazione di impatto ambientale implica necessariamente che le opere da valutare abbiano comunque un’incidenza sugli elementi naturalistici del territorio, modificandolo in misura più o meno penetrante, si tratta di stabilire se le alterazioni conseguenti alla loro realizzazione possano ritenersi «accettabili» alla stregua di un giudizio comparativo che tenga conto, da un lato, della necessità di salvaguardare preminenti valori ambientali, dall’altro, dell’interesse pubblico sotteso all’esecuzione dell’opera”74. Siffatte conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza sono state ritenute condivisibili anche dalla dottrina, posto che “l’importanza dell’impatto ambientale non costituisce il requisito sufficiente al diniego della realizzabilità dell’opera, ma il presupposto per effettuare la valutazione di impatto ambientale e definire le misure di bilanciamento tra gli interessi protetti e l’interesse pubblico di specie”75.

70 Nello stesso senso F. G. SCOCA, Osservazioni sugli strumenti giuridici di tutela dell’ambiente, cit., 403. 71 D. BORGONOVO RE, Ecologia, cit., 354. 72 D. BORGONOVO RE, Ecologia, cit., 354. L’autrice approfondisce lo spunto richiamando la

normativa sulle aree di cosiddetta «riserva integrale», finalizzate a scopi di mera protezione naturalistica, e di «riserva biogenetica», finalizzate alla conservazione del patrimonio genetico di alcune specie.

73 D. BORGONOVO RE, Ecologia, cit., 357 ss. 74 Consiglio di Stato, VI, 5 gennaio 2004, n. 1, in Riv. giur. ed., 2004, I, 979 ss. 75 P. DELL’ANNO, La valutazione di impatto ambientale tra “timidi” interventi di riforma legislativa e principi

giurisprudenziali, in Giurisdizione amministrativa, 2007, 70.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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Tanto considerato, vale anche la pena di precisare che la tutela dell’ambiente nel nostro ordinamento viene affidata alla previsione di specifiche fattispecie destinate a operare indipendentemente dalla condizione che i comportamenti incriminati mettano effettivamente in pericolo beni di singoli individui, quali ad esempio la vita e la salute, o il bene dell’incolumità pubblica. Nell’ordinamento italiano sono, peraltro, assenti, a differenza di quanto accade in altri Paesi76, anche fattispecie volte a tipizzare l’eventuale progressione del comportamento inosservante della legislazione in materia ambientale verso livelli di rischio superiori rispetto a quelli descritti dalle fattispecie-base77. Tale circostanza, evidentemente, non esclude che i predetti beni di natura personale o collettiva siano tutelati dall’ordinamento anche nei confronti di condotte aggressive che si sostanzino in primis in pregiudizi per l’ambiente. Nondimeno, l’ombrello protettivo è in siffatte ipotesi, de iure condito, offerto dalle generali fattispecie codicistiche pensate appunto con riferimento ai tradizionali beni della persona o della collettività. Nulla, peraltro, impedisce che, de iure condendo, nella costruzione di alcune fattispecie incriminatrici il legislatore assuma il pregiudizio all’ambiente come presupposto fattuale e giuridico di condotte offensive, altresì, di beni personali. In tal caso, comunque, è verosimile ritenere che l’offesa ai beni personali verrebbe ad aggiungersi all’offesa-base all’equilibrio ecologico, rappresentando un quid pluris, un evento aggravatore. Non verrebbe in tal modo smentita la scelta di tutelare l’ambiente come bene autonomo, ma si perverrebbe semplicemente all’esplicito riconoscimento che la tutela delle risorse naturali può contribuire, in via strumentale, anche alla salvaguardia di altri beni.

76 Sul punto cfr. amplius infra § 5. 77 F. GIUNTA, Ideologie punitive e tecniche di normazione nel diritto penale dell’ambiente, cit., 848; A.

MANNA, Struttura e funzione dell’illecito penale ambientale. Le caratteristiche della normativa sopranazionale, in Giur. merito, 2004, 2171. Era, del resto, questa la tecnica normativa suggerita, in relazione a peculiari ipotesi, dall’Unione europea ai legislatori degli Stati membri con la decisione quadro del 27 gennaio 2003, n. 2003/80/Gai. In essa, infatti, era evidente lo stretto collegamento tra il bene ambiente ed il bene della incolumità individuale. Il bene ambiente appariva, invero, nella costruzione normativa di diverse fattispecie, il bene strumentale oggetto di protezione da parte della predetta decisione-quadro intenta, tuttavia, “a tutelare direttamente il più significativo bene dell’incolumità individuale e/o vita umana”. Così A. SATTA, La tutela penale dell’ambiente nelle norme interne e comunitarie, in D&G, 2003, 83.

L’attuale volto dell’illecito penale ambientale

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5. Il rinvio al diritto amministrativo come caratteristica del diritto penale ambientale italiano

Il riconoscimento unanime dell’esigenza di bilanciare la tutela del bene

ambiente con altri beni giuridici ha conferito al diritto penale nella materia de qua una peculiare caratteristica, rappresentata dalla stretta e costante interazione nella descrizione del tipo tra fonti penali e norme di diritto amministrativo adottate ai diversi livelli di governo. Salvo sporadiche eccezioni, infatti, non si riscontrano nel settore in esame norme incriminatrici che non rinviino il compito di puntualizzare il proprio ambito di operatività ad atti amministrativi o alle norme che disciplinano questi ultimi78. Si può dire, pertanto, che il diritto penale dell’ambiente si presenta come un complesso di fattispecie ‘aggregate’ a complessi amministrativi di disciplina, secondo gli schemi tipici del Verwaltungsstrafrecht79.

La stretta dipendenza della disciplina penale in materia ambientale dalla normativa extrapenale di settore costituisce, invero, il risultato dell’operare congiunto di due diversi fattori: da un lato, l’appartenenza del diritto penale ambientale italiano al diritto c.d. complementare, per sua natura connotato da una stretta compenetrazione tra diritto penale e disciplina extrapenale; dall’altro

78 Sul punto, per tutti, M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit., 53. Nello stesso senso, tra

gli altri, A. FIORELLA, Ambiente e diritto penale in Italia, cit., 232. Per una disamina delle possibili relazioni configurabili tra diritto penale e diritto amministrativo nella tutela dell’ambiente cfr., per tutti: nella letteratura tedesca G. HEINE, Verwaltungsakzessorietät des Umweltstrafrechts, in NJW, 1990, 2426 ss.; R. SCHEELE, Zur Bindung des Strafrichters an fehlerhafte behördliche Genehmigungen im Umweltstrafrecht, Berlin, 1993, 19 ss.; G. HEINE, Elaboration of Norms and Protection of the Environment, in Protection of the environment and penal law, a cura di C. ZANGHÌ, Bari, 1993, in particolare, 67 ss.; G. HEINE, Aspekte des Umweltstrafrechts im internationalen Vergleich, in GA, 2001, 67 ss.; R. SCHMITZ, Vor §§ 324 ff., in Münchener Kommentar zum Strafgesetzbuch, cit., 1558 ss.; nella dottrina spagnola, N. J. DE LA

MATA BARRANCO, Protección penal del ambiente y accessoriedad administrativa, cit., 61 ss., il quale descrive, altresì, le diverse possibili forme di “accessorietà” (“Accessoriedad conceptual”, “Accessoriedad de derecho”, “Accessoriedad de acto”) del diritto penale nei confronti del diritto amministrativo (ivi, 77 ss.). Analogamente, A. J. BARREIRO, El bien jurídico protegido en los delitos contra el medio ambiente en el CP de 1995, cit., 33 ss.

79 Sulla c.d. accessorietà del diritto penale ambientale italiano nei confronti del diritto amministrativo cfr., tra gli altri, A. L. VERGINE, Ambiente nel diritto penale (tutela dell’), in Dig. disc. pen., IX, Appendice, Torino, 1995, 757 ss. In termini generali, per una disamina del fenomeno in relazione al diritto penale accessorio nel suo complesso, tra gli altri, C. PIERGALLINI, Norma penale e legge regionale: la costruzione del tipo, in Sulla potestà punitiva dello Stato e delle Regioni, a cura di E. DOLCINI, T. PADOVANI, F. C. PALAZZO, Milano, 1994, 152.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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lato, il carattere compositivo, appunto, che la tecnica di tutela assume in forma decisamente rilevante in questo settore.

Come infatti anticipato, il riconoscimento del rilievo costituzionale del bene ambiente non implica un’incondizionata subordinazione ad esso di ogni altro valore desumibile dalla Costituzione; con l’ovvia conseguenza che eventuali conflitti tra il bene ambiente ed altri valori devono essere inevitabilmente risolti con criteri che bilancino il peso di ciascuno di essi nel caso concreto80. “L’interesse ambientale – è stato osservato −−−− si presenta già di per sé, ontologicamente, come interesse complesso, poliedrico, non univoco e consistente per definizione in un equilibrio mai stabile, diverso a seconda della dimensione territoriale che si prenda in considerazione e legato a dati scientifici e tecnici spesso non pienamente certi e per loro natura soggetti a frequenti modificazioni nel tempo. È evidente, pertanto, che lo stesso interesse alla tutela dell’ambiente trova la sua matrice intrinseca solo nella complessa ponderazione di una serie di elementi, la cui mutevolezza – in rapporto alle singole situazioni e alla stessa dimensione temporale – impedisce l’individuazione e il perseguimento di obiettivi predeterminabili in astratto e validi una volta per tutte”81.

Dal punto di vista della tutela penale, l’esistenza di tale potenziale conflitto tra la difesa dell’equilibrio ecologico, da un lato, ed una molteplicità di interessi contrapposti, dall’altro lato82, ha indotto il legislatore italiano ad adottare una strategia che, anziché assolutizzare la protezione di uno o più beni a discapito di altri, cerca piuttosto di ridurne la conflittualità, attraverso il ricorso a

80 In questo senso, tra gli altri, B. CARAVITA, A. MORRONE, La giurisprudenza costituzionale in materia

ambientale nel 1994, in Riv. giur. amb., 1996, 356; G. CORDINI, Diritto ambientale comparato, cit., 102; G. AZZALI, La tutela penale dell’ambiente, cit., 4; B. CARAVITA DI TORITTO, Il diritto costituzionale dell’ambiente, in Le fonti del diritto italiano. Codice dell’ambiente, a cura di S. NESPOR, A. L. DE CESARIS, Milano, 2003, 109 ss. Anche nella giurisprudenza costituzionale è pacifico che “la tutela dell’integrità del paesaggio e dell’ambiente non è comunque assoluta, ma suscettibile di estimazione comparativa nell’ordinamento giuridico, poiché esistono altri valori costituzionali che ben possono legittimare il bilanciamento delle tutele” (Corte cost., 3 marzo 1986, n. 39, in Giur. cost., 1986, 317). In termini generali cfr., altresì, R. BIN, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Padova, 1992, in particolare 56 ss.

81 M. CECCHETTI, Principi costituzionali per la tutela dell’ambiente, cit., 194. 82 Rileva, per esempio, come la tutela dell’ambiente si ponga in una necessaria situazione di

conflitto con lo sviluppo economico ed industriale, di cui spesso l’inquinamento e la degradazione della natura sono inevitabili conseguenze, S. PATTI, Valori costituzionali e tutela dell’ambiente, in Diritto e Ambiente, a cura di M. ALMERIGHI, G. ALPA, Padova, 1984, 111. Analogamente nella dottrina spagnola cfr, per tutti, N. J. DE LA MATA BARRANCO, Protección penal del ambiente y accessoriedad administrativa, cit., in particolare 61 ss.

L’attuale volto dell’illecito penale ambientale

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strumenti integrati di disciplina ed intervento83. Sicché, il raccordo tra tutela penale e disciplina amministrativa sembrerebbe trovare la propria giustificazione nella necessità di presidiare efficacemente l’esercizio da parte della pubblica amministrazione sia di funzioni di controllo, sia di funzioni compositive. Per mezzo delle prime, organi tecnicamente qualificati perseguono l’obiettivo di contenere entro limiti accettabili i rischi insiti nell’esercizio di determinate attività socialmente rilevanti, ma potenzialmente lesive di interessi pubblici; per mezzo delle seconde, le autorità competenti cercano di comporre, appunto, le diverse esigenze che ruotano attorno ad una pluralità di interessi, tutti meritevoli di protezione, con la conseguente impossibilità di sancire a priori la prevalenza assoluta di uno di essi sugli altri, al fine di focalizzare sullo stesso una tutela incondizionata.

Risulta, dunque, più che mai evidente in tale settore la stretta interdipendenza che, di regola, sussiste tra beni e interessi meritevoli di protezione, da un lato, e selezione delle tecniche di tutela (e, conseguentemente, di costruzione della singola fattispecie incriminatrice), dall’altro84. In linea generale, infatti, là dove sia possibile risolvere un conflitto di interessi in termini assoluti, sancendo la prevalenza esclusiva di un determinato bene sugli altri, e si ritenga tale bene meritevole di tutela penale, sarà possibile ricorrere a modelli penalistici puri85. Lo schema dell’incriminazione è allora, per lo più, imperniato sulla produzione di un evento di danno o di pericolo concreto. In tal caso, “il paradigma normativo si incentra sul rapporto diretto tra la legge, che individua a priori quale sia l’interesse prevalente, ed il giudice chiamato ad accertare l’offesa”86. Qualora, viceversa, la prevalenza di un interesse sugli altri non possa essere sancita a priori e in astratto, è necessario rimettere la decisione del conflitto in concreto alla pubblica amministrazione, quale autorità dotata della qualificazione tecnica necessaria ad effettuare valutazioni e riscontri specifici. In termini generali è possibile, peraltro,

83 Cfr., amplius, C. PEDRAZZI, Profili penalistici di tutela dell’ambiente, ne L’Indice pen., 1991, 619; G.

MARINUCCI, E. DOLCINI, Corso di diritto penale. I. Le norme penali: fonti e limiti di applicabilità. Il reato: nozione, struttura e sistematica, Milano, 2001, 546 ss.; M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit., in particolare 95 ss.

84 In argomento cfr. G. FIANDACA, La parte speciale tra codificazione e legislazione penale speciale, in Prospettive di riforma del codice penale e valori costituzionali, Milano, 1996, in particolare 248 ss.

85 D. PULITANÒ, La formulazione delle fattispecie di reato: oggetti e tecniche, in Beni e tecniche della tutela penale. Materiali per una riforma del codice, Milano, 1987, 37.

86 T. PADOVANI, Tutela di beni e tutela di funzioni nella scelta tra delitto, contravvenzione e illecito amministrativo, in Cass. pen., 1987, 673; nonché, ID., La scelta delle sanzioni in rapporto alla natura degli interessi tutelati, in Beni e tecniche della tutela penale. Materiali per una riforma del codice, Milano, 1987, 95.

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constatare come, mentre la parte speciale del codice penale è incentrata in larghissima parte su fattispecie costruite sulla base del modello per primo descritto (modello penalistico puro), nella legislazione complementare si assiste, soprattutto negli ultimi tempi, ad una costante crescita di fattispecie corrispondenti al secondo schema (modello di tutela integrata), accompagnata da una contestuale prevalenza delle funzioni compositive degli atti amministrativi che assurgono al ruolo di elementi di fattispecie penali87.

Tanto premesso, risulta evidente come la tutela dell’ambiente, in una visione realistica, non possa non essere inquadrata in una prospettiva di ampio respiro, che abbia di mira non solo l’assoluta purezza delle risorse naturali, ma un equilibrato contemperamento di esigenze contrapposte; esigenze connesse alla politica ecologica, alla politica di impresa, alla politica di sviluppo, ecc. 88. Da qui la scelta di affidare alla pubblica amministrazione la gestione del conflitto, attraverso la precisazione dei termini di prevalenza di un interesse sull’altro, con la conseguenza che la sanzione penale interviene per tutelare le modalità legalmente prescritte per la soluzione dello stesso89. Come è stato rilevato90, in tali ipotesi “il paradigma legge-giudice si complica, quindi, con l’intervento

87 Su questa complessa problematica cfr., di recente, G. DE FRANCESCO, Interessi collettivi e tutela

penale. «Funzioni» e programmi di disciplina dell’attuale complessità sociale, cit.., 929 ss. 88 In tal senso cfr. G. FIANDACA, G. TESSITORE, Diritto penale e tutela dell’ambiente, in Materiali per

una riforma del sistema penale, Milano, 1984, 36, 51; M. CATENACCI, G. HEINE, La tensione tra diritto penale e diritto amministrativo nel sistema tedesco di tutela dell’ambiente, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1990, 921, 922; C. PEDRAZZI, Profili penalistici di tutela dell’ambiente, cit., 619; A. GUSTAPANE, Tutela dell’ ambiente (dir. interno), cit., in particolare 422; S. PANAGIA, La tutela dell’ambiente naturale nel diritto penale d’impresa, Padova, 1993, 2; M. CATENACCI, Rapporti tra tecniche penali e amministrative nel sistema italiano di tutela dell’ambiente, in Protection of the enviroment and penal law, a cura di C. ZANGHÌ, Bari, 1993, 258 ss.; G. INSOLERA, Modello penalistico puro per la tutela dell’ambiente, cit., 737 ss.; L. STORTONI, L’ambiente: aspetti penali della legislazione europea, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1999, 888; G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Corso di diritto penale, cit., 548. In senso critico su tale profilo cfr., invece, P. PATRONO, Inquinamento idrico da insediamenti produttivi e tutela penale dell’ambiente, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1991, 1028; ID., La responsabilità del produttore per danni alla salute, in Riv. trim dir. pen. econ., 1991, in particolare 1067 ss.

89 Cfr., in tal senso, T. PADOVANI, La distribuzione di sanzioni penali e di sanzioni amministrative secondo l’esperienza italiana, in Riv. it. dir. proc. pen., 1984, 958; ID., Il binomio irriducibile. La distinzione tra delitti e contravvenzioni fra storia e politica criminale, in Diritto penale in trasformazione, a cura di E. DOLCINI, G. MARINUCCI, Milano, 1985, 451; ID., Delitti e contravvenzioni, in Dig. disc. pen., III, Torino, 1989, in particolare 330 ss.; A. L. VERGINE, Ambiente nel diritto penale (tutela dell’), cit., 757. Sul punto cfr., altresì, M. DONINI, Il delitto contravvenzionale. ‘Culpa iuris’ e oggetto del dolo nei reati a struttura e condotta neutra, Milano, 1993, in particolare 155 ss.

90 T. PADOVANI, La problematica del bene giuridico e la scelta della sanzioni, in Dei delitti e delle pene, 1984, 118; ID., Tutela di beni e tutela di funzioni nella scelta tra delitti, contravvenzione e illecito amministrativo, cit., 674; ID., La scelta delle sanzioni in rapporto alla natura degli interessi tutelati, cit., 95.

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dell’amministrazione”, la quale esplica, con intensità e discrezionalità variabili91, il proprio potere decisionale in relazione agli interessi da bilanciare92.

Del resto, è in particolare l’emergere e la progressiva espansione di nuovi beni c.d. ad ampio spettro o collettivi93 ad evidenziare, in termini generali, l’esistenza di rapporti conflittuali tra interessi di natura diversa e, dunque, la necessità di ricorrere a forme integrate (amministrative-penali) di tutela94. E non a caso la tutela penale dell’ambiente viene generalmente indicata come ipotesi paradigmatica di protezione di interessi diffusi95. Peraltro, questa qualificazione, che già era attribuibile ad alcuni interessi sovraindividuali presenti nel Codice Rocco (si pensi, solo per fare alcuni esempi, all’incolumità pubblica, al sentimento religioso, al buon costume), assume indiscutibilmente rinnovato interesse per il penalista nel momento in cui caratterizza nuovi valori emergenti. Infatti, l’interesse diffuso “sfugge alla dinamica «classica» del bene giuridico, quale proiezione sovraindividuale di diritti soggettivi: e ciò perché, nonostante i singoli consociati possano fruire individualmente dei beni oggetto di un interesse diffuso, quest’ultimo può venire in considerazione solo come interesse di massa, riferibile impersonalmente a grandi categorie di soggetti” 96.

Astrattamente anche i suddetti beni potrebbero essere tutelati attraverso il ricorso a modelli penalistici puri, ma una serie di considerazioni ha, almeno finora, indotto a ritenere che il collegamento tra sanzione penale, da un lato, e attività di governo della pubblica amministrazione, dall’altro, possa meglio garantire la coerenza ed efficienza del sistema. Tale tecnica legislativa, infatti, innanzitutto fa sì che le esigenze repressive si coordinino con l’esigenza di prevenire, fin dove possibile, l’insorgere di conflitti di interessi, attraverso il

91 Sul punto v. anche, infra, cap. II, § 4. 92 In argomento cfr., tra gli altri, R. BAJNO, La tutela penale del governo del territorio, Milano, 1980, 37

ss. 93 Sul tema cfr. F. SGUBBI, La tutela penale di «interessi diffusi», in La Questione criminale, 1976, 439 ss.;

A. DE VITA, I reati a soggetto passivo indeterminato, Napoli, 1999, 2 ss. 94 Sul punto cfr., tra gli altri, R. BAJNO, Ambiente (tutela dell’) nel diritto penale, cit., 128; A. ESER, La

tutela penale dell’ambiente in Germania, ne L’Indice pen., 1989, 237; M. CATENACCI, G. HEINE, La tensione tra diritto penale e diritto amministrativo nel sistema tedesco di tutela dell’ambiente, cit., 921 ss.; S. PANAGIA, La tutela dell’ambiente naturale nel diritto penale d’impresa, cit., 7, 8. Nella dottrina spagnola, per tutti, N.J. DE

LA MATA BARRANCO, I. DE LA MATA BARRANCO, La figura de la autorizzación en la lesión de bienes jurídico-penales de carácter supraindividual, in Dogmática y ley penale. Libro homenaje a Enrique Bacigalupo, Madrid, 2004, 483 ss.

95 G. INSOLERA, Modello penalistico puro per la tutela dell’ambiente, cit., 737; A. DE VITA, I reati a soggetto passivo indeterminato, cit., 27.

96 G. INSOLERA, Modello penalistico puro per la tutela dell’ambiente, cit., 738 ss.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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coinvolgimento di più soggetti nelle fasi di individuazione e realizzazione degli obiettivi di tutela97; in secondo luogo, esso consente controlli più puntuali e mirati su singole situazioni concrete, nonché una gestione più flessibile degli interessi contrapposti. Viceversa, un indirizzo penalistico puro tenderebbe ad assolutizzare esigenze di tutela di determinati interessi a discapito di altri, ugualmente meritevoli di considerazione, e sconterebbe un inevitabile grado di astrattezza, inadeguato a realtà concrete sicuramente più complesse ed articolate, appunto, per l’operare congiunto di una pluralità di fattori diversi98.

Si comprende, dunque, come nel settore preso in esame la stretta interdipendenza tra norme incriminatrici e atti amministrativi venga spesso considerata alla stregua di un risvolto sul piano della tecnica normativa dell’esistenza di un irrinunciabile rapporto di interazione tra gestione-composizione dei conflitti e repressione delle attività illecite99. Dal punto di vista pratico e operativo, l’opera di mediazione viene realizzata, come anticipato, rinviando alla disciplina e alle scelte compiute dalla Pubblica Amministrazione attraverso atti normativi e provvedimenti concreti, aventi, per lo più, carattere autorizzatorio a contenuto prescrittivo. È stata, infatti, progressivamente superata l’idea originaria che tendeva ad identificare la funzione dell’autorizzazione in una prospettiva di mera prevenzione negativa100; come semplice rimozione, cioè, di un limite all’esercizio di determinate attività, previo accertamento del carattere non dannoso o pericoloso delle stesse, da effettuarsi in rapporto alle specifiche esigenze della collettività101. Oggi, infatti,

97 In questo senso M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit., 96; F. GIUNTA, Il diritto penale

dell’ambiente in Italia, cit., in particolare 1110. In argomento cfr., altresì, A. FIORELLA, Ambiente e diritto penale in Italia, cit., 232.

98 Cfr. in questo senso G. FIANDACA, G. TESSITORE, Diritto penale e tutela dell’ambiente, cit., 54. Analogamente, in relazione alla tutela penale del territorio, cfr. G. FIANDACA, G. TESSITORE, Diritto penale e tutela del territorio, in Materiali per una riforma del sistema penale, Milano, 1984, 90.

99 M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit., 95. Analogamente, sia pure con specifico riferimento all’ordinamento spagnolo, N. J. DE LA MATA BARRANCO, Protección penal del ambiente y accessoriedad administrativa, in particolare 70 ss.

100 M. P. CHITI, Profilo pubblico del turismo, Milano, 1970, 213. 101 A. ORSI BATTAGLINI, Autorizzazione amministrativa, in Dig. disc. pub., II, 1987, 68; P.

SALVATORE, Licenza. I) Profili generali, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, XIX, 3. Il concetto di pericolosità sta, infatti, ab origine, a fondamento delle autorizzazioni amministrative; si muove, cioè, dal presupposto che i privati in taluni casi pongano in essere attività socialmente rilevanti, ma potenzialmente lesive degli interessi pubblici, bisognose, dunque, di essere “disciplinate e coordinate, per impedire che offendano l’ordine giuridico o che turbino, comunque, la pace sociale”. In argomento G. SACCHI MORSIANI, Autorizzazioni in funzione di controllo, in Rass. dir. pub., 1961, 60;

L’attuale volto dell’illecito penale ambientale

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la funzione di mera prevenzione e controllo non sembra più idonea a ricomprendere tutti i profili legati all’attività amministrativa di natura autorizzativa102. E ciò proprio perché l’esperienza ha dimostrato che molte delle più recenti ipotesi di atti e attività da autorizzare presentano il coinvolgimento di una pluralità di interessi confliggenti, che parrebbe imporre il ricorso a complessi procedimenti amministrativi in funzione, oltre che preventiva, soprattutto compositiva103. In taluni casi, cioè, l’ingerenza degli organi amministrativi nell’attività autorizzata104 risulta finalizzata, appunto, alla composizione degli interessi propri del soggetto agente con una pluralità di interessi pubblici diversi, coinvolti dall’esercizio dell’attività del primo105.

Come anticipato, dunque, in tali casi il raccordo tutela penale-tutela amministrativa sembrerebbe trovare la propria giustificazione nell’esigenza di mediare, sia in sede preventiva (disciplina amministrativa) sia in sede repressiva (previsione di sanzioni penali per la violazione della disciplina amministrativa), le esigenze che ruotano attorno ad una molteplicità di beni, tutti meritevoli di protezione, e nella conseguente impossibilità di sancire a priori la prevalenza assoluta di uno di essi sugli altri, in modo tale da focalizzare sullo stesso una tutela incondizionata106. In tale prospettiva, dunque, il procedimento autorizzatorio si caratterizza per il riconoscimento di una posizione di vantaggio, che consegue ad un giudizio di bilanciamento tra valori potenzialmente in conflitto, e per la previsione di un limite a forme di esplicazione della situazione di vantaggio, derivante da un diverso e logicamente successivo giudizio, a conclusione del quale l’ordinamento ritiene che il libero esercizio di alcune possibilità afferenti alla suddetta situazione di

analogamente G. SABATINI, Le contravvenzioni nel codice penale, Milano, 1961, 108; M. P. CHITI, Profilo pubblico del turismo, cit., 214.

102 P. SALVATORE, Autorizzazione, in Enc. giur. Treccani, IV, Roma, 1988, 2; ID., Licenza, cit., 3; P. DELL’ANNO, Contributo allo studio dei procedimenti autorizzatori, Padova, 1989, in particolare 24, 277.

103 R. VILLATA, Autorizzazioni amministrative e iniziativa economica privata, Milano, 1974, 51; P. SALVATORE, Autorizzazione, cit., 2. In argomento cfr., altresì, R. FERRARA, F. FRACCHIA, N. OLIVETTI

RASON, Diritto dell’ambiente, Roma- Bari, 1999, 165 ss. 104 R. VILLATA, Autorizzazioni amministrative e iniziativa economica privata, cit., 51. 105 Così già F. FRANCHINI, (Le autorizzazioni amministrative costitutive di rapporti giuridici fra

l’amministrazione e i privati, Milano, 1957), ad avviso del quale “l’autorizzazione è sostanzialmente l’atto che compone un ipotetico conflitto fra diritto del privato che tende ad essere esercitato e autorità della P.A. che mira a tutelare un pubblico interesse minacciato e, quindi, presumibilmente leso da un incontrollato esercizio di quel diritto” (ivi, 16). Su tale profilo cfr. più di recente, tra gli altri, P. DELL’ANNO, Regime autorizzatorio dello smaltimento dei rifiuti, in Sanità pubbl., 1993, in particolare 1289 ss.

106 Cfr., sul punto, G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Corso di diritto penale, cit., 548; F. C. PALAZZO, Riserva di legge e diritto penale moderno, in Studium iuris, 1996, in particolare 278 ss.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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vantaggio sia potenzialmente suscettibile di arrecare pregiudizio agli interessi pubblici107, nel caso di specie di natura ambientale.

Tanto considerato, si tratta di capire se il modello sanzionatorio testé tratteggiato sia ancora l’unico modello concretamente utilizzabile nella materia de qua. Il quesito si impone in considerazione della circostanza che, come tra poco si cercherà di chiarire, il predetto modello sanzionatorio difficilmente appare scollegabile da quello contravvenzionale108, il quale, tuttavia, risulta affetto da profili di ineffettività, ad oggi incompatibili con l’acquisita rilevanza del bene protetto e la consapevolezza delle gravi forme di aggressione allo stesso. Si può, allora, ipotizzare che gli anni ormai trascorsi dall’ingresso nel nostro ordinamento dei primi illeciti penali ambientali abbiano contributo alla maturazione di alcuni presupposti necessari all’adozione di modelli almeno in parte diversi da quello sanzionatorio? Ci si riferisce, in particolare, oltre che al più volte accennato maggior consenso sociale creatosi attorno alla concretezza del bene giuridico di cui si discute, anche agli sviluppi delle conoscenze scientifiche che hanno dimostrato la sicura nocività di determinati comportamenti nei confronti delle risorse naturali. Si cercherà, dunque, di capire se i tempi siano maturi per affrancare l’illecito penale ambientale dall’esclusivo paradigma contravvenzionale.

Si deve, peraltro, considerare un dato generale desumibile da una comparazione della disciplina adottata nella materia de qua da alcuni ordinamenti europei, vale a dire la tendenza a riportare all’interno del codice la disciplina penale dell’ambiente. Tale circostanza esplica importanti ricadute sul piano della prevenzione generale, tanto che nella relazione alla legge tedesca del 1980, con la quale si è realizzato l’inserimento dei reati ambientali all’interno del codice, tale operazione fu motivata proprio con la volontà di “rafforzare nella popolazione la coscienza della dannosità dell’inquinamento”109. Anche l’utilizzo del modello delittuoso per la configurazione dell’illecito ambientale costituisce ormai una costante nell’ambito dei principali codici penali europei110.

107 F. FRACCHIA, Autorizzazione amministrativa e situazioni giuridiche soggettive, Napoli, 1996, 245, 246. 108 Nello stesso senso V. PLANTAMURA, Principi, modelli e forme per il diritto penale ambientale del terzo

millennio, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2002, 1049. 109 Così L. STORTONI, L’ambiente: aspetti penali della legislazione europea, cit., 890. Nello stesso senso

C.E. PALIERO, Consenso sociale e diritto penale, cit., 887. 110 Per un quadro di sintesi sui modelli adottati da alcuni ordinamenti stranieri, per tutti, L.

STORTONI, L’ambiente: aspetti penali della legislazione europea, cit., 889 ss.; A. MANNA, Realtà e prospettive della tutela penale dell’ambiente in Italia, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1999, 859 ss.; ID., Struttura e funzione dell’illecito penale ambientale, cit., 2175 ss.

L’attuale volto dell’illecito penale ambientale

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Per quanto concerne le caratteristiche strutturali delle varie fattispecie incriminatrici, i diversi ordinamenti si ispirano a modelli che −−−− sia pure con talune diverse sfumature−−−− parrebbero potersi ricondurre ad uno schema tripartito. Un primo gruppo di fattispecie si caratterizza per un netta autonomia del diritto penale dal diritto amministrativo, in quanto la descrizione del fatto tipico è tutta contenuta nella norma penale e si incentra sulla causazione di un danno o di un pericolo concreto per il bene protetto. Si è soliti parlare, con riferimento a siffatta tecnica di descrizione della fattispecie incriminatrice, di modello penalistico puro. Un secondo gruppo di fattispecie ricomprende, invece, i casi in cui la condotta tipica si esaurisce nella violazione di discipline amministrative o provvedimenti dell’autorità, prescindendo completamente da qualunque collegamento espresso con un evento di danno o di pericolo per il bene ambiente. È questo il c.d. modello sanzionatorio puro. In posizione, per così dire, intermedia si collocano quelle previsioni in cui la condotta tipica è al tempo stesso inosservante di disposizioni extrapenali e produttrice di un evento di danno o di pericolo, integrando un paradigma di tutela parzialmente sanzionatoria.

Ebbene, i diversi ordinamenti attribuiscono prevalenza ora all’uno ora all’altro di questi modelli111.

A titolo meramente esemplificativo si ricorda che il codice penale tedesco, con la già ricordata riforma del 1980, ha collocato i reati ambientali nella sezione ventottesima, rubricata, appunto, Reati contro l’ambiente112. Il legislatore tedesco ha previsto solo ipotesi delittuose, nell’ambito delle quali, però, solo una si contraddistingue per l’assenza di qualunque riferimento alla disciplina amministrativa nella descrizione del fatto tipico, cui si accompagna un carico sanzionatorio di notevole rilevanza. Si tratta del § 330a (Grave esposizione a pericolo mediante emissione di sostanze tossiche), che sanziona l’avvelenamento di acqua, aria e suolo dal quale derivi un pericolo di morte o di lesione personale grave. A ben vedere, tuttavia, in siffatta ipotesi parrebbe che il bene finale tutelato sia, più che l’ambiente, la vita dell’uomo e la sua incolumità personale, posto che l’evento descritto esprime una relazione offensiva diretta nei confronti di questi ultimi beni. Altre ipotesi sono costruite sulla falsariga del modello parzialmente sanzionatorio. Il riferimento è, per esempio, al § 324, che

111 Per un’analisi del sistema francese G. GIUDICELLI-DELAGE, Le droit pénal français de

l’environnement. Modèles de protection, in La riforma della parte speciale del diritto penale. Verso la costruzione di modelli comuni a livello europeo, a cura di M. PAPA, Torino, 2005, 73.

112 Sul sistema tedesco cfr., M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit., 219 ss.

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punisce chi senza autorizzazione (unbefugt) inquina le acque o ne altera le caratteristiche in modo pregiudizievole, e al § 324a, che sanziona chi, in violazione di prescrizioni amministrative, cagiona l’inquinamento o l’alterazione pregiudizievole del suolo. Infine, vi sono alcune fattispecie che presentano un massimo grado di accessorietà rispetto alla disciplina amministrativa, quali quelle che sanzionano semplicemente l’esercizio di determinate attività in assenza della prescritta autorizzazione (per esempio il § 327). Il legislatore tedesco ha, inoltre, codificato il principio di esiguità in materia ambientale. Infatti, il § 326, dopo avere tipizzato la fattispecie di eliminazione di rifiuti pericolosa per l’ambiente, al comma 5 stabilisce che “il fatto non è punibile qualora, a causa della minima quantità dei rifiuti, siano manifestamente esclusi effetti dannosi sull’ambiente, in particolare su persone, acqua, aria, suolo ed animali o piante utili”.

Anche il legislatore austriaco ha inserito, con una riforma del 1989, nel corpo del codice penale le norme incriminatici a tutela dell’ambiente113, pur senza dedicare ad esse uno specifico titolo, posto che le stesse vengono previste tra i reati di comune pericolo per l’incolumità pubblica. La tutela predisposta dalle norme de quibus si riferisce alle diverse forme di manifestazione nelle quali il bene giuridico ambiente si concretizza: acqua, aria, suolo, patrimonio floreale e faunistico. Anche in questo caso le fattispecie descrivono per lo più condotte connotate da disvalore ma alle quali si accompagna la disobbedienza ad atti e precetti amministrativi. Alcune norme delimitano la tutela del singolo elemento alla condizione che l’offesa sia di vaste proporzioni o durevole. È, per esempio, il caso del § 180, ai sensi del quale è punito “chiunque, in violazione di una norma giuridica o di un ordine da parte dell’Autorità, inquina o danneggia un’acqua, un terreno o l’aria, in modo tale che, da ciò possa conseguire 1) un pericolo per la vita o l’incolumità di un notevole numero di persone, oppure 2) un pericolo per il patrimonio faunistico o floreale in una vasta area”. Ai sensi del secondo comma della medesima norma è punito chi “in violazione di una norma giuridica o di un ordine della Autorità, inquina o altrimenti danneggia un’acqua in modo durevole, grave e in grande misura oppure inquina il terreno provocando attraverso questa azione: 1) o un inquinamento o un danneggiamento che perduri per sempre o per molto tempo, in quanto la sua eliminazione risulta impossibile o insostenibile economicamente, 2) ovvero la spesa per l’eliminazione dell’inquinamento o del danneggiamento supera il costo di 500.000 Scellini”.

113 In argomento cfr. amplius G. AZZALI, La tutela penale dell’ambiente: il «modello austriaco», cit., 1 ss.

L’attuale volto dell’illecito penale ambientale

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Il codice spagnolo114, pur avendo mantenuto la categoria delle contravvenzioni, ha fatto confluire tutte le fattispecie ambientali nell’ambito del modello delittuoso. Alla tutela dell’ambiente, inteso in un’accezione molto ampia, è dedicato l’intero titolo XVI (“Delitti relativi all’assetto del territorio ed alla protezione del patrimonio storico e dell’ambiente”), distinto in cinque capi, concernenti, rispettivamente, i delitti contro l’assetto del territorio (capo I), i delitti contro il patrimonio storico (capo II), i delitti contro le risorse naturali e l’ambiente (capo III), i delitti relativi alla protezione della flora e della fauna (capo IV), nonché alcune disposizioni comuni (capo V). La descrizione di tutte le fattispecie poste a tutela dell’ambiente in senso stretto contempla, oltre alla condotta inizialmente basata sull’inosservanza, anche il riferimento specifico ad un evento di pericolo. Fanno eccezione alcune ipotesi relative alla tutela della vita forestale costruite sulla falsariga di un modello penalistico puro, in cui la norma penale è del tutto svincolata da ogni riferimento al diritto amministrativo. In Spagna si è, inoltre, ritenuto – a nostro avviso opportunamente – di prevedere una specifica fattispecie penale ambientale per scongiurare i rischi di collusioni tra imprenditori e pubblici amministratori. Si tratta dell’art. 329 c.p., ai sensi del quale: “1. L’autorità o il pubblico funzionario il quale, consapevolmente, ha espresso parere favorevole alla concessione di licenze manifestamente illegali che autorizzino il funzionamento delle industrie o attività contaminanti alle quali si riferiscono gli articoli precedenti, o che nell’esercizio delle sue ispezioni ha passato sotto silenzio l’infrazione di leggi o di disposizioni normative di carattere generale che le regolino, è punito (...) 2. Con le stesse pene è punita l’autorità o il pubblico funzionario che, individualmente o come membro di un organo collegiale, ha deciso o votato a favore della loro concessione conoscendone l’ingiustizia”115. L’art. 327 c.p. prevede, inoltre, per i reati puniti dagli artt. 325 e 326 c.p. la possibilità per il giudice di disporre una delle misure a carico delle imprese contemplate dall’art. 129, lett. a) ed e), vale a dire la chiusura dell’impresa e l’attuazione di misure di salvaguardia dei diritti dei lavoratori e dei creditori.

114 Per un approfondimento della fattispecie penali ambientali nell’ordinamento spagnolo v. J. M.

PRATS CANUT, De los delitos contra los recursos y el medio ambiente, cit., 1506 ss.; A. J. BARREIRO, El bien jurídico protegido en los delitos contra el medio ambiente en el CP de 1995, cit., 1 ss.; nonché, L. SIRACUSA, La tutela penale dell’ambiente, cit., 229 ss.

115 Sul punto, amplius, J. M. PRATS CANUT, De los delitos contra los recursos naturales y el medio ambiente, cit., 1507, 1534 ss.; M. CANCIO MELIÁ, La responsabilidad del funzionario por delitos contra el medio ambiente en el código español, in Estudios sobre la protección penal del medio ambiente en el ordinamiento jurídico español, a cura di A. J. BARREIRO, Granada, 2005, 295 ss.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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Pure il legislatore portoghese ha inserito gli illeciti ambientali nell’ambito del codice penale con una riforma del 1995. Le relative fattispecie, tutte di natura delittuosa, sono state collocate, anziché in una sezione specifica, nell’ambito dei Delitti di comune pericolo116. Le ipotesi di reato presentano, dal punto di vista strutturale, varie articolazioni, essendo previsti sia casi di autonomia sia ipotesi di dipendenza del diritto penale nei confronti del diritto amministrativo. La norma cardine è l’art. 279 che punisce chi provoca un inquinamento dell’acqua, del suolo e dell’aria o un inquinamento acustico in misura inammissibile, ritenendo tale – ai sensi del terzo comma della medesima disposizione – quello che concretizzi violazione di prescrizioni o limitazioni disposte dall’autorità competente. Il successivo art. 280 prevede poi una forma di progressione dell’offesa, sanzionando più gravemente le condotte descritte dall’art. 279 allorché le stesse cagionino un pericolo per la vita o l’integrità fisica di terzi o per beni patrimoniali altrui di elevato valore.

Il codice penale russo del 1996 dedica alla difesa dell’ambiente ben 17 articoli (artt. 246-262), oltre ad inserire espressamente la tutela ambientale tra le finalità perseguite dal codice medesimo (art. 2)117. La tecnica di tutela adottata è riconducibile al modello parzialmente sanzionatorio, posto che la maggioranza delle fattispecie incrimina fatti offensivi per l’ambiente che si siano verificati attraverso l’inosservanza di norme o di atti amministrativi118.

6. La natura prevalentemente contravvenzionale dell’illecito posto a tutela dell’ambiente

Come anticipato, il paradigma sanzionatorio privilegiato nell’ambito del

diritto penale ambientale è rappresentato dall’illecito contravvenzionale119. Fatta eccezione per talune fattispecie codicistiche utilizzate in chiave

116 Sulla riforma del codice penale portoghese ad opera della novella del 1995 cfr. J. DE

FIGUEIREDO DIAS, Il codice penale portoghese del 1982 e la sua riforma, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, 25 ss. Per talune considerazioni critiche in merito alla tecnica di descrizione delle fattispecie poste a tutela dell’ambiente nel codice portoghese v. E. LO MONTE, Diritto penale e tutela dell’ambiente, cit., 431 ss.

117 Per il testo degli articoli de quibus e talune considerazioni in merito agli stessi v. P. PATRONO, La tutela dell’ambiente nel codice penale russo: spunti di riflessione, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2007, 916 ss.

118 Per talune considerazioni in merito alle fattispecie poste a tutela dell’ambiente nel codice penale cinese cfr. S. WANG, El Derecho penal medioambiental de la República popular de China, in Revista penal, 2007, 178 ss.

119 Sul punto F. GIUNTA, Ideologie punitive e tecniche di normazione nel diritto penale dell’ambiente, cit., 856.

L’attuale volto dell’illecito penale ambientale

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ambientalista120, fino a pochi anni or sono nell’ambito della legislazione speciale di settore il modello delittuoso era pressoché sconosciuto. Un primo timido passo verso un rafforzamento della tutela fu compiuto dal legislatore con il c.d. decreto Ronchi, attraverso l’introduzione di una norma, l’art. 52121, che, al proprio interno, in un groviglio di illeciti di diversa natura – penali e amministrativi – contemplava, altresì, un rinvio, per talune tipologie comportamentali, alle pene previste dall’art.. 483 c.p. Si veniva in tal modo ad estendere l’ombrello protettivo offerto dalla succitata fattispecie codicistica in tema di falso a specifici comportamenti illeciti concernenti la predisposizione e l’uso della prescritta documentazioni in materia di gestione dei rifiuti.

Successivamente, un’iniziativa più esplicita fu adottata, sempre nell’ambito della materia afferente alla gestione dei rifiuti, al fine di predisporre una più efficace strategia di lotta alla criminalità ambientale “strutturata”. Fu così che, ancora una volta nel corpo dell’abrogato d.lg. 22 del 1997, venne inserito, con l. 23 marzo 2001, n. 93, l’art. 53 bis122, avente ad oggetto il delitto di Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti123. Quindi il legislatore intervenne in materia di beni paesaggistici, introducendo, con l. 308 del 2004, nell’impianto del d.lg. 42 del 2004, il comma 1 bis dell’art. 181, che prevede ora una fattispecie delittuosa destinata a trovare applicazione nelle ipotesi in cui la condotta abusiva, descritta nel primo comma del medesimo articolo e destinata a rilevare come illecito contravvenzionale, abbia ad oggetto beni o aree di particolare pregio paesaggistico-ambientale124.

A tutt’oggi, tuttavia (e a maggior ragione prima che fossero posti in essere gli interventi da ultimi ricordati), nella maggioranza dei casi, gli illeciti in materia ambientale risultano (e risultavano) puniti attraverso il paradigma

120 Sul punto supra § 2. 121 Si tratta, più precisamente del comma 3 dell’abrogato art. 52 d.lg. 22 del 1997, successivamente

riprodotto nell’art. 258 d.lg. 152 del 2006. Sul punto ci sia consentito rinviare a C. BERNASCONI, Commento all’art. 52 d.lg. 22 del 1997, in Codice commentato dei reati e degli illeciti ambientali, a cura di F. GIUNTA, Padova, 2005, 1183 ss., nonché −−−− dopo l’approvazione del c.d. Codice dell’ambiente −−−− Commento all’art. 258 d.lg. 152 del 2006, in Codice commentato dei reati e degli illeciti ambientali, a cura di F. GIUNTA, Padova, 2007, 381 ss..

122 Si tratta dell’abrogato art. 53 bis d.lg. 22 del 1997, successivamente riprodotto dall’art. 260 d.lg. 152 del 2006.

123 Per alcune considerazioni in merito a tale fattispecie cfr., tra gli altri, C. BERNASCONI, M. GUERRA, Profili interpretativi del delitto di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2004, 355 ss.

124 Sul punto amplius C. BERGAMASCO, Commento all’art. 181 d.lg. 42 del 2004, in Codice commentato dei reati e degli illeciti in materia ambientale, a cura di F. GIUNTA, Padova, 2007, 1269 ss.

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contravvenzionale. Le principali ragioni del ricorso al reato contravvenzionale sono da ravvisare, da un lato, nella circostanza che esso parrebbe naturalmente destinato a recepire illeciti a contenuto preventivo-cautelare, quali sono per lo più quelli rinvenibili in materia ambientale, e dall’altro lato, nella maggiore “agilità” che l’accertamento dell’elemento soggettivo nelle contravvenzioni comporta rispetto all’accertamento dell’elemento soggettivo nei delitti. Come è noto, infatti, solo le prime possono essere punite indifferentemente, cioè anche in mancanza di un’espressa previsione, sia a titolo di dolo, sia a titolo di colpa, ai sensi dell’art. 42, comma 4, c.p. Ma, proprio tali caratteristiche finiscono per produrre sinergicamente ricadute negative sull’accertamento del reato, in quanto talvolta emerge la tendenza a presumere l’elemento soggettivo dello stesso, facendo coincidere la materialità del fatto, consistente nella violazione della regola cautelare, con la colpa125.

La natura contravvenzionale dell’illecito, inoltre, può sotto diversi profili incidere sull’efficacia della tutela. Tale effetto si apprezza, innanzitutto, ponendo mente alla tendenziale modestia delle pene previste. In secondo luogo, se si considera che la contravvenzione, come è noto, comporta ex lege un termine di prescrizione notevolmente ridotto, precludendo non di rado la possibilità di pervenire ad una pronuncia definitiva nel merito prima che possa appunto essere dichiarata l’estinzione del reato. Tale circostanza, peraltro, ha in taluni casi indotto la giurisprudenza a riconoscere erroneamente la natura permanente di alcune fattispecie, anche là dove, viceversa, tale configurazione parrebbe essere inibita da una corretta interpretazione della lettera della norma126.

Inoltre, la previsione del reato come contravvenzione e il frequente ricorso alla sola pena pecuniaria o alla pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda implicano l’operatività dell’oblazione, per lo meno di quella discrezionale, cui, come è noto, si riconnette un effetto estintivo del reato. Sennonché, tale circostanza può favorire una cultura della monetizzazione del diritto penale ambientale127, con l’ulteriore possibile conseguenza che il rischio penale possa essere addirittura computato tra i rischi economici, iscrivibili in bilancio, specie se si

125 Sul punto cfr. amplius infra cap. V, §§ 1 ss. 126 Su tale delicata questione, in relazione al settore dell’inquinamento atmosferico, D.

MICHELETTI, Commento all’art. 279 d.lg. 152 del 2006, in Codice commentato dei reati e degli illeciti in materia ambientale, a cura di F. GIUNTA, Padova, 2007, 464 ss.

127 G. CASAROLI, Il sistema sanzionatorio dei reati ambientali: lineamenti, in Annali dell’Università di Ferrara, sez. V, Scienze Giuridiche, vol. XI, 1997, 316.

L’attuale volto dell’illecito penale ambientale

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tiene presente che la maggior parte dei destinatari di questi precetti penali sono proprio soggetti economici.

A fronte di questi inconvenienti da tempo ci si chiede se sia possibile superare il paradigma contravvenzionale o se, date le peculiari caratteristiche che la tutela penale assume in questo settore, la strada intrapresa dal legislatore risulti in un certo senso obbligata. La risposta ad un siffatto rilevante quesito non può certo essere offerta in modo superficiale e istintivo. Essa – come è intuitivo – presuppone a monte la soluzione di impegnativi problemi concernenti la tecnica di costruzione delle fattispecie incriminatrici. Si tratta in altre parole di verificare se sia possibile, almeno in alcuni casi, abbandonare il modello del reato di pericolo astratto, conferendo all’intervento penalistico una fisionomia che sia in grado di inserire all’interno delle fattispecie la descrizione di eventi di danno o pericolo concreto per il bene giuridico finale, sì da legittimare anche un eventuale passaggio dallo statuto contravvenzionale a quello delittuoso; oppure se appaia – viceversa −−−− preferibile procedere ad una rimodulazione del sistema sanzionatorio, il quale, nelle ipotesi di più accentuata anticipazione della tutela penale, potrebbe affrancarsi dal predominio del ricorso alla sanzione detentiva al fine di restituire alla stessa un effettivo ruolo sussidiario. Tale verifica non può che essere condotta attraverso un procedimento volto a scandagliare, in primis, le ragioni che giustificano l’assetto esistente, vale a dire gli approdi cui, da ultimo, è giunta la dottrina in merito alle condizioni che possono suggerire o rendere tollerabile nella materia de qua la presenza di forme di anticipazione della tutela penale, nonché in relazione alle condizioni minime che ne giustificano la compatibilità con i principi del nostro ordinamento128. A seguito di questo accertamento l’obiettivo perseguito sarà quello di mettere alla prova la fattibilità di soluzioni che, attraverso alcuni correttivi da apportare de iure condendo, potrebbero contribuire al raggiungimento di alcuni importanti risultati: frenare il processo di bagatellizzazione del diritto penale ambientale, riconducendo un certo numero di incriminazioni nell’area di rilevanza dell’illecito punitivo amministrativo; conferire al diritto penale una maggiore incisività attraverso −−−− ove possibile −−−− l’arricchimento dei contenuti di disvalore del fatto tipico e la conseguente attrazione dello stesso anche nell’area dell’illecito delittuoso; immaginare nuovi e più flessibili strumenti sanzionatori cui ricorrere allorché l’illecito penale non si possa affrancare dall’archetipo dell’illecito contravvenzionale di pericolo astratto. Senza trascurare, poi, l’importanza che verrebbe a rivestire l’inserimento delle fattispecie a tutela

128 V. infra cap. III.

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dell’ambiente all’interno del codice penale o, quantomeno, di testi unici (codici speciali) volti a disciplinare organicamente ed esaustivamente la materia ambientale. La collocazione topografica, che in sé è certamente un dato meramente tecnico, può in alcuni casi esplicare una funzione importante per rafforzare il consenso sulla scelta di tutela129. Tale scelta tecnica, infatti, si traduce in un forte messaggio ai destinatari circa la riqualificazione dei beni giuridici in questi settori e la ferma stigmatizzazione delle relative condotte illecite, esorcizzando l’errata e pericolosa rappresentazione collettiva che le condotte tipizzate nell’ambito della legislazione penale accessoria abbiano un peso minore di quelle previste all’interno del codice130.

129 Così, espressamente, C. E. PALIERO, Consenso sociale e diritto penale, cit., 887. 130 In questo senso C. E. PALIERO, Consenso sociale e diritto penale, cit., 887.

Capitolo secondo

LA TIPICITÀ DEL REATO AMBIENTALE

SOMMARIO: 1. La classificazione dei reati ambientali sotto il profilo della tecnica di tipizzazione. − 2.

Le fattispecie incentrate sull’inosservanza della disciplina extrapenale. − 2.1. Il rinvio a enunciati normativi di pari grado. A proposito di determinatezza e conoscibilità del divieto penale. − 2.2. Il rinvio a fonti subordinate sotto il profilo della riserva di legge. − 3. Le fattispecie incentrate sulla violazione di limiti tabellari. − 3.1. La natura delle soglie. − 3.2. La determinazione e l’aggiornamento dei limiti tabellari. − 3.3. L’uso (inedito) delle soglie nella nuova fattispecie di contaminazione ambientale. − 4. L’ancoraggio della tipicità penale all’assenza del provvedimento amministrativo autorizzativo. L’autorizzazione come concetto descritto per il tramite di un elemento normativo. − 5. I reati ambientali che consistono nella violazione del contenuto prescrittivo di un provvedimento amministrativo. Il modello ingiunzionale e la riserva di legge. − 6. L’apporto delle fonti comunitarie alla descrizione del tipo. − 6.1. Il contributo indiretto. − 6.2. Gli imput normativi diretti di penalizzazione. − 7. Il modello solo parzialmente sanzionatorio: una fattispecie volta a colpire la criminalità ambientale «strutturata».

1. La classificazione dei reati ambientali sotto il profilo della tecnica di tipizzazione

La spiccata accessorietà del diritto penale dell’ambiente nei confronti del

diritto amministrativo determina, dal punto di vista della tecnica normativa, talune peculiarità, che già da tempo costituiscono oggetto di ampia analisi da parte della dottrina. Le ragioni di siffatta attenzione sono da ricercare nella circostanza che, come è stato rilevato1, il principio di stretta legalità subisce nella materia ambientale una forte erosione, a causa dell’irrompere in grande quantità di disposizioni, le quali, incentrando il proprio nucleo precettivo sulla violazione di normative di natura tecnica o su provvedimenti amministrativi concreti, contengono, in misura più o meno evidente, spazi in bianco, la cui concretizzazione è affidata a fonti diverse rispetto a quella che contiene

1 F. C. PALAZZO, Principi fondamentali e opzioni politico criminali nella tutela penale dell’ambiente, in

Ambiente e diritto, a cura di S. GRASSI, M. CECCHETTI, A. ANDRONIO, Firenze, 1999, II, 548.

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l’incriminazione2. Sicché, l’interazione sempre più stretta tra diritto penale ed attività di governo della pubblica amministrazione, che, come già anticipato, caratterizza in misura crescente anche numerosi altri settori del diritto penale c.d. complementare3, determina una partecipazione, quantitativamente e qualitativamente sempre più massiccia, di fonti diverse dalla norma incriminatrice alla definizione dei precetti penalmente sanzionati. Conseguentemente crescono le norme penali aperte4, caratterizzate da un tendenziale scollamento topografico tra precetto e sanzione nell’ambito della medesima legge o dalla scomposizione del nucleo precettivo della fattispecie in fonti diverse, tra loro collegate attraverso clausole di rinvio espresse o tacite, e cresce l’utilizzo di elementi normativi integrati non di rado da fonti sublegislative5, nonché l’inserzione di momenti autorizzativi nella norma comando6.

2 F. SGUBBI, Il diritto penale incerto ed efficace, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 1193. Più in generale, con

riguardo al più recente diritto penale economico cfr., altresì, M. DONINI, Un nuovo medioevo penale? Vecchio e nuovo nell’espansione del diritto penale economico, in Cass. pen., 2003, 1814 ss.

3 F. GIUNTA, La giustizia penale tra crisi della legalità e supplenza giudiziaria, in Studium iuris, 1999, 12 ss. 4 Sul concetto di offener Tatbestand e sulle relative problematiche cfr. nella letteratura tedesca, per

tutti, C. ROXIN, Offene Tatbestände und Rechtpflichtmerkmale, Hamburg, 1959. Nella letteratura italiana, M. DONINI, Teoria del reato, Padova, 1996, in particolare 222 ss. Per un uso di siffatta locuzione nel diritto penale dell’ambiente cfr. nella dottrina tedesca, tra gli altri, G. HEINE, Veraltungsakzessorietät des Umweltstrafrechts, in NJW, 1990, 2428 ss.; R. SCHEELE, Zur Bindung des Strafrichters an felerhafte behördliche Genehmigungen im Umweltstrafrect, Berlin, 1993, 28.

5 In termini generali cfr. G. FIANDACA, La legalità penale negli equilibri del sistema politico-costituzionale, in Foro it., 2000, V, 138.

6 Sulle conseguenze che il fenomeno della c.d. accessorietà del diritto penale nei confronti del diritto amministrativo comporta sul piano della tecnica normativa cfr., tra gli altri e in termini generali, C. E. PALIERO «Minima non curat praetor». Ipertrofia del diritto penale e decriminalizzazione dei reati bagatellari, Padova, 1985, in particolare 100 ss. Anche la letteratura tedesca allude costantemente ad una spiccata accessorietà amministrativa, o amministrativizzazione, del diritto penale ambientale. Cfr. per tutti, W. WINKELBAUER, Zur Verwaltungsakzessorietät des Umweltstrafrechts, Berlin 1985, in particolare 11 ss., 33 ss.; K. KÜHL, Probleme der Verwaltungsakzessorität des Strafrechts, insbesondere im Umweltstrafrecht, in Fest. Lackner, Berlin–New York, 1987, 815 ss.; R. BREUER, Empfehlen sic Änderungen des strafrechtlichen Umweltschutzes insbesondere in Verbindung mit dem Verwaltungsrescht?, in NJW, 1988, in particolare 2078 ss.; K. P. DOLDE, Zur Verwaltungsrechtsakzessorietät von § 327 StGB, in NJW, 1988, 2329 ss.; H. P. ESENBACH, Probleme der Verwaltungsakessorität im Umweltstrafrecht, Frankfurt am Main, 1989, in particolare 20 ss.; G. HEINE, Verwaltungsakzessorietät des Umweltstrafrechts, cit., 2425; M. RONZANI, Erfolg und individuelle Zurechnung im Umweltstrafrecht, Freiburg im Breisgau, 1992, in particolare 117 ss.; R. SCHEELE, Zur Bindung des Strafrichters an fehlerhafte behördliche Genehmigungen im Umweltstrafrecht, cit., 19 ss.; W. FRISCH, Verwaltungsakzessorietät und Tatbestandsverständnis im Umweltstrafrecht, Heidelberg, 1993, in particolare 7 ss.; S. PERSCHKE, Die Verwaltungsakzessorietät des Umweltstrafrechts nach dem 2. UKG, in Wistra, 1996, 161; E. HORN, Vor §§ 324 ff., in H. J. RUDOLPHI, E.

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Siffatta disarticolazione del precetto penalmente sanzionato ricorre tipicamente quando “il legislatore penale non vuole o non può desumere direttamente dalla realtà fenomenologica la situazione da disapprovare, interessandosi di un’attività la cui esistenza e il cui significato dipendono dalla presenza di un’ulteriore qualificazione giuridica”7. Si comprende, dunque, come si evidenzi sempre più l’esistenza nel settore preso in esame di un conflitto, apparentemente insanabile, tra le esigenze sottese al riconoscimento del principio di riserva di legge assoluta in materia penale, da un lato, e, dall’altro lato, la complessità delle situazioni reali in cui i vari interessi vengono in conflitto tra di loro, che esprime, viceversa, l’opportunità di regolamentazioni decentrate8, capaci di avvicinarsi, appunto, alla concretezza dei suddetti conflitti9. Si comprende, altresì, come sembrino d’un tratto vanificarsi gli appelli alla necessaria tassatività della fattispecie incriminatrice, dinanzi a disposizioni che scaturiscono dalla disordinata e convulsa giustapposizione di frammenti normativi, dotati non di rado di un modesto standard di determinatezza, adeguato allo loro originaria funzione di disposizioni extrapenali, ma non anche a quella propria della norma incriminatrice, al cui completamento essi contribuiscono una volta incorporati nella fattispecie penale10. Senza contare,

HORN, E. SAMSON, Systematischer Kommentar zum Strafgesetzbuch, 2001, 7 ss.; M. KLOEPFER, H. VIERHAUS, Umweltstrafrecht, München, 2002, 24 ss.; R. SCHMITZ, Vor §§ 324 ff., in Münchener Kommentar zum Strafgesetzbuch, Band 4, München, 2006, 1558 ss. Nella letteratura spagnola cfr. tra gli altri, N. J. DE LA MATA BARRANCO, Protección penal del ambiente y accessoriedad administrativa. Tratamiento penal de comportamientos perjudiciales para el ambiente amparados en una autorización administrativa ilícita, Barcelona, 1996, 19 ss.; J. M. PRATS CANUT, De los delitos contra los recursos naturales y el medio ambiente, in Comentarios al Nuevo Código Penal, a cura di G. QUINTERO OLIVARES, Pamplona, 1996, 1507, 1512 ss.; N. MATELLANES RODRÍGUEZ, Algunas notas sobre la dificultad de demarcar un espacio de tutela penal para la ordinación del territorio, in Revista penal, 2001, 60 ss.; S. HUERTA TOCILDO, Principios básicos del Derecho Penal y art. 325 del Código Penal, in Revista penal, 2001, 39 ss.; A. J. BARREIRO, El bien jurídico protegido en los delitos contra el medio ambiente en el CP de 1995, in Estudios sobre la protección penal del medio ambiente en el ordinamiento jurídico español, a cura di A. J. BARREIRO, Granada, 2005, 31 ss. Per un’analisi del fenomeno in relazione all’ordinamento austriaco cfr., per tutti, G. AZZALI, La tutela penale dell’ambiente: il «modello austriaco», in Riv. trim. dir. pen. econ., 1998 , in particolare 27 ss., nonché bibliografia ivi riportata.

7 D. MICHELETTI, Legge penale e successione di norme integratrici, Torino, 2006, 44. 8 D. BORTOLOTTI, Potere pubblico e ambiente. Contributo allo studio della «eterointegrazione» di norma

penale, Milano, 1981, 9. 9 Cfr. in questo senso F. C. PALAZZO, Riserva di legge e diritto penale moderno, Studium iuris, 1996, 279.

Nella dottrina tedesca, con specifico riferimento al diritto penale dell’ambiente, cfr., per tutti, R. SCHEELE, Zur Bindung des Strafrichters an felerhafte behördliche Genehmigungen im Umweltstrafrecht, cit., 28 ss.

10 F. GIUNTA, La giustizia penale tra crisi della legalità e supplenza giudiziaria, cit., 13; ID., Il giudice e la legge penale. Valore e crisi della legalità oggi, in Studi in ricordo di Giandomenico Pisapia, Milano, 2000, 67; D. MICHELETTI, Legge penale e successione di norme integratrici, cit., 35.

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poi, che tali problematiche risultano addirittura amplificate là dove vengano in considerazione ipotesi di eterointegrazione della fattispecie ad opera di fonti comunitarie dotate di efficacia diretta nel nostro ordinamento11.

2. Le fattispecie incentrate sull’inosservanza della disciplina extrapenale Nell’ambito dei reati ambientali, un’analisi volta a classificare le relative

fattispecie in funzione della tecnica normativa utilizzata consente di ricondurre ad un primo gruppo tutte quelle norme, che incriminano la violazione di minute regolamentazioni, per lo più di natura tecnica, contenute in normative extrapenali di settore, attraverso il meccanismo delle c.d. clausole sanzionatorie finali o attraverso forme di rinvio implicite od esplicite12.

Nel settore preso in esame, infatti, in applicazione di una tecnica in realtà assai frequente nell’ambito del diritto penale economico in senso ampio13, spesso la norma penale strettamente intesa si limita a prevedere la tipologia e la misura della sanzione, mentre la descrizione della condotta tipica è sostituita, in tutto o in parte, dal richiamo ad una o più altre norme. Per lo più non si richiede alcun collegamento tra la sanzione penale e modalità qualificate di lesione del bene sostanziale, ma la pena copre semplicemente l’impianto

11 Sul punto cfr., amplius, infra §§ 6 ss. 12 Sulla tecnica di costruzione della fattispecie incriminatrice mediante rinvio ad altre norme la

letteratura è ormai vastissima. Ci limitiamo a ricordare, per tutti e in termini generali, G. FLORA, Profili penali in materia di imposte dirette ed I.V.A., Padova, 1979, in particolare 51 ss.; F. C. PALAZZO, Tecnica legislativa e formulazione della fattispecie penale in una recente circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in Cass. pen., 1987, 230 ss.; G. VICICONTE, Nuovi orientamenti della Corte Costituzionale sulla vecchia questione delle norme «in bianco», in Riv. it. dir. proc. pen., 1991, 997 ss.; A. PAPA, Alcune considerazioni sulla tecnica del rinvio nella produzione normativa, in Rass. parl., 1991, 283 ss.; G. VICICONTE., Riserva di legge in materia penale e fattispecie in rapporto di integrazione con atti amministrativi, in Sulla potestà punitiva dello Stato e delle Regioni, a cura di E. DOLCINI, T. PADOVANI, F. C. PALAZZO, Milano, 1994, 55 ss.; M. PETRONE, La costruzione della fattispecie mediante rinvio, in Studi in onore di Marcello Gallo. Scritti degli allievi, Torino, 2004, 151 ss. Con specifico riferimento all’ordinamento spagnolo cfr., per tutti, A. DOVAL PAIS, Posibilidades y límites para la formulación de las normas penales. El caso de las leyes en blanco, Valencia, 1999. In relazione all’ordinamento tedesco cfr., tra gli altri, K. TIEDEMANN, Tatbestandsfunktionen im Nebenstrafrecht, Tübingen, 1969, in particolare 87 ss., 239 ss.; ID., Blankettstrafgesetz, in W. KREKELER, K. TIEDEMANN, K. ULSENHEIMER, G. WEIMANN, Handwörterbuch des Wirtschafts- und Steuerstrafrechts, Heidelberg, 1990, 1 ss.; G. DANNECKER, Entsanktionierung der Straf- und Bußgeldvorschriften des Lebensmittelrechts, Baden–Baden, 1996, in particolare, 77 ss.

13 Cfr. in argomento, per tutti, A. ALESSANDRI, Parte generale, in C. PEDRAZZI, A. ALESSANDRI, L. FOFFANI, S. SEMINARA, G. SPAGNOLO, Manuale di Diritto penale dell’impresa, Bologna, 2000, in particolare 45 ss.; F. GIUNTA, Lineamenti di diritto penale dell’economia, Torino, 2004, 4 ss.

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precettivo edificato dal legislatore14. Si pensi, solo per fare un esempio, a fattispecie costruite sulla falsariga dell’art. 137, comma 11, d.lg. 152 del 2006, che punisce chiunque non osservi i divieti di scarico previsti dagli artt. 103 e 104. La situazione risulta, peraltro, ancora più complessa, là dove la norma richiamata contenga al suo interno un successivo rinvio ad ulteriori disposizioni, dando così luogo al fenomeno del c.d. rinvio a catena. La materia della tutela delle acque può offrire un’ulteriore esemplificazione in questo senso. L’art. 137, comma 3, d.lg. 152 del 2006 punisce chi, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 5, effettui uno scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto senza osservare le prescrizioni dell’autorizzazione, o le altre prescrizioni dell’autorità competente a norma degli articoli 107, comma 1, (…). Ebbene, esaminando la fattispecie descritta dalla seconda parte del comma in oggetto, non è difficile accorgersi che l’individuazione delle prescrizioni alla cui inosservanza è collegata la sanzione penale implica un primo “passaggio” attraverso la disposizione richiamata dalla norma sanzionatoria (nel caso di specie l’art. 107), per approdare, poi, al contenuto delle “norme tecniche, prescrizioni regolamentari e valori-limite adottati dall’Autorità d’ambito competente in base alle caratteristiche dell’impianto”, così come recita, appunto, il medesimo art. 107, comma 1, richiamato.

Altrettanto esplicativo dello sforzo richiesto all’interprete nella ricostruzione del fatto penalmente rilevante è il caso desumibile dalla lettura dell’art. 13 d.lg. 209 del 2003, in tema di gestione dei veicoli fuori uso. L’art. 13, comma 1, del predetto d.lg. 209 del 2003 punisce chi effettua attività di gestione dei veicoli fuori uso e dei rifiuti costituiti dei relativi componenti e materiali in violazione dell’articolo 6, comma 2. Ebbene, il precetto in esame presenta una duplice disarticolazione, posto che è necessario verificare, in primo luogo, cosa prescriva il richiamato art. 6, comma 2, e, in secondo luogo, cosa debba intendersi per veicolo fuori uso ai fini dell’applicazione della disciplina in oggetto. Per non annoiare il lettore in un’operazione ermeneutica che − crediamo − finirebbe per suscitare non poca avversione nei confronti della materia de qua, ci si limita ad osservare che il

14 In questo senso, anche di recente, G. COCCO, Beni giuridici funzionali versus bene giuridico

personalistico, in Studi in onore di G. Marinucci, I, Milano, 2006, 174, 175. Sul punto cfr., altresì, M. DONINI (Un nuovo medioevo penale? Vecchio e nuovo nell’espansione del diritto penale economico, cit., 1810), il quale ricorda che il fenomeno della c.d. amministrativizzazione del diritto penale fa sì che il precetto penale sia riempito di un’antigiuridicità amministrativa, che va semplicemente a recepire, con pochi tratti aggiuntivi o ‘selettivi’, una disciplina extrapenale, alla quale viene poi applicata la sanzione penale.

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succitato art. 6, comma 2, rinvia, a sua volta, a disposizioni contenute negli allegati al medesimo d.lg. 209 del 2003, e che la definizione dell’oggetto materiale delle condotte incriminate (id est, del concetto di veicolo fuori uso) presuppone un primo (implicito) rinvio all’art. 3, comma 1, del medesimo d.lg. 209 del 2003, nonché un successivo (esplicito) rimando effettuato da tale art. 3, comma 1, a direttive comunitarie (recepite con decreto ministeriale) e relativi allegati.

In termini generali, il ricorso a questa particolare tecnica di normazione è per lo più finalizzato a semplificare il compito legislativo di formulazione della norma, consentendo di non ripetere interi enunciati normativi ripresi da altre disposizioni15. Tuttavia spesso in tal modo si finisce per conferire all’intervento penalistico un’impostazione in chiave esclusivamente sanzionatoria, ossia di mero rincalzo di una disciplina di natura extrapenale16, al caro prezzo di indurre una conseguente “tendenziale opacità dei beni giuridici protetti e un allontanamento dal criterio della extrema ratio”17. Infatti, l’opzione in chiave sanzionatoria per lo più “elude la delicata scelta delle condotte meritevoli di penalizzazione e rende assai difficile la costruzione delle fattispecie in modo congruo con i principi di personalità, colpevolezza e offensività, sulla base della ricognizione di tipologie criminologicamente ed empiricamente significative”18. Senza dimenticare, inoltre, che siffatta tecnica normativa rende complessa e difficoltosa l’attività di ricostruzione delle norme già sul piano testuale, poiché l’interprete, sia esso il giudice o il comune cittadino, “devono provvedere alla giustapposizione dei vari frammenti normativi che concorrono a delineare il divieto penale”19. Tanto che, come è stato efficacemente rilevato20, il lettore è

15 A. PAPA, Alcune considerazioni sulla tecnica del rinvio nella produzione normativa, cit., 284. Più di

recente, D. MICHELETTI, Legge penale e successione di norme integratrici, cit., 445 ss. 16 A. ALESSANDRI, Parte generale, cit., 34. 17 A. ALESSANDRI, op. loc. ult. cit. Nello stesso senso T. PADOVANI, L. STORTONI, Diritto penale e

fattispecie criminose. Introduzione alla parte speciale del diritto penale, Bologna, 2006, 31. Nelle dottrina spagnola sul tema, per tutti, N.J. DE LA MATA BARRANCO, I. DE LA MATA BARRANCO, La figura de la autorizzación en la lesión de bienes jurídico-penales de carácter supraindividual, in Dogmática y ley penale. Libro homenaje a Enrique Bacigalupo, Madrid, 2004, in particolare 494 ss.

18 A. ALESSANDRI, op. loc. ult. cit. Sul punto cfr., più di recente, L. STORTONI, Angoscia tecnologica ed esorcismo penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 84 ss., nonché G. COCCO, Beni giuridici funzionali versus bene giuridico personalistico, cit., 195, ad avviso del quale “è da rifiutare la copertura indiscriminata e onnicomprensiva con la sanzione penale della disciplina amministrativa di interi settori”.

19 F. GIUNTA, La giustizia penale tra crisi della legalità e supplenza giudiziaria, cit., 13. Analogamente P. PATRONO, Il diritto penale dell’ambiente, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1996, 1150; A. L. VERGINE, Nota introduttiva alla voce «acque», in Commentario breve alle leggi penali complementari, a cura di F. C. PALAZZO, C.

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ormai “ammaestrato dalla cattiva abitudine italiana di utilizzare i «contenitori» più disparati per collocarvi norme che spesso nulla hanno a che fare con la disciplina cui è dedicato il testo di legge nel quale sono inserite”.

Ancora: l’appiattimento su un’unica clausola sanzionatoria di più violazioni, a volte molto diverse quanto a struttura e soprattutto a disvalore, suscita fondati dubbi sul rispetto del principio di uguaglianza per identità di trattamento di casi diversi21. Infatti, il raggruppamento delle norme penali in uno o più articoli posti alla fine di un testo extrapenale attenua nel legislatore lo stimolo a diversificare la risposta sanzionatoria in base al reale disvalore dei singoli comportamenti illeciti22. Solo per fare un esempio, si pensi all’art. 16, comma 1, secondo periodo, d.lg. 36 del 2003, che sanziona l’inosservanza delle procedure di ammissione dei rifiuti in discarica descritte dall’art. 11 del medesimo d.lg. 36 del 2003. Quest’ultima disposizione detta una molteplicità eterogenea di obblighi comportamentali rivolti ora al detentore che conferisce i rifiuti in discarica (art. 11, commi 1 e 2), ora al gestore della discarica medesima (art. 11, comma 3). In sintesi, dunque, con la fattispecie in esame il legislatore attribuisce rilevanza penale alla violazione di una serie articolata di comportamenti proceduralizzati. Sennonché, la previsione di un’unica clausola sanzionatoria finale fa sì che la condotta tipica risulti completamente appiattita sull’inosservanza della disciplina amministrativa richiamata. Siffatta scelta di rinunciare a qualunque funzione selettiva dell’illecito penale parrebbe, invero, comportare disarmonie sanzionatorie tutt’altro che trascurabili, non solo “interne” – vale a dire tra le diverse ed estremamente eterogenee violazioni sanzionate, appunto, dall’art. 16, comma 1, secondo periodo –, ma anche “esterne” – rispetto, cioè, alla condotta descritta dall’(abrogato) art. 51, comma 3, cui lo stesso art. 16 rinvia per la determinazione della pena23. L’illecito in

E. PALIERO, Padova, 2007, 65. In termini generali sulla tecnica delle c.d. clausole sanzionatorie finali cfr., altresì, F. C. PALAZZO, Introduzione ai principi del diritto penale, Torino, 1999, 272.

20 A. L. VERGINE, La causa di non punibilità di cui all’art. 114 della l. 388/00, in www.lexambiente.com.

21 F. C. PALAZZO, Introduzione ai principi del diritto penale, cit., 272. 22 A. BERNARDI, La tutela penale dell’ambiente in Italia: prospettive nazionali e comunitarie, in Annali

dell’Università di Ferrara, Saggi, IV, Ferrara, 1997, 80. In argomento cfr., altresì, P. PATRONO, I reati in materia di ambiente, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2000, 671.

23 Come è noto, il d.lg. 22 del 1997 è stato abrogato per effetto dell’entrata in vigore del d.lg. 152 del 2006. Tuttavia, quantomeno ad avviso di una parte della dottrina che ad oggi si è occupata del problema (L. RAMACCI, La nuova disciplina dei rifiuti, Piacenza, 2006, 191), non sembra che possa escludersi l’attuale validità del predetto riferimento all’abrogato d.lg. 22 del 1997, posto che l’applicabilità del d.lg. 36 del 2003 è richiamata in più occasioni (in particolare nell’art. 182, comma 7)

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oggetto è, infatti, punito con le sanzioni previste dall’(oggi abrogato) art. 51, comma 3, d.lg. 22 del 1997, cioè – è bene ricordarlo – con le pene più gravi previste dal legislatore nell’ambito delle contravvenzioni descritte in tema di gestione illecita di rifiuti. Ebbene, tale rigore sanzionatorio – del tutto giustificato se riferito ad una condotta di gestione abusiva di una discarica – può apparire sproporzionato per lo meno in relazione ad alcune delle violazioni di natura meramente formale sanzionate dall’art. 16, comma 1, secondo periodo, d.lg. 36 del 2003. A ciò si aggiunga, inoltre, che la realizzazione dell’illecito contemplato dall’art. 16, comma 1, comporta – come detto – l’applicazione della «sanzione prevista dall’abrogato art. 51, comma 3» per l’ipotesi di gestione non autorizzata di una discarica. Sennonché, quest’ultima disposizione – richiamata dall’art. 16, comma 1 – suddivide, in realtà, la comminatoria edittale della pena in due distinte previsioni, in relazione alla circostanza che la discarica abusiva abbia ad oggetto rifiuti pericolosi o non pericolosi. È facile intuire i problemi interpretativi che possono sorgere in merito alla possibilità di “adattare” siffatta duplice cornice edittale – originariamente pensata, appunto, per una diversa ipotesi di reato – alla realizzazione del fatto descritto dall’art. 16, comma 1, nel quale non sembra sempre agevole individuare l’elemento discretivo cui il legislatore ha ancorato nell’ambito dell’art. 51, comma 3, la suddetta progressione da una pena meno grave ad una pena più grave.

È, comunque, indubbio che le conseguenze e gli inconvenienti propri della tecnica del rinvio sono diversi in relazione alla natura e portata dello stesso e, in particolare, a seconda che si tratti di rinvio ad enunciati normativi di pari grado o, viceversa, a fonti di natura subordinata.

2.1. Il rinvio a enunciati normativi di pari grado. A proposito di determinatezza

e conoscibilità del divieto penale

Non di rado nell’ambito del diritto penale ambientale il rinvio espresso dalla norma a carattere latu sensu sanzionatorio viene effettuato nei confronti di altre disposizioni della medesima legge o, comunque, di enunciati normativi di pari grado. Ancora una volta a titolo meramente esemplificativo e senza alcuna pretesa di esaustività, si pensi ad una delle fattispecie descritte dall’art. 255,

nell’ambito del d.lg. 152 del 2006 attualmente in vigore, senza alcuna specificazione in merito all’impianto sanzionatorio. Quest’ultimo, inoltre, è rimasto pressoché immutato anche per quanto riguarda l’entità delle sanzioni originariamente previste, con la conseguenza che i rinvii al citato art. 51 d.lg. 22 del 1997 potrebbero ora ritenersi riferiti all’art. 256.

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comma 3, d.lg. 152 del 2006, ai sensi del quale è punito chiunque (...) non adempie all’obbligo di cui all’art. 187, comma 3, o all’illecito contemplato dall’art. 256, comma 5, in forza del quale è punito chiunque, in violazione del divieto di cui all’art. 187, effettua attività non consentite di miscelazione di rifiuti. Come è intuitivo, in simili ipotesi la compiuta puntualizzazione della situazione d’obbligo descritta dalla fattispecie incriminatrice richiede un inevitabile coordinamento-integrazione con altre norme della stessa legge o con disposizioni contenute in leggi diverse, che vengono idealmente a ricomporsi ad unità, operando sinergicamente ai fini del completamento del nucleo precettivo della fattispecie. Sicché la tecnica legislativa non comporta alcuno strappo al principio di legalità, in quanto il fatto di reato risulta integralmente descritto dalla fonte a ciò deputata. Nondimeno, la tecnica normativa in esame, inattaccabile sotto il profilo della riserva di legge, solleva generalmente talune perplessità sotto altri profili24.

Innanzitutto, si deve rilevare come nello specifico settore preso in esame le stesse leggi e gli atti aventi forza di legge assumano generalmente requisiti formali e materiali “tali da discostarsi dai caratteri che tipicamente contraddistinguono gli atti primari, in particolare per quanto concerne la necessaria corrispondenza tra la «forma» e il «contenuto» dell’atto normativo”25. Infatti, come è stato osservato26, “più che in altri settori del diritto, in materia ambientale si assiste al fenomeno della «provvedimentalizzazione» − ovvero, detto altrimenti, della «amministrativizzazione» − della legge. È cioè possibile riscontrare in maniera diffusa la tendenza della legge a perdere i caratteri della

24 Sulle diverse forme di rinvio, nonché sui relativi vantaggi ed inconvenienti, cfr. per tutti G.

FLORA, Profili penali in materia di imposte dirette ed I.V.A., cit., in particolare 51 ss.; F. C. PALAZZO, Tecnica legislativa e formulazione della fattispecie penale in una recente circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, cit., 230 ss.; G. VICICONTE, Nuovi orientamenti della Corte Costituzionale sulla vecchia questione delle norme «in bianco», cit., 997 ss.; ID., Riserva di legge in materia penale e fattispecie in rapporto di integrazione con atti amministrativi, cit., 55 ss.

25 B. CARAVITA, A. MORRONE, L’organizzazione costituzionale e l’ambiente, in Le fonti del diritto italiano. Codice dell’ambiente, a cura di S. NESPOR, A. L. DE CESARIS, Milano, 1999, 115. In termini generali, sulla “tendenza all’abbandono del principio della corrispondenza tra la forma e la forza normativa” cfr., altresì, P. CARETTI, Tendenze evolutive dei poteri di direzione dell’amministrazione: alcune esperienze a confronto, in Potere regolamentare e strumenti di direzione dell’amministrazione. Profili comparatistici, a cura di P. CARETTI, U. DE SIERVO Bologna, 1991, 18, 19.

26 B. CARAVITA, A. MORRONE, L’organizzazione costituzionale e l’ambiente, cit., 115; B. CARAVITA DI

TORITTO, Costituzione, principi costituzionali e tecniche di normazione per la tutela dell’ambiente, in Ambiente e diritto, a cura di S. GRASSI, M. CECCHETTI, A. ANDRONIO, Firenze, 1999, I, 203. Analogamente, S. GRASSI, L’ambiente come problema istituzionale, in Lo stato delle istituzioni italiane. Problemi e prospettive, Milano, 1994, 611. Sul recente fenomeno della c.d. provvedimentalizzazione delle leggi cfr., altresì, A. PAPA, Alcune considerazioni sulla tecnica del rinvio nella produzione normativa, cit., 283.

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generalità ed astrattezza, finendo per assumere le prescrizioni normative contenuti sempre più dettagliati e puntuali, con conseguente invasione del campo tradizionalmente spettante all’esecutivo”.

In secondo luogo, l’elevato tecnicismo dei termini linguistici utilizzati dal legislatore in questo specifico settore tende non di rado ad ostacolare la corretta ed immediata comprensione del testo normativo da parte di tutti coloro cui esso si rivolge. “Il termine tecnico proprio di altra branca del diritto – si osserva − porta celata in sé una componente teleologica che, trapiantata inavvertitamente nel diritto penale, può generare effetti strani o comunque non desiderabili” 27, che possono rivelarsi del tutto disfunzionali nell’ambito delle conoscenze e delle applicazioni giuridico-penali.

In terzo luogo, nel momento in cui il legislatore opta per una tecnica di costruzione della fattispecie incriminatrice caratterizzata dalla scissione del nucleo precettivo in diverse disposizioni, si perseguono sicuramente rilevanti esigenze di economicità “volte a contenere il numero delle norme giuridiche, di modo che possano essere facilmente «dominabili»”28, ma spesso si creano poi sul piano applicativo, come già anticipato, rilevanti difficoltà esegetiche che, oltre a pregiudicare talvolta la trasparenza della norma, costringono comunque l’interprete ad una difficile opera di ricostruzione della fattispecie29, mediante una sorta di “assemblaggio” di più parti distribuite in diverse disposizioni30, in taluni casi neppure perfettamente coordinate tra di loro.

Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, all’abrogato art. 25, comma 6, d.P.R. n. 203 del 1988, in materia di inquinamento atmosferico, che puniva, prima dell’intervento della Corte costituzionale con sentenza n. 185 del 199231, chi avesse eseguito la modifica o il trasferimento di impianti di un certo tipo senza l’autorizzazione prescritta dall’art. 13. Il richiamato art. 13, tuttavia, non prescriveva affatto un’autorizzazione per la modifica o il trasferimento di impianti; autorizzazione, quest’ultima, che, viceversa, era prescritta dall’art. 15 dello stesso d.P.R. In tal modo si era venuta a creare una situazione paradossale, per

27 A. PAGLIARO, Testo e interpretazione nel diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, 434. 28 G. FLORA, Profili penali in materia di imposte dirette ed I.V.A., cit., 55. 29 Sul punto, anche se con specifico riferimento alla legislazione tributaria, cfr. G. FLORA, op. ult.

cit., in particolare 55, 56. In relazione alla materia ambientale cfr., tra gli altri e di recente, L. RAMACCI, Diritto penale dell’ambiente, Padova, 2007, in particolare 26 ss.

30 F. C. PALAZZO, Tecnica legislativa e formulazione della fattispecie penale in una recente circolare della presidenza del Consiglio dei Ministri, cit., 244.

31 In Giur. cost., 1992, 1333 ss., con nota di U. RESCIGNO, L’errore materiale, la cattiva redazione delle leggi e la Corte, ivi, 2418 ss.

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cui vi era, da un lato, una disposizione (l’art. 25, comma 6) che non pareva suscettibile di applicazione alcuna, contenendo un rinvio erroneo, e dall’altro lato una lacuna, giacché alla fattispecie “modifica o trasferimento di impianti senza autorizzazione” non era connessa alcuna conseguenza giuridica32. La situazione venne risolta, in modo, peraltro, non del tutto esente da osservazioni critiche33, soltanto dopo alcuni anni dalla pubblicazione del d.P.R. 203 del 1988, con la pronuncia da parte della Corte costituzionale della succitata sentenza “correttiva” n. 185 del 1992, che dichiarò l’illegittimità dell’art. 25, comma 6, “nella parte in cui fa riferimento all’autorizzazione prescritta dall’art. 13 anziché all’autorizzazione prescritta dall’art. 15”.

Un altro e più recente caso paradigmatico si può evincere dal testo dell’art. 16, comma 2, d.lg. 36 del 2003, il quale prevede l’applicabilità delle sanzioni comminate dall’abrogato articolo 51, comma 5, d.lg. 22 del 1997 nei confronti di chi, in violazione del divieto di cui all’articolo 7, comma 4 del medesimo d.lg. 36 del 2003, diluisce o miscela i rifiuti, al solo fine di renderli conformi ai criteri di ammissibilità di cui all’articolo 5. Sennonché, da una lettura delle norme richiamate dall’art. 16, comma 2, sorge il dubbio che quest’ultima disposizione sia affetta da un errore materiale di redazione sotto un duplice profilo: da un lato, nella parte in cui rinvia alla “violazione del divieto di cui all’art. 7, comma 4” e, dall’altro lato, nella parte in cui fa riferimento ai “criteri di ammissibilità di cui all’art. 5”. A ben vedere, infatti, l’art. 7 disciplina le diverse tipologie di rifiuti ammessi in discarica, disponendo, nel quarto comma, che “nelle discariche per rifiuti pericolosi possono essere ammessi solo rifiuti pericolosi che soddisfano i criteri fissati dalla normativa vigente”. Un vero e proprio divieto di miscelazione si trova, invece, enunciato nell’art. 6, comma 2, il quale, sembrerebbe rispecchiare pedissequamente il contenuto precettivo della norma sanzionatoria di cui all’art. 16, comma 2, prevedendo che “è vietato diluire o miscelare rifiuti al solo fine di renderli conformi ai criteri di ammissibilità di cui all’articolo 7”. Dunque, parrebbe ragionevole ritenere che il legislatore volesse riferirsi proprio alla violazione di questo divieto, piuttosto che alla disposizione, viceversa, richiamata nel corpo della norma sanzionatoria. Senza contare, poi, che la

32 R. GUASTINI, Errore materiale e interpretazione correttiva della legge penale, in Giur. cost., 1992, 1339. In

argomento cfr., altresì, L. BUTTI, La Corte costituzionale corregge l’inquinamento normativo, in Riv. giur. amb., 1992, 1316; D. CONTE, Inquinamento atmosferico, in La tutela penale dell’ambiente, a cura di P. AMELIO e F. S. FORTUNA, Torino, 2000, in particolare 85.

33 Sul punto cfr. R. GUASTINI, Errore materiale e interpretazione correttiva della legge penale, cit., 1339 ss. Cfr. altresì, M. D’AMICO, Il principio di determinatezza in materia penale fra teoria e giurisprudenza costituzionale, in Giur. cost., 1998, 363 ss.

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prescrizione relativa al divieto di miscelazione enunciata dall’art. 6, comma 2, rimarrebbe del tutto sprovvista di sanzione se non si ritenesse che il rinvio effettuato dall’art. 16, comma 2, debba essere riferito, appunto, alla stessa. Analogo discorso dovrebbe essere fatto per il richiamo ai “criteri di ammissibilità di cui all’art. 5”. Quest’ultima norma, infatti, enuncia semplicemente gli “obiettivi di riduzione del conferimento di rifiuti in discarica”, mentre solo i successivi artt. 6 e 7 risultano specificamente rivolti alla fissazione di regole e criteri di ammissibilità dei rifiuti. Tanto che, come anticipato, lo stesso art. 6, comma 2, nell’enunciare il divieto di diluizione o miscelazione, richiama, appunto, i criteri di ammissibilità di cui all’art. 7. Tanto premesso, si comprende che, là dove si ritenessero condivisibili le osservazioni svolte, l’art. 16, comma 2, d.lg. 36 del 2003 si porrebbe in forte tensione con il principio di determinatezza, il quale, come è noto, impone la formulazione di norme chiare ed intellegibili già sotto il profilo semantico.

Dovrebbe, allora, apparire chiaro che la frammentazione precettiva, spesso caratterizzante le più recenti fattispecie penali indissolubilmente legate a presupposti normativi di natura extrapenale, si traduce molte volte in una vertiginosa caduta della tassatività, difficilmente compatibile con le riconosciute esigenze garantiste sottese alla stessa34. Infatti, l’apporto massiccio fornito da un labirintico reticolo di disposizioni extrapenali fa sì che la fattispecie risulti spesso sprovvista di un autentico nucleo di “riconoscibilità” sociale e di offensività penalistica, anche in considerazione sia del modesto standard di determinatezza proprio della maggioranza delle disposizioni extrapenali integratrici della norma sanzionatoria35, sia della complessità dei reciproci rapporti tra i diversi frammenti della fattispecie incriminatrice. Last but not least, come è stato rilevato36, spesso “la tecnica del rinvio trasforma i rapporti tra

34 Su tali profili cfr., tra gli altri, L. STORTONI, L’introduzione nel sistema penale dell’errore scusabile di

diritto: significati e prospettive, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, in particolare 1319 ss.; M. D’AMICO, Qualità della legislazione, diritto penale e principi costituzionali, in Riv. dir. cost., 2000, 3 ss.; K. TIEDEMANN, Tecnica legislativa nel diritto penale economico, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2006, 2, 3.

35 Per un’analisi di talune peculiarità “linguistiche” delle norme penali ambientali cfr., per tutti, G. AZZALI, Brevi osservazioni formali sulla legislazione ambientale, in Riv. tim. dir. pen. econ., 1996, 1143 ss. Per un ulteriore approfondimento della problematica in oggetto, sia pure con specifico riferimento al diritto penale agro-alimentare, cfr. C. BENELLI, Sanzioni aggravate per l’uso di ormoni ed altre sostanze anabolizzanti nelle produzioni animali, in Dir. pen. proc., 1999, 1493, 1494; C. PIERGALLINI, Depenalizzazione e riforma del sistema sanzionatorio nella materia degli alimenti, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, 1452.

36 M. DONINI, Teoria del reato, cit., 231, 232, nonché M. DONINI, Dolo e prevenzione generale nei reati economici. Un contributo all’analisi dei rapporti fra errore di diritto e analogia nei reati in contesto lecito di base, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1999, 19 ss.

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fattispecie ed antigiuridicità: non si individuano a monte aree e settori di rischio penale capaci di orientare il destinatario del ‘nucleo’ significativo del precetto nella individuazione delle normative periferiche che, completando la disciplina della tipicità, svolgono un mero ruolo di concretizzazione (…). Invece, la stessa tipicità è così normativizzata – e priva di un referente ‘fattuale’ o sociale pregnante – da capovolgere il vecchio principio della concezione tripartita: l’antigiuridicità è ‘indice del fatto’ (anziché viceversa)”.

Ne consegue che la tecnica normativa del rinvio, sia esso implicito (attraverso il ricorso ad elementi normativi), sia esso esplicito (effettuato per il tramite di esplicite clausole di rinvio)37, rischia anche nelle ipotesi di rimando ad enunciati di pari rango di svilire l’efficacia dell’intervento penale38, tanto con riferimento alla funzione deterrente e di stigmatizzazione39, “che presuppone innanzitutto una norma penale comprensibile, prima ancora che condivisa ed accettata dalla coscienza dei consociati; quanto con riferimento alla necessità di assicurare la preventiva certezza al destinatario della norma, in ordine alla portata di quest’ultima ed alla sua conoscibilità”40, con inevitabili e rilevanti ripercussioni anche sotto il profilo della colpevolezza41.

37 Sulla distinzione tra rinvio implicito ed esplicito cfr., per tutti, F. C. PALAZZO, Tecnica legislativa e

formulazione della fattispecie penale in una recente circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, cit., 234 e bibliografia ivi riportata.

38 Rileva come la “polverizzazione” dei precetti penali − dovuta all’abuso di tecniche di rinvio − contribuisca ad indebolire la funzione di orientamento del sistema anche C. FIORE, Decodificazione e sistematica dei beni giuridici, in Beni e tecniche della tutela penale. Materiali per una riforma del codice, Milano, 1987, 79.

39 Ricorda F. C. PALAZZO, a questo proposito, come “la fiducia e la convinzione nella capacità ordinante della legge” sia “direttamente proporzionale innanzitutto alla chiarezza e all’efficacia con la quale si esprimono i testi normativi” (in Tecnica legislativa e formulazione della fattispecie penale in una recente circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, cit., 231).

40 G. M. FLICK, Problemi attuali e profili costituzionali del diritto penale di impresa, in Riv. it. dir. proc. pen., 1983, 443. Sostanzialmente nello stesso senso anche A. CADOPPI, La natura giuridica della “mancanza di autorizzazione” nella fattispecie penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, 386; P. PATRONO, La responsabilità del produttore per danni alla salute, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1991, 1064. Sul punto si veda, altresì, la Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 5 febbraio 1986 (in Cass. pen., 1986, 633), nella quale si ricorda come la tecnica del c.d. rinvio a catena, in particolare, si ponga “in stridente contrasto con le esigenze di conoscibilità delle norme”, posto che “costringe l’interprete ad una defatigante «rincorsa» di disposizioni”. Sui problemi di conoscibilità dell’effettiva portata dei divieti penali sollevati dalle fattispecie che utilizzano “tecniche normative equivoche o comunque poco trasparenti” cfr., altresì, A. PAGLIARO, Valori e principi nella bozza italiana di legge delega per un nuovo codice penale, in Riv. it. dir. proc. pen. 1994, 378.

41 Sugli stretti rapporti intercorrenti tra certezza del diritto nel sistema penale e colpevolezza, cfr., amplius e per tutti, F. C. PALAZZO, Le articolazioni concrete della certezza del diritto nel sistema penale, in La

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È evidente, tuttavia, che siffati inconvenienti scaturiscono in larga misura, più che dalla tecnica del rinvio in sé, dal malgoverno della tecnica normativa medesima. Siché, conclusivamente, appare importante ribadire con forza la necessità che il rinvio venga sempre effettuato – anche allorché si tratti di integrazione ad opera di fonti di rango legislativo – in modo tale da non ostacolare l’esatta ricostruzione del fatto tipico e scongiurare, dunque, il rischio di “un’indeterminatezza per riflusso”42 della fattispecie penale43. In tale prospettiva rimangono più che attuali le esortazioni contenute nell’ormai nota Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri44, la quale più di vent’anni or sono fu lungimirante nel suggerire la “massima cautela da parte del legislatore che, non potendone fare a meno45, si accinge ad utilizzare la tecnica del rinvio”. Inoltre, il legislatore dovrebbe avere cura di non adagiarsi in descrizioni della fattispecie fondate su rinvii in blocco ad un’intera disciplina amministrativa, posto che tale strada gli precluderebbe l’imprescindibile risultato di selezionare specifiche tipologie comportamentali penalmente significative.

2.2. Il rinvio a fonti subordinate sotto il profilo della riserva di legge

Al deficit di determinatezza che, come anticipato, afflige talune ipotesi di rinvio, anche ad enunciati di rango legislativo, riscontrabili nell’ambito del diritto penale ambientale si aggiungono, poi, ulteriori gravi problemi di compatibilità delle fattispecie incriminatrici in esame con il principio della riserva di legge, là dove l’eterointegrazione venga affidata a norme di rango subordinato. A fronte, infatti, di una generalità di ipotesi in cui la puntualizzazione degli elementi necessari a delineare compiutamente il profilo precettivo è rimessa esclusivamente a norme di legge, vi sono anche taluni casi in cui la disciplina legislativa non è affatto esaustiva, ma, anzi, lascia ampi margini di discrezionalità all’autorità amministrativa, cui è, talvolta, affidato il

certezza del diritto. Un valore da ritrovare, Milano, 1993, 67 ss.; ID., Certezza del diritto e codificazione penale, in Pol. dir., 1993, 365 ss. Sul punto cfr., altresì, A. CADOPPI, La natura giuridica della “mancanza di autorizzazione” nella fattispecie penale, cit., 386; M. PETRONE, La costruzione della fattispecie mediante rinvio, cit., 198.

42 L’espressione è di D. MICHELETTI, Legge penale e successione di norme integratrici, cit., 55, nt. 202. 43 Sui problemi inerenti alla tassatività che coinvolgono quelle fattispecie, la cui formulazione non

consente di individuare a priori il tipo di condotta sussumibile nella norma cfr., per tutti, F. BRICOLA, Legalità e crisi: l’art. 25, commi 2° e 3°, della Costituzione rivisitato alla fine degli anni ‘70, in La Questione crim., 1980, 215 ss.

44 Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 5 febbraio 1986, in Cass. pen., 1986, 624 ss. 45 Il corsivo è aggiunto.

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compito di contribuire alla determinazione di frammenti precettivi più o meno rilevanti, in alcuni casi anche attraverso forme occulte di rinvio.

Si pensi alla disciplina un tempo contenuta nella legge Merli, ora abrogata, ed in particolare alla distinzione, che peraltro aveva visto accrescere la sua importanza con la legge n. 172 del 1995, tra scarichi da insediamenti produttivi, da un lato, e scarichi da insediamenti civili, dall’altro lato; operazione, questa, prodromica rispetto all’individuazione della disciplina applicabile nel singolo caso concreto. Ebbene, la formulazione originaria della legge 319 del 1976 non forniva alcuna definizione di insediamento produttivo o civile, pur essendo imperniata su tale distinzione. Soltanto con la legge 8 ottobre 1976, n. 690 − sostanzialmente, dunque, attraverso un rinvio implicito ad altra legge − venne fornita (art. 1-quater) un’interpretazione “autentica”46 dei concetti di insediamento produttivo e di insediamento civile47. Sennonché, l’ultimo comma dell’art. 1 quater della legge 690 del 1976 prevedeva, sic et simpliciter, che “le imprese agricole di cui all’art. 2135 del codice civile” fossero “considerate insediamenti civili”. Tale formulazione fu vivacemente criticata da dottrina e giurisprudenza, le quali sottolineavano la gravità di una situazione in forza della quale venivano di fatto equiparate attività spesso molto inquinanti − ad esempio, uso di pesticidi, diserbanti, ecc. − agli insediamenti civili, con la conseguenza di assoggettarle alla disciplina propria di questi ultimi. In tale contesto intervenne allora la legge 24 dicembre 1979, n. 650, il cui art. 17, nell’intento di porre rimedio a tale situazione, stabilì che il Comitato interministeriale avrebbe provveduto entro sessanta giorni a definire le imprese agricole da considerarsi insediamenti civili ai sensi dell’art. 1-quater, rimettendo, in tal modo, la decisione circa l’assoggettabilità o meno dei titolari di imprese agricole alla disciplina penale prevista dalla legge Merli, in relazione agli insediamenti produttivi, ad un atto del potere esecutivo (precisamente ad una delibera del Comitato interministeriale), a prescindere dall’indicazione di criteri generali e presupposti per l’esercizio di tale potere48.

46 G. AMENDOLA, La tutela penale dall’inquinamento idrico, Milano, 1996, 60. 47 Sul punto cfr., amplius, P. M. VIPIANA, Inquinamento idrico. La riforma della legge Merli, Torino,

1996, 32 ss. 48 Sul punto cfr., F. GIAMPIETRO, Orientamenti giurisprudenziali sul «trattamento» dell’impresa agricola

nella legge Merli, Merli-bis e nella delibera 8 maggio 1980, in Cass. pen. 1982, 1427; S. PANAGIA, Lo smaltimento dei rifiuti fra utopia legislativa e realtà normativa, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1989, in particolare 699, nt. 12; ID., La tutela dell’ambiente naturale nel diritto penale d’impresa, Padova, 1993, in particolare 63, nt. 8. Peraltro, la disciplina posta con la delibera ministeriale del 1980, nella sua evidente e grave indeterminatezza, ingenerò una casistica giurisprudenziale talmente varia ed incoerente che nessuno era in grado di prevedere con qualche sicurezza quando lo scarico da impresa agricola fosse da

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Pur senza arrivare a forme così tortuose di definizione della condotta penalmente rilevante, anche il vigente diritto penale dell’ambiente risulta infarcito di ipotesi in cui si assiste a fenomeni di eterointegrazione del precetto ad opera di fonti diverse dalla legge.

Sempre in materia di tutela delle acque emblematico è il rinvio a catena attualmente effettuato dall’art. 137, comma 7, d.l.g 152 del 2006, ai sensi del quale è punito chiunque (…) non osserva le prescrizioni o i divieti di cui all’articolo 110, comma 5. L’art. 110, comma 5, a sua volta prevede che (…) l’autorità competente può indicare quantità diverse o vietare il trattamento di specifiche categorie di rifiuti (…). Senza dimenticare, infine, le numerose norme che sanzionano, la violazione di c.d. parametri di accettabilità, fissati, direttamente o indirettamente, non di rado proprio da fonti secondarie49.

Per affrontare il problema relativo alla compatibilità di siffatta tecnica di tipizzazione con il principio della riserva di legge ci sembra opportuno sgombrare il campo da un equivoco terminologico, nel senso che parrebbe fuorviante continuare a fare riferimento al tradizionale schema normativo della c.d. norma penale in bianco come autonomo paradigma di coordinazione tra norme, là dove venga in considerazione, appunto, un rinvio a fonti subordinate. Il suddetto schema, infatti, in considerazione della vigenza del principio della riserva di legge, così come interpretato anche dalla Corte costituzionale, parrebbe potersi configurare unicamente là dove il rinvio venga effettuato nei confronti di fonti di rango legislativo. In tal caso, effettivamente, ci si potrebbe trovare di fronte a clausole sanzionatorie in bianco senza che ciò comporti strappi al principio della riserva di legge. Viceversa, l’espresso richiamo lessicale a una norma in bianco, parrebbe risultare rischioso se riferito all’integrazione ad opera di fonti subordinate, alla luce della preclusione, unanimemente condivisa, per queste ultime di contribuire alla determinazione dell’intero nucleo precettivo o

qualificare «civile» o «produttivo». Sul punto cfr., per tutti, P. GIAMPIETRO, Gli scarichi della impresa agricola fra legge Merli e normativa sui rifiuti, in Aspetti penali del diritto agro-alimentare, Milano, 1999, 58.

49 In relazione alle fattispecie incentrate sul superamento di limiti tabellari si è osservato come questi ultimi siano “concettualmente interni al precetto penale, ma da esso distinti a livello non solo topografico (in una sorta di «vertigini combinatorie», certamente esiziali sotto il profilo dell’errore di sussunzione dell’elemento normativo del fatto), ma altresì sul piano della gerarchia delle fonti (in quanto generalmente affidati alla previsione da parte della potestà regolamentare dell’esecutivo)” (A. MANNA, Struttura e funzione dell’illecito penale ambientale. Le caratteristiche della normativa sopranazionale, in Giur. merito, 2004, 2171).

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anche di singoli elementi costitutivi dello stesso50. Tanto che non parrebbe neppure rilevante la distinzione, talvolta utilizzata, tra norme penali in bianco e norme parzialmente in bianco; distinzione, questa, in relazione alla quale, peraltro, non sembrano neppure rinvenibili criteri adeguati per l’individuazione del rispettivo ambito di operatività delle due categorie di norme51.

Dunque, al di fuori dell’ipotesi di eterointegrazione della fattispecie ad opera di fonti legislative, le diverse forme di ricomposizione della disarticolazione della fattispecie utilizzate dal nostro legislatore parrebbero potersi semplicemente classificare in forme di rinvio esplicito e forme di rinvio implicito52. Sicché, alla prima categoria sarebbe possibile ricondurre le ipotesi in cui la norma penale rinvia esplicitamente ad una disposizione integrativa “nominata”, cioè specificamente individuata attraverso una clausola espressa di rinvio; nelle seconda categoria sarebbe, invece, possibile ricomprendere i casi in cui la norma penale rinvia implicitamente al contenuto di una normativa integrativa attraverso il ricorso ad elementi normativi.

In tutte queste ipotesi, la dottrina più recente è incline a ritenere che per valutare la compatibilità delle fattispecie, di volta in volta prese in considerazione, con il principio della riserva di legge sia necessario verificare, non tanto il grado di estensione dell’apporto della fonte subordinata, quanto, piuttosto, la funzione del rinvio che la norma penale effettua alle fonti subordinate medesime; si tratterebbe, in altre parole, di verificare se quest’ultimo rimanga effettivamente contenuto nell’ambito dei confini della c. d. specificazione tecnica di elementi del reato già descritti dalla legge, o se, viceversa, incida, di fatto, sul significato di disvalore dell’illecito.

In sintesi: preliminare ad ogni eventuale valutazione di legittimità di norme eterointegrate da fonti subordinate dovrebbe essere l’individuazione di indicazioni a carattere generale contenute nella stessa legge che pone l’incriminazione; indicazioni che spetterebbe, poi, alle fonti extralegislative attuare attraverso norme, appunto, di specificazione. Una cosa, infatti, sarebbe l’individuazione del criterio tecnico (e non la sua mera specificazione) per la

50 In questo senso nella dottrina spagnola cfr., per tutti, M. GARCIA ARÀN, Remisiones normativas,

leyes penales en blanco y estructura de la norma penal, in Estudios Penales y Criminológicos, vol. XVI, Universitad de Santiago de Compostela, 1993, 71 ss.

51 Amplius, L. RISICATO, Gli elementi normativi della fattispecie penale. Profili generali e problemi applicativi, Milano, 2004, 95 ss.; D. MICHELETTI, Legge penale e successione di norme integratrici, cit., in particolare 25 ss.

52 Sulle possibili diverse classificazioni prospettate in tema di “rinvio” v., di recente, M. PETRONE, La costruzione della fattispecie mediante rinvio, cit., 157 ss.

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formulazione della fattispecie; altra cosa la determinazione in via deduttiva della portata della categoria tecnica affidata all’esecutivo53. Mentre la prima non potrebbe essere rimessa a fonti subordinate alla legge se non a costo di sacrificare irrimediabilmente le esigenze garantistihe sottese al principio di stretta legalità in materia penale, la seconda si rivelerebbe nell’attuale stadio di evoluzione del nostro ordinamento giuridico indispensabile per assicurare una certa flessibilità dello stesso, soprattutto in taluni settori della legislazione speciale, caratterizzati da complessità tecnica e bisognosi di continuo aggiornamento54.

A conclusioni simili è giunta anche la Corte costituzionale, la quale, già a partire dagli anni sessanta, ebbe occasione di precisare che l’integrazione ad opera di atti adottati dalla pubblica amministrazione del precetto sanzionato penalmente non viola la riserva di legge allorché siano esigenze esclusivamente, o quasi esclusivamente, tecniche, a consigliare che la normazione della materia sia decentrata ad autorità locali o ad enti pubblici statali. In tali casi, infatti, i poteri riconosciuti all’autorità amministrativa sarebbero tutt’altro che arbitrari, apparendo puntualmente e adeguatamente finalizzati, specificati nel contenuto

53 Sul punto cfr., amplius e per tutti, F. BRICOLA, Teoria generale, cit., 42 ss. Più di recente, M.

PARODI GIUSINO, Nodi problematici in tema di fonti del sistema penale, ne L’indice pen., 2002, 436 ss. Con specifico riferimento alla materia esaminata cfr., altresì, S. PANAGIA, La tutela dell’ambiente naturale nel diritto penale d’impresa, cit., 65, nt. 9.

54 Per tutti, M. ROMANO, Repressione della condotta antisindacale. Profili penali, Milano, 1976, in particolare 170 ss.; G. VASSALLI, «Nullum crimen sine lege», in Noviss. Dig. it., Appendice, Torino, 1984, 295; M. DONINI, Teoria del reato, cit. 223; M. PARODI GIUSINO, Nodi problematici in tema di fonti del sistema penale, cit., 436; M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, I, Milano, 2004, 37. Nella manualistica, tra gli altri, F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Padova, 2007, 47; G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2007, 59. Nello stesso senso, con specifico riferimento alla legislazione penale posta a tutela dell’ambiente cfr., tra gli altri, S. PANAGIA, La tutela dell’ambiente naturale nel diritto penale d’impresa, cit., 12; G. GRASSO, I rapporti tra la legislazione penale nazionale e la normativa internazionale e comunitaria in materia di tutela delle acque, in Protection of the environment and penal law, a cura di C. ZANGHÌ, Bari, 1993, 241. Analogamente nelle dottrina spagnola, in termini generali e per tutti, L. ARROYO ZAPATERO, Principio de legalidad y reserva de ley en materia penal, in Rev. española de Derecho constitucional, 1983, n. 8, 30 ss.; N. GARCIA RIVAS, El principio de determinación del heco punibile en la Doctrina del Tribunal Constitucional, Madrid, 1992, in particolare 32 ss.; con specifico riferimento alla materia ambientale, tra gli altri, N. J. DE LA MATA BARRANCO, Protección penal del ambiente y accessoriedad administrativa, cit., in particolare 83 ss. Nella giurisprudenza costituzionale, sulla legittimità di un’integrazione della fattispecie penale ad opera di atti amministrativi, che sia contenuta nell’ambito di una valutazione strettamente tecnica, cfr. per tutte, ed oltre alla nota sentenza 282 del 1990 (sul punto cfr. amplius infra § 5.1.), Corte cost., 11 luglio 1991, n. 333, in Giur. cost., 1991, in particolare 2665 ss.

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e delimitati55. Con la conseguenza, inoltre, che in siffatte condizioni si aprirebbe la possibilità del sindacato giurisdizionale di legittimità su ogni deviazione nell’esercizio della normazione amministrativa56.

In breve: il largo favore riscosso dal criterio della c.d. specificazione tecnica, divenuto un vero e proprio topos sia nell’ambito della dottrina sia nell’ambito della giurisprudenza, dipende – come è stato osservato – dal radicamento di una duplice e assai diffusa convinzione teorica: vale a dire quella dell’ineluttabilità e al tempo stesso della neutralità dell’eterointegrazine di una legge penale da parte di norme amministrative aventi una funzione di semplice specificazione tecnica57. Sennonché, entrambe siffatte premesse non appaiono così scontate. Da un lato, infatti, l’addotta incapacità del Parlamento a esprimere discipline di carattere squisitamente tecnico assume le vesti di una di “quelle credenze teoriche” che “vengono tralatiziamente tramandate pur in assenza del benché minimo fondamento”58. A conferma di tale osservazione si ricorda che, in tempi anteriori al diffondersi della “cultura della delegificazione”, fattispecie incriminatrici corrispondenti a quelle ora affidate alla cogestione dell’esecutivo erano interamente delineate dal legislatore, non di rado anche in relazione alla fissazione di quei “livelli di soglia” ora additati come espressione di un tecnicismo irraggiungibile dal Parlamento59. Invero, anche il Parlamento dispone di strumenti che gli consentono di instaurare un dialogo con i detentori delle competenze specialistiche nella fase che precede l’approvazione del testo legislativo60. A ciò si aggiunga che, al di fuori dei casi in cui i tecnici intervengono nel procedimento di formazione delle leggi, il Parlamento ha, altresì, a disposizione la possibilità di ricorrere alla delega legislativa, che presenterebbe l’indiscutibile vantaggio di evitare “una perdita di

55 Corte cost., 19 magio 1964, n. 36, in Giur. cost., 1964, 483 ss., con nota di G. AMATO, Sufficienza

e completezza della legge penale, ivi, 486 ss. 56 Così Corte cost., 23 marzo 1966, n. 26, in Giur. cost., 1966, 255 ss, con nota di G. AMATO,

Riserva di legge e libertà personale in una sentenza che restaura l’art. 25, ivi, 262 ss. 57 D. MICHELETTI, Legge penale e successione di norme integratrici, cit., 554. In argomento v., altresì, E.

INFANTE, G. SALCUNI, Diritto penale del comportamento e disvelamento della necessaria “politicità “ del giudizio degli esperti. Abbandono dell’integrazione del precetto penale ad opera di fonti secondarie “tecniche”?, in Annali dell’Università degli Studi di Foggia, 2005, 1153 ss.

58 D. MICHELETTI, Legge penale e successione di norme integratrici, cit., 555, cui si rinvia per approfondimenti ed esemplificazioni.

59 F. SALMONI, Le norme tecniche, Milano, 2001, 25. 60 Sul punto amplius F. SALMONI, Le norme tecniche, cit., 175 ss.; O. BEI, Le strutture ausiliarie dei poteri

normativi nello svolgimento dei metodi della legislazione, in Rass. Parl., 2001, 733 ss.

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quota” di una parte del precetto penale61, posto che verrebbe meno la possibilità per fonti diverse dalla legge di modificarlo successivamente.

Infine, non si deve dimenticare che la stessa individuazione del significato da attribuire alla locuzione “specificazione tecnica” risulta vieppiù controversa, così come affatto scontata è l’idea che debba sempre considerarsi obiettiva e neutrale una norma giuridica che si ispiri a paradigmi scientifici. In realtà, la presunta “neutralità della tecnica, che – secondo alcuni – comporterebbe la sua infallibilità, non è affatto esente da opzioni valutative”62. Anzi: dall’analisi del profilo contenutistico della disciplina posta a tutela dell’ambiente emerge che “proprio all’interno delle normative tecniche è racchiuso quasi sempre il nucleo fondamentale delle scelte di tutela dell’ambiente e dunque degli obblighi e dei limiti che si impongono alle attività dei privati e delle pubbliche amministrazioni”63. Tanto che una parte della dottrina ha provocatoriamente invitato a “sgombrare il campo dai possibili equivoci sul metodo di lavoro degli scienziati e sulla visione di una scienza impermeabile e neutra rispetto ai valori”64. Ci si riferisce “a quelle impostazioni che in altro contesto vengono ritenute proprie dei «positivisti ingenui», consistenti nel ritenere che lo scienziato agisca, nell’approccio ai problemi e alle controversie che affronta, in modo rigorosamente oggettivo; a quello stereotipo, insomma, dello scienziato «freddo, privo di emozioni, impersonale e passivo che riflette in modo esatto il mondo sulle lenti di suoi occhiali immacolati»”65.

Rebus sic stantibus, non appare, dunque, impresa agevole quella volta a tracciare il limite di accettabilità di un possibile scivolamento della materia penale verso il basso nella gerarchia delle fonti. È, infatti, incontestabile che,

61 D. MICHELETTI, Legge penale e successione di norme integratrici, cit., 556. 62 F. SALMONI, Le norme tecniche, cit., 7. Cfr., altresì, ID., Riserva di legge, norme tecniche e integrazione

europea, in I rapporti tra Parlamento e Governo attraverso le fonti del diritto. La prospettiva della giurisprudenza costituzionale, a cura di V. COCOZZA, S. STAIANO, Torino, 2001, 1027. Sostanzialmente nello stesso senso, M. GIGANTE, Alcune osservazioni sull’evolzione dell’uso del concetto di tecnica nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1997, 647 ss.

63 M. CECCHETTI, Note introduttive allo studio delle normative tecniche nel sistema delle fonti a tutela dell’ambiente, in Osservatorio sulle fonti (1996), a cura di U. DE SIERVO, Torino, 1996, 150, nonché 162. Sul tema in oggetto cfr., altresì, D. DE PRETIS, Discrezionalità e ambiente, in Ambiente, attività amministrativa e codificazione, a cura di D. DE CAROLIS, E. FERRARA, A. POLICE, Milano, 2006, 443.

64 F. CENTONZE, Scienza “spazzatura” e scienza “corrotta” nelle attestazioni e valutazioni dei consulenti tecnici nel processo penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 1234.

65 F. CENTONZE, Scienza “spazzatura” e scienza “corrotta” nelle attestazioni e valutazioni dei consulenti tecnici nel processo penale, cit., 1234, il quale cita R. RUDNER, The scientist qua scientist makes value judgments, in Introductory readings in the philosophy of science, (a cura di E. D. KLEMKE, R. HOLLINGER, A. KLINE), Buffalo, 1980, 236.

La tipicità del reato ambientale

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come è stato rilevato, “il principio democratico deve fare i conti con quello tecnocratico”66. Di fronte ad una realtà sempre più pervasa e plasmata di tecnologia parrebbe difficile “parlare ancora di una sovranità senza limiti della volontà popolare. Il legislatore non può fondare il prodotto normativo solo sul consenso sociale ma deve necessariamente attingere al sapere scientifico e mantenere un’adeguata coerenza con le esigenze tecnologiche delle realtà disciplinate”67. Tale constatazione, dunque, parrebbe decretare una perdita di centralità della legge ordinaria, con un conseguente spostamento del baricentro normativo dall’organo parlamentare all’apparato amministrativo. Ne deriverebbe che “tenere il diritto penale saldamente ancorato a un terreno esclusivamente naturalistico, rifiutando le componenti di artificialità normativa introdotte dalla proliferazione delle fonti secondarie, può essere irrealistico nel senso proprio della parola”68, sicché si “deve rifuggire dal vagheggiamento di una realtà immaginaria”69. Ma, posto che la legalità continua a rappresentare una delle garanzie fondamentali del diritto penale, corre l’obbligo di chiedersi se si possano intravedere strade alternative rispetto a quella di un completo abbandono della democraticità di talune importanti scelte punitive. La ramificazione verso il basso della disciplina primaria non dovrebbe, infatti, tradursi in una flessione delle garanzie costituzionali70.

Ebbene, se è vero che “le valutazioni tecniche non sono di per se stesse (assolutamente) certe e disinteressate, possono diventare (relativamente) tali allorché ci si preoccupi di apprestare mezzi adatti a raggiungere questo obiettivo”71. Là dove, dunque, l’esattezza della scienza non può essere offerta dalla tecnica, il diritto deve farsi carico di introdurre meccanismi di garanzia di un esercizio il più possibile disinteressato e imparziale delle valutazioni tecniche72.

In tale prospettiva, è stato proposto di compensare il posibile vulnus al principio della riserva di legge attraverso una maggiore partecipazione democratica alla formazione delle decisioni che maturano a livello

66 F. C. PALAZZO, Sistema delle fonti e legalità penale, in Cass. pen., 2005, 279. 67 F. C. PALAZZO, Sistema delle fonti e legalità penale, cit., 279. 68 F. C. PALAZZO, Sistema delle fonti e legalità penale, cit., 282. 69 F. C. PALAZZO, Sistema delle fonti e legalità penale, cit., 283. 70 D. MICHELETTI, Legge penale e successione di norme integratrici, cit., 61. 71 V. ANGIOLINI, Attività «tecniche» della pubblica amministrazione e riparto delle competenze tra Stato ed

autonomie: in margine alla giurisprudenza costituzionale sulle «omologazioni» industriali, in La normativa tecnica industriale, a cura di P. ANDREINI, G. CAIA, G. ELIAS, F. A. ROVERSI- MONACO, Bologna 1995, 251.

72 M. GIGANTE, Alcune osservazioni sull’evolzione dell’uso del concetto di tecnica nella giurisprudenza della Corte costituzionale, cit., 657.

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amministrativo73. Sicché, andrebbe garantita non solo l’attendibilità delle valutazioni tecniche, ma anche la trasparenza e la pubblicità dei relativi procedimenti di formulazione74. Nulla, infatti, parrebbe opporsi all’idea che la formulazione delle norme tecniche volte a implementare la disciplina dell’ambiente passi attraverso una “previa istruttoria, aperta a tutti i soggetti interessati, sia sul piano scientifico che su quello della tutela degli interessi coinvolti, sì da garantire il più ampio consenso all’innegabile risvolto politico che si annida nel giudizio tecnico in esse racchiuso”75.

Al fine, poi, di evitare possibili scelte arbitrarie da parte del potere esecutivo, si suggerisce la fissazione di regole che impongano l’ausilio di consulenti, i quali, non solo siano in possesso di adeguati requisiti di indipendenza ed autonomia, ma siano anche incardinati presso strutture tecniche organizzate «stabilmente»76. Là dove, inoltre, le decisioni dovessero poggiare su dati scientifici non incontrovertibili, dovrebbe comunque essere possibile l’individuazione di norme specifiche idonee a garantire il maggior grado raggiungibile di condivisibilità delle scelte effettuate in concreto77. E − si badi − l’esigenza di assicurare la democraticità della scelta politica sottesa alla fissazione di regole tecniche e standard appare direttamente proporzionale al livello di maggiore incertezza scientifica in merito alla prognosi di pericolosità della condotta penalmente rilevante78. Questo delicato bilanciamento tra le garanzie fondamentali offerte dai classici principi del diritto penale appare ormai imposto dagli “effetti disgregatori dell’odierno postmodernismo penalistico”, i quali si colgono “nella progressiva affermazione di una visione del rapporto tra i principi di garanzia, che non è più sinergico (…) ma ispirato piuttosto all’idea

73 F. GIUNTA, Tutela dell’ambiente (diritto penale), in corso di pubblicazione in Enc. dir., Aggiornamento,

§ 7; ID., Il diritto penale e le suggestioni del principio di precauzione, in Criminalia, 2006, 238. Analogamente, in termini più generali, M. CECCHETTI, Note introduttive allo studio delle normative tecniche nel sistema delle fonti, cit., 163.

74 B. CARAVITA, A. MORRONE, L’organizzazione costituzionale e l’ambiente, cit., 121. 75 F. GIUNTA, Il diritto penale e le suggestioni del principio di precauzione, cit., 238. 76 B. CARAVITA, A. MORRONE, L’organizzazione costituzionale e l’ambiente, cit., 121; M. CECCHETTI,

Note introduttive allo studio delle normative tecniche nel sistema delle fonti, cit., 163, 164. Da ultimo, F. GIUNTA, Tutela dell’ambiente, cit., § 7.

77 B. CARAVITA, A. MORRONE, L’organizzazione costituzionale e l’ambiente, cit., 121. 78 Sul tema della ragionevolezza della prognosi di pericolo posta alla base della costruzione delle

fattispecie incriminatrici riconducibili al paradigma del pericolo astratto cfr. infra cap. III.

La tipicità del reato ambientale

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della loro possibile alternatività”79, nel senso che il vulnus alla riserva di legge è il prezzo che si paga sull’altare della determinatezza.

In ogni caso, e conclusivamente, parrebbe che il giudizio in merito alla compatibilità dell’eterointegrazione della fattispecie penale ad opera di fonti subordinate con il principio di riserva di legge possa avere epiloghi diversi in relazione al grado di vincolatività offerta dai criteri che dovrebbero indirizzare l’attività di specificazione. È evidente, infatti, che la lesione arrecata al principio costituzionale sarà tanto più evidente quanto maggiore è la latitanza del legislatore nel fissare criteri orientativi volti a delimitare la discrezionalità e la politicità dell’opera di completamento della fattispecie80.

3. Le fattispecie incentrate sulla violazione di limiti tabellari Come anticipato, nella materia della tutela ambientale trovano ampia

applicazione gli strumenti dei c.d. standard e limiti di accettabilità81. L’operatività concreta della normativa in oggetto è infatti, in larga misura condizionata dal contenuto della normativa tecnica, intendendosi con tale espressione l’insieme delle prescrizioni, caratterizzate da un elevato grado di tecnicità delle formulazioni impiegate, il cui contenuto è determinato mediante diretta applicazione di una scienza o di una tecnologia82. L’incremento di siffatte norme nelle società contemporanee è stato ricollegato al moltiplicarsi dei bisogni avvertiti dalla collettività come fondamentali, che ha comportato il contestuale moltiplicarsi delle domande, cui la ricerca scientifica e tecnologica

79 F. GIUNTA, Ideologie punitive e tecniche di normazione nel diritto penale dell’ambiente, in Riv. trim. dir. pen.

econ., 2002, 851. 80 Sul tema cfr. M. PARODI GIUSINO (Nodi problematici in tema di fonti del sistema penale, cit., 437,

438), che svolge analoghe considerazioni in relazione alla legislazione in materia di stupefacenti. 81 Sul tema degli standard ambientali cfr., per tutti, M. RENNA, Il sistema degli «standard ambientali»

tra fonti europee e competenze nazionali, in L’ambiente nel nuovo titolo V della Costituzione, a cura di B. POZZO, M. RENNA, Milano, 2004, 93 ss.

82 In argomento cfr., per tutti, M. CECCHETTI, Note introduttive allo studio delle normative tecniche nel sistema delle fonti a tutela dell’ambiente, cit., 147; B. CARAVITA, A. MORRONE, L’organizzazione costituzionale e l’ambiente, cit., 119 ss.; L. BUTTI, Il ruolo delle norme tecniche e delle evidenze scientifiche nell’individuazione delle responsabilità da inquinamento: orientamenti della giurisprudenza, in Riv. giur. amb., 2002, 477 ss. Tuttavia, efficacemente, si è precisato che – a ben vedere – non è rinvenibile, e probabilmente non lo sarà mai, una definizione univoca del concetto di tecnica (così F. SALMONI, Le norme tecniche, cit., 25, cui si rinvia per ulteriori approfondimenti in merito a siffatta questione).

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ha tentato di fornire risposte adeguate83. Sicché, l’imposizione di regole tecniche “ha risposto, sin dall’inizio, da una parte, all’esigenza di ridurre le diseconomie tipiche dei processi di produzione e, quindi, all’esigenza di garantire a tutti gli operatori economici la possibilità di entrare nel mercato in posizione, tendenzialmente paritaria. Dall’altra, alla necessità di garantire la qualità dei beni prodotti o del servizio prestato e di tutelare – di conseguenza – la salute dei consumatori o dei fruitori dei servizi, la sicurezza dei lavoratori, la salubrità dell’ambiente e così via”84.

Tale normativa, peraltro, può concretizzarsi sia in disposizioni generali, sia in disposizioni particolari. Nell’ambito delle prime assumono straordinaria importanza proprio quelle relative alla fissazione di limiti di accettabilità. Questi ultimi, infatti, costituiscono uno degli strumenti privilegiati per realizzare quel contemperamento tra interessi confliggenti, che, come anticipato85, costituisce una costante del diritto sanzionatorio in materia ambientale. Si comprende, allora, come ampio spazio di operatività venga assegnato a quella tipologia di norme che tende a presidiare l’osservanza dei suddetti limiti, sanzionando, non di rado anche penalmente, l’esercizio di determinate attività in violazione degli stessi.

Il ricorso a siffatto paradigma normativo parrebbe imprescindibile in alcuni settori, come appunto quello afferente alla tutela dell’ambiente, alla condizione che le soglie siano fissate in base all’elaborazione delle migliori conoscenze scientifiche del momento, sì che il loro superamento possa a quel punto “esprimere già un accreditato e condiviso disvalore, sul quale poter plausibilmente fondare una sanzione anche di natura penale”86. In ultima analisi, la legittimità delle fattispecie incentrate sui limiti soglia dipende dai criteri scientifici e normativi utilizzati per la fissazione dei valori87.

Le fattispecie incriminatrici costruite attorno al superamento dei limiti tabellari, cui devono sottostare le immissioni inquinanti, beneficiano di uno standard di definizione pressoché assoluto, che è proprio degli elementi

83 F. SALMONI, Le norme tecniche, cit., 28. 84 F. SALMONI, Le norme tecniche, cit., 29, che prosegue alludendo ad una “doppia anima” delle

regole tecniche, volte da una parte al potenziamento del mercato, dall’altra a garantire a tutti una qualità della vita dignitosa.

85 Cfr. supra, cap. I, § 5. 86 M. ROMANO, Razionalità, codice e sanzioni penali, in Amicitiae pignus. Studi in ricordo di Adriano

Cavanna, Milano, 2003, 1893. 87 Sul punto D. PULITANÒ, Diritto penale, Torino, 2007, 230 ss.

La tipicità del reato ambientale

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quantitativi espressi in forma numerica88. Nondimeno, dal punto di vista penalistico, norme così costruite presentano profili problematici in misura direttamente proporzionale al grado di incidenza della normativa secondaria nella determinazione dei parametri alla violazione dei quali è, appunto, subordinata la configurabilità della fattispecie di reato. Infatti, non di rado – come si è anticipato − le soglie il cui superamento è penalmente sanzionato sono frutto di una elaborazione non solo tecnica, ma anche strettamente politica89. Senza trascurare, peraltro, che a siffatta politicità della scelta non di rado non fa neppure da argine una cornice legislativamente predeterminata che possa guidare l’attività specificativa. Talché, tutte le volte in cui il limite soglia sia costruito con valutazioni tecnico politiche degli esperti e il legislatore non abbia disegnato un fatto di reato di per sé offensivo del bene protetto, “entrando la soglia di punibilità nel Tatbestand (perché descrittiva dell’offesa), si violerebbe il canone della riserva di legge”90, allorché i limiti della stessa non siano appunto fissati con legge91.

3.1. La natura delle soglie

Si comprende a questo punto l’importanza di chiarire la natura giuridica dei limiti-soglia che, utilizzati all’interno delle fattispecie incriminatrici, segnano il limite della rilevanza penale92. Riservandoci di approfondire in altra parte di questo lavoro le diverse argomentazioni addotte a sostegno delle differenti impostazioni93, ci si limita in questa sede a sviluppare alcune considerazioni in merito alle ricadute che il previo inquadramento dommatico dell’elemento

88 Così, espressamente, F. GIUNTA, Tutela dell’ambiente, cit., § 5. 89 A. MANNA, Struttura e funzione dell’illecito penale ambientale, cit., 2172; ID., La regola dell’oltre il

ragionevole dubbio nel pericolo astratto come pericolo reale, in Cass. pen., 2005, 646; E. INFANTE, G. SALCUNI, Diritto penale del comportamento e disvelamento della necessaria “politicità” del giudizio degli esperti, cit., 1182, 1183; F. GIUNTA, Il diritto penale e le suggestioni del principio di precauzione, cit., 238; F. D’ALESSANDRO, Il diritto penale dei limiti-soglia e la tutela dai pericoli nel settore alimentare: il caso della diossina, in Scritti per Federico Stella, Napoli, 2007, in particolare 1161, 1168.

90 A. MANNA, Struttura e funzione dell’illecito penale ambientale, cit., 2172. L’Autore prosegue osservando come allorché “il fatto di reato sia, invece, di per sé offensivo, la soglia di punibilità non costituirebbe un elemento del fatto, ma apparterrebbe all’antigiuridicità e, come tale, non sarebbe soggetta a riserva assoluta di legge”. Sul punto amplius infra cap. IV, § 6.

91 V. PLANTAMURA, Diritto penale e tutela dell’ambiente, Bari, 2007, 157. 92 In merito alla fissazione di valori-soglia, peraltro, è stato efficacemente osservato che

nell’odierno diritto penale non di rado “non c’è più una distinzione tra bene e male, ma ci sono soglie di male accettato e sostenibile” (F. SGUBBI, Il diritto penale incerto ed efficace, cit., 1195).

93 Sul punto amplius cap. IV, § 6.

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“soglia” può esplicare sul giudizio di compatibilità della fattispecie costruita sulla base del paradigma normativo in esame con il principio della riserva di legge. Infatti, una volta messa in crisi l’automatica compatibilità con il predetto principio costituzionale di ogni ipotesi di specificazione tecnica del precetto, una parte della dottrina ha cercato di offrire una lettura costituzionalmente compatibile dell’eterointegrazione in esame attraverso, appunto, un inquadramento differenziato delle ipotesi di reato in oggetto. In tale prospettiva si osserva come alcuni limiti-soglia si situerebbero nell’alveo dell’antigiuridicità piuttosto che in quello del Tatbestand, integrando i presupposti di fatto della causa di giustificazione dell’esercizio del diritto94. A siffatta tipologia sarebbero, appunto, riconducibili proprio talune soglie utilizzate nell’ambito del diritto penale dell’ambiente.

Per una corretta impostazione della questione sembra opportuno muovere dalla constatazione che l’attività di specificazione del limite-soglia può essere svolta tanto nei confronti di un fatto generalmente lecito, quanto nei confronti di un fatto sul quale si potrebbe già esprimere un giudizio di riprovevolezza95. Si tratta, in altre parole, di capire se la soglia sia stabilita per realizzare un bilanciamento di interessi (la tutela ambientale e gli interessi che a quello si contrappongono) o se esprima semplicemente il momento in cui la lesione del bene tutelato raggiunge un’espansione tale da giustificare la risposta penale. Coerentemente, si osserva che, se all’area del fatto compete il compito politico criminale di delineare le singole forme di offesa, dovrebbe conseguirne come logico corollario che non può appartenere al settore dell’antigiuridicità quella regola tecnica che individua lo stesso contenuto di offesa del reato. Diversa, tuttavia, sarebbe la conclusione allorché il mancato superamento dei limiti-soglia non permettesse di escludere l’offensività di una condotta pur se osservante96. Tale situazione, ad avviso di una parte della dottrina, sarebbe ravvisabile, per esempio, in relazione a taluni limiti-soglia dettati in tema di inquinamento delle acque. Infatti – si precisa – nel caso di scarico di acque reflue industriali, la condotta manterrebbe comunque un proprio connotato lesivo, in virtù del reiterarsi seriale della stessa. Sicché, il rispetto delle soglie

94 E. INFANTE, G. SALCUNI, Diritto penale del comportamento e disvelamento della necessaria “politicità” del

giudizio degli esperti, cit., 1183. 95 Di regola si cita a questo proposito come esempio quello della vendita di sostanze capaci di

produrre allucinazioni o gravi disturbi sensoriali. Così, V. PLANTAMURA, Diritto penale e tutela dell’ambiente, cit., 158.

96 E. INFANTE, G. SALCUNI, Diritto penale del comportamento e disvelamento della necessaria “politicità” del giudizio degli esperti, cit., 1187.

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tabellari costituirebbe “presupposto di fatto della scriminante di cui all’art. 51 c.p., col che le preoccupazioni circa l’incrinarsi della riserva di legge in materia penale vengono fortemente a scemare”97. E allora, “pur dopo la «scoperta» del carattere politico e non meramente a-valutativo di tanta parte dei c.d. giudizi tecnici”, si potrebbe comunque sostenere la legittimità costituzionale della specificazione ad opera degli esperti allorché “le regole tecniche siano concettualmente allocabili nell’alveo dell’antigiuridicità e siano fondate in una norma di rango legislativo che ne detti i criteri di massima”98. Breve: ove il fatto di reato possa, di per sé, considerarsi offensivo, la soglia di punibilità non costituirebbe un elemento del fatto, ma apparterrebbe all’antigiuridicità e, come tale, non sarebbe soggetta a riserva assoluta di legge99.

Tuttavia, la possibilità di individuare in subiecta materia fattispecie in cui i limiti-soglia afferiscano all’antigiuridicità, piuttosto che al fatto tipico, parrebbe piuttosto remota. Ad avviso della prevalente dottrina, infatti, i limiti-soglia rappresentano, per definizione, una tecnica normativa che si propone di mettere in pratica i dettami del principio di precauzione100. Sicché, posto che “neanche il più acceso degli ambientalisti arriverebbe mai a sostenere che l’immissione/emissione tout court di sostanze nell’ambiente sia un’attività in sé illecita (…), appare evidente come, nella specie, tutto il giudizio di valore sia incentrato nel limite-soglia”101. Con l’ulteriore conseguenza che le norme incriminatrici costituite dalla violazione di tali limiti-soglia dovrebbero ritenersi, ex art. 25, comma 2, Cost., incostituzionali per violazione del principio di

97 E. INFANTE, G. SALCUNI, Diritto penale del comportamento e disvelamento della necessaria “politicità” del

giudizio degli esperti, cit., 1188. 98 E. INFANTE, G. SALCUNI, Diritto penale del comportamento e disvelamento della necessaria “politicità” del

giudizio degli esperti, cit., 1192. 99 A. MANNA, Struttura e funzione dell’illecito penale ambientale, cit., 2172. 100 F. D’ALESSANDRO, Il diritto penale dei limiti-soglia e la tutela dai pericoli nel settore alimentare, cit.,

1152. Analogamente, C. PIERGALLINI, Danno da prodotto e responsabilità penale. Profili dommatici e politico-criminali, Milano, 2004, 291.

101 V. PLANTAMURA, Diritto penale e tutela dell’ambiente, cit., 158, 159. Taluni Autori ulteriormente precisano che “il procedimento che presiede alla determinazione dei limiti-soglia è intrinsecamente politico, improntato a considerazioni iperprudenziali che mettono in cima a ogni altro obiettivo la minimizzazione del rischio, prescindendo volutamente da valutazioni sulla reale possibilità di osservare una compromissione di beni o interessi concreti: tali caratteristiche, però, lo collocano senz’altro al di fuori del recinto del diritto penale, per lo meno «del diritto penale classico», legato al danno e al pericolo del danno” (F. D’ALESSANDRO, Il diritto penale dei limiti-soglia e la tutela dai pericoli nel settore alimentare, cit., 1168).

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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riserva assoluta di legge allorché l’eterointegrazione venga realizzata da fonti extralegislative102.

Si tratta, dunque, ora di capire quali possano essere i reali profili di tensione della tecnica di tipizzazione in oggetto con la visione costituzionalmente orientata dell’illecito.

3.2. La determinazione e l’aggiornamento dei limiti tabellari

Il nostro ordinamento in materia di tutela dell’ambiente contempla diversi procedimenti per la fissazione, nonché per il successivo aggiornamento, dei c.d. standard di accettabilità delle sostanze inquinanti.

In molti casi i suddetti parametri sono stabiliti ab origine in una serie di tabelle o allegati approvati con la medesima fonte, generalmente di rango primario, in cui è contenuta la norma che impone l’osservanza degli stessi103. In siffatte ipotesi, ciò che è inserito in allegato rispetto alla parte redatta in articoli costituisce da un punto di vista formale parte integrante del testo legislativo104. Sennonché tale meccanismo di tipizzazione non di rado è integrato dalla previsione della possibilità per le fonti di rango secondario di provvedere alla modifica del contenuto delle originarie prescrizioni105.

102 V. PLANTAMURA, Diritto penale e tutela dell’ambiente, cit., 158, 159. 103 Sul tema degli allegati alle leggi cfr., tra gli altri, A. A. CERVATI, In tema di allegati ad un atto

legislativo e delegificazione di tabelle, in Giur. cost., 1981, I, 1614 ss. 104 A. A. CERVATI, In tema di allegati ad un atto legislativo e delegificazione di tabelle, cit., 1620. 105 È, per esempio, il caso del combinato disposto degli artt. 279, comma 2, e 281, comma 5, d.lg.

152 del 2006. Infatti, l’art. 279, comma 2, stabilisce che “chi, nell’esercizio di un impianto o di una attività, viola i valori limite di emissione o le prescrizioni stabiliti dall’autorizzazione, dall’Allegato I alla parte quinta del presente decreto, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all’articolo 271 o le prescrizioni altrimenti imposte dall’autorità competente ai sensi del presente titolo é punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda fino a milletrentadue euro”. L’art. 281, comma 5, prevede, poi, che “all’integrazione e alla modifica degli allegati alla parte quinta del presente decreto provvede il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, con le modalità di cui all’articolo 3, comma 2, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro delle attività produttive, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1977, n. 281”.

Si pensi, altresì, all’ipotesi di cui agli artt. 137, comma 5, e 75, comma 3, d.lg. 152 del 2006. L’art. 137, comma 5, dispone che “chiunque, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure superi i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall’Autorità competente a norma dell’articolo 107, comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da tremila euro a trentamila euro. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A del medesimo Allegato 5, si applica l’arresto da sei mesi a tre anni e l’ammenda da seimila euro a centoventimila euro”. L’art. 75, comma 3, stabilisce che “le prescrizioni tecniche necessarie all’attuazione della parte terza del presente decreto sono stabilite negli Allegati al decreto stesso e con uno o più regolamenti adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n.

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In altre ipotesi, invece, la fonte primaria rimette direttamente, attraverso l’ormai noto meccanismo del rinvio, alla fonte di rango sublegislativo la determinazione dei limiti o standard di tollerabilità106.

Si comprende, dunque, quali problemi la tecnica di costruzione delle fattispecie incriminatrici in esame possa sollevare. Da un lato si tratta di verificare se, ed eventualmente entro quali limiti, sia ammissibile, sotto tale specifico profilo, l’eterointegrazione della norma penale ad opera di fonti subordinate, in particolare in relazione alle implicazioni che possono scaturirne con riferimento alla riserva di legge. Dall’altro lato di tratta di capire se, ed in quale misura, siano conformi all’attuale sistema di produzione delle fonti, nonché ai reciproci rapporti tra le stesse, i meccanismi di aggiornamento dei limiti di accettabilità, là dove gli stessi siano fissati ab origine da fonte primaria.

Rinviando l’analisi del primo problema a quanto si dirà da qui a poco, intendiamo ora muovere dall’ipotesi apparentemente più semplice, ma come vedremo, in alcuni casi più insidiosa, in cui i parametri di tollerabilità sono fissati dalla medesima fonte che contempla l’obbligo, penalmente sanzionato, di osservare gli stessi. Ciò che suscita perplessità in simili ipotesi è, come anticipato, la previsione di una sorta di trasferimento della competenza in materia di integrazione o aggiornamento dei parametri in oggetto che in taluni casi la fonte primaria effettua nei confronti della fonte secondaria107. Siffatto trasferimento, infatti, parrebbe avvenire in deroga ai parametri che, di norma, disciplinano il meccanismo della c.d. delegificazione108.

400, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio previa intesa con la Conferenza Stato-regioni; attraverso i medesimi regolamenti possono altresì essere modificati gli Allegati alla parte terza del presente decreto per adeguarli a sopravvenute esigenze o a nuove acquisizioni scientifiche o tecnologiche”.

In merito a siffato meccanismo di aggiornamento degli allegati cfr. M. CECCHETTI, Note introduttive allo studio delle normative tecniche nel sistema delle fonti, cit., 154 ss.

106 Anche su questo diverso meccanismo v. M. CECCHETTI, Note introduttive allo studio delle normative tecniche nel sistema delle fonti, cit., 157 ss.

107 La dottrina definisce regolamento modificativo quello che “situandosi in prossimità dell’ancora incerto confine fra regolamenti e atti amministrativi generali a contenuto non normativo, viene autorizzato ad aggiornare periodicamente, sulla base di valutazioni di natura eminentemente tecnica, soltanto un singolo elemento, per quanto non secondario, di una fattispecie che, per il resto, è e rimane interamente disciplinata dalla legge autorizzante” (G. PUCCINI, La potestà regolamentare del Governo nell’esperienza italiana: osservazioni e spunti critici sugli sviluppi del dibattito scientifico, in Potere regolamentare e strumenti di direzione dell’amministrazione. Profili comparatistici, a cura di P. CARETTI, U. DE

SIERVO, Bologna, 1991, 231). 108 In termini generali sull’argomento cfr., per tutti, L. CARLASSARE, Regolamento (dir. cost.), in Enc.

dir., XXXIX, Milano, 1988, nonché L. CARLASSARE, P. VERONESI, Regolamento (dir. cost.), in Enc. dir., Aggiornamento, V, 2001, 970 ss.; S. FOIS, “Delegificazione”, “riserva di legge”, principio di legalità, in Studi in

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Per una corretta comprensione della questione, si deve, infatti, muovere dalla constatazione che “la tecnica si evolve con una rapidità sconosciuta al diritto”109, con la conseguenza che, spesso, gli strumenti di cui si serve il diritto per disciplinare le materie tecniche – specie quando si tratta di norme prodotte da fonti di rango primario − non consentono un tempestivo adeguamento della normazione al progresso tecnologico. Il legislatore, quindi, per conciliare gli indubbi vantaggi di una normazione tecnica prodotta attraverso atti normativi con le esigenze di celerità proprie della tecnica è ricorso all’espediente di inserire, in allegato alle fonti di rango primario, le regole tecniche, prevedendo che l’aggiornamento degli allegati sia effettuato attraverso atti dell’esecutivo, i quali si troverebbero ad essere autorizzati a derogare alle norme di rango primario e a sostituirsi ad esse110. In breve: la fonte di rango primario pone la prima disciplina della materia – relegando le norme più squisitamente tecniche in allegato – e contestualmente affida agli organi del potere esecutivo il compito di provvedere al suo aggiornamento mediante la modifica e l’integrazione degli allegati medesimi al fine di adeguarla al progresso tecnologico.

Sennonché, siffatto modo di operare potrebbe legittimamente suscitare talune perplessità. Invero, come è noto, innanzitutto il principio di legalità pretende in termini generali che il potere regolamentare dell’esecutivo possa esercitarsi solo dopo che una legge ne abbia legittimato il dispiegarsi111. Tale base legale, peraltro, per taluni è, non solo necessaria, ma anche sufficiente a fondare il potere regolamentare del Governo (legalità in senso formale), mentre per altri deve accompagnarsi a una specifica delimitazione del potere concesso all’esecutivo in modo da dirigerne le scelte, vincolarne l’operato, consentirne il controllo (legalità in senso sostanziale)112. Sicché, già sotto tale profilo nel caso in esame, per quanto parrebbe rispettato il principio di legalità formale, non potrebbe dirsi altrettanto per il principio di legalità sostanziale, là dove faccia difetto un adeguato supporto legislativo contenutistico, tale da vincolare il potere dell’esecutivo.

onore di Manlio Mazziotti di Celso, I, Padova, 1995, 727 ss.; A. A. CERVATI, A proposito di “regolamenti delegati”, “regolamenti autorizzati” e delegificazione, in un’attribuzione di potestà normativa all’esecutivo che suscita molti dubbi, in Giur. cost., 1995, 1848 ss.

109 F. SALMONI, Le norme tecniche, cit., 196. In argomento cfr., altresì, M. GIGANTE, Effetti giuridici nel rapporto tra tecnica e diritto: il caso delle «norme armonizzate», in Riv. it. dir. pub. com., 1997, 319 ss.

110 Così F. SALMONI, Le norme tecniche, cit., 197. 111 In argomento cfr., per tutti, L. CARLASSARE, P. VERONESI, voce Regolamento (dir. cost.), cit., 969. 112 L. CARLASSARE, P. VERONESI, Regolamento (diritto costituzionale), cit., 969.

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A ciò si aggiunga che l’esplicita previsione del potere regolamentare di apportare modifiche alla fonte primaria parrebbe comportare una violazione del criterio gerarchico nel rapporto tra fonti, venendo meno anche “ogni tentativo di edulcorazione del fenomeno”113, che si avrebbe ricorrendo al particolare meccanismo previsto dall’art. 17, comma 2, l. 400 del 1988. Come anticipato, non di rado, infatti, il legislatore in materia ambientale prevede che gli standard fissati dalla normativa primaria possano essere modificati attraverso regolamenti adottati ai sensi dell’art. 17, comma 3, l. 400 del 1988, anziché, appunto, ai sensi dell’art. 17, comma 2, l. 400 del 1988114.

In termini generali il problema delle modifiche apportate da organi amministrativi alle indicazioni contenute negli allegati ad una legge è stato affrontato più volte anche dalla Corte costitiuzionale, la quale ha sottolineato la “proclività del legislatore a collocare in un testo legislativo, per lo più come allegati, e perciò in aggiunta alla parte squisitamente normativa, anche dati della realtà, individuati in base a criteri tecnici”, demandando, poi, “all’esecutivo, o all’organo dell’esecutivo competente per materia, di apportare a quei dati aggiustamenti che l’esperienza, una più matura riflessione, il progresso tecnico rendano consigliabili”115. Si tratterebbe, ad avviso della Corte, più che di un metodo, di “un espediente tutt’altro che inconsueto, anche se non certo irreprensibile sotto il profilo concettuale, che non può tuttavia essere dichiarato di per sé illegittimo e che, quindi, non rende a sua volta illegittimo l’atto con cui l’esecutivo modifica o integra quei dati”116. Infatti, la “contestualità di tabelle, liste, elenchi e dell’autorizzazione alla loro modifica od integrazione mediante un atto di normazione secondaria” sarebbe la prova che “l’inserzione, in una

113 A. A. CERVATI, A proposito di “regolamenti delegati”, “regolamenti autorizzati” e delegificazione, in un’attribuzione di potestà normativa all’esecutivo che suscita molti dubbi, cit., 1855. Sul fenomeno della delegificazione e sulle relative “distorsioni della prassi” cfr. M. CUNIBERTI, La delegificazione, in I rapporti tra Parlamento e Governo attraverso le fonti del diritto. La prospettiva della giurisprudenza costituzionale, a cura di V. COCOZZA, S. STAIANO, Torino, 2001, 103 ss.

114 Sul punto amplius F. SALMONI, Le norme tecniche, cit., 199 ss., la quale ricorda che con riferimento al fenomeno in esame taluno preferisca parlare di regolamenti delegati autorizzati ad aggiornare periodicamente, sulla base di valutazioni di natura eminentemente tecnica, soltanto un singolo elemento di una fattispecie che per il resto rimarrebbe interamente disciplinata dalla legge autorizzante. Sicché, vi sarebbe tra questo tipo di regolamenti e quelli delegificanti una differenza sostanziale che legittimerebbe anche la diversità della disciplina procedimentale di entrambi.

115 Corte cost., 10 luglio 1981, n. 127, in Giur. cost., 1981, I, 1268 ss. La Corte ha affrontato il medesimo problema anche in altre occasioni. Senza alcuna pretesa di completezza, cfr. Corte cost., 22 giugno 1976, n. 139, in Giur. cost., 1976, 953; Corte cost., 10 marzo 1988, n. 278, in Giur. cost., 1988, I, 1166 ss.

116 Corte cost., 10 luglio 1981, n. 127, cit.

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legge o atto equiparato, specie se promosso dalla necessità ed urgenza, di quelle tabelle, liste, elenchi è meramente occasionale e che, pertanto, non può ravvisarsi in tale metodo l’intenzione di riservare al legislatore materie che postulano valutazioni di carattere tecnico, e perciò logicamente, oltre che tradizionalmente, di pertinenza dell’esecutivo”117. Talché, parrebbe che la “tecnica” venga a consentire “un anomalo rapporto tra legge e regolamento”118. Da un lato, infatti, la tecnica (rectius la neutralità della tecnica) costituirebbe un limite all’attività discrezionale della pubblica amministrazione, un freno alla politicità delle scelte dei pubblici poteri; dall’altro lato, la relatività delle certezze prodotte dalla tecnica, sempre pronte ad essere soppiantate da nuove certezze grazie ai progressi della ricerca scientifica, sarebbe tale da legittimare la modifica e l’aggiornamento delle fonti di rango primario a contenuto tecnico con provvedimenti di altro rango, in deroga al principio di gerarchia delle fonti119.

Nondimeno, la tecnica normativa in esame parrebbe comunque suscitare perplessità, o quantomeno suggerire cautele, nella materia esaminata, là dove le tabelle, liste, elenchi, nonché i successivi aggiornamenti ed integrazioni ad opera di fonti subordinate, finiscano, appunto, per incidere sull’operatività di determinate fattispecie incriminatrici. In tale prospettiva, infatti, si porrebbe, come noto, anche un problema di compatibilità con la più stringente ratio garantista del principio della riserva di legge. A questo punto, tuttavia, il problema parrebbe spostarsi su un diverso piano per investire, ancora una volta, il più generale profilo attinente ai limiti di legittimità dell’eterointegrazione della fattispecie ad opera di fonti subordinate, analogamente a quanto accade nell’ipotesi in cui i c.d. limiti tabellari vengono fissati direttamente ad opera di fonti subordinate alla legge.

L’ipotesi in cui la determinazione dei limiti tabellari avvenga ab origine ad opera di fonti subordinate è in materia ambientale tutt’altro che rara. Infatti, come anticipato, la natura estremamente flessibile della normativa tecnica parrebbe, per lo meno in taluni casi, meglio adattarsi ad un atto-fonte secondario.

Del resto, l’alternativa alla scelta di affidare alla fonte regolamentare la determinazione di elementi tecnici consisterebbe, sostanzialmente, nella

117 Corte cost., 10 luglio 1981, n. 127, cit. 118 M. GIGANTE, Alcune osservazioni sull’evolzione dell’uso del concetto di tecnica nella giurisprudenza della

Corte costituzionale, cit., 653. 119 F. SALMONI, Le norme tecniche, cit., 98, 139.

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valutazione caso per caso, con le immancabili oscillazioni e incertezze interpretative120. Con la conseguenza che, a prescindere per il momento dai problemi strettamente connessi al piano dell’offensività121, quantomeno sotto il profilo della determinatezza della fattispecie, la tecnica normativa in esame, anche là dove il rinvio venga effettuato nei confronti di fonti subordinate, parrebbe offrire maggiori garanzie rispetto all’ipotesi della concretizzazione giudiziale dell’elemento tecnico.

Tanto considerato in relazione alla ratio che può indurre il legislatore ad optare per questa particolare tecnica di costruzione della fattispecie incriminatrice, si comprende comunque come, sotto il profilo del rispetto della riserva di legge, i problemi siano del tutto analoghi a quelli che caratterizzano ogni altra ipotesi di rinvio a fonti extralegislative122. E, come anticipato, parrebbe irrealistico negare che nella materia ambientale l’eterointegrazione della norma icriminatrice, attuata attraverso il ricorso ad elenchi e tabelle delle sostanze inquinanti, non di rado superi i confini della specificazione tecnica123. I predetti elenchi, infatti, non si limitano ad indicare le sostanze inquinanti, ma stabiliscono anche i limiti di liceità della loro immissione124. Muovendo da tale presupposto, non è difficile intuire come, in tal modo, gli elenchi finiscano per contribuire in misura determinante alla descrizione della condotta tipica, la cui nota di offensività ruota per lo più proprio attorno all’oggetto materiale della stessa, vale a dire alla natura ed entità della sostanza inquinante. In sintesi, l’oggetto materiale del reato, così come risulta precisato dalle fonti integratrici, costituisce il “vero fulcro della tipicità”125.

120 In questo senso espressamente Corte Cost., 11-14 giugno 1990, n. 282, in Riv. it. dir. proc. pen.,

1991, 989. In argomento cfr., altresì, T. PADOVANI (Diritto penale, Milano, 2008, 23), il quale evidenzia anche «il rischio di cospicui ritardi e di inevitabili lacune» che deriverebbe dall’affidare alla legge la fissazione di determinati elementi, quali, per esempio, le «sostanze stupefacenti e psicotrope».

121 Sui quali cfr., amplius, infra cap. III. 122 Sul punto cfr., amplius, supra, § 2.2., nonché infra § 5.1. 123 Ad avviso di A. L. VERGINE “laddove i limiti-soglia non siano fissati per legge, o comunque,

qualora tali limiti, se pur inizialmente fissati per legge, siano destinati ad essere modificati o specificati in virtù delle determinazioni di organi amministrativi e/o da decreti ministeriali, si debbono ritenere incostituzionali per violazione del principio della riserva di legge le eventuali norme incriminatrici consistenti nello svolgimento di attività di per sé lecite, in violazione illecita delle predette soglie” (in Sui «nuovi» delitti ambientali e sui «vecchi» problemi delle incriminazioni ambientali (parte seconda), in Ambiente – Sviluppo, 2007, 778).

124 F. GIUNTA, Tutela dell’ambiente, cit., § 6. 125 F. GIUNTA, Tutela dell’ambiente, cit., § 6.

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Non stupisce, dunque, che ad avviso di una parte della dottrina le esigenze di riempimento del precetto penale ad opera di regole tecniche possano trovare un soddisfacimento costituzionalmente compatibile solo attraverso la recezione legislativa delle stesse, il che nei casi di necessità ed urgenza dovrà avvenire con le forme del decreto legge126.

3.3. L’uso (inedito) delle soglie nella nuova fattispecie di contaminazione ambientale

Accanto alle tradizionali fattispecie costruite sull’inosservanza di limiti tabellari fino ad ora esaminate, il recente diritto penale dell’ambiente si è avvalso di un nuovo modello di tipizzazione dell’illecito attraverso l’utilizzo di soglie. Il riferimento è alla fattispecie incriminatrice prevista dall’art. 257 d.lg. 152 del 2006, che ha sostituito, modificandola, quella prima contemplata dall’art. 51 bis d.lg. 22 del 1997, a sua volta introdotta nel nostro ordinamento dal c.d. Ronchi bis (d.lg. 389 del 1997)127.

La prima parte del primo comma del citato art. 257 punisce chi cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio (…) se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti. La fattispecie de qua, dunque, attribuisce rilevanza penale, subordinandone la punibilità alla condizione obiettiva dell’omessa bonifica128, alla contaminazione del sito, ancorando la realizzazione di tale risultato al superamento delle concentrazioni soglia di rischio (c.d. CSR). Il modello parrebbe, in sintesi, quello consueto ancorato al superamento del limite tabellare. Tuttavia, ad un più attento esame della disciplina amministrativa implicitamente richiamata dalla norma sanzionatoria ci si rende conto che il legislatore in sede di riforma ha abbandonato il tradizionale e

126 M. GALLO, Appunti di diritto penale. I, La legge penale, Torino, 1999, 68, 69. 127 L’abrogata fattispecie di cui all’art. 51 bis d.lg. 22 del 1997 così recitava: “1. Chiunque cagiona

l’inquinamento o un pericolo concreto ed attuale di inquinamento, previsto dall’articolo 17, comma 2, è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno e con l’ammenda da euro 2.582 a euro 25.822 se non provvede alla bonifica secondo il procedimento di cui all’articolo 17. Si applica la pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena dell’ammenda da euro 5.164 a euro 51.645 se l’inquinamento è provocato da rifiuti pericolosi. Con la sentenza di condanna per la contravvenzione di cui al presente comma, o con la decisione emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale”.

128 Invero, sulla controversa natura della clausola di esenzione da pena contenuta nell’art. 257, comma 1, e legata all’avvenuta bonifica cfr., per tutti, D. MICHELETTI, Commento all’art. 257 d.lg. 152 del 2006, in Codice commentato dei reati e degli illeciti ambientali, a cura di F. GIUNTA, Padova, 2007, 355 ss.

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rigido approccio tabellare, mediante il quale, sotto la vigenza dell’abrogato art. 51 bis d.lg. 22 del 1997, si procedeva all’individuazione dei valori di concentrazione limite per le sostanze inquinanti presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, superati i quali era sempre necessario procedere alla decontaminazione. Ora, infatti, il d.lg. 152 del 2006 introduce un procedimento più articolato e più flessibile. In luogo di valori assoluti, la nuova norma prevede analisi specifiche del singolo sito per determinare l’eventuale necessità di un intervento di bonifica, fornendo elementi utili a decidere quali contaminazioni presentano maggiori elementi di rischio129.

Il punto merita, però, un più attento esame. Si deve muovere dalla constatazione che, sotto la vigenza della pregressa disciplina, la nozione di inquinamento, funzionale all’applicazione della fattispecie di omessa bonifica, non era stata precisata direttamente dal d.lg. 22 del 1997, avendo preferito il legislatore rinviare ad un successivo decreto del Ministro dell’ambiente. Fu così che il d.m. 471 del 1999 introdusse – come anticipato − una nozione rigidamente formale di inquinamento, stabilendo che il sito fosse da considerarsi contaminato quando “anche uno solo dei valori di concentrazione delle sostanze inquinanti nel suolo o nel sottosuolo o nelle acque sotterranee o nelle acque superficiali” risultasse “superiore ai valori di concentrazione limite accettabili stabiliti dal presente regolamento” (art. 2, lett. b). Sennonché, uno dei principali inconvenienti dell’abrogata disciplina era da ravvisare nella logica del “monoparametro” al di sotto del quale il sito non era inquinato e al di sopra del quale era da considerarsi contaminato130. Verosimilmente, proprio all’esigenza di superare siffatto inconveniente è da imputarsi l’introduzione, nell’ambito della nuova disciplina ora vigente, di un giudizio bifasico: il primo di natura tabellare e il secondo di carattere specifico.

Più precisamente, l’art. 242 d.l.g. 152 del 2006 prevede che, al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell’inquinamento deve mettere in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e darne immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all’articolo 304, comma 2131. A questo punto, il responsabile

129 Sul punto, A. POSTIGLIONE, Il nuovo testo unico in materia ambientale: un quadro generale, in Dir. giur.

agr. al. amb. 2006, 217; A. L. VERGINE, Rifiuti e scarichi: i profili sanzionatori, in Ambiente & Sviluppo, 2006, 480 ss.; F. FONDERICO, “Rischio” e “precauzione” nel nuovo procedimento di bonifica dei siti inquinati, in Riv. giur. amb. 2006, 420 ss.

130 D. MICHELETTI, Commento all’art. 257 d.lg. 152 del 2006, cit., 334. 131 La medesima procedura si applica all’atto di individuazione di contaminazioni storiche che

possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione (comma 1).

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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dell’inquinamento, attuate le necessarie misure di prevenzione, deve svolgere, nelle zone interessate dalla contaminazione, un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento volta ad accertare il superamento delle c.d. concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), che coincidono – sostanzialmnente – con i parametri un tempo previsti dal citato d.m. 491 del 1999. Se, in conseguenza della predetta verifica, si accerta che il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione non è stato superato, il soggetto agente provvede al ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con apposita autocertificazione, al comune ed alla provincia competenti per territorio entro quarantotto ore dalla comunicazione (comma 2). Se, viceversa, l’indagine preliminare di cui al comma 2 dell’art. 242 accerta l’avvenuto superamento delle CSC anche per un solo parametro, il responsabile dell’inquinamento deve, non solo dare immediata notizia del fatto al comune ed alle province competenti per territorio con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate, ma, altresì, presentare, nei successivi trenta giorni, alle predette amministrazioni, nonché alla regione territorialmente competente, il piano di caratterizzazione con i requisiti di cui all’Allegato 2 alla parte quarta del medesimo d.lg. 152 del 2006. La terza fase del procedimento – è bene precisarlo − riveste un ruolo cruciale nell’economia della fattispecie, essendo quella in cui si accerta l’esistenza o meno dell’evento di contaminazione ambientale132. Sulla base del piano di caratterizzazione approvato dalla regione, viene, infatti, avviata un’analisi c.d. sito specifica, volta a determinare le concentrazioni soglia di rischio (CSR). Si tratta, in altre parole, di un procedimento finalizzato alla verifica in termini probabilistici degli effetti nocivi che l’esposizione ad un certo contaminante può avere sui ricettori finali. Qualora gli esiti della procedura dell’analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito sia inferiore alle concentrazioni soglia di rischio, la conferenza dei servizi, con l’approvazione del documento dell’analisi del rischio, dichiara concluso positivamente il procedimento133. Viceversa, allorché gli esiti della procedura dell’analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è superiore ai valori di concentrazione soglia di rischio (CSR) − id est: sussiste l’evento del reato di contaminazione ambientale − sorge in capo al

132 Così anche D. MICHELETTI, Commento all’art. 257 d.lg. 152 del 2006, cit., 336. 133 In tal caso la conferenza di servizi può prescrivere lo svolgimento di un programma di

monitoraggio sul sito circa la stabilizzazione della situazione riscontrata in relazione agli esiti dell’analisi di rischio e all’attuale destinazione d’uso del sito (art. 242, comma 6).

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soggetto responsabile un vero e proprio obbligo di bonifica penalmente presidiato, appunto, dalla fattispecie in oggetto.

Ebbene, dall’esame di tale articolata procedura e dal coordinamento della stessa con la norma di cui all’art. 257, parrebbe emergere che la fattispecie de qua è costruita come reato di evento causalmente orientato e la sanzione penale ivi contemplata è suscettibile di abbracciare unicamente l’inosservanza dell’obbligo di bonifica che sorge allorché la procedura di analisi del rischio specifica abbia dimostrato un superamento dei valori di concentrazione soglia di rischio (CSR)134. In sintesi, come di recente bene precisato anche dalla Corte di Cassazione135, l’evento tipico è diversamente configurato nelle due fattispecie che si sono succedute nel corso del tempo, quella di cui all’art. 51 bis d.lg. 22 del 1997 e quella di cui all’art. 257 d.lg. 152 del 2006: in quella previgente, desumibile dal combinato disposto degli artt. 17 e 51 bis, l’evento consisteva nell’inquinamento, definito come superamento dei limiti di accettabilità previsti dal d.m. 471 del 1999, o nel pericolo concreto e attuale di inquinamento, definibile come avvicinamento a quei limiti di accettabilità; nella fattispecie vigente prevista dall’art. 257 d.lg. 152 del 2006, invece, l’evento è esclusivamente di danno, perché consiste solo nell’inquinamento (e non nel pericolo di inquinamento) ed è definito come superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR). L’evento, dunque, a differenza del passato, non si ricostruisce sulla mera base del superamento di soglie predeterminate e valide per tutto il territorio nazionale, ma si qualifica al termine di un’analisi particolareggiata riguardante le caratteristiche geologiche e funzionali del singolo sito.

Ora, questa digressione sulla fattispecie disegnata dall’art. 257 d.lg. 152 del 2006, oltre ad evidenziare, de iure condito, una diversa e finora inedita modalità di utilizzo delle soglie nella tipizzazione della fattispecie, offre lo spunto per svolgere talune riflessioni in merito ad una possibile estensione del modello ivi delineato ad altre ipotesi di superamento dei limiti tabellari.

Invero, de iure condendo, si potrebbe immaginare che le fattispecie riconducibili a siffatto archetipo normativo vengano incentrate su una

134 Questi ultimi risultano espressamente definiti dall’art. 240, lett. c, come “i livelli di

contaminazione delle matrici ambientali, da determinare caso per caso con l’applicazione della procedura di analisi di rischio sito specifica secondo i principi illustrati nell’Allegato 1 alla parte quarta del presente decreto e sulla base dei risultati del piano di caratterizzazione, il cui superamento richiede la messa in sicurezza e la bonifica. I livelli di concentrazione così definiti costituiscono i livelli di accettabilità per il sito”.

135 Cass., III, 29 novembre 2006, Montigiani, in Guida al dir., 2007, n. 20, 81 ss.

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distinzione di carattere generale (applicabile come genus a tutte le diverse forme di inquinamento) tra una doppia soglia, una soglia limite e una soglia di tolleranza, da individuarsi sulla base della diversa valenza inquinante delle varie sostanze e/o della loro concentrazione, in modo tale da consentire una diversificazione degli strumenti di tutela, a seconda che a venire in considerazione sia, appunto, il superamento della prima (sanzione penale) o solo il superamento della seconda (sanzione amministrativa). La prima soglia verrebbe ad indicare la quantità massima di sostanza inquinante, la cui immissione nell’ambiente consente di formulare una prognosi suffragata da riscontri scientifici in merito ad una apprezzabile pericolosità della condotta. La seconda, invece, verrebbe a definire un margine maggiormente prudenziale di sicurezza, non tale da assurgere a base epistemologica per la formulazione di illeciti penali, neppure nella forma del pericolo astratto.

Anche nella dottrina spagnola alcuni autori si sono pronunciati a favore del modello definito “de doble standard”136. In siffatta prospettiva si ritiene possibile fissare appunto un doppio standard di contaminazione, uno chiamato valor de contaminacíon e l’altro valor límite o intolerable, il quale avrà sempre un livello superiore al primo. I predetti valori verrebbero a svolgere una diversa funzione: il superamento del primo verrebbe ad integrare un illecito amministrativo, il superamento del secondo verrebbe ad integrare l’illecito penale.

Sul piano dell’offensività, la delimitazione del penalmente rilevante alla sola condotta di superamento dei valori limite potrebbe assicurare l’incriminazione di condotte ritenute effettivamente pericolose per l’ambiente sulla base di rigorosi criteri empirici, che tengano conto dell’attitudine inquinante delle diverse sostanze e della loro concentrazione. Si vuole, in altre parole, dire che l’estensione del modello della “doppia soglia” potrebbe conciliare due opposte esigenze: da un lato, quella di ricondurre nell’ambito del diritto punitivo amministrativo le condotte di superamento di quei limiti tabellari che vengano fissati in via precauzionale in misura inferiore all’insorgere di apprezzabili rischi per l’ambiente; dall’altro lato quella di rafforzare la reazione dell’ordinamento nei confronti di condotte di superamento che, calate nel contesto ambientale di riferimento, hanno in concreto determinato un pericolo per il bene protetto.

Un elemento di novità nella costruzione di questa progressione della tutela potrebbe essere rappresentato dal procedimento di individuazione delle soglie limite. Nel senso che tale procedimento di indivividuazione potrebbe essere,

136 J. M. PRATS CANUT, De los delitos contra los recursos naturales y el medio ambiente, in Comentarios al

Nuevo Código Penal, a cura di G. QUINTERO OLIVARES, Pamplona, 1996, 1516.

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anziché di tipo rigorosamente tabellare, di carattere specifico e concreto, sulla falsariga di quello poc’anzi esaminato e introdotto in sede di riformulazione della fattispecie di cui all’art. 257 d.lg. 152 del 2006. Si determinerebbe per tale via una metamorfosi delle tradizionali fattispecie di pericolo astratto in fattispecie di pericolo concreto137.

4. L’ancoraggio della tipicità penale all’assenza del provvedimento autorizzativo amministrativo. L’autorizzazione come concetto espresso per il tramite di un elemento normativo

I procedimenti autorizzatori di carattere preventivo costituiscono uno degli

strumenti principali utilizzati dal legislatore italiano per il controllo delle diverse fonti inquinanti138. E ciò perché l’autorizzazione è estrinsecazione del potere amministrativo che meglio parrebbe riflettere l’esigenza di prevenire i rischi cui l’azione umana espone il bene ambiente139.

I succitati procedimenti, infatti, in linea generale permettono alle autorità competenti di verificare il rispetto della normativa tecnica imposta dal legislatore, nonché di dettare ulteriori prescrizioni140, al fine di garantire un costante adeguamento delle attività che possono provocare inquinamento ambientale alla migliore tecnologia disponibile. È, infatti, il procedimento amministrativo, con i suoi riti e con il suo nucleo di principi di garanzia, la sede elettiva nella quale viene effettuata l’attività di selezione e delimitazione dei rischi, nonché la loro comparazione e il loro bilanciamento141. Non è un caso, del resto che l’art. 20, comma 4, l. 241 del 1990 escluda espressamente la materia ambientale da quelle in relazione alle quali è possibile il formarsi di un silenzio-assenso, richiedendo viceversa un provvedimento espresso sull’istanza del privato, al fine di rendere efficace il controllo sul corretto uso della

137 Sul punto v. anche infra cap. VI, §§ 2 e 3. 138 P. DELL’ANNO, Manuale di diritto ambientale, Padova, 2000, 158. 139 In termini generali sulla funzione preventiva dell’autorizzazione amministrativa cfr, per tutti, U.

FORTI, Autorizzazione (diritto amministrativo), in Noviss. dig. it., Torino, 1957, II, 1581. In argomento cfr., altresì, più di recente F. FRACCHIA, Autorizzazione amministrativa e situazioni giuridiche soggettive, Napoli, 1996, 31; R. FERRARA, F. FRACCHIA, N. OLIVETTI RASON, Diritto dell’ambiente, Roma- Bari, 1999, 164.

140 Sul punto cfr., amplius, infra § 5. 141 R. FERRARA, La protezione dell’ambiente e il procedimento amministrativo nella “società del rischio”, in

Ambiente, attività amministrativa e codificazione, a cura di D. DE CAROLIS, E. FERRARA, A. POLICE, Milano, 2006, 342.

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discrezionalità amministrativa in una materia di particolare delicatezza e rilevanza142.

In tal modo, il regime autorizzatorio comporta la costituzione di uno speciale rapporto giuridico tra autorità pubblica e privato, qualificato dalla dottrina come «potestà-soggezione». Il contenuto di tale rapporto sarebbe, appunto, da ravvisare nella sorveglianza permanente dell’attività ad impatto ambientale, per lo più di natura imprenditoriale, affinché l’esercizio della medesima risulti conforme alle disposizioni normative ed ai provvedimenti amministrativi, generali e puntuali, emanati a tutela dell’ambiente143. Sicché, anche se il regime autorizzatorio non coinvolge direttamente il diritto d’impresa (garantito dal noto disposto dell’art. 41 Cost., oltre che dalle norme del trattato CE), esso ne conforma comunque in modo assai penetrante l’esercizio, introducendo nella valutazione dell’autorità amministrativa una pluralità di aspetti dell’interesse ambientale144. Per quanto concerne, infatti, il contenuto dell’autorizzazione, al di là del suo valore tautologico (di consentire appunto l’esercizio dell’attività in oggetto), il suo profilo discrezionale risulta caratterizzato dalle prescrizioni con le quali l’autorità persegue la finalità di indirizzare l’attività «amministrata», conformandone la struttura e le modalità di svolgimento, attraverso l’integrazione o la limitazione della concreta efficacia permissiva del provvedimento145.

Da qui, dunque, l’esistenza nell’ambito del diritto penale dell’ambiente di numerose norme che, attraverso l’incriminazione dell’esercizio di attività in assenza dei prescritti provvedimenti abilitativi, sanzionano penalmente proprio l’elusione del controllo delle autorità competenti.

Il quadro delle competenze istituzionali nel campo delle politiche pubbliche di protezione dell’ambiente è, però, oltremodo complesso, e anzi, come è stato rilevato146, “confuso e aggrovigliato, al punto da apparire, in molti casi, piuttosto difficile la stessa individuazione dell’autorità amministrativa abilitata a rilasciare un permesso, un’autorizzazione, ecc., ossia ad esercitare i normali

142 Così, espressamente, in relazione ad un’autorizzazione in materia di gestione dei rifiuti, Cass.,

III, 12 febbraio 2003, Frerè, in Riv. pen., 2004, 208. 143 P. DELL’ANNO, Manuale di diritto ambientale, cit., 231. In generale, sulle diverse tipologie di

provvedimenti amministrativi intesi come “strumenti per la cura di interessi pubblici” cfr., per tutti, M. S. GIANNINI, Atto amministrativo, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 157 ss.

144 P. DELL’ANNO, Manuale di diritto ambientale, cit., 232. 145 P. DELL’ANNO, Regime autorizzatorio dello smaltimento dei rifiuti, in Sanità pubb., 1993, 1291; ID.,

Manuale di diritto ambientale, cit., 264. 146 R. FERRARA, F. FRACCHIA, N. OLIVETTI RASON, Diritto dell’ambiente, cit., 47.

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controlli conformativi del diritto d’impresa in funzione della tutela preventiva dell’habitat e dell’ecosistema, siano essi a carattere preventivo che successivo”. A ciò si aggiunga che, in relazione alle diverse ipotesi, la pubblica amministrazione può godere di una discrezionalità più o meno ampia in ordine alla valutazione della compatibilità tra interesse pubblico e operazione che il privato intende compiere, al fine del rilascio di provvedimenti di natura autorizzativa147.

Talvolta sono le fonti legislative, mediante norme generali e astratte, a predeterminare i requisiti e i presupposti al ricorrere dei quali il soggetto pubblico deve rilasciare l’autorizzazione, riducendo in tal modo la discrezionalità delle autorità locali competenti. In simili ipotesi, dunque, alla scelta amministrativa puntuale e concreta si sostituisce la valutazione, operata in astratto, della compatibilità con l’interesse pubblico di un’attività privata che soddisfi alcuni requisiti soggettivi e oggettivi148; l’ordinamento, in altre parole, impone il rilascio dell’autorizzazione quando siano semplicemente rispettate dal privato le condizioni relative alle modalità di esplicazione di situazioni di vantaggio previste in via generale e astratta. Basti pensare alle prescrizioni (legislative o regolamentari) che vincolano sotto alcuni profili l’attività dell’amministrazione relativamente al rilascio della concessione edilizia. In tali ipotesi l’ordinamento stabilisce, appunto, che il rispetto delle modalità costruttive indicate da tali norme generali, accertato sulla base dell’esame della domanda del privato, vincola sotto quel profilo l’amministrazione a rilasciare il provvedimento149. Il provvedimento amministrativo assume, dunque, un ruolo meramente ricognitivo150.

147 Sull’ampio tema della discrezionalità amministrativa, in termini generali e per tutti, cfr. G.

BARONE, Discrezionalità, in Enc. giur. Treccani, XI, Roma, 1989, 1 ss.; D. DE PRETIS, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, Padova, 1995, nonché ID., Discrezionalità e ambiente, cit., in paricolare 445 ss. L’Autrice ricorda, altresì, che la discrezionalità in materia ambientale si connota per una peculiarità di tipo qualitativo, in considerazione della straordinaria ed eccezionale molteplicità degli interessi potenzialmente rilevanti (ivi, 461). In argomento cfr., altresì, G. MORBIDELLI, Il regime amministrativo speciale dell’ambiente, in Scritti in onore di Alberto Predieri, II, Milano, 1996, 1148 ss.

148 F. FRACCHIA, Autorizzazione amministrativa e situazioni giuridiche soggettive, cit., 249. 149 F. FRACCHIA, Autorizzazione amministrativa e situazioni giuridiche soggettive, cit., 249, 250. 150 A. ORSI BATTAGLINI (Autorizzazione amministrativa, in Dig. disc. pub., II, 1987, 71), il quale

attribuisce, invece, alle autorizzazioni discrezionali un carattere costitutivo della situazione giuridica soggettiva. Nella dottrina penalistica così M. MANTOVANI (L’esercizio di un’attività non autorizzata. Profili penali, Torino, 2003, 62), che si sofferma, altresì, sulle peculiarità assunte dalle fattispecie polarizzate sull’inosservanza di un’autorizzazione vincolata.

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In altri casi, invece, la valutazione di compatibilità tra interesse pubblico e attività del privato è effettuata in concreto e non alla stregua di norme generali e astratte151. Sebbene, infatti, in molti settori di intervento ambientale la disciplina amministrativa sia coperta da un atto di pianificazione e sebbene in questi casi normalmente il piano esaurisca le scelte veramente discrezionali, in quanto aventi ad oggetto l’apprezzamento e la valutazione comparativa degli interessi, ciò non significa che il provvedimento ambientale di applicazione del piano costituisca un vero atto vincolato152. In molti casi, per l’ampio utilizzo di nozioni e principi di contenuto incerto, di concetti indeterminati, nonché del rinvio a regole scientifiche opinabili, anche l’atto apparentemente attuativo delle soluzioni strettamente discrezionali operate dal piano, comporta un’operazione valutativa ad esito incerto153. Inoltre, spesso i provvedimenti autorizzatori singolari sono corredati da prescrizioni154, nelle quali certamente si esprime un significativo potere di scelta dell’amministrazione155. Anche se – è bene ricordarlo − in tema di discrezionalità la Corte costituzionale ha affermato l’esistenza di una sorta di incompatibilità tra regime autorizzatorio e discrezionalità amministrativa che superi un certo limite156.

Rinviando l’approfondimento del ruolo che l’atto amministrativo (rectius: della sua assenza) assume nella descrizione del reato157 − se cioè esso sia da ricondurre nell’ambito del Tatbestand o piuttosto dell’antigiuridicità − sotto il profilo della tecnica di tipizzazione vale ora la pena di verificare se le fattispecie che ne sanzionano la mancanza siano anch’esse riconducibili al paradigma delle norme eterointegrate o meno. Invero, il concetto di autorizzazione parrebbe annoverabile nell’ambito di quelli descritti per il tramite di elementi di carattere normativo158, in quanto la nozione di atto autorizzativo può essere pensata solo

151 In relazione alle fattispecie costruite sulla mancanza di un’autorizzazione di carattere

discrezionale amplius M. MANTOVANI, L’esercizio di un’attività non autorizzata, cit., 122 ss. 152 Così, espressamente, D. DE PRETIS, Discrezionalità e ambiente, 447. 153 D. DE PRETIS, Discrezionalità e ambiente, cit., cit., 447. 154 Sul punto amplius infra § 5. 155 D. DE PRETIS, Discrezionalità e ambiente, cit., 447. 156 Corte cost., 15 novembre 1988, n. 1030, in Foro it., 1989, I, 247. 157 V. infra cap. IV, §§ 1 ss. 158 In questo senso, in generale, F. C. PALAZZO, L’errore sulla legge extrapenale, Milano, 1974, 186; N.

MAZZACUVA, Le autorizzazioni amministrative e la loro rilevanza in sede penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1976, 794 ss.; ID., Lo scarico di rifiuti industriali senza autorizzazione: struttura oggettiva e soggettiva dell’illecito di cui all’art. 9, T.U. 1931, n. 1604, ne L’Indice pen., 1976, 162 ss.; P. PATRONO, Inquinamento industriale e tutela penale dell’ambiente, Padova, 1980, 108; R. CAPALDO, Rilevanza penale delle opere edilizie illegittimamente assentite, Milano, 1983, 48; G. FIANDACA, G. TESSITORE, Diritto penale e tutela del territorio, in Materiali per

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“sotto la logica presupposizione”159 di una o più norme diverse da quella incriminatrice160.

Come è stato infatti rilevato161, la legge penale, proprio perché si distingue per l’originalità della sanzione, non per le materie assoggettate a disciplina, si muove spesso su terreni già inquadrati da normative privatistiche o pubblicistiche. Si comprende allora come, per tale motivo, le sue fattispecie talvolta accolgano “accanto a fenomeni di ordine fisico, biologico o

una riforma del sistema penale, Milano, 1984, 80; D. PULITANÒ, La formulazione delle fattispecie di reato: oggetti e tecniche, in Beni e tecniche della tutela penale, Milano, 1987, 38; M. PETRONE, La disapplicazione dell’atto amministrativo (aspetti penali), in Il giudice ordinario e il controllo di legittimità sugli atti della pubblica amministrazione, Quaderni del C.S.M., gennaio 1987, 83 ss.; A. CADOPPI, La natura giuridica della “mancanza di autorizzazione” nella fattispecie penale, cit., 370; C. PIERGALLINI, Norma penale e legge regionale: la costruzione del tipo, in Sulla potestà punitiva dello Stato e delle Regioni, a cura di E. DOLCINI, T. PADOVANI, F.C. PALAZZO, Milano, 1994, 152. Nello stesso senso, con specifico riferimento alla licenza edilizia, A PECORARO ALBANI, Il reato di costruzione edilizia senza licenza, in Riv. giur. edilizia, 1959, II, 110. In relazione all’autorizzazione richiesta dall’art. 73 del d.p.r. 309 del 1990, in materia di stupefacenti, cfr. F. C. PALAZZO, Consumo e traffico degli stupefacenti, Padova, 1994, 152 ss.

Nella dottrina spagnola cfr. sul punto, tra gli altri, E. GÓRRIZ ROYO, La problemática de las remisiones normativas y de la retroactividad de las leyes penales favorables en relación a los delitos sobre la ordenación del territorio, in Rev. cienc. penales, 1998, 82 ss.

159 Per questa definizione di elemento normativo cfr. K. ENGISCH, Die normativen Tatbestands-elemente im Strafrecht, in Fest. Mezger, München - Berlin, 1954, 147.

160 La letteratura sul tema degli elementi normativi è vastissima: ci limitiamo a ricordare, tra gli altri, A. PECORARO ALBANI, Riserva di legge – Regolamento – Norma penale in bianco, in Scritti in onore di A. De Marsico, II, Milano, 1960, 344 ss.; A. PAGLIARO, Il fatto di reato, Palermo, 1960, in particolare 483 ss.; F. BRICOLA, Limite esegetico, elementi normativi e dolo nel delitto di pubblicazioni e spettacoli osceni, in Riv. it. dir. proc. pen., 1960, 764 ss.; C. F. GROSSO, L’errore sulle scriminanti, Milano, 1960, 153 ss.; A. PAGLIARO, Appunti su alcuni elementi normativi contenuti nella legge penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1964, 420 ss.; M. GALLO, Dolo (diritto penale), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 760; F. BRICOLA, La discrezionalità nel diritto penale, Milano, 1965, 167 ss.; G. RUGGIERO, Gli elementi normativi della fattispecie penale, Napoli, 1965; A. PAGLIARO, Principio di legalità e indeterminatezza della legge penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1969, 694 ss.; F. C. PALAZZO, L’errore sulla legge extrapenale, cit., 5 ss.; D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, Milano, 1976, in particolare 214 ss.; M. PARODI GIUSINO, Sulla legittimità costituzionale della legislazione penale in materia di stupefacenti, ne L’Indice pen., 1978, 379 ss.; F. C. PALAZZO, Il principio di determinatezza nel diritto penale, Padova, 1979, 334 ss.; M. PETRONE, La disapplicazione dell’atto amministrativo (aspetti penali), cit., 83 ss.; G. GIUNTA, Illiceità e colpevolezza nella responsabilità colposa, Padova, 1993, 252 ss.; L. RISICATO, Gli elementi normativi della fattispecie penale, cit., passim..

Nella letteratura tedesca cfr., per tutti, M. E. MAYER (Der Allgemaine Teil des deutschen Strafrechts, Heidelberg, 1923, 182 ss.), cui, peraltro, viene generalmente riconosciuta la paternità dell’enucleazione della categoria degli elementi normativi. Nella letteratura spagnola cfr, tra gli altri, M. DÍAZ Y GARCÍA

CONLLEDÓ, Los elementos normativos del tipo penal y la teoría del error, in Estudio Jurídicos en memoria del profesor Dr. D. José Ramón Casabó Ruiz, Valencia, 1997, 657 ss. e bibliografia ivi riportata.

161 C. PEDRAZZI, Diritto penale, in Dig, disc. pen., IV, Torino, 1990, 72.

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psicologico, dati giuridicamente preformati (gli elementi «normativi» per eccellenza)”162, i quali qualificano degli elementi penalmente rilevanti, “alla stregua di norme (giuridiche o culturali) «logicamente presupposte»“ 163. In tale prospettiva, le suddette «unità linguistiche qualificate»164 soddisfano, oltre alle ben note istanze di normazione sintetica, soprattutto l’esigenza di assicurare l’unitarietà dell’ordinamento giuridico, coordinando la ratio della singola fattispecie penale con le scelte dell’intero ordinamento o di alcuni suoi specifici settori165. Agli elementi normativi, infatti, è riservato il compito di realizzare l’indispensabile osmosi giuridica fra diritto penale e altri settori dell’ordinamento, garantendo, altresì, l’adeguamento delle fattispecie penali al mutare delle norme extrapenali cui si riferiscono. E ciò perché ogni modifica della norma richiamata viene registrata automaticamente dalla norma base166.

La prequalificazione normativa extrapenale funge, dunque, da criterio di individuazione di taluni dati dell’esperienza, per riconoscere in essi l’elemento del reato designato dal concetto normativo. In altre parole: mentre talune componenti della fattispecie possono essere enunciate mediante il ricorso ad elementi descrittivi167, assunti dal legislatore nel significato con cui essi sono normalmente contraddistinti nella realtà naturalistica, di modo che «il passaggio dalla norma penale al fatto avviene con piena immediatezza»168; altre componenti possono essere descritte attraverso il ricorso ad elementi, la cui qualificazione viene agli stessi attribuita da una norma diversa da quella che pone l’incriminazione, sicché il passaggio dalla norma penale al fatto avviene «tramite il diaframma offerto dal contenuto di un’altra disposizione»169.

162 C. PEDRAZZI, ibidem. Sul punto cfr., altresì, F. C. PALAZZO, Legge penale, in Dig. disc. pen., VII,

Torino, 1993, 353. 163 D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, cit., 232. 164 L’espressione è di F. GIUNTA, Illiceità e colpevolezza nella responsabilità colposa, cit., 256. 165 In tal senso cfr., tra gli altri, F. GIUNTA, op. ult. cit., 257, 258. 166 F. C. PALAZZO, L’errore sulla legge extrapenale, cit., 36. 167 La distinzione tra elementi descrittivi ed elementi normativi è stata, da sempre, oggetto di

vivaci discussioni, oscillanti tra le opposte tesi, tra le quali, l’una ritiene che tutti gli elementi della fattispecie abbiano natura descrittiva, mentre l’altra sostiene, al contrario, la natura esclusivamente normativa degli stessi. Per una sintesi delle diverse posizioni assunte al riguardo dalla dottrina cfr., per tutti, F. BRICOLA, Limite esegetico, elementi normativi e dolo nel delitto di pubblicazioni e spettacoli osceni, cit., 764 ss.; C. F. GROSSO, L’errore sulle scriminanti, cit., in particolare 155 ss.; D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, cit., in particolare 214 ss.

168 C. F. GROSSO, L’errore sulle scriminanti, cit., 154. 169 C. F. GROSSO, ibidem. Nello stesso senso A. PAGLIARO, Principio di legalità e indeterminatezza della

legge penale, cit., 695.

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Acquisito ciò, ci sembra incontestabile che nell’ipotesi di norme incriminatrici incentrate sull’esercizio di determinate attività in assenza dei prescritti provvedimenti abilitativi della pubblica amministrazione il significato tecnico di autorizzazione, licenza, concessione, e così via, possa essere desunto unicamente dal complesso normativo che, in sede extrapenale, disciplina, di volta in volta, le singole attività il cui l’esercizio è, appunto, subordinato ad un preventivo atto di consenso dell’autorità competente170. Sicché il riferimento ad una o più norme extrapenali, automaticamente richiamate dall’elemento normativo della fattispecie, contribuisce all’esatta individuazione del fatto tipico descritto dalla stessa171.

Nonostante il ricorso al paradigma normativo volto a sanzionare l’esercizio di determinate attività in assenza della preventiva autorizzazione amministrativa sia ormai molto frequente nell’ambito del diritto penale ambientale, si deve comunque registrare sui problemi coinvolgenti la tecnica di tipizzazione de qua un minor interesse della dottrina rispetto a quella, viceversa dedicata alla diversa tipologia di norme incentrate sulla violazione di prescrizioni contenute in provvedimenti amministrativi172. Tale minore interesse parrebbe essere dovuto proprio alla sostanziale concordanza intorno alla tesi secondo cui il difetto dell’atto amministrativo integra un elemento descritto attraverso l’impiego di un elemento normativo; concordanza accompagnata dal convincimento, espresso per lo meno da una parte della dottrina, che gli elementi normativi non siano riconducibili al più ampio fenomeno dell’integrazione della fattispecie incriminatrice173, sicché nessuna tensione si porrebbe sul versante della legalità.

170 In questo senso, per esempio, A. PECORARO ALBANI, Il reato di costruzione edilizia senza licenza, cit., 110; M. PETRONE, La disapplicazione dell’atto amministrativo (aspetti penali), cit., 84.

171 G. COCCO, L’atto amministrativo invalido come elemento delle fattispecie penali, Cagliari, 1996, 333, nt. 297. Sarà poi compito dell’interprete verificare, di volta in volta, se, in ciascuna fattispecie il significato ed i requisiti del concetto prequalificato dalla normativa extrapenale e richiamato dalla disposizione penale restino immutati rispetto a quelli propri del settore di provenienza o subiscano, piuttosto, degli adattamenti. È, infatti, possibile che la norma penale si “accontenti” di requisiti minori o comunque parzialmente diversi rispetto allo schema normativo originario, proprio perché si tratta di un momento di rilevanza indiretta ed ulteriore rispetto a quella principale del settore di provenienza. Su tali problematiche cfr., amplius, D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, cit., 227, 228; M. PETRONE, La disapplicazione dell’atto amministrativo (aspetti penali), cit., 84 ss.; C. PEDRAZZI, Diritto penale, cit., 72; F. GIUNTA, Illiceità e colpevolezza nella responsabilità colposa, cit., 253 ss.

172 G. VICICONTE, Riserva di legge in materia penale e fattispecie in rapporto di integrazione con atti amministrativi, cit., 1994, 83.

173 G. RUGGIERO, Gli elementi normativi della fattispecie penale, cit., 218. Per una revisione critica di tale posizione cfr. F. GIUNTA, Illiceità e colpevolezza nella responsabilità colposa, cit., in particolare 260 ss.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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Invero, la tesi secondo cui gli elementi normativi non riempirebbero alcun vuoto della fattispecie penale, ma si limiterebbero a specificare un elemento della norma richiamante espresso in modo generico non dimostra affatto che la tecnica normativa in esame non comporti mai un’integrazione della norma penale ad opera di un’altra fonte174. Non sembra, infatti, potersi negare, si osserva, che anche le componenti qualificate della norma penale − e per il loro tramite le disposizioni da queste richiamate −, seppure in diverso grado e attraverso diversi modelli di integrazione, incidano sull’area di operatività della fattispecie generale ed astratta175.

Ed in effetti, nell’ipotesi di norme che sanzionano l’esercizio di determinate attività in assenza dei prescritti provvedimenti abilitativi della pubblica amministrazione, il riferimento che la fattispecie incriminatrice effettua alla mancanza dell’autorizzazione implica inevitabilmente un’intersezione tra la norma penale e talune disposizioni extrapenali che, oltre a stabilire cosa debba intendersi tecnicamente per autorizzazione, concessione, ecc., specificano spesso altri importanti elementi che valgono a definire puntualmente l’obbligo di farsi autorizzare176. E non è possibile escludere a priori che siffatto richiamo coinvolga pure, in via diretta o in via mediata, disposizioni di rango sublegislativo.

Muovendo da tali presupposti, appare, dunque, difficilmente contestabile la tesi che ravvisa anche in talune ipotesi di rinvio a fonti extrapenali, richiamate da elementi normativi della fattispecie, un fenomeno di eterointegrazione del nucleo precettivo della norma, attraverso la puntualizzazione di importanti elementi del tipo. Sicché, il problema relativo alla configurazione di eventuali

174 F. GIUNTA, op. ult. cit., 260. Nello stesso senso D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, cit., 214, 216; R. VILLATA, “Disapplicazione” dei provvedimenti amministrativi e processo penale, Milano, 1980, in particolare 114 ss.

175 F. GIUNTA, Illiceità e colpevolezza nella responsabilità colposa, cit. 260. Più di recente, D. MICHELETTI, Legge penale e successione di norme integratrici, cit., 34 ss.

176 In relazione alle fattispecie che sanzionano l’esercizio di determinate attività in assenza del prescritto provvedimento abilitativo della Pubblica Amministrazione vi è addirittura chi ritiene che si possa parlare di norme costruite con elementi normativi solo “se si reputa già ‘significativa’ di contenuto e di disvalore la generica indicazione del tipo di professione o di attività regolata”, mentre si dovrebbe parlare più correttamente di norme in bianco là dove “il ‘peso specifico’ del significato penalistico dell’incriminazione si raggiunga solo mediante le norme «integratrici» esterne” (in questo senso cfr. M. DONINI, Teoria del reato, cit., 227, nt. 48). In argomento cfr., altresì, D. MICHELETTI, il quale, per evitare fraintendimenti, ha cura di precisare che, allorché si parla, con riferimento alle fattispecie in oggetto, di eterointegrazione, quest’ultima è effettuata “non già in forza del singolo permesso amministrativo, bensì da parte delle norme generali e astratte che disciplinano il potere concessorio e autorizzativo” (Legge penale e successione di norme integratrici, cit., 417).

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strappi alla legalità, parrebbe meritare un ulteriore approfondimento, che rivolga particolare attenzione soprattutto a quelle ipotesi in cui l’integrazione coinvolga eventualmente anche fonti subordinate alla legge177. Ogni ipotesi di eterointegrazione ad opera di fonti sublegislative, infatti, fa emergere l’esigenza di valutare caso per caso se l’apporto della fonte integratrice contribuisca o meno a delineare il volto significativo dell’illecito, pur senza negare la difficoltà insita in ogni tentativo di isolare i contributi che effettivamente non modificano le scelte valutative espresse dalla fonte primaria.

5. I reati ambientali che consistono nella violazione del contenuto prescrittivo del provvedimento amministrativo. Il modello ingiunzionale e la riserva di legge

Nell’ambito del diritto penale ambientale oltre agli schemi normativi fino ad

ora esaminati è, altresì, frequente l’uso della tecnica di tutela costruita sul c.d. modello ingiunzionale178. Il compito, infatti, di esercitare funzioni di controllo sull’esercizio di attività potenzialmente inquinanti, affidato ad autorità amministrative espressione del decentramento funzionale, può estrinsecarsi, oltre che con normazione di rango secondario e di attuazione, anche con la prescrizione di comportamenti specifici, ossia mediante la formulazione di regole di comportamento riferite al singolo soggetto179. Ciò fa sì che siano previste figure di reato, che sanzionano il mancato adeguamento dell’agente ad un imperativo concreto impartito appunto, dall’Autorità180.

Il fenomeno può, peraltro, presentarsi sotto diverse forme. In alcuni casi, infatti, la prescrizione amministrativa è incorporata in un provvedimento

177 In argomento cfr. per tutti, L. RISICATO, Gli elementi normativi della fattispecie penale, cit., 165 ss. 178 Su questa particolare tecnica di costruzione delle fattispecie incriminatrici, oltre alla

manualistica, cfr. in termini generali e per tutti, G. CARBONI, L’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, Milano, 1970, in particolare 129 ss.; M. SINISCALCO, Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, 664 ss.; G. DE VERO, Inosservanza di provvedimenti di polizia e manifestazioni sediziose e pericolose (Contravvenzioni), in Dig. disc. pen., VII, Torino, 1993, 76 ss.; G. VICICONTE, Nuovi orientamenti della Corte costituzionale sulla vecchia questione delle norme “in bianco”, cit., 996 ss.; ID., Riserva di legge in materia penale e fattispecie in rapporto di integrazione con atti amministrativi, cit., 55 ss.; F. C. PALAZZO, Riserva di legge e diritto penale moderno, cit., in particolare 278 ss.

179 A. ALESSANDRI, Parte generale, cit., 50 ss. 180 Sull’adozione di tale particolare tecnica di costruzione della fattispecie incriminatrice in materia

ambientale, cfr.: nella dottrina spagnola, per tutti, N. J. DE LA MATA BARRANCO, Protección penal del ambiente, cit., 88 ss.; nella dottrina tedesca, tra gli altri, R. SCHEELE, Zur Bindung des Strafrichters an fehlerhafte behördliche Genehmigungen im Umweltstrafrecht, cit., 22 ss., 34 ss.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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amministrativo di natura abilitativa, prescritto per l’esercizio in concreto di determinate attività. In altri casi, invece, l’intervento dell’autorità si esplica con riferimento a singole operazioni, piuttosto che ad attività di carattere ripetitivo e continuativo, e la prescrizione è riferita a situazioni concretamente determinate, sia per l’oggetto sia per i tempi181.

Rispetto alle fattispecie incriminatrici di attività svolte in assenza del necessario provvedimento autorizzativo, le fattispecie di inosservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento stesso si caratterizzano sia sotto il profilo funzionale, sia sotto il profilo strutturale. Sotto il profilo funzionale, in quanto, in simili ipotesi, con il provvedimento autorizzativo, la cui violazione integra gli estremi del reato, la pubblica amministrazione non si limita a verificare in che modo lo svolgimento di determinate attività dei privati possa influire sulla tutela di uno o più interessi pubblici, allo scopo di assentire o meno l’attività stessa, ma arricchisce tale verifica attraverso l’esercizio di uno specifico potere prescrittivo; sotto il profilo strutturale, in quanto l’atto permissivo assume un contenuto più articolato, attraverso la previsione, appunto, di una apposita parte prescrittiva182.

In altre parole, l’ipotesi più elementare di ingerenza subita dal privato ad opera della pubblica amministrazione in materia ambientale è quella in cui una determinata attività sia soggetta all’obbligo del rilascio preventivo del permesso dell’amministrazione, espresso avendo riguardo al non contrasto della suddetta attività con interessi pubblici183. Sussistono, poi, ulteriori ipotesi, ed il numero è in costante aumento soprattutto con riferimento a particolari settori di attività, in cui l’incisione della sfera di autonomia del privato presenta rilevanza maggiore. La legge, cioè, “non si limita ad isolare aspetti dell’esercizio di situazioni di vantaggio preesistenti, mediante attribuzione all’amministrazione del potere di condizionamento, ma prevede che tale condizionamento interessi anche le modalità di esercizio, attribuendo alla pubblica amministrazione il compito di dettare prescrizioni vincolanti l’attività del privato. Ne consegue che al soggetto autorizzato risulta sottratta la possibilità di scegliere liberamente, a seguito del rilascio dell’autorizzazione, come perseguire i propri interessi, dovendo egli rispettare regole eteronome”184. La sua autonomia è, dunque,

181 A. ALESSANDRI, Parte generale, cit., 50. 182 Sulle autorizzazioni con contenuto prescrittivo cfr., tra gli altri, L. GALATERIA, M. STIPO,

Manuale di diritto amministrativo, Torino, 1998, 387. 183 F. FRACCHIA, Autorizzazione amministrativa e situazioni giuridiche soggettive, cit., 254. 184 F. FRACCHIA, op. ult. cit., 255. Sul punto cfr., altresì, P. DELL’ANNO, Regime autorizzatorio dello

smaltimento dei rifiuti, cit., in particolare 1281 ss.

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ulteriormente ridotta in forza di prescrizioni relative al quomodo, le quali valgono ad assicurare che nello svolgimento successivo dell’attività il pregiudizio temuto non si realizzi185. Sicché, come è stato rilevato186, “secondo questo schema non solo il contenuto di poteri e diritti risulta evidenziato in ordine ad una modalità di esplicazione soggetta a consenso, ma addirittura l’esercizio delle posizioni di vantaggio è assoggettato ad una disciplina posta in essere dal soggetto pubblico, configurandosi come un’attività “esecutiva” di prescrizioni eteronome emanate in vista della tutela di interessi pubblici”.

Ne consegue che con le fattispecie incentrate sulla violazione del contenuto del provvedimento autorizzativo il legislatore intende reprimere l’inosservanza di quanto la Pubblica Amministrazione ritiene di dover imporre, di volta in volta, come condizione necessaria per l’esplicazione di una determinata attività187. Talché il ventaglio di disposizioni che possono concorrere nella formulazione della parte prescrittiva dell’atto autorizzativo è, in taluni casi, assai ampio188 e rappresenta, probabilmente il momento più significativo dell’esercizio da parte della pubblica amministrazione di quel potere di governo delle situazioni conflittuali, che confluisce nel rilascio della singola autorizzazione.

La fissazione di specifiche prescrizioni a carico del destinatario dei provvedimenti autorizzativi risponde generalmente a peculiari esigenze di carattere tecnico inerenti al singolo caso di specie e svolge la funzione di puntualizzare obblighi di cautele ed accorgimenti, anche ulteriori rispetto a quelli indicati dalla legge o dai regolamenti in materia. Si pensi, solo per fare qualche esempio, all’art. 279, comma 2, d.lg. 152 del 2006, il quale, accanto ad altre ipotesi, sanziona chi nell’esercizio di un impianto o di un’attività, viola (…) le prescrizioni stabilite dall’autorizzazione, o all’art. 256, comma 4, che attribuisce rilevanza penale all’inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni. Analoghe considerazioni valgono in relazione alle fattispecie che sanzionano la violazione di ordini e provvedimenti “impositivi” della Pubblica Amministrazione. Si pensi, ancora a titolo meramente esemplificativo, all’art. 255, comma 3, d.lg. 152 del 2006, che punisce chi non ottempera all’ordinanza del Sindaco, di cui all’art. 192, comma 3.

185 F. FRACCHIA, op. loc. ult. cit. 186 F. FRACCHIA, op. loc. ult. cit., nt. 94. In argomento cfr., altresì, P. DELL’ANNO, Manuale di diritto

ambientale, cit., 120. 187 Con specifico riferimento alla materia ambientale cfr., per esempio, sul punto P. DELL’ANNO,

Regime autorizzatorio dello smaltimento dei rifiuti, cit., in particolare 1291 ss. 188 M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente. Contributo all’analisi delle norme penali a struttura

«sanzionatoria», Padova, 1996, 185.

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Ciò fa sì che, come già anticipato, sotto il profilo specifico della compatibilità delle fattispecie in oggetto con il principio di legalità, si possa a questo punto obiettare che la tipologia delle norme imponibili in sede di emanazione di un provvedimento concreto da parte della pubblica amministrazione può essere, soprattutto in determinati settori, assai ampio, in considerazione della complessità degli elementi di valutazione delle situazioni concrete, e che in taluni casi possono non risultare sufficientemente specificati i presupposti e le ragioni che dovrebbero giustificare il contenuto precettivo del provvedimento medesimo. Sicché, le norme che sanzionano l’inosservanza del contenuto dell’atto potrebbero finire, sostanzialmente, per apprestare tutela penale ad una serie indeterminata di obblighi di fonte amministrativa, sollevando, appunto, talune perplessità in relazione al rispetto, non solo del principio della riserva di legge, ma anche a quello di tassatività. Nondimeno, anche simili considerazioni meritano un ulteriore approfondimento critico.

Sembrerebbe, infatti, a questo punto, aprirsi un conflitto insanabile tra due opposte esigenze: da un lato, le esigenze connesse al principio di legalità nella sua dimensione costituzionale, le quali pretenderebbero che la norma incriminatrice si limitasse ad individuare e tutelare solo alcuni, e ben individuati, precetti, tra i molteplici imponibili in sede di emanazione di un provvedimento concreto; dall’altro lato, le peculiari esigenze di tutela proprie di determinate materie, che rendono talvolta impossibile una preventiva determinazione dei poteri di intervento189. Sennonché, da un lato è, in genere, proprio tale impossibilità di predeterminare il contenuto dell’obbligo a costituire la ratio del ricorso a precetti individualizzati, formulati in ragione delle peculiarità espresse da ogni specifica particolare situazione; dall’altro lato, anche le condizioni e l’ambito di applicazione di tali precetti individualizzati risultano, comunque, nelle ipotesi da noi prese in esame, per lo più individuati dalla normativa extrapenale richiamata dalla fattispecie, sicché la tutela penale parrebbe pur sempre limitata ad ipotesi specifiche, dirette ad occupare uno spazio “contiguo ad una tipologia già disegnata dalla legge”190. Le prescrizioni, infatti, in quanto ordini amministrativi di fare o divieti che incidono su libertà costituzionalmente garantite, sottostanno al principio di stretta legalità, così come i provvedimenti

189 Cfr. in questo senso, per tutti, M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit., 186. 190 C. PEDRAZZI, Odierne esigenze economiche e nuove fattispecie penali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1975, 1110.

Con specifico riferimento alla tutela dell’ambiente cfr., altresì, P. DELL’ANNO, Regime autorizzatorio dello smaltimento dei rifiuti, cit., 1292.

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amministrativi cui accedono191. Talché le uniche prescrizioni ammissibili sarebbero quelle che precisano in dettaglio obiettivi, limitazioni o obblighi già indicati in via generale ed astratta dalle norme.

A tali rilievi di carattere generale si aggiunge anche la considerazione che a favore della tipologia di norme in oggetto militano, per lo meno secondo parte della dottrina, alcune esigenze connesse, appunto, alle peculiarità delle materie disciplinate, che richiedono interventi tecnici particolareggiati e differenziati a seconda delle diverse specifiche situazioni concrete; sicché, l’attribuzione ad organi dotati di qualificazione tecnica della funzione di specificare prescrizioni indirizzate a determinati soggetti (e la comminatoria da parte del legislatore di una sanzione penale per la loro violazione) consentirebbe di conseguire risultati di particolare efficacia in termini di tutela del bene protetto192.

Tanto considerato, è, comunque, noto, che la tecnica normativa in oggetto, sia essa riferita a provvedimenti aventi natura abilitativa, sia essa riferita a provvedimenti aventi natura impositiva, ha da sempre sollevato notevoli perplessità in relazione alla sua compatibilità con il principio di legalità in materia penale. Assai controverso, infatti, si rivela proprio il ruolo delle prescrizioni, la cui violazione integra gli estremi del reato, nella struttura della fattispecie incriminatrice. L’inammissibilità, dal punto di vista della riserva assoluta di legge, di simile tecnica di costruzione della fattispecie, già sostenuta con forza in passato193, è stata anche recentemente ribadita per lo meno da una parte della dottrina. Apparentemente, infatti, il potere legislativo parrebbe, in simili ipotesi, omettere la caratterizzazione sostanziale dell’illecito e rimettere la stessa all’autorità di rinvio, la quale si troverebbe, pertanto, investita del potere di stabilire ciò che è penalmente illecito e ciò che, invece, non lo è.

Una corretta impostazione del problema impone, dunque, che si verifichi preliminarmente se le prescrizioni contenute nell’atto amministrativo integrino

191 P. DELL’ANNO, Regime autorizzatorio dello smaltimento dei rifiuti, cit., 1292, 1293; ID., Manuale di

diritto ambientale, cit., 269. 192 In questo senso, tra gli altri, G. GRASSO, L’anticipazione della tutela penale: i reati di pericolo e i reati

di attentato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1986, 727. Sostanzialmente nello stesso senso, pur non nascondendo talune perplessità in relazione ai problemi in tema di legalità, F. C. PALAZZO, I confini della tutela penale: selezione dei beni e criteri di criminalizzazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 472. Riconosce, altresì, la legittimità e l’opportunità di tecniche «ingiuntive», previa adeguata determinazione legale delle condizioni e dell’oggetto di tutela, D. PULITANÒ, La formulazione delle fattispecie di reato: oggetti e tecniche, cit., 47.

193 G. CARBONI, Norme penali in bianco e riserva di legge: a proposito della legittimità costituzionale dell’art. 650 c.p., in Riv. it. dir. proc. pen., 1971, 454 ss.

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effettivamente esse stesse il nucleo precettivo della disposizione penale194, secondo lo schema tradizionalmente definito della norma penale in bianco195, come da taluno sostenuto; o se, viceversa, il provvedimento costituisca semplicemente il presupposto della condotta penalmente rilevante, senza svolgere alcuna funzione di integrazione normativa della fattispecie. Solo, infatti, nel primo caso, là dove, cioè, si ravvisi realmente un fenomeno d’integrazione, si potrà ragionevolmente porre un problema di compatibilità con il principio della riserva di legge e sarà, pertanto, necessario verificare se ed entro quali limiti simile tecnica di costruzione della fattispecie incriminatrice sia conforme alle esigenze sottese al principio di legalità nella sua dimensione costituzionale.

Non è certo possibile dar conto in questa sede delle infinite prese di posizione ravvisabili in dottrina, né in relazione alla controversa questione delle c.d. norme penali in bianco, che − come noto − da sempre costituisce il punto problematico centrale del dibattito circa il carattere assoluto o relativo della

194 In questo senso cfr., tra gli altri, P. NUVOLONE, Norme penali e principi costituzionali, in Giur. cost.,

1956, 1271; G. CARBONI., Norme penali in bianco e riserva di legge, cit., 458, 459. 195 Sul controverso tema delle c.d. norme penali in bianco la letteratura è vastissima. Oltre alla

manualistica, ci limitiamo a segnalare, A. PECORARO ALBANI, Riserva di legge – Regolamento – Norma penale in bianco, cit., 285 ss.; B. PETROCELLI, Norma penale e regolamento, in Studi in onore di A. De Marsico, Milano, 1960, 399 ss.; M. SPASARI, Il principio di legalità nel diritto penale italiano, in Arch. pen., 1966, in particolare 44 ss.; G. CARBONI, L’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, cit., passim; ID., Norme penali in bianco e riserva di legge: a proposito della legittimità costituzionale dell’art. 650 c.p., cit., 454 ss.; A. PAGLIARO, Legge penale, in Enc. dir., XXIII, 1973, 1048 ss.; G. CERQUETTI, Teoria degli atti giuridici previsti dalla norma incriminatrice, Napoli, 1973; D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, cit., in particolare 207 ss.; M. PARODI GIUSINO, Sulla legittimità costituzionale della legislazione penale in materia di stupefacenti, cit., 371 ss.; M. PETRONE, La tutela degli ordini amministrativi, Milano, 1980, 170 ss.; G. PIOLETTI, Sindacato del giudice sull’atto amministrativo e riserva di legge nelle norme penali in bianco, in Scritti in memoria di U. Pioletti, Milano, 1982, 523 ss.; L. CARLASSARE, Legge (riserva di), in Enc. giur. Treccani, XVIII, Roma, 1990, 8 ss.; G. VICICONTE, Nuovi orientamenti della Corte costituzionale sulla vecchia questione delle norme in bianco, cit., 996 ss.; ID., Riserva di legge in materia penale e fattispecie in rapporto di integrazione con atti amministrativi, cit., in particolare 60 ss.; C. PIERGALLINI, Norma penale e legge regionale: la costruzione del «tipo», cit., 145 ss.; F. C. PALAZZO, Riserva di legge e diritto penale moderno, cit., 276 ss.; M. PARODI GIUSINO, Nodi problematici in tema di fonti del sistema penale, cit., 440 ss.; M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, cit., 38; D. MICHELETTI, Legge penale e successione di norme integratrici, cit., in particolare 23 ss. In argomento, nella dottrina spagnola, per tutti, oltre alla manualistica, L. ARROYO ZAPATERO, Principio de legalidad y reserva de ley en materia penal, in Revista española de Derecho constitucional, 1983, n. 8, in particolare 30 ss.; E. MESTRE DELGADO, Límites constitucionales de las remisiones normativas en materia penal, in Anuario de Derecho penal y Ciencias penales, 1988, 507 ss. Nella dottrina tedesca, tra gli altri, oltre alla manualistica, E. LAUER, Der Irrtum über Blankettstrafgesetze am Beispiel des § 106 UrhG, Bonn, 1997, in particolare 40 ss.

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riserva di legge in materia penale196; né, più specificamente, in relazione al problema della riconducibilità a tale schema di costruzione della fattispecie incriminatrice delle norme poste a tutela di ordini o provvedimenti amministrativi. Pur scontando inevitabili imprecisioni e semplificazioni, i termini della questione possono comunque, ai fini del presente lavoro, essere così sintetizzati.

Parte della dottrina ritiene che, nelle ipotesi in cui le norme penali sanzionano in genere l’inosservanza di provvedimenti dell’autorità, il precetto penale sia costituito proprio dalle prescrizioni amministrative contenute nei suddetti provvedimenti, sicché la disposizione sanzionatoria presenterebbe, indiscutibilmente, le caratteristiche strutturali tipiche delle norme penali in bianco197. Nell’ambito, poi, di tale prospettiva comune, che individua nel provvedimento amministrativo il contenuto precettivo della norma, una parte degli autori ha prospettato, sia pure talvolta solo in forma dubitativa, l’incostituzionalità di simile tecnica normativa198; altra parte ha, invece, tentato di far salva la legittimità costituzionale di norme così costruite attraverso l’individuazione di equivalenti funzionali della riserva assoluta di legge199, “vale a dire di meccanismi o accorgimenti che, in quanto ugualmente in grado di tutelare il destinatario della norma dai pericoli di un uso arbitrario della minaccia penale da parte dell’autorità amministrativa, diano adeguata garanzia del fatto che non si è di fronte ad una sostanziale elusione della ratio politico-garantista della riserva”200.

In tale prospettiva, peraltro, la discussione sulla riserva di legge spesso si mescola e si sovrappone con quella sulla determinatezza del precetto.

196 Per un quadro di sintesi delle posizioni assunte dalla dottrina sul punto cfr., per tutti, M.

PARODI GIUSINO, Sulla legittimità costituzionale della legislazione penale in materia di stupefacenti, cit., 382 ss. 197 Cfr., per tutti, F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., 47, 48; F. RAMACCI, Corso di diritto penale,

Torino, 2007, 79; G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, cit., 58; M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit., 183.

198 Cfr., tra gli altri, M. SINISCALCO, Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, cit., 668 ss.; F. BRICOLA, La discrezionalità nel diritto penale, cit., 243; ID.., Teoria generale del reato, in Noviss. Dig. it., XIX, Torino, 1973, 42; G. CARBONI, L’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, cit.; F. C. PALAZZO, Legge penale, cit., 354, 355; G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, cit., 58; M. PARODI

GIUSINO, Nodi problematici in tema di fonti del sistema penale, cit., 441, 443. Voci di dissenso nei confronti dell’adozione di tale tecnica normativa si sono levate già in passato anche in Germania. Sul punto cfr., per tutti, G. WARDA, Die Abgrenzung von Tatbestands- und Verbotsirrtum bei Blankettstrafgesetzen, Berlin, 1955, 10.

199 L’espressione è di M. CATENACCI, op. ult. cit., 282 ss. 200 M. CATENACCI, op. ult. cit., 282.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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Muovendo, infatti, da una disincantata consapevolezza dell’irrinunciabilità, in determinati settori, al contributo di fonti secondarie nella descrizione del tipo, parte della dottrina ritiene che l’assolutezza della riserva di legge debba effettivamente dispiegare per intero la propria efficacia vincolante solo laddove si accerti che, a causa della struttura in bianco della norma incriminatrice, il singolo risulti in qualche modo esposto al pericolo di arbitrio da parte della P.A. 201; mentre il carattere assoluto della riserva stessa “potrà affievolirsi in tutti quei casi in cui appaia dimostrato che, nonostante la struttura in bianco della norma incriminatrice, l’esigenza di garanzia del singolo dagli abusi dell’Autorità amministrativa risulti comunque ed ugualmente soddisfatta”202, in altre parole: quando sia incondizionatamente salvaguardata la ratio politico-garantista desumibile dall’art. 25, comma 2, Cost. e connessa al monopolio normativo del Parlamento in materia penale203. In relazione all’individuazione di tali equivalenti funzionali, si osserva204, la giurisprudenza costituzionale ha da tempo fornito importanti indicazioni attraverso l’enunciazione di due distinti criteri tra loro alternativi: quello della «determinatezza dei poteri amministrativi di integrazione del precetto» e quello della «predeterminazione legale del contenuto dell’illecito». Anticipando quanto sarà approfondito di qui a poco, si può osservare come il primo, richiedendo la preventiva fissazione dei «caratteri, presupposti, contenuto e limiti» dell’atto amministrativo richiamato dalla norma in bianco, consenta di riconoscere anche le componenti essenziali del precetto, e dunque della condotta incriminata, con conseguente riduzione dei margini di creatività della fonte non legislativa richiamata; il secondo, riservando al legislatore la descrizione del contenuto offensivo dell’illecito, sia, a sua volta, in grado di prevenire il rischio di strumentalizzazioni da parte dell’esecutivo,

201 Ritengono ormai inevitabile, nell’attuale contesto normativo, un concorso del potere

normativo secondario nella descrizione di taluni profili dell’illecito penale anche: M. ROMANO, La repressione della condotta antisindacale, cit., in particolare 170; G. VASSALLI, «Nullum crimen sine lege», cit., 295; F. C. PALAZZO, Legge penale, cit., in particolare 353; M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit., in particolare 178.

202 M. CATENACCI, La tutela penale del’ambiente, cit., 278 ss. 203 Sulla ratio di garanzia propria della riserva di legge in genere cfr., per tutti, R. GUASTINI, Legge (riserva di), in Dig. disc. pub., IX, Torino, 1994, 166. Con specifico riferimento alla materia penale cfr., amplius e per tutti, F. BRICOLA, Teoria generale del reato, cit., in particolare 39 ss.; ID., Art. 25 Cost., II e III comma, in Commentario della Costituzione, a cura di G. BRANCA, Bologna, 1981, 231 ss.; M. TRAPANI, Legge penale, in Enc. giur. Treccani, XVIII, Roma, 1990, in particolare 3 ss. In relazione a tale profilo nella dottrina spagnola cfr., per tutti, L. ARROYO ZAPATERO, Principio de legalidad y reserva de ley en materia penal, cit., in particolare 30 ss.

204 M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit., 284 ss.

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attraverso la creazione ex novo di autonome figure di reato, e renda compatibili con il principio della riserva di legge quelle disposizioni che presentino spazi in bianco, la cui integrazione sarà, inevitabilmente, limitata alla mera specificazione del contenuto di un illecito già definito nella sua componente di disvalore. Solo, dunque, quando almeno uno di tali criteri risulti rispettato, la norma in bianco potrebbe ritenersi, nella prospettiva esaminata, compatibile con il carattere assoluto della riserva di legge e, quindi, costituzionalmente legittima.

Altra parte della dottrina muove, tuttavia, da posizioni radicalmente diverse in relazione alle fattispecie incentrate sulla violazione di ordini o provvedimenti amministrativi205, ritenendo che le stesse non pongano alcun problema di integrazione, in quanto in simili ipotesi il legislatore introdurrebbe, nella prospettiva tecnica propria delle fonti del diritto, una figura criminosa chiusa, che non “attende un quid aggiuntivo sullo stesso livello della previsione normativa penale”206. In tale prospettiva, decisivo ai fini dell’individuazione di un vero e proprio fenomeno di eterointegrazione della norma dovrebbe, infatti, considerarsi il riferimento che la legge effettua, in funzione integrativa, ad atti il cui contenuto sia costituito da disposizioni caratterizzate da astrattezza e generalità207, suscettibili, dunque, di applicazione indefinita. Là dove, viceversa, il riferimento sia a singole prescrizioni concrete individuali (e a queste soltanto) sarebbe fuorviante parlare di integrazione, in quanto da tale tipologia di disposizioni “non ci si può aspettare alcun ruolo creativo aggiuntivo nella configurazione formale del reato”208. L’obbligo penale, in altri termini,

205 Cfr., per esempio, M. ROMANO, La repressione della condotta antisindacale, cit., in particolare 157

ss.; D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teroria del reato, cit., 317 ss.; G. DE VERO, Inosservanza di provvedimenti di polizia e manifestazioni sediziose e pericolose, cit., 79 ss.; F. GIUNTA, Illiceità e colpevolezza nella responsabilità colposa, cit., 267 ss.; C. PIERGALLINI, Norma penale e legge regionale: la costruzione del tipo, cit., 130; M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, cit., 39; M. DONINI, Teoria del reato, cit. 234 ss.; L. RISICATO, Gli elementi normativi della fattispecie penale, cit., 182; D. PULITANÒ, Diritto penale, Torino, 2007, 121, 122. Per un’analisi critica di tale impostazione cfr., invece, F. BRICOLA, Legalità e crisi: l’art. 25, commi II e III, della Costituzione rivisitato alla fine degli anni ‘70, cit., 195; ID., Art. 25, 2° e 3° comma, cit., 242. Perplessità nei confronti dell’impostazione di cui nel testo anche in G. VICICONTE, Nuovi orientamenti della Corte costituzionale sulla vecchia questione delle norme «in bianco», cit., 1003 ss.; ID., Riserva di legge in materia penale e fattispecie in rapporto di integrazione con atti amministrativi, cit., 75 ss.

206 M. ROMANO, La repressione della condotta antisindacale, cit., 158; F. GIUNTA, Illiceità e colpevolezza nella responsabilità colposa, cit., 267.

207 G. DE VERO, Inosservanza dei provvedimenti di polizia, cit., 78, 79. Nello stesso senso cfr., D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, cit., 317.

208 M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, cit., 39. Nello stesso senso F. GIUNTA, Illiceità e colpevolezza nella responsabilità colposa, cit., 267; C. PIERGALLINI, Norma penale e legge regionale: la

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risulterebbe già compiutamente descritto in forma generale ed astratta dalla proposizione normativa e il singolo ordine o provvedimento non rappresenterebbe altro che “l’attualizzazione storica di un elemento già previsto dalla fattispecie criminosa”209, senza svolgere alcun ruolo precettivo nella descrizione dell’illecito.

In altre parole: se requisito imprescindibile per l’attribuzione della nota di integratività è la natura generale e astratta della proposizione di cui si debba tenere conto210, poiché l’unica in grado di apportare un contributo alla creazione del tipo di reato, sarebbe errato ravvisare un fenomeno di integrazione in relazione ad una situazione d’obbligo che sorga da una norma concreta e individuale, quale può essere, appunto, un provvedimento o un ordine dell’autorità; in simili ipotesi si rimane, piuttosto, sul terreno di un rapporto tra previsione astratta e generale di una figura criminosa e singola concretizzazione211. I rapporti tra norma penale e prescrizione amministrativa, come è stato rilevato a proposito della tutela penale degli ordini amministrativi212, non possono, infatti, essere posti “su di un’unica piattaforma nella quale si confonda ciò che, della prescrizione stessa, ha la sostanza normativa, e ciò che, invece, presenta natura non solo formalmente213, ma anche sostanzialmente amministrativa. In quest’ultimo caso la regola di condotta singolarmente rivolta non è precetto, e non può ricomporsi nello schema di una norma penale; ché, altrimenti, ne risulterebbe un ibrido inconcepibile, nel quale accanto ad un elemento generale ed astratto, avente i caratteri della norma si giustapporrebbe un dato particolare e concreto avente i caratteri dell’atto giuridico”214.

costruzione del tipo, cit., 130; M. DONINI, Teoria del reato, cit., 234, 235; G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di Diritto penale. Parte generale, Milano, 2004, 37.

209 M. ROMANO, La repressione dell’attività antisindacale, cit., 159, 173. Sul punto cfr., altresì, D. PULITANÒ, Art. 1 c.p., in Commentario breve al codice penale, a cura di A. CRESPI, G. FORTI, G. ZUCCALÀ, Padova, 2008, 7.

210 Sui criteri elaborati dalla dottrina in generale per l’individuazione del carattere «normativo» di un determinato atto cfr., per tutti, V. CRISAFULLI, Atto normativo, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 238 ss.

211 M. ROMANO, La repressione dell’attività antisindacale, cit., 159, 160. 212 M. PETRONE, La tutela penale degli ordini amministrativi, cit., 84. 213 Con tale espressione l’Autore intende fare riferimento ai regolamenti, la cui integrazione nella

norma penale − si precisa − trova un limite solo nella riserva di legge, ma non nella natura dell’atto, trattandosi di previsioni generali ed astratte.

214 Nel senso che la norma penale possa essere integrata anche da precetti individualizzati sembrerebbe orientato, invece, C. PEDRAZZI, Odierne esigenze economiche e nuove fattispecie penali, cit., 1110, nt. 28.

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Simili argomentazioni, tuttavia, non implicano necessariamente che le fattispecie in esame debbano considerarsi del tutto esenti da ogni profilo problematico in relazione al principio di legalità. Notevoli perplessità sulla loro legittimità costituzionale sotto l’aspetto della determinatezza sono state, infatti, formulate anche da chi considera le stesse compatibili con il principio della riserva di legge. Il problema, più precisamente, sembrerebbe porsi in relazione a quelle fattispecie che omettono la puntuale specificazione di quali siano i provvedimenti cui il legislatore intende accordare tutela penale, nonché delle ragioni che in ogni figura criminosa debbono stare alla base del singolo provvedimento215, o lo fanno, come per esempio l’art. 650 c.p.216, in forma estremamente generica, certamente inidonea a garantire la riconoscibilità del tipo criminoso217.

La posizione assunta dalla Corte costituzionale nei confronti, in genere, delle fattispecie di inosservanza di provvedimenti amministrativi si caratterizza, come è noto, per il succedersi diacronico di diverse fasi. In una prima fase, la Corte ha per lo più fatto salva la legittimità costituzionale di fattispecie incentrate sulla violazione delle prescrizioni contenute in provvedimenti amministrativi, al pari delle norme penali eterointegrate da regolamenti o altri atti amministrativi generali, facendo propria l’impostazione teorica della c.d. presupposizione218, che tendeva a considerare le prescrizioni amministrative,

215 Cfr. in questo senso M. ROMANO, Repressione della condotta antisindacale, cit., 187 ss. 216 Sull’esigenza, per recuperare l’art. 650 c.p. al quadro costituzionale, di «frantumarne»

l’onnicomprensiva fattispecie per riservare la tutela penale solo a quei provvedimenti il cui contenuto risulti legislativamente individuato nel modo più preciso possibile quanto ad interesse sotteso, a presupposti di emanazione e a finalità perseguite, cfr. F. C. PALAZZO, Tutela dei diritti, tutela del provvedimento giurisdizionale e categorie penalistiche, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, 512 ss. Fortemente critico nei confronti della formulazione propria dell’art. 650 sotto il profilo della tassatività, oltre che della riserva di legge, F. BRICOLA, Legalità e crisi: l’art. 25, commi 2° e 3°, della Costituzione rivisitato alla fine degli anni ‘70 , cit., 214 ss. Un cenno alla possibilità che l’art. 650 c.p. violi, invece, il principio di uguaglianza, con il prevedere la stessa sanzione per l’inosservanza dei più vari provvedimenti dell’autorità, si ritrova in S. VINCIGUERRA, Le leggi penali regionali. Ricerca sulla controversa questione, Milano, 1974, 28, nt. 55.

217 Manifestano talune perplessità in ordine alla conformità dell’art. 650 al principio di determinatezza sotto il profilo di cui nel testo, tra gli altri: D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, cit., 318; L. MAZZA, Riflessioni in margine all’art. 1164 del codice della navigazione, in Giur. cost., 1976, 730 ss.; M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, cit., 44; G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di Diritto penale. Parte generale, cit., 37.

218 La tesi che ravvisava negli atti e provvedimenti amministrativi dei meri presupposti era stata patrocinata in dottrina soprattutto da A. PECORARO ALBANI (Riserva di legge Regolamento – Norma penale in bianco, cit., 285 ss.) e da B. PETROCELLI, (Norma penale e regolamento, cit., 399 ss.).

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appunto, come meri presupposti di fatto rispetto alla fattispecie, interamente enunciata con l’imposizione del precetto219. Successivamente, forse anche sotto il peso delle obiezioni e perplessità che parte della dottrina aveva manifestato nei confronti della possibilità di considerare il regolamento non come una fonte del diritto, bensì come semplice presupposto di fatto, la Corte si è assestata sul criterio della sufficiente determinazione legale del precetto220, avallando, in tal modo, le linee argomentative svolte anche da una parte della dottrina221. Secondo tale criterio, come già anticipato, la riserva di legge sarebbe rispettata tutte le volte in cui sia una “legge (o un atto equiparato) − non importa se proprio la medesima legge che prevede la sanzione penale o un’altra legge − ad indicare con sufficiente specificazione i presupposti, i caratteri, il contenuto ed i limiti dei provvedimenti dell’autorità non legislativa, alla trasgressione dei quali deve seguire la pena”.

Più di recente, e precisamente con la sentenza 14 giugno 1990, n. 282, la posizione della Corte222, nel valutare i profili di costituzionalità dei diversi

219 Cfr., per esempio, Corte cost., 19 settembre 1964, n. 36 (in materia di stupefacenti), in Foro it.,

1964, I, 1282, e Corte cost., 26 novembre 1964, n. 96 (relativa all’art. 5, l. 30 aprile 1962, n. 283), ibid., 2217.

220 Cfr., tra le altre, Corte cost., 9 giugno 1986, n. 132, in Giur. cost., 1986, 885; Corte cost., 10 giugno 1982, n. 108, in Foro it., 1982, I, 2730; Corte cost., 12 marzo 1975, n. 58, ibid., 1975, I, 1059; Corte cost., 1 marzo 1973, n. 21, in Giur. cost., 1973, 246; Corte cost., 27 giugno 1972, n. 113, in Foro it., 1972, I, 2741; Corte cost., 19 gennaio 1972, n. 9, ivi, 1972, I, 271; Corte cost., 18 luglio 1971, n. 168, ivi, 1971, I, 2101; Corte cost., 5 aprile 1971, n. 69, ivi, 1971, I, 1179; Corte cost., 7 aprile 1969, n. 61, ivi, 1969, I, 1619; Corte cost., 23 marzo 1966, n. 26, ivi, 1966, I, 609. Nella dottrina, amplius, F. BRICOLA, Art. 25, 2° e 3° comma, cit., 246 ss.; G. VASSALLI, Nullum crimen sine lege, cit., 297 ss.; G. VICICONTE, Riserva di legge in materia penale e fattispecie in rapporto di integrazione con atti amministrativi, cit., 70 ss. Per l’esame della giurisprudenza della Corte e delle tendenze interpretative espresse al riguardo cfr., tra gli altri, M. SINISCALCO, Ratio di «certezza» e ratio di «garanzia» nella riserva di legge dell’art. 25, comma 2, della Costituzione, in Giur. cost., 1969, 993 ss.; L. STORTONI, Intorno al problema della riserva di legge e della tassatività sancita dalla Costituzione e agli atteggiamenti assunti dalla Corte costituzionale in rapporto alle leggi che reprimono le frodi alimentari, in Problemi penali in tema di frodi alimentari, Milano, 1971, in particolare 290 ss.; P. G. GRASSO, Il principio del “nullum crimen sine lege” nella Costituzione italiana, Milano, 1972, in particolare 207 ss.; L. MAZZA, Riflessioni in margine all’art. 1164 del codice della navigazione, cit., 719 ss. Più di recente L. PICOTTI, La legge penale, in Giurisprudenza sistematica di diritto penale, diretta da F. BRICOLA e V. ZAGREBELSKY, Parte generale, vol. I, Torino, 1996, in particolare 36 ss.; V. PACILEO, Principio di legalità e fonti mediate di diritto penale, in Cass. pen., 1989, 2191 ss.; D. PULITANÒ, Art. 1 c.p., cit., 7 ss.; C. SANTORIELLO, La riserva di legge in materia penale fra sufficiente determinatezza legale e disapplicazione del provvedimento amministrativo, in Giur. it., 1993, II, 739 ss.

221 G. AMATO, Sufficienza e completezza della legge penale, cit., 486 ss.; ID., Riserva di legge e libertà personale in una sentenza che restaura l’art. 25, cit., 264 ss.

222 Per un esame di tale sentenza alla luce dei principi generali vigenti in materia penale nel nostro ordinamento cfr., per tutti, G. VASSALLI, I principi generali del diritto nell’esperienza penalistica, in Riv. it. dir.

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rapporti di integrazione con atti amministrativi, si è sviluppata attraverso sequenze argomentative maggiormente articolate, che hanno contrapposto nettamente lo schema norma penale-provvedimento, da un lato, e quello della norma penale- regolamento o atto amministrativo generale ed astratto, dall’altro lato223.

Nella prima ipotesi, sostanzialmente, si continua a ravvisare una concretizzazione della figura del richiamo per presupposizione, da valutare con il criterio della sufficiente specificazione del precetto, mentre il secondo tipo di rapporto di eterointegrazione viene ricondotto alla figura del rinvio formale e considerato, conseguentemente, assolutamente incompatibile con il principio costituzionale della riserva di legge in materia penale qualora sia attinente alla individuazione di elementi essenziali della fattispecie legale224. Ad avviso della Corte, infatti, il principio di legalità in materia penale può dirsi soddisfatto, sotto il profilo della riserva di legge, solo “allorquando la legge determina con sufficiente specificazione il fatto cui è riferita la sanzione penale”225. E ciò perché, “in corrispondenza della ratio garantista della riserva è necessario che la legge consenta di distinguere tra la sfera del lecito e quella dell’illecito, fornendo a tal fine un’indicazione normativa sufficiente ad orientare la condotta dei consociati”226.

Si comprende allora come, alla luce di tale impostazione, dovrebbero considerarsi compatibili con la riserva scaturente dall’art. 25, comma 2, Cost. soltanto quelle fattispecie che, pur presentando degli spazi in bianco, contengano una compiuta predeterminazione legislativa del contenuto dell’illecito (ovvero

proc. pen., 1991, 718 ss. In argomento cfr., altresì, F. ALBEGGIANI, Riserva di legge e determinazione dei soggetti attivi di un reato proprio, in Foro it., 1991, I, 3021 ss.; C. SANTORIELLO, La riserva di legge in materia penale tra sufficiente determinatezza legale e disapplicazione del provvedimento amministrativo, cit., 739 ss.; E. INFANTE, G. SALCUNI, Diritto penale del comportamento e disvelamento della necessaria “politicità” del giudizio degli esperti, cit., 1161 ss.

223 Sul punto cfr. G. VICICONTE, Riserva di legge in materia penale e fattispecie in rapporto di integrazione con atti amministrativi, cit., 75.

224 Sul punto cfr., amplius, G. VICICONTE, Nuovi orientamenti della Corte costituzionale sulla vecchia questione delle norme «in bianco», cit., 1000 ss.

225 Analogo orientamento è stato assunto anche dal Tribunale costituzionale spagnolo. Sul punto cfr., per tutte, STC, 5 luglio 1990, n. 127. In dottrina cfr. sull’argomento, tra gli altri, E. GÓRRIZ

ROYO, La problemática de las remisiones normativas y de la retroactividad de las leyes penales favorables en relación a los delitos sobre la ordenación del territorio, cit., 83 ss.; nella specifica prospettiva dell’analisi delle fattispecie ambientali, J. M. PRATS CANUT, De los delitos contra los recursos naturales y el medio ambiente, cit., 1514; C. SALINERO ALONSO, Riflessioni sulla tutela penale dell’ambiente. In particolare i reati contro l’assetto del territorio nel nuovo codice penale spagnolo, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1998, 401; S. HUERTA TOCILDO, Principios básicos del Derecho Penal y art. 325 del Código Penal, cit., 44.

226 Corte cost., 14 giugno 1990, n. 282, cit.

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della situazione offensiva tipica), sicché il rinvio ad atti amministrativi venga a svolgere una funzione meramente integrativa di elementi normativi del fatto “sottratti alla possibilità di un’anticipata indicazione particolareggiata da parte della legge”227; oppure, quelle fattispecie che, rinviando a prescrizioni individuali e specifiche contenute in provvedimenti privi dei requisiti di astrattezza e generalità, siano comunque caratterizzate da una sufficiente predeterminazione dei poteri amministrativi cui viene fatto rinvio228. Un’ulteriore garanzia, inoltre, è rappresentata dal fatto che la specifica prescrizione disattesa resta soggetta ad un controllo di legittimità da parte del giudice penale229.

6. L’apporto delle fonti comunitarie alla descrizione del fatto tipico Come è noto, la questione ambientale ha assunto, in misura vieppiù

considerevole, una dimensione sovrannazionale in considerazione degli effetti transfrontalieri prodotti dagli inquinamenti e dagli altri fattori di degrado dell’ambiente230. Sicché, ci si è resi conto che la salvaguardia di quest’ultimo potrà essere assicurata solo se, e nella misura in cui, la tutela dello stesso sarà

227 Corte cost., 14 giugno 1990, n. 282, cit. Il criterio dell’adeguata predeterminazione legislativa

del contenuto essenziale del precetto penale è stato successivamente di nuovo ribadito dalla Corte, per esempio, con sentenza 11 luglio 1991, n. 333, in Giur. cost., 1991, 2647 ss. Per tale soluzione, già da tempo sostenuta in dottrina, cfr., tra gli altri, M. SINISCALCO, Irretroattività delle leggi in materia penale, Milano, 1969, 84; S. VINCIGUERRA, Le leggi penali regionali, cit., 25; D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, cit., 320, 321: F. BRICOLA, Legalità e crisi: l’art. 25, commi 2° e 3°, della Costituzione rivisitato alla fine degli anni ‘70, cit., 194; C. PEDRAZZI, Odierne esigenze economiche e nuove fattispecie penali, cit., 1101, 1102; M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, cit., 36 ss.

228 Si iscrivono, sostanzialmente, nell’ambito dell’orientamento così delineato anche le successive pronunce della Corte. Tra le altre cfr., per esempio, Corte cost., 27 aprile 1993, n. 199, in Giur. cost., 1993, 1359 ss.; Corte cost., 27 marzo 1992, n. 133, in Giur. cost., 1992, 1113 ss.; Corte cost., 11 luglio 1991 n. 333, in Giur. cost., 1991, 2646 ss.

229 Sul punto cfr., per tutti, R. VILLATA, “Disapplicazione” dei provvedimenti amministrativi e processo penale, cit., in particolare, 108 ss.

230 G. CORDINI, Diritto ambientale comparato, Padova, 2002, 7 ss. In argomento cfr., altresì, E. SPATAFORA, Tutela ambiente (diritto internaz.), in Enc. dir., XLV, Milano, 1992, 444 ss.; G. COCCO, Nuovi principi ed attuazione della tutela ambientale fra diritto comunitario e diritto interno, in Ambiente e diritto, a cura di S. GRASSI, M. CECCHETTI, A. ANDRONIO, Firenze, 1999, I, 147 ss.; A. SATTA, L’inquinamento nucleare: la tutela penale in Italia e nella prospettiva comunitaria, in La tutela penale dell’ambiente, a cura di P. AMELIO e F. S. FORTUNA, Torino, 2000, in particolare 62 ss.; ID., La tutela penale dell’ambiente nelle norme interne e comunitarie, in D&G, 2003, 81 ss.

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sempre più estesa oltre i confini dello Stato singolo, attraverso poteri di governo e di giurisdizione che oltrepassino il limite della sovranità statale231.

In tale prospettiva si comprende anche il processo di progressiva comunitarizzazione del diritto ambientale, il quale si trova, appunto, ormai “bersagliato” dal recepimento di un numero sempre più consistente di disposizioni di origine comunitaria232. Ne consegue, altresì, che l’incontrovertibile dato della sempre crescente e pervasiva influenza del diritto dell’Unione europea nei più svariati settori di vita degli ordinamenti nazionali233 assume in materia ambientale proporzioni veramente importanti. È, del resto, ormai noto l’ordine di grandezza attraverso il quale la produzione normativa interna, in questo specifico settore, attinge al diritto comunitario, da cui, tranne in qualche caso, trae immediatamente ispirazione e caratteristiche234.

Per quanto attiene specificamente al diritto punitivo ambientale, si deve muovere dal presupposto largamente condiviso che – a tutt’oggi – difetti in capo alle istituzioni comunitarie una diretta competenza penale235. Nondimeno,

231 Per un’analisi dei diversi strumenti giuridici attraverso i quali si sta di fatto realizzando in materia ambientale l’armonizzazione dei sistemi penali degli Stati dell’Unione cfr., tra gli altri, G. HEINE, El derecho penal ambiental aleman y español: un estudio comparado desde la perspectiva de consideracion de la futura convencion europea sobre el derecho penal del medio ambiente, in Cuadernos de Política criminal, 1997, 654 ss.

Si deve, peraltro, tenere presente che i reati ambientali costituiscono uno dei gruppi di reati “sensibili” previsti dall’art. 2 della decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato d’arresto europeo. Si tratta cioè di illeciti per i quali, al fine di ottenere la immediata consegna del ricercato o condannato da uno Stato membro all’altro, non occorre che il fatto lesivo dell’ambiente sia supportato dalla duplice incriminazione tanto nello Stato richiedente quanto in quello di esecuzione. Ciò a riprova del particolare disvalore penale del fatto di reato aggressivo del bene ambiente che è ugualmente avvertito a livello europeo e necessita di una tutela uniforme.

232 Sull’operatività delle fonti comunitarie nel campo della tutela ambientale cfr, tra gli altri e di recente, L. RAMACCI, Diritto penale dell’ambiente, cit., in particolare 16 ss.; F. FONDERICO, L’evoluzione della legislazione ambientale, in Riv. giur. ed., 2007, II, 101 ss.

233 In termini generali, G. M. VAGLIASINDI, Diritto penale ambientale e diretta efficacia delle direttive comunitarie, in Cass. pen., 1999, 284.

234 G. COCCO, A. MARZANATI, R. PUPILELLA, Ambiente. Il sistema organizzativo ed i principi fondamentali, in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da P. CHITI e G. GRECO, Milano, 2007, 158; analogamente, S. MARCOLIN, Decisione quadro o direttiva per proteggere l’ambiente attraverso il diritto penale?, in Cass. pen., 2006, 243.

In termini generali sul tema della tutela dell’ambiente nell’ambito dell’Unione europea cfr., altresì, A. EPINEY, Umweltrecht in der europäischen Union, Köln, Berli, München, 1997.

235 Sul tema, per tutti amplius e di recente, R. SICURELLA, Diritto penale e competenze dell’Unione europea, Milano, 2005, 14 ss.; P. VELTEN, Diritto penale europeo, in Criminalia, 2006, 127; G. GRASSO., La Costituzione per l’Europa e la formazione di un diritto penale dell’Unione europea, in Studi in onore di G. Marinucci, Milano, 2006, 361; F. VIGANÒ, Norme comunitarie e riserva di legge statale in materia penale: i termini di una relazione (sempre più) problematica, in Quad. Cost., 2006, 366.

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come chiarito anche da una consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia, il diritto penale, pur esorbitando dalle competenze attribuite dai trattati alle istituzioni soprannazionali, non rimane al di fuori dell’ambito di applicazione del diritto comunitario. Infatti, “in linea di principio la legislazione penale e le regole di procedura penale restano di competenza degli Stati membri. Tuttavia (…) anche in questo settore (diritto penale e procedura penale) il diritto comunitario pone dei limiti”236. “Il diritto comunitario che penetra ogni giorno di più gli ordinamenti giuridici interni degli Stati membri non potrebbe, tenuto conto dei principi di base che costituiscono il fondamento stesso della costruzione comunitaria, lasciare il diritto penale interno al di fuori del proprio ambito di applicazione”237.

Ebbene, il contributo delle fonti sovrannazionali può estrinsecarsi attraverso due distinti meccanismi: una c.d. influenza indiretta o riflessa, così chiamata in quanto essa è conseguenza non direttamente perseguita dall’intervento normativo comunitario, ed un’influenza diretta, che può a sua volta esplicarsi attraverso diversi atti impiegati per veicolare le richieste comunitarie di tutela entro i confini nazionali.

6.1. Il contributo indiretto

Si parla di effetti indiretti (o riflessi) allorché una normativa comunitaria, contenuta in un regolamento o in una direttiva direttamente efficace, avente ad oggetto la disciplina di un settore normativo non penale rientrante tra le competenze delle istituzioni sovrannazionali, produce effetti, appunto, su una norma penale interna, andando ad incidere sulla definizione di un elemento costitutivo della fattispecie o anche sull’intero precetto238. Tale meccanismo si verifica con particolare frequenza nelle ipotesi di norme interne costruite in funzione sanzionatoria di discipline extrapenali nazionali rientranti negli ambiti astratti di competenza comunitaria. Siffata forma di incidenza, c.d. integratrice, può in concreto estrinsecarsi o attraverso il ricorso a elementi normativi implementati da norme di fonte europea o attraverso la tecnica del rinvio esplicito. Nel primo caso il precetto nazionale contiene unità linguistiche qualificate che rimandano per la definzione del loro esatto significato a disposizioni legali di matrice ab origine comunitaria oppure a disposizioni

236 CGCE 11 novembre 1981, Casati, causa 203/80, in Racc., 2595 ss. 237 CGCE 11 novembre 1981, Casati, causa 203/80, cit. 238 Amplius, G. GRASSO, Comunità europee e diritto penale, Milano, 1989, 255 ss.; R. SICURELLA, Diritto

penale e competenze dell’Unione europea, cit., 63 ss.

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extrapenali ab origine nazionali ma modificate in un secondo momento da norme di diritto comunitario239. Nel secondo caso il precetto nazionale si presenta incompleto (in tutto o in parte) ed è destinato ad essere integrato o specificato da norme di fonte europea o da norme extrapenali originariamente previste da fonti nazionali ma successivamente modificate o sostituite da norme di fonte europea.

Varie, tuttavia, sono di volta in volta, le modalità di adeguamento e, in particolare, diversi sono i paradigmi attraverso i quali le fonti di origine sovrannazionale possono interagire con fattispecie penali nazionali. Conseguentemente, anche i problemi sollevati dall’interazione del diritto comunitario con il diritto penale nazionale si atteggiano diversamente a seconda della tipologia della fonte sovrannazionale e, soprattutto, in relazione alla natura del contributo apportato alla fattispecie interna240.

Generalmente è soprattutto grazie alle direttive che nell’ambito dell’Unione Europea gli Stati membri provvedono a conformare e ad uniformare il proprio ordinamento interno per tutto quanto attiene alle politiche pubbliche di protezione dell’ambiente, secondo i meccanismi e con le conseguenze proprie delle direttive medesime241. Del resto, l’armonizzazione delle legislazioni nazionali interne nelle materie di competenza dell’Unione costituisce, come è noto, un principio fondamentale del diritto comunitario e, in particolare, l’armonizzazione della politica ambientale a livello sovrannazionale trova ora la sua specifica legittimazione normativa negli artt. 174 ss. Tr.UE. Allo stato attuale la direttiva parrebbe, dunque, assumere la veste di strumento privilegiato nell’ambito della politica comunitaria per l’ambiente. E ciò, in primo luogo, in quanto la direttiva, come è noto, risulta “caratterizzata dal connotato della sua elasticità, in quanto essa si qualifica come precettiva nei confronti degli Stati

239 Sul punto amplius A. BERNARDI, L’europeizzazione del diritto e della scienza penale, Torino, 2004, 15

ss. 240 In argomento cfr. in termini generali, amplius e per tutti, A. BERNARDI, Profili di incidenza del

diritto comunitario sul diritto penale agroalimentare (Parte I), in Ambiente, 1998, 759 ss.; ID., I tre volti del «Diritto penale comunitario», in Possibilità e limiti di un Diritto penale dell’Unione europea, a cura di L. PICOTTI, Milano, 1999, 41 ss.

241 P. DELL’ANNO, L’attuazione del diritto comunitario ambientale tra supremazia delle fonti e disapplicazione amministrativa: spunti di riflessione, in Riv. trim. dir. pub. com., 1994, 617; R. FERRARA, F. FRACCHIA, N. OLIVETTI RASON, Diritto dell’ambiente, cit., 53. Sul punto cfr., altresì, L. S. ROSSI, Diretta efficacia e meccanismi di attuazione delle direttive in materia ambientale in Italia, in Riv. giur. amb., 1991, 11 ss.; G. CORDINI, Diritto ambientale comparato, cit., 196 ss. Per un esame dei rapporti tra normativa comunitaria e normativa nazionale di recepimento nei diversi settori di tutela ambientale cfr., per tutti, P. DELL’ANNO, Manuale di diritto ambientale, cit., 316 ss.

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membri in ordine al risultato da perseguire, mentre risulta flessibile per ciò che attiene alla selezione degli strumenti giuridici e dei procedimenti che il legislatore nazionale ritiene più idonei allo scopo prefissato”242.

In secondo luogo, perché, per quanto concerne specificamente il diritto penale, l’utilizzo di direttive non self-executing comporta l’indiscutibile vantaggio di garantire il rispetto della riserva di legge statale. Esse, infatti, richiedono la mediazione in via di recepimento da parte dei singoli Parlamenti nazionali. Sicché, anche là dove il nucleo precettivo di una qualunque fattispecie trovi ispirazione nel diritto comunitario, non si porrebbe in simile caso il problema di un eventuale strappo al principio garantista di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., in considerazione della necessaria mediazione effettuata dalla fonte legislativa nazionale. Ciò, tuttavia, non vale ad eliminare talune incertezze legate all’utilizzo di siffatto strumento; incertezze strettamente connesse soprattutto alla persistente inottemperanza degli Stati agli obblighi derivanti dalla necessità di dare effettiva esecuzione ai disposti comunitari. Si deve, infatti, rilevare come l’inadempimento di direttive comunitarie da parte dello Stato italiano sia stato per lungo tempo sistematico e rilevante. Con la conseguenza che la trasposizione delle direttive ambientali nel diritto interno si è non di rado realizzata con estrema difficoltà e confusione243.

In taluni casi, però, l’armonizzazione degli ordinamenti interni consegue all’adozione da parte delle istituzioni comunitarie di norme direttamente applicabili, assunte mediante direttive self-executing o regolamenti. Allorché tale eventualità si realizzi, si pongono problemi tutt’altro che trascurabili sotto il profilo della legalità. Infatti, l’assenza di poteri penali in capo agli organi comunitari244, da un lato, e i principi della diretta applicabilità e del primato del

242 P. DELL’ANNO, L’attuazione del diritto comunitario ambientale, cit., 617. 243 Sul punto, in termini generali, G. CORDINI, Diritto ambientale comparato, cit., 299 ss. V. anche le

osservazioni di E LO MONTE, Diritto penale dell’ambiente. Tra esigenze di effettività e simbolismo involutivo, Milano, 2004, 55, 117. Sulla problematica dell’attuazione delle direttive comunitarie all’interno del nostro ordinamento, con specifico riferimento al settore dei rifiuti, cfr., per tutti, A. GRATANI, Il diritto penale ambientale nell’Unione europea alla luce del decreto legislativo 22/1997, in Riv. giur. amb., 1997, 543 ss.; F. GIAMPIETRO, Le nuove frontiere del diritto comunitario dell’ambiente, in Ambiente, 1998, 198 ss.

244 Sul tema del c.d. diritto penale comunitario, per tutti, cfr. F. SGUBBI, Diritto penale comunitario, in Dig. disc. pen., IV, Torino, 1990, 89 ss.; L. CONCAS, Appunti sui rapporti tra diritto comunitario e diritto penale italiano, in Riv. giur. sarda, 1995, 215 ss.; A. LANZI, D. BALESTRIERI, Diritto penale comunitario, in Trattato di diritto amministrativo europeo, a cura di M. CHITI e G GRECO, Padova, 1997, 653 ss.; M. PARODI

GIUSINO, Diritto penale e diritto comunitario, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1999, 105 ss.; A. BERNARDI, I tre volti del «Diritto penale comunitario», cit., 41 ss. Per un’analisi dei diversi effetti che il diritto comunitario

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diritto comunitario sul diritto interno, dall’altro, fanno sì che si realizzi in questi casi un fenomeno di interazione necessaria tra fonti nazionali e fonti sovranazionali, che parrebbe caratterizzarsi per un tendenziale scollamento del processo di produzione del precetto e della sanzione, con inevitabili ripercussioni sotto il profilo della riserva di legge e determinatezza della fattispecie, oltre che della conoscibilità della stessa.

I principi della preminenza e applicabilità diretta, non solo di regolamenti ma anche di prescrizioni a carattere sufficientemente preciso e incondizionato contenute nei Trattati245 e nelle direttive non attuate nonostante la scadenza del termine246, costituiscono ormai un dato acquisito negli ordinamenti di tutti gli Stati membri247. Sicché, nel momento in cui il contributo che le istituzioni comunitarie apportano alla individuazione del comportamento penalmente rilevante si realizzi, anziché mediante, appunto, il ricorso a direttive con efficacia armonizzante, attraverso regolamenti dotati di efficacia diretta, il ricorso alla tecnica del rinvio, sembra in un certo senso imposto dalla situazione apparentemente paradossale per cui, allo stato attuale, l’assenza di poteri sanzionatori di tipo penale in capo alle istituzioni comunitarie impedisce che la sanzione sia contenuta nel diritto comunitario e, parallelamente, i principi della diretta applicabilità e del primato di quest’ultimo sul diritto interno impediscono che il precetto sia riprodotto dagli organi nazionali. Non sarebbe, infatti, possibile per il legislatore nazionale costruire una disposizione penale, che oltre a prevedere la sanzione in senso stretto, tendesse a duplicare un

esplica sui sistemi penali nazionali degli Stati membri cfr., tra gli altri, nella dottrina tedesca F. N. HEISE, Europäisches Gemeinschaftsrecht und nationales Strafrecht, Bielefeld, 1998, 5 ss.

245 Cfr., tra gli altri, T. BALLARINO, Manuale breve di diritto dell’Unione europea, Padova, 2007, 113, ss.; G. GAJA, Fonti comunitarie, in Dig. disc. pub., IV, Torino, 1991, 438.

246 Il tema della c.d. efficacia diretta delle direttive, nonché delle relative condizioni e limiti, ha dato vita ad una copiosa letteratura. Ci limitiamo a segnalare, per tutti e di recente, P. MENGOZZI, Istituzioni di diritto comunitario e dell’Unione europea, Padova, 2006, 142 ss.; T. BALLARINO, Manuale breve di diritto dell’Unione europea, cit., 99 ss.; F. POCAR, Diritto dell’Unione e della Comunità Europee, Milano, 2006, 291 ss.; F. MUCCIARELLI, Osservazioni in tema di «immediata applicabilità» delle direttive comunitarie in materia penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 402 ss. A proposito del tema in esame sembra comunque opportuno ricordare come la giurisprudenza della Corte di Giustizia (cfr., tra le altre, sent. 14 luglio 1994, causa 91/92, in Dir. com. scambi inter., 1994, 364 ss.) abbia espressamente chiarito che l’applicabilità diretta delle direttive va intesa soltanto in senso « verticale». Con specifico riferimento alla materia ambientale cfr., tra gli altri, S. AMADEO, Osservazioni in tema di efficacia diretta delle direttive comunitarie in materia ambientale, in Foro it., 1998, IV, 60.

247 Per tutti M. P. CHITI, Diritto amministrativo europeo, Milano, 1999, in particolare 72 ss. Per una rassegna delle più importanti decisioni della Corte di Giustizia in tema di primato della norme comunitarie cfr. M. CARTABIA, Principi inviolabili e integrazione europea, Milano, 1995, 3 ss.

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precetto d’origine comunitaria. E ciò in quanto la natura self-executing di talune categorie di atti comunitari (i regolamenti in particolare) impedisce che gli stessi vengano trasformati attraverso l’adozione di disposizioni normative nazionali aventi identico contenuto248. La stessa Corte di Giustizia ha più volte stigmatizzato la prassi di taluni Stati membri tendente ad effettuare la trasformazione dei regolamenti in diritto interno249, in quanto tale trasformazione, misconoscendo la natura della fonte sovrannazionale, comporterebbe a carico degli atti riproduttivi la violazione non solo delle disposizioni di cui all’art. 189 Tr. CE, ma anche dell’art 177 Tr. CE. La novazione della fonte riprodotta renderebbe, infatti, impossibile la proposizione di questioni pregiudiziali dinanzi la Corte di Giustizia250, sottraendo a quest’ultima il monopolio in materia di interpretazione ed applicazione uniforme del diritto comunitario e, al contempo, farebbe venire meno la possibilità per le istituzioni comunitarie di intervenire direttamente al fine di effettuare ogni eventuale aggiornamento delle disposizioni di origine sovrannazionale.

Alla luce di tali considerazioni, dunque, la tecnica del rinvio parrebbe consentire il coordinamento funzionale tra la previsione sanzionatoria nazionale e il contenuto precettivo integrativo di origine comunitaria, evitando di snaturarlo e conferendo ad esso applicazione omogenea in tutto il territorio della Comunità nel suo autentico significato, così come viene delineato dai parametri del sistema d’origine, anziché da quelli propri del sistema in cui tale contenuto è destinato ad operare; tanto che la norma richiamata dovrà trovare applicazione anche se non conforme o addirittura contrastante con norme

248 Sul punto cfr., tra gli altri, R. GIUFFRIDA, Riproduzione di regolamenti comunitari ed atti di produzione normativa secondaria, in Riv. dir. intern., 1986, 241 ss.; P. A. CAPOTOSTI, Questioni interpretative della attuale giurisprudenza costituzionale sui rapporti tra diritto interno e diritto comunitario, in Giur. cost., 1987, 3812 ss.; E. BALBONI, A. PAPA, Regolamenti comunitari e ripartizione costituzionale delle competenze: verso nuove frontiere ?, in Le Regioni, 1988, 362 ss.; G. GAJA, Fonti comunitarie, cit., 440, 441; F. SORRENTINO, Profili costituzionali dell’integrazione comunitaria, Torino, 1995, 8; G. GUZZETTA, Costituzione e regolamementi comunitari, Milano, 1994, 8 ss.; A. BERNARDI, I tre volti del «Diritto penale comunitario», cit., 65 ss.; ID., L’europeizzazione del diritto e della scienza penale, cit., 17 ss.

249 Cfr., per tutte, sentenza 18 febbraio 1970, causa 40/69 (Bollmann), in Racc., 1970, 69 ss. L’orientamento della Corte di Giustizia è stato peraltro, pienamente condiviso anche dalla nostra Corte costituzionale: cfr., per esempio, Corte cost., 30 ottobre 1975, n. 232, in Giur. cost., 1975, II, 2211; Corte cost., 28 luglio 1976, n. 205, in Giur. cost., 1976, I, 1292; Corte cost., 29 dicembre 1977, n. 163, in Giur. cost., 1977, 1524.

250 Cfr. sul punto, per tutti, T. BALLARINO, Regolamenti comunitari, in Enc. giur. Treccani, XXVI, Roma, 1991, 1; F. SORRENTINO., La Costituzione italiana di fronte al processo di integrazione europea, in Quaderni cost., 1993, in particolare 75, 76.

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interne, salvo il rispetto dei principi fondamentali del nostro ordine costituzionale. La tecnica del rinvio, dunque, già frequente in materia ambientale rispetto a precetti extrapenali ab origine nazionali251, parrebbe pressoché obbligata là dove venga in considerazione una norma penale prevista in funzione sanzionatoria del diritto comunitario252, nell’ipotesi in cui quest’ultimo trovi la propria fonte, appunto, in un regolamento. Sicché, in simili casi, “la norma penale nazionale finisce in buona sostanza col porsi in tutto a «disposizione», per così dire, della fonte comunitaria”253. Sennonchè, una siffatta tecnica di tipizzazione della fattispecie incriminatrice si profila tutt’altro che esente da profili problematici sotto il profilo della legalità.

Per una corretta comprensione della questione ci sia consentito muovere da un esempio. Il riferimento è all’art. 259 d.lg. 3 aprile 2006, n. 152, secondo cui chiunque effettua una spedizione di rifiuti costituente traffico illecito ai sensi dell’articolo 26 del regolamento (CEE) 1° febbraio 1993, n. 259, o effettua una spedizione di rifiuti elencati nell’Allegato II del citato regolamento in violazione dell’articolo 1, comma 3, lettere a), b), c) e d), del regolamento stesso è punito con la pena dell’ammenda da millecinquecentocinquanta euro a ventiseimila euro e con l’arresto fino a due anni254. La fattispecie descritta dall’art. 259, che ricalca quella prima contemplata dall’art. 53 dell’abrogato d.lg. 22 del 1997, sanziona il trasferimento di rifiuti, a fini di smaltimento o di recupero, fuori dallo Stato di appartenenza dell’impresa produttrice degli stessi, verso un altro Stato in violazione della specifica disciplina in materia255. Invero, il trasporto transfrontaliero è disciplinato dall’art. 194 d.lg. 152 del 2006, il quale però rinvia, appunto, per l’individuazione degli obblighi sostanziali e procedimentali afferenti allo stesso, “ai regolamenti comunitari che regolano la materia”, direttamente applicabili,

251 Cfr., supra, §§ 2 ss. 252 In questo senso A. BERNARDI, La tutela penale dell’ambiente in Italia: prospettive nazionali e

comunitarie, cit., 44. 253 S. RIONDATO, Per una introduzione ai rapporti tra diritto penale dell’ambiente, diritto comunitario, diritto

dell’Unione Europea, in La tutela penale dell’ambiente, a cura di P. AMELIO e F. S. FORTUNA, Torino, 2000, 41, il quale ricorda come tale fenomeno di congiunzione tra diritto comunitario e diritto nazionale sia stato “icasticamente descritto come interlegalità o internormatività giuridica”.

254 Per un approfondimento delle problematiche specifiche sollevate dalla fattispecie in oggetto cfr., tra gli altri, M. MAZZOLENI, La nuova fattispecie del traffico illecito di rifiuti, in Ambiente, 1997, 329 ss.; C. BERNASCONI, Commento all’art. 259 d.lg. 152 del 2007, in Codice commentato dei reati e degli illeciti ambientali, a cura di F. GIUNTA, Padova, 2007, 400 ss.

255 Sia pure sotto la vigenza della pregressa disciplina, Cass., III, 11 novembre 2002, De Flammineis, in Ambiente, 2003, 192. In dottrina, sul punto, M. MAZZOLENI, La nuova fattispecie del traffico illecito di rifiuti, cit., 329.

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per loro intrinseca natura, in tutti gli Stati membri dell’Unione europea, senza necessità di alcun atto di trasposizione256.

Già da una prima lettura dell’art. 259, comma 1, ci si rende agevolmente conto di come la norma penale assuma in questo caso una funzione e una struttura meramente sanzionatoria di una disciplina extrapenale contenuta nella fonte comunitaria richiamata. A ben vedere, infatti, entrambe le condotte tipiche di “spedizione di rifiuti” sanzionate dall’art. 259 vengono compiutamente individuate attraverso rinvio ad una fonte eteronoma, rappresentata nel caso di specie dal citato regolamento CEE 259 del 1993. La suddetta spedizione di rifiuti diviene, invero, penalmente rilevante se viene effettuata in modo tale da integrare il traffico illecito, così come definito dall’art. 26 del suddetto regolamento, oppure se, avendo ad oggetto i rifiuti elencati nell’allegato II del medesimo regolamento, viene posta in essere in violazione dell’articolo 1, comma 3, lettere a, b, c e d, dello stesso. In altre parole, per capire quale sia la condotta tipica ai sensi dell’art. 259 è necessario verificare quali spedizioni vi siano oggettivamente ricomprese, interpretando la fonte comunitaria sopra richiamata. Sennonché, in tal modo una normativa dettata in sede comunitaria per disciplinare in via amministrativa il c.d. traffico illecito viene “trasformata integralmente” nel profilo precettivo di una fattispecie incriminatrice penalmente sanzionata257, sollevando in tal modo alcune perplessità relative, in particolare, ai profili politico-garantistici del procedimento di produzione normativa258.

Invero, come è noto, i principali ostacoli che sembrano frapporsi al riconoscimento del potere delle istituzioni comunitarie di contribuire alla descrizione dell’illecito penale non concernono questioni attinenti al rango delle fonti, bensì profili inerenti alla funzione tipicamente garantista svolta in materia penale da alcuni principi cardine del nostro ordinamento. Dal punto di vista del rango delle fonti, infatti, le norme comunitarie, una volta immesse nell’ordinamento interno, finiscono con il godere di una condizione assimilabile

256 Sull’argomento, per tutti, G. TESAURO, Diritto comunitario, Padova, 2005, 138; T. BALLARINO,

Manuale breve di diritto dell’Unione europea, cit., 94. 257 In questo senso anche, sia pure in relazione all’omologa fattispecie di cui all’art. 53 d.lg. 22 del

1997, F. GIAMPIETRO, Il decreto legislativo dell’on. Ronchi sui rifiuti: una riforma annunciata?, in Ambiente, 1996, 850.

258 Sull’argomento, in termini generali e tra gli altri, C. BERNASCONI, L’influenza del diritto comunitario sulle tecniche di costruzione della fattispecie penale, ne L’Indice pen., 1996, 451 ss.; BERNARDI, I tre volti del «diritto penale comunitario», cit., in partricolare 65 ss.; BERNARDI, L’europeizzazione del diritto e della sicenza penale, cit., 16 ss.

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a quella propria delle norme costituzionali, o addirittura superiore; e questo significa che i rapporti tra fonti comunitarie e fonti nazionali devono, più correttamente, essere definiti non in termini di gerarchia, ma in termini di competenza, la cui linea è tracciata dai Trattati. Sicché, le ragioni che potrebbero indurre ad attribuire esclusivamente alla legge dello Stato la possibilità di intervenire anche sul profilo precettivo della norma penale, più che da una reale inidoneità delle fonti comunitarie ad intervenire in materie coperte da riserva di legge − eventualità questa riconosciuta proprio dalla Corte Costituzionale per lo meno in relazione all’art. 23 Cost.259 −, sembrano scaturire essenzialmente dalla ratio garantista che a tale riserva si attribuisce nella materia considerata. Infatti, per lo meno allo stato attuale, alla produzione normativa comunitaria provvedono organi – quali il Consiglio e la Commissione europea – privi della necessaria rappresentatività democratica diretta, in quanto costituiti da mandatari dei singoli governi nazionali. Con la conseguenza che essi legiferano senza essere sottoposti alle procedure di controllo parlamentare proprie dei processi decisionali nazionali260. Nell’esercizio della funzione normativa comunitaria risulta, viceversa, ancora piuttosto marginale il coinvolgimento del Parlamento europeo, id est dell’unico organo direttamente rappresentativo della cittadinanza dell’Unione. Tale deficit democratico parrebbe percepibile anche nel caso dell’impiego della procedura di c.d. codecisione, posto che non sembra del tutto corretta l’impostazione volta ad assegnare all’organo parlamentare europeo addirittura un ruolo di “co-legislatore”261. Allo stato attuale, infatti, l’iter della codecisione non parrebbe in grado di fornire le stesse garanzie procedimentali della riserva di legge262.

259 Corte cost., 27 dicembre 1973, n. 183, in Giur. cost., 1973, 2401 ss.. In questa occasione la Corte ha, infatti, sostanzialmente riconosciuto la «fungibilità» dell’atto normativo comunitario con la legge dello Stato anche in materie, come quella tributaria, coperte da riserva (nel caso di specie, appunto, come è noto, dall’art. 23 Cost.). In argomento cfr. A. GRANELLI, Diritto comunitario e riserva di legge in materia di prestazioni di imposte, in Giur. it., 1973, I, 2, 355 ss.; R. MONACO, La costituzionalità dei regolamenti comunitari, in Foro it., 1974, I, 315 ss.; F. SORRENTINO, La Costituzione italiana di fronte al processo di integrazione europea, cit., 75.

260 Per più approfondite considerazioni in merito a siffatto delicato problema cfr., da ultimo, C. PAONESSA, La discrezionalità del legislatore nazionale nella cornice dei vincoli comunitari di tutela, in Criminalia, 2007, 396. Sul punto, analogamente, L. RISICATO, Gli elementi normativi della fattispecie penale, cit., 168, nt. 7.

261 Così C. PAONESSA, La discrezionalità del legislatore nazionale nella cornice dei vincoli comunitari di tutela, cit., 396.

262 Amplius C. PAONESSA, La discrezionalità del legislatore nazionale nella cornice dei vincoli comunitari di tutela, cit., 396 ss. Sull’esigenza di assicurare un più elevato standard di democraticità nei processi decisionali europei G. DE FRANCESCO, Le sfide della politica criminale: “integrazione” e sviluppo dei sistemi

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In attesa, dunque, di una nuova configurazione dell’attuale assetto istituzionale comunitario263, la possibilità di integrazione di frammenti precettivi della fattispecie penale nazionale ad opera di fonti comunitarie parrebbe porsi negli stessi termini in cui si ritiene legittima l’integrazione ad opera di fonti subordinate di diritto interno264. Sennonché, il rinvio formale a norme comunitarie si rivela, sotto il profilo della legalità, ancora più problematico del rinvio a norme regolamentari di diritto interno. Come è stato infatti rilevato265, risulta arduo per una legge nazionale canalizzare i contenuti dei regolamenti comunitari di futura emanazione, dato che questi ultimi, diversamente dai regolamenti nazionali, non sono gerarchicamente subordinati alle fonti parlamentari. A ciò si aggiunga che il meccanismo dell’integrazione delle norme penali interne ad opera di disposizioni di origine comunitaria comporta spesso problemi tutt’altro che trascurabili anche sotto il profilo della conoscibilità del precetto, sì da ipotizzare non infrequenti ipotesi di ignoranza inevitabile della legge penale266. Tale problema emerge in tutta la sua portata proprio con specifico riferimento all’illecito oggetto di esmplificazion, se si considera che l’art. 26 del regolamento 259 del 1993 prevede sei distinte ipotesi (contrassegnate con diverse lettere dell’alfabeto), che l’ipotesi di cui alla lett. f rinvia a sua volta al contenuto di altri quattro articoli del regolamento (artt. 14, 16, 19, 21) e che gli allegati richiamati possono essere modificati dalla Commissione in armonia con gli aggiornamenti effettuati in sede OCSE. Situazione, questa, che ha indotto la pressoché unanime dottrina, intervenuta già in relazione all’omologa ipotesi di cui all’abrogato art. 53 d.lg. 22 del 1997, a manifestare il sospetto che la fattispecie de qua violi il principio di legalità, anche sotto il profilo della tassatività e sufficiente determinatezza267.

I problemi sopra evidenziati sono destinati ad amplificarsi a seguito dell’abrogazione del Regolamento CEE 259 del 1993. Infatti, la disciplina

repressivi, nel quadro dell’internazionalizzazione della tutela penale, in Diritto penale comparato, europeo e internazionale: prospettive per il XXI secolo, a cura di L. FOFFANI, Milano, 2006, 50.

263 Anche se, invero, ad avviso di una parte della dottrina l’obiezione relativa al deficit di democraticità delle istituzioni comunitarie, “certamente valida con riguardo all’assetto originario dell’ordinamento comunitario, ha perduto progressivamente di significato grazie al lento processo di democraticizzazione delle istanze decisionali comunitarie” (così G. GRASSO, La Costituzione per l’Europa e la formazione di un diritto penale dell’Unione europea, cit., 362).

264 In questo senso anche R. SICURELLA, Diritto penale e competenze dell’Unione europea, cit., 77 ss. 265 A. BERNARDI, I tre volti del «Diritto penale comunitario», cit., 67. 266 In questo senso, con specifico riferimento all’illecito oggetto di esemplificazione, A. L.

VERGINE, A proposito dell’art. 53 bis d.lg. 22 del 1997, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2001, 1028. 267 In questo senso A. L. VERGINE, A proposito dell’art. 53 bis d.lg. 22 del 1997, cit., 1028.

La tipicità del reato ambientale

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dettata dal Regolamento 259 del 1993 è stata interamente sostituita da quella contenuta ora nel Regolamento CE 1013 del 14 giugno 2006, il quale, ai sensi di quanto stabilito nel medesimo testo, si applica a partire dal 12 luglio 2007 (art. 64), con contestuale abrogazione del Regolamento CEE 259 del 1993 (art. 61). La necessità di procedere alla sostituzione del Regolamento CEE 259 del 1993 si è fondata, in particolare, sull’esigenza di conformare la disciplina in materia ad un’importante serie di atti assunti in sede comunitaria ed analiticamente individuati nei numerosi “Considerando” con cui si apre il testo del Regolamento CE 1013 del 2006. Si tratta, dunque, di capire se la fattispecie sanzionatoria nazionale di cui all’art. 259 d.lg. 152 del 2006 sia suscettibile di colpire l’inosservanza della nuova normativa di origine soprannazionale, sostitutiva di quella in origine espressamente richiamata dal legislatore italiano268.

Ebbene, sul punto non è agevole offrire soluzioni che si rivelino del tutto esenti da obiezioni critiche. Parte della dottrina, invero, ritiene che, allorché il precetto penale sia costruito in forma di rinvio totale ad una norma di fonte europea, il principio di legalità potrebbe considerarsi pienamente rispettato solo con riferimento ad una norma comunitaria preesistente alla norma penale rinviante269. In effetti, tale fu la situazione esistente al momento dell’entrata in vigore del decreto Ronchi, prima, e del d.lg. 152 del 2006, poi, nei confronti del Regolamento CEE 259 del 1993. Ora, però, è necessario capire se l’originario rinvio possa estendersi al contenuto della nuova disciplina comunitaria.

Nella prospettiva del legislatore comunitario tale problema parrebbe facilmente risolvibile alla luce del disposto contenuto nell’art. 61, comma 2, del citato Regolamento CE 1013 del 2006, là dove si precisa che “i riferimenti al Regolamento abrogato (CEE) n. 259/93 si intendono fatti al presente regolamento”. Tuttavia, in una prospettiva sanzionatoria la questione presenta risvolti che meritano un maggiore approfondimento. La questione principale che si pone in relazioni a fattispecie così costruite consiste nel verificare se la funzione del rinvio, che la disposizione penale statale effettua al diritto comunitario, sia solo quello di consentire alla norma richiamante di far proprio

268 Analoga problematica è stata evidenziata dalla dottrina in relazione all’illecito contemplato

dall’art. 3, comma 6, l. 549 del 1993 (Misure a tutela dell’ozono stratosferico e dell’ambiente), il quale risulta integrato da una norma extrapenale di derivazione soprannazionale, che, tuttavia, è stata successivamente abrogata ad opera di un regolamento comunitario. Sul punto amplius A. PALMA, Commento all’art. 3, comma 6, l. 549 del 1993, in Codice commentato dei reati e degli illeciti ambientali, a cura di F. GIUNTA, Padova, 2007, 785 ss.

269 A. BERNARDI, L’europeizzazione del diritto e della scienza penale,cit., 16.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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il nucleo precettivo della norma richiamata, cristallizzandone il contenuto, oppure se il rinvio implichi anche l’adeguamento automatico alle successive modificazioni subite dall’elemento richiamato. Nel primo caso ci si troverebbe di fronte ad un rinvio c.d. ricettizio, il cui principale inconveniente consiste nell’immobilizzazione del contenuto della norma richiamata. Nel secondo caso, invece, ci si troverebbe di fronte ad un rinvio c.d. formale, il quale implica una maggiore elasticità di contenuto della norma richiamata, essendo in tali casi il rinvio rivolto direttamente nei confronti della fonte di produzione270. In altre parole, il rinvio ricettizio non consentirebbe di estendere la tutela apprestata dalla norma penale interna anche all’eventuale regolamentazione comunitaria che si sovrapponga o si affianchi a quella già esistente e richiamata, salva eventualmente, secondo alcuni autori271, la possibilità di individuare un nucleo di disposizioni comuni alla normativa comunitaria precedente e a quella successiva, nucleo che dovrebbe comunque restare all’interno della sfera di protezione assicurata dalla norma penale272. Viceversa, la caratteristica del rinvio formale è proprio quella di far sì che tale protezione assicurata dalla norma penale si estenda automaticamente ad ogni successiva modifica delle disposizioni prodotte dalla fonte richiamata.

Sia la tecnica del rinvio ricettizio che quella del rinvio formale presentano in generale peculiari vantaggi e inconvenienti. Entrambe, per esempio, facilitano sicuramente il compito legislativo di formulazione della norma, consentendo di non ripetere interi enunciati normativi ripresi da altre fonti; eventualità, quest’ultima, che peraltro, per le ragioni già viste, non sarebbe neppure possibile là dove vengano in considerazione fonti comunitarie dotate di efficacia diretta. D’altra parte sia il rinvio ricettizio sia quello formale costringono l’interprete ad effettuare complesse operazioni ermeneutiche, volte alla ricostruzione della norma concretamente applicabile, attraverso la ricomposizione di più parti sparse in diverse disposizioni273. Probabilmente, comunque, l’inconveniente principale è costituito dal fatto che le fattispecie

270 Sulla distinzione tra rinvio materiale (o recettizio) e rinvio formale cfr., tra gli altri, A. PAPA,

Alcune considerazioni sulla tecnica del rinvio nella produzione normativa, cit., 286 ss.; M. GALLO, Appunti di diritto penale. I. La legge penale, cit., 60 ss.; F. C. PALAZZO, Introduzione ai princìpi del diritto penale, cit., 253; M. PETRONE, La costruzione della fattispecie mediante rinvio, cit., 151 ss.

271 Cfr. G. GRASSO, Comunità europee e diritto penale, cit., 291; A. BERNARDI, Profili penalistici della commercializzazione dei prodotti agro-alimentari, in Dir. giur. agr., 1992, 401 ss.

272 Contra, per esempio, G. DANNECKER, Armonizzazione del diritto penale all’interno della Comunità europea, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1993, 981 ss.

273 Su questi problemi cfr. anche supra § 2 e indicazioni bibliografiche ivi riportate.

La tipicità del reato ambientale

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costruite con la tecnica del rinvio formale sono suscettibili di variare imprevedibilmente a seguito delle modifiche subite dalle disposizioni richiamate, creando spesso grande imbarazzo e disorientamento in chi si trovi ad applicare tali norme.

Considerate le notevoli diversità di conseguenze che scaturiscono dall’adozione dell’una o dell’altra forma di rinvio, non solo nell’ambito dei rapporti tra diritto comunitario e diritto penale nazionale, ma anche nell’ambito dei rapporti tra fonti di diritto interno, sarebbe opportuno per lo meno fissare alcuni criteri generali idonei a individuare in modo univoco le scelte del legislatore274. La dottrina ha affrontato questo problema a proposito del fenomeno dell’eterointegrazione del precetto da parte di fonti di diritto interno diverse dalla legge. Alcuni autori ritengono al riguardo che si possa ipotizzare una presunzione relativa di rinvio formale nell’ipotesi in cui il rinvio venga effettuato esclusivamente all’atto normativo, con il conseguente onere per il legislatore di precisare le ipotesi in cui il rinvio debba considerarsi ricettizio275. Altra parte della dottrina rileva, però, come tale tesi non sia del tutto convincente, perché la regola in forza della quale nei casi dubbi dovrebbe sussistere una presunzione favorevole all’ipotesi di rinvio formale potrebbe essere rovesciata nel senso di ritenere operante una presunzione favorevole all’ipotesi di un rinvio ricettizio tutte le volte in cui la norma richiamante non menzioni l’adeguamento alle successive modifiche della norma richiamata 276.

Per quanto concerne specificatamente i rapporti tra diritto comunitario e diritto penale interno, non sembra agevole optare per l’una o l’altra forma di collegamento tra fonti, in termini, cioè, di rinvio ricettizio o, viceversa, di rinvio formale. Da un lato, infatti, se si condivide l’affermazione secondo la quale, normalmente, la tecnica del rinvio ricettizio determinerebbe la novazione della fonte normativa richiamata277, se ne dovrebbe concludere che, applicato al caso

274 In questo senso cfr., F. C. PALAZZO, Tecnica legislativa e formulazione della fattispecie penale in una

recente circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, cit., 244. In merito a siffatta problematica, più di recente, M. PETRONE, La costruzione della fattispecie mediante rinvio, cit., 151 ss.; D. MICHELETTI, Legge penale e successione di norme integratrici, cit., in particolare 90 ss., nonché bibliografia ivi riportata.

275 S. FOIS, Rinvio, recezione e riserva di legge, in Giur cost., 1966, 589; F. C. PALAZZO, op. ult. cit., 244. 276 G. VICICONTE, Riserva di legge in materia penale e fattispecie in rapporto di integrazione con atti

amministrativi, cit., 79. Analogamente cfr., M. TRAPANI, Legge penale, cit., 8. Ritiene che nel diritto penale qualunque rinvio dovrebbe qualificarsi in via generale come ricettizio e, dunque, statico M. PETRONE, La costruzione della fattispecie mediante rinvio, cit., 165, 198.

277 M. TRAPANI, Legge penale, cit., 11; G. VICICONTE, Riserva di legge in materia penale e fattispecie in rapporto di integrazione con atti amministrativi, cit., in particolare, 78, 79; ID., Nuovi orientamenti della Corte costituzionale sulla vecchia questione delle norme in bianco, cit., 998.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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in esame, tale tipo di rinvio determini una nazionalizzazione del singolo precetto comunitario recepito dalla disposizione sanzionatoria penale di diritto interno278; soluzione, quest’ultima, difficilmente praticabile per le stesse ragioni che, come si è visto, escludono la possibilità di una materiale riproduzione delle norme comunitarie279. Dall’altro lato, però, il ricorso alla tecnica del rinvio formale, oltre che presentare alcuni inconvenienti che spesso ne sconsigliano l’impiego anche nell’ambito di uno stesso ordinamento giuridico, implicherebbe, sostanzialmente, l’implicito riconoscimento della idoneità dei regolamenti ad essere fonti del precetto penale, sollevando in tal modo alcune perplessità relative in particolare ai profili politico-garantistici del procedimento di produzione normativa.

Venendo al caso esemplificato, poi, oltre ai problemi afferenti ad una possibile tensione della tecnica normativa utilizzata con il principio della riserva di legge, se si considerasse elastico il rinvio effettuato dal legislatore nazionale alla normativa comunitaria, rimarrebbero comunque ostacoli difficilmente superabili relativi alla esatta individuazione del comportamento destinato ad assumere rilevanza penale. La fattispecie di origine nazionale, infatti, sanziona l’effettuazione di una spedizione di rifiuti costituente traffico illecito ai sensi dell’art. 26 del Regolamento CEE 259 del 1993 o di una spedizione di rifiuti elencati nell’allegato II al predetto Regolamento in violazione di alcune disposizioni dello stesso espressamente richiamate. Ebbene, a ben vedere, nel nuovo Regolamento 1013 del 2006 non solo – come è ovvio – non vi è alcuna coincidenza nella numerazione e nel contenuto degli articoli, rispetto al testo previgente, ma non compare neppure più una nozione di traffico illecito; così come non risulta possibile instaurare alcuna corrispondenza numerica tra gli allegati ai due testi di origine comunitaria, il cui contenuto dovrebbe tuttavia concorrere a delineare la fisionomia della condotta tipica. Ne consegue – almeno a parere di chi scrive – una assoluta incertezza in ordine all’individuazione del comportamento destinato ad essere ricompresso nello spettro applicativo della disposizione sanzionatoria nazionale. In tale prospettiva, appare allora del tutto indifferibile un intervento del legislatore volto a riscrivere il contenuto della fattispecie in oggetto, in modo da tenere in considerazione la modifica intervenuta a livello comunitario.

278 M. TRAPANI, op. ult. cit., 11. In argomento cfr., altresì, F. MODUGNO, Ordinamento giuridico

(dottrine), in Enc. dir., XXX, Milano, 1980, in particolare 725 ss. 279 Sul punto F. C. PALAZZO, Introduzione ai principi del diritto penale, cit., 253.

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6.2. Gli imput normativi diretti di penalizzazione

In alcuni casi il legislatore sovrannazionale, al fine di garantire efficacia alle normative adottate nelle materie di sua competenza, sollecita direttamente interventi degli ordinamenti nazionali sul piano penale280. A tale meccanismo, in subiecta materia, è riconducibile, per esempio, la decisione quadro del Consiglio dell’Unione europea del 27 gennaio 2003, 2003/80/GAI281, relativa alla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale282, all’interno della quale il Consiglio aveva incorporato varie norme sostanziali volte a definire i comportamenti che gli Stati membri avrebbero dovuto qualificare come reato283, muovendo, come base giuridica per l’adozione di siffatto atto, dall’art. 31, par. 1, lett. e), TUE.

La validità della predetta decisione quadro, tuttavia, venne contestata dalla Commissione284, sostenuta dal Parlamento europeo, sulla base della considerazione che il corretto fondamento di un simile intervento normativo avrebbe dovuto essere rintracciato nell’ambito del primo pilastro piuttosto che nel terzo pilastro285, e più precisamente negli artt. 174, 175 e 176 TCE, in materia di politica ambientale; conseguentemente, non sarebbe stato possibile ricorrere, per realizzare l’obietivo di garantire un elevato livello di tutela dell’ambiente, ad uno degli atti previsti all’art. 34 TUE, ed in particolare alle decisioni quadro. Del resto, le motivazioni poste a fondamento del ricorso

280 In termini generali, è sempre più frequente che all’interno di atti normativi comunitari figurino

clausole che contemplano l’obbligo per gli Stati di prevedere (secondo la classica formula resa ormai celebre dalla sentenza della Corte di Giustizia del 21 settembre 1989, causa C-68/88, Commissione c. Repubblica ellenica) sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive nei confronti delle violazioni del diritto comunitario. Negli ultimi anni la Commissione ha però compiuto un passo in avanti, presentando un numero crescente di proposte all’interno delle quali viene determinata anche la natura (penale) delle sanzioni da introdurre da parte degli Stati al momento dell’attuazione. In argomento, amplius, R. SICURELLA, Diritto penale e competenze dell’Unione europea, cit., in particolare 206 ss.

281 In GUCE 5 febbraio 2003, L 29/55. 282 Sul punto cfr., per tutti, T. VENTURELLI, La decisione quadro sulla protezione penale dell’ambiente, in

D&G, 2003, n. 13, 112 s.; A. SATTA, La tutela penale dell’ambiente nelle norme interne e comunitarie, cit., 80 ss.

283 Come è noto, la decisione-quadro ha l’esclusivo effetto di vincolare gli Stati membri quanto al risultato da ottenere e non ha efficacia direttamente precettiva, residuando in capo al legislatore nazionale la competenza attuativa in merito alle forme e ai mezzi.

284 Per un approfondimento delle tesi sostenute, rispettivamente, dalla Commissione e dal Consiglio v. S. MARCOLIN, Decisione quadro o direttiva per proteggere l’ambiente attraverso il diritto penale?, cit., 245 ss.; T. E. EPIDENDIO, Diritto comunitario e diritto penale interno, Milano, 2007, 15 ss.

285 Sulle conseguenze connesse all’uno o all’altro inquadramento cfr. da ultimo C. PAONESSA, La discrezionalità del legislatore nazionale nella cornice dei vincoli comunitari di tutela, cit., 379 ss.

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ribadivano una posizione già assunta dalla Commissione prima della remissione della questione alla Corte di Giustizia e sfociata nella presentazione di una Proposta di direttiva relativa appunto alla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale286.

Con sentenza del 13 settembre 2005287, la Corte di Giustizia ha annullato la predetta decisione quadro, in accoglimento della tesi fatta propria dalla Commissione. Ad avviso di quest’ultima, infatti, il Consiglio aveva indebitamente utilizzato lo strumento della decisione quadro – e cioè un atto tipico del terzo pilastro – per disciplinare una materia, qual è quella della tutela dell’ambiente, che rientra tra le competenze comunitarie in senso stretto e che, dunque avrebbe dovuto essere disciplinata con il diverso strumento della direttiva. Lo spostamento della competenza nell’ambito del primo pilastro comporta – come è intutivo – conseguenze pratiche tutt’altro che secondarie. Infatti, se si opta per la tesi favorevole al terzo pilastro, l’intensità dell’armonizzazione e i rimedi giurisdizionali si rivelano “affievoliti”288, posto che l’inadempimento di una direttiva, ma non di una decisione quadro, da parte dello Stato espone quest’ultimo alla possibilità di una procedura per infrazione.

Tuttavia, il vero nodo problematico nel caso di specie consisteva nello stabilire se una direttiva potesse imporre agli Stati membri l’adozione di sanzioni penali e non solo di sanzioni “effettive, proporzionate e dissuasive”, sulla base della celebre formula utilizzata dal legislatore comunitario289, a partire dalla ormai nota sentenza del “mais greco”290. Ebbene, con la pronuncia in oggetto la Corte di Giustizia, pur escludendo una competenza

286 Il riferimento è alla Proposta di direttiva presentata il 13 marzo 2001, COM (2991) 139, in

GUUE, 26 giugno 2001, C-180 E, 238. Sul punto cfr. L. SIRACUSA, Tutela ambientale: Unione europea e diritto penale fra decisioni quadro e direttive, in Dir. pen. proc., 2006, 773 ss.; S. MARCOLIN, Decisione quadro o direttiva per proteggere l’ambiente attraverso il diritto penale?, cit., 244.

287 CGCE 13 settembre 2005, causa C-176/03, Commissione c. Consiglio, in Dir. pen. proc., 2005, 2005, 1312 ss.

288 A. FAVALE, La Comunità europea ha il potere di esigere che gli Stati membri impongano sanzioni penali al fine di proteggere l’ambiente, in Dir. pubb. com. eur., 2006, 480; F. VIGANÒ, Norme comunitarie e riserva di legge statale in materia penale: i termini di una relazione (sempre più) problematica, cit., 367, 368. Sul punto, da ultimo, A. BERNARDI, L’armonizzazione delle sanzioni in Europa: linee ricostruttive, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 101 ss.

289 Sul punto cfr., per tutti, F. VIGANÒ, Recenti sviluppi in tema di rapporti tra diritto comunitario e diritto penale, in Dir. pen. proc., 2005, 1433 ss.

290 CGCE 21 settembre 1989, causa 68/88, Commissione c Repubblica Greca, in Racc., 1991, 2965.

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generale in materia penale in capo alla Comunità europea291, ha affermato che tale dato non impedisce al legislatore comunitario di adottare quei provvedimenti in relazione al diritto penale degli Stati membri che esso ritenga necessari a garantire la piena efficacia delle norme che emana in materia di tutela dell’ambiente292. Al contempo, la Corte precisa che il contenuto della decisione quadro annullata − in particolare le norme che imponevano agli Stati membri l’adozione di sanzioni penali a tutela dell’ambiente − avrebbe potuto essere validamente trasfuso in una direttiva. In altre parole, la pronuncia in esame ha confermato che gli artt. 174-176 TCE rappresentano, nel caso di specie, la base normativa sulla quale deve attuarsi la politica comunitaria in materia di ambiente, anche quando essa intrerferisca con il diritto penale degli Stati membri293.

A seguito della succitata pronuncia della Corte di Giustizia del 13 settembre 2005, la Commissione europea ha adottato una comunicazione nella quale la stessa, portando avanti il ragionamento impostato dalla Corte di Giustizia – strettamente limitato alla materia ambientale −, ha prospettato la legittimità di interventi normativi in materia penale nell’ambito del primo pilastro in relazione ad ogni area di competenza comunitaria potenzialmente interessata294. Sul punto, tuttavia, diverso è stato l’atteggiamento assunto dal Parlamento europeo che in una relazione dell’8 maggio 2006 invitava a non estendere automaticamente le conclusioni della Corte di Giustizia ad ogni altra possibile materia del primo pilastro295.

291 In questo senso si è sempre pronunciata anche la Corte di Giustizia; v., per esempio, sentenza

11 novembre 1981, causa 203/80, Casati (punto 27); sentenza 16 giugno 1998, causa C-226/97, Lemmens (punto19).

292 In merito a tale argomentare della Corte cfr., per tutti, G. MANNOZZI, F. CONSULICH, La sentenza della Corte di Giustizia C-176/03: riflessi penalistici in tema di principio di legalità e politica dei beni giuridici, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2006, 926 ss.; U. GUERINI, Le fonti del diritto dell’Unione europea e lo “spaesamento comunitario” del diritto penale degli Stati membri, in Il diritto penale dell’Unione europea, a cura di U. GUERINI, Torino, 2008, 93 ss.

293 Per talune considerazioni critiche in merito a siffatta conclusione cfr. L. SIRACUSA, Tutela ambientale: Unione europea e diritto penale fra decisioni quadro e direttive, cit., 774

294 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio del 23 novembre 2005 sulle conseguenze della sentenza della Corte del 13 settembre 2005, COM(2005)0583. In argomento cfr., L. SALAZAR, La sentenza sulla protezione penale dell’ambiente, in Riv. giur. amb., 2006, 62.

295 Relazione A6-0172/2006 del Parlamento europeo sulle conseguenze della sentenza della Corte del 13 settembre 2005, C- 176/2003, Commissione c. Consiglio. Sul dibattito instauratosi tra gli organi europei a seguito della citata pronuncia della Corte di Giustizia cfr. le considerazioni di L. SIRACUSA, Verso la comunitarizzazione della potestà normativa penale: un nuovo “tassello” della Corte di Giustizia dell’Unione europea, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 240 ss.

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Per parte sua la Corte di Giustizia, con una sentenza di due anni successiva296, ha compiuto un passo ulteriore rispetto alla pronuncia del 2005, precisando la portata della competenza della Comunità. La pronuncia de qua infatti ha confermato che il legislatore comunitario può obbligare gli Stati membri a stabilire sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive, quando le stesse siano indispensabili per contrastare le violazioni gravi nel settore considerato297, escludendo al contempo esplicitamente che rientri nella competenza comunitaria la determinazione del tipo e del livello delle sanzioni applicabili che andrebbe ricompresa, viceversa, nell’ambito dell’azione del terzo pilastro298. L’azione comunitaria, in altre parole, dovrebbe concretizzarsi in subiecta materia in interventi che non eliminino completamente la discrezionalità del legislatore nazionale299, in modo tale da non creare una frizione insanabile tra diritto comunitario e principio della riserva di legge in materia penale.

7. Il modello solo parzialmente sanzionatorio: una fattispecie volta a colpire la criminalità ambientale «strutturata»

Per quanto, come si è cercato di dimostrare, la dipendenza dal diritto

amministrativo costituisca una caratteristica pressoché costante della generalità delle fattispecie incriminatrici in materia ambientale, non mancano ipotesi in cui la descrizione del fatto penalmente rilevante acquista maggiori margini di autonomia dalla disciplina extrapenle, pur senza affrancarsene completamente. È questo, per esempio, il caso di una delle rare fattispecie delittuose

296 Il riferimento è alla sentenza 23 ottobre 2007, causa C-440/05 (in Guida al dir., 2007, n. 46, 105

ss, punti 70-71), avente ad oggetto la decisione quadro del Consiglio del 12 luglio 2005, 2005/667/GAI, intesa a rafforzare la repressione dell’inquinamento provocato dalle navi. Anche in questo caso la pronuncia de qua ha riportato la materia regolamentata dalla decisione quadro in oggetto nel contesto del primo pilastro comunitario. Sul punto C. PAONESSA, La discrezionalità del legislatore nazionale nella cornice dei vincoli comunitari di tutela, cit., 382 ss. Per un primo commento della decisione si veda anche A. DAMATO, La Commissione non può decidere tipo e livello delle sanzioni applicabili, in Guida al dir., 2007, n. 46, 114 ss.; L. SIRACUSA, Verso la comunitarizzazione della potestà normativa penale, cit., 240 ss.

297 Sul punto v. L. SIRACUSA, Verso la comunitarizzazione della potestà normativa penale, cit., 250 ss. 298 L. SIRACUSA, Verso la comunitarizzazione della potestà normativa penale, cit., 262 ss. 299 R. SICURELLA, Diritto penale e competenze dell’Unione europea, cit., 211 ss.; G. MANNOZZI, F.

CONSULICH, La sentenza della Corte di Giustizia C-176/03, cit., 937; C. PAONESSA, La discrezionalità del legislatore nazionale nella cornice dei vincoli comunitari di tutela, cit., 386.

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contemplate dal nostro ordinamento e collocate nell’ambito della disciplina afferente alla gestione illecita dei rifiuti: ci si riferisce al delitto di Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. Si tratta di un’ipotesi di reato arricchita, dal punto di vista delle tecnica di descrizione normativa, di profili di maggiore selezione penalistica rispetto ai modelli fino ad ora presi in esame.

La fattispecie delittuosa de qua, oggi descritta dall’art. 260 d.lg. 152 del 2006, fu introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento dalla l. 23 marzo 2001, n. 93, la quale inserì nell’originario impianto del d.lg. 22 del 1997 l’abrogato art. 53 bis. Fu in tal modo configurato il primo delitto contro l’ambiente nell’ambito della disciplina in materia di rifiuti300, fino a quel momento presidiata da semplici contravvenzioni, se si eccettua il rinvio già contenuto nell’abrogato art. 52, comma 3, d.lg. 22 del 1997 alle pene di cui all’art. 483 c.p.301. La disposizione in esame nell’intenzione del legislatore era verosimilmente destinata a perseguire quei comportamenti criminosi frutto “di disegni delinquenziali di vasto respiro, solitamente connessi alla criminalità organizzata, e con effetti estremamente perniciosi per l’assetto ambientale ed economico”302. Sennonché, la particolare complessità della tecnica normativa utilizzata nella descrizione del reato, accompagnata dall’impiego di taluni elementi concettuali indeterminati, rischia di lasciare irrisolti taluni snodi problematici di fondamentale importanza nell’applicazione concreta della fattispecie303. E ciò, con il rischio, da più parti evidenziato, che l’illecito de quo possa, in realtà, essere con frequenza ravvisato anche in relazione ad “attività sociologicamente molto distanti da quelle riscontrabili all’interno del fenomeno della c.d. “ecomafia”, a cui il legislatore sembrava invece volere rivolgersi con l’introduzione del nuovo delitto di traffico illecito di rifiuti”304.

La fattispecie descritta dall’art. 260 è riconducibile alla categoria dei reati di pura condotta. Quest’ultima, però, presenta una struttura articolata ed

300 Sulla genesi della fattispecie in esame cfr., per tutti, G. AMENDOLA, Attività organizzate per il

traffico illecito di rifiuti: introdotto il primo delitto contro l’ambiente, in Dir. pen. proc., 2001, 708. 301 Analogo rinvio si rinviene, comunque, oggi nell’ambito dell’art. 258 d.lg. 152 del 2006, che

corrisponde, in buona sostanza, al citato art. 52 d.lg. 22 del 1997. 302 P. MOLINO, Il nuovo reato di organizzazione di traffico illecito di rifiuti: luci ed ombre nella lotta alla

“ecomafia”, in Riv. poliz., 2001, 337. 303 Sui limiti e sui difetti propri della tecnica normativa utilizzata dal legislatore nella descrizione

della fattispecie in oggetto cfr., per tutti, A. L. VERGINE, A proposito dell’art. 53 bis d.lg. 22 del 1997, cit., 1029 ss.; C. BERNASCONI, M. GUERRA, Profili interpretativi del delitto di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2004, 355 ss.

304 L. PRATI, Il nuovo reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti: una norma problematica, in Ambiente, 2001, 629.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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estremamente complessa. Il legislatore scandisce, infatti, le connotazioni modali della stessa in diversi segmenti, richiedendo, al contempo, non solo la realizzazione di una pluralità di operazioni, tra quelle espressamente indicate, ma altresì l’inserimento di tali operazioni nel contesto di una struttura organizzata, che operi con continuità. A ciò si aggiunga che ulteriori elementi di tipicità restringono l’operatività della norma. Il riferimento è, in primo luogo, alla necessaria abusività delle predette operazioni, che, già autonomamente considerate, devono integrare violazioni alle disposizioni dettate in materia di gestione dei rifiuti. In secondo luogo, la disposizione richiede che oggetto di traffico sia un’ingente quantità di rifiuti. Infine, si prevede che la realizzazione del fatto, nel suo complesso, debba necessariamente essere sorretta da un dolo specifico, volto al conseguimento di un ingiusto profitto.

Rinviando ad altra sede una più articolata analisi dei requisiti strutturali della fattispecie in esame, interessa ora sottolineare che la descrizione del fatto contiene – come anticipato − tratti di selezione penalistica autonoma, ma pur sempre in qualche misura legati ad una necessaria eterointegrazione. Infatti, la pluralità di operazioni idonee ad integrare la condotta tipica deve essere compiuta “abusivamente”. Tale termine introduce nella fattispecie un parametro di c.d. illiceità speciale305, nel senso che la natura contra ius delle singole operazioni diviene il presupposto base necessario per la verifica degli ulteriori elementi richiesti per l’integrazione del delitto306. L’illiceità speciale assume, dunque, la natura di elemento normativo della fattispecie307, nel senso che essa implica il riferimento a norme diverse da quella incriminatrice per la ricostruzione del fatto. Siffatte norme diverse nel caso di specie sono, appunto, quelle che prescrivono le modalità di realizzazione delle diverse forme di gestione dei rifiuti ed individuano peculiari ipotesi di illiceità extrapenale o (già) penale. A questo punto, però, uno dei principali problemi sollevati dalla fattispecie in esame è quello di capire se il reato possa dirsi integrato tutte le volte in cui l’attività organizzata di gestione dei rifiuti avvenga violando in modo continuativo una qualsiasi delle norme sanzionate, sia in via penale, sia in via amministrativa, dal d.lg. 152 del 2006. Siffatta interpretazione, invero, ad

305 Sul fenomeno dell’antigiuridicità o illiceità speciale cfr., per tutti e in termini generali, D.

PULITANÒ, Illiceità espressa e illiceità speciale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1967, 65 ss. Più di recente, G. MORGANTE, L’illiceità speciale nella teoria generale del reato, Torino, 2002, 1 ss.; L. RISICATO, Gli elementi normativi della fattispecie penale, cit., 101 ss.

306 G. AMENDOLA, Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti: introdotto il primo delitto contro l’ambiente, cit., 709.

307 D. PULITANÒ, Illiceità espressa e illiceità speciale, cit., 123.

La tipicità del reato ambientale

117

avviso di una parte della dottrina potrebbe condurre ad un’applicazione della norma in contrasto con le finalità che il legislatore intendeva in realtà perseguire tramite l’introduzione del delitto de quo308; e ciò anche alla luce del particolare rigore con cui è sanzionata la fattispecie in oggetto. Si comprende, allora, il tentativo posto in essere di circoscrivere l’espressione “abusivamente” alle sole condotte del tutto clandestine e, quindi, interamente sottratte al controllo da parte della pubblica amministrazione, con esclusione, invece, di quelle che si concretizzino in violazioni di tipo meramente formale o nella inosservanza di prescrizioni contenute nelle autorizzazioni o, ancora, nella mancanza di requisiti e condizioni richiesti dalle iscrizioni o comunicazioni309. Tale interpretazione, incentrata su un criterio di tipo teleologico, parrebbe idonea ad attribuire all’elemento in oggetto una più stringente efficacia selettiva delle condotte suscettibili di assumere rilevanza ai sensi della fattispecie, ma forse trascura un dato di tipo empirico criminologico; nel senso che non sembra possibile escludere a priori la circostanza che il delitto in oggetto si consumi nell’ambito di strutture organizzate regolarmente autorizzate alla gestione dei rifiuti, che – nondimeno – si prestino alla realizzazione di gravi deviazioni rispetto al lecito esercizio dell’attività autorizzata. Talché, parrebbe preferibile ritenere che la condotta abusiva comprenda oltre a quella effettuata senza alcuna autorizzazione, anche quella che, per le modalità concrete con le quali è esplicata, risulta totalmente difforme da quanto autorizzato310.

A prescindere, comunque, dalla soluzione che si ritenga preferibile in merito alla soluzione del problema evidenziato, ciò che preme in questa sede mettere in luce è la circostanza che − ancora una volta − l’utilizzo nella norma incriminatrice di elementi che necessitano di etorointegrazione finisce per incidere sulla esatta definizione del comportamento penalmente rilevante. Certo è, in ogni caso, che una tecnica che potremmo definire ulteriormente sanzionatoria – come quella in esame – è senz’altro preferibile rispetto a quella meramente sanzionatoria di cui già si sono evidenziati i gravi inconvenienti. Nel caso in esame, infatti, un fatto già illecito per la sua contrarietà a norme dell’ordinamento assume una nuova configurazione – nella specie, delittuosa – in virtù di una soglia di lesività maggiore o qualitativamente diversa.

308 L. PRATI, Il nuovo reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, cit., 627. 309 L. PRATI, Il nuovo reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, cit., 627. 310 In questo senso anche L. PIETRINI, Rifiuti, in Commentario breve alle leggi penali complementari, a

cura di F. C. PALAZZO, C. E. PALIERO, Padova, 2007, 392.

Capitolo terzo

L’OFFENSIVITÀ DEL REATO AMBIENTALE E L’ANTICIPAZIONE DELLA SOGLIA DI PUNIBILITÀ

SOMMARIO: 1. L’anticipazione della tutela nella materia ambientale. − 2. L’utilizzo dei reati di pericolo

astratto tra tutela di funzioni amministrative e tutela mediata di beni giuridici finali. − 3. Le condizioni di compatibilità con il principio di offensività. − 3.1. Il pregiudizio potenziale per il bene giuridico finale. − 3.2. Il rango del bene finale tutelato. − 3.3. Le difficoltà di accertamento del nesso causale e del pericolo concreto. − 3.4. L’adeguata tipizzazione della condotta di reato. − 4. I possibili scarti tra conformità al tipo e reale pericolosità della condotta. − 4.1. Il ricorso all’art. 49, comma secondo, c.p. − 4.2. L’interpretazione teleologica della fattispecie. In particolare: la valorizzazione della cornice empirico-criminologica. − 4.3. La conversione del pericolo astratto in pericolo concreto. − 4.4. L’inversione dell’onere della prova.

1. L’anticipazione della tutela nella materia ambientale Dalle considerazioni svolte in merito alle tecniche di tipizzazione dell’illecito

ambientale dovrebbe agevolmente desumersi che il reato di pericolo astratto è il paradigma di illecito di gran lunga prevalente in questo specifico settore1. Una

1 In questo senso, per tutti, A. L. VERGINE, Ambiente nel diritto penale (tutela dell’), in Dig. disc. pen.,

IX, Appendice, Torino, 1995, 757; F. GIUNTA, Il diritto penale dell’ambiente in Italia: tutela di beni o tutela di

funzioni?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 1097 ss.; G. N. CARUGNO, La tutela ambientale tra fattispecie di

pericolo astratto e fattispecie di pericolo concreto, in Aspetti penali del diritto agro-ambientale ed agro-alimentare, a cura di A. GERMANÒ, E. ROOK BASILE, Milano, 1999, 77 SS.; S. BELTRAME, L’art. 51 bis del decreto

Ronchi: reato di danno o reato di pericolo?, in Ambiente, 2001, 844; F. GIUNTA, Ideologie punitive e tecniche di normazione nel diritto penale dell’ambiente, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2002, 848. Analoga tendenza si riscontra anche in altri ordinamenti: per la Spagna in argomento cfr., tra gli altri, S. HUERTA

TOCILDO, Principios básicos del Derecho Penal y art. 325 del Código Penal, in Revista penal, 2001, 40; B. MENDOZA BUERGO, El delito ecológico: configuración típica, estructuras y modelos de tipificación, in Estudios sobre

la protección penal del medio ambiente en el ordinamiento jurídico español, a cura di A. J. BARREIRO, Granada, 2005, 109 ss. In relazione all’ordinamento tedesco cfr., tra gli altri, J. C. MÜLLER TUCKFELD, Ensayo

para la abolición del Derecho penal del medio ambiente, in La insostenible situación del Derecho penale, Granada, 2000, in particolare 511 ss. Più in generale, per un’analisi del fenomeno dell’anticipazione della tutela penale attraverso la previsione di reati di pericolo astratto in relazione al diritto penale di più recente emersione cfr., tra gli altri, D. PULITANÒ, L’anticipazione dell’intervento penale in materia economica, in Atti

del IV Congresso nazionale di diritto penale, Torino, 1996, 9 ss.; G. P. DEMURO, Beni culturali e tecniche di

tutela penale, Milano, 2002, in particolare 235 ss. Nella dottrina tedesca, per tutti, W. HASSEMER,

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

120

delle ragioni principali che ha per lo più condizionato il ricorso a tale specifica tipologia di reato si ritiene debba essere ricercata nella peculiare natura del bene giuridico tutelato. Il modello del pericolo astratto parrebbe, infatti, lo strumento di tecnica legislativa tipicamente corrispondente all’essenza del bene giuridico superindividuale2, qual è per definizione l’ambiente, non sempre sufficientemente “afferrabile” nella sua dimensione empirica3; sicché, in relazione ad esso apparirebbe difficile il ricorso a tecniche di tutela penali caratterizzate dalla rigorosa tipizzazione di un fatto concretamente lesivo4. In tale prospettiva si spiegherebbe l’esistenza di numerose norme incriminatrici svincolate dalla descrizione di una conseguenza direttamente offensiva nei confronti dell’ambiente e per lo più riconducibili a taluni modelli ricorrenti di illeciti formali.

Si comprende, dunque, come, a fronte di fattispecie così costruite, gran parte della dottrina sia pervenuta alla conclusione, sia pure attraverso percorsi argomentativi differenziati, che in tali casi il diritto penale non opererebbe in funzione della tutela di beni giuridici nel senso tradizionale del termine5, bensì di mere funzioni amministrative di governo6; sicché le relative incriminazioni, risultando

Kennzeichen und Krisen des modernen Strafrechts, in ZRP, 1992, 381; ID., Produktverantwortung im modernen

Strafrecht, Heidelberg, 1996, in particolare 10 ss. 2 G. GRASSO, L’anticipazione della tutela penale: i reati di pericolo e i reati di attentato, in Riv. it. dir. proc.

pen., 1986, 711. Su siffatta problematica nella dottrina tedesca v., tra gli altri, R. HEFENDEHL, Debe

ocuparse el derecho penal de riesgos futuros? Bienes jurídicos colectivos y delitos de peligro abstracto, in Revista

Electrónica de Ciencia Penal y Criminología, 2002, RECPC 04-14, 1 ss. 3 Anche nella dottrina spagnola si parla, in relazione all’ambiente, di bene giuridico

“evanescente”. In questo senso cfr. per tutti, S. HUERTA TOCILDO, Principios básicos del Derecho Penal y

art. 325 del Código Penal, cit., 42. In generale sul processo di volatilizzazione che la nozione di bene giuridico subisce nel diritto penale extra codicem, cfr. F. GIUNTA, Lineamenti di diritto penale dell’economia,

Torino, 2004, 39. 4 G. SCHIESARO, Problemi e prospettive di riforma della tutela penale dell’ambiente: verso una riformulazione in

chiave offensiva del reato, in Riv. trim. dir. pen. econ, 1992, 787. 5 Sul concetto e l’importanza del bene giuridico nel diritto penale cfr., per tutti, A. PAGLIARO,

Bene giuridico e interpretazione della legge penale, in Studi in onore di F. Antolisei, II, Milano, 1965, 391 ss.; G. FIANDACA, Il «bene giuridico» come problema teorico e come criterio di politica criminale, in Riv. it. dir. proc. pen.,

1982, 42 ss.; F. ANGIONI, Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico, Milano, 1983; L FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Roma-Bari, 2002, 466 ss.

6 Sul tema in generale cfr., tra gli altri, T. PADOVANI, La scelta delle sanzioni in rapporto alla natura

degli interessi tutelati, in Beni e tecniche della tutela penale. Materiali per una riforma del codice, Milano, 1987, in particolare 97, 98; ID., Tutela di beni e tutela di funzioni nella scelta tra delitto, contravvenzione e illecito

amministrativo, in Cass. pen., 1987, 670 ss.; ID., Delitti e contravvenzioni, in Dig. disc. pen., III, Torino, 1989, 330 ss.; F. SGUBBI, Il reato come rischio sociale. Ricerche sulle scelte di allocazione dell’illegittimità penale, Bologna, 1990, in particolare, 22; F. C. PALAZZO, Principi costituzionali, beni giuridici e scelte di criminalizzazione, in

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

121

talvolta prive di un reale contenuto offensivo nei confronti di determinate entità preesistenti, si incentrerebbero sulla mera disobbedienza al precetto7. In altri termini: la crescente diffusione di fattispecie costruite sulla base dei modelli evidenziati metterebbe chiaramente in luce il ruolo ancillare che il diritto penale assume rispetto al diritto amministrativo in materia ambientale8, attraverso l’adozione di tecniche di tipizzazione «meramente sanzionatorie»9 e secondo gli schemi tipici del Verwaltungsstrafrecht10.

Studi in memoria di Pietro Nuvolone, I, Milano, 1991, in particolare 382 ss.; ID., Bene giuridico e tipi di

sanzioni, ne L’Indice pen., 1992, in particolare 213, 226, 227; ID., I confini della tutela penale: selezione dei beni e criteri di criminalizzazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, in particolare 470 ss.; S. MOCCIA, Dalla tutela di

beni alla tutela di funzioni: tra illusioni postmoderne e riflussi liberali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, 343 ss.; G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Corso di diritto penale. I. Le norme penali: fonti e limiti di applicabilità. Il reato:

nozione, struttura e sistematica, Milano, 2001, in particolare 541 ss.; T. PADOVANI, Diritto penale, Milano, 2008, 87, 88; S. MOCCIA, La ‘promessa non mantenuta’, Napoli, 2001, 110; T. PADOVANI, L. STORTONI, Diritto penale e fattispecie criminose. Introduzione alla parte speciale del diritto penale, Bologna, 2006, 80. Per un quadro di sintesi delle diverse posizioni espresse in merito alla problematica de qua, di recente, A. MERLI, Introduzione alla teoria generale del bene giuridico. Il problema. Le fonti. Le tecniche di tutela penale,

Napoli, 2006, 55 ss. Con specifico riferimento al settore dei reati ambientali cfr., tra gli altri, A. L. VERGINE, Ambiente nel diritto penale, cit., 757 ss. Nella letteratura spagnola cfr., per tutti, R. M. MATA Y

MARTÍN, Bienes jurídicos intermedios y delitos de peligro, Granada, 1997, in particolare 3 ss. 7 Nella dottrina italiana in termini generali cfr., per esempio, G. ZUCCALÀ, Sul preteso principio di

necessaria offensività del reato, in Scritti in memoria di G. Delitala, Milano, 1984, 1695, nonché, più di recente, ID., Due questioni attuali sul bene giuridico: la pretesa dimensione «critica» del bene e la pretesa necessaria

offesa ad un bene, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2004, 839 ss.; S. MOCCIA, Il diritto penale tra essere e valore, Napoli, 1992, in particolare 187. Con specifico riferimento ai reati ambientali cfr., per esempio, L. BERTOLINI, Ambiente (tutela dell’). IV) Diritto penale, in Enc. giur. Treccani, II, Roma, 1988, in particolare 3, 6; P. PATRONO, Inquinamento idrico da insediamenti produttivi e tutela penale dell’ambiente, in Riv. trim. dir.

pen. econ., 1989, 1027; M. LAGANÀ, Tutela dell’ambiente e principio di offensività, in Giust. pen., 1999, I, 223, 224. Nella dottrina spagnola, in relazione alle norme sulla tutela del territorio, cfr., tra gli altri, N. MATELLANES RODRÍGUEZ, Algunas notas sobre la dificultad de demarcar un espacio de tutela penal para la

ordinación del territorio, in Revista penal, 2001, 65. 8 A. L. VERGINE, Ambiente nel diritto penale, cit., 757. 9 Su tale profilo cfr., per tutti, C. E. PALIERO, «Minima non curat praetor». Ipertrofia del diritto penale

e decriminalizzazione dei reati bagatellari, Padova, 1985, 99 ss. Con specifico riferimento al settore ambientale, nella dottrina spagnola cfr., tra gli altri, S. HUERTA TOCILDO, Principios básicos del Derecho

Penal y art. 325 del Código Penal, cit., 40 ss.; N. MATELLANES RODRÍGUEZ, Algunas notas sobre la dificultad

de demarcar un espacio de tutela penal para la ordinación del territorio, cit., 65. 10 La costruzione di una vera e propria teoria del «diritto penale amministrativo» risale, come è

noto, a J. GOLDSHMIDT, Der Verwaltungsstrafrecht, Berlin, 1902. Sul punto, in generale, K. TIEDEMANN, Tatbestandsfunktionen im Nebenstrafrecht, Tübingen, 1969, in particolare 45 ss. Con specifico riferimento al diritto penale dell’ambiente, M. CATENACCI, Appunti sulle tecniche «incrociate» di tutela nel diritto penale

dell’ambiente, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1990, 410; ID., La tutela penale dell’ambiente. Contributo all’analisi

delle norme penali a struttura «sanzionatoria», Padova, 1996, 61 ss.; ID., «Beni» e «funzioni» oggetto di tutela

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

122

Tale fenomeno, che peraltro ormai caratterizza anche molti altri settori della legislazione speciale di più recente emersione11, parrebbe in termini generali strettamente collegato a due processi storicamente e logicamente distinti12. Da un lato, l’originaria trasformazione degli antichi illeciti di polizia in illeciti di natura penale, che ha caratterizzato il passaggio dalla Stato assoluto allo Stato liberale13; dall’altro lato, ed in misura crescente, l’incessante espansione dell’intervento pubblico in settori un tempo riservati all’autonomia dei privati, che ha accompagnano la graduale trasformazione dello Stato liberale in Stato sociale14.

In primo luogo, infatti, la trasformazione degli illeciti di polizia in illeciti di natura penale ha comportato l’attrazione nell’orbita, per lo più, contravvenzionale di fattispecie in cui la sanzione criminale è spesso ricollegata alla violazione di doveri strumentali all’ordinato svolgimento di determinate attività sociali o all’efficace esercizio delle funzioni amministrative nei vari ambiti di competenza15. In secondo luogo, l’atteggiamento assunto dallo Stato, in particolare negli ultimi decenni, nei confronti soprattutto di taluni beni collettivi, ha notevolmente contribuito alla diffusione, in svariati settori dell’ordinamento, di una disciplina dirigistica16, espressa attraverso l’adozione di

nella legge «Merli» sull’inquinamento delle acque, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1996, 1219 ss.; F. GIUNTA, Il diritto penale dell’ambiente in Italia: tutela di beni o tutela di funzioni?, cit., 1097 ss.

11 In termini generali, per tutti e di recente, R. RAMPIONI, Dalla parte degli «ingenui». Considerazioni in

tema di tipicità, offesa e c.d. giurisprudenza «creativa», Padova, 2007, in particolare 202 ss. Per un’analisi del fenomeno in prospettiva comparatistica, da ultimo, J. O. SOTOMAYOR ACOSTA, El Derecho penal

garantista en retirada?, in Revista penal, 2008, 152 ss. 12 In argomento cfr., tra gli altri, F. C. PALAZZO, Legislazione penale, in Dizionario storico dell’Italia

Unita, a cura di BONGIOVANNI e TRAFAGLIA, Roma-Bari, 1996, 524 ss.; F. MANTOVANI, Diritto penale.

Parte generale, Padova, 2007, 198. 13 Sul punto cfr., amplius, C. E. PALIERO, Note sulla disciplina dei reati «bagatellari», in Riv. it. dir. proc.

pen., 1979, 921 ss. 14 In argomento cfr., tra gli altri, C. E. PALIERO, Note sulla disciplina dei reati «bagatellari», cit., 922;

G. FIANDACA, E. MUSCO, Perdita di legittimazione del diritto penale?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, in particolare 27 ss.; M. DONINI, Il volto attuale dell’illecito penale. La democrazia penale tra differenziazione e

sussidiarietà, Milano, 2004, 103 ss. 15 In relazione a tale fenomeno cfr., tra gli altri, F. CHABAS, La notion de contravention, in Revue de

science criminelle et de droit pénal comparé, 1969, in particolare 9 ss.; T. PADOVANI, Delitti e contravvenzioni,

cit., 325 ss. e bibliografia ivi riportata; A. CALABRIA, Delitti naturali, delitti artificiali ed ignoranza della legge

penale, ne L’Indice pen., 1991, in particolare 63 ss. 16 In questo senso cfr., per tutti, F. SGUBBI, Il reato come rischio sociale, cit., in particolare 11 ss. In

argomento nelle dottrina spagnola cfr. per tutti, R. M. MATA Y MARTÍN, Bienes jurídicos intermedios y

delitos de peligro, cit., in particolare 3 ss. e 47 ss.

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

123

minute regolamentazioni17, a presidio della quale viene poi posta la sanzione penale per garantire l’esigenza, “tutta pragmatica”18, dell’efficienza del controllo19.

Molto spesso, infatti come già anticipato20, nelle società moderne ci si trova di fronte, da un lato, a beni “a largo raggio”, privi di quello spessore necessario per renderli agevolmente afferrabili, sicché l’oggetto della tutela si sposta dagli interessi di soggetti giuridici a “complessi funzionali che sono in larga parte l’oggetto di disciplina di altri settori del diritto e dell’attività amministrativa dello Stato”21; dall’altro lato, ad una pluralità di beni, ritenuti meritevoli di tutela, ma tra di loro in conflitto, con la conseguenza che il legislatore si limita per lo più ad affidare la composizione di tale conflitto alla pubblica amministrazione, la quale provvede, innanzitutto, ad una gestione preventiva dello stesso, invocando poi, se del caso, l’intervento della sanzione penale per una gestione repressiva; per garantire, cioè, il rispetto delle modalità legalmente stabilite per la composizione dei diversi interessi in gioco22.

Si comprende, pertanto, come il diritto penale, in simili ipotesi, sia sempre più spesso caratterizzato dalla presenza di norme penali accessorie all’attività dello Stato e di altri enti pubblici, in quanto destinate a “sostenerne” le

17 Sul punto cfr., tra gli altri, R. BAJNO, Contributo alla studio del bene giuridico nel diritto penale

«accessorio»: l’ipotesi urbanistico ambientale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1979, in particolare 145; C. E. PALIERO, “Minima non curat praetor”. Ipertrofia del diritto penale e decriminalizzazione dei reati bagatellari, Padova, 1985, in particolare 78 ss.; ID., Depenalizzazione, in Dig. disc. pen., III, Torino, 1989, 427; A. BARATTA, Funzioni strumentali e funzioni simboliche del diritto penale, in Studi in memoria di Giovanni Tarello, II, Milano, 1990, in particolare 28 ss.; G. FORNASARI, Il concetto di economia pubblica. Spunti esegetici e prospettive di

riforma, Milano, 1994, in particolare 156 ss.; G. COCCO, L’atto amministrativo invalido elemento delle

fattispecie penali, Cagliari, 1996, 357 ss.; S. MOCCIA, La perenne emergenza. Tendenze autoritarie nel sistema

penale, Napoli, 1997, 29 ss. 18 S. MOCCIA, Dalla tutela di beni alla tutela di funzioni, cit., 345. 19 Sono queste, del resto, le ipotesi tipiche che la circolare della Presidenza del Consiglio dei

Ministri del 5 febbraio 1986 (il cui testo è riportato in Cass. pen., 1986, 624 ss.) riconduce alla categoria delle contravvenzioni di carattere «amministrativo» (quelle, cioè, la cui illiceità dipende, appunto, dal difetto di un provvedimento abilitante della p.a., dal contrasto con ordini e prescrizioni della p.a., dalla violazione di un obbligo di denuncia concernente attività sottoposte a controllo della p.a., ecc.). In argomento cfr., per tutti, T. PADOVANI, Il binomio irriducibile. La distinzione dei reati in delitti e

contravvenzioni, fra storia e politica criminale, in Diritto penale in trasformazione, a cura di G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Milano, 1985, 450 ss.

20 Sul punto cfr. supra cap. I, § 5. 21 A. BARATTA, Integrazione-prevenzione. Una «nuova» fondazione della pena all’interno della teoria sistemica,

in Dei delitti e delle pene, 1984, 13. 22 Sul punto cfr., tra gli altri, D. PULITANÒ, La formulazione delle fattispecie di reato: oggetti e tecniche, in

Beni e tecniche della tutela penale, Milano, 1987, in particolare 38.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

124

funzioni23. In tal modo, come è stato rilevato24, “fra le due aree originarie −

liceità (=libertà) e illiceità (=lesione dei beni) − se ne inserisce una terza, ...in continua espansione: l’area della liceità condizionata: condizionata al rispetto delle prescrizioni dettate dall’ordine normativo di regolamentazione dirigistica del bene”. In altri termini: la linea di demarcazione tra lecito ed illecito viene non di rado delineata in termini meramente formali25, facendo riferimento alla disciplina amministrativa dettata per la soluzione del conflitto di interessi.

Risulta chiaro, allora, come fattispecie penali così costruite parrebbero, almeno prima facie, difficilmente ricollegabili alla tutela di un ben definito bene giuridico, in quanto la legge, spesso, non garantisce neppure a priori la prevalenza di un interesse sull’altro; ma, piuttosto, esse sembrano funzionali alla garanzia di precisi “obiettivi di organizzazioni politiche, sociali, economiche”26, delle finalità, cioè, perseguite in ogni specifico contesto dalla pubblica amministrazione, attraverso l’esercizio di poteri di prevenzione, controllo, disciplina. Con la conseguenza, poi, che più i termini del conflitto sono complessi e più la “valutazione del contemperamento è discrezionale, sottratta ad un vincolo legale sicuro”, più, in definitiva, la norma penale parrebbe veramente “assumere solo ed esclusivamente il carattere di tutela di una funzione”27, in quanto la fattispecie penale, in simili ipotesi, costruisce il proprio campo di applicazione sempre attraverso la mediazione della norma di disciplina amministrativa.

23 A. BARATTA, Funzioni strumentali e funzioni simboliche del diritto penale, cit., 29. Sostanzialmente

nello stesso senso, cfr., altresì, P. PATRONO, Problematiche attuali dell’errore nel diritto penale dell’economia, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1988, 89.

24 F. SGUBBI, Il reato come rischio sociale, cit., 13. L’Autore prosegue, poi, (op. ult. cit., 14) rilevando come “tale area di liceità condizionata − sempre più estesa, a scapito delle due confinanti −“ sia “identificabile non con riferimento alla libertà, non con riferimento all’offesa, bensì soltanto con riferimento alla norma: cioè alle prescrizioni amministrative che lo Stato interventista e programmatore detta sul bene oggetto della protezione penale”.

25 T. PADOVANI, Delitti e contravvenzioni, cit., 330. 26 W. HASSEMER, Il bene giuridico nel rapporto di tensione tra Costituzione e diritto naturale, in Dei delitti e

delle pene, 1984, 108; T. PADOVANI, Tutela di beni e tutela di funzioni nella scelta tra delitto, contravvenzione e

illecito amministrativo, cit., 672; F. SGUBBI, Il reato come rischio sociale, cit., 21; F. C. PALAZZO, Diritto penale

e società tecnologica: principi in crisi e riforme attese, in Il Ponte, 1991, I, 49 ss.; G. FIANDACA, E. MUSCO, Perdita di legittimazione del diritto penale, cit., in particolare 34, 35. In argomento cfr., altresì, A. DE VITA, I reati a soggetto passivo indeterminato. Oggetto dell’offesa e tutela processuale, Napoli, 1999, in particolare 67 ss.

27 T. PADOVANI, La scelta delle sanzioni in rapporto alla natura degli interessi tutelati, cit., 98. Più di recente, sulla complessa problematica, G. DE FRANCESCO, Interessi collettivi e tutela penale. «Funzioni» e

programmi di disciplina dell’attuale complessità sociale, in Studi in onore di G. Marinucci, I, Milano, 2006, 929 ss.

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

125

2. L’utilizzo dei reati di pericolo astratto tra tutela di funzioni amministrative e tutela mediata di beni giuridici finali

La crescente diffusione delle sopra evidenziate tecniche di incriminazione

parrebbe, dunque, aver segnato un inarrestabile declino del concetto tradizionale di bene giuridico28, ed in particolare della sua funzione più significativa: quella di delimitazione dell’intervento penale29. L’oggetto di quest’ultimo sembrerebbe, infatti, ormai coincidere, per lo meno in taluni campi, con i fini perseguiti dallo Stato in determinati settori e, risulterebbe, pertanto, privo di qualunque sostrato pre-normativo utilizzabile come utile criterio politico criminale di selezione degli illeciti penali. Addirittura, come è stato rilevato30, “l’esperienza legislativa degli ultimi anni – peraltro ben al di là dei nostri confini nazionali – dimostra che il topos del bene giuridico si presta ad essere utilizzato, piuttosto che in funzione critico-delimitativa della punibilità, come criterio estensivo dell’area del penalmente rilevante: il bene giuridico come una sorta di «lupo vestito da agnello»“.

Il problema fondamentale che si è posto, dunque, alla dottrina è consistito nell’individuare le principali implicazioni che taluni modelli di criminalizzazione, particolarmente frequenti nell’ambito del diritto penale

28 Sul punto cfr., amplius, G. FIANDACA, E. MUSCO (Perdita di legittimazione del diritto penale?, cit., in

particolare 28), i quali sottolineano, peraltro, come il processo di “volatilizzazione” del bene giuridico, con la conseguente trasformazione del reato in illecito di mera disubbidienza, sia un fenomeno che si riscontra già nella legislazione complementare anteriore e coeva al codice Rocco. Più di recente, con taluni accenti critici nei confronti del fenomeno in oggetto, G. DE FRANCESCO, Interessi collettivi e tutela penale, in particolare 948 ss. Sulle diverse interpretazioni della categoria del bene giuridico nel corso del tempo cfr., amplius e per tutti, F. ANGIONI, Contenuto e funzioni del bene giuridico, cit., 3 ss. Più di recente, tra gli altri, G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2007, 4 ss.

29 Così, per esempio, P. PATRONO, Inquinamento idrico da insediamenti produttivi e tutela penale

dell’ambiente, cit., 1027; A. BARATTA, Integrazione-prevenzione, cit., in particolare 13; F. C. PALAZZO, I confini della tutela penale, cit., in particolare 456 ss.; S. MOCCIA, Dalla tutela di beni alla tutela di funzioni, cit., 345; P. PATRONO, Diritto penale dell’impresa e interessi umani fondamentali, Padova, 1993, 52, 53; S. MOCCIA, Aspetti involutivi del sistema penale, in Il diritto penale alla svolta di fine millennio, a cura di S. CANESTRARI, Torino, 1998, 272. Sulla funzione politico-garantista del bene giuridico cfr., per tutti, E. MUSCO, Bene giuridico e tutela dell’onore, Milano, 1974, 58 ss.; D. PULITANÒ, La teoria del bene giuridico fra

codice e Costituzione, in Quest. crim., 1981, 114; ID., Politica criminale, in Diritto penale in trasformazione, a cura di G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Milano, 1985, in particolare 32 ss.

30 G. FIANDACA, L’offensività è un principio codificabile?, in Foro it., 2001, 1.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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ambientale, comportano rispetto al principio di offensività31. In definitiva, si è trattato di verificare se effettivamente in tutte le fattispecie c.d. di inosservanza la tutela penale si incentri esclusivamente sull’esigenza meramente formale dell’osservanza di determinate prescrizioni o della richiesta dei prescritti provvedimenti autorizzativi, sicché a bene protetto parrebbe assurgere, appunto, il semplice interesse alla tutela della funzione amministrativa; o se, viceversa, sia possibile rivalutare anche in relazione a simili fattispecie il ruolo e la funzione del bene giuridico, inteso, in conformità ad una concezione politico-garantista, come limite fattuale alla potestà punitiva dello Stato: vale a dire come concetto idoneo a delimitare la cerchia dei fatti meritevoli di pena, seppur con gli inevitabili adattamenti che il diritto penale emergente sembrerebbe imporre anche sotto questo profilo32, dopo che si è rivelata

31 Sul fondamento del principio di offensività la dottrina – come è noto − non ha ancora

raggiunto soluzioni unanimemente condivise, anche se sembrerebbe decisamente orientata a riconoscere allo stesso il rango di principio costituzionale. In questo senso cfr., per tutti, M. GALLO, I reati di pericolo, in Foro pen., 1969, 1 ss.; F. BRICOLA, Teoria generale del reato, in Noviss. dig. it., XIX,

Torino, 1973, 81 ss.; F. MANTOVANI, Il principio di offensività del reato nella Costituzione, in Scritti in onore di Mortati, 1977, IV, 444 ss.; E. MUSCO, Bene giuridico e tutela dell’onore, cit., in particolare 117 ss.; N. MAZZACUVA, Il disvalore di evento nell’illecito penale, Milano, 1983, 120 ss.; A. FIORELLA, Reato in generale, in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1988, 794 ss.; G. FLORA, Il rilievo dei principi costituzionali nei manuali di

diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1991, in particolare 1204 ss.; A. FIORELLA, Sul finanziamento occulto

dei partiti politici, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1995, 185 ss.; ; C. FIORE, Il principio di offensività, in Prospettive

di riforma del codice penale e valori costituzionali, Milano, 1996, 64 ss.; T. PADOVANI, L. STORTONI, Diritto

penale e fattispecie criminose, cit., 83. Nella manualistica, tra gli altri, C. FIORE, Diritto penale. Parte generale, I, 1993, 288; G. MARINI, Lineamenti del sistema penale, Torino, 1993, 254; G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, cit., 3 ss.; F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., 182 ss.; F. RAMACCI, Corso di

diritto penale, Torino, 2007, 37, 89. Contra, F. STELLA, La teoria del bene giuridico e i c.d. fatti inoffensivi

conformi al tipo, in Riv. it. dir. proc. pen., 1973, 3 ss.; G. ZUCCALÀ, Profili del delitto di attentato, in Riv. it. dir.

proc. pen., 1977, 1252 ss.; ID., Sul preteso principio di necessaria offensività del reato, cit., in particolare 1700; ID., Due questioni attuali sul bene giuridico: la pretesa dimensione «critica» del bene e la pretesa necessaria offesa ad un

bene, cit., in particolare 878, 879. Considera, invece, il principio di offensività come semplice principio ispiratore della legislazione G. VASSALLI, I principi generali del diritto nell’esperienza penalistica, in Riv. it. dir.

proc. pen., 1991, in particolare 735, 738, 739, nonché, sul valore delle indicazioni costituzionali, ID., Considerazioni sul principio di offensività del reato, in Scritti in memoria di U. Pioletti, Milano, 1982, 659 ss.

32 Sull’esigenza di una «nuova politica dei beni giuridici», “imposta dalle nuove forme di aggressione − innescate da trasformazioni economico-sociali, innovazioni tecnologiche, misure di indirizzo e sostegno dello Stato −..”, cfr., tra gli altri, G. MARINUCCI, Profili di una riforma del diritto

penale, in Beni e tecniche della tutela penale. Materiali per una riforma del codice, Milano, 1987, 25 ss. Cfr., altresì, ID., Fatto e scriminanti. Note dommatiche politico-criminali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1983, in particolare 1214; F. C. PALAZZO (I confini della tutela penale, cit., in particolare 458), il quale sottolinea l’esigenza di assumere “completa e disincantata consapevolezza” dell’indiscutibile crisi che il bene giuridico ha

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

127

assolutamente utopica l’idea di un diritto penale minimo, circoscritto ai soli diritti umani fondamentali33.

La seconda opzione interpretativa, peraltro, sembra percorribile solo là dove si riesca ad ancorare, anche nei c.d. reati di inosservanza, la tutela penale ad un bene giuridico preesistente che non sia del tutto indeterminato ed evanescente34, ma risulti, invece, riconducibile ad una precisa concettualizzazione, tale da renderne afferrabile la sua effettiva consistenza.

A fronte di tale constatazione, parte della dottrina si è anche impegnata nello sforzo di sdrammatizzare la rigida contrapposizione tra tutela di beni e tutela di funzioni: da un lato, affermando, in modo deciso, che, in realtà, anche “le attività inerenti a funzioni proprie di nuovi organi di governo dell’economia, non meno di quelle inerenti alle tradizionali funzioni dello Stato, sono autentici beni giuridici”35; si tratterebbe, in altri termini, di “entità offendibili (in quanto possono essere impedite, ostacolate, turbate da parte dei comportamenti dell’uomo)” e come tali “capaci di tutela penale, non diversamente dai beni che si incarnano in entità materiali”36. Dall’altro lato, rilevando come, una volta riconosciuto che la tutela mediata di beni può essere legittima (dal punto di vista costituzionale) e necessaria (dal punto di vista pratico), vengono meno le ragioni che inducono a negare, per taluni tipi di reato, l’offesa a beni giuridici e ad ammettere negli stessi reati l’offesa a funzioni37. “Anziché parlare del reato

subito nell’attuale realtà legislativa “per evitare il rischio di continuare a sviluppare un’elaborazione scientifica incommensurabilmente distante dalla quotidiana realtà legislativa”.

33 In questo senso, per tutti, F. C. PALAZZO I confini della tutela penale, cit., 459. Cfr., altresì, A. BARATTA, Principi del diritto penale minimo. Per una teoria dei diritti umani come oggetti e limiti della legge penale,

in Dei delitti e delle pene, 1985, 443; G. FIANDACA, Concezioni e modelli di diritto penale tra legislazione, prassi

giudiziaria e dottrina, in Quest. giust., 1991, 40, 41; P. PATRONO, Diritto penale dell’impresa e interessi umani

fondamentali, cit., 55. 34 T. PADOVANI parla a proposito di taluni beni giuridici di più recente emersione di beni

“proteiformi”, “sintesi categoriali di numerosi interessi semplici coinvolti nella tutela ad ampio spettro”, “metafore concettuali che designano l’ambito particolare dove si percepisce e individua un conflitto di interessi e le modalità normative che sono stabilite per risolvere o contemperare tale conflitto”, ecc. (cfr., in particolare, La problematica del bene giuridico e la scelta delle sanzioni, in Dei delitti e

delle pene, 1984, 116 ss.; La distribuzione di sanzioni penali e di sanzioni amministrative secondo l’esperienza

italiana, in Riv. it. dir. proc. pen., 1984, 957 ss.; Tutela di beni e tutela di funzioni nella scelta tra delitto,

contravvenzione e illecito amministrativo, cit., 672, 673). 35 G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Corso di diritto penale, cit., 551. 36 G. MARINUCCI, E. DOLCINI, ibidem. Nello stesso senso G. COCCO, L’atto amministrativo invalido

elemento delle fattispecie penali, cit., 425 ss. Per la non necessaria incostituzionalità dei reati previsti a tutela di mere funzioni cfr., per tutti, T. PADOVANI, Diritto penale, cit., 88.

37 A. PAGLIARO Principi di diritto penale. Parte generale, Milano, 2003, 230.

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come offesa di beni o funzioni, si parlerà − con maggior chiarezza e semplicità − del reato come «offesa di beni». Entia non sunt moltiplicanda sine necessitate”38.

Invero, tale impostazione, non pare priva di profili problematici, in quanto l’idea che mere funzioni di governo possano assumere, tout court, il rango di veri e propri beni giuridici, autonomamente tutelabili, parrebbe difficilmente conciliabile con la funzione di limite alla potestà punitiva, che la tradizione liberale assegna, appunto, a questo concetto39, nei confronti di un legislatore potenzialmente “sfrenato”. Nondimeno, essa sembrerebbe, comunque, ormai costituire il punto di riferimento imprescindibile dal quale muovere. Spesso, infatti, nelle ipotesi prese in esame l’oggetto diretto della tutela non è un bene giuridico, bensì la salvaguardia degli scopi perseguiti dalla pubblica amministrazione attraverso l’esercizio delle funzioni compositive e di controllo.

A questo punto, però, ci si trova di fronte ad un’alternativa secca e delle due, l’una: o si rinuncia completamente alla funzione selettiva e garantista del bene giuridico40, oppure si cerca di appurare se anche nelle ipotesi riconducibili alla c.d. tutela di funzioni sia possibile intravedere sullo sfondo, ma nitidamente, un’entità finale preesistente41, idonea a garantire la tenuta del principio di offensività e a fungere da criterio guida per le scelte legislative di criminalizzazione.

A tal fine, come è stato rilevato42, se si ragiona in termini “intrasistematici” (rimanendo, cioè, esclusivamente all’interno del sistema penale), le fattispecie

38 A. PAGLIARO, op. loc. ult. cit. Su tali problematiche, con specifico riferimento ai reati ambientali,

R. BAJNO, Contributo allo studio del bene giuridico nel diritto penale «accessorio», cit., 120 ss.; ID., La tutela penale

del governo del territorio, Milano, 1980, 1 ss.; ID., Ambiente (tutela dell’) nel diritto penale, in Dig. disc. pen., I, Torino, 1987, in particolare 121 ss. Osservazioni critiche nei confronti di simile soluzione interpretativa sono state formulate, per esempio, da G. FIANDACA, G. TESSITORE, Diritto penale e tutela

dell’ambiente, in Materiali per una riforma del sistema penale, Milano, 1984, 39; ID., Diritto penale e tutela del

territorio, ibidem, 73; G. FIANDACA, La tipizzazione del pericolo, in Beni e tecniche della tutela penale. Materiali

per una riforma del codice, Milano, 1987, 63. Critico nei confronti delle soluzioni interpretative che ravvisano nella tutela delle funzioni una “diversa tutela di beni” è anche P. PATRONO, Diritto penale

dell’impresa e interessi umani fondamentali, cit., in particolare 54, 101, 102. 39 In questo senso cfr., per tutti, M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit., 92, 93.. 40 Sulla funzione selettiva del bene giuridico cfr., amplius, G. MARINUCCI, Fatto e scriminanti, cit., in

particolare 1207 ss. Sugli interrogativi sempre più ricorrenti relativi alla possibilità che il diritto penale «moderno» o «postmoderno» possa fare a meno del bene giuridico cfr., amplius, F. MANTOVANI, Il principio di offensività nello schema di delega legislativa per un nuovo codice penale, in Prospettive di riforma del codice

penale e valori costituzionali, Milano, 1996, in particolare 102 ss. 41 Sulla nozione di «beni finali» e «beni strumentali» cfr., per tutti, A. FIORELLA, Reato in generale,

cit., 791. 42 T. PADOVANI, La problematica del bene giuridico nella scelta delle sanzioni, cit., 119.

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

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prese in esame ben poco si prestano ad essere raccordate al bene giuridico. Tuttavia, è sufficiente “superare la soglia di una considerazione angusta legata alla sola legge penale..., per renderci conto che il ruolo del bene giuridico non può essere oscurato dal modo con cui il legislatore disciplina il conflitto”43. Infatti, la complessa disciplina amministrativa, il cui rispetto è garantito attraverso la comminazione di sanzioni penali, risulta pur sempre funzionale alla tutela di interessi; interessi che, proprio per le peculiari caratteristiche sopra esaminate, sembrerebbero imporre, appunto, il ricorso ad una mediazione ad opera della pubblica amministrazione. In altre parole: nulla esclude che la tutela da apprestare nei confronti di determinati beni giuridici, quali appunto l’ambiente, si estrinsechi nella previsione di norme penali che assicurano a loro volta il corretto esercizio di funzioni amministrative, precostituite a salvaguardia dei suddetti beni44.

Se, dunque, è possibile ravvisare anche al fondo delle c.d. funzioni beni giuridici finali di rango superiore rispetto ad altri coesistenti e confliggenti interessi, forse vi è anche la possibilità “di preservare il principio di offensività, rapportandolo a tali interessi prevalenti..... Allora le singole violazioni delle norme organizzative si porranno prevalentemente come fatti qualificabili di pericolo astratto e indiretto nei confronti dei beni finali. E l’idea sostanziale e assiologica del reato come offesa sarebbe salva”45. A tale conclusione sarebbe, quindi, possibile pervenire tenendo presente che dietro la tutela del modo prescelto dal legislatore per risolvere un conflitto di interessi c’è normalmente

43 T. PADOVANI, La problematica del bene giuridico nella scelta delle sanzioni, cit., 119; ID., La scelta delle

sanzioni in rapporto alla natura degli interessi tutelati, cit., 97. 44 In questo senso cfr., per esempio, T. PADOVANI, Diritto penale, cit., 88. Lo stesso Autore (in La

distribuzione di sanzioni penali e sanzioni amministrative secondo l’esperienza italiana, cit., 958) precisa che le particolari esigenze delle situazioni conflittuali possono in taluni casi comportare l’alterazione del «normale» modello di risoluzione del conflitto basato sulla prevalenza legale di un interesse, in favore di un modello in cui il bilanciamento concreto è rimesso, appunto, all’amministrazione. Sul punto cfr., altresì, D. PULITANÒ (La formulazione delle fattispecie di reato, cit., 37), il quale precisa come in taluni casi la “costituzione di un razionale piano di tutela, pur essendo ovviamente orientata ai profili «sostanziali» dei beni in gioco..., passa per la concretizzazione normativa di modelli di organizzazione e di controllo della attività inerenti ai contesti considerati”. Per talune osservazioni critiche nei confronti di simili impostazioni cfr., invece, R. BAJNO, La tutela dell’ambiente nel diritto penale, in Riv.

trim. dir. pen. econ., 1990, 356 ss. 45 F. ANGIONI, Il principio di offensività, in Prospettive di riforma del codice penale e valori costituzionali,

Milano, 1996, 114.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

130

la tutela di un bene finale, che dal comportamento inosservante viene, sia pure indirettamente, compromesso46.

Con ciò non si vuole negare l’estrema problematicità e delicatezza insite in concetti quali “tutela mediata di beni giuridici finali”, “interessi strumentali o funzionali alla tutela di beni giuridici finali” e simili. Tali locuzioni, infatti, rischiano di dilatare “senza limiti l’area del punibile, in flagrante contrasto con l’indicazione dell’extrema ratio”47. Tuttavia tale rischio ci sembra possa essere contenuto entro limiti accettabili qualora venga adeguatamente valorizzato non solo l’accertamento della meritevolezza dell’interesse finale e della relazione di effettiva e stretta strumentalità tra quest’ultimo e la funzione, ma anche la selezione all’interno delle possibili tipologie aggressive, di quelle che possono vantare un sufficiente grado di pericolosità nei confronti del suddetto interesse48.

Del resto, che quella della valorizzazione del ruolo del bene giuridico e del grado dell’offesa sia la strada da percorrere, ci pare possa essere confermato anche da talune considerazioni di carattere generale.

In primo luogo, se si ammettesse che il diritto penale, con le fattispecie c.d. di inosservanza, svolge effettivamente il compito di tutelare, sic et simpliciter, funzioni amministrative, non si comprenderebbe come mai il legislatore ricorra spesso, per la repressione di condotte disobbedienti apparentemente identiche, a strumenti giuridici differenziati, comminando in alcune ipotesi una semplice sanzione amministrativa ed in altri casi sanzioni penali49. O, infatti, si giunge alla conclusione che gli interventi legislativi di criminalizzazione e depenalizzazione sono dominati da una logica completamente irrazionale, o si deve riconoscere, come noi riteniamo, l’esistenza di un’implicita graduazione del peso di ogni singola violazione, che non potrebbe essere individuata se non

46 In questo senso C. FIORE, Il principio di offensività, in Prospettive di riforma del codice penale e valori

costituzionali, Milano, 1996, 70. Condivide tale impostazione anche F. GIUNTA, Il diritto penale

dell’ambiente in Italia, cit., 1112. Per taluni rilievi critici cfr., invece, A. L. VERGINE, Ambiente nel diritto

penale, cit., 758. Sulla problematica dei c.d. beni strumentali o intermedi cfr., altresì, F. MANTOVANI (Il principio di offensività nello schema di delega legislativa, cit., 102), il quale riconosce che l’aggancio ad oggettività giuridiche «preesistenti», a beni giuridici finali è “fondamentale per legittimare, con sufficiente preservazione del principio di offensività, la criminalizzazione e per delimitare l’ambito della criminalizzazione dei fatti raggruppati sotto oggettività giuridiche intermedie e strumentali”.

47 F. C. PALAZZO, Principi costituzionali, beni giuridici e scelte di criminalizzazione, cit., 382; ID., I confini della tutela penale, cit., 472.

48 In tal senso cfr., per esempio, F. C. PALAZZO, Principi costituzionali, beni giuridici e scelte di

criminalizzazione, cit., 382, 383. 49 Proprio in relazione all’ipotesi dei reati ambientali cfr. M. CATENACCI, La tutela penale

dell’ambiente, cit., 84 ss.

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

131

con specifico riferimento ad un bene giuridico finale assunto ad oggetto di tutela50, sia pure attraverso la mediazione di complessi apparati organizzativi e di controllo, la cui predisposizione si giustifica, per lo meno in taluni casi, per l’impossibilità o l’insufficienza, come già anticipato51, degli strumenti penalistici puri ad un’efficace protezione dei suddetti beni52.

In altre parole, l’adeguatezza o l’inadeguatezza dell’intervento penale in materia ambientale, come anche in altri settori del diritto penale complementare, non può essere valutata se non facendo riferimento al bene finale, tutelato attraverso il filtro della disciplina amministrativa53. La necessità di una mediazione istituzionale, nel definire le possibili forme di tutela di dati beni, come è stato, infatti, rilevato54, non esclude, ma al contrario implica il riferimento a beni o interessi in gioco55.

In secondo luogo, il paradigma della mera tutela di funzioni parrebbe creare insormontabili problemi anche ai fini della commisurazione in concreto della pena; se, infatti, si ritiene possibile disancorare completamente l’applicazione della sanzione penale dalla necessaria relazione con il bene giuridico, si perderebbe un importante punto di riferimento per calibrare la giustizia della pena. Pertanto, o si ritiene che nelle ipotesi in esame tutti gli illeciti vengano appiattiti sulla semplice trasgressione, con la conseguente impossibilità di graduare la pena in rapporto all’importanza del bene tutelato e all’entità dell’offesa; oppure

50 Su tale profilo problematico cfr., tra gli altri, G. FIANDACA, Note sui reati di pericolo, ne Il Tommaso

Natale, 1977, in particolare 198 ss. 51 Cfr., amplius supra cap. I, § 5. 52 Parla, a questo proposito di “sinergie, spesso irrinunciabili, con le discipline extrapenali, le

quali, in determinati settori, fungono da asse portante di una tutela molto articolata” G. FIANDACA, Problemi e prospettive attuali di una nuova codificazione penale, in Foro it., 1994, V, 9.

53 Sul punto cfr. T. PADOVANI, La problematica del bene giuridico nella scelta delle sanzioni, cit., 120; ID., La distribuzione di sanzioni penali e sanzioni amministrative secondo l’esperienza italiana, cit., 958, 959; ID., La

scelta delle sanzioni in rapporto alla natura degli interessi tutelati, cit., 98. 54 D. PULITANÒ, La formulazione delle fattispecie di reato, cit., 40. 55 Parla, per esempio, di tutela mediata dei valori ambientali, attraverso la tutela “della complessa ed

articolata funzione pubblica che può compendiarsi nel governo dell’ambiente”, anche C. PEDRAZZI, Profili penalistici di tutela dell’ambiente, ne L’Indice pen., 1991, 620, nonché ID., Odierne esigenze economiche e

nuove fattispecie penali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1975, in cui l’Autore, in relazione alle fattispecie incentrate sulla violazione delle prescrizioni contenute in provvedimenti amministrativi, rileva come la tutela penale, in simili figure di reato, non possa “non andare oltre la strumentalità del provvedimento” e non possa “non aver di mira gli interessi sostanziali” (op. ult. cit., 1109). Su siffatta problematica nella dottrina spagnola, per tutti, N.J. DE LA MATA BARRANCO, I. DE LA MATA BARRANCO, La figura de la

autorizzación en la lesión de bienes jurídico-penales de carácter supraindividual, in Dogmática y ley penale. Libro

homenaje a Enrique Bacigalupo, Madrid, 2004, in particolare 495 ss.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

132

si cerca di recuperare, per lo meno in via interpretativa, il fondamentale ruolo che questi ultimi svolgono, non solo ai fini dell’an della punibilità, ma anche ai fini della determinazione del quantum di pena da applicare per la singola violazione.

In altri termini: là dove ciò sia possibile, senza comportare strappi al principio di legalità, l’interpretazione teleologica della singola fattispecie dovrebbe sforzarsi di portare allo scoperto il bene giuridico tutelato, per consentire, poi, una valutazione del diverso grado di offesa, proprio alla luce dell’intensità dell’aggressione all’oggetto di tutela previamente individuato56. Anche, dunque, rispetto al diritto penale c.d. accessorio posto a presidio di funzioni il bene giuridico rivela la sua insostituibile importanza, in quanto la meritevolezza o meno della tutela penale della funzione dipende, appunto, dal valore del bene che è protetto tutelando essa57.

3. Le condizioni di compatibilità con il principio di offensività Tanto premesso, ci sembra a questo punto indifferibile un’indagine che si

sforzi di distinguere, nell’ambito delle fattispecie in esame, quelle che sanzionano condotte in qualche misura effettivamente dotate di attitudine offensiva nei confronti del bene finale ambiente da quelle che, viceversa, incriminano condotte inosservanti sostanzialmente neutre quanto a disvalore e rispetto alle quali la disobbedienza al precetto parrebbe riassumere effettivamente l’unico elemento fondante il ricorso alla sanzione penale.

Tale distinzione, peraltro, ci sembra non solo possibile, ma anche opportuna per individuare le ipotesi in cui le fattispecie in esame possono essere reinterpretate in chiave teleologica, secondo la concezione politico-garantista di bene giuridico e di offesa − evidenziando quale elemento intrinseco della condotta incriminata, un potenziale pregiudizio al bene giuridico finale − e le ipotesi in cui, invece, le fattispecie, sanzionando attività talmente lontane dalla lesione o anche semplice messa in pericolo dell’ambiente, non sembrano conformi alle istanze sottese al principio di offensività, oltre che ai criteri di

56 Contra, nel senso cioè che nemmeno l’utilizzo di canoni ermeneutici di tipo teleologico possa

recuperare le ipotesi di reato fondate sulla violazione del momento autorizzativo o sull’inosservanza del provvedimento amministrativo e possa renderle compatibili con il principio di offensività, cfr. P. PATRONO, Diritto penale dell’impresa e interessi umani fondamentali, cit., 103, 104.

57 In questo senso cfr., tra gli altri, D. PULITANÒ, L’anticipazione dell’intervento penale in materia

economica, cit., 16.

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

133

proporzione e sussidiarietà, ed in relazione alle quali sembra dunque indispensabile una riformulazione delle stesse o una futura depenalizzazione.

Ebbene, nell’ambito del diritto penale ambientale è possibile effettuare una prima distinzione, sotto il profilo dell’offensività, tra fattispecie che incriminano, sia pure nella forma del reato di pericolo astratto, l’indiscutibile, anche se solo potenziale, pericolosità di determinate condotte, e fattispecie che, viceversa, parrebbero avere ad oggetto condotte ex sé meramente prodromiche alla realizzazione di eventi dannosi o pericolosi o, addirittura, la semplice inosservanza di obblighi di collaborazione con la P. A. da parte del privato. Ciò premesso, si comprende come anche un giudizio sulla compatibilità di queste due categorie di norme con il principio di offensività, oltre che con quello di extrema ratio, sarà nettamente differenziato.

La tutela della funzione amministrativa parrebbe, infatti, potersi giustificare solo là dove il controllo pubblico sia effettivamente finalizzato all’accertamento dei presupposti e dei requisiti di idoneità in assenza dei quali l’attività controllata presenta un rilevante pericolo per il bene ambiente assunto ad oggetto finale della tutela mediata58. Alla stessa conclusione non sembra, però, si possa pervenire in tutte le ipotesi in cui la norma penale incrimina un’attività talmente lontana dalla realizzazione di un, sia pure potenziale, pericolo nei confronti dell’ambiente, da lasciar supporre che essa abbia come scopo esclusivo, o decisamente prevalente, quello di facilitare i compiti assegnati alla pubblica amministrazione nei diversi settori di intervento ed esprima, dunque, solo un’esigenza di ordine e regolarità nello svolgimento dell’attività stessa.

Nondimeno, le fattispecie appartenenti al primo genus individuato non sono così rare come si potrebbe pensare aderendo acriticamente al paradigma della tutela di funzioni come illecito di mera disobbedienza.

Così, per esempio, da un’analisi delle diverse fattispecie poste a tutela dell’ambiente ci si può rendere conto di come non tutte le condotte di smaltimento, scarico, emissione, ecc., necessitino di un controllo preventivo da parte della pubblica amministrazione59, o, comunque, non sempre l’omessa spontanea sottoposizione a tale controllo risulta penalmente rilevante. Come è stato, infatti, rilevato60, l’obbligo di autorizzazione preventiva, penalmente presidiato, è tendenzialmente previsto, solo in relazione ad attività tecnologicamente complesse (per lo più economico-industriali), generalmente

58 Così, per esempio, F. C. PALAZZO, I confini della tutela penale, cit., 471. 59 In questo senso, amplius e per tutti, M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit., 142. 60 M. CATENACCI, ibid., 143, nt. 47.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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dotate di una spiccata attitudine lesiva nei confronti dell’equilibrio ambientale. Emblematica, a questo proposito, si rivela la circostanza, per esempio, che, ai sensi della disciplina prevista dal d.lg. 152 del 2006, è previsto l’obbligo, penalmente sanzionato, della preventiva autorizzazione, non per ogni scarico ma unicamente per quelli relativi ad acque reflue industriali61, connotati, dunque, da peculiari caratteristiche, quali, in particolare, la continuità e la regolarità62. Senza dimenticare, inoltre, gli aumenti di pena previsti nelle ipotesi in cui i suddetti scarichi abbiano ad oggetto sostanze pericolose63. Sicché, la presunzione di pericolosità che sta alla base delle incriminazioni in esame, trova il proprio fondamento, non tanto nella convinzione che ogni singola condotta di scarico, immissione, smaltimento, ecc., sia in grado di aumentare le probabilità di una grave alterazione degli equilibri ecologici di acque, aria e suolo, “ma sulla particolare forza cumulativa e sinergica che esse acquistano, allorché vengano esercitate in modo costante e continuo, come accade, appunto in appendice alle attività economico-produttive. Ciò che lascia presagire il pericolo, in altri termini, è che ognuna di quelle condotte, aggiungendosi con regolarità a quelle analoghe che la precedono o la seguono, e combinandosi normalmente con altri fattori ambientali ..., contribuisca in modo determinante ad accelerare la grave alterazione di cui sopra”64.

In simili ipotesi, dunque, con l’incriminazione, per esempio, dell’esercizio dell’attività in assenza dell’autorizzazione o in violazione delle prescrizioni in essa contenute o dei parametri di tollerabilità indicati nelle tabelle, il legislatore intende reprimere non la mera disobbedienza, bensì il prodursi, tramite la disobbedienza, di condotte già dotate dell’attitudine a pregiudicare beni preesistenti e ritenuti meritevoli di tutela65, utilizzando a tal fine la tecnica di tipizzazione propria dei reati di pericolo astratto, sulla cui legittimità, in

61 Ai sensi dell’art. 74, lett. h), d.lg. 152 del 2006, così come modificato dal d.lg. 4 del 16 gennaio

2008, acqua reflua industriale deve intendersi qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si

svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di

dilavamento. 62 M. CATENACCI, op. ult. cit., 142, 143. 63 Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, all’ipotesi di cui all’art. 137, comma 2, d.lg. 152 del

2006. 64 M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit., 143, nt. 47. 65 M. CATENACCI, op. ult. cit., 146. Analogamente cfr., nella dottrina spagnola, N. J. DE LA MATA

BARRANCO, Protección penal del ambiente y accessoriedad administrativa. Tratamiento penal de comportamientos

perjudiciales para el ambiente amparados en una autorización administrativa ilícita, Barcelona, 1996, 76.

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

135

presenza di precisi e rigorosi presupposti, la dottrina sembra, peraltro, aver superato, almeno in parte, gli originari e comprensibili motivi di diffidenza66.

Con ciò, peraltro, non si intende dire che l’esplicitazione a livello di formulazione della fattispecie incriminatrice dell’attitudine generale di determinate condotte a porre in pericolo l’ambiente sia operazione agevole. Al contrario, proprio l’estrema difficoltà di standardizzare, sulla base di generalizzazioni tratte dall’esperienza67, situazioni di pericolo dovrebbe stimolare la ricerca di criteri univoci, fondati su solide basi empirico-criminologiche ed idonei ad evidenziare in modo inequivoco comportamenti potenzialmente lesivi per il bene assunto ad oggetto finale della tutela68. Spesso, infatti, la progettazione legislativa delle fattispecie incriminatrici risulta carente proprio sotto il profilo delle conoscenze empiriche e criminologiche69, che dovrebbero, invece, costituire l’indispensabile supporto di un intervento penale razionale ed efficace. Uno dei problemi emergenti, infatti, è quello di contrabbandare il pericolo astratto con il rischio che sta alla base del principio di preucazione. Invero, la legittimazione del pericolo astratto nel diritto penale è stata fondata “sulla sicura base scientifica, sulla ragionevolezza della prova della pericolosità-standard (anche se non necessariamente in concreto) di sostanze o situazioni, bilanciata con l’importanza dei beni in gioco. (…) Nel caso del principio di precauzione la base epistemologica è rovesciata”70, posto che si giungerebbe a sanzionare comportamenti della cui pericolosità non si ha certezza, anzi proprio sulla base della non conoscenza della loro pericolosità o della loro efficacia eziologia nei confronti di eventi offensivi71.

66 Sul punto cfr., infra, §§ 3 ss. 67 Su tali problematiche cfr, amplius e per tutti, M. TALLACCHINI, Ambiente e diritto della scienza

incerta, in Ambiente e diritto, a cura di S GRASSI, M. CECCHETTI, A. ANDRONIO, Firenze, 1999, I, in particolare 73 ss.

68 Su tali profili problematici, con specifico riferimento alla tutela penale dell’ambiente, cfr., per esempio, S. PANAGIA, La tutela dell’ambiente naturale nel diritto penale d’impresa, Padova, 1993, 11, 12.

69 In questo senso cfr., espressamente, G. FIANDACA, E. MUSCO, Perdita di legittimazione del diritto

penale, cit., 36. Di recente evidenzia questa preoccupazione G. DE FRANCESCO (Interessi collettivi e tutela penale, cit., 934), il quale osserva come la categoria del “rischio” distinta da quella del “pericolo” non possa esprimere il motivo e il fondamento per legittimare ed incrementare ulteriormente la sfera degli illeciti di rilevanza penale, “quanto piuttosto per «spostare» il suo governo e il suo contenimento all’interno di un orizzonte di politica sociale estraneo alle logiche dell’intervento repressivo” (ibid., 955).

70 M. DONINI, Il volto attuale dell’illecito penale, cit., 120. 71 In tale prospettiva C. RUGA RIVA (Principio di precauzione e diritto penale. Genesi e contenuto della colpa

in contesti di incertezza scientifica, in Studi in onore di G. Marinucci, Milano, 2006, I, 1743) osserva che con il principio di precauzione si intende fornire al legislatore e ad organi amministrativi la legittimazione ad

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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A ciò si aggiunga la considerazione, che non qualunque attitudine offensiva della condotta può legittimare il ricorso ad una sanzione penale, dovendo necessariamente rimanere esclusi dall’area del penalmente rilevante tutti i fatti dotati di una pericolosità esigua. Sicché sorge a questo punto l’ulteriore questione relativa all’individuazione della misura della pericolosità, nei confronti del bene giuridico tutelato, che il fatto descritto dalla norma dovrebbe possedere per giustificare la previsione di una sanzione penale72. A dire, in sintesi ed in termini generali, che la questione cruciale sollevata dai reati di pericolo astratto, come è stato rilevato73, non consiste tanto nella giustificazione della categoria, cioè della tecnica di astrazione tipizzante e della correlativa anticipazione della soglia di tutela, ma nella giustificazione delle singole norme che pretendono di esservi incluse.

È, comunque, indubbio che in talune ipotesi la tutela delle funzioni amministrative si colloca di fatto in una posizione talmente lontana dall’offesa all’interesse ambientale finale, da far pensare che il legislatore abbia voluto effettivamente sanzionare unicamente l’inosservanza del precetto amministrativo; ipotesi, in altre parole, in cui “l’anticipazione della tutela, va ben oltre lo stesso pericolo astratto o presunto, per giungere ad uno stadio che si potrebbe definire di pericolo «apodittico»“74. Ebbene, non pare contestabile che in tali casi, data la natura esclusivamente formale dell’infrazione, il ricorso alla sanzione penale sia assolutamente privo di qualunque giustificazione. I criteri di sussidiarietà e proporzione sembrano, pertanto, suggerire in simili ipotesi di elusione del sistema amministrativo di controllo la strada obbligata della depenalizzazione75.

adottare, rispettivamente, normative e provvedimenti in contesti di incertezza scientifica, precisando che “con la formula «incertezza scientifica» alludiamo a contesti in cui si avanzano serie congetture di gravi pericoli per beni fondamentali, pur in assenza di consolidate evidenze scientifiche circa l’effettiva pericolosità di date condotte, prodotti o sostanze, o in presenza di dati scientifici discordanti o comunque non pienamente corroborati”. Su tale controverso profilo, da ultimo, G. FORTI, La «chiara luce della verità» e «l’ignoranza del pericolo». Riflessioni penalistiche sul principio di precauzione,

in Scritti per Federico Stella, Napoli, 2007, I, in particolare 614 ss. Nella dottrina tedesca, con specifico riferimento alla materia ambientale, M. KLOEPFER, Umweltrecht, München, 2004, 177 ss.

72 Su tale problematica cfr., in termini generali, G. FIANDACA, Il «bene giuridico» come problema teorico

e come criterio di politica criminale, cit., 77. 73 Esplicitamente, tra gli altri, D. PULITANÒ, Bene giuridico e giustizia costituzionale, in Bene giuridico e

riforma della parte speciale, a cura di A. STILE, Napoli, 1985, 166. 74 A. DE VITA, I reati a soggetto passivo indeterminato, cit., 89. 75 In questo senso cfr., per tutti, F. C. PALAZZO, I criteri di riparto tra sanzioni penali e sanzioni

amministrative, cit., 48; ID., Bene giuridico e tipi di sanzioni, cit., 226, 227.

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

137

Si deve peraltro registrare, a questo proposito, una tendenza, a più riprese manifestata dal legislatore, sia pure con qualche incoerenza e disarmonia interna, a trasferire nel campo dell’illecito amministrativo punitivo diverse fattispecie, originariamente penalmente sanzionate76, prive di significativa e autonoma attitudine offensiva nei confronti del bene ambiente. A titolo puramente esemplificativo basti ricordare che già la legge 172 del 1995, aggiungendo un nuovo comma all’art. 21 dell’abrogata c.d. legge Merli, aveva stabilito che l’obbligo di richiedere l’autorizzazione per chi effettuava scarichi civili o di pubbliche fognature non fosse più penalmente, ma solo amministrativamente, sanzionato77.

Nondimeno, sono tuttora presenti nel nostro ordinamento ipotesi in cui il legislatore incrimina il compimento di attività assolutamente neutre quanto a disvalore e nei confronti delle quali parrebbe, dunque, impossibile qualunque operazione ermeneutica di recupero in chiave di offesa, che non si traduca in uno stravolgimento del dato normativo78. Si pensi, ancora una volta a titolo puramente esemplificativo, a fattispecie quali quella delineata dalla prima parte dell’art. 279 d.lg. 152 del 2006, in tema di inquinamento atmosferico, che, tra le diverse ipotesi ivi contemplate, punisce con la pena dell’arresto o dell’ammenda anche chi inizia a installare un impianto in assenza della prescritta autorizzazione79. Tanto che, nell’ambito del diverso settore afferente alla gestione dei rifiuti, dottrina e giurisprudenza – invero agevolate dalla parzialmente diversa formulazione letterale della corrispondente fattispecie incriminatrice – hanno escluso che possa considerarsi penalmente rilevante la mera realizzazione non autorizzata di un impianto per lo smaltimento di rifiuti, posto che l’incriminazione (prima contenuta nell’abrogato art. 51, comma 1, d.lg. 22 del 1997, ora nell’art. 256, comma 1, d.lg. 152 del 2006) fa riferimento all’esercizio concreto delle contemplate attività di gestione abusiva80. Come è intuitivo, infatti,

76 Sul punto, in termini generali, cfr. F. C. PALAZZO, I confini della tutela penale, cit., 470 ss. 77 Sul punto cfr., amplius, G. AMENDOLA, La tutela penale dall’inquinamento idrico. Manuale operativo,

Milano, 1996, 181 ss.; A. L. VERGINE, Nota introduttiva alla voce «acque», in Commentario breve alle leggi

penali complementari, a cura di F. C. PALAZZO, C. E. PALIERO, Padova, 2007, 67. 78 In questo senso, M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit., 157. 79 Critiche nei confronti di analoga fattispecie prevista dall’abrogata disciplina sono state

formulate, per esempio, da P. PATRONO, Diritto penale dell’impresa e interessi umani fondamentali, cit., 22; M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit., 157.

80 Cass., III, 14 aprile 2005, Dami, in Urbanistica e appalti, 2005, 987. In questo senso, nella dottrina, sia pure sotto il vigore dell’abrogato d.P.R. 915 del 1982, F. MUCCIARELLI, Rifiuti, in Dig. disc.

pen., XII, 1997, 276. In senso difforme, invece, L. SIRACUSA (La tutela penale dell’ambiente. Bene giuridico e

tecniche di incriminazione, Milano, 2007, 190), ad avviso della quale, allorché la costruzione abusiva

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la semplice realizzazione in assenza della prescritta autorizzazione di nuovi impianti di smaltimento o recupero che non fosse poi seguita dalla effettiva gestione degli stessi non sembra suscettibile di apportare alcun pregiudizio per il bene tutelato, neppure nella forma della semplice messa in pericolo dello stesso.

Si pensi, ancora, più in generale, a tutte le fattispecie che sanzionano il mancato rispetto di un obbligo di comunicazione o informazione della pubblica amministrazione, in cui, appunto, la mancata comunicazione “da sola costituisce oggetto della pretesa comportamentale presidiata dalla sanzione penale”81. Si cita – ancora una volta come mera esemplificazione − l’art. 137, comma 7, d.lg. 152 del 2006, nella parte in cui sanziona il gestore del servizio idrico integrato che non ottempera all’obbligo di comunicazione di cui all’art. 110, comma 3. Invero, se anche in siffatte ipotesi la ratio dell’incriminazione risiedesse nella pericolosità intrinseca della condotta attiva, non si capirebbe perché, una volta assolto un obbligo meramente formale, quale ad esempio l’invio di una notifica o di una comunicazione, quella stessa condotta debba considerarsi lecita82. Si comprende, infatti, come in questi casi il discrimine tra lecito ed illecito non si debba cogliere nell’avvenuto controllo, e nel conseguente giudizio di ammissibilità, di una condotta generalmente pericolosa, ma solo nella “mancata «mesa in condizione» della P.A. di effettuare quel controllo; un «avvenimento» invero talmente «lontano» dalla lesione o messa in pericolo del bene che proprio attraverso il controllo si intende tutelare, da lasciare ragionevolmente supporre che in realtà lo scopo perseguito con l’incriminazione sia solo quello di facilitare i compiti assegnati alla P.A.”83. Fattispecie così costruite non appaiono riconducibili neppure al paradigma del pericolo astratto, posto che non vi è alcuna base di giudizio idonea a fondare la previsione che i comportamenti sanzionati possano risultare pericolosi per l’ambiente.

Analoghe perplessità suscitano, altresì, le fattispecie costruite su valori-soglia scientificamente inattendibili, in quanto ispirati ad una logica precauzionista spinta

concerna un impianto destinato a rifiuti particolarmente nocivi, il disvalore penale del fatto sarebbe espresso proprio dal requisito di “pericolosità” dei rifiuti; “requisito che trasferisce la propria carica di potenziale lesivo anche alle attività di apprestamento di strutture e mezzi tecnici aventi ad oggetto rifiuti di tale natura” (corsivo aggiunto). “Il legislatore, di conseguenza, non sarebbe censurabile laddove sottoponesse a presidio penale un’attività preliminare dell’iter criminis che costituisse già di per sé un comportamento pericoloso, a causa della particolare carica offensiva delle sostanze al cui trattamento quell’attività è destinata” (ivi, 191).

81 F. GIUNTA, Il diritto penale dell’ambiente in Italia, cit., 1113. 82 M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit., 137. 83 M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit., 137, nonché 148.

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

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e conseguentemente portatori di esigenze di massima cautela di fronte all’incerto. In siffatti casi mancherebbe la base epistemologica per verificare qualunque (sia pure astratto) pericolo per il bene protetto. Il “reato di pericolo astratto fondato sull’incertezza scientifica si svincola dalla logica della tutela del bene giuridico ‘a rischio’, proprio perché del rischio non c’è prova”84.

Tutto ciò premesso, ci sembra, dunque, che il profilo attualmente meritevole di ulteriore approfondimento sia soprattutto quello relativo alla verifica della correttezza della prognosi di dannosità di volta in volta cristallizzata dal legislatore in materia ambientale attraverso la costruzione di specifiche fattispecie di pericolo astratto85. In tale prospettiva non si può non concordare con il rilievo, formulato per il vero in termini generali, in relazione all’esigenza che “il legislatore si avvalga il più possibile del contributo conoscitivo offerto dall’indagine socio-criminologica, la sola tendenzialmente capace di suffragare con criteri di tipo empirico il giudizio relativo alla «dannosità sociale» di un determinato comportamento”86. La suddetta valutazione dovrebbe, infatti, costituire il punto di riferimento imprescindibile per verificare, poi, fino a che punto la singola condotta possegga in sé un disvalore plausibile e sufficiente a giustificare l’incriminazione87, in quanto almeno potenzialmente lesiva per il bene protetto.

3.1. Il pregiudizio potenziale per il bene giuridico finale

Premesso dunque che le ipotesi di tutela anticipata costruite dal legislatore sembrerebbero giustificarsi solo là dove le stesse rendano visibile sullo sfondo il bene finale, risulta altresì chiaro come una prima condizione di compatibilità di tali fattispecie con il principio di offensività sia rappresentata, come già anticipato, dalla tipizzazione di condotte che presentino una apprezzabile potenzialità offensiva nei confronti del bene. È necessario, in altri termini, che fra le condotte da prevenire e reprimere e l’ambiente vi sia “una relazione, in qualche senso, offensiva, contro cui difendersi”88, in quanto il comportamento

84 F. GIUNTA, Il diritto penale e le suggestioni del principio di precauzione, in Criminalia, 2006, 247. 85 In questo senso cfr., in termini generali e per tutti, G. MARINUCCI, Relazione di sintesi, in Bene

giuridico e riforma della parte speciale, cit., 339; G. GRASSO, L’anticipazione delle tutela penale, cit., 717. 86 G. FIANDACA, Il «Bene giuridico» come problema teorico e come criterio di politica criminale, cit., 74.

Concordemente, G. GRASSO, L’anticipazione della tutela penale, cit., 718. 87 G. FIANDACA, La tipizzazione del pericolo, cit., 61. Su tale problematica in termini generali cfr.,

altresì, F. ANGIONI, Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico, cit., 210 ss. 88 D. PULITANÒ, Politica criminale, cit., 35, nonché ID., L’anticipazione dell’intervento penale in materia

economica, in Atti del IV Congresso nazionale di Diritto penale, Torino, 1996, 11, 12.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

140

costituente reato, in circostanze normali, risulta effettivamente caratterizzato dall’attitudine a ledere, appunto, il bene oggetto della tutela89. Viceversa, risultrerebbe estremamente problematico tracciare uno spazio di legittimazione a fattispecie penali edificate sul principio di precauzione che – come è stato osservato – “rispetto al percorso comunemente seguito nelle verifica delle premesse di legittimazione dell’intervento punitivo, e dello stesso modello del pericolo astratto, sembra proporre un vero e proprio «ribaltamento epistemologico», assumendo l’incertezza scientifica sulla pericolosità di talune condotte o situazioni come starting point per il relativo divieto penale”90.

Solo, infatti, se la condotta tipizzata risulta, secondo le comuni regole di esperienza, pericolosa, i reati di pericolo astratto possono svolgere un’effettiva funzione di protezione di beni giuridici. In presenza di tale presupposto il soggetto non verrebbe punito né per una mera disobbedienza, né per una pericolosità soggettiva91. In altre parole, esclusivamente il richiamo ad una determinata situazione di fatto potenzialmente lesiva consente di ritenere che l’intervento penale non si fondi sul mero atteggiamento soggettivo dell’autore e non sia volto a colpire una condotta insignificante quanto ai suoi profili offensivi92. A ciò si aggiunga la circostanza che, qualora i reati di pericolo astratto vengano costruiti a prescindere da una significativa relazione con la messa in pericolo del bene tutelato, essi non solo si porrebbero in tensione con il principio di offensività, ma renderebbero ancora più problematico il riconoscimento del disvalore intrinseco del comportamento vietato, non permettendo di percepire il contenuto illecito del fatto e realizzando, in tal

89 G. GRASSO, Anticipazione della tutela penale, cit., 707. Più di recente, C. PIERGALLINI, Danno da

prodotto e responsabilità penale. Profili dommatici e politico-criminali, Milano, 2004, in particolare 504 ss., ad avviso del quale “nelle decisioni in stato di incertezza, il preteso pericolo è ‘figlio della nostra ignoranza’, nel senso che non dipende dall’esistenza di una acclarata o comunque pronosticabile dimensione oggettiva, ma da uno stato di incertezza e di disorientamento” (ivi, 508). In argomento cfr., altresì, V. MANES, Il principio di offensività nel diritto penale. Canone di politica criminale, criterio

ermeneutico, parametro di ragionevolezza, Torino, 2005, in particolare, 293 ss. 90 V. MANES, Il principio di offensività nel diritto penale, cit., 296. Analogamente, M. DONINI, Il volto

attuale dell’illecito penale, cit., 119 ss. 91 D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria generale del reato, Milano, 1976, 169, 170, 171; G.

GRASSO, L’anticipazione della tutela penale, cit., 707. Nello stesso senso G. FIANDACA (Note sui reati di

pericolo, cit., 198), secondo il quale “la funzione di tutela di beni giuridici sottesa alle fattispecie di pericolo astratto e la potenzialità lesiva, pur sempre coglibile, della condotta astrattamente pericolosa, impediscono che il giudizio sul fatto materiale sfumi in un giudizio sull’autore, ovvero nella repressione della mera disobbedienza”.

92 Così N. MAZZACUVA, Disvalore di azione e disvalore di evento nella «descrizione» dell’illecito penale: aspetti

problematici, in Funzioni e limiti del diritto penale, Padova, 1984, 258.

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

141

modo, una violazione del principio di colpevolezza93, così come interpretato con la sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988.

Tutto questo, in sintesi, significa che, la pretesa di obbedienza al precetto si giustifica solo se la prescrizione legale mantenga un nesso con una specifica funzione di tutela. “Quel nesso che la stessa espressione «pericolo astratto» bene o male designa, e che bene servirebbe a distinguere date condotte da altre, la cui pericolosità non sia dato nemmeno astrattamente ipotizzare”94.

Invero, la circostanza che nei reati di pericolo astratto non sia richiesta, ai fini dell’integrazione del fatto tipico, la verificazione di un vero e proprio evento di pericolo95, non deve far pensare che in essi sia irrilevante il dato dell’offesa96. Semplicemente, l’astrazione del pericolo rappresenta una particolare forma di tecnica normativa che il legislatore adotta, in presenza di particolari presupposti, soprattutto al fine di superare le difficoltà di prova che l’accertamento di un pericolo concreto in taluni casi potrebbe comportare97.

Nondimeno, come è stato posto in luce dalla più attenta dottrina sensibile al tema in oggetto, nell’attuale “società dell’incertezza” il pericolo tende a distinguersi dal rischio, per la mancanza spesso di basi epistemologiche sufficienti per misurare il reale potenziale lesivo di determiante attività98. Da qui si comprende il monito a non fondare la base cognitiva di doveri e divieti sull’incertezza, tanto più laddove a venire in considerazione sia una

93 M. PARODI GIUSINO, Su alcune conseguenze, riguardanti i reati di pericolo, dall’applicazione dei principi

posti a fondamento della sentenza n. 364/1988 della Corte costituzionale, in Responsabilità oggettiva e giudizio di

colpevolezza, a cura di A. STILE, Napoli, 1989, 218, 219. 94 D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, cit., 170. L’Autore precisa, altresì, che il

pericolo «astratto» non è una situazione neutra rispetto ai possibili oggetti di tutela, e che quindi può essere presa in considerazione anche in una prospettiva di tutela ancorata a beni giuridici (op. ult. cit., 170, 171).

95 Evento la cui verificazione deve viceversa, come è noto, essere oggetto di effettivo accertamento nei reati di pericolo concreto. Sul punto cfr., amplius e per tutti, C. FIORE, Diritto penale.

Parte generale, I, cit., 182 ss. 96 In questo senso cfr. C. FIORE, Diritto penale. Parte generale, I, cit., 183; M. ROMANO, Commentario

sistematico del codice penale, cit., 342. 97 In tale prospettiva si è efficacemente osservato che “molto spesso un pericolo astratto

seriamente tipizzato è assai più significativo di un pericolo concreto ancorato a sub-eventi di media gittata” (così M. DONINI, Teoria del reato, in Dig. disc. pen., XIV, Torino, 1999, 273).

98 G. DE FRANCESCO, Interessi collettivi e tutela penale. «Funzioni» e programmi di disciplina dell’attuale

complessità sociale, in Studi in onore di G. Marinucci, I, Milano, 2006, 934.

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responsabilità di tipo penale99, rispetto alla quale addossare all’individuo i rischi dell’ignoto determinerebbe “una lacerazione del principio di equità, per l’assenza di «contenuti» criminali, sia sotto il profilo oggettivo che sotto il profilo della colpevolezza”100.

Più precisamente, con ciò si vuole dire che, in genere, l’astrattezza del pericolo non deve implicare un minor grado di pericolosità101, perché la differenza tra pericolo astratto e pericolo concreto va posta esclusivamente in termini di tecnica legislativa adoperata102; tecnica alla quale corrisponde poi inevitabilmente, come è noto, una differenza di criteri per l’accertamento, da parte del giudice, dell’integrazione della fattispecie103. Mentre, infatti, con la tipizzazione di reati di pericolo concreto si affida all’interprete il compito di valutare di volta in volta, secondo le comuni regole di esperienza, quando si sia realizzata una rilevante possibilità di verificazione dell’evento lesivo104; con la previsione di reati di pericolo astratto il legislatore descrive egli stesso in via generale ed astratta delle condotte ritenute generalmente pericolose, sicché la fattispecie viene comunque incentrata intorno ad un pericolo, del quale però non viene fatta menzione espressa nell’ambito del singolo tipo criminoso105, limitandosi quest’ultimo a descriverne una tipica ed astratta forma di manifestazione106. Questa circostanza, tuttavia, non implica che il giudice in

99 G. DE FRANCESCO, Interessi collettivi e tutela penale, cit., 934. Su tale delicato problema cfr., altresì

amplius, G. FORTI, “Accesso” alle informazioni sul rischio e responsabilità: una lettura del principio di precauzione,

in Criminalia, 2006, in particolare 204 ss. 100 F. STELLA, Giustizia e modernità. La protezione dell’innocente e la tutela delle vittime, Milano, 2003, 472. 101 F. ANGIONI, Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico, cit., 177; ID., Beni costituzionali e criteri

orientativi sull’area dell’illecito penale, in Bene giuridico e riforma della parte speciale, cit., in particolare 73; G. GRASSO, L’anticipazione della tutela penale, cit., 697; M. PARODI GIUSINO, I reati di pericolo tra dogmatica e

politica criminale, Milano, 1990, 49. 102 In questo senso cfr., per esempio, F. ANGIONI, Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico,

cit., 177 ss.; N. MAZZACUVA, Il disvalore di evento nell’illecito penale, cit., 171; ID., Evento, in Dig. disc. pen.,

IV, Torino, 1990, 457; G. GRASSO, L’anticipazione della tutela penale, cit., 697; G. FIANDACA, La

tipizzazione del pericolo, cit., 50. 103 Da ultimo, F. D’ALESSANDRO, Il diritto penale dei limiti-soglia e la tutela dai pericoli nel settore

alimentare: il caso della diossina, in Scritti per Federico Stella, Napoli, 2007, 1136 ss. Più in generale sulle differenze tra reati di pericolo concreto e reati di pericolo astratto o presunto cfr., per tutti, M. GALLO, I reati di pericolo, cit., 1 ss.; S. CANESTRARI, Reati di pericolo, in Enc. giur. Treccani, XXVI, Roma, 1991, in particolare 2 ss.; F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., 205 ss.; G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto

penale. Parte generale, cit., 199; T. PADOVANI, Diritto penale,cit., 135 ss. 104 Sul punto cfr., tra gli altri, G. FIANDACA, La tipizzazione del pericolo, cit., 49 ss. 105 Cfr., per tutti, G. FIANDACA, Note sui reati di pericolo, cit., 175. 106 In questo senso cfr., G. GRASSO, L’anticipazione della tutela penale, cit., 697; M. PARODI GIUSINO,

I reati di pericolo, cit., 284, 285.

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

143

sede di accertamento debba solo verificare l’astratta conformità tra fatto concreto e modello legale; egli, infatti, dovrà comunque verificare “che il fatto tipico presenti quelle generali caratteristiche di pericolosità che la legge indica; che esso abbia già, cioè, alcune di quelle qualità che potrebbero effettivamente determinare un pericolo”107.

Del resto anche la giurisprudenza non si è mostrata insensibile a tali rilievi, riconoscendo con sempre maggiore frequenza che anche gli illeciti costruiti dal legislatore con la tecnica del pericolo astratto non possono ritenersi integrati là dove il comportamento risulti ictu oculi inidoneo a cagionare l’offesa108.

Invero, la categoria dei reati di pericolo astratto ha vissuto, come è noto, alterne fortune nell’ambito del dibattito sviluppato dalla scienza penalistica. Ad un generale apprezzamento, nel corso degli anni ‘70, per il modello di illecito costruito attraverso la previsione di un pericolo concreto, in considerazione del carattere di maggior garanzia nei confronti del principio di offensività, e alla conseguente tendenziale diffidenza nei confronti dei reati di pericolo astratto, ha fatto seguito, successivamente, una, sia pure cauta, tendenza a superare ogni pregiudiziale avversione nei confronti di quest’ultima tecnica di tipizzazione dell’illecito penale109. E ciò soprattutto, come anticipato, alla luce della

107 M. PARODI GIUSINO, I reati di pericolo, cit., 285; F. D’ALESSANDRO, Il diritto penale dei limiti-soglia

e la tutela dai pericoli nel settore alimentare, cit., 1137. Analoga opzione interpretativa parrebbe essere fatta propria da E. GALLO, Riflessioni sui reati di pericolo, Padova, 1970, in particolare 39 ss. Nello stesso senso cfr., altresì, M. CATENACCI, La tutela penale del’ambiente, cit., 155. Sul punto cfr. anche C. FIORE, Diritto penale. Parte generale, cit., 185.

108 In questo senso cfr., per esempio, Cass., III, 28 gennaio 1998, Ruffatti, in C.e.d. 210469, nonché Cass., III, 21 novembre 1997, Zauli, in Cass. pen., 1999, 1580, con la quale si riconosce espressamente che “sebbene la natura di reato di pericolo della fattispecie prevista e punita dall’art. 1 sexies della legge n. 431 del 1985 determini l’incriminazione di condotte che non arrecano in concreto un danno all’interesse giuridicamente tutelato, dette condotte devono essere tuttavia astrattamente idonee a metterlo in pericolo, e pertanto non si può logicamente prescindere da una valutazione “ex ante” del nocumento potenziale oggettivamente insito nella minaccia ai valori del paesaggio”.

109 In questo senso cfr., tra gli altri, G. FIANDACA, Note sui reati di pericolo, cit., 175 ss.; G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, Milano, 1979, 58, 59; R. RIZ, Pericolo, situazione di pericolo,

condotta pericolosa, ne L’Indice pen., 1983, 507; G. GRASSO, L’anticipazione della tutela penale, cit., 690; N. MAZZACUVA, La legislazione penale in materia economica: normativa vigente e prospettive di riforma, in Riv. it. dir.

proc. pen., 1987, in particolare 505, 506; G. MARINUCCI, Profili di una riforma del diritto penale, cit., 29; D. PULITANÒ, La formulazione delle fattispecie, cit., 38, 41; E. GALLO, Attentato (delitti di), in Dig. disc. pen., I, Torino, 1987, 352, 353; G. FIANDACA, Note sul principio di offensività e sul ruolo della teoria del bene giuridico

tra elaborazione dottrinale e prassi giudiziaria, in Le discrasie tra dottrina e giurisprudenza in diritto penale, Napoli, 1991, 72; S. CANESTRARI, Reati di pericolo, cit., 7; M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale,

cit., 342; M. PARODI GIUSINO, La condotta nei reati a tutela anticipata, ne L’Indice pen., 1999, in particolare 701.; M. ROMANO, Razionalità, codice e sanzioni penali, in Amicitiae pignus. Studi in ricordo di Adriano

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

144

constatazione delle difficoltà ed incertezze che l’accertamento di un pericolo concreto fatalmente comporta, soprattutto in determinati settori110.

Il vero punctum dolens dei reati di pericolo astratto parrebbe tuttora risiedere, come si vedrà111, nella possibile realizzazione di uno scarto tra conformità al tipo e effettiva pericolosità della condotta112. In altre parole, è ipotizzabile che in taluni casi il legislatore tipizzi una condotta assunta, in base a comuni regole di esperienza, come pericolosa e che, poi, in concreto, quella stessa condotta si riveli di fatto priva di qualunque potenzialità offensiva e, dunque, che il giudizio fondato sull’esperienza si riveli falso; sicché, al comportamento vietato non si accompagnerebbe la verificazione di quel pericolo in vista del quale il legislatore aveva costruito la fattispecie incriminatrice e quest’ultima parrebbe effettivamente reprimere la mera disobbedienza del soggetto agente al contenuto del precetto. Per questa ragione fondamentale si è dubitato che i reati di pericolo astratto siano compatibili con un sistema incentrato sul principio di offensività.

Tuttavia simile rischio, sicuramente insito per lo meno in talune ipotesi di reati di pericolo astratto, parrebbe in parte superabile attraverso idonei correttivi, tra i quali, in particolare: una adeguata tipizzazione della condotta intrinsecamente pericolosa con l’impiego di una terminologia pregnante113, che arricchisca la “fattispecie di elementi tipicamente connessi con la creazione di

Cavanna, Milano, 2003, 1892; M. CATENACCI, I reati di pericolo presunto fra diritto e processo penale, in Studi in onore di G. Marinucci, II, Milano, 2006, 1415 ss. Sul punto cfr., altresì, M. DONINI, Selettività e paradigmi della teoria del reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, in particolare 371 ss. Rinnovate perplessità nei confronti della tipologia dei reati di pericolo astratto sono state, invece, manifestate, da A. L. VERGINE, Ambiente nel diritto penale, cit., in particolare 761. Nell’ambito della giurisprudenza costituzionale cfr. sul tema, per tutte, le sentenze: n. 265 del 7 luglio 2005, in Giur. cost., 2005, 2432; n. 247 del 1997, in Foro it., 1998, I, 712; n. 333 del 1991, in Giur. cost., 1991, 2647 ss.

110 Sul punto cfr., di recente e per tutti, V. MANES, Il principio di offensività nel diritto penale, cit., in particolare 290 ss. Nella manualistica, amplius, G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Corso di diritto penale, cit., 567 ss. Sulla difficoltà di determinare concettualmente la nozione di pericolo e sui problemi che i reati di pericolo concreto sollevano dal punto di vista dell’individuazione dei relativi criteri di accertamento, cfr., per tutti, F. ANGIONI, Il pericolo concreto come elemento della fattispecie penale. La struttura

oggettiva, Sassari, 1994, 2 ss. 111 Cfr. amplius infra §§ 4 ss. 112 Sul punto cfr., amplius e per tutti, G. GRASSO, L’anticipazione della tutela penale, cit., 705 ss. Più di

recente, in relazione a tale problema, nonché ai possibili rimedi, A. MANNA, I reati di pericolo astratto e presunto e i modelli di diritto penale, in Questione giustizia, 2001, 438 ss.; M. CATENACCI, I reati di pericolo presunto, cit., 1415 ss.

113 Sul punto cfr. amplius infra § 3.4.

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

145

un pericolo”114; la valorizzazione della cornice empirico-criminologica della fattispecie115; l’eventuale uso di clausole negative di delimitazione della responsabilità116. Il suddetto rischio parrebbe, inoltre, bilanciato dall’esigenza politico criminale di apprestare un’adeguata protezione nei confronti di beni particolarmente rilevanti, tanto più laddove la tutela nella forma del pericolo concreto risulti insufficiente per la difficoltà di precisare i termini di probabilità della lesione. A tale proposito si rileva come la incriminazione dei reati di pericolo astratto sia “uno strumento indispensabile della politica criminale (…); e le norme in questione quando siano formulate in modo da descrivere accuratamente la condotta illecita, sono più rispettose delle garanzie del cittadino di quanto non possa esserlo la incriminazione di un pericolo concreto, l’accertamento del quale è lasciato – come si sa – all’arbitrio non sempre prudente di chi giudica” 117.

Per questo motivo, gli altri requisiti la cui sussistenza è altrettanto indispensabile, oltre all’individuazione di condotte potenzialmente pericolose per il bene protetto, al fine di legittimare il ricorso alla sanzione penale attraverso la costruzione di fattispecie di pericolo astratto, sono da ravvisare nel rango del bene finale tutelato118, nella effettiva necessità di ricorrere a simile forma di tutela in considerazione delle difficoltà di accertamento del nesso causale tra determinate condotte e la creazione di una situazione di pericolo effettivo per il bene protetto119, nonché nell’adeguata tipizzazione della condotta ritenuta intrinsecamente pericolosa120.

114 G. FIANDACA, Note sui reati di pericolo, cit., 188. In senso analogo cfr., altresì, F. ANGIONI

(Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico, cit., 107, nt. 25), ad avviso del quale nei reati di pericolo astratto “il presupposto di pericolosità (per un certo bene giuridico), che è stato fra i motivi dell’emanazione della norma, anche se non si condensa materialmente tra i requisiti della fattispecie tramite un esplicito elemento ‘pericolo per il bene giuridico x’ espressamente nominato”, deve ugualmente trasparire “o dal significato delle parole che formano il contesto semantico della fattispecie o in seguito all’utilizzazione di consueti canoni ermeneutici (interpretazione teleologica, sistematica, considerazioni del testo delle rubriche, ecc.)”.

115 Sul punto cfr. amplius infra § 4.2. 116 Sul punto cfr., infra, §§ 4.1. e 4.4. 117 A. PAGLIARO, I principi generali del progetto Grosso e le tendenze del diritto penale, in Riv. trim. dir. pen.

econ., 2001, 94. 118 Cfr. infra § 3.2. 119 Cfr. infra § 3.3. 120 Cfr. infra § 3.4.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

146

3.2. Il rango del bene finale tutelato

Una corretta impostazione della questione relativa all’ammissibilità o meno di fattispecie di inosservanza in un ordinamento che parrebbe aver recepito tra i propri principi cardine anche quello della necessaria offensività del reato, deve muovere, dunque, innanzitutto dagli scopi di politica criminale che le stesse sono destinate ad assolvere. Bisogna, in altre parole, prendere atto della circostanza che nella attuale realtà socio-economica non sembra immaginabile una rinuncia totale alla tutela penale di determinati beni di grande importanza, che tuttavia spesso non parrebbe realizzabile, o risulterebbe comunque inadeguata, se ristretta alle sole ipotesi di danno o di pericolo concreto121. L’attuale conformazione della società, caratterizzata da un alto grado di complicazione e standardizzazione dei suoi processi122, e la particolare struttura di determinati beni, peraltro in continua espansione, sono, infatti, tali da far ritenere che la protezione di questi ultimi tendenzialmente non sia realizzabile se non facendo affidamento sulla “pretesa dell’osservanza generalizzata di regole di condotta idonee ad evitare il rischio che una indefinita reiterazione di condotte potenzialmente pericolose finisca con il pregiudicare la salvaguardia dell’integrità del bene”123. Il nucleo, dunque, della problematica dei reati di pericolo astratto parrebbe risiedere innanzitutto nella corretta individuazione dei settori, nel cui ambito appare consigliabile, o addirittura necessario, anticipare la tutela sino alla soglia del pericolo astratto124.

Non ha, del resto, bisogno di particolari dimostrazioni l’assunto in forza del quale l’anticipazione della tutela penale deve considerarsi tanto più esente da obiezioni, quanto più elevato è il rango del bene esposto a rischio125 e la gravità

121 In questo senso, C. FIORE, Diritto penale. Parte generale, cit., 184; G. FIANDACA, E. MUSCO,

Diritto penale. Parte generale, cit., 202 ss. Cfr., altresì, A. MERLI, Introduzione alla teoria generale del bene giuridico, cit., 79 ss., 295 ss.

122 D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, cit., 171. 123 C. FIORE, Diritto penale. Parte generale, cit., 184. 124 Così G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, cit., 202 ss. 125 In questo senso, per tutti, G. FIANDACA, La tipizzazione del pericolo, cit., 50; D. PULITANÒ La

formulazione delle fattispecie di reato, cit., 41; F. ANGIONI Beni costituzionali e criteri orientativi sull’area

dell’illecito penale, cit., 72; ID., Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico, cit., 206. Anche la Corte costituzionale ha osservato che “deve ritenersi ammissibile, sul piano costituzionale, la previsione legislativa di reati di mero pericolo, qualora il bene tutelato, per il suo valore – come apprezzato dallo stesso legislatore (…) – esiga protezione anche da potenziali interventi di manomissione, conseguenti alla mancanza di previa verifica dell’amministrazione mediante intervento abilitativo per determinate attività o condotte” (Corte cost., 4-8 maggio 1998, n. 158, in Giur. cost., 1998, 1401).

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

147

minima dell’offesa in grado di legittimare l’intervento penale inevitabilmente cresce con il decrescere del rango del bene giuridico in gioco126. Sicché il problema relativo alla legittimazione dei reati di pericolo astratto si pone, in primis, in una logica di proporzione tra interesse tutelato e sanzione minacciata127.

Si comprende, dunque, come il primo nodo da sciogliere sia, come già anticipato128, quello relativo all’esatta individuazione dello specifico bene giuridico tutelato dalle singole norme incriminatrici prese in esame. Ne consegue, altresì, con specifico riferimento alla materia in oggetto, l’importanza insita nel riconoscimento di un fondamento costituzionale del bene ambiente129. Sicché, si tratta in definitiva di verificare quali tra le diverse fattispecie sussistenti nell’ambito del diritto penale ambientale assumano effettivamente ad oggetto, diretto o mediato, della tutela il bene finale ambiente nella sua dimensione costituzionale, in una delle possibili articolazioni dello stesso.

3.3. Le difficoltà di accertamento del nesso causale e del pericolo concreto

La reciproca interazione che, di regola, sussiste tra tecniche di tutela ed oggetto di tutela, si manifesta, dunque, in relazione alle fattispecie prese in esame, in una duplice dimensione. Da un lato, infatti, il rango del bene giuridico protetto delimita in negativo, come si è visto, l’area in cui può legittimarsi un’anticipazione della tutela; dall’altro lato, e al contempo, la tipologia del suddetto bene parrebbe addirittura suggerire in talune ipotesi l’adozione di tecniche incentrate su fattispecie di pericolo astratto, anziché su eventi di danno o di pericolo concreto. E ciò perché, proprio in relazione all’ambiente, come del resto ad altri beni superindividuali130, “l’offesa si diluisce e si fa sfuggente: e

126 G. FIANDACA, Il «bene giuridico» come problema teorico e come criterio di politica criminale, cit., in

particolare 77 ss.; E. DOLCINI, Sanzione penale o sanzione amministrativa: problemi di scienza della legislazione,

in Riv. it. dir. proc. pen., 1984, in particolare 606 ss.: F. ANGIONI, Beni costituzionali e criteri orientativi

sull’area dell’illecito penale, cit., 98; G. FIANDACA, La tipizzazione del pericolo, cit., 50; T. PADOVANI, La

scelta delle sanzioni in rapporto alla natura degli interessi tutelati, cit., 94. 127 Su tale profilo cfr., amplius e per tutti, F. ANGIONI, Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico,

cit., 181 ss. Sulla legittimità di un’anticipazione della tutela alla soglia del pericolo astratto, qualora la stessa sia finalizzata alla tutela di beni giuridici primari cfr., tra gli altri, M. ROMANO, Commentario

sistematico del codice penale, cit., 343. 128 Cfr. supra, § 3. 129 Sul punto supra cap. I, §§ 3 e 4. 130 In tal senso cfr., tra gli altri, G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., 58, nt. 38.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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la sua natura diffusiva rende ardua l’individuazione di precisi correlati fenomenici”131.

A questo si aggiunga la considerazione che, da un lato, ci si trova dinanzi ad un oggetto di tutela che non appare ledibile per effetto di una singola condotta illecita, ma solo a seguito di attività seriali o, comunque, in virtù del ripetersi generalizzato di una pluralità di condotte tipiche (c.d. Kumulationsdelikte)132, sicché “il carattere «seriale» dell’attività capace di compromettere l’integrità del bene rende impossibile richiedere un legame causale (effettivo o anche solo potenziale) con le singole condotte”133; dall’altro lato, non di rado, il pericolo

131 C. PEDRAZZI, Problemi di tecnica legislativa, in Comportamenti economici e legislazione penale, Milano,

1979, 32, 33. Sul processo di «dematerializzazione» o «volatilizzazione» del bene giuridico, che si registra soprattutto nell’ambito della legislazione complementare, cfr., altresì, G. FIANDACA, Note sul

principio di offensività, cit., in particolare 73 ss. 132 Sull’argomento cfr., tra gli altri, G. GRASSO, L’anticipazione della tutela penale, cit., 710 ss.; N.

MAZZACUVA, La legislazione penale in materia economica, cit., 506; D. PULITANÒ, Bene giuridico e giustizia

costituzionale, cit., 174; ID., La formulazione delle fattispecie di reato, cit., 37, 38 (il quale sottolinea in simili ipotesi la “normale sproporzione fra le singole condotte che si tratta di disciplinare, e la grandiosità dei beni sullo sfondo”); G. MARINUCCI, Profili di una riforma del codice penale, cit., 29; G. GRASSO, I rapporti tra la legislazione penale nazionale e la normativa internazionale e comunitaria in materia di tutela delle

acque, in Protection of the environment and penal law, a cura di C. ZANGHÌ, Bari 1993, 240; F. GIUNTA, Il diritto penale dell’ambiente in Italia, cit., 1116; G. P. DEMURO, Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., 260 ss.; A. MERLI, Introduzione alla teoria generale del bene giuridico, cit., 380 ss.; F. GIUNTA, Tutela dell’ambiente

(diritto penale), in corso di pubblicazine in Enc. dir., Aggiornamento, § 4. Sul punto cfr., altresì, F. MANTOVANI, Il principio di offensività nello schema di delega legislativa, cit., 107.

Sulle problematiche connesse ai c.d. Kumulationsdelikte nella letteratura tedesca cfr., tra gli altri, L. KUHLEN, Der Handlungserfolg der strafbaren Gewässerverunreinigung (§ 324 StGB), in GA, 1986, 389 ss.; G. HEINE, Verwaltungsakzessorietät des Umweltstrafrechts, in NJW, 1990, 2428; L. KUHLEN, Umweltstrafrecht –

auf der Suche nach einer neuen Dogmatik, in ZStW, 105 (1993), 716; W. WOHLERS, Deliktstypen des

Präventionsstrafrechts – zur Dogmatik “moderner” Gefährdunsdelikte, Berlin, 2000, 318 ss.; J. C. MÜLLER

TUCKFELD, Ensayo para la abolición del Derecho penal del medio ambiente, cit., 511 ss.; R. SCHMITZ, Vor §§

324 ff., in Münchener Kommentar zum Strafgesetzbuch, Band 4, München, 2006, 1541 ss. Nella letteratura spagnola, R. ALCÁCER GUIRAO, La protección del futuro y los daños cumulativos, in Revista Electrónica de

Ciencia Penal y Criminología, 2002, RECPC 04-08, 1 ss.; J. M. SILVA SÁNCHEZ, L’espansione del diritto

penale. Aspetti della politica criminale nelle società postindustriali, ed. it. a cura di V. MILITELLO, Milano, 2004, 94 ss.; B. MENDOZA BUERGO, El delito ecológico: configuración típica, estructuras y modelos de tipificación, cit., 141.

133 G. GRASSO, L’anticipazione della tutela penale, cit., 710. Analogamente, G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di Diritto penale. Parte generale, Milano, 2004, 130. Per talune osservazioni in merito alla dubbia costituzionalità delle fattispecie incentrate sull’inosservanza del momento autorizzativo, quando la loro ratio essendi è quella di colpire le c.d. condotte seriali, cfr. M. MANTOVANI, L’esercizio di

un’attività non autorizzata. Profili penali, Torino, 2003, 11; ad avviso dell’Autore i dubbi di costituzionalità delle fattispecie de quibus, però, non sarebbero ravvisabili nella loro problematica compatibilità con il principio di offensività, bensì nella tensione che esse instaurano con il principio

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

149

scaturisce da complessi processi tecnologici ed industriali, in ordine ai quali non sono ancora perfettamente chiare le leggi causali, sì da rendere diabolica la prova della concreta attitudine lesiva della singola condotta autonomamente considerata134.

In simili ipotesi, dunque, una forma di tutela ancorata all’accertamento in concreto di un danno o di un concreto pericolo di danno rischierebbe di determinare la paralisi135, oltre, probabilmente, a vanificare l’efficacia della tutela136. Senza contare, inoltre, che si finirebbe, in buona sostanza, per

della personalità della responsabilità penale, essendo le stesse “funzionali alla prevenzione degli effetti di comportamenti illeciti altrui”.

134 Su tale profilo cfr., tra gli altri, G. FIANDACA, G. TESSITORE, Diritto penale e tutela dell’ambiente,

cit., 61; E. GALLO, Principio di offensività e delitti di attentato (nota a margine di una polemica), in Pol. dir., 1985, in particolare 657, 658, 667; G. MARINUCCI, L’abbandono del codice Rocco: tra rassegnazione e utopia, in Diritto penale in trasformazione, a cura di G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Milano, 1985, 365; ID., Relazione di

sintesi, cit., 337, 338; ID., Profili di una riforma del codice penale, cit., 29; N. MAZZACUVA, La legislazione

penale in materia economica, cit., 506; A. CADOPPI, Il ruolo delle Kulturnormen nella «opzione penale» con

particolare riferimento agli illeciti economici, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1989, 312; C. PEDRAZZI, Profili

penalistici di tutela dell’ambiente, ne L’Indice pen., 1991, 618, 619; G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Note sul

metodo di codificazione penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 411; G. GREGORI, P. J. DA COSTA, Problemi

generali del diritto penale dell’ambiente, Padova, 1992, 59 ss.; A. FIORELLA, Ambiente e diritto penale in Italia,

cit., 233; S. PANAGIA, La tutela dell’ambiente naturale nel diritto penale d’impresa, cit., 10, 11; G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Corso di diritto penale, cit., 567 ss.; G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale,

cit., 202; M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit., 151. Ritiene, viceversa, che le difficoltà di prova relative all’accertamento del nesso causale, e quindi del singolo contributo di ogni condotta alla realizzazione di una effettiva lesione del bene, non possano da sole legittimare la scelta di reati di pericolo astratto P. PATRONO, Inquinamento idrico da insediamenti produttivi e tutela penale dell’ambiente, cit., 1031. Sulle difficoltà di accertamento del nesso causale nel settore dei reati ambientali cfr., per tutti, nella dottrina tedesca: E. SAMSON, Kausalitäts- und Zurechnungsprobleme im Umweltstrafrecht, in ZStW, 1987, 617 ss.; E. KLEINE-COSAK, Kausalitätsprobleme im Umweltstrafrecht, Berlin, 1988, in particolare 18 ss.; M. RONZANI, Erfolg und individuelle Zurechnung im Umweltsreafrecht, Freiburg im Breisgau, 1992, 45; nella dottrina spagnola: P. M. DE LA CUESTA AGUADO, Causalidad de los delitos contra el medio ambiente,

Valencia, 1995, 15 ss. 135 In questo senso C. PEDRAZZI, Problemi di tecnica legislativa, cit., 33. Per esempio, con specifico

riferimento alla tutela della salute nei confronti delle attività legate al traffico e consumo di sostanze stupefacenti è stato rilevato (F. C. PALAZZO, Consumo e traffico degli stupefacenti, Padova, 1994, 30) come “il collegamento causale tra i comportamenti individuali del ciclo della droga e l’offesa ai beni giuridici non è né immediato né certo, mentre lo diventa senz’altro se visto nella dimensione macro-sociale della produzione c.d. seriale del pregiudizio. Come del resto è naturale in ordine alla tutela di beni di natura superindividuale, quale è emblematicamente la salute pubblica, rispetto ai quali la tutela penale tende ineluttabilmente ad essere anticipata attraverso fattispecie di pericolo c.d. astratto”.

136 In questo senso, relativamente a talune tipologie di beni, cfr., per esempio, E. GALLO, Principio

di offensività e delitti di attentato, cit., 654; analogamente T. PADOVANI, Un percorso penalistico, in Le ragioni

del garantismo. Discutendo con Luigi Ferrajoli, a cura di L. GIANFORMAGGIO, Torino, 1993, 317; E.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

150

spostare in capo al perito la decisione relativa alla sussistenza del più significativo elemento della fattispecie oggettiva137. Si comprende, allora come il legislatore si trovi, talvolta, nella necessità di ripiegare su fasi preliminari dell’iter criminoso, impostando la fattispecie su una tipologia di comportamenti pericolosi, anziché di risultati138. Come è stato, infatti, rilevato139, l’«emancipazione» della fattispecie criminosa dal legame con l’evento renderebbe, in simili ipotesi, più efficace l’intervento penale e troverebbe la sua giustificazione nella necessità di prevenzione e difesa, orientata ad offrire protezione a beni giuridici realmente meritevoli di tutela, perché essenziali per l’individuo e la collettività. Ma, al contempo, il principio di offensività non potrebbe dirsi violato, “e nemmeno – come talora si afferma con un eufemismo che rasenta l’ipocrisia − «derogato»: si tratta di norme incriminatrici perfettamente compatibili con l’idea del reato come offesa, in quanto la loro funzione – reale, non soltanto di facciata – è quella di proteggere un bene, e non di reprimere una disobbedienza”140.

In altre parole, nei casi in cui l’integrità del bene giuridico può essere pregiudicata non da una sola condotta, bensì dall’infinita reiterazione di condotte che solo cumulativamente diventano effettivamente pericolose (offese c.d. «seriali»), parrebbe che la protezione del bene non possa che essere affidata alla pretesa dell’osservanza generalizzata di regole di condotta idonee ad evitare il rischio prodotto dalle condotte seriali141. Senza trascurare, inoltre, la considerazione che la pubblica amministrazione, più che il giudice penale, sembra dotata delle competenze specifiche e del quadro normativo necessario per effettuare le suddette valutazioni di pericolosità.

A ciò si aggiunga che, anche là dove la formulazione della fattispecie si avvalga formalmente della tecnica del pericolo concreto, non è sempre possibile escludere a priori il rischio di uno scivolamento nei confronti di presunzioni di pericolosità. Così, per esempio, come è stato rilevato in relazione all’ordinamento tedesco142, proprio le difficoltà legate alla descrizione del disvalore di evento ed all’accertamento del nesso causale possono indurre, e

DOLCINI, Il reato come offesa a un bene giuridico: un dogma al servizio della politica criminale, in Il diritto penale alla svolta di fine millennio, a cura di S. CANESTRARI, Torino, 1998, 215.

137 Così F. GIUNTA, Tutela dell’ambiente, cit., § 4. 138 C. PEDRAZZI, Problemi di tecnica legislativa, cit., 33. Sul punto cfr., altresì, nella dottrina tedesca,

tra gli altri, O. TRIFFTERER, Umweltstrafrecht, Baden-Baden, 1980, 35 ss. 139 S. CANESTRARI, Reati di pericolo, cit., 7. 140 E. DOLCINI, Il reato come offesa a un bene giuridico: un dogma al servizio della politica criminale, cit., 215. 141 C. FIORE, Diritto penale. Parte generale, cit., 184. 142 M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit., 273, nt. 44.

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

151

di fatto hanno indotto, la giurisprudenza a far coincidere l’evento di inquinamento delle acque (Gewässerverunreinigung) con il mero superamento dei limiti di accettabilità fissati in sede amministrativa, trasformando, dunque, di fatto quei reati, descritti come reati di pericolo concreto, in veri e propri reati di pericolo presunto.

3.4. L’adeguata tipizzazione della condotta di reato

La proposta di rivalutare i reati di pericolo astratto, pur con tutte le cautele più volte rilevate dalla dottrina, parrebbe tanto più condivisibile, quanto più le relative fattispecie incriminatrici contengano un espresso richiamo ad un requisito pregnante dal punto di vista semantico, tale da poter essere interpretato soltanto come indice di un’effettiva situazione di pericolo per l’interesse protetto143. Tanto premesso, si comprende quale sia l’importanza che assume nel processo di costruzione della singola fattispecie l’adeguata tipizzazione dell’attitudine lesiva della condotta incriminata. Il principio di offensività può, infatti, operare nella sua dimensione interpretativo-applicativa, senza entrare in collisione con il principio di legalità, solo laddove la fattispecie presenti già autonomamente un appiglio normativo, espresso dal materiale linguistico con cui è formulata la figura criminosa144.

L’obiettivo principale del legislatore, dunque, soprattutto nei modelli legali che anticipano la soglia della tutela ad un momento antecedente alla verificazione di un danno, dovrebbe essere quello di adottare tecniche di formulazione delle singole fattispecie incriminatrici che assicurino una costante sovrapposizione tra conformità del fatto al modello legale ed effettiva potenzialità offensiva della condotta. Invero, anche tra le fattispecie di inosservanza prese in esame, parrebbero esservi norme in cui la pregnanza semantica della descrizione del fatto sembra, più che in altri casi, richiamare ictu oculi una effettiva situazione di pericolo per gli interessi protetti. Si pensi a tutte

143 N. MAZZACUVA, Disvalore di azione e disvalore di evento nella “descrizione” dell’illecito penale, cit., 266,

nt. 103; ID., Evento, cit., 456. Sostanzialmente nello stesso senso, E. GALLO, Attentato, cit., 353. Con specifico riferimento alla tutela penale dell’ambiente, M. CATENACCI, Rapporti tra tecniche penali e tecniche

amministrative nel sistema italiano di tutela dell’ambiente, in Protection of the environment and penal law, a cura di C. ZANGHÌ, Bari, 1993, 268.

144 Su questo complesso e controverso tema cfr., amplius, G. NEPPI MODONA, La riforma della parte

generale del codice penale, il principio di lesività ed i rapporti con la parte speciale, in Problemi generali di Diritto

penale. Contributo alla riforma, a cura di G. VASSALLI, Milano, 1982, 84 ss.; C. F. PALAZZO, Meriti e limiti

dell’offensività come principio di ricodificazione, in Prospettive di riforma del codice penale e valori costituzionali, Milano, 1996, in particolare 82 ss.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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le ipotesi in cui gli obblighi penalmente sanzionati si riferiscano all’esercizio di attività che abbiano ad oggetto sostanze dotate di un’intrinseca e consistente pericolosità per l’uomo e l’ambiente. Così, per esempio, nell’ambito della disciplina dettata in tema di impiego pacifico dell’energia nucleare proprio il carattere nucleare delle imprese esercitate in assenza di autorizzazione o dei materiali illecitamente impiegati rende di fatto applicabile la norma soltanto qualora già sussista un evidente pericolo per i beni giuridici tutelati145. Considerazioni, queste, analoghe a quelle che gran parte della dottrina146 e della giurisprudenza147 ha formulato in relazione al ben più noto reato di incendio di cose altrui. In tale ipotesi, infatti, è vero che la legge prescinde dalla dimostrazione in concreto del verificarsi di un pericolo per la pubblica incolumità; ma è altrettanto vero che, per comune opinione, la pregnanza semantica degli elementi che compongono la fattispecie fa sì che il fatto, per essere considerato tipico, debba presentare quei connotati di vastità e diffusività suscettibili di qualificare un fuoco come incendio e assicurare, al contempo, una indefettibile pericolosità della condotta.

145 N. MAZZACUVA, Il disvalore di evento nell’illecito penale, cit., 175, nt. 293. 146 Cfr. sul punto, per tutti, N. MAZZACUVA, Il disvalore di evento nell’illecito penale, cit., 165. Più di

recente, C. FIORE, Diritto penale. Parte generale, cit., 188. L’Autore precisa, infatti, che se, per esempio, taluno distrugge dolosamente col fuoco una costruzione altrui eretta in un luogo desertico e del tutto abbandonata, ben potrà essere negato che il fatto rivesta i caratteri dell’incendio (reato contro la pubblica incolumità, posto che il più lieve reato di «danneggiamento» − sicuramente ricorrente nell’ipotesi − assume la ben più grave qualificazione di «incendio», proprio e solamente in vista del suo carattere di aggressività per l’incolumità pubblica, presuntivamente ritenuto dal legislatore” (op. ult. cit., 188). In argomento cfr., altresì, G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Corso di diritto penale, cit., 563 ss. Considerazioni analoghe vengono svolte, relativamente al reato di rissa, da E. GALLO (Riflessioni sui

reati di pericolo, cit., 41, 42), secondo il quale “ogniqualvolta il fatto − pur avendo alcuni generici caratteri della rissa − non abbia in concreto (cioè, per le condizioni di luogo, di tempo, di particolari situazioni) capacità di offendere quell’interesse (ecco la «capacità espansiva» di cui la giurisprudenza parla, senza coglierne tuttavia la rilevanza giuridica!) non è quello che il legislatore aveva inteso elevare ad oggetto della qualificazione, e resta perciò penalmente indifferente”.

147 Tra le altre, Corte cost., 16 luglio 1979, n. 71, in Giur. cost., 1979, 592; Corte cost., 27 dicembre 1974, n. 286, in Giur cost., 1974, 2966; nella giurisprudenza di legittimità, Cass., I, 28 novembre 1990, Andries, in Cass. pen., 1993, 550; Cass., IV, 21 novembre 1990, Delfino, in Riv. pen., 1992, 51; Cass., IV, 6 dicembre 1988, Bambina, in Cass. pen., 1990, 610; Cass., IV, 4 novembre 1987, Montori, in Cass.

pen., 1989, 591.

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

153

4. I possibili scarti tra conformità al tipo e reale pericolosità della condotta Sebbene una corretta formulazione delle fattispecie di pericolo astratto

imponga la tipizzazione delle sole condotte ritenute effettivamente pericolose in base a comuni regole di esperienza, non è possibile, tuttavia, escludere a priori che, in talune ipotesi, alla realizzazione dell’azione vietata non si accompagni il pericolo in vista del quale il legislatore ha, appunto, creato la norma penale148.

Tale rischio sarà, come si è visto, tanto più contenuto, quanto più gli elementi utilizzati nella descrizione del fatto tipico siano così densi di significato, che parrebbe difficile ipotizzare un fatto conforme a quello astratto che non sia al tempo stesso potenzialmente pericoloso per il bene tutelato149; cioè, in altre parole, in relazione a quelle fattispecie “caratterizzate da tale pregnanza semantica dei concetti che le compongono, da permettere di portare l’accento sul dato lessicale, per assicurare la tipicità soltanto a quei fatti offensivi dell’interesse tutelato”150.

Il discorso si fa, invece, molto più complesso nel momento in cui il legislatore non utilizza nella singola fattispecie incriminatrice, talvolta anche per difficoltà di natura oggettiva, materiale semantico pregnante; sicché parrebbe estremamente problematica un’operazione ermeneutica che si impegnasse nel tentativo di far salvo il principio di offensività, senza il rischio di forzare irrimediabilmente il dato normativo. Ed è proprio questo, peraltro, l’inconveniente che parrebbero presentare molte delle fattispecie costruite dal legislatore in materia ambientale con la tecnica del pericolo astratto. Spesso, infatti, la condotta tipizzata, che pure può essere valutata come intrinsecamente pericolosa alla luce delle comuni regole di esperienza, è descritta dal legislatore attraverso l’uso di espressioni, almeno prima facie, in sé prive di capacità selettiva. Circostanza, quest’ultima, che non di rado tende ad agevolare

148 In generale sui problemi sollevati, in relazione ai diversi modelli legali, dal possibile scarto tra

tipicità e lesività cfr., G. NEPPI MODONA, La riforma della parte generale del codice penale, il principio di

lesività e i rapporti con la parte speciale, cit., 77 ss. 149 In questo senso cfr., per esempio, G. NEPPI MODONA (op. ult. cit., 85), secondo il quale un

affinamento della tecnica legislativa che consenta di inserire anche nei modelli legali, che anticipano la tutela ad un momento anteriore alla verificazione di un danno materiale, elementi capaci di esprimere inequivocamente un momento di disvalore, renderebbe praticamente impossibile la realizzazione di uno scarto tra tipicità e lesività del fatto. In argomento cfr., altresì, N. MAZZACUVA, Evento, cit., 456 ss.

150 N. MAZZACUVA, Il disvalore di evento nell’illecito penale, cit., 165; S. CANESTRARI, Reati di pericolo,

cit., 8.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

154

operazioni interpretative ed applicative volte a considerare punibile, in quanto tipica, qualunque condotta formalmente riconducibile alla descrizione legale151. In altre parole, “l’ineliminabile dialettica tra astrattezza normativa e concretezza fattuale” può fare emergere “ipotesi fattuali che per un verso – sub specie tipicitatis – sembrano rientrare nella portata applicativa della norma incriminatrice, mentre per l’altro − sub specie offensivitatis − sembrano invece essere prive di offesa o dotate di un’offesa assolutamente trascurabile, così da porsi al di fuori dell’obiettivo funzionale della norma”152.

Come è noto, le soluzioni prospettate dalla dottrina, in termini generali, in relazione a simile grave inconveniente sono tra loro diversificate. Si va dalla valorizzazione del principio di offensività come canone ermeneutico, per il tramite di clausole di irrilevanza variamente congegnate, al ricorso all’interpretazione teleologica della fattispecie; dall’eventuale configurazione di meccanismi di conversione del pericolo astratto in pericolo concreto, alla più semplice possibile previsione di un meccanismo di inversione dell’onere della prova.

Invero, se pure questi strumenti allo stato attuale, de iure condito, parrebbero indubbiamente presentare una qualche utilità al fine di recuperare l’offensività insita in molte delle fattispecie ambientali costruite con la tecnica del pericolo astratto, nondimeno nessuno di essi consente di pervenire a risultati del tutto soddisfacenti per superare la tradizionale avversione nei confronti di siffatta tipologia di reato. In altre parole, e come si vedrà, la soluzione preferibile al fine di colmare il possibile divario tra tipicità ed offensività in materia ambientale parrebbe doversi ricercare esclusivamente sul piano delle singole incriminazioni; e ciò, o attraverso un’adeguata riformulazione delle relative norme oppure, per lo meno, attraverso la previsione di specifiche e dettagliate clausole di inoffensività, idonee ad imbrigliare la delicata attività interpretativa volta all’individuazione delle ipotesi in cui il fatto risulti effettivamente privo di disvalore e, dunque, non punibile.

151 Proprio con specifico riferimento alle condotte di «scarico», «smaltimento», «emissione» e

simili − si osserva − la lettera della legge è stata in non pochi casi addotta a sostegno della punibilità di condotte meramente occasionali ed episodiche (così M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit. 155, 156).

152 F. C. PALAZZO, Meriti e limiti dell’offensività come principio di ricodificazione, cit., 87.

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

155

Infatti, come è stato rilevato153, “se si vogliono evitare i gravi inconvenienti (in termini di conflitto o tensione col principio di legalità) connessi ad un’autonoma e piena concretizzazione giudiziale del principio di offensività, è lo stesso legislatore che deve farsi carico (…) di indicare in sede normativa: o i presupposti fondanti un’indefettibile offensività quale elemento strutturale della fattispecie incriminatrice; ovvero i criteri o regole, sulla cui base il giudice è tenuto ad accertare di volta in volta la concreta offensività o inoffensività del fatto”.

Si deve, peraltro, rilevare, che, almeno a nostro avviso, il principio di offensività è suscettibile di trovare applicazione anche nei confronti dei reati di pericolo astratto, sia pure con una metodologia che adatta tale applicazione alla particolare natura degli stessi154. Si tratta, infatti, di un principio che non conosce situazioni di inapplicabilità derivanti dalla particolare natura di determinati reati. Sicché, un’adeguata valorizzazione dello stesso parrebbe, appunto, in grado di apportare benefici influssi anche in relazione a gran parte delle fattispecie poste a tutela dell’ambiente.

4.1. Il ricorso all’art. 49, comma secondo, c.p.

Da tempo, invero, la dottrina riconosce al principio di offensività una rilevanza sul piano interpretativo155. Tale principio ha inoltre trovato, già da alcuni decenni, espresso riconoscimento in varie pronunce156, sia della Corte

153 G. FIANDACA, L’offensività è un principio codificabile?, cit., 4. Analogamente I. CARACCIOLI, Solo

un’applicazione calibrata dell’offensività contribuirà al successo del «Progetto Grosso», in Guida al Diritto, 2000, n. 36, 11.

154 In questo senso cfr., tra gli altri, C. ZAZA, Principio di offensività e reati-ostacolo nel progetto per il

nuovo codice penale, in Giust. pen., 1992, 565 ss. Sul punto cfr., altresì, A. MANNA, Le tecniche penalistiche di

tutela dell’ambiente, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1997, 675. 155 Per un quadro delle diverse posizioni assunte dalla dottrina in merito al principio di offensività

cfr., per tutti, G. VASSALLI, Considerazioni sul principio di offensività, in Scritti in menoria di U. Pioletti,

Milano, 1985, 615 ss. 156 Anche se, come è stato rilevato (G. CONTENTO, Il contributo della riflessione sulla prassi

giurisprudenziale alla riforma del codice penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, 71), non di rado parrebbe ancora rigida, specie nell’interpretazione delle norme che prevedono reati di pericolo, “la chiusura della giurisprudenza ad ogni tentativo di dare ingresso nell’analisi della fattispecie, a soluzioni ermeneutiche che comportino valutazioni in ordine all’effettività del pericolo, o che, comunque, siano correlate ad apprezzamenti connessi alle peculiarità dei singoli casi concreti”. Analogamente, G. FIANDACA (Concezioni e modelli di diritto penale tra legislazione, prassi giudiziaria e dottrina, in Quest. giust.,

1991, 23) ricorda il “limitatissimo accoglimento che la rilettura dottrinale dell’art. 49 c.p., in chiave di concezione realistica del reato, ha finora avuto nell’ambito del diritto penale giurisprudenziale”.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

156

Costituzionale157, sia della Cassazione158, sia dei giudici di merito159. Quanto alla regola volta a concretizzare il principio di offensività, questa è stata di volta in volta rinvenuta ora nell’art. 49 c.p., nella sua lettura realistica, ora nell’art. 1 c.p., sotto le spoglie del concetto di tipicità apparente.

Allo stato attuale, la giurisprudenza parrebbe avere accordato netta prevalenza alla figura del reato impossibile per inidoneità dell’azione160. Nonostante, infatti, le ricorrenti critiche mosse da una parte della dottrina, “la prassi applicativa ha probabilmente preferito agganciare le proprie valutazioni di inoffensività delle fattispecie concrete alle sponde sicure di un istituto integrato nel tessuto codicistico”161. Tanto che l’art. 49 cpv., ha rivelato “le doti

157 Corte cost., 21 novembre 2000, n. 519, in Cass. pen., 2001, 2015, con nota di A. BENIGNI,

Ribadito dalla Corte costituzionale il principio di necessaria offensività del reato; Corte cost., 24 luglio 1995, n. 360, Leocata, in Foro it., 1995, I, 3086; Corte cost., 1 luglio 1992, 308, Danzi, in Foro it., 1992, I, 2914; Corte cost., 27 marzo 1992, n. 133, Bizzarri, in Foro it., 1992, I, 2914; Corte cost., 11 luglio 1991, n. 333, Piensi, in Foro it., 1991, I, 2628 con nota di G. FIANDACA, La nuova legge antidroga tra sospetti di

incostituzionalità e decretazione legislativa, ivi, 2630; Corte cost., 25 luglio 1989, n. 437, Alvaro, in Riv. it.

dir. proc. pen., 1990, 725, con nota di G. INSOLERA, Reati artificiali e principio di offensività: a proposito di

un’ordinanza della Corte costituzionale sull’art. 1, VI comma, l. n. 516 del 1982, ivi, 726 ss.; Corte cost., 6 ottobre 1988, n. 957, Leonbruni, in Cass. pen., 1989, 186; Corte cost., 26 marzo 1986, n. 62, Von Delleman, in Cass. pen., 1986, 1053 e 1694, con nota di F.C. PALAZZO, Ragionevolezza delle previsioni

sanzionatorie e disciplina delle armi e degli esplosivi, ivi, 1694. 158 Per un’ampia ricognizione della casistica affrontata dalla giurisprudenza di legittimità si rinvia

a: V. ZAGREBELSKY, Contenuti e linee evolutive della giurisprudenza in tema di rapporti tra tassatività del fatto

tipico e lesività, in Problemi generali di diritto penale. Contributo alla riforma, a cura di G. VASSALLI, Milano, 1982, in particolare 423 ss.; G. RICCARDI, I «confini mobili» del principio di offensività, ne L’Indice pen., 1999, in particolare 720 ss.

159 Tra le altre, Trib. Roma, 2 maggio 2000, Ostensi, in Cass. pen., 2001, 2532, con nota di C. F. GROSSO, Proscioglimento per furto di cose di valore particolarmente esiguo: inoffensività od irrilevanza penale del

fatto?, ivi, 2535; Pret. Dolo, 10 febbraio 1998, Baratto, in Cass. pen., 1998, 2738, con nota di R. BARTOLI, Inoffensività del fatto e interpretazione teleologica della norma, ivi, 2739; Pret. Catanzaro, 4 novembre 1996, Procopio, in Giur. merito, 1999, II, 106, con nota di S. D’ARMA, Offensività e legalità:

una discutibile soluzione in materia di violazioni urbanistiche; ivi, 109; Pret. Bologna, 11 gennaio 1995, Lenzi, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1999, 641, con nota di G. RICCARDI, Concezione realistica e reato societari:

«barlumi» di offensività?, ivi; Pret. Civitanova Marche, 21 gennaio 1989, Leonbruni, in Foro it., 1989, II, 331.

160 Non manca, in ogni caso, anche nell’ambito della giurisprudenza qualche esplicita applicazione del concetto di tipicità apparente. In tale prospettiva cfr. di recente in materia di falsità, Trib. Foggia, 2 febbraio 2004, in Cass. pen., 2004, 3409, con nota di G. SALCUNI, Una sentenza dotta: il Tribunale di

Foggia al bivio tra concezione realistica del reato e tipicità apparente, ivi, 3412 ss. 161 G. RICCARDI, Alla ricerca dell’offensività perduta: note a margine di una discutibile sentenza delle sezioni

unite, in Foro it., 1998, 765.

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

157

di «organo respiratore» di un sistema penale sempre più ingolfato da fattispecie incriminatrici prive di connotati tipizzanti l’offesa”162.

Secondo tale prospettiva163, come è noto, si muove dal presupposto che l’offesa al bene giuridico tutelato costituisca un requisito strutturale autonomo ed essenziale del reato; sicché i fatti inoffensivi, sia pure conformi al tipo, non dovrebbero essere puniti ai sensi dell’art. 49, comma 2, c.p., il quale riferendosi ad un evento (in senso giuridico) dannoso o pericoloso impossibile per inidoneità dell’azione, conterrebbe un principio di diritto positivo per cui ogni reato deve essere necessariamente lesivo. La c. d. concezione realista del reato, in altre parole, vorrebbe ravvisare nell’art. 49 cpv. non già un “doppione negativo” del tentativo, secondo l’impostazione tradizionale, tuttora seguita da parte della giurisprudenza, ma il fondamento positivo del generale principio di offensività del reato.

La possibile utilizzazione di una clausola di concreta inoffensività del fatto ha, peraltro, ricevuto legittimazione, sia pure in diverse forme, anche a livello di concreta progettualità riformatrice164. Ciò, in primo luogo nello Schema di delega legislativa per l’emanazione di un nuovo codice penale del 1992 (c.d. Progetto Pagliaro)165. Come è noto, infatti, l’art. 4, n. 1, del suddetto Schema sanciva l’obbligo per il legislatore delegato di prevedere “il principio che la norma sia interpretata in modo da limitare la punibilità ai fatti offensivi del bene giuridico”166. Successivamente il principio di offensività è tornato alla ribalta grazie all’attenzione ad esso rivolta in sede di Commissione Bicamerale per le riforme costituzionali, la quale aveva approvato in data 4 novembre 1997 la modificazione dell’art. 129 Cost., con un’espressa previsione del principio di offensività nei seguenti termini: “Non è punibile chi ha commesso un fatto previsto come reato nel caso in cui esso non abbia determinato una concreta

162 G. RICCARDI, op. loc. ult. cit. 163 In merito alla c.d. concezione realistica si rinvia, per tutti, a G. NEPPI MODONA, Il reato

impossibile, Milano, 1965, in particolare 135 ss., nonché, più di recente, ID., Reato impossibile, in Dig. disc.

pen., XI, Torino, 1996, 259 ss. 164 In argomento cfr., tra gli altri, G. RICCARDI, I «confini mobili» del principio di offensività, cit., in

particolare 732 ss. 165 Il testo del suddetto schema di delega legislativa può essere consultato ne L’Indice pen., 1992,

579 ss. 166 In argomento cfr., per tutti, A. PAGLIARO, Lo schema di legge delega per un nuovo codice penale: metodo

di lavoro e principi ispiratori, ne L’Indice pen., 1994, in particolare 256 ss.; F. MANTOVANI, Il principio di offensività nello schema di delega legislativa per un nuovo codice penale, cit., 91 ss.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

158

offensività”167. Un’ulteriore indicazione dell’affermarsi di questa tendenza riformatrice, anche se in una prospettiva più “gradualistica” attraverso la configurazione di clausole di irrilevanza piuttosto che di inoffensività168, si è avuta con l’elaborazione di due disegni di legge governativi del 1998 (n. 4625/C e n. 4626-bis/C). Questi ultimi prevedevano l’introduzione di un nuovo articolo del codice di procedura penale (rispettivamente il 346-bis, per il primo progetto, ed il 335-bis, per il secondo progetto), volto ad escludere, la procedibilità, l’uno, o la punibilità, l’altro, là dove risultasse “l’irrilevanza penale del fatto”, da desumersi alla luce dell’esiguità del danno o del pericolo, delle modalità della condotta e della sua occasionalità, della colpevolezza169. Infine, in tutti gli ultimi articolati per la riforma del codice penale elaborati, rispettivamente, dalle Commissioni Grosso170, Nordio171 e Pisapia172

167 Per un approfondimento dei lavori della Commissione cfr., tra gli altri, G. FIANDACA, La

giustizia penale in bicamerale, in Foro it., 1997, V, 161 ss.; F. C. PALAZZO, Le riforme costituzionali proposte

dalla Commissione bicamerale. Diritto penale sostanziale, in Dir. pen. proc., 1998, 40 ss.; A. PAGLIARO, Cenni

sugli aspetti penalistici del recente progetto di riforma costituzionale, ne L’Indice pen., 1998, 318 ss.; N. MAZZACUVA, Diritto penale e riforma costituzionale: tutela penale di beni giuridici costituzionali e principio di

offensività, ne L’Indice pen., 1998, 324 ss.; D. PULITANÒ, Quali riforme in materia penale dopo la bicamerale, in Foro it., 1998, V, 288 ss.; M. DONINI, Alla ricerca di un disegno. Scritti sulle riforme penali in Italia, Padova, 2003, in particolare, 85 ss.

168 Sulle notevoli differenze tra principio di offensività e irrilevanza penale del fatto cfr., per tutti, R. BARTOLI, L’irrilevanza penale del fatto. Alla ricerca di strumenti di depenalizzazione in concreto contro la

ipertrofia c.d. «verticale» del diritto penale, Firenze, 2001, 66 ss. 169 In argomento cfr. tra gli altri, I. CALAMANDREI, L’irrilevanza penale del fatto nella prospettiva

processuale, in Giur. it., 2000, 2207 ss.; C. TAORMINA, L’irrilevanza penale del fatto tra diritto e processo, in Giust. pen., 1998, III, 257 ss.; M. RONCO, L’irrilevanza penale del fatto. Verso la depenalizzazione per mano del

giudice, in Crit. pen., 1998, 13 ss.; R. BARTOLI, L’irrilevanza penale del fatto, cit., 43 ss. 170 Nell’art. 2 dell’articolato per la riforma della parte generale del codice penale predisposto dalla

Commissione Grosso, sotto la rubrica “applicazione della legge penale” è contenuto un secondo comma, ai sensi del quale “le norme incriminatrici non si applicano ai fatti che non determinano un’offesa del bene giuridico”. Il motivo della collocazione della disposizione predetta sotto la rubrica dell’applicazione della legge penale dovrebbe essere ricercato, nell’intenzione dei commissari, nell’esigenza di mantenere la rilevanza dell’offensività “entro i confini dell’interpretazione”, in modo da “superare le eccessive tensioni con il principio di legalità che una collocazione diversa avrebbe rischiato di determinare” (cfr. relazione illustrativa).

171 L’art. 7 (Offensività del reato) della bozza di riforma elaborata dalla Commissione Nordio così recita: “la norma che prevede un fatto come reato si applica ai soli casi in cui si è verificato un danno o un pericolo per l’interesse da essa specificamente protetto”. Il testo del progetto è stato stato pubblicato in Cass. pen., 2005, 244 ss.

172 L’art. 2 (Principio di offensività. Irrilevanza del fatto) dei principi di delega elaborati dalla Commissione Pisapia prevede che: a) nessuno sia punito per un fatto che non offenda beni giuridici di rilevanza costituzionale; b) nessuno sia punito per un fatto che in concreto non offenda i beni

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

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compaiono enunciazioni del principio di offensività di maggiore o minore portata.

Sennonché, per quanto concerne specificamente il settore dei reati ambientali a tutt’oggi non sono molte le pronunce edite che si spingono fino al punto di invocare l’art. 49, comma secondo, c.p. al fine di pervenire ad una pronuncia assolutoria173. Verosimilmente il deterrente principale di siffatta operazione ermeneutica in relazione a reati di pericolo astratto contemplati in tale specifico settore è rappresentato dal rischio di utilizzare il principio di offensività come criterio di natura quantitativa, attribuendo ad esso la funzione di clausola di minima offensività174, o, peggio, dalla necessità, in assenza di indici normativamente prefissati per valutare lo spessore lesivo del fatto, di ancorare effettivamente il giudizio a parametri extralegali, con aggiramento più o meno palese del principio di legalità.

Invero, clausole generali di non punibilità incentrate esclusivamente sulla mancanza di offensività in concreto sulla falsariga dell’art. 49, secondo comma, c.p., risultano di fatto così generiche ed indeterminate da confliggere o entrare comunque in forte tensione coi principi di legalità e di riserva di legge tipici della materia penale. E ciò in quanto la mancanza di precisi parametri di giudizio di fonte legale, può indurre l’organo procedente o giudicante a desumere la mancanza della cosiddetta offesa tipica da valutazioni extralegali, con il rischio più che concreto di soluzioni giurisprudenziali poco controllabili e discriminatorie.

Per quanto, dunque, non si possa non essere favorevoli all’introduzione di clausole di irrilevanza del fatto, riteniamo che, con specifico riferimento al

giuridici tutelati dalla norma incriminatrice; c) l’agente non sia punibile quando risultino la tenuità dell’offesa e l’occasionalità del comportamento. Per talune considerazioni in merito al contenuto del progetto, C. F. GROSSO, Brevi considerazioni d’insieme e di dettaglio sul lavoro della Commissione Pisapia, in Dir.

pen. proc., 2007, 1389 ss. 173 Tra le altre cfr., per esempio in tema di tutela di beni culturali e ambientali, Cass., III, 26

novembre 1999, Gajo, in Riv. pen., 2000, 822, o in Dir. pen. proc., 2000, 723, con la quale si conferma la pronuncia assolutoria del giudice di merito, che, proprio richiamando l’art. 49, comma 2, c.p., aveva escluso la sussistenza del reato di interventi non autorizzati su immobili vincolati, previsto dagli artt. 11, 18 e 59, l. 1 giugno 1939, n. 1089, in considerazione della assoluta inidoneità, attestata anche dalla competente sovrintendenza, dei suddetti lavori, per la loro estrema modestia, a costituire pregiudizio per la salvaguardia dell’immobile interessato. Sul contenuto di tale pronuncia cfr., altresì, le osservazioni di G. P. DEMURO, Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., 270 ss.

174 Per un’applicazione forse un po’ forzata della concezione realistica in relazione al reato previsto dall’abrogato art. 20, lett. c), l. n. 47 del 1985, cfr. Pret. Catanzaro, 4 novembre 1996, Procopio, cit., con nota di S. D’ARMA, Offensività e legalità: una discutibile soluzione in materia di violazioni

urbanistiche, cit., 109 ss.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

160

diritto penale ambientale, non sarebbe comunque sufficiente l’utilizzo di una previsione di carattere generale disciplinata dalla parte generale del codice, ma si riveli necessaria la previsione di meccanismi peculiari, idonei a circoscrivere rigorosamente e sulla base di parametri ad hoc la discrezionalità dell’organo giudicante. La specificità della materia impone, infatti, di ritagliare indici di inoffensività appositamente pensati in relazione alle caratteristiche proprie delle singole fattispecie.

4.2. L’interpretazione teleologica della fattispecie. In particolare: la valorizzazione della cornice empirico-criminologica

Secondo un diverso orientamento dottrinale, in molte ipotesi in cui si è soliti escludere la punibilità ex art. 49, comma 2, c.p. in realtà sarebbe l’interpretazione teleologica “a segnalare l’assenza di tipicità”, dovendosi sempre tenere presente la “significatività del fatto storico … rispetto all’interesse tutelato”175. In altre parole, le asserite ipotesi fattuali di sfasatura tra tipicità e offensività, non rientrando nello scopo di tutela della fattispecie incriminatrice, non dovrebbero essere punite semplicemente sulla base dell’interpretazione teleologica della norma. E ciò perché, là dove “il fatto non sia capace di offendere l’oggetto sostanziale specifico, è solo in apparenza conforme al tipo di reato: in realtà, tale conformità manca”, e la “contrapposizione tra tipicità e offensività è illusoria”176. In tale prospettiva, dunque, l’offesa verrebbe a costituire non un autonomo requisito strutturale della fattispecie, bensì l’esito di una complessa attività ermeneutica, che, pur muovendo dal dato testuale della norma, potrebbe arricchirsi di considerazioni valutative177.

Del resto, come è stato rilevato178, l’applicazione del diritto è un’attività in qualche misura creativa, anche nell’ambito del diritto penale, iscrivendosi sempre in un contesto che la condiziona alla stregua di fattori extratestuali non direttamente desumibili dalle fattispecie legali in se stesse considerate. Più precisamente, il procedimento c.d. di sussunzione del fatto concreto nella norma penale generale ed astratta trascorre dal caso alla norma, e da questa a

175 M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, cit., 515. Nello stesso senso, D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, cit., 156 ss.; T. PADOVANI, Diritto penale, cit., 139.

176 A. PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte generale, cit., 229. 177 In argomento, di recente e per tutti, R. BARTOLI, Inoffensività del fatto e interpretazione teleologica

della fattispecie, cit., 2740. 178 G. FIANDACA, Ermeneutica e applicazione giudiziale del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001,

254.

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

161

quello; sicché, la scelta ermeneutica finale rappresenta il risultato di una sorta di mediazione tra norma astratta e caso concreto, secondo criteri valutativi di varia natura, non riconducibili al modello classico di sillogismo giudiziario179. Ne consegue che il singolo tipo legale “si plasma, concretizza e specifica secondo lineamenti che sono anche influenzati dalla reale fenomenologia criminosa che viene di volta in volta in questione. Al fatto tipico in senso puramente legale si affianca, così, un fatto tipico in senso ermeneutico”180.

Proprio in tale prospettiva, peraltro, con particolare riferimento ai reati in materia ambientale, alcuni autori tendono a valorizzare la funzione ermeneutica della c.d. cornice empirico-criminologica della fattispecie sotto un duplice profilo. Da un lato, la suddetta cornice potrebbe fungere da parametro per valutare la ragionevolezza delle presunzioni di rischio insite in una fattispecie di pericolo181. Si osserva, infatti, che precludere alla Corte di valutare la congruenza tra il dato empirico e la presunzione normativa di pericolo equivarrebbe a rendere oltremodo agevole per il legislatore l’aggiramento del principio costituzionale di offensività182. Ciò che alla Corte sarebbe interdetto pertanto, è unicamente la valutazione dell’opportunità politico-criminale di punire un dato comportamento, la cui presunzione di pericolosità è fondata sotto il profilo empirico-criminologico183. Dall’altro lato, la cornice empirico-criminologica potrebbe essere utilizzata proprio come criterio di delimitazione della fattispecie penale in via interpretativa. Infatti, mentre per giungere a un’eventuale declaratoria di incostituzionalità è necessario che la presunzione di

179 G. FIANDACA, Ermeneutica e applicazione giudiziale del diritto penale, cit., 256. 180 G. FIANDACA, Ermeneutica e applicazione giudiziale del diritto penale, cit., 357. 181 M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, cit., 343; G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Corso

di diritto penale, cit., 569; M. CATENACCI, I reati di pericolo presunto, cit., in particolare 1427 ss.; G. AZZALI, Osservazioni sui reati di pericolo, in Studi in onore di G. Marinucci, Milano, 2006, II, 1339; G. FORTI, “Accesso” alle informazioni sul rischio e responsabilità: una lettura del principio di precauzione, cit., 205, 206. In termini generali sul controllo costituzionale della fondatezza empirico fattuale delle valutazioni legislative espresse nella formulazione delle fattispecie cfr. F. C. PALAZZO, Ragionevolezza

delle previsioni sanzionatorie e disciplina delle armi e degli esplosivi, cit., in particolare 1698; D. PULITANÒ, Bene

giuridico e giustizia costituzionale, cit., 167 ss. Più di recente, V. MANES, Attualità e prospettive del giudizio di

ragionevolezza in materia penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 783 ss. In effetti in questo senso parrebbe orientata anche la stessa Consulta, là dove riconosce che “le incriminazioni di pericolo presunto non sono, in linea di principio, incompatibili con il dettato costituzionale, purché non risulti irragionevole o arbitraria la ratio giustificativa della norma incriminatrice” (Corte cost., 27 marzo 1992, n. 133, in Giur. it., 1995, I, 118).

182 F. GIUNTA, Il diritto penale dell’ambiente in Italia, cit., 116 ss.; ID., Lineamenti di diritto penale

dell’economia, Torino, 2004, 44. 183 F. GIUNTA, op. loc. ult. cit.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

162

pericolo sottesa alla fattispecie incriminatrice sia inverosimile in relazione alla totalità delle condotte riconducibili all’ambito del fatto tipico, là dove solo alcune condotte risultino in concreto assolutamente inoffensive, non viene in considerazione la ragionevolezza delle valutazioni effettuate dal legislatore. In tal caso, invero, si tratterà semplicemente di verificare se la punizione del fatto storico rientri nella ratio preventiva della fattispecie, vale a dire se presenti lo stesso tipo di pericolo che giustifica la fattispecie incriminatrice. “Ed è questo un compito interpretativo proprio del giudice, che, così operando, non contesta la ragionevolezza della presunzione di pericolosità effettuata dal legislatore (valutazione che potrebbe sfociare solo nell’attivazione del controllo di costituzionalità), né esprime un giudizio sull’opportunità politico-criminale di elevare la condotta pericolosa a reato”184.

In altre parole: per la particolarità del reato di pericolo astratto, “la cornice criminologica da cui si desume la potenzialità lesiva della condotta tipizzata assume una rilevanza, oltre che politico-criminale, giuridica in senso stretto”185. Ne conseguirebbe “la possibilità di attingere dalla cornice empirico-criminologica quei correttivi di delimitazione della fattispecie legale che quest’ultima, seppure non esprime, certamente presuppone. Così, potrà ritenersi non punibile la condotta conforme al tipo, che si svolge al di fuori della presenza sinergica e seriale di altre analoghe condotte”186.

A conclusioni analoghe, del resto, giunge anche altra parte della dottrina, sia pure attraverso un diverso percorso argomentativo, con specifico riferimento alle fattispecie costruite attraverso clausole del tipo “senza l’autorizzazione richiesta”187. Queste ultime, infatti, nel rinviare alle norme e ai principi che disciplinano l’obbligo di farsi autorizzare, verrebbero ad indicare i caratteri che forniscono la base empirico-criminologica su cui si fonda il giudizio circa la loro specifica pericolosità188. Sicché, proprio attraverso quelle norme, richiamate dalla fattispecie incriminatrice, “i fatti di scarico, smaltimento, etc. verrebbero ad acquistare un significato offensivo univoco, consistente, come si è

184 F. GIUNTA, op. loc. ult. cit. 185 F. GIUNTA, Il diritto penale dell’ambiente in Italia, cit., 1117. 186 F. GIUNTA, ibidem, nonché, ID., Il bene giuridico dell’ambiente: nozione ed impieghi nel campo del diritto

penale, in Ambiente e diritto, a cura di S. GRASSI, M. CECCHETTI, A ANDRONIO, Firenze, 1999, II, 584. Nella dottrina tedesca parrebbe orientato in questo senso L. KUHLEN, Dar Handlungserfolg der strafbaren

Gewässerverunreinigung (§ 324 StGB), in GA, 1986, 389 ss, 399; ID., Umweltstrafrecht – auf der Suche nach

einer neuen Dogmatik, in ZStW, 105 (1993), 716, nt. 91. 187 M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit., 156. 188 M. CATENACCI, op. loc. ult. cit.

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

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detto, nella loro particolare «forza cumulativa e sinergica» nei processi di «grave alterazione dell’equilibrio ecologico di acque, aria e suolo»“189. Con la conseguenza che, interpretando correttamente simile prognosi di pericolosità, sarebbe possibile escludere la punibilità della singola condotta di scarico, smaltimento di rifiuti e simili, il cui contributo sinergico manchi o sia del tutto irrilevante, “trattandosi anche qui, come nel caso in cui vi sia l’autorizzazione, di condotte atipiche”190.

In tale prospettiva, peraltro, non sembra causale l’affermazione della Corte di Cassazione, secondo cui, in materia di inquinamento idrico, ai fini dell’applicabilità della disciplina contenuta nell’abrogato d.lg. 152 del 1999, “è indispensabile accertare la continuità dello scarico, che diversamente non è scarico”191; affermazione, questa, verosimilmente formulata alla luce della dizione, successivamente eliminata, sulle immissioni occasionali degli artt. 54 e 59 del medesimo d.lg. 152 del 1999, ma desumibile, come da più parti riconosciuto192, anche dal complesso della normativa relativa agli scarichi, ed in primis proprio dall’obbligo di autorizzazione, chiaramente riferito ad uno scarico continuativo. Tanto che, anche a seguito dell’entrata in vigore della nuova disciplina contenuta nel d.lg. 152 del 2006 la dottrina ha riconosciuto, alla luce di una pluralità di indici normativi, che “la stabilità (nel senso, per l’appunto della non precarietà) del mezzo di rilascio, e l’apprezzabile durata dello stesso determinano il travalicamento dalla mera occasionalità al vero e proprio scarico penalmente rilevante”193.

189 M. CATENACCI, ibidem. 190 M. CATENACCI, ibidem. 191 Cass., III, 3 settembre 1999, Rivoli, in Ambiente, 1999, 1172, con nota di F. ANILE, Il concetto di

immissione occasionale all’esame della suprema Corte, ivi, 1173. Nello stesso senso Cass., III, 14 giugno 2002, Paolini, in Foro it., 2003, II, 1.

192 Per tutti, G. AMENDOLA, Inquinamento idrico: razionalizzato e «corretto» il d. lgs. n. 152 del 1999, in Dir. pen. proc., 2000, 1455 ss.; ID., Le nuove disposizioni contro l’inquinamento idrico, Milano, 2001, 27 ss.

193 Cass., III, 10 maggio 2005, Bonarrigo, in Giur. it., 2006, 1034. In dottrina sul punto L. BISORI

(Commento all’art. 133 d.lg. 152 del 2006, in Codice commentato dei reati e degli illeciti ambientali, a cura di F. GIUNTA, Padova, 2007, 13, 14), il quale precisa altresì la distinzione tra scarico occasionale,

caratterizzato dall’effettuazione fortuita ed accidentale, e scarico discontinuo, qualificato invece dai requisiti della irregolarità, dell’intermittenza e della saltuarietà, ma comunque collegato ad un determinato ciclo produttivo industriale, dunque scarico ad ogni effetto, con ogni conseguenza sul piano sanzionatorio. Così nella giurisprudenza Cass., III, 7 novembre 2000, Lotti, in Foro it., 2001, II, 596.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

164

4.3. La conversione del pericolo astratto in pericolo concreto

Nelle ipotesi in cui la astrazione legislativa giunga sino al punto da non evidenziare alcuna situazione di pericolo194, secondo parte della dottrina parrebbe legittimarsi un’operazione ermeneutica che, anche a costo di forzare il dato normativo, converta in sede interpretativa il tipo criminoso ed arricchisca la fattispecie con “la nota (esterna) di pericolo concreto per salvare (insieme con) il principio di offensività (anche quello di materialità) dell’illecito”195. In tale prospettiva, infatti, “pur con tutti i limiti di una siffatta operazione ermeneutica, il ricorso a tale ultima «chance» sembra ancora preferibile rispetto ad un rassegnato abbandono della critica alle fattispecie di pericolo astratto del tipo ora in esame”196.

Sennonché, siffatto drastico rimedio, de iure condito, parrebbe difficilmente praticabile per la resistenza opposta dal principio di legalità. L’attività interpretativa, infatti, non può spingersi sino al punto di snaturare i connotati strutturali della singola fattispecie. Viceversa, risulterebbe palese la forzatura interpretativa consistente nella trasformazione delle fattispecie di pericolo presunto in fattispecie di pericolo concreto, in aperto contrasto con le indicazioni del legislatore197. Senza dimenticare, inoltre, che – come anticipato – talune fattispecie poste a tutela dell’ambiente risultano costruite su astrazioni di pericolo proprio per la difficoltà di fornire di volta in volta la prova della concreta esposizione a minaccia ad opera della singola condotta198.

4.4. L’inversione dell’onere della prova

Secondo altra e diversa prospettiva, invece, il problema cruciale dei reati di pericolo astratto sarebbe rappresentato dalla invincibilità della presunzione di pericolo insita nella previsione legislativa. Sicché, da più parti si manifesta un atteggiamento, sia pure cautamente, favorevole ad attenuare per lo meno nei casi in cui ciò sia possibile, l’anomalia punitiva che potrebbe verificarsi nelle

194 N. MAZZACUVA, Evento, cit., 458. 195 N. MAZZACUVA, Evento, cit., 458, nonché N. MAZZACUVA, Il disvalore di evento nell’illecito penale,

cit., 173; ID., Disvalore d’azione e disvalore d’evento nella “descrizione” dell’illecito penale, cit., 265. Nello stesso senso S. CANESTRARI, Reati di pericolo, cit., 9. Sui profili problematici che siffatte operazioni ermeneutiche generalmente sollevano cfr. tuttavia, amplius, F. BRICOLA, Teoria generale del reato, cit., in particolare 86.

196 N. MAZZACUVA, Evento, cit., 458. 197 G. GRASSO, L’anticipazione della tutela penale, cit., 707, il quale ricorda ad esempio la differenza di

struttura tra i due capoversi dell’art. 423 c.p.. 198 Sul punto cfr., amplius, supra § 3.3.

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

165

ipotesi, appunto, di scarto tra tipicità e pericolosità della condotta, attraverso la previsione di una sorta di inversione dell’onere della prova che consenta all’imputato, nel singolo caso di specie, di provare l’assenza di qualunque pericolosità del comportamento descritto dal legislatore199. Non si tratterebbe, dunque, di una vera e propria conversione del pericolo da astratto in concreto, attraverso la dimostrazione della effettiva lesività della singola condotta, bensì, più limitatamente, della predisposizione di strumenti volti a superare la presunzione legislativa, attraverso un onere di allegazione da parte dell’imputato.

Invero, si osserva, il principio di offensività non implicherebbe in alcun modo il divieto per il legislatore di ricorrere a reati di pericolo astratto, o addirittura a presunzioni di pericolo, bensì soltanto la illegittimità costituzionale della eventuale pretesa normativa di assoluta invincibilità della presunzione del pericolo200. Conseguentemente, “le aporie che la ritenuta irrinunciabilità della categoria del pericolo astratto ha indotto nella elaborazione del principio di offensività, a livello costituzionale, in realtà non si superano se non attraverso l’ammissione che non può esserci presunzione di pericolo (e, perché no, anche di danno) che non consenta la prova del contrario”201. A sostegno di tale impostazione, peraltro, alcuni autori rilevano come la presunzione assoluta di pericolo parifichi “irrazionalmente, sotto il profilo delle conseguenze giuridiche, la situazione di chi ha commesso un fatto sicuramente offensivo di un bene giuridico (fattispecie di pericolo concreto) con quella di chi quella offesa ha realizzato soltanto in ipotesi (pericolo presunto)”202. Il che si risolverebbe in “una manifesta violazione del principio contenuto nell’art. 3 Cost.”203. Anche in tale prospettiva, poi, il succitato meccanismo di inversione dell’onere della prova verrebbe ritenuto compatibile con la presunzione di non colpevolezza, a condizione che a essere incriminate siano effettivamente condotte

199 Sul punto v. già E. GALLO, Riflessioni sui reati di pericolo, cit., 40, 41. Di recente, M. CATENACCI,

I reati di pericolo presunto, cit., 1438 ss.; A. MERLI, Introduzione alla teoria generale del bene giuridico, cit., 351. Critico, invece, nei confronti della soluzione in oggetto, M. PARODI GIUSINO, I reati di pericolo, cit., 400 s. Sulla possibilità di rendere legislativamente ammissibile, de iure condendo, la prova liberatoria da parte dell’imputato dell’assoluta assenza di pericolo nel caso concreto cfr., per esempio, M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, cit., 344. In argomento cfr., altresì, nella dottrina spagnola P. M. DE LA CUESTA AGUADO, Causalidad de los delitos contra el medio ambiente, cit., 97 ss.

200 C. FIORE, Diritto penale, I, cit., 185; ID., Il principio di offensività, cit., 65. 201 C. FIORE, Il principio di offensività, cit., 65. Per talune considerazioni critiche in merito a tale

problematica cfr., per tutti, A. FIORELLA, La parte speciale tra codificazione e legislazione complementare, in Prospettive di riforma del codice e valori costituzionali, Milano, 1996, 272.

202 V. PATALANO, Significato e limiti della dommatica del reato di pericolo, Napoli, 1975, 84. 203 V. PATALANO, ibidem.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

166

generalmente pericolose, secondo le comuni regole di esperienza, per il bene tutelato204.

Sennonché, anche tale strada parrebbe percorribile solo de iure condendo205, in mancanza, allo stato attuale, di indici normativi idonei a legittimare una deviazione dagli ordinari procedimenti di accertamento del reato. E ciò, fatti comunque salvi i casi in cui ad un’eventuale declaratoria di non punibilità sia possibile pervenire sulla base di un’interpretazione teleologica della fattispecie che escluda in radice l’idoneità del fatto ad offendere l’interesse tutelato.

In una prospettiva de lege ferenda, peraltro, si potrebbe pensare all’espressa introduzione nelle singole fattispecie di «clausole negative» di delimitazione della responsabilità, sul modello, per esempio, di quella introdotta nel § 326, comma 5, StGB, che prevede un’esenzione di pena per tutti i casi in cui lo scarico di rifiuti avvenga in misura così ridotta, da far apparire manifestamente esclusa la verificazione di conseguenze dannose206.

In alternativa, con riferimento alle fattispecie incentrate sull’assenza di autorizzazione, si potrebbe pensare ad una forma di degradazione dell’illecito penale in illecito amministrativo, là dove un accertamento effettuato in concreto porti alla dimostrazione dell’esistenza di tutti i presupposti e requisiti richiesti per il rilascio dell’autorizzazione medesima. Sicché, potrebbe ritenersi sussistente la lesione del mero interesse dell’Amministrazione all’instaurazione di un rapporto di collaborazione con il privato, ma non la lesione del bene finale tutelato207. Tale strada, peraltro, parrebbe percorribile in modo

204 F. MANTOVANI, Il problema dell’offensività del reato nelle prospettive di riforma del codice penale, in

Problemi generali di diritto penale, Milano, 1982, 70; ID., Diritto penale. Parte generale, cit., 218, 219. 205 In questo senso parrebbe orientarsi anche A. MANNA, Soluzioni de lege ferenda in tema di

deflazione del carico processuale, e con riguardo all’utilizzo dei reati di pericolo nel diritto penale della «post-modernità»,

in Riv. trim. dir. pen. econ., 2007, 891. 206 Sul punto cfr., tra gli altri, G. FIANDACA, La tipizzazione del pericolo, cit., 63; A. ESER, La tutela

penale dell’ambiente in Germania, ne L’Indice pen., 239. Nel nostro ordinamento una clausola simile a quella contemplata dal codice tedesco era contenuta nell’art. 24-bis della c.d. legge Merli (ora abrogata), che puniva lo scarico nelle acque del mare da parte di navi ed aeromobili di sostanze e materiali vietati da convenzioni internazionali ratificate dall’Italia, “salvo che siano in quantità tali da essere resi rapidamente innocui dai processi fisici, chimici e biologici, che si verificano naturalmente in mare”.

207 Sul punto cfr., amplius infra cap. VI, § 2. In tale prospettiva, sia pure in un diverso ambito normativo, cfr. Cass., III, 12 marzo 1998, Piazza, in Cass. pen., 1999, 309, nella quale si è pervenuti ad una pronuncia assolutoria per ritenuta insussistenza della materialità del reato di cui all’art. 2, l. 30 aprile 1962, n. 283, in relazione all’attivazione di un laboratorio di produzione e confezionamento di sostanze alimentari senza la prescritta autorizzazione sanitaria; e ciò, sulla base della considerazione che, poiché nel caso di specie al momento dell’accertamento del reato l’autorità sanitaria aveva già tecnicamente accertato l’esistenza dei prescritti requisiti igienico-sanitari, “il difetto del

L’offensività del reato ambientale e l’anticipazione della soglia di punibilità

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estremamente agevole nelle ipotesi in cui l’autorizzazione debba essere rilasciata sulla base di un mero riscontro tecnico di requisiti strutturali e funzionali prescritti, a prescindere da valutazioni discrezionali degli interessi pubblici tutelati.

provvedimento formale di autorizzazione, ormai dovuto, non poteva configurare alcuna offesa all’interesse tutelato dalla norma”, da ravvisare non in quello formale della previa controllabilità amministrativa dell’attività di produzione e commercio alimentare, ma in quello sostanziale di garantire la regolarità igienica e sanitaria della produzione e del commercio delle sostanze alimentari. In argomento cfr., criticamente, P. PALLADINO, Principio di offensività: verso un’estensione della sua portata?,

in Cass. pen., 1999, 3211 ss.

Capitolo quarto

L’ANTIGIURIDICITÀ NEL REATO AMBIENTALE

SOMMARIO: 1. Le fattispecie incentrate sull’assenza della prescritta autorizzazione: il ruolo dell’atto

amministrativo tra tipicità ed antigiuridicità. − 2. Le possibili ricadute applicative della distinzione tra autorizzazione operante come elemento negativo del fatto e autorizzazione assimilabile ad una causa di giustificazione. − 3. Spunti per una soluzione del problema nella materia ambientale. − 4. I riflessi dell’illegittimità del provvedimento amministrativo elemento di fattispecie sulla sussistenza del reato. − 5. Il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti mediante ordinanze contingibili e urgenti. − 6. Le fattispecie incentrate sul superamento di limiti tabellari: soglie come elementi del fatto tipico e soglie attinenti all’antigiuridicità.

1. Le fattispecie incentrate sull’assenza della prescritta autorizzazione: il ruolo dell’atto amministrativo tra tipicità ed antigiuridicità

Come già anticipato1, le fattispecie che sanzionano l’esercizio di determinate

attività in assenza dei prescritti provvedimenti autorizzativi pongono il problema dell’esatta individuazione del ruolo assunto dall’atto autorizzativo (rectius: dalla sua assenza) nella descrizione del reato2. Siffatta questione è stata affrontata, in termini generali, attraverso l’elaborazione di due tesi principali.

1 V. supra cap. II, § 4. 2 In argomento, tra gli altri, M. CATENACCI, «Beni» e «funzioni» oggetto di tutela nella legge «Merli»

sull’inquinamento delle acque, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1996, 1238, con ampi riferimenti bibliografici. Sulla difficile collocazione sistematica della mancanza di autorizzazione nella dottrina tedesca cfr., per tutti, O. TRIFFTERER, Umweltstrafrecht, Baden-Baden, 1980, 82 ss.; J. BRAUER, Die strafrechtliche Behandlung genehmigungsfähigen, aber nicht genehmigten Verhaltens, Berlin, 1988, in particolare 46 ss.; R. SCHMITZ, Verwaltungshandeln und strafrecht. Zur Verwaltungsakzessorietät des Umweltstrafrecht, Heidelberg, 1992, in particolare 13 ss.; W. FRISCH, Verwaltungsakzessorietät und Tatbestandsverständnis im Umweltstrafrecht, Heidelberg, 1993, 21 ss.; R. SCHEELE, Zur Bindung des Strafrichters an felerhafte behördliche Genehmigungen im Umweltstrafrect, Berlin, 1993, 30 ss.; H. H. JESCHECK, Lehrbuch des Strafrecht. Allgemeiner Teil, Berlin, 1996, 368 ss.; K. KÜHL, Strafrecht. Allgemeiner Teil, München, 2005, 288 ss.; C. ROXIN, Strafrecht. Allgemeiner Teil, München, 2006, 812 ss.; R. SCHMITZ, Vor §§ 324 ff., in Münchener Kommentar zum Strafgesetzbuch, Band 4, München, 2006, 1564 ss.; P. CRAMER, G. HEINE, Vor §§ 324 ff., in A. SCHÖNKE, H. SCHRÖDER, Strafgesetzbuch Kommentar, München, 2006, 2645 ss. Nella dottrina spagnola, tra gli altri, N. J. DE LA MATA BARRANCO, Protección penal del ambiente y accessoriedad administrativa. Tratamiento penal de comportamientos perjudiciales para el ambiente amparados en una autorización administrativa

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Un primo orientamento ravvisa nel difetto dell’atto permissivo della pubblica amministrazione un elemento costitutivo del fatto tipico, indispensabile per l’individuazione del comportamento vietato. All’interno, poi, di tale impostazione si riscontrano talune divergenze in relazione all’identificazione del tipo di elemento che la mancanza di autorizzazione verrebbe ad integrare. Taluno, infatti, ravvisa nel mancato ottenimento del prescritto provvedimento abilitativo della pubblica amministrazione una frazione della condotta tipica del reato, considerando parimenti rilevanti nella descrizione della fattispecie tanto la condotta attiva dello svolgimento di una determinata attività, quanto la condotta omissiva del mancato ottenimento, appunto, dell’autorizzazione3. Si verrebbero così a configurare delle ipotesi di reato c.d. misto di azione e di omissione, in quanto il precetto, da un lato, proibirebbe l’effettuazione di un’azione (lo svolgimento di una data attività), dall’altro lato, imporrebbe l’effettuazione di un’azione (l’ottenimento, cioè, dell’autorizzazione)4. Altri autori, invece, riconducono la mancanza del provvedimento autorizzativo alla categoria dei presupposti della condotta5.

Un diverso orientamento assegna all’autorizzazione il ruolo di causa di giustificazione, con la funzione di legittimare un fatto ab origine penalmente vietato6. Tale impostazione, secondo la quale la norma penale, nelle ipotesi in esame, verrebbe essa stessa a subordinare espressamente la punibilità del fatto vietato all’assenza di una scriminante, consistente nel rilascio del provvedimento amministrativo autorizzativo, è stata, tuttavia, sottoposta a vaglio critico sotto un duplice profilo: uno di carattere formale e uno, se così si

ilícita, Barcelona, 1996, 102 ss.; J. M. PRATS CANUT, De los delitos contra los recursos naturales y el medio ambiente, in Comentarios al Nuevo Código Penal, a cura di G. QUINTERO OLIVARES, Pamplona, 1996, 1507, 1519 ss.; N.J. DE LA MATA BARRANCO, I. DE LA MATA BARRANCO, La figura de la autorizzación en la lesión de bienes jurídico-penales de carácter supraindividual, in Dogmática y ley penale. Libro homenaje a Enrique Bacigalupo, Madrid, 2004, 501 ss. Sul ruolo assunto dall’atto amministrativo cui «accede» il precetto di alcune fattispecie in materia ambientale cfr., con specifico riferimento all’ordinamento austriaco G. AZZALI, La tutela penale dell’ambiente: il «modello austriaco», in Riv. trim. dir. pen. econ., 1998 , in particolare 29 ss. e bibliografia ivi citata.

3 A. CADOPPI, La natura giuridica della “mancanza di autorizzazione” nella fattispecie penale, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1990, 372 s.

4 A. CADOPPI, La natura giuridica della “mancanza di autorizzazione” nella fattispecie penale, cit., 373. 5 A. PECORARO ALBANI, Il reato di costruzione edilizia senza licenza, in Riv. giur. ed., 1959, II, 62; G.

GRASSO, Considerazioni in tema di errore su legge extrapenale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1976, 163; N. MAZZACUVA, Le autorizzazioni amministrative e la loro rilevanza in sede penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1976, 791; P. PATRONO, Inquinamento industriale e tutela penale dell’ambiente, Padova, 1980, 83.

6 Così già F. CARNELUTTI (Teoria generale del reato, Padova, 1933, 55), in relazione a talune fattispecie codicistiche incentrate sull’assenza di autorizzazione.

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può dire, di carattere sostanziale. In primo luogo, è stata messa in luce la “stranezza”, che avrebbe indotto il legislatore a richiamare esplicitamente, ai fini della punibilità del fatto, la necessità della mancanza di una causa di giustificazione solo nella descrizione delle fattispecie in esame, quando avrebbe potuto raggiungere il medesimo risultato ricorrendo – come normalmente avviene – alla disciplina prevista dal codice relativamente alle scriminanti in generale7. In secondo luogo, è stato precisato come il fatto tipico preso in considerazione dalle fattispecie in esame non coincida semplicemente con l’esercizio di una determinata attività sic et simpliciter, quale potrebbe essere – ad esempio − l’attività di gestione dei rifiuti, bensì con l’esercizio di quella stessa attività in assenza del prescritto titolo legittimante. Quest’ultimo estremo, dunque, non potrebbe rimanere al di fuori della fattispecie, in quanto requisito fondante l’illiceità penale del fatto. Si comprende, allora, come in tale prospettiva la circostanza di aver ottenuto il prescritto provvedimento autorizzativo, lungi dal far ritenere giustificato il fatto, dovrebbe escluderne la sua stessa esistenza: non potrebbe, infatti, “giustificarsi un fatto che non viene proprio in essere”8, in quanto la presenza dell’autorizzazione renderebbe la condotta del soggetto lecita, semplicemente perché atipica, cioè non prevista nemmeno astrattamente come reato.

Nondimeno la tesi che vorrebbe assegnare all’autorizzazione il ruolo di causa di giustificazione è stata di recente riproposta, per lo meno in relazione all’esercizio di talune attività dotate di un rilevante impatto ambientale, quali la realizzazione di discariche abusive9. In tale prospettiva, infatti, si osserva che ogni discarica, anche se tecnicamente ben realizzata, rappresenta comunque una vera e propria lesione del territorio, “una ferita aperta, un male necessario che è consentito tollerare solo nei limiti in cui sia autorizzato”. Sicché, in relazione a tali ipotesi l’autorizzazione amministrativa, anziché rappresentare “un metodo di vaglio di una condotta ab origine lecita”, finirebbe appunto per “assumere il significato di una vera e propria scriminante”10.

7 N. MAZZACUVA, Le autorizzazioni amministrative e la loro rilevanza in sede penale, cit., 784. Sul punto

si vedano, però, le osservazioni di G. VASSALLI (Il fatto negli elementi del reato, in Scritti giuridici, I, Milano, 1997, 928), ad avviso del quale può risultare artificiosa una distinzione tra fatto ed antigiuridicità condotta unicamente sulla base della formulazione della singola norma.

8 A. PECORARO ALBANI, Il reato di costruzione edilizia senza licenza, cit., 59. In questo senso cfr. anche D. PULITANÒ, Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere, in Dig. disc. pen., IV, 1990, 323.

9 A. MARTINI, La nuova disciplina penale per la tutela dell’ambiente dai rifiuti, in Leg. pen., 1998, 976. 10 A. MARTINI, La nuova disciplina penale per la tutela dell’ambiente dai rifiuti, cit., 976.

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Tale opzione interpretativa, peraltro, parrebbe in sintonia con l’orientamento espresso, in termini più generali, da una parte della dottrina, in forza del quale, per individuare il ruolo dell’autorizzazione nella struttura del reato, sarebbe sempre necessario distinguere preliminarmente le ipotesi in cui la fattispecie incrimina una condotta già in sé connotata da disvalore, ma che venga in particolari situazioni e con particolari modalità consentita, dalle ipotesi in cui la norma penale riguardi, invece, una condotta in sé socialmente utile o comunque un’attività priva di disvalore11. Mentre, infatti, in relazione alla prima tipologia di condotte l’autorizzazione verrebbe effettivamente a svolgere il ruolo di causa di giustificazione, la cui presenza escluderebbe l’antigiuridicità, con riferimento alla seconda tipologia l’autorizzazione assumerebbe la natura di elemento del fatto, costruito negativamente, la cui presenza escluderebbe la stessa tipicità12.

In effetti anche la Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 5 febbraio 1986 sui Criteri orientativi per la scelta tra delitti o contravvenzioni e per la formulazione

delle fattispecie penali13 aveva distinto tra due diverse tipologie di fattispecie incentrate sull’esercizio di determinate attività in assenza o violazione del provvedimento autorizzativo. Da un lato si porrebbero le attività originariamente lecite, riguardo alle quali la disciplina amministrativa impositiva di un provvedimento abilitativo stabilirebbe solo i limiti di un rischio consentito interno alla tipicità, e che, dunque, verrebbero sanzionate penalmente in caso di violazione del limite stesso. Dall’altro lato vi sarebbero, invece, le attività caratterizzate da un coefficiente di pericolosità che ne determina già ab origine la illiceità penale, salvo che non siano state valutate e consentite in via amministrativa e in relazione alle quali il rischio che viene consentito sarebbe introdotto appunto dal provvedimento abilitativo che assumerebbe la funzione di vera e propria causa di giustificazione. Nel primo caso la mancanza del provvedimento autorizzativo renderebbe il fatto tipico e, conseguentemente, la sua presenza ne determinerebbe l’atipicità; nel secondo caso, invece, la mancanza di autorizzazione renderebbe il fatto antigiuridico e, di conseguenza, il provvedimento abilitativo lo giustificherebbe, anche se tipico.

11 M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, I, Milano, 2004, 501. 12 M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, cit., 501. 13 In Cass. pen., 1986, 624.

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Non è un caso, dunque, che la recente dottrina abbia individuato una nuova tipologia di scriminanti: le scriminanti procedurali14. “Tradizionalmente – si osserva – esiste un vasto settore di interessi dove l’intervento penale è succedaneo o comunque complementare alla disciplina di atti e procedure amministrativi, ora previsti come elementi costitutivi o presupposti del fatto di reato, ora contemplati in eventuale funzione scriminante. Questa situazione si verifica nei casi molto noti di illeciti fondati sul momento autorizzativo o dove una qualche pubblica amministrazione abbia il controllo o il governo di un settore, di un’attività, o di una fonte di rischi”15. Ebbene, in relazione alle ipotesi di reato che intervengono per sanzionare penalmente l’esercizio di determinate attività che si siano sottratte al necessario preventivo vaglio dell’autorità, sarebbe possibile distinguere due diverse classi: una prima categoria, cui ricondurre condotte originariamente lecite come attività, ma disciplinate in via amministrativa e sanzionate penalmente in caso di violazione dei limiti di un rischio consentito interno alla tipicità: e una seconda categoria, cui ricondurre condotte (così pericolose da risultare) originariamente illecite anche penalmente, salvo che non siano state previamente vagliate e permesse in via amministrativa e dove il rischio che viene consentito è introdotto da una autorizzazione/concessione/abilitazione operante come causa di giustificazione16.

L’accoglimento di siffatta prospettiva solleva – è facile intuirlo – un problema di enorme complessità, che si radica nell’esigenza di individuare un criterio per distinguere ipotesi in cui l’autorizzazione potrebbe escludere il Tatbestand e casi in cui essa opererebbe, viceversa, come causa di giustificazione.

Tale problema è stato affrontato in termini generali in relazione alle attività che si svolgono nell’ambito di un contesto di c.d. rischio consentito, vale a dire alle attività generalmente autorizzate, se svolte nel rispetto delle regole, nonostante il rischio anche statisticamente apprezzabile della lesione di beni

14 L’espressione è di M. DONINI, Il volto attuale dell’illecito penale. La democrazia penale tra

differenziazione e sussidiarietà, Milano, 2004, 27. Per talune considerazioni dubitative in merito alla consistenza dogmatica di una nuova categoria di cause di giustificazione procedurali M. ROMANO

(Cause di giustificazioni procedurali? Interruzione della gravidanza e norme penali, tra esclusione del tipo e cause di giustificazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 1268 ss.), ad avviso del quale in taluni casi l’autorizzazione amministrativa potrebbe ben assumere la natura di causa di giustificazione ma di natura sostanziale, posto che essa viene concessa al soggetto per un interesse ritenuto prevalente, ossia per la salvaguardia di un bene che, presenti certe condizioni, assume priorità rispetto a quello leso dalla realizzazione del fatto tipico (ivi, 1283).

15 M. DONINI, Il volto attuale dell’illecito penale, cit., 28. 16 Così M. DONINI, Il volto attuale dell’illecito penale, cit., 28.

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giuridici primari17. Ebbene, all’interno di tali attività sarebbe possibile distinguere ipotesi in cui il rischio consentito esclude l’imputazione oggettiva del fatto tipico e casi in cui il rischio consentito fonda cause di giustificazione18. In tale prospettiva, la liceità “fin dal principio” della condotta che si mantiene nei limiti del rischio consentito deriverebbe dalla sua scarsa pericolosità in concreto. Là dove, viceversa, l’osservanza delle regole che fissano il rischio consentito non eliminasse la concreta pericolosità della condotta per il bene penalmente tutelato, non sarebbe sufficiente fare riferimento al carattere generalmente consentito dell’attività, ma l’esercizio della stessa con quelle modalità pericolose richiederebbe una particolare giustificazione sulla base di una delle scriminanti vigenti19. Sicché, il fatto tipico svolgerebbe una funzione di tipizzazione dell’aggressione al bene giuridico bisognosa di pena alla luce di esigenze di prevenzione generale e speciale, mentre le scriminanti verrebbero a svolgere la funzione di bilanciamento con altri interessi20. La distinzione tra fatto e scriminanti corrisponderebbe, dunque, soprattutto ad una funzione politico-criminale: quella di rendere visibili i conflitti di interessi e di esercitare un controllo critico, orientato a prospettive di valore e di scopo, sulle condizioni per la giustificazione dell’aggressione ad un bene già individuata come meritevole e bisognosa di pena21. Le norme scriminanti, dunque, verrebbero ad assumere eccezionalmente significato penalistico nel momento in cui entrano in conflitto con una norma incriminatrice, prevalendo sulla stessa22.

17 Sul punto cfr., A. CAVALIERE, L’errore sulle scriminanti nella teoria dell’illecito penale. Contributo ad una

sistematica teleologica, Napoli, 2000, 434 ss. 18 Amplius A. CAVALIERE, L’errore sulle scriminanti nella teoria dell’illecito penale, cit., 439 e indicazioni

bibliografiche ivi riportate. In particolare, l’Autore ricorda la posizione di C. ROXIN (Strafrecht. Allgemeiner Teil, cit., 382 ss.), che distingue tra attività generalmente consentite, che sarebbero atipiche quando vengono rispettate le prescrizioni legali, senza la necessità di effettuare bilanciamenti nel caso concreto rispetto a beni e prossimità dei pericoli; e situazioni in relazione alle quali il rischio consentito fonda cause di giustificazione, venendo in considerazione attività consentite (e dunque giustificate) solo nel caso concreto, previo bilanciamento di interessi contrapposti.

19 A. CAVALIERE, L’errore sulle scriminanti nella teoria dell’illecito penale, cit., 440, 441. 20 A. CAVALIERE, L’errore sulle scriminanti nella teoria dell’illecito penale, cit., 442. 21 A. CAVALIERE, L’errore sulle scriminanti nella teoria dell’illecito penale, cit., 443. Per un quadro di

sintesi delle diverse concezioni sviluppatesi in merito alle origini della categoria dell’antigiuridicità cfr. F. SCHIAFFO, Le situazioni «quasi scriminanti» nella sistematica teleologica del reato. Contributo ad uno studio sulla definizione di struttura e limiti della giustificazione, Napoli, 1998, 8 ss.; F. VIGANÒ, Stato di necessità e conflitti di doveri. Contributo alla teoria delle cause di giustificazione e delle scusanti, Milano, 2000, 227 ss.

22 Amplius H. J. RUDOLPHI, Rechtfertigungsgründe im Strafrecht. Ein Beitrag zur Funktion, Struktur und den Prinzipien der Rechtfertigung, in Gedächtnisschrift für Armin Kaufmann, 1989, 372.

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La soluzione del problema parrebbe allora doversi impostare muovendo dall’esatta ricostruzione del fatto tipico come specifica forma di offesa a beni giuridici. Come è stato rilevato, il primordiale compito politico-criminale del fatto è la individuazione di specifiche forme di offesa a beni giuridici”23. Ebbene, muovendo da tale dato, “che la mancanza di autorizzazioni amministrative sia sempre un elemento negativo del fatto, non è forse sicuro come si sostiene talvolta in dottrina”24.

2. Le possibili ricadute applicative della distinzione tra autorizzazione operante come elemento negativo del fatto e autorizzazione assimilabile ad una causa di giustificazione Si tratta a questo punto di verificare quali conseguenze pratiche possano

derivare dalla diversa qualificazione dogmatica dell’autorizzazione. Ebbene, sotto tale profilo l’indagine parrebbe mettere in rilievo una limitata e, in ogni caso, controversa rilevanza della predetta distinzione. Ma il punto merita un più analitico esame.

In primo luogo, si potrebbe osservare che, in termini generali, la presenza di un elemento di esclusione del tipo determinerebbe la sicura insussistenza di qualunque conseguenza penale del fatto ma non assicurerebbe gli stessi effetti propri di una causa di giustificazione, in grado di operare per l’intero ordinamento. Può infatti accadere che l’esclusione del tipo lasci residuare la contrarietà ad altri rami del diritto25. Sicché, un dato elemento non potrebbe assumere la natura di causa di giustificazione allorché siano presenti nell’ordinamento norme di qualificazione del comportamento diverse da quella penale, dalla cui violazione discendano concreti effetti giuridici. Sennonché, anche ricostruendo l’elemento in esame come afferente al fatto tipico, difficilmente riusciamo ad immaginare profili di illiceità che possano residuare per l’ordinamento giuridico allorché un determinato comportamento venga posto in essere sulla base di un’autorizzazione (legittima) rilasciata dall’autorità competente.

23 G. MARINUCCI, Fatto e scriminanti. Note dommatiche e politico-criminali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1983,

1207. Sulle funzioni del “fatto” cfr., altresì, A. GARGANI, Dal corpus delicti al tatbestand, Milano, 1997, 68 ss.

24 G. MARINUCCI, Fatto e scriminanti, cit., 1245, nt. 180. 25 Sia pure in termini generali, non riferiti al tema in oggetto, M. ROMANO, Cause di giustificazioni

procedurali?, cit., 1280.

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In secondo luogo, se la distinzione tra elementi costitutivi (sia pure costruiti negativamente) del fatto tipico e scriminanti è solitamente invocata per giustificare una diversa disciplina tra gli uni e le altre in tema di riserva di legge ed analogia, non pare che siffatti profili possano in ogni caso interessare – come è noto − la causa di giustificazione descritta dall’art. 51 c.p., cui sarebbe eventualmente riconducibile l’ipotesi dell’autorizzazione, in considerazione dell’ampia formulazione della previsione in oggetto.

In terzo luogo, riconoscere alla mancanza di autorizzazione valenza di elemento negativo del fatto tipico o piuttosto quella di difetto di una causa di giustificazione di un fatto in sé già tipico comporta effetti pratici di scarso rilievo sotto il profilo dell’errore, essendo la disciplina prevista dall’art. 59, comma 4, c.p. speculare a quella prevista dall’art. 47 c.p.

Tanto premesso, parrebbe residuare un unico aspetto in relazione al quale eventualmente apprezzare, sotto il profilo pratico la predetta distinzione. Infatti, la tesi volta a differenziare il ruolo assunto dal provvedimento autorizzativo nella descrizione del reato consentirebbe, almeno ad avviso di una parte della dottrina, di rivisitare l’annoso problema relativo all’illegittimità dell’atto amministrativo. Infatti, come è stato osservato26, “incontestabilmente corretto risulta il rilievo dell’essere la distinzione tra autorizzazione escludente l’integrazione del fatto tipico ed autorizzazione operante in chiave di causa di giustificazione inscindibilmente connessa alla soluzione del nodo delle autorizzazioni sì presenti, ma ottenute in modo illegittimo”.

Fino ad ora il problema dell’illegittimità dell’atto abilitativo è per lo più stato affrontato nella prospettiva di una ricostruzione dell’ elemento “mancanza di autorizzazione” come elemento negativo del fatto tipico. Da tale premessa sono scaturite consistenti perplessità in merito alla possibile equiparazione dell’assenza dell’autorizzazione alla presenza di un’autorizzazione illegittima. Siffatta assimilazione – come si vedrà di qui a poco27 – finirebbe, infatti, per comportare un vulnus al principio di tassatività della fattispecie incriminatrice28. Diverse, tuttavia, sono le conclusioni alle quali si potrebbe giungere allorché la mancanza di autorizzazione stia ad evidenziare il difetto di una causa di giustificazione, la cui effettiva presenza comporterebbe l’esclusione dell’antigiuridicità di un fatto in sé tipico29. Infatti, l’applicazione della causa di

26 M. MANTOVANI, L’esercizio di un’attività non autorizzata. Profili penali, Torino, 2003, 37. 27 V. infra § 4. 28 In questo senso, altresì, M. MANTOVANI, L’esercizio non autorizzato di un’attività, cit., 37. 29 M. MANTOVANI, L’esercizio non autorizzato di un’attività, cit., 37.

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giustificazione sarebbe possibile solo ove ricorrano tutti i requisiti cui l’ordinamento ne subordina l’efficacia. Con la conseguenza che laddove taluno di questi requisiti mancasse, l’autorizzazione, per quanto formalmente presente, non potrebbe spiegare i suoi effetti, portando a ritenere integrata la fattispecie incentrata appunto sull’essere una determinata condotta tenuta in mancanza di autorizzazione30.

Se si ritengono condivisibili i predetti rilievi, emergerebbero i riflessi che la qualificazione della mancanza di autorizzazione come elemento negativo del fatto o come assenza di una causa di giustificazione esplica sulla soluzione da dare al problema relativo alle autorizzazioni ottenute illegittimamente. Nel primo caso la sola presenza dell’autorizzazione, anche se rilasciata in difetto dei requisiti richiesti, sarebbe sufficiente ad escludere la rilevanza penale del fatto; nel secondo caso, invece, il carattere abusivo del suo conseguimento comporterebbe la responsabilità di chi ha tenuto la condotta, per la quale essa era prescritta31.

3. Spunti per una soluzione del problema in materia ambientale Nonostante le segnalate perplessità in merito ad una limitata portata pratica

della diversa qualificazione dogmatica dell’atto autorizzativo nella struttura del reato, la tesi che ricostruisce diversamente il ruolo assunto dall’autorizzazione nella struttura della fattispecie in relazione alla natura dell’attività assentita è indubbiamente accattivante e fornisce comunque interessanti spunti di riflessione in merito ad alcune questioni.

Di primo acchito essa parrebbe addirittura offrire un parametro ulteriore per verificare la legittima presenza all’interno del diritto penale per lo meno di alcune delle fattispecie riconducibili al modello in esame. Il riferimento è a quelle ipotesi di reato in relazione alle quali l’atto autorizzativo potrebbe effettivamente assumere la natura di causa di giustificazione. Se, infatti, l’autorizzazione ha la funzione di escludere l’antigiuridicità del fatto, significa che quest’ultimo è già in grado di esprimere un autonomo contenuto di disvalore; sicché, la rilevanza penale non si incentrerebbe ed esaurirebbe nell’inosservanza del momento procedimentale. La predetta inosservanza impedirebbe solo che si integrino gli estremi per l’operatività della esimente. A

30 M. MANTOVANI, L’esercizio non autorizzato di un’attività, cit., 38. 31 M. MANTOVANI, L’esercizio non autorizzato di un’attività, cit., 38.

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ben riflettere, dunque, verrebbero a cadere molte delle perplessità che – come si è visto – possono essere formulate in merito alla riconducibilità delle tecnica di tutela de qua ai postulati del fatto tipico offensivo.

Per meglio chiarire il concetto si riprende l’esempio sopra formulato, in tema di smaltimento dei rifiuti32. Se si ritiene condivisibile l’orientamento poc’anzi riferito, la gestione di una discarica – si diceva – costituisce un vulnus per l’ambiente, sol che si ponga mente a cosa si intende per discarica. La discarica consiste, infatti, in una peculiare forma di smaltimento, mediante deposito sul o nel suolo33, per mezzo del ripetitivo accumulo nello stesso luogo di sostanze oggettivamente destinate all’abbandono e dalla trasformazione, sia pure tendenziale, del sito, degradato dalla presenza dei rifiuti34. Sicché, per aversi discarica sarebbe necessaria una stabilità, se non una vera e propria abitualità, nella condotta di abbandono dei rifiuti in una determinata area a ciò destinata35, non essendo, viceversa, riconducibile a tale concetto un comportamento occasionale di abbandono, sussumibile, viceversa, nell’ambito di diverse fattispecie36. In tale prospettiva, allora l’autorizzazione (rectius: la mancanza della stessa) non parrebbe partecipare alla costruzione della tipicità, ma piuttosto operare dall’esterno, segnando il punto di equilibrio tra gli

32 V. supra § 1. 33 Cfr. il punto D 1 dell’allegato B alla parte quarta del d.lg. 152 del 2006. 34 Così, espressamente, per tutte, Cass., III, 12 luglio 2004, Tomasoni, C.e.d. 229484; Cass., III, 24

settembre 2001, Bistolfi, in Riv. giur. amb., 2002, 76; Cass., III, 11 ottobre 2000, Cimini, in Riv. ambiente, 2001, 190. Analogamente, richiede l’elemento del “degrado, quantomeno tendenziale, dello stato dei luoghi, per effetto della presenza dei materiali destinati all’abbandono” Cass., III, 10 gennaio 2002, Garzia, C.e.d. 221166, nonché Cass., III, 9 luglio 1997, Bechis, in Dir. giur. agr. ambiente, 1999, 54; nonché, sotto il vigore dell’abrogato d.P.R. 915 del 1982, Cass., III, 8 ottobre 1996, Tabellini, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1997, 1011; Cass., III, 22 aprile 1992, Abortivi, in Foro it., 1993, II, 302; Cass., III, 17 marzo 1987, Sani, in Foro it., 1988, II, 370.

35 L. PRATI, Gestione di discarica abusiva comunale e ordinanze contingibili e urgenti, in Giur. merito, 1999, 81.

36 A dire il vero, ad avviso almeno di una parte della dottrina e della giurisprudenza, potrebbe integrare il reato di discarica abusiva anche un unico conferimento d’ingenti quantità di rifiuti, che faccia, però, assumere alla zona interessata l’inequivoca destinazione di ricettacolo di rifiuti, con conseguente trasformazione del territorio interessato (così, per tutti, S. BELTRAME, Gestione dei rifiuti e sistema sanzionatorio, Padova, 2000, 252). Nella giurisprudenza, tra le altre, sia pure sotto il vigore del d.P.R. 915 del 1982, Cass., III, 4 novembre 1994, Zagni, in Foro it., 1995, II, 344, con nota adesiva di V. PAONE, Il reato di discarica abusiva: un importante punto fermo della Corte di Cassazione, ivi, 345 ss. Più di recente, sotto il vigore dell’abrogato d.lg. 22 del 1997, Cass., III, 4 marzo 2005, D’Agostino, in Riv. amb. e lav., n. 8, 69.

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interessi configgenti37. Il fatto, in altre parole, risulterebbe lecito non ab origine, ma perché nel bilanciamento di interessi avvenuto con il rilascio del provvedimento abilitativo si è sancita la “cedevolezza” della tutela dell’ambiente a fronte di altre primarie esigenze della collettività.

Nondimeno, non si può trascurare la delicatezza e l’opinabilità di un’indagine che si volesse cimentare nel difficilissimo compito di enucleare, nel settore ambientale, condotte astrattamente suscettibili di assumere un carattere illecito prima e a prescindere dall’assenza di autorizzazione. In subiecta materia, infatti, l’obbligo di ottenere il preventivo vaglio da parte della pubblica amministrazione concerne attività, sì potenzialmente pericolose per l’ambiente, ma socialmente diffuse e in alcuni casi addirittura necessarie. Utopistico, in altre parole, sarebbe immaginare un divieto assoluto di realizzare condotte di scarico, smaltimento di rifiuti, immissioni nell’atmosfera. Se dunque, si condivide l’idea che all’atto autorizzativo può riconoscersi il ruolo di causa di esclusione dell’antigiuridicità solo nel caso in cui esso sia diretto a rendere eccezionalmente lecito ciò che è generalmente vietato, parrebbe difficile ricorrere a siffatta costruzione dogmatica in relazione alla stragrande maggioranza delle incriminazioni in materia ambientale nell’ambito delle quali assuma appunto rilievo l’assenza del provvedimento abilitativo. Nel contesto considerato, dunque, la funzione dell’atto autorizzativo parrebbe piuttosto quella di ricondurre le condotte oggettivamente pericolose per le risorse naturali entro limiti di sicurezza38, attraverso la prescrizione di regole e cautele concernenti, più che l’an, il quomodo di esercizio. In tale prospettiva si comprende anche il ruolo fondamentale assunto in materia ambientale dal

37 Come è noto, infatti, la “categoria dell’antigiuridicità segna l‘area dove ricercare i criteri

regolativi dei conflitti sociali, da intendersi sia nel senso di conflitti tra interessi individuali contrastanti, sia nel senso di conflitti tra gli interessi dei singoli ed esigenze superindividuali” (così S. FIORE, Cause di giustificazione e fatti colposi, Padova, 1996, 7).

38 Già da tempo, del resto, la dottrina amministrativista ha osservato, in termini generali, come vi siano alcune attività del singolo che non possono considerarsi, in sé e per sé, antigiuridiche, trovando, anzi, espresso fondamento in un diritto riconosciuto dall’ordinamento; ma è la possibilità “che l’esercizio di questo diritto possa procurare un danno, diretto o indiretto, il modo, il «come» questo diritto possa essere esercitato, che induce lo Stato a porre il divieto” (F. FRANCHINI, Le autorizzazioni amministrative costitutive di rapporti giuridici fra l’amministrazione e i privati, Milano, 1957, 21). Sicché, “l’iter logico seguito, dal legislatore nel sottoporre una determinata attività ad autorizzazione da parte della P.A., non è tanto quello di creare un divieto e, contemporaneamente, contemplare l’eccezione ad esso (autorizzazione); quanto quello di considerare come ammissibile una determinata attività – in sé e per sé già lecita – soltanto dopo aver constatato che essa risulterà nel caso concreto non nociva ad un determinato interesse pubblico” (ivi, 28).

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contenuto dell’autorizzazione39. La condotta (astrattamente pericolosa) risulterà atipica qualora abbia superato quella sorta di «esame di ammissibilità» rappresentato dal rilascio dell’autorizzazione40, la quale può (e tendenzialmente lo farà) subordinare l’esercizio dell’attività assentita all’osservanza di regole cautelari volte alla tutela del bene protetto.

La dottrina tedesca da tempo ha approfondito il problema concernente la natura dogmatica dell’elemento assenza di autorizzazione. In tale prospettiva alcuni autori distinguono ipotesi di präventives Verbot mit Erlaubnisvorbehalt (“divieto preventivo con riserva di autorizzazione”) e casi di repressives Verbot mit Befreiungsvorbehalt (“divieto repressivo con riserva di esenzione”), ravvisando solo in questi ultimi situazioni in cui l’autorizzazione ha il compito di escludere l’antigiuridicità del fatto41.

Le incriminazioni incentrate sull’assenza di autorizzazione riflettono, dunque, sotto il profilo sostanziale una “negoziazione procedurale del confine tra lecito e illecito ormai molto frequente, ed espressiva della complessità sociale e dello sforzo di gestirne le differenti declinazioni in chiave dialogica, e non unilaterale, da parte delle stesse autorità pubblicistiche di controllo”42. Tuttavia, la peculiare caratteristica della attività da assentire, il suo appartenere – in molti casi – alla normalità della quotidiana estrinsecazione della vita dell’uomo, parrebbe escludere un rapporto di alterità dell’elemento “assenza di autorizzazione” rispetto al fatto tipico. Nel senso che – come anticipato – parrebbe difficile immaginare una illiceità penale di base che l’autorizzazione verrebbe poi ad escludere. Con questo non si vuole affermare − vale la pena di precisarlo − che la condotta in relazione alla quale risulta prescritto il preventivo

39 Sul punto supra cap. II § 5. 40 Così M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente. Contributo all’analisi delle norme penali a struttura

«sanzionatoria», Padova, 1996, 136, nt. 34. 41 T. LENCKNER, Vor §§ 32 ff., in A. SCHÖNKE, H. SCHRÖEDER, Strafgesetzbuch Kommentar,

München, 2006, 605; C. ROXIN, Strafrecht. Allgemeiner Teil, München, cit., 814, 815 e bibliografia ivi citata; H. TRÖNDLE, T. FISCHER, Vor § 324, in Strafgesetzbuch und Nebengesetze, München, 2007, 2200. Per ulteriori indicazioni bibliografiche v. M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, cit., 136, nt. 34; M. DONINI, Dolo e prevenzione generale nei reati economici. Un contributo all’analisi dei rapporti fra errore di diritto e analogia nei reati in contesto lecito di base, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1999, 30, nt. 46; N.J. DE LA MATA

BARRANCO, I. DE LA MATA BARRANCO, La figura de la autorizzación en la lesión de bienes jurídico-penales de carácter supraindividual, cit., 501 ss..

42 V. MANES, Il principio di offensività nel diritto penale, cit., 91, ad avviso del quale il giudizio sulla legittimità di tali fattispecie “non può essere radicalmente rescissorio, ma deve procedere ad una valutazione particolaristica delle singole ipotesi, nello specchio di quella ricerca di equilibrio tra importanza dell’interesse tutelato e graduazione della tecnica di intervento penale che permea di sé l’intera tematica dell’offensività”.

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vaglio dell’amministrazione come requisito di legittimo esercizio della stessa sia priva di una propria intrinseca pericolosità. Al contrario, come si è visto43, risulta centrale l’indagine sulla tipologia dell’attività assoggettata a controllo amministrativo, sulle sue potenzialità di rischio per il bene finale tutelato, addirittura al fine di legittimare l’incriminazione delle fattispecie di cui si sta discorrendo44. Nondimeno, consolidate regole di esperienza hanno dimostrato che il potenziale di rischio insito nelle predette attività è in grado di estrinsecarsi allorché le stesse si svolgano al di fuori di ogni forma di regolamentazione e controllo, venendo, al contrario, a ridursi sensibilmente, là dove esse rispettino le prescrizioni e le cautele imposte in sede di verifica preventiva. Più che di attività illecite, dunque, non sembra azzardato parlare di attività lecite ma condizionatamente alla previa sottoposizione al vaglio dell’organo di controllo45.

Proprio muovendo da tale dato parrebbe meglio cogliersi la peculiarità del paradigma di costruzione della norma in materia ambientale. Come, infatti, più volte ricordato, nel settore de quo ci si trova dinanzi in larga misura a norme che non risolvono un conflitto di interessi in termini assoluti, sancendo la prevalenza esclusiva di un bene giuridico nei confronti di altri contrapposti. Da qui si spiega la difficoltà (se non l’impossibilità, in alcuni casi) di ricorrere a modelli penalistici puri. Come è facile intuire, risulta notevole la differenza tra le fattispecie legate a schemi autorizzativi e molte fattispecie codicistiche, nelle quali l’oggetto di tutela non è mediato da alcuna valutazione di compatibilità con altri interessi e viene tutelato a prescindere dalla situazione concreta nelle

43 V. supra cap. III. 44 Analoga impostazione in V. MANES, Il principio di offensività nel diritto penale, cit., 101, ad avviso

del quale “la tutela della semplice «funzione di controllo» o di «programmazione» dell’autorità amministrativa rispetto a determinate condotte/attività «in sé neutre» e non qualificate da ulteriori note di offensività sul piano della tipicità oggettiva o soggettiva, appare in linea di principio delegittimata al cospetto del principio di offensività perché di per sé incapace di esprimere una diretta connessione di lesività rispetto ad un bene finale «meritevole di tutela penale», riducendosi alla semplice tutela di un programma di scopo di matrice pubblicistica, capace come tale di offuscare e soppiantare ogni altro interesse eventualmente assunto come obiettivo ultimo (o come mera ratio della tutela)”.

45 Sulla configurazione dell’autorizzazione come figura condizionale per l’esercizio di figure soggettive, nel quadro dell’espletamento di una funzione di prevenzione della p.a., in ordine al possibile danno derivante dal libero esercizio di diritti soggettivi, facoltà o poteri giuridici cfr. già G. VIGNOCCHI, La natura giuridica dell’autorizzazione amministrativa, Padova, 1944, 80 ss. Per talune considerazioni critiche in merito a tale ricostruzione v., però, F. GULLO, Provvedimento e contratto nelle concessioni amministrative, Padova, 1965, 127 ss..

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quale il bene risulti coinvolto. In siffatte ipotesi, come è stato rilevato46, solo il ricorso ad una causa di giustificazione potrebbe capovolgere la risoluzione del conflitto di interessi: la vita dell’aggressore – ad esempio – cede di fronte alla vita dell’aggredito, l’esercizio di una servitù di passaggio prevale sulla libertà di domicilio, e così via. Ma si tratta, appunto, “di ipotesi in cui viene prospettata – come si insegna – una diversa soluzione del conflitto di interessi, capovolgendone per occasionem i termini”47. Viceversa, nella materia ambientale, la prevalenza di un interesse, sia pure dominante, non può essere sancita a priori e in astratto. Sicché, si prevede la sottoposizione dell’attività potenzialmente lesiva ad una procedura amministrativa (destinata a sfociare nel rilascio o nel diniego del provvedimento autorizzativo) volta al contemperamento degli interessi contrapposti, evitando si scaricare sul giudice il compito di accertare caso per caso il rispetto delle condizioni per il legittimo esercizio dell’attività medesima. Si comprende, allora, come all’autorizzazione difficilmente potrebbe assegnarsi il ruolo di causa di giustificazione con la funzione di ribaltare – se così si può dire – limitatamente al caso concreto una valutazione espressa dal legislatore in termini assoluti. Piuttosto l’autorizzazione ha la funzione di segnare, all’interno della tipicità, i limiti di compatibilità tra lo svolgimento dell’attività e l’esposizione a rischio del bene ambiente, posta la difficoltà – come detto − di definire rigidamente i limiti di liceità della condotta.

4. I riflessi dell’illegittimità del provvedimento amministrativo elemento di fattispecie sulla sussistenza del reato

La questione relativa all’individuazione del rilievo che l’eventuale presenza

di un provvedimento amministrativo viziato (perché, ad esempio, contrario a precise disposizioni di legge o esorbitante dai limiti previsti per il suo rilascio) può assumere ai fini della sussistenza dei reati riconducibili al paradigma in esame ha da tempo tormentato la dottrina e la giurisprudenza48. Il quesito che

46 T. PADOVANI, Tutela di beni e tutela di funzioni nella scelta fra delitto, contravvenzione e illecito

amministrativo, in Cass. pen., 1987, 673. 47

T. PADOVANI, Tutela di beni e tutela di funzioni nella scelta fra delitto, contravvenzione e illecito amministrativo, cit., 673. Sul punto v. anche C. ROXIN, Antigiuridicità e cause di giustificazione. Problemi di teoria dell’illecito penale, a cura di S. MOCCIA, Napoli, 1996, 25 ss., 131 ss.

48 Sul problema della rilevanza di atti amministrativi illegittimi nell’ambito del diritto penale ambientale in Germania cfr., tra gli altri, D. DÖLLING, Umweltstraftat und Verwaltungsrecht, in JZ, 1985, 461 ss.; E. SAMSON, Konflichte zwischen öffentlichem und strafrechtlichem Umweltschutz, in JZ, 1988, 800 ss.;

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ci si pone è se la formale esistenza dell’atto sia sufficiente a legittimare una conseguente attività, potenzialmente pericolosa per l’ambiente, posta in essere dal privato o se, viceversa, il giudice abbia il potere-dovere di valutare di volta in volta anche la legittimità dell’atto amministrativo e di disapplicarlo incidentalmente, giungendo, se del caso, a ritenere l’attività in esame “non assentita” e, dunque, conforme ad un’ipotesi di reato.

Preliminare alla soluzione di tale questione si rivela un esatto inquadramento della problematica della sindacabilità dell’atto amministrativo da parte del giudice ordinario, in quanto proprio da tale potere parrebbe discendere, come è noto, la possibilità di disapplicare l’atto nel caso di specie e considerarlo tamquam non esset ai fini della decisione. Più precisamente, è necessario verificare se il nostro ordinamento contempli effettivamente, come da più parti sostenuto, un potere-dovere generalizzato per il giudice ordinario di sindacare gli atti amministrativi che integrino elementi costitutivi delle fattispecie penali sottoposte alla sua cognizione, o se, viceversa, il problema debba essere impostato e risolto facendo riferimento, in particolare, alla struttura della singola fattispecie incriminatrice.

Il tema dei rapporti tra giudice ordinario e pubblica amministrazione ha sempre trovato un imprescindibile punto di riferimento negli articoli 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E. Come è noto, infatti, tali disposizioni contengo due precetti, tra loro complementari, volti a delimitare i poteri del giudice ordinario in relazione agli atti amministrativi49. L’art. 4 dispone: “Quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell’autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell’atto stesso in relazione all’oggetto dedotto in giudizio (1° comma). L’atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei tribunali in quanto riguarda il caso deciso” ( 2° comma). L’art. 5 a sua volta prevede: “In questo, come in ogni altro caso, le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi”.

W. FRISCH, Verwaltungsakzessorietät und Tatbestandverständnis im Umweltstrafrecht, Heidelbeg, 1993, in particolare 57 ss.; R. SCHMITZ, Vor §§ 324 ff., in Münchener Kommentar zum Strafgesetzbuch, cit., 1571 ss.

49 Sulle ragioni dell’affermazione della «disapplicazione» degli atti amministrativi nel giudizio penale cfr., per tutti, A. ALBAMONTE, Dal «teorema» della disapplicazione degli atti amministrativi alla «novella» n. 234 del 1997. Il caso della concessione edilizia «illegittima», in Riv. pen., 1998, 641 ss.

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Con tali norme, chiaramente ispirate al principio illuministico della separazione dei poteri dello Stato50, il legislatore dell’epoca ha inteso negare ogni potestà di intervento del giudice ordinario su atti amministrativi e, quindi, ogni possibilità di annullarli, revocarli, modificarli, sospenderli (art. 4), prevedendo che l’autorità giudiziaria possa soltanto conoscere incidentalmente della legittimità dell’atto amministrativo, ed eventualmente prescindere dalla sua efficacia ai fini del giudizio (art. 5), qualora l’applicazione del provvedimento non conforme a legge rappresenti una minaccia per il diritto soggettivo del cittadino tenuto all’osservanza delle prescrizioni della pubblica amministrazione51.

Questo potere di disapplicazione del giudice ordinario si concretizza, secondo la dottrina prevalente52, in una facoltà di carattere processuale, che consente all’organo giudicante di decidere la causa sottoposta al suo esame senza tener conto dell’atto amministrativo illegittimo, in una prospettiva di garanzia del singolo. L’introduzione di un, sia pur limitato, controllo giuridico sull’operato dell’amministrazione pubblica da parte della magistratura ordinaria fu, infatti, certamente “determinata da preoccupazioni garantistiche e, soprattutto, dall’esigenza di assicurare in qualche modo una tutela del cittadino e dei suoi diritti subiettivi nei confronti dell’amministrazione”53.

Da tali premesse si desume chiaramente quale fosse originariamente l’intento delle disposizioni richiamate della legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo: non quello di attribuire all’autorità giudiziaria un potere generalizzato di disapplicare l’atto amministrativo, ma quello di limitare tale potere ai soli casi in cui l’atto stesso veniva a ledere in modo illegittimo una posizione giuridica soggettiva54. L’art. 5, letto in combinato disposto con l’art. 4, intendeva, in altre parole, circoscrivere il potere di sindacare la legittimità di un atto amministrativo da parte del giudice ordinario alle sole ipotesi in cui fosse in questione la tutela di diritti soggettivi55.

50 M. GAMBARDELLA, Brevi note sul rapporto tra gli artt. 4 e 5 della l. n. 2248, all. E del 1965 e il giudizio

penale, in Cass. pen., 1995, 377. 51 M. MAGRI, Atto amministrativo, disapplicazione e giudizio penale, in Studium iuris, 1996, 889, 890. 52 P. VIRGA, La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, Milano, 1982, 123; P.

TANDA, Il potere di disapplicazione del giudice penale: in particolare l’ipotesi di concessione edilizia illegittima, in Riv. giur. ed., 1990, II, 19; M. GAMBARDELLA, Brevi note sul rapporto tra gli artt. 4 e 5 della l. n. 2248, all. E del 1965 e il giudizio penale, cit., 377.

53 G. CONTENTO, Giudice penale e pubblica amministrazione, Bari, 1979, 4. 54 P. TANDA, Il potere di disapplicazione del giudice penale: in particolare l’ipotesi di concessione edilizia

illegittima, cit., 20. 55 Cfr. in questo senso, tra gli altri, M. MILONE, Sulla sindacabilità dell’atto amministrativo da parte del

giudice penale, in Riv. giur. ed., 1994, 411.

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Nella sua originaria configurazione, dunque, il potere di “controllo” del giudice ordinario nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione era verosimilmente limitato alle sole ipotesi di c.d. disapplicazione in bonam partem, e cioè ai soli casi in cui l’atto amministrativo veniva a comprimere illegittimamente la sfera giuridica del privato. In tali ipotesi disapplicare l’atto equivaleva ad eliminare l’indebita compressione di tale sfera giuridica e far sì che quest’ultima potesse riacquistare la sua originaria espansione56. Doveva, invece, ritenersi esclusa dalla portata delle disposizioni richiamate ogni forma di disapplicazione c.d. in malam partem, avente cioè ad oggetto atti che, anziché restringere, ampliavano la sfera giuridica del privato, facendo venir meno l’ostacolo per l’esercizio di determinati diritti. In tali ipotesi disapplicare l’atto significava, infatti, comprimere la sfera giuridica del destinatario del provvedimento, disconoscendo l’ampliamento che essa aveva acquisito per effetto, appunto, dell’atto oggetto della vicenda disapplicativa57.

Premessi questi brevi, e necessariamente sommari, cenni relativamente agli artt. 4 e 5 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo, è necessario ora accertare se, ed eventualmente in che misura, anche i vizi di provvedimenti amministrativi autorizzativi elementi di fattispecie penali possano essere sindacati dal giudice ai fini dell’accertamento di una responsabilità penale e se tale problema possa essere effettivamente risolto alla luce della sola legge 2248 del 1865, all. E o imponga, viceversa, il ricorso a più articolate sequenze argomentative.

Simili questioni, peraltro, si sono sempre rivelate particolarmente spinose, in quanto, coinvolgendo alcuni degli aspetti più delicati dei rapporti tra poteri dello Stato, hanno spesso risentito di impostazioni connotate da una valenza politica, oltre che strettamente tecnico-giuridica58. Non è, del resto, un caso che tali interrogativi, tutt’altro che nuovi, abbiamo tuttavia acquistato rinnovato interesse soprattutto a partire dal momento in cui, sotto la spinta di numerosi abusi edilizi, commessi, in taluni casi, con la connivenza delle autorità

56 P. TANDA, Il potere di disapplicazione del giudice penale: in particolare l’ipotesi di concessione edilizia illegittima, cit., 20. Nello stesso senso cfr. L. DE LIGUORI, Riflessi penali della concessione edilizia illegittima, in Giur. merito, 1986, 1259.

57 P. TANDA, Il potere di disapplicazione del giudice penale: in particolare l’ipotesi di concessione edilizia illegittima, cit., 20. Nello stesso senso M. ANNUNZIATA, In tema di disapplicazione di concessione edilizia illegittima, in Giur. merito, 1988, 636 ss. Nella giurisprudenza svolge simili argomentazioni, per esempio, Cass., III, 13 marzo 1985, Meraviglia, in Foro it., 1986, 88.

58 E. FORTUNA, Attività edilizia e controllo giudiziario, Padova, 1983, 13, 14; M. PETRONE, La disapplicazione dell’atto amministrativo (aspetti penali), in Il giudice ordinario e il controllo di legittimità sugli atti della pubblica amministrazione, Quaderni del C.S.M., gennaio 1987, 56.

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competenti, “i pretori pensarono di arrogarsi il potere di sindacare la legittimità delle licenze edilizie”59, equiparando l’ipotesi di licenza illegittima al caso di mancanza di licenza e, in tal modo, ravvisando, quanto meno sul piano dell’elemento materiale, la sussistenza del reato un tempo previsto dall’art. 20, lett. b), l. 47 del 1985, oggi dall’art. 44, lett. b), d.P.R. 380 del 200160.

Numerose pronunce della Corte di Cassazione, oltre che della giurisprudenza di merito, hanno aderito, come si vedrà, per lungo tempo e senza riserve a questo orientamento, compiendo, per lo meno secondo una parte della dottrina, un “evidente errore di grammatica giuridica”61, nel far uso del potere di disapplicazione non solo in relazione a provvedimenti che incidono riduttivamente su posizioni giuridiche soggettive del destinatario, ma anche nelle ipotesi in cui l’atto stesso costituisca per lui fonte di nuove facoltà. Tanto che, come è stato rilevato62, la vecchia legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo è stata utilizzata per tentare di legittimare un controllo obiettivo da parte della magistratura, e in particolare del giudice penale, sugli atti della pubblica amministrazione, indipendentemente dalla loro incidenza su posizioni soggettive private.

Tutto ciò premesso, appare dunque necessario esaminare le linee di sviluppo dell’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale su questo tema, nel tentativo di rintracciare un iter argomentativo che consenta di risolvere il problema in modo appagante alla luce sia dei principi posti dalla legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo, sia, e soprattutto, dei fondamentali principi vigenti in materia penale.

Tradizionalmente, anche sul piano penalistico, il problema in esame è stato impostato e risolto sia dalla dottrina, sia dalla giurisprudenza esclusivamente

59 M. MILONE, Sulla sindacabilità dell’atto amministrativo da parte del giudice penale, cit., 411. In

argomento cfr., altresì, E. FORTUNA, Aspetti giuridici del controllo sulla attività edilizia: reati edilizi e processo penale, in Cass. pen., 1983, 460 ss.; A. ALBAMONTE, Atti amministrativi illegittimi e fattispecie penale: poteri del giudice nella tutela penale del territorio, in Cass. pen., 1983, 1861 ss.; ID., Sistema penale e ambiente, Padova, 1989, in particolare 371 ss.

60 Sul tema della c.d. supplenza giudiziaria cfr., in generale e per tutti, D. PULITANÒ, Supplenza giudiziaria e poteri dello Stato, in Quad. cost., 1983, 93 ss.

61 L’espressione è di P. TANDA, Il potere di disapplicazione del giudice penale: in particolare l’ipotesi di concessione edilizia illegittima, cit., 22. Nello stesso senso M. MILONE, Sulla sindacabilità dell’atto amministrativo da parte del giudice penale, cit., 411. Parla, a questo proposito, di “giurisprudenza tecnicamente aberrante” B. CARAVITA DI TORITTO, in La «disapplicazione» dell’atto amministrativo da parte del giudice penale, in Quaderni del CSM, gennaio 1991, 53.

62 M. MAZZA, Sindacato del giudice penale su atti amministrativi; in particolare sugli atti autorizzativi di cui alla legge Merli, in Giur. agr. it., 1980, 337.

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attraverso il ricorso alla figura generale della disapplicazione dell’atto illegittimo, individuando come punto di riferimento normativo proprio l’art. 5 della legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo63. Si è così affermato che il giudice deve disapplicare ogni atto amministrativo illegittimo, estendendo − con un evidente salto logico − tale potere, non solo alle ipotesi di provvedimenti a contenuto restrittivo della sfera giuridica del privato, ma anche a provvedimenti ampliativi (come, appunto, autorizzazioni, concessioni, licenze, abilitazioni, e così via). Con la conseguenza che, se ogni atto autorizzativo affetto da illegittimità, al pari di ogni altro atto amministrativo illegittimo, deve essere disapplicato, il reato deve ritenersi sussistente non solo quando il comportamento penalmente rilevante è stato tenuto senza il suddetto atto autorizzativo, ma anche quando esso sia stato realizzato in presenza di un provvedimento illegittimo. “Il passaggio dalla prospettiva ‘liberale’ della disapplicazione degli ordini non legalmente dati, a quella “simmetricamente opposta”, in cui disapplicazione dell’atto autorizzativo significa responsabilità penale dei suoi destinatari”64 non appariva affatto problematico. Tanto che il ricorso all’art. 5 della legge 2248 del 1865, all. E per equiparare, ai fini della sussistenza del reato, l’illegittimità del provvedimento amministrativo alla sua inesistenza costituisce per lungo tempo una costante sia nella giurisprudenza della Corte di Cassazione65, sia nella giurisprudenza di merito66.

63 M. PETRONE, La disapplicazione dell’atto amministrativo, cit., 61. Cfr., altresì, sul punto G. FORNASARI, Costruzione edilizia in base a concessione illegittima e ambito di rilevanza della «buona fede», in Giur. merito, 1986, 233 ss.

64 D. PULITANÒ, Supplenza giudiziaria e poteri dello Stato, cit., 102. 65 Senza alcuna pretesa di completezza, cfr., tra le tante, Cass., III, 31 maggio 1983, Zanotti, in

Cass. pen., 1984, 1802; Cass., III, 2 febbraio 1983, Zavagnin, in Cass. pen., 1984, 682; Cass., VI, 26 maggio 1982, De Carli, in Cass. pen., 1983, 2079; Cass., VI, 10 giugno 1981, Brighenti, in Giust. pen., 1981, III, 675; Cass., III, 23 maggio 1981, Volpicelli, in Cass. pen., 1982, 1624; Cass., III, 23 aprile 1981, Conci, in Cass. pen., 1982, 1617; Cass., III, 11 febbraio 1981, Simonelli, in Foro it., 1982, II, 88 ss.

66 Per tutte, Pret. Acropoli, 31 ottobre 1987, in Giur. merito, 1988, con nota critica di ANNUNZIATA; Pret. Monte Sant’Angelo, 27 aprile 1984, in Giur. merito, 1986, III, 1253, con nota critica di L. DE LIGUORI; Pret. Giulianova, 23 giugno 1982, in Arch. pen., 1983, 120, con nota critica di CASTALDO; Pret. Padova, 30 aprile 1981, Protti, in Riv. giur. ed., 1981, I, 1123; Trib. Roma, 29 maggio 1980, in Foro it., 1980, II, 686 ss.; Trib. Roma, 29 ottobre 1980, De Romanis, in Riv. giur. ed., 1981, I, 721; Pret. Cetraro, 14 giugno 1980, in Foro it., 1981, II, 283 ss.; Pret. Trento, 20 febbraio 1980, in Giur. merito, 1981, 497, con nota di DI FRANCIA.

Pochissime ed isolate le pronunce dei giudici di merito che si discostavano dall’orientamento dominante. Cfr., ad esempio, Trib. Teramo, 19 aprile 1983, in Arch. pen., 1984, 205, con nota adesiva di CASTALDO; Trib. S. Maria Capua Vetere, 2 febbraio 1980, inedita; Trib. Padova, 30 ottobre 1981, Protti, in Riv. giur. ed., 1981, 1122; Pret. Napoli, 7 gennaio 1977, in Riv. giur. ed., 1977, I, 339.

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Le posizioni della dottrina67, del resto, sono state, per lo meno inizialmente, concordanti con quelle giurisprudenziali e volte a riconoscere al giudice penale la possibilità di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi, equiparando ai fini dell’accertamento del reato, l’esercizio di determinate attività in assenza dei prescritti atti autorizzativi e l’esercizio delle stesse sulla base di provvedimenti esistenti, ma illegittimi. Solo in un periodo successivo la dottrina ha incominciato ad impostare la questione relativa al sindacato del giudice sugli atti amministrativi in chiave strettamente penalistica, ravvisando la necessità di un’indagine più complessa ed articolata, che volgesse lo sguardo anche alla struttura della singola norma incriminatrice68. La distinzione tra provvedimenti amministrativi a contenuto ampliativo e provvedimenti a contenuto restrittivo continua ad essere considerato il presupposto da cui muovere. Solo in questo secondo caso, si precisa, il giudice può sindacare la legittimità del provvedimento e, in caso di giudizio incidentale negativo, disapplicarlo assolvendo l’imputato: esclusivamente in simili ipotesi, infatti, può realizzarsi, attraverso l’illegittimità del provvedimento restrittivo, quella ingiusta lesione dei diritti del cittadino che la legge 2248 del 1865 ha inteso evitare69. Qualora, viceversa, il provvedimento abbia contenuto ampliativo, si afferma la convinzione che il giudice penale possa (rectius: debba) controllare la legittimità dell’azione amministrativa solo quando tale requisito sia espressamente previsto tra gli elementi essenziali della fattispecie criminosa70. In questa prospettiva, dunque, il problema del sindacato del giudice penale viene risolto, innanzitutto,

67 Cfr., tra gli altri, G. MARINI, Urbanistica, in Noviss. dig. it., XX, Torino, 1957, 155; R. VENDITTI,

Il sindacato del giudice penale sugli atti amministrativi, in Riv. it. dir. proc. pen., 1965, 28 ss.; N. MAZZACUVA, Le autorizzazioni amministrative e la loro rilevanza in sede penale, cit., 814; A. DI FRANCIA, Abusivismo edilizio per licenza o concessione edilizia illegittima e poteri del giudice penale, in Giur. merito, 1981, 498 ss.; A. ALBAMONTE, Atti amministrativi illegittimi e fattispecie penale: poteri del giudice nella tutela penale del territorio, cit., 1861 ss.; ID., Responsabilità del costruttore e concessione illegittima alla luce della l. n. 47 del 28 febbraio 1985, in Cass. pen., 1986, 567 ss.; G. MARINI, Commento all’art. 20, l. 28 febbraio 1985, n. 47, in Leg. pen., 1985, 631, 632. Contra, invece, A. PECORARO ALBANI, Il reato di costruzione edilizia senza licenza, cit., 51.

68 In tale prospettiva, per tutti, G. PIGHI, “Permesso” e “norme” nella disciplina penale dell’abuso edilizio, Milano, 2003, 89. Analogamente, nella dottrina spagnola cfr. N. J. DE LA MATA BARRANCO, Protección penal del ambiente y accessoriedad administrativa, cit., 231 ss.

69 P. TANDA, Il potere di disapplicazione del giudice penale: in particolare l’ipotesi di concessione edilizia illegittima, cit., 36. Per una lettura critica di tale impostazione cfr., invece, P. MICHELI, Giudice penale e concessione edilizia illegittima: la definitiva affermazione della portata sostanziale del «sindacato» sull’atto

amministrativo, in Cass. pen., 1997, 3147 ss. 70 In questo senso A. CASTALDO, Sindacato del giudice e sussistenza del reato di costruzione abusiva in

presenza di concessione illegittima: critica, in Arch. pen., 1983, 149; ID., Finalmente rivalutato il principio di legalità nell’ipotesi di concessione edilizia illegittima disapplicata dal giudice, in Arch. pen., 1984, 210.

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alla luce del principio di legalità-tassatività; attraverso, cioè, l’analisi delle varie ipotesi di reato, per verificare, preliminarmente, quale ruolo assuma in esse l’atto amministrativo e, conseguentemente, l’eventuale questione della sua legittimità71.

Si comprende, pertanto, che, qualora si tratti di provvedimenti (non restrittivi) ma ampliativi e l’illegittimità dell’atto non sia espressamente contemplata tra gli elementi costitutivi del reato, ciò che rileva è unicamente “l’ontologica esistenza dell’atto” e non la sua legittimità72. Da un lato, infatti, eventuali vizi del provvedimento non potrebbero rilevare per fondare il potere di disapplicazione di cui agli artt. 4 e 5 legge 2248 del 1865, in quanto non sussiste quell’esigenza di prevenire una lesione di diritti soggettivi, trattandosi di provvedimenti che, anziché comportare siffatta lesione, rimuovono un ostacolo al loro libero esercizio o addirittura li costituiscono73; dall’altro lato, la tecnica di costruzione della singola fattispecie incriminatrice parrebbe impedire l’equiparazione illegittimità-carenza del provvedimento, se non a costo di violare il principio di legalità74. La disapplicazione con effetti ex tunc dell’atto amministrativo illegittimo si risolverebbe, infatti, in una forma di retroattività in malam partem della norma penale75, in quanto consentirebbe di qualificare come

71 Cfr. in tal senso, tra gli altri, R. VILLATA, «Disapplicazione» dei provvedimenti amministrativi e processo

penale, Milano, 1980, 101; L. DE LIGUORI, Riflessi penali della concessione edilizia illegittima, cit., 1258. In argomento cfr., altresì, F. NOVARESE, Orientamenti in tema di disapplicazione di concessione edilizia illegittima secondo la l. 28 febbraio 1985, n. 47, in Giur. merito, 1987, 289 ss. Più di recente, P. MILOCCO, Ordinanze contingibili e urgenti in materia di rifiuti, in Ambiente, 2001, 666 ss.

72 P. TANDA, Il potere di disapplicazione del giudice penale: in particolare l’ipotesi di concessione edilizia illegittima, cit., 36.

73 P. TANDA, op. loc. ult. cit. 74 A. CASTALDO, Sindacato del giudice penale e sussistenza del reato di costruzione abusiva in presenza di

concessione illegittima, cit., 128. Più di recente, C. ROSSI, La concessione edilizia fra interpretazione teleologica e legalità penale, in Dir. pen. proc., 1999, 1160.

75 R. RINALDI, Le fonti del diritto penale: l’analogia e l’interpretazione estensiva, in Sulla potestà punitiva dello Stato e delle Regioni, a cura di E. DOLCINI, T. PADOVANI, F. C. PALAZZO, Milano, 1994, 43. Nello stesso senso cfr. C. PEDRAZZI, Problemi di tecnica legislativa, in Comportamenti economici e legislazione penale,

Milano, 1979, 40; R. CAPALDO, Rilevanza penale delle opere edilizie illegittimamente assentite, Milano, 1983, in particolare 33, 43; G. FORNASARI, Sulla rilevanza penale delle costruzioni edilizie realizzate in base ad atti concessori illegittimi, in Foro it., 1986, 85, 86; L VIGNALE, Concessione illegittima e contravvenzioni urbanistiche: un cerchio sempre difficile da quadrare, in Cass. pen., 1987, 1712; R. BAJNO, «Disapplicazione» dell’atto amministrativo: un «precedente vincolante» della Cassazione penale?, in Corr. giur., 1987, 1187 ss.; R. CACCIN, La concessione edilizia rilasciata senza l’acquisizione del nulla-osta dell’autorità preposta alla tutela delle bellezze

naturali è illegittima ma non può essere disapplicata dal giudice ordinario con effetti ex tunc, in Giur. merito, 1988, III, 901, 902; P. TANDA, Il potere di disapplicazione del giudice penale: in particolare l’ipotesi di concessione edilizia

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illecita una condotta che era stata esplicata in piena conformità al titolo che ne costituiva il presupposto76.

Inoltre, il tentativo di ricomprendere nell’ipotesi di esercizio di un’attività in assenza del necessario provvedimento autorizzativo anche quella di esercizio della stessa attività in presenza di provvedimento illegittimo (e, quindi, materialmente esistente), comporterebbe un uso illegittimo del procedimento analogico, che verrebbe ad estendere norme che sanciscono l’applicazione di determinate pene al di fuori dei casi espressamente previsti dal legislatore77.

illegittima, cit., 40; ID., Giudice penale e disapplicazione, in Cass. pen., 1998, 2988; D. MICHELETTI, Legge penale e successione di norme integratrici, Torino, 2006, 126.

76 Il problema in oggetto si fa ulteriormente complesso nelle ipotesi in cui l’attività di rilievo ambientale sia realizzata sulla base di un provvedimento autorizzatorio illegittimo, in quanto contrario a norme di fonte comunitaria dotate di efficacia diretta (in argomento, per tutti, F. CAPELLI, Disapplicazione dell’atto amministrativo con riferimento alla normativa comunitaria, in Foro padano, 1980, 42 ss.; M. CAFAGNO, L’invalidità degli atti amministrativi emessi in forza di legge contraria a direttiva CEE immediatamente applicabile, in Riv. it. dir. pub. com., 1992, 539 ss.; P. DELL’ANNO, L’attuazione del diritto comunitario ambientale tra supremazia delle fonti e disapplicazione amministrativa: spunti di riflessione, in Riv. trim. dir. pub., 1994, in particolare 630 ss.; A. BERNARDI, La tutela penale dell’ambiente in Italia: prospettive nazionali e comunitarie, in Annali dell’Università di Ferrara, Saggi, IV, Ferrara, 1997, 97 ss.; S. RIONDATO, Disapplicazione di un provvedimento amministrativo che limita la libertà di prestazione di servizi: sanzione punitiva

illegittima, in Dir. pen. proc., 1999, 846 ss.). La soluzione di equiparare in via interpretativa la disapplicazione dell’atto comunitariamente illegittimo all’inesistenza dell’atto stesso, oltre a porsi in tensione con i principi del divieto di analogia e del divieto di retroattività sfavorevole, finirebbe col trasformare le inadempienze sul piano comunitario del legislatore e dell’amministrazione nazionali in forme anomale di responsabilità penale a carico dei singoli cittadini” (A. BERNARDI, La tutela penale dell’ambiente in Italia: prospettive nazionali e comunitarie, cit., 108; sul punto cfr., altresì, P. DELL’ANNO, L’attuazione del diritto comunitario ambientale tra supremazia delle fonti e disapplicazione amministrativa , cit., 634, 635). A tale proposito si deve comunque rilevare come sia assolutamente prevalente in dottrina e in giurisprudenza il principio secondo il quale le direttive comunitarie non possono di per sé (cioè indipendentemente da una legge interna di attuazione) determinare o aggravare la responsabilità di coloro che agiscono in violazione delle loro disposizioni. Sicché si ritiene che il divieto di attribuire alle disposizioni di una direttiva inattuata l’effetto di configurare forme nuove o più gravi di responsabilità penale debba ritenersi esteso anche alle ipotesi in cui il giudice nazionale voglia disapplicare l’atto amministrativo a carattere autorizzativo per illegittimità “meramente comunitaria” e voglia fare discendere da tale forma di disapplicazione l’operatività di fattispecie penali volte a sanzionare attività abusive in relazione a fatti da considerarsi leciti ai sensi della legge interna.

77 A proposito dell’ipotesi di concessione edilizia illegittima cfr. R. RINALDI, Le fonti del diritto penale: l’analogia e l’interpretazione estensiva, cit., 43; R. BAJNO, La tutela penale del governo del territorio, Milano, 1980, 92; G. FIANDACA, G. TESSITORE, Diritto penale e tutela del territorio, in Materiali per una riforma del sistema penale, Milano, 1984, 80; A. CASTALDO, Sindacato del giudice penale e sussistenza del reato di costruzione abusiva in presenza di concessione illegittima, cit., 128; L. VIGNALE, Concessione illegittima e contravvenzioni urbanistiche: un cerchio sempre difficile da quadrare, cit., 1711. In materia di smaltimento dei rifiuti, P. MILOCCO, Ordinanze contingibili e urgenti in materia di rifiuti, cit., 668 ss.

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Quando infatti la norma incriminatrice non parla di provvedimento “legittimo”, “validamente ottenuto” e simili, ma solo di “assenza”, non sono consentite “divagazioni interpretative”78 da utilizzare strumentalmente al fine di introdurre nel giudizio penale un sindacato sull’atto amministrativo.

In altri termini, dal momento che i concetti di legittimità-illegittimità dell’atto non assurgono ad elementi (normativi) della fattispecie concreta79, ne consegue l’impossibilità di “sostenere che sul piano etimologico l’espressione assenza di un titolo possa significare esistenza del titolo viziato da illegittimità. Qualsiasi decisione in senso contrario si pone in antinomico contrasto con quel principio di stretta legalità sancito dalla carta costituzionale all’art. 25 comma 2° in termini inequivoci e confermato all’art. 1 c.p.”80.

La stessa giurisprudenza, all’inizio degli anni ottanta, forse anche sotto l’impulso dell’elaborazione dottrinale, ha cominciato a mutare il proprio precedente orientamento. Il “banco di prova” del potere di disapplicazione in sede penale rimaneva ancora quello dei reati edilizi81. È sostanzialmente con la sentenza del 15 marzo 1982 (ric. Basso)82, in tema di concessione edilizia illegittima, che la Cassazione inizia il proprio revirement, confermato successivamente da altre importanti pronunce83 e, soprattutto, dalle Sezioni Unite, con sentenza 31 gennaio 1987 (ric. Giordano)84.

78 L. DE LIGUORI, Riflessi penali della concessione edilizia illegittima, cit., 1258. 79 In tal senso cfr., per tutti, G. FORNASARI, Costruzione edilizia in base a concessione illegittima e ambito

di rilevanza della “buona fede”, cit., 237. Cfr., altresì, G. FIANDACA, G. TESSITORE, Diritto penale e tutela del territorio, cit., 80.

80 A. CASTALDO, Sindacato del giudice penale e sussistenza del reato di costruzione abusiva in presenza di concessione illegittima, cit., 128; ID., Finalmente rivalutato il principio di legalità nell’ipotesi di concessione edilizia illegittima disapplicata dal giudice, cit., 210. Sostanzialmente nello stesso senso cfr. G. FORNASARI, Sulla rilevanza penale delle costruzioni edilizie realizzate in base ad atti concessori illegittimi, cit., 85; G. LOTITO, Concessione edilizia illegittima, giudice penale e ...disorientamento del cittadino interessato, in Nuovo dir., 1993, 261.

81 M. PETRONE, La disapplicazione dell’atto amministrativo (aspetti penali), cit., 101. 82 In Cass. pen., 1983, 1856. 83 Cfr., per esempio, Cass., III, 10 gennaio 1984, Tortorella, in Cass. pen., 1985, 1446; Cass., VI, 24

ottobre 1984, Ambrogi, in Giust. pen., 1986, II, 148; Cass., IV, 7 dicembre 1984, in Giust. pen., 1985, II, 624; Cass., III, 13 marzo 1985, Meraviglia, in Foro it., 1986, II, 84; Cass., III, 16 dicembre 1985, Furlan, in Cass. pen., 1987, 389. Tale svolta nella giurisprudenza della Corte non ha comunque impedito che la stessa continuasse a recepire in diverse occasioni la tesi tradizionale della generale disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo.

84 In Cass. pen., 1987, 1710, con nota di A. ALBAMONTE, Rilevanza penale dell’illegittimità della concessione edilizia alla luce della l. 28 febbraio 1985, n. 47, ivi, 2095 ss., o in Dir. proc. amm., 1987, 407, con nota di R. VILLATA, Le Sezioni Unite della Cassazione penale mettono fine alla c.d. «disapplicazione» della concessione edilizia (asserita) illegittima nel processo penale, ivi, 407 ss. Successivamente, nello stesso senso, cfr., tra le altre, Cass., III, 10 febbraio 1987, Maganetti, in Cass. pen., 1987, 2001; Cass., III, 28

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La posizione assunta dalla Suprema Corte con le decisioni richiamate si discosta dall’indirizzo assunto dalla giurisprudenza precedente e aderisce all’opinione, fino a quel momento minoritaria, secondo cui il rilascio di un provvedimento amministrativo autorizzativo (nel caso di specie una concessione edilizia), seppur illegittimo, impedisce la configurabilità del reato a meno che il vizio dell’atto non sia tale da determinare la sua giuridica inesistenza. La Corte, in altre parole, elabora una distinzione tra l’ipotesi della nullità-inesistenza della concessione edilizia e l’ipotesi di illegittimità della stessa. Muovendo, dunque, dal presupposto che il reato di costruzione in assenza di concessione postula l’assenza dell’atto abilitativo e non la sua illegittimità, la fattispecie, in tale prospettiva, può ritenersi integrata unicamente quando la concessione manchi in senso naturalistico, oppure quando questa debba essere considerata inesistente, perché emanata da un organo assolutamente privo del potere di provvedere o perché frutto di attività criminosa del soggetto titolare di tale potere, eventualmente in collusione con il soggetto interessato all’emissione di esso (es. concessione derivante da un fatto di corruzione) o di attività criminosa esplicata dal terzo rispetto al soggetto titolare del potere (es. concessione estorta)85.

Questo significa che, ad avviso della Corte, l’equiparazione della concessione illegittima all’assenza di concessione deve considerarsi conforme al principio di legalità-tassatività della fattispecie incriminatrice solo quando

settembre 1987, Conti, in Riv. pen., 1988, 355; Cass., III, 18 dicembre 1987, Caponetti, in Giur. it., 1989, II, 66; Cass., III, 20 gennaio 1988, Barile, in Cass. pen., 1989, 1071; Cass., III, 20 settembre 1988, Dalla Negra, in Cass. pen., 1990, I, 1576; Cass., III, 23 settembre 1989, Pezzangora, in Riv. pen., 1990, 670; Cass., III, 13 giugno 1990, Di Felice, in Riv. giur. ed., 1992, I, 529; Cass., III, 13 ottobre 1992, Stefanini, in Riv. pen., 1993, 919; Cass., III, 24 aprile 1997, Catalano, in Urbanistica e appalti, 1997, 1273, con nota di M. BARBUTO, Limiti del sindacato del giudice penale sulla concessione edilizia, ivi, 1274 ss.; Cass., III, 27 febbraio 1998, Tuffarini, in Riv. Giur. ed., 1998, I, 1498; Cass., III, 21 ottobre 2004, Buzzoni, in D&G, 2005, n. 11, 45, con nota di M. MINNITI, Disapplicazione degli atti illegittimi: dagli ermellini stop al giudice penale, ivi, 42 ss. Nella giurisprudenza di merito cfr., per esempio, Pret. Padova, 27 marzo 1987, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1989, 276, con nota di A. CARTA MANTIGLIA.

85 In questo senso si sono espressamente orientati anche alcuni ordinamenti stranieri. In Germania, per esempio, la riforma del diritto penale dell’ambiente (2. Gesetz zur Bekämpfung der Umweltkriminalität del 27 febbraio 1994, entrata in vigore il 1° novembre 1994) ha introdotto nello StGB il § 330 d Nr. 5, che equipara espressamente, ai fini penali, l’agire senza autorizzazione o altro permesso (Handeln ohne Genehmigung) alle ipotesi in cui tali atti amministrativi siano carpiti con minaccia, corruzione, collusione o ottenuti con false o incomplete dichiarazioni. Sul contenuto di tale disposizione cfr., per tutti, H. PAETZOLD, Die Neuregelung rechtsmiβräuchlich erlangtter Genehmigungen durch § 330d Nr. 5 StGB, in NStZ, 1996, 170 ss. Nella dottrina italiana M. MANTOVANI, L’esercizio di un’attività non autorizzata: profili penali, cit., 175 ss.

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l’illegittimità stessa sia tale da eliminare radicalmente l’attitudine dell’atto a conseguire l’effetto per il quale l’autorità aveva la facoltà di emetterlo, con la conseguenza che esso deve considerarsi sotto tutti i profili tamquam non esset86.

Non si vuole nascondere che una ricostruzione come quella prospettata presti il fianco a talune obiezioni di non poco conto. Se, infatti, in molti casi le fattispecie incentrate sull’assenza di provvedimenti ampliativi a contenuto autorizzativo hanno come fine ultimo quello di garantire, non tanto (o comunque non solo) l’esplicazione del mero e generico controllo amministrativo, quanto piuttosto un interesse sostanziale specifico, rispetto al quale il provvedimento svolge una funzione esclusivamente strumentale, si dovrebbe concludere che l’atto permissivo, per escludere il reato, debba essere non solo esistente, ma anche legittimo87. Un provvedimento illegittimo, infatti, potrebbe non essere in grado di soddisfare l’interesse sostanziale cui la norma penale accede, sicché l’esercizio di una determinata attività in presenza di tale provvedimento potrebbe rivelarsi lesiva dell’interesse protetto e, dunque, meritevole di sanzione88. Tale lacuna, tuttavia, non pare allo stato sanabile in via

86 La questione relativa alla configurabilità della contravvenzione di cui all’abrogato art. 20, lett.

b), l. 47 del 1985, in presenza di concessione illegittima, non fu, peraltro, definitivamente risolta. Infatti, a pochi anni di distanza dalla citata sentenza Giordano delle Sezioni Unite, la Cassazione ha rimesso in discussione i postulati della stessa. Tra le altre cfr. Cass., III, 9 gennaio 1989, Bisceglie, in Foro it., 1989, II, 297; Cass., III, 4 aprile 1995, in Foro it., 1996, 499. Più di recente cfr., in quest’ultima prospettiva con specifico riferimento alla materia dello smaltimento dei rifiuti, Cass., III, 15 novembre 1999, Aloise, in Ambiente, 2001, 663, con nota critica di P. MILOCCO, Ordinanze contingibili e urgenti in materia di rifiuti, ivi, 666 ss.; Cass., III, 28 giugno 2000, Tarantino, in Cass. pen., 2001, 5315; Cass., III, 3 marzo 2004, Dalla Fior, in Cass. pen., 2005, 34. Per ulteriori approfondimenti sul processo di erosione, ad opera di una parte della giurisprudenza, delle argomentazioni contenute nella sentenza 31 gennaio 1987 cfr., E. BELFIORE, Concessione edilizia illegittima e reato di costruzione abusiva: una questione ancora irrisolta, in Foro it., 1996, 499 ss.; C. ROSSI, La concessione edilizia fra interpretazione teleologica e legalità penale, cit., in particolare, 1161 ss.; G. PIGHI, “Permesso” e “norme” nella disciplina penale dell’abuso edilizio, cit., 107 ss. Anche nella giurisprudenza di merito continua a riaffiorare la tesi della sindacabilità dell’atto autorizzativo illegittimo e dunque della integrazione delle fattispecie incentrate sull’assenza del provvedimento stesso. In questo senso cfr., ad esempio, Pret. Gela, 14 aprile 1988, in Riv. giur. ed., 1989, I, 790; Pret. Agropoli, 31 ottobre 1987, in Giur. merito, 1988, 636. Contra, cfr., comunque, tra le tante, Pret. Marsala, 4 dicembre 1991, in Foro it., 1992, II, 251; Pret. Milano, 3 dicembre 1990, in Riv. giur. ed., 1991, I, 298.

87 In tal senso cfr. M. PETRONE, La disapplicazione dell’atto amministrativo (profili penali), cit., 88 ss. In relazione agli illeciti urbanistici cfr., sostanzialmente concorde sul punto, R. MENDOZA, Inesistenza della concessione edilizia e interesse urbanistico sostanziale (conformità sostanziale delle opere di trasformazione edilizia

alla normativa urbanistica) alla luce della l. 28 febbraio 1985, n. 47, in Cass. pen., 1988, 687. 88 Sottolineano, appunto, il legame tra necessaria legittimità dei provvedimenti autorizzatori e

natura del bene giuridico tutelato, per esempio, Cass., Sez. Un., 12 novembre 1993, Borgia, in Cass.

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meramente interpretativa. A parte il rilievo che possono sussistere forme di illegittimità che non influiscono in alcun modo sulla salvaguardia del bene giuridico finale protetto (si pensi alla violazione di talune formalità prescritte), in ogni caso non ci sembra ammissibile alla luce del principio di stretta legalità un arricchimento in via interpretativa della tipicità della singola fattispecie, condotto tramite l’individuazione della ratio di tutela89. Il giudizio sulla lesività, infatti, non può prescindere dal necessario rispetto della tipicità formale, sicché inammissibile sarebbe una estensione della rilevanza penale a ipotesi non espressamente previste dalla norma, seppure giustificata da ragioni sostanziali di tutela.

5. Il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti mediante ordinanze contingibili e urgenti Se queste sono le sequenze argomentative svolte da dottrina e

giurisprudenza in relazione alla rilevanza di un’autorizzazione illegittima ai fini dell’integrazione del reato di cui essa sia elemento costitutivo, diverse sono le conclusioni allorché a venire in causa sia una di quelle ordinanze contingibili ed urgenti che, per espressa previsione del legislatore, in presenza di determinati presupposti possono legittimare speciali forme di gestione dei rifiuti.

Come è noto e più volte ricordato, infatti, le diverse forme di gestione dei rifiuti possono essere legittimamente esercitate solo ad esito del procedimento amministrativo di controllo di volta in volta prescritto per le stesse, potendosi – in caso contrario – ravvisare gli estremi degli illeciti contemplati dalla normativa di settore90. Sennonché, siffatta disciplina generale deve essere integrata con il contenuto dell’art. 191 d.lg. 152 del 2006, il quale prevede la possibilità per il Presidente della giunta regionale, il Presidente della provincia e il Sindaco di adottare nell’ambito delle rispettive competenze e in presenza di specifici presupposti, ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti. L’art.

pen., 1994, 902; Cass., III, 21 gennaio 1996, Oberto, in Cass. pen., 1997, 1484; Cass., III, 7 aprile 1997, Candela, in Cass. pen., 1998, 1474.

89 Manifesta la sua perplessità nei confronti delle “suggestioni di una tutela penale «sostanziale» favorita da una prassi sempre più insofferente ai limiti di una responsabilità da acclarare solo nel rispetto dei vincoli della legalità formale” anche E. BELFIORE, Concessione edilizia illegittima e reato di costruzione abusiva: una questione ancora irrisolta, cit., 503.

90 Il riferimento è, in particolare, agli illeciti oggi contemplati dall’art. 256 d.lg. 152 del 2006.

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191 ha, in un certo senso, sostituito l’art. 13 d.lg. del 1997, il quale, a sua volta, richiamava l’art. 12 d.P.R. 915 del 1982, dettando, però, rispetto a quest’ultima disposizione una disciplina più dettagliata e rigorosa dei presupposti e requisiti di legittimità in presenza dei quali era possibile avvalersi del potere di ordinanza.

In particolare, il potere derogatorio può essere ora esercitato unicamente quando: a) vi sia una situazione di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell’ambiente, per la quale sarebbe impossibile l’utilizzo dei mezzi normali predisposti dall’ordinamento; b) il provvedimento garantisca un elevato livello di tutela della salute e dell’ambiente e indichi specificamente le norme a cui intende derogare; c) l’ordinanza venga adottata su parere obbligatorio degli organi tecnici o tecnici-sanitari ed entro centoventi giorni dalla sua adozione il presidente della giunta regionale adotti e promuova le iniziative necessarie per garantire la raccolta differenziata, il riutilizzo, il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti. È, inoltre, previsto che l’ordinanza abbia un termine massimo di efficacia di sei mesi, non reiterabile per più di due volte, salvo potere di deroga attribuito al presidente della regione in casi di comprovata necessità, d’intesa con il Ministero dell’ambiente.

La giurisprudenza in materia di ordinanze contingibili ed urgenti è vastissima e relativa, in larga misura, proprio alla puntualizzazione delle condizioni legittimanti l’adozione del provvedimento.

Per quanto concerne l’individuazione del ruolo svolto dall’ordinanza in relazione alla condotta suscettibile di assumere rilevanza penale, in diverse occasioni la giurisprudenza ha precisato che essa avrebbe una natura e una funzione diverse da quelle proprie dell’autorizzazione91. Quest’ultima, infatti, “tende a rimuovere un ostacolo al libero esercizio del diritto di gestire professionalmente l’attività di smaltimento e recupero dei rifiuti”, mentre l’ordinanza contingibile e urgente “ha la funzione di consentire in situazioni eccezionali il ricorso a forme straordinarie di gestione dei rifiuti anche in deroga alla normativa vigente e, per conseguenza, può configurarsi come causa speciale di giustificazione per quelle attività che integrerebbero reato ai sensi della normativa vigente”92. L’ordinanza de qua, in altre parole, verrebbe in rilievo davanti al giudice penale “come possibile causa di esclusione dell’antigiuridicità della

91 Tra le altre, Cass., III, 9 maggio 2005, Manzoni, in Dir. giur. agr. al. amb., 2007, 264. 92 Cass., III, 15 aprile 1998, Rizzi, in Dir. giur. agr. Amb., 1999, 179, con nota di G. LAMANTEA, Il

sindacato del giudice ordinario e le ordinanze contingibili ed urgenti, ivi, 180. V. anche Cass., III, 17 gennaio 1994, Cerchiara, in Giust. pen., 1994, II, 605.

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condotta incriminata, giacché il legislatore ha riconosciuto che l’interesse sotteso alla disciplina procedurale e tecnico-amministrativa vigente in materia di smaltimento dei rifiuti (che è penalmente sanzionata) è in determinate ipotesi superato dall’interesse a tutelare in via urgente altre esigenze sanitarie o ambientali, che non potrebbero essere soddisfatte attraverso la disciplina ordinaria”93. Nell’ambito, poi, di tale prospettiva che ravvisa nell’ordinanza contingibile ed urgente una causa di esclusione dell’antigiuridicità della condotta tipica94, talvolta l’ordinanza de qua viene considerata come ipotesi speciale di causa di giustificazione non codificata, riferita “a situazioni tipiche ben precise”95, in altri casi, viceversa, viene ritenuta riconducibile all’ipotesi generale di cui all’art. 51 c.p.96.

Da questa differenza sostanziale e funzionale dei due provvedimenti amministrativi (autorizzazione, da un lato, ed ordinanza d’urgenza, dall’altro lato) – si prosegue e il punto merita attenzione − deriverebbero conseguenze importanti con particolare riguardo al potere di sindacato che compete al giudice penale relativamente ai provvedimenti medesimi. Talché, mentre in ordine all’autorizzazione sarebbero applicabili i principi elaborati nella nota sentenza Giordano delle Sezioni unite, la quale – come anticipato97 – ha escluso in capo al giudice penale il potere di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi che non comportino una lesione dei diritti soggettivi, ma rimuovano

93 Cass., III, 16 ottobre 1998, Schepis, in Ambiente, 1999, 880. 94 Tra le altre, Cass., III, 19 settembre 2000, Bartone, in Ambiente, 2001, 287; Cass., III, 16 ottobre

1998, Schepis, cit.; Cass., III, 27 gennaio 1998, Rizzi, in Riv. giur. amb., 1999, 84, con nota di NOVARESE, L’ordinanza contingibile ed urgente in materia di rifiuti fra d.P.R. n. 915 del 1982 e d.lg. n. 22 del 1997 e successive modificazioni, ivi, 96 ss.; Cass., III, 16 dicembre 1997, Santagata, C.e.d. 210147; Cass., III, 21 dicembre 1994, Liguori, in Cass. pen., 1996, 3474. Nella giurisprudenza di merito, App. Catanzaro, 24 aprile 1998, Caputo ed altro, cit. In questo senso, nella dottrina cfr., per tutti, P. FIMIANI, Acque, rifiuti e tutela penale, Giuffrè, 2000, 499. Sull’argomento, amplius, E. NAPOLILLO, Le ordinanze contingibili e urgenti in materia di rifiuti: scriminanti, «comportamenti necessitati», limiti al potere

amministrativo e sindacato del giudice penale, in Dir. giur. agr. amb., 2000, in particolare, 546. 95 Così, tra gli altri, A. DE PAOLA, Discarica comunale e responsabilità del sindaco, in Ambiente &

Sviluppo, 2005, 968. Nella giurisprudenza, sia pure sotto il vigore della pregressa disciplina, Cass., III, 14 ottobre 2004, D. G. E., in Ambiente & Sviluppo, 2005, 966; Cass., III, 6 marzo 1996, Giffoni, in Cass. pen., 1997, 1137.

96 In questo senso, per esempio, Cass., III, 17 gennaio 1994, Cerchiara, in Giust. pen., 1994, II, 605. Nell’ambito della dottrina V. PAONE (L’emergenza rifiuti e le ordinanze d’urgenza, in Ambiente, 1999, 886) riconduce l’ordinanza contingibile ed urgente in esame alla scriminante dell’adempimento del dovere. Sulle due diverse possibili ricostruzioni del ruolo delle ordinanze de quibus E. NAPOLILLO, Le ordinanze contingibili e urgenti in materia di rifiuti, cit., 546.

97 Supra § 4.

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un ostacolo al loro libero esercizio o addirittura li costituiscano; gli stessi principi, invece, non sarebbero applicabili alle ordinanze contingibili ed urgenti de quibus, “giacché queste, più che rimuovere ostacoli all’esercizio del diritto di intraprendere l’attività di smaltimento dei rifiuti, spesso possono produrre la lesione di diritti alla salute e all’ambiente che la normativa vigente costituisce in capo ai singoli e alla collettività”98. Si dovrebbe allora comprendere perché da questa possibilità che l’ordinanza straordinaria comporti una lesione di diritti soggettivi derivi il potere-dovere del giudice ordinario di applicare detta ordinanza solo in quanto sia conforme alla legge, ai sensi dell’art. 5 l. 2248 del 186599. “Il bilanciamento concreto degli interessi in conflitto è affidato al sindaco, che lo effettua attraverso la motivazione dell’ordinanza contingibile e urgente”100.

In altre parole, si osserva, la questione relativa agli effetti dell’illegittimità dell’atto in sede penale andrebbe impostata come un problema di tipicità, per cui ove la fattispecie parli di assenza dell’atto, la sua valutazione non potrebbe essere estesa oltre alla verifica dell’inesistenza dell’atto o della provenienza da organo privo del potere di provvedere; viceversa, quando l’atto da sindacare sia estraneo alla fattispecie, come accade nei casi coinvolgenti ordinanze contingibili ed urgenti101, la potestà di disapplicazione dell’atto spetterebbe senz’altro al giudice penale102. Breve: l’adozione dell’ordinanza sarebbe legittima e giustificata solo con il verificarsi di una situazione che presenti i caratteri della contingibilità e dell’urgenza, sicché le deroghe dalla stessa apportate siano tollerabili in funzione, e nei ristretti limiti, di comportamenti necessitati di tutela della salute e dell’ambiente. Dunque, il sindacato del giudice penale che si trovi a valutare l’efficacia esimente dell’atto dovrebbe estendersi a verificare la sussistenza di tutti i presupposti per il legittimo esercizio del potere derogatorio103.

In presenza, allora, di un’ordinanza contingibile ed urgente illegittima, l’effetto derogatorio rispetto all’illiceità del fatto tipico (per esempio, lo

98 Cass., III, 15 aprile 1998, Rizzi, cit. 99 Cass. III, 15 aprile 1998, Rizzi, cit. Per talune considerazioni favorevoli all’indirizzo accolto

nella pronuncia de qua, P. MILOCCO, Ordinanze contingibili e urgenti in materia di rifiuti, cit., 666 ss. 100 Cass., III, 16 ottobre 1998, Schepis, cit. 101 Così anche Cass., III, 2 aprile 1995, Argondizzo, in Ambiente, 1997, 57. 102 P. MILOCCO, Ordinanze contingibili e urgenti in materia di rifiuti, cit., 671. 103 E. NAPOLILLO, Le ordinanze contingibili e urgenti in materia di rifiuti: scriminanti, «comportamenti

necessitati», limiti al potere amministrativo e sindacato del giudice penale, cit., 547, 548. In questo senso, nell’ambito della giurisprudenza, per tutte, Cass., III, 9 maggio 2005, Manzoni, cit.

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smaltimento di rifiuti in assenza della prescritta autorizzazione) non sarebbe operante sul piano obiettivo, posta l’assenza dei poteri extra ordinem. L’adozione del provvedimento, tuttavia, potrebbe eventualmente avere rilievo sotto il profilo soggettivo, nel senso che il fatto potrebbe essere ricondotto all’esercizio putativo di diritti o facoltà legittime104. Risulterebbe, cioè, possibile ricorrere all’applicazione dell’art. 59, comma 4, c.p. nell’ipotesi in cui il soggetto agente abbia esercitato un’attività di gestione dei rifiuti in assenza della prescritta autorizzazione, ma nel rispetto di quanto consentito dall’ordinanza contingibile ed urgente, allorché questa dovesse poi risultare illegittima105. Se, infatti, il contenuto della rappresentazione e della volizione del soggetto è un fatto che l’ordinamento considera lecito, in quanto l’agente ha erroneamente supposto di commetterlo in presenza di una causa di giustificazione, non potrà ritenersi sussistente una responsabilità per dolo, ma eventualmente una mera responsabilità per colpa quando l’erronea supposizione della presenza di una causa di giustificazione poteva essere evitata con la diligenza necessaria ed esigibile e sempre che la responsabilità per colpa trovi spazio nel sistema106.

6. Le fattispecie incentrate sul superamento di limiti tabellari: soglie come elementi del fatto tipico e soglie attinenti all’antigiuridicità Si è già cercato di chiarire quale sia il ruolo e il rilievo dei limiti-soglia

nell’ambito delle fattispecie incriminatrici descritte dal legislatore in materia ambientale107. E si è già accennato alla circostanza che, a tutt’oggi, quello in oggetto è un istituto dalla collocazione dogmatica estremamente incerta.

Invero, come anticipato, la dottrina ha per lo più prospettato nel settore preso in esame una duplice possibile collocazione dogmatica delle soglie di rilevanza. Alcune di esse concorrerebbero alla descrizione del fatto tipico108,

104 P. MILOCCO, Ordinanze contingibili e urgenti in materia di rifiuti, cit., 672. 105 In questo senso P. MILOCCO, Ordinanze contingibili e urgenti in materia di rifiuti, cit., 672. 106 G. MARINUCCI, Cause di giustificazione in Dig. disc. pen., II, Torino, 1988, 143. 107 Supra cap. II, § 3.1. 108 Ad avviso di una parte della dottrina i limiti tabellari che stigmatizzano lo stato di

inquinamento ambientale verrebbero a svolgere, in buona sostanza, una portata definitoria di un elemento della fattispecie. Così, D. FALCINELLI, Le soglie di punibilità tra fatto e definizione normo-culturale, Torino, 2007, 55.

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altre, invece, si situerebbero nell’alveo dell’antigiuridicità, integrando i presupposti di fatto della causa di giustificazione dell’esercizio del diritto109.

Si muove, infatti, dalla constatazione che l’attività di specificazione del limite-soglia può essere svolta tanto nei confronti di un fatto generalmente lecito, quanto nei confronti di un fatto sul quale si potrebbe già esprimere un giudizio di riprovevolezza110. La soglia, dunque, potrebbe essere stabilita per realizzare un bilanciamento di interessi (la tutela ambientale e interessi che a quello si contrappongono) o potrebbe esprimere semplicemente il momento in cui la lesione del bene tutelato raggiunge un’espansione tale da giustificare la risposta penale.

Ebbene, in tale prospettiva si osserva che, se all’area del fatto compete il compito politico criminale di delineare le singole forme di offesa, dovrebbe conseguirne come logico corollario che non può appartenere al settore dell’antigiuridicità quella regola tecnica che individua lo stesso contenuto di offesa del reato111. Diversa, tuttavia, sarebbe la conclusione allorché il mancato superamento dei limiti soglia non permettesse di escludere l’offensività di una condotta pur se osservante112. Tale situazione, ad avviso di una parte della dottrina, sarebbe ravvisabile, per esempio, in relazione a taluni limiti-soglia dettati in tema di inquinamento delle acque. Infatti – si osserva – nel caso di scarico di acque reflue industriali la condotta manterrebbe comunque un proprio connotato lesivo, in virtù del reiterarsi seriale della stessa. Sicché, il rispetto delle soglie tabellari costituirebbe “presupposto di fatto della scriminante di cui all’art. 51 c.p.”113.

Siffatta impostazione non risulta, tuttavia, unanimemente condivisa. Ad avviso di un diverso orientamento i limiti-soglia rappresentano, per definizione, una tecnica normativa che si propone di mettere in pratica i dettami del

109 E. INFANTE, G. SALCUNI, Diritto penale del comportamento e disvelamento della necessaria “politicità” del

giudizio degli esperti, cit., 1183. 110 V. PLANTAMURA, Diritto penale e tutela dell’ambiente, Bari, 2007, 158. 111 E. INFANTE, G. SALCUNI, Diritto penale del comportamento e disvelamento della necessaria “politicità” del

giudizio degli esperti, cit., 1186. 112 E. INFANTE, G. SALCUNI, Diritto penale del comportamento e disvelamento della necessaria “politicità” del

giudizio degli esperti, cit., 1187. 113 E. INFANTE, G. SALCUNI (Diritto penale del comportamento e disvelamento della necessaria “politicità” del

giudizio degli esperti, cit., 1188), i quali precisano, poi, quali implicazioni discendano dall’accoglimento di siffatta prospettiva in merito alla compatibilità della tecnica normativa in esame con il principio della riserva di legge. Sul punto v. amplius supra cap. II, §§ 3 ss.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

200

principio di precauzione114. Infatti, i valori-soglia molto spesso sono fissati in termini ultraprudenziali in ossequio al principio di precauzione. Tali valori-limite, dunque, si collocherebbero per lo più ben al di sotto della soglia del pericolo reale, essendo fissati diversi ordini di grandezza al di sotto dei livelli di esposizione ai quali non si sono osservati effetti negativi115. Sicché, posto che “neanche il più acceso degli ambientalisti arriverebbe mai a sostenere che l’immissione/emissione tout court di sostanze nell’ambiente sia un’attività in sé illecita (…), appare evidente come, nella specie, tutto il giudizio di valore sia incentrato nel limite-soglia”116. Analogamente si osserva come il procedimento che presiede alla determinazione dei limiti-soglia sia improntato a considerazioni iperprudenziali che mettono in cima a ogni altro obiettivo la minimizzazione del rischio, prescindendo volutamente da valutazioni sulla reale possibilità di osservare una compromissione di beni o interessi concreti117.

Con la conseguenza che risulterebbe difficile negare che la struttura della fattispecie incriminatrice in oggetto polarizzi il fuoco della tipicità proprio sulla violazione dei limiti de quibus118. Viceversa – come è noto le scriminanti rimangono estranee al processo di tipicizzazione, operano in un secondo momento119. Individuate, con la previsione dei «fatti tipici», specifiche forme di offesa a beni degni di tutela penale, l’ordinamento decide poi se vietare effettivamente il comportamento lesivo e considerarlo antigiuridico, o, nonostante la sua carica di offensività, legittimarlo in considerazione dell’esistenza di interessi contrapposti maggiormente meritevoli di protezione giuridica120.

114 F. D’ALESSANDRO, Il diritto penale dei limiti-soglia e la tutela dai pericoli nel settore alimentare, cit.,

1152. Analogamente, C. PIERGALLINI, Danno da prodotto e responsabilità penale. Profili dommatici e politico-criminali, Milano, 2004, 291; F. GIUNTA, Il diritto penale e le suggestioni del principio di precauzione, in Criminalia, 2006, 246.

115 Sulla complessa problematica cfr. tra gli altri, F. CENTONZE, F. D’ALESSANDRO, La sentenza del Tribunale di Venezia sul petrolchimico di Porto Marghera, in Riv. giur. amb., 2003, 159. Nella giurisprudenza Trib. Venezia, sez. I, 29 maggio 2002, C. e altri, in Riv. giur. amb., 2003, 119 ss.

116 V. PLANTAMURA, Diritto penale e tutela dell’ambiente, cit., 158, 159, il quale sottolinea, altresì, le inevitabili ripercussioni della tecnica di costruzione della fattispecie sul rispetto del principio della riserva di legge (v. supra cap. II, § 3.1).

117 F. D’ALESSANDRO, Il diritto penale dei limiti-soglia e la tutela dai pericoli nel settore alimentare, cit., 1168.

118 In questo senso cfr., altresì, L. SIRACUSA, La tutela penale dell’ambiente. Bene giuridico e tecniche di incriminazione, Milano, 2007, 134 ss.

119 C. F. GROSSO, Cause di giustificazione, in Enc. Giur. Treccani,VI, 1988, 2. 120 C. F. GROSSO, Cause di giustificazione, cit., 2.

L’antigiuridicità nel reato ambientale

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In realtà, però, non parrebbe esservi contraddizione insanabile tra l’affermazione che i limiti-soglia rappresentano elementi del fatto tipico, da un lato, e quella in forza della quale il fatto-base cui accedono sia già dotato di attitudine lesiva, dall’altro lato. Infatti, come già anticipato, se si ritiene condivisibile la conclusione che l’incriminazione di determinate condotte si giustifica solo allorché le stesse presentino un (sia pure potenziale) pericolo per l’ambiente è evidente che il superamento di limiti tabellari nell’esercizio di attività non connotate da siffatto requisito dovrebbe rimanere al di fuori del diritto penale. Coerentemente, il legislatore ha, per esempio, previsto che il superamento di valori-soglia nell’effettuazione di scarichi possa rilevare in sede penale solo allorché si tratti di acque reflue industriali e solo là dove venga in considerazione il superamento di ben individuati limiti tabellari121. Al di fuori da siffatti confini, la condotta di superamento dei valori-soglia è suscettibile di rilevare solo in sede amministrativa122.

Ebbene, la funzione dei valori tabellari parrebbe, allora, quella di porre una barriera invalicabile alla liceità di condotte ab origine suscettibili di arrecare pregiudizio all’ambiente, ma, che in presenza di determinati presupposti e previo un bilanciamento con altri valori ed interessi, possono essere autorizzate. La fissazione di valori-soglia in altre parole segnerebbe i confini entro cui l’autorizzazione può esplicare la propria funzione di legittimare l’esercizio delle predette attività, a prescindere dal ruolo che si preferisca assegnare al titolo abilitativo nella descrizione dell’illecito. I valori soglia, in questa prospettiva, parrebbero entrare nel fatto tipico, venendo a rappresentare una sorta di secondo livello di contemperamento di interessi effettuato – questa volta − direttamente dal legislatore in linea generale ed astratta123. Se, cioè, con il rilascio del provvedimento abilitativo è la pubblica amministrazione che – lo si è accennato – con una discrezionalità più o meno ampia, valuta e compara gli

121 Il riferimento è al contenuto dell’art. 133, comma 1, d.lg. 152 del 2006. 122 Sui rapporti tra l’ambito di illiceità penale e quello di illiceità amministrativa in subiecta materia

cfr. L. BISORI, Commento all’art. 137 d.lg. 152 del 2006, in Codice commentato dei reati e degli illeciti ambientali, a cura di F. GIUNTA, Padova, 2007, 63 ss.

123 In termini generali, la dottrina (G. MORGANTE, L’illiceità speciale nella teoria generale del reato, Torino, 2002, 137, 138) distingue, del resto, tra valutazioni comparative di interessi finalizzate “a selezionare dal novero di tutti i comportamenti potenzialmente idonei a recare offesa ad un determinato bene giuridico quelli (...) penalmente rilevanti in una prospettiva (...) rigorosamente endopenalistica” e bilanciamenti di interessi sottesi, viceversa, all’applicazione di cause di giustificazione. Il predetto bilanciamento di interessi sarebbe finalizzato, nel primo caso, alla definizione dei limiti entro i quali il diritto penale è “disposto” a tutelare un determinato bene giuridico, mentre, nel secondo caso, a sancire la liceità del fatto materiale tipico (ivi, 190).

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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interessi configgenti e può decidere nel senso di un parziale sacrificio del bene ambientale a favore di altri prevalenti interessi, con la fissazione di soglie è lo stesso legislatore che, con efficacia erga omnes, risolve il conflitto a favore del bene ambiente allorché la condotta potenzialmente inquinante si spinga oltre i limiti ritenuti tollerabili124. Nell’ipotesi, dunque, di superamento, l’offesa subisce una sorta di progressione, pur mantenendosi nell’ambito del mero pericolo. La soglia segna un limite interno al fatto tipico, non tanto perché serve a delimitare il minimo di offesa penalmente rilevante, quanto piuttosto perché segna un secondo (e più allarmante) livello di offesa, che può scaturire anche da condotte perfettamente lecite in quanto autorizzate, pur se intrinsecamente pericolose125.

Come è noto il limite soglia può essere anche espresso dal singolo provvedimento di autorizzazione, generalmente in funzione restrittiva dell’area del penalmente lecito. Può infatti accadere che l’autorità vigilante decida di fissare standard di tolleranza più severi di quelli previsti in via generale in considerazione della peculiarità del contesto in cui si svolge la condotta. In questo caso il rispetto delle prescrizioni relative ai valori-soglia costituirà una delle condizioni cui è subordinata la legittima esplicazione della condotta medesima. Qui è, in effetti, ancora l’autorità amministrativa che, nell’effettuare l’opera di bilanciamento in concreto, esercita la propria discrezionalità nei limiti segnati dalla legge. L’eventuale violazione del contenuto dell’autorizzazione integrerà una di quelle fattispecie ingiunzionali sulle quali ci si è già soffermati126.

124 È ben vero che i valori-soglia possono in taluni casi essere rimodulati dagli enti locali, ma in

via generale ed astratta, cioè del tutto indipendentemente dalla concreta situazione di fatto in cui la violazione si consuma.

125 È evidente, peraltro, che il superamento di limiti-soglia fissati in termini generali ed astratti potrà assumere rilevanza penale anche – e a maggior ragione – nei confronti di chi eserciti l’attività in assenza della prescritta autorizzazione. In questo senso cfr. anche L. SIRACUSA, La tutela penale dell’ambiente, cit., 219.

126 Supra cap. II, § 5.

Capitolo quinto

LA COLPEVOLEZZA NEL REATO AMBIENTALE

SOMMARIO: 1. L’elemento soggettivo nei reati ambientali. − 2. La rilevanza del caso fortuito. In

particolare: il guasto tecnico. − 3. La problematicità delle ipotesi di errore e di ignoranza che caratterizza le fattispecie in materia ambientale. − 4. Il ruolo del «dovere di informazione» nella valutazione del carattere scusabile dell’ignoranza-errore sul precetto. − 5. L’errore indotto dalla pubblica autorità. − 6. La casistica relativa alle fattispecie incentrate su provvedimenti amministrativi autorizzativi nel dibattito dottrinale e nella prassi giurisprudenziale. − 6.1. L’errore sull’obbligatorietà dell’autorizzazione. − 6.2. L’errore sulle norme amministrative che regolano la validità ed il rilascio degli atti autorizzativi. − 6.3. L’errore sull’estensione degli atti autorizzativi. − 6.4. L’errore sul contenuto del provvedimento autorizzativo. − 7. L’errore inevitabile sull’illiceità penale (ma non amministrativa) del fatto. − 8. Le fattispecie incentrate su limiti tabellari e l’errore sulle soglie. − 9. L’elemento soggettivo nelle ipotesi delittuose. − 10. L’efficacia selettiva del dolo specifico nel reato di cui all’art. 260 d.lg. 152 del 2006.

1. L’elemento soggettivo nei reati ambientali

Anche la determinazione dell’elemento soggettivo costituisce un essenziale momento di conformazione di qualsiasi illecito penale. Sicché, spetta al legislatore definire per i singoli tipi di reato l’area dell’imputazione soggettiva, mediante la classificazione come delitto o come contravvenzione, e – nell’ambito dei delitti – mediante la previsione di fattispecie colpose o, ancora, attraverso la delimitazione della punibilità a specifiche forme di dolo. Invero, nell’ambito dei reati ambientali la natura tendenzialmente contravvenzionale delle relative incriminazioni determina, sotto il profilo in oggetto, una generalizzata imputabilità soggettiva dell’illecito tanto a titolo di dolo, quanto a titolo di colpa. Tale circostanza, unitamente all’esiguo regime sanzionatorio che, di regola, è previsto per i reati in esame ha finito per assecondare un atteggiamento di scarsa attenzione da parte della dottrina e della giurisprudenza in relazione alla rimproverabilità soggettiva dell’agente. Al punto tale che in alcuni casi parrebbe emergere la tendenza a presumere l’elemento soggettivo del reato, facendo coincidere la materialità del fatto, non di rado consistente nella violazione di una regola cautelare, con la colpa. Sennonché, tale epilogo

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parrebbe porsi in netto contrasto con i principi recepiti dal nostro ordinamento. Come è stato rilevato1, “la tendenza a costruire la colpa come contrasto obiettivo della condotta con una precauzione e a configurare le regole cautelari in modo rigido, a codificarle come norme di pianificazione e organizzazione di interi settori del lavoro, della vita sociale, dell’economia, imputando a chi agisca in quei contesti senza osservarle o conoscerle la «colpa obiettiva» di non averle apprese, fa sì che gli spazi per una soggettivizzazione della responsabilità siano progressivamente diminuiti, atteso che margini ulteriori di personalizzazione sono molto esigui. La colpa tende a essere antigiuridicità oggettiva, non colpevolezza”.

La paventata elusione del giudizio di colpevolezza pare, in particolare, ricollegarsi a due diversi fattori: da un lato, alla limitatissima rilevanza riconosciuta, ai fini della rimproverabilità di una condotta inquinante, al c.d. guasto tecnico e, più in generale, a situazioni riconducibili al caso fortuito, nonché, dall’altro lato, al tendenziale misconoscimento della rilevanza dell’error iuris, anche quando l’ambito di operatività della normativa extrapenale, non di rado presupposta dalla fattispecie incriminatrice, risulta tutt’altro che nitido2. Come si vedrà, infatti, la tecnica di costruzione delle fattispecie incriminatrici incide in modo significativo sulla problematica dell’elemento soggettivo e dell’errore, nell’ambito di una tendenza, segnalata da una parte della dottrina con riferimento al contesto dei reati contro l’economia, a legittimare la “punizione dell’inosservanza delle regole che organizzano i presupposti per realizzare programmi di qualità della vita”3.

2. La rilevanza del caso fortuito. In particolare: il guasto tecnico Il c.d. guasto tecnico costituisce non di rado causa di anomalie nel

funzionamento di impianti, che si riflettono sulla quantità e qualità degli inquinanti rilasciati nell’ambiente, con la possibilità che risultino integrate fattispecie di reato per lo più consistenti nel superamento di parametri entro i quali sono consentiti sversamenti o emissioni.

1 M. DONINI, Dolo e prevenzione generale nei reati economici. Un contributo all’analisi dei rapporti fra errore di

diritto e analogia nei reati in contesto lecito di base, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1999, 25. 2 In questo senso, con specifico riferimento al settore dell’inquinamento atmosferico, D.

MICHELETTI, Commento all’art. 279 d.lg. 152 del 2006, in Codice commentato dei reati e degli illeciti in materia ambientale, a cura di F. GIUNTA, Padova, 2007, 468.

3 M. DONINI, Dolo e prevenzione generale nei reati economici, cit., 16.

La colpevolezza nel reato ambientale

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La giurisprudenza ritiene di regola irrilevante il guasto tecnico nell’economia del giudizio di colpevolezza. Ogniqualvolta è stata allegata la presenza di un guasto per giustificare l’invocazione del fortuito o della forza maggiore, la chiusura della Cassazione è stata pressoché assoluta4. Il concetto in diverse occasioni enunciato dalla giurisprudenza è che il guasto tecnico di per sé non costituisce un’eventualità eccezionale, né imprevedibile, posto che l’onere di diligenza, del quale risulta gravato il titolare dell’impianto, ricomprende il dovere di adottare anche quegli accorgimenti tecnici che sopperiscano all’ipotesi di guasto. “Anche se improvviso e imprevedibile – afferma la Cassazione censurando una delle poche pronunce di merito che aveva abbandonato questa linea – il guasto tecnico deve essere previsto ed evitato con l’utilizzo di quei sistemi di prevenzione idonei ad evitare comunque l’inquinamento”5. In altre occasioni si è precisato che “quanto maggiore è la delicatezza degli strumenti utilizzati, tanto più si impone il controllo continuo di personale qualificato dell’impresa o di ditte esterne specializzate”6. Ne discende però una presunzione di colpevolezza in contrasto con l’art. 27 Cost. Si comprende, allora, la necessità di distinguere − invece − le diverse cause del possibile mancato funzionamento dell’impianto o dell’eventuale rottura: guasti (imputabili per esempio ad usura, difetto di manutenzione, ecc.) che, effettivamente, non potrebbero escludere la colpa7, e guasti imprevedibili che

4 L. PRATI, Guasto agli impianti e caso fortuito nella giurisprudenza in materia di tutela ambientale, in Riv.

giur. amb., 1999, 204. 5 Cass., III, 11 luglio 1995, Casoni, in Dir. giur. agr. amb., 1996, II, 702, con nota di S. BATTISTINI,

Responsabilità penale anche per guasto tecnico improvviso in tema di inquinamento atmosferico, ivi, 703. Analogamente Cass., III, 14 gennaio 2003, Branchesi, in Urbanistica e appalti, 2003, 613; Cass., III, 2 marzo 1999, B., in Riv. giur. amb., 1999, 886, con nota di L. PRATI, Guasto agli impianti ed illeciti ambientali, ivi, 889 ss., con ulteriori indicazioni giurisprudenziali; Cass., III, 7 ottobre 1999, Ambroggio, in Dir. gir. agr. amb., 2000, 334, con nota di F. MAZZA, Limiti alla rilevanza del fortuito nella dispersione di sostanza oleose, ivi, 335; Cass., III, 3 maggio 1995, Vinella, in Riv. pen. econ., 1997, 88.

6 Cass., III 10 gennaio 2000, Balestrino, in Riv. pen., 2000, 824. 7 In questo senso, per esempio, si è affermato che “in tema di tutela delle acque

dall’inquinamento, non integra l’ipotesi del caso fortuito il guasto meccanico dell’impianto, che è correttamente ascrivibile ad una condotta negligente dell’imputato, atteso che questi era obbligato a mantenere l’impianto in condizioni di sicuro funzionamento ed a controllare costantemente l’efficacia dello stesso, non potendo annoverarsi nella categoria dei fattori inevitabili ed imprevedibili il guasto c.d. improvviso di un meccanismo il cui funzionamento dipende dall’attività di manutenzione dello stesso” (Cass., III, 15 novembre 2002, Branchesi, in Giust. pen., 2003, II, 474). Analogamente, Cass., III, 29 aprile 2003, Piscedda (in Cass. pen., 2005, 160) ha ritenuto che “in materia di inquinamento atmosferico – come in altri settori relativi alla protezione dell’ambiente – non è invocabile la causa di inesigibilità ex art. 45 c.p. allorché l’evento sia riconducibile quale fattore causale alla condotta

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

206

dovrebbero, viceversa, escludere la rimproverabilità8. In altre parole, non sarebbe possibile escludere a priori l’efficacia esimente del guasto, trattandosi, piuttosto, di verificare secondo i parametri della prevedibilità e prevedibilità in concreto se siano ravvisabili profili di rimproverabilità in capo all’agente.

Ed, invece, si è di frequente affermato che incombe in capo al titolare di un insediamento un obbligo specifico di controllo e di adozione di ogni possibile cautela al fine di prevenire fenomeni di inquinamento, con la conseguenza che eventi, quali l’inclemenza delle condizioni atmosferiche9 o il verificarsi di rotture negli impianti10, debbono ritenersi ampiamente prevedibili e non ascrivibili ad ipotesi di caso fortuito o forza maggiore. “Il fatto in sé di un guasto nel funzionamento dell’impianto di depurazione lungi dall’escludere,

dell’autore, in facendo od in omittendo, e sia comunque prevedibile ed evitabile con misure strutturali di prevenzione”.

8 Così, per esempio, Cass., III, 23 marzo 1999, Bortoletto (in Riv. pen., 2000, 1027, con nota di F. CAPRANO, Inquinamento delle acque e caso fortuito, ivi, 1028) ha escluso la responsabilità di taluni imputati per fatti di inquinamento delle acque determinatisi a seguito della rottura di un tubo di gomma urtato accidentalmente da un mezzo meccanico, affermando che “l’imprevedibilità dell’evento lesivo, conseguenza del tutto eccezionale del comportamento del conducente, esclude la colpevolezza degli imputati”. Sulla necessità di effettuare rigorosamente la distinzione evidenziata nel testo, L. PRATI, Guasto agli impianti e caso fortuito nella giurisprudenza in materia di tutela ambientale, cit., 203 ss.; ID., Guasto agli impianti ed illeciti ambientali, cit., 890; D. MICHELETTI, Commento all’art. 279 d.lg. 152 del 2006, cit., 469.

9 Così, si è esclusa l’attribuzione di qualunque rilevanza a temporali che abbiano determinato la fuoriuscita di liquidi inquinanti, o piogge particolarmente abbondanti, freddi intensi o gelate notturne, posto che tali fenomeni debbono essere previsti e considerati dal titolare dell’insediamento che deve, di conseguenza, adottare tutte le misure idonee ad evitare esiti dannosi per l’ambiente. In questo senso, Cass., III, 30 luglio 1991, Mazzuferri, in Mass. Cass. pen., fasc. 1, 6; Cass., III, 23 giugno 1989, Molteni, Riv. pen., 1990, 381; Cass., III, 3 luglio 1981, Schieppati, in Riv. pen., 1982, 177; Cass., III, 13 maggio 1987, Piersanti, in Riv. pen., 1988, 391; Cass., III, 29 maggio 1984, Benini, in Riv. pen., 1985, 716.

10 Si è, quindi, esclusa l’applicabilità dell’art. 45 c.p. con riferimento alla rottura di un tubo, al guasto di una pompa che determini il cattivo funzionamento di un impianto di depurazione, alla rottura di una guarnizione o alla mancanza di energia, alla bruciatura di una resistenza, alla corrosione di cabalette di adduzione dei reflui, all’intasamento di un depuratore, al piegamento di un tubo. Così Cass., III, 7 ottobre 1999, Ambroggio, cit.; Cass., III, 10 maggio 1999, Bortoletto, in Riv. pen., 2000, 1027; Cass., III, 7 luglio 1998, Giacchetti, in C.e.d. 211982; Cass., III, 18 dicembre 1997, Rosati, in C.e.d. 209868; Cass., III, 9 luglio 1996, Paggiu, in Dir. giur. agr. al. amb., 1997, 517, con nota di G. LAMANTEA, La tutela penale dall’inquinamento da scarico episodico od occasionale, ivi, 518; Cass., III, 16 giugno 1994, Maffiodo, in Riv. pen., 1995, 915; Cass., III, 12 aprile 1995, Bettinsoli, in Dir. giur. agr. al. amb., 1997, 134, con nota di S. BATTISTINI, Inquinamento e rilevanza del caso fortuito e della forza maggiore e responsabilità del titolare, ivi, 135; Cass., III, 21 maggio 1996, Prignacchi, in C.e.d. 205229; Cass., V, 6 agosto 1991, Moscatelli, in Mass. Cass. pen., 1992, fasc. 11, 88; Cass., III, 11 marzo 1987, Avoni, in Riv. pen., 1988, 65; Cass., III, 24 aprile 1987, Berti, in Riv. pen., 1988, 624.

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comprova l’insufficienza delle misure predisposte e, dunque, dimostra la responsabilità del soggetto, quanto meno a titolo di colpa”11.

3. La problematicità delle ipotesi di errore e di ignoranza che caratterizza le fattispecie in materia ambientale

Come anticipato, un’altra tra le possibili cause di svalutazione del giudizio di

colpevolezza in materia ambientale viene per lo più imputata ad un generalizzato misconoscimento di ipotesi di ignoranza-errore dotati di efficacia escludente la rimproverabilità soggettiva dell’agente. Si comprende, dunque, l’importanza di esaminare i profili controversi che le fattispecie in subiecta materia sollevano in relazione a tale problematica. Le difficoltà dommatiche e pratiche che incontra chi intenda affrontare tali aspetti in relazione a fattispecie non di rado costruite in termini formali scaturiscono, come è noto, dall’operare congiunto di una molteplicità di fattori diversi12.

Innanzitutto è necessario tenere presente che si tratta per lo più di incriminazioni riconducibili all’ampio genus dei reati c.d. artificiali o di mera creazione legislativa, topograficamente distribuiti nell’ambito del diritto penale accessorio e posti a protezione di un bene giuridico ad ampio spettro13; sicché risulta chiaro come le ipotesi di ignoranza-errore, soprattutto sul precetto, possano rivelarsi in tale settore particolarmente frequenti e non sempre evitabili.

Per di più, il frequente utilizzo nella costruzione delle fattispecie prese in esame di elementi normativi tecnicamente complessi, la caotica stratificazione

11 Cass., III, 10 maggio 2005, Bonarrigo, in Giur. it., 2006, 1034. 12 Sul punto cfr., amplius, A. CADOPPI, La natura giuridica della «mancanza dell’autorizzazione» nella

fattispecie penale: riflessi in tema di errore, in Riv. trim. dir. pen. econ. 1990, 363 ss. 13 In generale, sulla distinzione tra reati “naturali” e reati “di mera creazione legislativa” in

relazione ai problemi in tema di error iuris, cfr., tra gli altri, F. BRICOLA, Dolus in re ipsa, Milano, 1960, 106, nt. 115; F. C. PALAZZO, Il problema dell’ignoranza della legge penale nelle prospettive di riforma, in Riv. it. dir. proc. pen. 1975, 793 ss.; ID., L’errore sulla legge extrapenale, Milano, 1974, 126 ss.; D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, Milano, 1976, 149, 439; G. FLORA, Profili penali in materia di imposte dirette ed I.V.A., Padova, 1979, 228 ss.; T. PADOVANI, La scelta delle sanzioni in rapporto alla natura degli interessi tutelati, in Beni e tecniche della tutela penale. Materiali per una riforma del codice, Milano, 1987, 97; F. C. PALAZZO, Ignorantia legis: vecchi limiti ed orizzonti nuovi della colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen. 1988, 938; A. CADOPPI, Orientamenti giurisprudenziali in tema di “ignorantia legis”, in Foro it. 1991, II, 415; A. CALABRIA, Delitti naturali, delitti artificiali ed ignoranza della legge penale, ne L’Indice pen. 1991, 35 ss.; ID., Ignorantia legis e parere erroneo del consulente legale, in Riv. it. dir. proc. pen. 1992, in particolare 155 ss.; R. BARTOLI, Colpevolezza: tra personalismo e prevenzione, Torino, 2005, 159 ss. Nella manualistica, per tutti, F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Padova, 2007, 294.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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di disposizioni spesso tra loro non coordinate o collegate attraverso l’impiego di rinvii multipli a catena, nonché l’intervento di fonti subordinate nella formazione del precetto14, rendono spesso difficilmente conoscibile il contenuto della norma penale anche all’operatore più attento15. A ciò si aggiunga la considerazione che, ad avviso di una parte della dottrina16, le fattispecie che incriminano l’esercizio di attività in assenza del prescritto provvedimento abilitativo della pubblica amministrazione – particolarmente diffuse in subiecta materia − sarebbero da ricondurre alla categoria dei c.d. «reati misti di azione ed omissione»17. Ed è noto che nel campo dei reati omissivi il soggetto più difficilmente, rispetto a quanto accade in relazione ai reati commissivi, riesce a percepire il disvalore della propria condotta; soprattutto laddove ci si trovi in presenza di incriminazioni in cui la situazione tipica che li connota è poco pregnante, in quanto dotata di una trascurabile attitudine a fungere da impulso ad agire sul soggetto destinatario dell’obbligo18.

Non meno problematica, tuttavia, si rivela anche l’individuazione di rigorosi criteri che permettano di effettuare il giudizio di evitabilità-scusabilità dell’ignoranza-errore sul precetto, consentendo di contemperare in modo

14 Sul punto amplius supra cap. II. 15 In questo senso cfr., per esempio, P. PATRONO, Problematiche attuali dell’errore nel diritto penale

dell’economia, in Riv. trim. dir. pen. econ. 1988, in particolare 90; ID., La responsabilità del produttore per danni alla salute, in Riv. it. dir. proc. pen. 1991, 1064. Su tali profili cfr., altresì, L. STORTONI, L’introduzione nel sistema penale dell’errore scusabile di diritto: significati e prospettive, in Riv. it. dir. proc. pen. 1988, in particolare 1319 ss.; M. DONINI, Teoria del reato, cit., in particolare 302 ss. Nella giurisprudenza, tra le altre, Tribunale di Orvieto, 19 gennaio 1995, Pastorello, in Foro it. 1995, II, 567.

16 A. CADOPPI, La natura giuridica della “mancanza di autorizzazione” nella fattispecie penale , cit., 373. Cfr., altresì, M. DONINI, Il delitto contravvenzionale. ‘Culpa iuris’ e oggetto del dolo nei reati a condotta neutra, Milano, 1993, 238.

17 Sulla categoria dei reati c.d. “misti di azione e di omissione” cfr., per tutti, A. CADOPPI, Il reato omissivo proprio, I, Padova, 1988, 131 e bibliografia ivi riportata.

18 Sul punto cfr., amplius, A. CADOPPI, La nuova configurazione dell’art. 5 c.p. ed i reati omissivi propri, in Responsabilità oggettiva e giudizio di colpevolezza, a cura di A. STILE, Napoli, 1989, in particolare 238 ss. e riferimenti bibliografici ivi riportati; ID., La natura giuridica della “mancanza di autorizzazione” nella fattispecie penale, cit., 382; ID., Orientamenti giurisprudenziali in tema di «ignorantia legis», cit., 415. Cfr., altresì, G. FIANDACA, Principio di colpevolezza ed ignoranza della legge penale: “prima lettura” della sentenza 364/1988, in Foro it. 1988, I, 1393; F. C. PALAZZO, Ignoranza della legge penale, in Dig. disc. pen., VI, Torino, 1992, 137, 138; L. STORTONI, L’introduzione nel sistema penale dell’errore scusabile di diritto: significati e prospettive, cit., 1330; M. PETRONE, Il “nuovo” art. 5 c.p.: l’efficacia scusante della ignorantia iuris inevitabile ed i suoi riflessi sulla teoria generale del reato, in Cass. pen. 1990, 715, 716. Sul profilo generale della scarsa pregnanza di gran parte delle condotte incriminate dal diritto penale accessorio e sui problemi che ciò comporta in relazione ai reati colposi cfr., per tutti, G. FORTI, Colpa ed evento nel diritto penale, Milano, 1990, in particolare 173 ss.

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equilibrato istanze repressive, da un lato, e istanze individualgarantistiche, dall’altro lato. È evidente, infatti, che quanto più si tenderanno a valorizzare parametri rigorosamente oggettivi, tanto più saranno soddisfatte le esigenze di tutela dei beni giuridici, ma al contempo sarà sacrificata “la dimensione personalistica della colpevolezza quale categoria ancorata a coefficienti psicologici reali”19. Il rischio, in altre parole, è quello che l’impiego da parte della giurisprudenza di criteri troppo rigorosi faccia prevalere in misura eccessiva le ragioni di prevenzione generale sulle istanze individuali di garanzia della libertà del singolo20. 4. Il ruolo del «dovere di conoscenza delle leggi» rispetto all’ignoranza e all’errore sul precetto

Si tratta ora di stabilire in presenza di quali presupposti eventualmente il

soggetto potrà andare esente da pena, in virtù del carattere inevitabile-scusabile del proprio errore. Infatti, come è noto, sulla base dell’art. 5 c.p., così come interpretato dalla Corte costituzionale, la coscienza dell’antigiuridicità del fatto − cui viene però assimilata la mera possibilità di acquisirla21 − è stata espressamente riconosciuta come elemento della colpevolezza, attinente al rapporto tra soggetto e norma e, dunque, distinto ed autonomo rispetto al dolo e alla colpa, attinenti, invece, alla relazione tra soggetto e fatto materiale tipico22. Con l’ovvia conseguenza che “l’impossibilità di conoscenza del precetto (e, pertanto, dell’illiceità del fatto) non ascrivibile alla volontà dell’interessato deve necessariamente escludere la punibilità”23.

In tale prospettiva risulta chiaro che il giudizio di evitabilità-scusabilità dell’errore costituisce il «cuore» dell’intera disciplina dell’ignorantia legis24, così

19 G. FIANDACA, Principio di colpevolezza ed ignoranza scusabile della legge penale, cit., 1393. 20 Su questo tema, in termini generali e amplius, M. DONINI, Dolo e prevenzione generale nei reati

economici, cit., 1 ss. 21 La dottrina maggioritaria ritiene, per lo più, che l’equiparazione, ai fini della colpevolezza, tra

coscienza dell’antigiuridicità e sua evitabile ignoranza sia in grado di rispondere adeguatamente alle istanze del personalismo. In tal senso cfr., per tutti, F. C. PALAZZO, Ignorantia legis, cit., in particolare 932 ss.

22 G. FLORA, La difficile penetrazione del principio di colpevolezza: riflessioni per l’anniversario della sentenza costituzionale sull’art. 5 c.p., in Giur. it. 1989, IV, 337.

23 Cfr. § 14 della sentenza 364 del 1988 della Corte costituzionale. 24 F. C. PALAZZO, Ignoranza della legge penale, in Dig. disc. pen., VI, Torino, 1992, 1141.

Sostanzialmente nello stesso senso, G. FLORA, La difficile penetrazione del principio di colpevolezza, cit., 337;

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come ridisegnata dall’intervento della Corte, in ossequio ai principi della Schuldtheorie25. Proprio, infatti, dalla scelta dei criteri adottati per compiere il giudizio di evitabilità parrebbe dipendere, in larga misura, l’effettività dell’intervenuto riconoscimento della rilevanza dell’ignorantia legis. E, in tale prospettiva, si comprende come un ruolo decisivo e insostituibile venga svolto, sul terreno pratico-applicativo, dall’attività degli organi giudicanti26; soprattutto se si tiene conto della circostanza che, sul punto, la Consulta si è limitata a dettare soltanto alcune utili indicazioni di massima, per taluni aspetti asistematiche e frammentarie27.

In linea di principio la evitabilità-inescusabilità dell’ignoranza del precetto penale viene fatta risalire dalla Corte costituzionale all’inadempimento o all’incompleto adempimento da parte del singolo dell’obbligo di informarsi sul contenuto delle leggi. In altre parole: la rimproverabilità della non conoscenza della norma incriminatrice passa necessariamente attraverso l’inottemperanza ai “c.d. doveri strumentali di conoscenza delle leggi, incombenti sui destinatari dei precetti penali”28. Viceversa l’inevitabilità, e quindi la scusabilità, dell’ignoranza-errore implica la soddisfazione da parte del cittadino del dovere di fare quanto possibile per apprendere un’effettiva e corretta conoscenza dell’illiceità penale del suo comportamento.

In relazione a tale profilo, dunque, il vero punctum dolens è il seguente: quando si può dire che il soggetto ha adempiuto diligentemente al dovere strumentale di informazione? È, infatti, indiscutibile che sul maggiore o minore grado di conoscenza della legge penale possano influire diversi fattori tra loro eterogenei: l’eccessiva produzione di norme incriminatrici, la sempre più

F. MANTOVANI, Ignorantia legis scusabile e inescusabile, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, 390; G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2007, 396.

25 Come è noto, la Schuldtheorie si differenzia dalla Vorsatztheorie in quanto quest’ultima, diversamente dalla prima, colloca l’effettiva scientia iuris nell’ambito del dolo, con la conseguenza che l’ignorantia legis, ancorché evitabile, esclude a priori la responsabilità dolosa, lasciando al più residuare una responsabilità colposa, alla condizione che l’errore sul precetto sia ascrivibile a colpa del soggetto e che il fatto sia previsto come reato anche nella forma colposa. Sul punto cfr., amplius, F. C. PALAZZO, Ignorantia legis, cit., 935; R. BARTOLI, Colpevolezza: tra personalismo e prevenzione, cit., in particolare 99 ss. Cfr., altresì, H. JESCHECK (L’errore di diritto nel diritto penale tedesco e italiano, ne L’Indice pen. 1988, 185 ss.), il quale si sofferma, peraltro, sulle soluzioni recepite in tema di error iuris da diversi paesi europei, nonché G. TORRE, Errore sul precetto e Verbotsirrtum, cit., in particolare 191 ss.

26 In questo senso cfr., per esempio, M. PETRONE, Il “nuovo” art. 5 c.p.: l’efficacia scusante della ignorantia iuris inevitabile ed i suoi riflessi sulla teoria generale del reato, in Cass. pen. 1990, 708.

27 In questo senso F. MANTOVANI, Ignorantia legis scusabile e inescusabile, cit., 390. 28 Cfr. § 18 della motivazione della sentenza 364 del 1988, cit.

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frequente configurazione di reati che presentano scarso disvalore sociale, le assicurazioni fornite da organi “ufficiali” sulla conformità a diritto di determinati comportamenti, e così via. Da qui il problema fondamentale di stabilire fino a che punto tali fattori possano influire sul giudizio di rimproverabilità ai fini di un’eventuale esclusione della responsabilità in capo ad un soggetto che abbia commesso un fatto illecito nell’ignoranza della rilevanza penale dello stesso.

Innanzitutto, è evidente come la pretesa attività di informazione da parte del cittadino debba prospettare un risultato possibile, nel senso che lo Stato deve farsi garante della “oggettiva possibilità di conoscenza” del contenuto di ogni legge penale29, mediante la chiara e corretta formulazione della stessa. Si crea in tal modo una sorta di rapporto sinallagmatico tra obblighi del singolo cittadino e doveri incombenti sull’ordinamento30. Da un lato, infatti, ciascun consociato deve fare quanto in suo potere per osservare la legge, dall’altro lato, però, lo Stato non può punire senza preventivamente aver posto il cittadino nelle condizioni di conoscere il contenuto della stessa; sicché l’ignoranza od errore sul precetto, come già anticipato, non sarà in alcun modo rimproverabile nei casi di assoluta impossibilità di conoscenza della legge31.

Tanto premesso, si tratta ora di stabilire come debba comportarsi il soggetto agente nelle ipotesi in cui lo Stato abbia, per parte sua, adempiuto ai propri doveri; qualora, cioè, esista effettivamente l’oggettiva possibilità di conoscere il precetto penale. Più precisamente, è necessario chiarire se ed entro quali limiti il dovere di conoscenza della legge da parte del cittadino possa essere adempiuto mediante la semplice lettura della stessa o se, piuttosto, in taluni casi non si prospetti anche l’ulteriore dovere di far ricorso all’interpretazione di fonti qualificate, che chiariscano il contenuto oscuro o, comunque, non immediatamente comprensibile di determinati testi32.

29 Cfr. § 18 e 19 della sentenza 364 del 1988, cit. 30 In tal senso cfr., per esempio, L. STORTONI, L’introduzione nel sistema penale dell’errore scusabile di

diritto, cit., 1328. 31 Se, infatti, “l’obbligo giuridico si distingue dalla “soggezione” perché, a differenza di

quest’ultima, richiama la partecipazione volitiva del singolo alla sua realizzazione, far sorgere l’obbligo d’osservanza delle leggi (delle “singole” particolare leggi) penali, in testa ad un determinato soggetto, senza la benché minima possibilità, da parte del soggetto stesso, di conoscerne il contenuto e subordinare la sua violazione soltanto ai requisiti “subiettivi” attinenti al fatto di reato, equivale da una parte a ridurre notevolmente valore e significato di questi ultimi e, d’altra parte, a strumentalizzare la persona umana ai fini di pura deterrenza” (§ 14 sentenza 364 del 1988).

32 Sul punto cfr., amplius, F. MANTOVANI, Ignorantia legis scusabile e inescusabile, cit., 393; A. CALABRIA, Ignorantia legis e parere erroneo del consulente legale, cit., 151.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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Infatti, come la stessa Corte costituzionale ha espressamente riconosciuto, “l’assoluta, «illuministica» certezza della legge sempre più si dimostra assai vicina al mito”33. E ciò, perché, rispetto a società complesse ed in continua evoluzione come quelle odierne, il diritto penale sempre più spesso incrimina comportamenti difficilmente percepibili nel loro disvalore e non di rado attinenti ad attività tecnicamente qualificate, descritte frequentemente attraverso concetti normativi extrapenali e meccanismi di rinvio più o meno trasparenti. Sicché, la semplice lettura della legge può non risultare di fatto sufficiente alla corretta apprensione del significato della stessa34, rendendo in tal modo indispensabili complesse operazioni interpretative.

Diventa, dunque, di primaria importanza individuare la soglia fino alla quale deve essere spinto siffatto ulteriore eventuale impegno di approfondimento informativo da parte dell’agente, in modo tale che possa dirsi integrata la doverosa diligenza e, dunque, esclusa la colpevolezza del soggetto. Come è stato, infatti, rilevato35, “non diversamente dalla colpa per il fatto, anche l’evitabilità dell’errore sul precetto non è uno stato psicologico, ma la deviazione da un modello normativo....E modello normativo significa, per definizione, apposizione di una misura e di un limite”. Ragionare diversamente significherebbe correre il rischio di ritenere praticamente sempre evitabili l’ignorantia o l’error legis, in considerazione della pressoché inesauribile possibilità di comportamenti impeditivi degli stessi36.

A fronte di tale esigenza il criterio che meglio parrebbe consentire l’effettuazione di un giudizio tendenzialmente oggettivo, ma orientato anche alla valutazione di elementi di flessibilità, è quello dell’homo eiusdem condicionis et professionis37, nell’accezione proposta in relazione ai reati colposi38. L’adozione di

33 Cfr. il paragrafo 18 della sentenza. 34 Sul punto cfr., amplius, A. CALABRIA, Ignorantia legis e parere erroneo del consulente legale, cit., in

particolare 152, 156. 35 D. PULITANÒ, Una sentenza storica che restaura il principio di colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen.,

1988, 713, 714. 36 Sul punto cfr., amplius, F. C. PALAZZO, Ignoranza della legge penale, cit., in particolare 142, 143; F.

MANTOVANI, Ignorantia legis scusabile e inescusabile, cit., 394. 37 In questo senso cfr. F.C. PALAZZO, Ignorantia legis, cit., in particolare 950; F. MANTOVANI,

Ignorantia legis scusabile e inescusabile, cit., 395; M. PETRONE, Il “nuovo” art. 5 c.p., cit., 709 ss.; E. BELFIORE, Brevi note sul problema della scusabilità dell’”ignorantia legis”, in Foro it. 1995, II, 156; F. MUCCIARELLI, Errore e dubbio dopo la sentenza della Corte costituzionale 364 del 1988, cit., in particolare 277.

38 Sull’elaborazione del parametro dell’homo eiusdem condicionis et professionis in relazione all’illecito colposo cfr., per tutti, G. MARINUCCI, La colpa per inosservanza, Milano, 1965. Più di recente cfr., tra gli altri, F. MANTOVANI, Colpa, in Dig. disc. pen., vol. II, Torino, 1988, 307.

La colpevolezza nel reato ambientale

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simile parametro di valutazione, implica, come diretta conseguenza, che l’ambito della diligenza richiesta debba considerarsi strettamente connesso alle caratteristiche del tipo di modello cui il soggetto agente appare riconducibile, e soprattutto al tipo di attività esplicata39; questo equivale a dire che l’ignoranza delle norme regolatrici un dato campo di attività, da parte di chi agisca in quel settore, sembra potersi considerare idoneo fondamento di un giudizio di rimproverabilità40. Con l’ulteriore conseguenza che in relazione a chi svolga professionalmente una certa attività, parrebbe configurarsi un dovere di informazione particolarmente rigoroso.

Quest’ultima soluzione, del resto, è stata espressamente recepita anche dalle sezioni unite della Corte di Cassazione, che, con sentenza 10 giugno 199441, relativa ad un’ipotesi di esecuzione di lavori in assenza di concessione edilizia, sono per la prima volta intervenute sul tema concernente l’individuazione dei criteri alla stregua dei quali formulare il giudizio di scusabilità-inevitabilità dell’errore sul precetto penale. Ad avviso della Corte, infatti, se per il comune cittadino la responsabilità può essere esclusa “ogniqualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosiddetto «dovere di informazione», attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia, tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali risponderanno dell’illecito anche in virtù di una culpa levis nello svolgimento dell’indagine giuridica”42.

Già prima dell’intervento delle sezioni unite, la giurisprudenza si era, peraltro, orientata in questa direzione, riconoscendo che “l’imprenditore moderno non può non conoscere le norme penali che riguardano specificamente lo svolgimento della propria attività”43. Sicché, per esempio, “non può certamente considerarsi scusabile l’ignoranza di una legge (e della

39 In questo senso cfr., per tutti, D. PULITANÒ, Una sentenza storica che restaura il principio di

colpevolezza, cit., 715; F. MANTOVANI, Ignorantia legis scusabile e inescusabile, cit., 395; A. CALABRIA, Delitti naturali, delitti artificiali ed ignoranza della legge penale , cit., 56.

40 Sul punto cfr., amplius, D. PULITANÒ, Una sentenza storica che restaura il principio di colpevolezza, cit., 716 ss. Nella giurisprudenza aderisce espressamente a tale impostazione, per esempio, Cass., I, 15 gennaio 1990, Rizzello, in Giust. pen. 1990, II, 390.

41 In Foro it., 1995, II, 154 ss., con nota di E. BELFIORE (Brevi note sul problema della scusabilità dell’«ignorantia legis», cit.).

42 Talune perplessità nei confronti dei rigorosi parametri generalmente utilizzati dalla nostra giurisprudenza per valutare la culpa iuris vengono espresse, per esempio, da E. BELFIORE, Brevi note sul problema della scusabilità dell’«ignorantia legis», cit., in particolare 157, 158.

43 Pretura di Lendinara, 26 aprile 1988, Ghirlanda e Sattin, in Foro it., 1989, II, 193.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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normativa di rinvio) che riguarda lo smaltimento dei rifiuti da parte di un imprenditore che eserciti un’attività” riconducibile a tale campo44; con la conseguenza che dovrà qualificarsi come evitabile l’ignoranza sull’obbligatorietà dell’autorizzazione per effettuare le fasi di smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi45, o sull’obbligo di tenuta del registro di carico e scarico46.

Ma quid iuris nell’ipotesi in cui il soggetto abbia tratto il convincimento della correttezza della propria interpretazione normativa e, conseguentemente della liceità del comportamento tenuto, in virtù di un atteggiamento positivo degli organi amministrativi o di un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale?

5. L’errore indotto dalla pubblica autorità Il problema concernente l’efficacia scusante riconosciuta agli atti e alle prese

di posizione qualificate provenienti dall’autorità è a tutt’oggi controverso sia in dottrina47, sia in giurisprudenza. Il punto cruciale, più precisamente, concerne l’individuazione delle condizioni che possono giustificare un legittimo affidamento del cittadino nella preparazione professionale e nella informazione offerta da fonti istituzionalmente competenti ad interpretare ed applicare la legge48.

Per una corretta impostazione della questione è necessario, a nostro avviso, muovere proprio dalla ratio che può indurre il soggetto agente a rivolgersi, o comunque a fare riferimento, a fonti qualificate; ratio da ravvisarsi, in primis, nell’esigenza di supplire ad eventuali limiti personali di competenza49. Ne

44 Pretura di Lendinara, 26 aprile 1988, cit. Sostanzialmente nello stesso senso cfr., altresì, Cass.,

III, 3 ottobre 1995, Ialenti, in Dir. pen. proc., 1996, 40; Cass., III, 6 maggio 1994, Bonsignore, in Cass. pen. 1995, 2561; Cass., 28 ottobre 1991, Lisci, in Foro it. Rep. 1992, voce Tributi in genere, n. 1365.

45 Sul punto cfr. A. CALABRIA, Delitti naturali, delitti artificiali ed ignoranza della legge penale, cit., 59. 46 Così, sia pure in relazione ad un illecito amministrativo, Cass., II, 13 settembre 2006, Fraticelli

c. Prov. Macerata, in Foro it., 2007, I, 1217. 47 In argomento cfr., tra gli altri, L. STORTONI, L’introduzione nel sistema penale dell’errore scusabile di

diritto, cit., in particolare 1337 ss. Sull’analisi di tali profili problematici in relazione all’ordinamento tedesco cfr., tra gli altri, G. TORRE, Errore sul precetto e Verbotsirrtum, cit., in particolare 214 ss.

48 Sul punto cfr., per tutti, D. PULITANÒ, Una sentenza storica che restaura il principio di colpevolezza, cit., in particolare 723 ss.; F. MANTOVANI, Ignorantia legis scusabile e inescusabile, cit., 396, 397.

49 In questo senso cfr., per tutti, D. PULITANÒ, Una sentenza storica che restaura il principio di colpevolezza, cit., 724; A. CADOPPI, La natura giuridica della “mancanza di autorizzazione”, cit., 389.

La colpevolezza nel reato ambientale

215

consegue, come è stato rilevato50, che la tutela dell’affidamento in tanto sarà giustificata, in quanto la fonte d’informazione utilizzata garantisca di fatto una competenza maggiore rispetto a quella dell’agente, l’informazione sia adeguata al problema che quest’ultimo deve risolvere e sia contenutisticamente plausibile per l’agente stesso51.

Vengono in considerazione, in tale prospettiva, innanzitutto le informazioni ed i pareri forniti dagli organi appartenenti alla pubblica amministrazione, di volta in volta indicati come specificamente competenti in relazione ai diversi settori52, nonché di tutti quegli organi che possono prendere parte al procedimento amministrativo, svolgendo un ruolo decisorio o comunque consultivo53. Fonti qualificate sono senz’altro anche gli organi giudicanti, cui è istituzionalmente demandato il compito di applicare il diritto. In quest’ultima ipotesi, tuttavia, l’affidabilità della fonte subisce, inevitabilmente, alcune variazioni allorquando ci si trovi di fronte ad orientamenti non uniformi e non omogenei54. Qualora, infatti, il contrasto sia agevolmente risolvibile, in particolare alla luce delle decisioni delle magistrature superiori o delle pronunce

50 D. PULITANÒ, Una sentenza storica che restaura il principio di colpevolezza, cit., 724. 51 Si è, invece, esclusa la scusabilità della condotta di un imprenditore che aveva realizzato una

strada in violazione di un vincolo ambientale, sulla mera base delle rassicurazioni del committente circa la liceità dell’opera, senza compiere alcun tentativo di acclarare la situazione urbanistico-ambientale dei luoghi ed in assenza di concessione edilizia (Tribunale di Bari, 25 gennaio 2005, in D&G, 2005, 33, 56).

52 In relazione a questo specifico requisito merita di essere segnalata una sentenza (Cass., III, 18 gennaio 1991, Sina, in Foro it. Rep. 1991, voce Idrocarburi, n. 18), con la quale la Cassazione ha, per esempio, escluso efficacia esimente all’ignoranza della legge penale nell’ipotesi di un soggetto che, male interpretando una disposizione, non si era premurato di consultare il competente ufficio per conoscere quali adempimenti egli avrebbe dovuto compiere, accontentandosi del parere di un organo della p.a. del tutto estraneo a quello preposto al settore interessato nel caso di specie.

53 Così, espressamente, R. BARTOLI, Colpevolezza: tra personalismo e prevenzione, cit., 186. In tale prospettiva, nella giurisprudenza, si è escluso che potessero assumere rilevanza scusante le “dichiarazioni del tecnico di un piccolo comune, dotato di modesta preparazione professionale, qualora le stesse siano in contrasto con un consolidato orientamento giurisprudenziale, non trovino uniforme applicazione nella stessa provincia o regione ovvero siano macroscopicamente illegittime” (Cass., III, 5 dicembre 1996, Ornati, C.e.d., 206744). Analogamente, evitabile è stato ritenuto l’errore indotto, nei confronti di un soggetto esercente una peculiare attività e sul quale gravava l’obbligo di informarsi con molta diligenza sulla normativa esistente, da un funzionario dotato di modesta preparazione professionale o da una precedente svista (Cass., III, 16 gennaio 1996, Lombardi, C.e.d., 205384).

54 Sul punto cfr., per esempio, F. C. PALAZZO, Ignoranza della legge penale, cit., 143; P. PATRONO, Problematiche attuali dell’errore nel diritto penale dell’economia, cit., 107; M. PETRONE, Il “nuovo” art. 5 c.p., cit., 705; M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, I, Milano, 2004, 114 ss.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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più recenti, verosimilmente il soggetto agente potrà fare affidamento sull’indirizzo in tal modo emerso55. Viceversa, nell’ipotesi in cui il contrasto appaia irrisolvibile, parrebbe configurarsi, a nostro avviso, un’ipotesi di dubbio invincibile, con conseguenze diverse in termini di responsabilità del soggetto, a seconda che si ritenga di dover riconoscere a siffatta particolare situazione efficacia scusante o, viceversa, si pensi che in tal caso sorga automaticamente per l’agente l’obbligo di astenersi dall’agire. Non del tutto lineare ci sembra, peraltro, la soluzione espressa in relazione a tale specifica ipotesi dalla Corte costituzionale nella sentenza 364 del 1988. Infatti la Consulta, se da un lato si è mostrata particolarmente riluttante a riconoscere efficacia scusante al dubbio, pur se irrisolvibile56, dall’altro lato ha, però, ricondotto l’atteggiamento interpretativo “gravemente caotico” degli organi giudiziari alle ipotesi di inevitabilità dell’eventuale error iuris, in considerazione dell’asserita assoluta impossibilità di conoscere l’esatto contenuto della legge penale57.

Tanto premesso, utilizzando i criteri sopra prospettati, la giurisprudenza ha, in talune occasioni, riconosciuto la possibilità di escludere la responsabilità degli imputati per ritenuta inevitabilità dell’ignoranza sulla natura penalmente rilevante del fatto58. In particolare, la scusabilità dell’ignorantia legis indotta da atteggiamenti positivi dell’autorità è stata, per esempio, riconosciuta:

1) in materia di inquinamento idrico, per avere il soggetto ottenuto dal sindaco “l’autorizzazione edilizia di agibilità dei locali costruiti con la dichiarazione che essa è comprensiva di ogni altra autorizzazione, tra cui quella richiesta dalla − (ora abrogata) − legge 319 del 1976, per lo scarico di reflui provenienti dall’insediamento”59;

55 Nel senso dell’esclusione dell’efficacia esimente dell’error iuris nell’ipotesi di contrasto

interpretativo di giudici di merito cfr., per esempio, Cass., 6 ottobre 1988, R.B., in Foro it. Rep., 1989, voce Tributi in genere, n. 1186. Viceversa, riconosce l’ignoranza inevitabile del soggetto agente che, in presenza di un contrasto, si sia uniformato ad una interpretazione delle sezioni unite, Cass., III, 23 gennaio 1992, S. E., in Foro it. Rep., 1992, voce Legge penale, n. 7.

56 Cfr. § 28 della sentenza. 57 Cfr. § 27 della sentenza. 58 Cfr., tra le altre, Cass., Sez. Un., 10 giugno 1994, cit.; Cass., III, 3 dicembre 1993, Davoli, in

Cass. pen. 1996, 99 (con nota di R. BLAIOTTA, Coscienza del disvalore sociale e colpevolezza: le antinomie della suprema Corte, ivi, 101); Cass., III, 4 marzo 1992, Caul, in Cass. pen. 1993, 1721; Cass., III, 20 febbraio 1990, Armuzzi, in Cass. pen. 1991, I, 1262; Cass., I, 17 luglio 1989, Poli, in Riv. pen. 1990, 490. Nella giurisprudenza di merito cfr., per esempio, Tribunale di Pescara, 10 luglio 1991, in Foro it. Rep. 1992, voce Legge penale, n. 11; Pretura di Catanzaro, 31 ottobre 1994, Russo, in Riv. pen. 1995, 380.

59 Cass., III, 31 gennaio 1992, in Giur. it. 1992, II, 543.

La colpevolezza nel reato ambientale

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2) nel settore della gestione dei rifiuti, perché, “all’epoca dei fatti, erano presenti tutti gli indici dell’ignoranza scusabile – incertezza legislativa, giurisprudenza oscillante, condotta equivoca del comune – in ordine alla qualificazione dei materiali trattati quali rifiuti, per i quali l’autorizzazione era richiesta, o viceversa, residui di rifiuti, per i quali l’autorizzazione non era richiesta”60;

3) in relazione alla normativa in tema di vincoli paesistici, posto che la disciplina era “oggettivamente oscura per gli stessi tecnici del diritto, come dimostrato dai contrasti interpretativi in sede cautelare ed in sede di cognizione, in presenza di vari atti dell’assessore all’urbanistica, il quale si era ripetutamente espresso per la non necessità del nulla osta in riferimento agli interventi di edilizia residenziale pubblica”61;

4) nel settore degli illeciti urbanistici: in un primo caso, in virtù dell’erroneo convincimento che l’agente si era formato sulla base di una precedente sentenza della Corte di Cassazione, la quale è stata ritenuta idonea a determinare un “inevitabile e scusabile errore sulla legge penale”62; in un secondo caso, in considerazione del comportamento tenuto dalla pubblica amministrazione, consistito nell’aver “soltanto verbalmente autorizzato interventi urbanistici di trasformazione del territorio comunale”63; in una terza ipotesi, in quanto gli imputati non avevano considerato necessaria la concessione edilizia, per realizzare degli sbancamenti di terreno non finalizzati a scopo edificatorio, “alla luce dell’atteggiamento interpretativo della giurisprudenza amministrativa che, a differenza di quella del giudice ordinario penale, escludeva la necessità del conseguimento del suddetto provvedimento in simili fattispecie”64; in altri casi, sulla base “delle differenti opinioni giurisprudenziali e dottrinali, espresse in ordine alla necessità della concessione e dell’autorizzazione edilizia per le recinzioni e per la costruzione di muri”65, oppure per il fatto che l’agente si era rivolto a professionisti qualificati e aveva ottenuto la concessione senza alcuna prova di collusione o interventi dolosi”66.

60 Tribunale di Milano, 17 giugno 2000, in Foro ambrosiano, 2001, 99. 61 Cass., III, 23 aprile 1996, Gatto, C.e.d., 205109. 62 Pretura di Roma, 17 giugno 1993, Guadagno, in Critica del diritto 1994, 54. 63 Pretura di Pistoia, 1 giugno 1988, Petrucci, in Foro it. 1989, II, 680. 64 Pretura di Cingoli, 8 giugno 1988, Marchegiani, in Riv. giur. polizia 1989, 245. 65 Pretura di Vibo Valentia, 9 luglio 1990, Toma, in Riv. giur. ed. 1990, I, 830. 66 Cass., sez. fer., 5 settembre 1995, Nitti, in Foro it., 1997, II, 784, con nota di E. BELFIORE,

Ancora sull’«ignorantia legis poenalis» in materia urbanistica, ivi, 784.

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Abbandonando il settore dell’ignorantia legis indotta dagli atteggiamenti positivi dei organi istituzionalmente competenti, più delicato si rivela il ruolo da riconoscere ai pareri erronei espressi da professionisti e consulenti privati al fine di ravvisare un’eventuale ipotesi di ignoranza inevitabile in capo al soggetto che si è rivolto all’esperto di diritto, appunto, per conoscere l’esatto significato della legge penale67. Mentre, infatti, parte della dottrina ammette, sia pure con talune precisazioni, una possibile rilevanza scusante dei pareri espressi da soggetti privati professionalmente qualificati68, altra parte della dottrina manifesta, sul punto, talune perplessità69. Parrebbe, tuttavia, preferibile la tesi che riconosce la scusabilità anche dell’ignoranza determinata dall’erroneità del parere legale del consulente privato, sempreché sussistano determinati presupposti70, e, soprattutto, a condizione che la scelta dello specialista avvenga correttamente − tenendo conto, in particolare, della complessità della questione sottoposta al suo esame − e che il parere dell’esperto non sia contraddetto da diverse opinioni, dottrinali o giurisprudenziali o di uffici competenti71.

Ancor più controverso si rivela, infine, l’inquadramento di un atteggiamento di mera tolleranza da parte della pubblica amministrazione, che non si traduca in una esplicita presa di posizione della stessa72. Mentre, infatti, in talune ipotesi la giurisprudenza ha ritenuto sufficiente a fondare la buona fede del soggetto agente l’assenza di interventi repressivi a fronte di comportamenti penalmente

67 Sul punto cfr., per tutti, D. PULITANÒ, Art. 5 c.p., in Commentario breve al Codice penale, a cura di

A. CRESPI, G. FORTI, G. ZUCCALÀ, Padova, 2008, 32. 68 D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, cit., 502 ss.; ID., Una sentenza storica che restaura

il principio di colpevolezza, cit., 725; F. MANTOVANI, Ignorantia legis scusabile e inescusabile, cit., 392; A. CALABRIA, Ignorantia legis e parere erroneo del consulente legale, cit., 149 ss.; M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, cit., 117.

69 Cfr. per esempio, L. STORTONI, L’introduzione nel sistema penale dell’errore scusabile di diritto, cit., 1337 ss.

70 A. CALABRIA (Ignorantia legis e parere erroneo del consulente legale, cit., in particolare 158 ss.), la quale si sofferma, altresì, sul problema relativo all’eventuale responsabilità del consulente legale, “fonte” dell’ignorantia legis, per il reato commesso dal soggetto richiedente. Nella giurisprudenza riconosce espressamente la rilevanza scusante di indicazioni provenienti da consulenti privati (nel caso di specie, un commercialista), per esempio, Cass., III, 24 settembre 1990, Monti, in Foro it. 1991, II, 296.

71 In questo senso cfr., per esempio, F. C. PALAZZO, Ignoranza della legge penale, cit., 143. Sul punto cfr., altresì, R. BARTOLI, Colpevolezza: tra personalismo e prevenzione, cit., 187.

72 Critici nei confronti di una possibile equiparazione tra mera passività o tolleranza della Pubblica amministrazione e suo pronunciamento formale sono, per esempio, D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, cit., in particolare 508; L. STORTONI, L’introduzione nel sistema penale dell’errore scusabile di diritto, cit., 1338, 1339; D. PULITANÒ, Art. 5 c.p., cit., 32.

La colpevolezza nel reato ambientale

219

rilevanti di cui l’autorità stessa era a conoscenza73, o ritardi prolungati e ingiustificati nell’esame dell’istanza, accompagnati da una sospensione praeter legem del procedimento amministrativo74; in altri casi, invece, la Cassazione è stata di diverso avviso. Così, per esempio, con riferimento ad una fattispecie relativa allo smaltimento di rifiuti, la Suprema Corte ha espressamente escluso che potesse trovare fondamento ex art. 5 c.p., come reinterpretato dalla sentenza della Corte costituzionale 364 del 1988, l’ipotesi dell’inevitabilità dell’errore sulla legge penale sulla base di mere carenze della pubblica amministrazione, che nel corso dei controlli eseguiti non aveva mosso rilievi75.

È stata, inoltre, esclusa la rilevanza dell’erroneo convincimento di agire lecitamente sul presupposto che, per l’attività condizionata dal previo rilascio di licenza, concessione, autorizzazione, sia intervenuto il beneplacito, espresso a voce, dell’autorità competente al rilascio delle stesse, essendo di cognizione comune il fatto che tali atti amministrativi richiedono la forma scritta76.

In linea generale si può comunque affermare che, in tutte le ipotesi prese in esame, l’evitabilità o meno dell’errore ingenerato dalla fonte qualificata deve essere valutata, oltre che in relazione all’affidabilità e, più in generale, alle peculiarità della fonte stessa, anche in relazione alle caratteristiche personali dell’agente; in particolare, al suo livello culturale e di socializzazione, nonché al ruolo professionale assunto77.

73 Cass., III, 3 luglio 1972, Lippiello, in Giur. it. 1973, II, 388; Pretura di Lucca, 18 marzo 1991,

Quadrelli, in Foro it. 1991, II, 305. 74 Pretura di Roma, 20 dicembre 1996, Denti, in Cass. pen., 1997, 3200, con nota di E. GALLUCCI,

Attività di cavazione in zone sottoposte a vincolo ambientale: orientamenti giurisprudenziali e riflessi sull’elemento

psicologico dei reati, ivi, 3207 ss. 75 Cass., III, 23 maggio 1994, in Mass. dec. pen. 1994, 130. 76 Cass. VI, 3 marzo 1993, Traverso, in Dir. giur. agr. amb., 1994, 173, con nota critica di M.

MAZZA, Beneplacito orale ed inescusabilità della legge penale in tema di scarichi. 77 In questo senso cfr., tra gli altri, P. PATRONO, Problematiche attuali dell’errore nel diritto penale

dell’economia, cit., 111; D. PULITANÒ, Una sentenza storica che restaura il principio di colpevolezza, cit., 725, 726; F. MANTOVANI, Ignorantia legis scusabile e inescusabile, cit., 397; A. CALABRIA, Ignorantia legis e parere erroneo del consulente legale, cit., in particolare 160 ss.; M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, cit., 119. Nella giurisprudenza cfr. espressamente in questo senso, per esempio, Cass., IV, 3 luglio 1990, Rebattini, in Giust. pen. 1991, II, 232.

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6. La casistica relativa alle fattispecie incentrate su provvedimenti amministrativi autorizzativi nel dibattito dottrinale e nella prassi giurisprudenziale

Le fattispecie costruite sull’assenza o sull’inosservanza di provvedimenti

amministrativi autorizzativi hanno da sempre suscitato complessi problemi in tema di errore78. Tra le varie ragioni che contribuiscono al determinarsi di tale situazione si può senz’altro annoverare la circostanza che l’elemento autorizzazione è – come anticipato79 – classificabile tra gli elementi normativi della fattispecie, i quali, in tema di errore, generano sicuramente maggiori problemi rispetto a quelli descrittivi80.

Tanto considerato, sembra comunque opportuno procedere ad un’analisi differenziata delle diverse tipologie di errore, ciascuna delle quali presenta autonome peculiarità.

6.1. L’errore sull’obbligatorietà dell’autorizzazione

L’ipotesi di ignoranza-errore sull’obbligatorietà dell’autorizzazione non solleva particolari problemi, traducendosi pacificamente in un classico caso di errore sul precetto. Cade in questo tipo di errore, per esempio, chi, ignorando l’esistenza di una norma penale o male interpretando la fattispecie incriminatrice di cui conosce l’esistenza81, non pensa che sia necessario ottenere un provvedimento abilitativo della pubblica amministrazione come condizione indispensabile per lo svolgimento di una determinata attività82. In queste e

78 Sul punto, amplius e per tutti, A. CADOPPI, La natura giuridica della «mancanza dell’autorizzazione»

nella fattispecie penale, cit., 363 ss. 79 V. supra cap. II, § 4. 80 A. CADOPPI, La natura giuridica della «mancanza dell’autorizzazione» nella fattispecie penale, cit., 364. 81 Sulla distinzione tra vera e propria ignoranza della norma, da un lato, ed errore interpretativo,

dall’altro lato, cfr., amplius, F. MUCCIARELLI, Errore e dubbio dopo la sentenza della Corte costituzionale 364 del 1988, cit., in particolare 256 ss.

82 Cfr. in questo senso, concordemente e per tutti, A. PECORARO ALBANI, Il reato di costruzione edilizia senza licenza, in Riv. giur. ed., 1959, II, 108; G. GRASSO, Considerazioni in tema di errore su legge extrapenale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1976, 165; F. C. PALAZZO, L’errore sulla legge extrapenale, Milano, 1974, 218; D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, cit., 245; N. MAZZACUVA, Le autorizzazioni amministrative e la loro rilevanza in sede penale, in Riv. it. dir. proc. pen. 1976, 807; B. LICITRA, L’errore sulla legge extrapenale, Padova, 1988, 65; P. PATRONO, Problematiche attuali dell’errore nel diritto penale dell’economia, cit., 110; A. CADOPPI, La natura giuridica della “mancanza di autorizzazione”nella fattispecie penale, cit., 375; M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, cit., 502; G. MORGANTE,

La colpevolezza nel reato ambientale

221

simili ipotesi il soggetto vuole un fatto del tutto identico a quello descritto dalla fattispecie incriminatrice, pur se persuaso della liceità della propria condotta. L’agente, in altre parole, non si rappresenta la corrispondenza tra la fattispecie astratta e il fatto concreto; sicché l’errore, riguardando unicamente la conoscenza del precetto e non la situazione storica ad esso riconducibile, andrà valutato alla stregua dei parametri di cui all’art. 5 c.p. E ciò anche quando l’errore sull’obbligo di procurarsi l’autorizzazione richiesta dipenda da ignoranza o errata interpretazione delle norme extrapenali presupposte83, cui la fattispecie incriminatrice rinvia per la specificazione del significato di uno degli elementi della figura legale84.

Dall’ignoranza-errore sull’obbligatorietà del provvedimento autorizzativo della pubblica amministrazione deve, invece, essere concettualmente tenuta distinta l’ipotesi del dubbio85, inteso come prospettazione di un’alternativa irrisolta tra la necessità e la non necessità del provvedimento stesso. Infatti, mentre l’ignorantia (o l’error) iuris può scusare, se inevitabile, il dubbio non scusa, in quanto il soggetto, prima di agire, è tenuto a risolvere il conflitto di rappresentazioni contrastanti, attraverso l’esatta conoscenza della specifica norma e, in caso di invincibilità, deve astenersi dall’agire, almeno secondo l’orientamento espresso dalla Corte costituzionale nella già citata sentenza 364 del 198886.

Vero è che siffatta rigorosa soluzione prospettata sul punto dalla Consulta è sembrata, per lo meno ad una parte della dottrina, non del tutto compatibile con il restaurato principio di colpevolezza, in quanto al dubbio inevitabile sul precetto, che può permanere anche dopo il compimento di una diligente ricerca

L’illiceità speciale nella teoria generale del reato, Torino, 2002, 200; M. MANTOVANI, L’esercizio di un’attività non autorizzata. Profili penali, Torino, 2003, 162.

83 In tal senso cfr., per esempio, A. CADOPPI, La natura giuridica della “mancanza di autorizzazione” nella fattispecie penale, cit., 376, 377.

84 Sul punto cfr., per tutti, D. PULITANÒ, Art. 5 c.p., cit., 29. 85 Sulla categoria concettuale del dubbio cfr. amplius e per tutti, D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella

teoria del reato, cit., 516 ss.; F. MUCCIARELLI Errore e dubbio dopo la sentenza della Corte costituzionale 364/1988, cit., 223 ss. e bibliografia ivi riportata.

86 Cfr. paragrafo 28 della sentenza. Nella dottrina, sul punto cfr., per tutti, L. STORTONI, L’introduzione nel sistema penale dell’errore scusabile di diritto, cit., 1331 (in particolare nt. 66); M. GUARDATA, L’ignoranza della legge penale dopo l’intervento della Corte costituzionale, cit., 1154, 1155, F. MANTOVANI, Ignorantia legis scusabile e inescusabile, cit., 390; F. C. PALAZZO, Ignoranza della legge penale, cit., 132; A. CALABRIA, Ignorantia legis e parere erroneo del consulente legale, cit., 157; F. MUCCIARELLI, Errore e dubbio dopo la sentenza della Corte costituzionale 364 del 1988, cit., 246; R. BARTOLI, Colpevolezza: tra personalismo e prevenzione, cit., 158.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

222

sull’esatto significato della norma, parrebbe dover conseguire il venir meno della rimproverabilità, più che il puro e semplice obbligo di astensione87. Ragionare diversamente equivarrebbe, infatti, a pretendere che il soggetto “anteponga sempre e incondizionatamente ai propri certi attuali interessi quelli che l’ordinamento non ha potuto comunicare con certezza al soggetto”. Ma “siffatta soluzione sarebbe espressione di un atteggiamento in qualche modo prevaricatore, una sorta di privilegio incondizionato a favore della volontà dello Stato”88. Sicché, in tale prospettiva, l’esclusione della colpevolezza dovrebbe conseguire all’invincibilità del dubbio in via generale89, e non solo in relazione ai reati omissivi, come, invece, parte della dottrina ritiene, argomentando alla luce della ben più appariscente limitazione della libertà personale del soggetto che si verrebbe a realizzare ipotizzando un obbligo incondizionato di intraprendere l’azione doverosa anche in caso di dubbio invincibile90.

Nondimeno, ad avviso della Corte costituzionale l’unica ipotesi in cui il dubbio irrisolvibile può escludere la rimproverabilità sia dell’azione sia dell’astensione è solo quello in cui, agendo o non agendo, s’incorrerebbe comunque nella sanzione penale91.

In senso piuttosto rigoroso sembrerebbe essersi orientata anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione, che in più occasioni ha espressamente ribadito che “il dubbio sulla liceità o meno (...) deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento fino, cioè (secondo l’esplicito pensiero della Corte costituzionale espresso con la sentenza 24 marzo 1988, n. 364) all’astensione dall’azione, se, nonostante tutte le informazioni assunte, permanga l’incertezza sulla liceità dell’azione stessa; e ciò perché il dubbio, non essendo equiparabile

87 Così, F. MUCCIARELLI, Errore e dubbio dopo la sentenza della Corte costituzionale 364 del 1988, cit.,

256. 88 F. C. PALAZZO, Ignoranza della legge penale, cit., 132. 89 F.C. PALAZZO, Ignoranza della legge penale, cit., 132. Per una posizione adesiva all’orientamento

espresso dalla Corte costituzionale cfr. invece, per esempio, M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, cit., 109.

90 In questo senso cfr., per esempio, A. CADOPPI, La nuova configurazione dell’art. 5 c.p. e i reati omissivi propri, cit., 251 ss. L’Autore osserva, infatti, che, se vietare un’azione ad un soggetto significa permettergli di compiere tutte le altre azioni diverse da quella vietata, all’opposto imporre ad un soggetto una determinata azione, significa vietargli di compiere, quantomeno in quel momento ogni azione diversa da quella che egli è obbligato a compiere. Sul punto e nello stesso senso cfr., altresì, G. FLORA, La difficile penetrazione del principio di colpevolezza, cit., 340; A. CADOPPI, La natura giuridica della “mancanza di autorizzazione” nella fattispecie penale, cit., 388. In argomento cfr., altresì, L. STORTONI, L’introduzione nel sistema penale dell’errore scusabile di diritto, cit., 1331, in particolare nt. 66.

91 Cfr. § 28 della sentenza.

La colpevolezza nel reato ambientale

223

allo stato di inevitabile ed invincibile ignoranza, non esclude la consapevolezza della illiceità”92.

6.2. L’errore sulle norme amministrative che regolano la validità ed il rilascio degli atti autorizzativi

L’errore sulle norme extrapenali richiamate attraverso l’elemento normativo “autorizzazione” contenuto nella fattispecie incriminatrice deve, invece, considerarsi rilevante ai fini dell’esclusione del dolo in tutte le ipotesi in cui induca l’agente nell’erronea convinzione di possedere l’autorizzazione richiesta93. In simile situazione, infatti, l’errore sulle norme amministrative che regolano la validità ed il rilascio dell’autorizzazione, si risolve in un errore sul fatto ai sensi dell’art. 47, ult. comma, c.p., analogamente a quanto accade, per esempio, nell’ipotesi di ignoranza o errata interpretazione delle norme civilistiche concernenti il trasferimento della proprietà delle cose mobili rispetto al furto94.

A tale conclusione è possibile pervenire muovendo, come già anticipato95, dal presupposto che le espressioni autorizzazione, licenza, concessione, e simili, evocano concetti di natura tecnico-giuridica, definiti da norme extrapenali che si trovano in rapporto di presupposizione con il fatto descritto dalla fattispecie incriminatrice96.

Tanto premesso, si comprende come un soggetto il quale ignori che l’atto rilasciatogli non può ritenersi giuridicamente un’autorizzazione, una licenza, ecc., non può acquisire la consapevolezza di essere privo del titolo giuridico

92 Cass., III, 2 giugno 1994, Cherubini, in Mass. dec. pen. 1994, 72. Nello stesso senso Cass. VI, 27

marzo 1995, Bando, in Cass. pen. 1996, 2959; Cass., III, 6 maggio 1994, Bonsignore, cit., 145; Cass., III, 19 aprile 1994, in Mass. dec. pen. 1994, 130; Cass., III, 31 gennaio 1994, Gualdi, in Mass. dec. pen. 1994, 79; Cass., III, 3 giugno 1993, Cardia, in Cass. pen. 1994, 2998; Cass., I, 15 gennaio 1990, Rizzello, in Giust. pen. 1990, II, 390.

93 In questo senso cfr., per esempio, G. GRASSO, Considerazioni in tema di errore su legge extrapenale, cit., 164; P. PATRONO, Problematiche attuali dell’errore nel diritto penale dell’economia, cit., 110; G. MORGANTE, L’illiceità speciale nella teoria generale del reato, cit., 200, 2001. Nella giurisprudenza cfr., per esempio, espressamente Tribunale di Piacenza, 29 settembre 1994, Vacca, in Foro it. 1995, II, 315, con nota di E. BELFIORE, Un caso problematico di errore ai confini tra art. 5 e art. 47, comma 3, c.p., ivi, 315,

94 N. MAZZACUVA, Le autorizzazioni amministrative e la loro rilevanza in sede penale, cit., 812; ID., Lo scarico di rifiuti industriali senza autorizzazione: struttura oggettiva e soggettiva dell’illecito di cui all’art. 9, T.U.

1931, n. 1604, ne L’Indice pen. 1976, 170. 95 Cfr., supra, cap. II. 96 In questo senso cfr., per tutti, A. PECORARO ALBANI, Il reato di costruzione edilizia senza licenza,

cit., 110.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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prescritto dalla legge come requisito necessario per esplicare una determinata attività. Dunque, egli vuole un fatto diverso da quello previsto dalla norma incriminatrice, in quanto l’errore sull’esistenza dell’atto amministrativo è un errore su un elemento costitutivo del fatto e non su una componente del precetto97.

In tale prospettiva si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui il soggetto sappia perfettamente che la concessione edilizia deve essere rilasciata dal sindaco98, ma ritenga poi che tale soggetto si identifichi materialmente con un funzionario che, invece, è privo della necessaria competenza99. In tal caso l’errore sulla normativa extrapenale, che funge da presupposto per individuare cosa debba intendersi per “sindaco”, determina nel soggetto agente la falsa rappresentazione di avere conseguito dall’organo indicato dalla legge il prescritto provvedimento autorizzativo100; con la conseguenza che egli è convinto di aver rispettato la legge, analogamente a quanto accade, per esempio, qualora lo stesso non sappia, a causa di un errore di diritto sulla normativa civilistica implicitamente richiamata dall’art. 624 c.p., di impossessarsi della cosa mobile altrui.

Senza dimenticare, poi, che, se l’errore (o l’ignoranza) sulle norme extrapenali richiamate è determinato da colpa, la punibilità, ai sensi dell’art. 47, comma 1, c.p., non viene meno, qualora il fatto sia previsto dalla legge come reato colposo. E, se si tiene conto che la maggior parte delle incriminazioni incentrate sull’assenza di autorizzazione sono configurate dal legislatore come reati contravvenzionali e che, in questo settore, la colpa è il titolo normale di imputazione, ne consegue che, per lo più, l’errore avrà efficacia scusante solo se incolpevole.

97 G. GRASSO, Considerazioni in tema di errore su legge extrapenale, cit., 164. Nello stesso senso F. C.

PALAZZO, L’errore su legge extrapenale, cit., 221. 98 Diversa sarebbe, invece, l’ipotesi in cui il soggetto agente, ritenesse, per errore sulla normativa

extrapenale richiamata, che l’autorità competente al rilascio, per esempio, della concessione edilizia sia il Questore, anziché il Sindaco. In questo caso, infatti, si rientrerebbe nell’ambito di applicazione dell’art. 5 c.p. Sulla riconducibilità dell’errore relativo all’individuazione dell’autorità competente a rilasciare l’autorizzazione alla disciplina propria dell’errore sul precetto cfr., per esempio, D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, cit., 435, 436.

99 In questo senso cfr., per esempio, A. PECORARO ALBANI, Il reato di costruzione edilizia senza licenza, cit., 114; F. C. PALAZZO, L’errore su legge extrapenale, cit., 221.

100 Parte della dottrina precisa, peraltro, che l’errore circa “l’autorità competente sarà più frequente rispetto a quelle norme penali che non la designano direttamente” (F. BRICOLA, Aspetti penalistici degli inquinamenti, in Riv. dir. agr. 1973, 584).

La colpevolezza nel reato ambientale

225

6.3. L’errore sull’estensione degli atti autorizzativi

Analogamente a quanto accade nell’ipotesi di errore sull’esistenza del provvedimento abilitativo, deve ritenersi che non sussista dolo allorquando l’agente è in errore sui limiti giuridici del provvedimento stesso, ritenendo, ad esempio, per una scorretta interpretazione del contenuto dell’atto, che questo gli permetta di esercitare un’attività che, invece, non è prevista tra quelle espressamente autorizzate101. In buona sostanza si può affermare che l’errore sul contenuto o sull’estensione del provvedimento autorizzativo della pubblica amministrazione è assimilabile all’errore sulla esistenza di quest’ultimo. Esercitare, infatti, un’attività diversa da quella espressamente autorizzata, equivale ad esercitare la stessa senza titolo; ma poiché il soggetto per errore sul fatto non può rendersi conto di tenere una determinata condotta in assenza del titolo prescritto, il dolo del reato risulta escluso.

La giurisprudenza è, invece, per lo più orientata nel senso di negare rilievo all’errore in questione. Infatti, l’errore commesso da colui che, avendo già ottenuto il prescritto provvedimento autorizzativo, lo consideri riferito anche a certe attività, in realtà escluse, viene ricondotto, per lo più, al genus dell’errore sul precetto102.

Ancor più problematico si rivela, inoltre, il caso in cui il soggetto erra, non sui limiti del provvedimento autorizzativo, ma sulla qualificazione giuridica dell’attività intrapresa, nel senso che, pur essendo a conoscenza del precetto che gli impone in astratto l’obbligo di munirsi del necessario provvedimento abilitativo per l’esercizio di una determinata attività, non ritiene poi di dover riferire suddetto obbligo anche all’azione in concreto intrapresa. Così, per esempio, può accadere che un soggetto, nell’accingersi alla realizzazione di determinati lavori edilizi, ometta di richiedere il prescritto permesso di costruire, di cui pure in astratto conosce la necessità, in quanto in concreto ritiene di ricondurre la propria attività ad un genus per il quale la legge prevede

101 F. C. PALAZZO, L’errore su legge extrapenale, cit., 221; G. GRASSO, Considerazioni in tema di errore su

legge extrapenale, cit., 164; R. BAJNO, La tutela penale del governo del territorio, Milano, 1980, 190. B. LICITRA, L’errore sulla legge extrapenale, cit., 82; P. PATRONO, Problematiche attuali dell’errore nel diritto penale dell’econimia, cit., 110. Cfr. altresì, A. CADOPPI (La natura giuridica della “mancanza di autorizzazione” nella fattispecie penale, cit., 378), il quale distingue ulteriormente tra l’ipotesi in cui è l’autorizzazione stessa ad estendersi espressamente a casi che non potrebbe coprire e l’ipotesi in cui è il soggetto a credere che l’autorizzazione si estenda ad un ambito maggiore di quanto non faccia in realtà.

102 Sul punto cfr., amplius, B. LICITRA, L’errore sulla legge extrapenale, cit., 82 e giurisprudenza ivi riportata.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

226

una semplice denunzia di inizio attività, la cui mancanza è penalmente irrilevante.

Parte della dottrina riconduce siffatta ipotesi alla disciplina propria dell’errore sul fatto103, mentre altri autori ritengono più corretta la sussunzione del caso in esame nella disciplina propria dell’errore sul precetto104, trattandosi di un “errore di interpretazione della legge”105. In siffatta seconda prospettiva parrebbero iscriversi anche alcune pronunce rese della Corte di Cassazione in materia di smaltimento di rifiuti in assenza della prescritta autorizzazione, con le quali si è, per esempio, ritenuto che l’errore sulla qualificazione della tipologia dell’insediamento (nella specie l’aver considerato una latteria come insediamento civile anziché produttivo) “si risolve in un errore di diritto e non in un errore sul fatto costituente reato, avendo ad oggetto norme diverse ma integratrici della legge penale”106.

6.4. L’errore sul contenuto del provvedimento autorizzativo

Anche l’ipotesi dell’errore sul contenuto del provvedimento autorizzativo si presenta particolarmente problematica, in quanto a seconda della soluzione che si ritenga di accogliere in relazione al ruolo svolto, sul piano della struttura oggettiva della fattispecie incriminatrice, dalle prescrizioni contenute nel provvedimento autorizzativo, ne scaturiscono in tema di ignoranza ed errore conseguenze completamente diverse.

Come si è già ricordato107, infatti, la dottrina risulta sul punto nettamente divisa. Una parte degli autori ritiene che, nelle ipotesi di norme incriminatrici dell’inosservanza di provvedimenti dell’autorità, il precetto penale sia costituito

103 B. LICITRA, L’errore sulla legge extrapenale, cit., 74, 75. 104 F. C. PALAZZO, L’errore sulla legge extrapenale, cit., 219. 105 F. C. PALAZZO, op. loc. ult. cit. 106 Cass., III, 19 aprile 1994, in Cass. pen. 1995, 1612. Analogamente, sia pure in un diverso

ambito, Pret. Reggio Emilia, 28 settembre 1988 (in Riv. trim. dir. pen. econ. 1988, 273), che ha ricondotto alla disciplina dell’errore sul precetto − sia pure pervenendo poi ad una pronuncia di assoluzione per ritenuta inevitabilità dell’errore stesso, ai sensi dell’art. 5 c.p., così come interpretato dalla Consulta − il caso di un soggetto che, nell’intraprendere la realizzazione di un box prefabbricato, aveva considerato tale costruzione necessitante di una mera autorizzazione e non di una concessione edilizia. E ciò, in considerazione della “labilità dei confini instaurati dal legislatore e dall’interprete specializzato tra opere soggette a regime concessorio (penalmente sanzionato in caso di inosservanza) ed opere affrancate dal medesimo regime”. Precedentemente analoga soluzione, in relazione ad un caso simile, era stata adottata da Cass., III, 22 aprile 1983, Bertuzzi, in Giur. it. 1984, II, 93). Sul punto cfr. P. VENEZIANI, L’oggetto dell’«ignorantia legis» rilevante, in Foro it. 1995, 509.

107 Cfr., supra, Cap. II, § 5.

La colpevolezza nel reato ambientale

227

proprio dalle prescrizioni amministrative contenute nei suddetti provvedimenti, sicché la tecnica normativa utilizzata parrebbe riconducibile agli schemi propri delle c.d. norme penali in bianco. Altra parte della dottrina ritiene, viceversa, che in relazione alle fattispecie incentrate sulla violazione di prescrizioni concrete ed individuali adottate dalla pubblica amministrazione non sia possibile parlare di eterointegrazione, in quanto l’obbligo penale risulterebbe, in simili ipotesi, già compiutamente descritto in forma generale ed astratta dalla fattispecie incriminatrice ed il singolo provvedimento rappresenterebbe solo “l’attualizzazione storica” di un elemento già previsto dalla fattispecie stessa. Con la conseguenza che il rapporto tra legge penale e provvedimento concreto, in tale prospettiva, non dovrebbe considerarsi dissimile da quello “che intercorre tra legge penale e ogni altro oggetto di tutela determinato in via di astrazione tipizzante”108.

Risulta chiaro, dunque, come siffatte diverse impostazioni producano inevitabilmente conseguenze di estremo rilievo in tema di ignoranza ed errore.

In relazione al problema dell’errore sulle disposizioni integratrici di norme penali in bianco, le posizioni della dottrina sono, in linea generale, ancora una volta discordi109. Da un lato, infatti, vi è l’opinione di chi riconduce alla disciplina dettata dall’art. 47, comma 3, c.p. anche l’errore sulla regola richiamata da una norma in bianco, ritenendo che non vi siano valide ragioni per disciplinare in modo differente l’errore sugli elementi normativi e l’errore sulle norme cui fa rinvio la legge penale in bianco, introducendo una distinzione che la legge non prevede110. Dall’altro lato, vi è la tesi, peraltro preponderante in dottrina, che tende a ricondurre la rilevanza dell’errore sulla norma extrapenale integrativa del contenuto precettivo della norma incriminatrice alla disciplina propria dell’error iuris111. E nello stesso senso

108 D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, cit., 317. 109 In argomento cfr., tra gli altri, M. PARODI GIUSINO, Sulla legittimità costituzionale della legislazione

penale in materia di stupefacenti, ne L’Indice pen. 1978, in particolare 402 ss.; M. DONINI, Errore sul fatto ed errore sul divieto nello specchio del diritto penale tributario, ne L’Indice pen. 1989, 158 ss. e bibliografia ivi riportata; G. DE SIMONE, L’errore su legge extrapenale, in Giurisprudenza sistematica di diritto penale, diretta da F. BRICOLA, V. ZAGREBELSKY, Torino, 1996, 702 ss.

110 A. PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte generale, Milano, 2003, 417, 418; ID., Il reato, Milano, 2007, 249; G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, cit., 379. Nello stesso senso G. FLORA, Errore, in Dig. disc. pen., IV, Torino, 1990, 265, 266, nt. 38.

111 In generale, sulla riconducibilità dell’errore sugli elementi integrativi delle norme penali in bianco alla disciplina propria dell’errore sul precetto cfr., tra gli altri, M. GALLO, Dolo, in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 763; M. PARODI GIUSINO, Sulla legittimità costituzionale della legislazione penale in materia di stupefacenti, cit., 404; G. GRASSO, Considerazioni in tema di errore su legge extrapenale, cit., 172; D.

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parrebbe essere orientata anche la giurisprudenza prevalente112. Pertanto, se si considerassero norme penali in bianco anche le fattispecie incriminatrici che sanzionano la violazione delle prescrizioni contenute in provvedimenti autorizzativi, la conclusione coerente sul piano dell’elemento soggettivo del reato, conformemente alla tesi maggioritaria sopra esposta, dovrebbe consistere nel considerare rilevante l’errore o l’ignoranza sull’esistenza o sul contenuto del singolo provvedimento amministrativo solo nei limiti segnati dalla nuova versione dell’art. 5 c.p.113. Viceversa, se si ritiene che, nell’ipotesi in cui la norma rinvia a prescrizioni o ordini individuali e concreti, appartenga al fatto sia il contenuto, sia la stessa esistenza della concreta prescrizione o ordine, l’errore, appunto, sull’esistenza del provvedimento autorizzativo e sulle prescrizioni in esso contenute dovrebbe considerarsi rilevante ex art. 47 c.p.114.

7. L’errore inevitabile sull’illiceità penale (ma non amministrativa) del fatto Muovendo dai complessi rapporti di continguità ed interferenza tra illiceità

penale ed illiceità amministrativa che non di rado caratterizzano la materia ambientale, una questione abbastanza peculiare, anche se, verosimilmente, di non frequente verificazione, che può porsi nello specifico settore preso in considerazione, è quella relativa alla possibile rilevanza scusante di un errore-ignoranza inevitabile che coinvolga la sola qualificazione penalistica del fatto115. Si ipotizzi, cioè, che il soggetto agisca nella consapevolezza del carattere illecito sotto il profilo amministrativo del proprio comportamento, ma ne ignori, per errore inevitabile della normativa in materia, la rilevanza specificamente

PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, cit., 213, 245; M. ROMANO, Commentario sistematico di diritto penale, cit., 493; L. RISICATO, Gli elementi normativi della fattispecie penale. Profili generali e problemi applicativi, Milano, 2004, 336, 352.

112 Per un quadro di sintesi, DE SIMONE, L’errore su legge extrapenale, cit., 703 ss. 113 Contra cfr., per tutti, M. ROMANO, Repressione della condotta antisindacale. Profili penali, Milano,

1974, in particolare 174 ss. 114 In questo senso cfr., per esempio, D. PULITANÒ (L’errore di diritto nella teoria del reato, cit., 319),

il quale precisa altresì che dovrà, invece, considerarsi riconducibile alla disciplina propria dell’errore sul precetto l’ipotesi di chi erroneamente esclude di essere obbligato ad eseguire un ordine, conosciuto in tutti gli elementi che ne fondano la tutela penale.

115 Sul punto, in termini generali, A. CADOPPI, Ignoranza della legge penale, in Giurisprudenza sistematica di diritto penale, diretta da F. BRICOLA, V. ZAGREBELSKY, Torino, 1996, 640 ss.

La colpevolezza nel reato ambientale

229

penale116. Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, al caso di un soggetto che ponga in essere un fatto di abbandono, deposito incontrollato di rifiuti o immissione degli stessi nella acque senza − però − ritenersi “titolare di impresa” o “responsabile di un ente”, così come previsto dall’illecito contravvenzionale delineato dall’art. 256, comma 2, d.lg. 152 del 2006, bensì essendo convinto di essere soggetto non qualificato, così come previsto dall’illecito amministrativo di cui all’art. 255, comma 1, d.lg. 152 del 2006117. Ebbene, in tale situazione sorge il problema di stabilire se l’agente possa invocare l’esimente di cui all’art. 5 c.p., come risultante dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988. Come anticipato, infatti, nell’ambito della concezione normativa della colpevolezza gioca un ruolo fondamentale la conoscibilità dell’illiceità del proprio comportamento, concepita come elemento costitutivo autonomo, vale a dire quale requisito distinto che si aggiunge all’imputabilità, al dolo e alla colpa118. È, tuttavia, controverso se si debba fare riferimento alla rilevanza penale del fatto o solo alla sua generica antigiuridicità, vale a dire al suo contrasto con l’ordinamento nel suo complesso.

Secondo la dottrina prevalente, là dove il soggetto conosca o ignori colpevolmente il contrasto tra il fatto commesso e l’ordinamento giuridico complessivo, non si potrebbe invocare l’ignoranza (ancorché incolpevole) della legge penale: sarebbe, in altre parole, sufficiente, al fine di fondare la responsabilità, la consapevolezza di una generica antigiuridicità, essendo del tutto superfluo che il soggetto si possa rappresentare la natura specifica civile,

116 Su tale specifico profilo problematico, sia pure in termini generali, per tutti e riassuntivamente,

F. C. PALAZZO, Se il soggetto che agisca nella consapevolezza del carattere genericamente «illecito» del proprio fatto, ma ignorandone per errore inevitabile la rilevanza specificamente penale, possa invocare l’esimente di cui all’art. 5 c.p.,

come risultante dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988, in Studium iuris, 1996, p. 1150. 117 Per una corretta comprensione del problema specifico, si muove dal presupposto che la

contravvenzione descritta dal secondo comma dell’art. 256 integri un’ipotesi di reato proprio, riconducibile alla categoria dei c.d. reati propri non esclusivi. Si tratterebbe, più precisamente, di un tipico caso in cui la presenza della particolare qualifica richiesta dalla fattispecie rende penalmente rilevante un fatto che, in assenza della predetta qualifica, integrerebbe comunque un illecito amministrativo (nel caso di specie, quello di cui all’art. 255, comma 1). Talché, se ne dovrebbe desumere, almeno ad avviso di una parte della dottrina, che l’eventuale errore da parte dell’agente sulla sussistenza della propria qualifica risulta riconducibile alla disciplina dell’ignorantia legis (F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, cit., 109, 366).

118 G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, cit., 390.

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amministrativa o penale, della reazione predisposta dall’ordinamento contro tale fatto illecito119.

Sennonché, per altra parte della dottrina120 e della giurisprudenza121 l’applicabilità della causa di esclusione della colpevolezza dell’errore inevitabile non potrebbe essere seriamente disattesa in base ad un’asserita conoscenza dell’illiceità amministrativa della condotta posta in essere. Tale circostanza imporrebbe solo una maggiore attenzione ed un più ponderato esame sul carattere effettivamente inevitabile dell’ignoranza. Ciò non toglie, comunque, che, in presenza di tale condizione, la scusante delineata dall’art. 5 c.p. potrebbe essere invocata se l’agente effettivamente non poteva conoscere, nonostante il puntuale e corretto adempimento dei doveri strumentali d’informazione che gli incombono, il carattere di illiceità penale del fatto. In tal senso parrebbe deporre non solo il tenore letterale dell’art. 5 c.p., ove esso si riferisce alla conoscenza (o conoscibilità) della legge penale, ma anche la piena attuazione del principio di colpevolezza. E, invero, punire con sanzione penale chi ha agito conoscendo o potendo conoscere la semplice antigiuridicità del fatto, significherebbe applicare conseguenze più gravi rispetto a quelle concretamente prospettabili ex ante dall’agente, secondo un meccanismo di vera e propria responsabilità oggettiva occulta122.

119 Per tutti, M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, cit., 107. Nella giurisprudenza

Cass., III, 7 maggio 1993, Magnani, in Riv. pen., 1994, 584; Cass., II, 22 ottobre 1993, Lunardi, in Giust. pen., 1995, II, 30.

120 Così, tra gli altri, F. MUCCIARELLI, Errore e dubbio dopo la sentenza della Corte costituzionale 364 del 1988, 268 ss.

121 Pret. Reggio Emilia – Montecchio Emilia, 4 ottobre 1991, Bondovalli, in Foro it., 1992, II, 57. Analogamente Pret. Reggio Emilia, 28 settembre 1988, Catellani, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1989, 273; Cass., III, 3 dicembre 1993, Davoli, in Riv. pen., 1995, 347; secondo cui l’ignoranza ha per oggetto l’illecito penale e non l’illecito in generale, cosicché il soggetto può essere scusato anche se sia consapevole che il fatto integra gli estremi di un illecito amministrativo; Cass., III, 22 marzo 1994, Munari (in Foro it., 1995, II, 498, con nota di P. VENEZIANI, L’oggetto dell’«ignorantia legis» rilevante, cit., 498 s.), secondo cui non è legittimo escludere la scusabilità dell’errore con l’argomento che l’imputato conosceva l’illiceità amministrativa della sua condotta.

122 P. VENEZIANI, L’oggetto dell’«ignorantia legis» rilevante, cit., 504.

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8. Le fattispecie incentrate su limiti tabellari e l’errore sulle soglie Come si è già anticipato123, diverso può essere il ruolo assegnato ai limiti-

soglia nell’ambito delle fattispecie incriminatrici descritte dal legislatore in materia ambientale. Infatti, la dottrina ha per lo più prospettato nel settore preso in esame una duplice possibile collocazione dogmatica delle soglie di rilevanza. Ad avviso di un orientamento dottrinale alcune di esse concorrerebbero alla descrizione del Tatbestand, altre, invece, si situerebbero nell’alveo dell’antigiuridicità, integrando i presupposti di fatto della causa di giustificazione dell’esercizio del diritto124. Ebbene, come è intuitivo, i problemi afferenti all’imputazione soggettiva di siffatte soglie si pongono in termini differenti a seconda che si ritenga preferibile l’una o l’altra delle impostazioni evidenziate.

Invero, le questioni maggiormente controverse parrebbero coinvolgere i casi in cui si riconducano le soglie ad elementi costitutivi della fattispecie. È, del resto noto, che ad avviso della dottrina maggioritaria le soglie, quantomeno in relazione alle fattispecie oggetto di maggiore attenzione125, integrerebbero la deliberata espressione normativa di un determinato livello di offesa126. Esse, cioè, contribuirebbero a determinare la misura reale del disvalore del fatto. Ed allora, in tale prospettiva, ci si deve chiedere “se per l’imputazione dolosa valgano i principi ordinari in tema di rappresentazione e volizione degli elementi costitutivi del reato, oppure se proprio l’indicazione normativa del quantum di offesa, espresso in termini fissi o percentuali, non abbia a richiedere un qualche adattamento”127.

Ebbene, in termini generali, con riferimento a siffatta specifica questione, si osserva come i limiti quantitativi presenti nelle norme costruite sull’inosservanza di soglie sono non di rado costituiti da misure non facilmente oggetto di rappresentazione da parte dell’agente128. Così, per esempio, in

123 V. supra cap. IV, § 3. 124 Cfr. autori citati sub cap. II, § 3.1., e IV, § 6. 125 Ci si riferisce in particolare alle fattispecie di false comunicazioni sociali di cui agli artt. 2621 e

2622 c.c., nonché alle fattispecie presenti nell’ambito del diritto penale tributario. 126 M. ROMANO, Teoria del reato, punibilità, soglie espresse di offensività (e cause di esclusione del tipo), in

Studi in onore di G. Marinucci, II, Milano, 2006, 1729; I. MERENDA, Offensività e determinatezza nella definizione delle soglie di punibilità. Le soglie di punibilità nelle false comunicazioni sociali, Roma, 2007, 11, nonché, con specifico riferimento al settore ambientale, 31.

127 M. ROMANO, Teoria del reato, punibilità, soglie espresse di offensività (e cause di esclusione del tipo), cit., 1733.

128 M. ROMANO, op. ult. cit., 1734.

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relazione ai reati tributari, molto spesso il contribuente non si rappresenterà per nulla che il corrispettivo omesso nella dichiarazione comporterà, nel computo complessivo finale, un’evasione superiore al limite previsto dalla disposizione. Se, dunque, la rappresentazione e la volizione che del dolo compongono la struttura sono da riferire necessariamente anche al superamento delle soglie quantitative è probabile che la forza di dissuasione delle disposizioni resti alquanto modesta, potendo il soggetto fondatamente contare sulle ovvie difficoltà che incontrerà l’accusa, chiamata secondo i principi consueti a fornire la prova della colpevolezza. Siffatta impostazione verrebbe, infatti, a configurare un dolo talmente carico di coscienza dell’offesa (rectius: della rappresentazione e volizione del superamento di quella soglia) che difficilmente potrebbe essere provato129. Dunque, un conto sarebbe, onde pervenire ad un’affermazione di responsabilità, dovere semplicemente calcolare ex post l’oggettivo superamento dei limiti previsti, “altro e più arduo compito è invece dover dimostrare che l’autore si è rappresentato e ha voluto il superamento medesimo”130.

Per questa ragione, si è osservato che quando si ha a che fare con fattori di natura normativa, ed a maggior ragione di fronte a dati numerici di stampo tecnico quali le soglie, si dovrebbe propendere per l’irrilevanza della coscienza della lesività (sub specie di quantità lesiva)131. “Nel delicato equilibrio tra principio di colpevolezza e principio di difesa costituisce fondamentale esigenza di imputazione del dolo quella di evitare che il soggetto agente si possa rendere «arbitro» delle oggettività giuridiche, accampando a discolpa le sue personali valutazioni in ordine all’offensività concreta dei fatti di reato”132. Talché, “le soglie di punibilità – anche se la prevalente letteratura le considera oggi elementi “essenziali” – non sono un “serio” oggetto di dolo. (…) Le soglie quantitative sembrano un oggetto del dolo quasi inesigibile”133. Con diverse sfumature si è, altresì precisato che “la coincidenza tra voluto e realizzato richiesta al cospetto di soglie di punibilità si commisura ad un certo livello di astrazione del fatto tipico. A rilevare sarà in primis la consapevolezza delle tracce esteriori dell’elemento ponderato (per tutti l’evasione fiscale), ovvero della sua apparenza fenomenica, a prescindere dalla cognizione della disciplina

129 G. SALCUNI, Natura giuridica e funzioni delle soglie di punibilità nel nuovo diritto penale tributario, in Riv.

trim. dir. pen. econ., 2001, 137. 130 M. ROMANO, op. ult. cit., 1734, 1735. 131 D. FALCINELLI, Le soglie di punibilità tra fatto e definizione normo-culturale, Torino, 2007, 82. 132 M. DONINI, Teoria del reato: una introduzione, Padova, 1996, 293. 133 M. DONINI, Dolo e prevenzione generale nei reati economici, cit., 34, nt. 53.

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extrapenale (che sia dentro o fuori la norma penale) in cui lo stesso elemento è regolamentato. In un secondo momento si tratterà di sondare la conoscenza e la volontà del peso di quell’elemento, nel senso di disvalore introdotto all’interno della complessiva situazione prodotta. Conoscenza – si badi – “parallela”, perché orientata sì nella stessa direzione di offesa del bene giuridico verso cui converge la previsione incriminatrice, ma non su questa perfettamente appiattibile in considerazione della distanza disegnata dalla soglia rispetto al senso comune della nozione, che si trasforma in concetto specialistico e di settore”134.

Sennonché, le soluzioni appena ricordate sono state per lo più elaborate in relazione a fattispecie che – a ben vedere – presentano non di rado un contenuto ed un’essenza non assimilabile agli illeciti oggi costruiti sul superamento di limiti tabellari in materia ambientale. Si vuole, più precisamente, richiamare l’attenzione sulla seguente circostanza: mentre, ad esempio, nel falso in bilancio e nell’evasione fiscale, il disvalore del fatto non ruota tutto attorno ai limiti-soglia, ben potendosi enucleare – prima e a prescindere dal superamento dei parametri destinati a segnare la rilevanza penale della condotta – un fatto dotato di attitudine offensiva e descritto con termini pregnanti (la falsità e l’evasione, appunto), non è dato riscontrare analoga situazione per gli illeciti consistenti nell’immissione nell’ambiente di determinate sostanze oltre i limiti tabellari, posto che quasi sempre la condotta tipica consiste in una comune attività di sversamento, immissione, ecc., descritta attraverso l’impiego di concetti neutri se non associati al superamento delle soglie in oggetto. Ebbene, se dunque in relazione alla prima tipologia di reati parrebbe effettivamente possibile, salvo poi valutare la condivisibilità o meno della costruzione proposta, immaginare un dolo che abbracci il fatto della falsità o dell’evasione, pur senza spingersi a coprire il significato tecnico delle soglie, in relazione agli illeciti ambientali, se si prescindesse dalla consapevolezza in capo all’agente del superamento dei limiti tabellari, il dolo verrebbe sostanzialmente a coincidere con la coscienza e volontà di una condotta neutra. Vero è che a ridimensionare il problema soccorre la natura contravvenzionale delle relative incriminazioni e la conseguente punibilità del fatto anche a titolo di colpa, talché – verrebbe spontaneo osservare – il soggetto comunque potrebbe essere chiamato a rispondere pur in assenza di coscienza e volontà del superamento delle soglie in presenza di profili di rimproverabilità colposa. Nondimeno, la questione è destinata a divenire di

134 D. FALCINELLI, Le soglie di punibilità tra fatto e definizione normo-culturale, cit., 86.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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cruciale importanza allorché, de iure condendo, si ritenesse di poter fondare su una progressione criminosa dell’offesa il passaggio da illecito contravvenzionale (o addirittura amministrativo) a delitto in presenza di peculiari circostanze135.

9. L’elemento soggettivo nelle ipotesi delittuose Pochissime, come si è più volte sottolineato, sono le fattispecie cui, in

materia ambientale, il legislatore a tutt’oggi attribuisce natura delittuosa. Nella speranza di non aver sottostimato il fenomeno, parrebbero riconducibili a tale tipologia criminosa tre sole ipotesi: la fattispecie descritta dall’art. 258, comma 4, d.lg. 152 del 2006, di trasporto di rifiuti pericolosi in assenza di formulario o con formulario contenente dati incompleti o inesatti, nonché di predisposizione o uso di un certificato di analisi di rifiuti contenente false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti medesimi136; il delitto di Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, disciplinato dall’art. 260 d.lg. 152 del 2006; l’ipotesi di cui all’art. 181, comma 1 bis, d.lg. 42 del 2004, che prevede ora una fattispecie delittuosa destinata a trovare applicazione nelle ipotesi in cui la condotta abusiva, descritta nel primo comma del medesimo articolo e destinata a rilevare come illecito contravvenzionale, abbia ad oggetto beni o aree di particolare pregio paesaggistico-ambientale.

Ebbene, in tutti i casi evidenziati, per le fattispecie qualificate come delittuose non è prevista la punibilità della condotta penalmente rilevante a titolo di colpa. Sennonché, tale circostanza potrebbe sollevare nella prassi applicativa un peculiare fenomeno, in relazione a due degli illeciti in oggetto. Il riferimento è alle ipotesi descritte dagli artt. 258, comma 4, d.lg. 152 del 2006, e 181, comma 1 bis, d.lg. 42 del 2004. Sia pure in contesti completamente diversi, infatti, entrambi i delitti de quibus si trovano in un rapporto di specialità nei confronti di altri illeciti, rispettivamente, di natura amministrativa, per quanto riguarda il primo, di natura contravvenzionale, per quanto riguarda il secondo. Invero, la medesima condotta di trasporto di rifiuti in assenza del prescritto formulario che integra il delitto di cui al citato art. 258, comma 4, allorché sia riferita ad un trasporto di rifiuti pericolosi, integra, invece, là dove essa sia

135 Sul punto supra cap. II, § 3.3., infra cap. VI, § 3. 136 La natura delittuosa dell’illecito in questione scaturisce, come è facile intuire, dal rinvio

effettuato dalla norma alla pena “di cui all’articolo 483 del codice penale”.

La colpevolezza nel reato ambientale

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relativa ad un trasporto di rifiuti non pericolosi, un illecito amministrativo, come tale punibile tanto a titolo di dolo quanto a titolo di colpa. Sicché, sorge il problema di capire se la non punibilità a titolo colposo della più grave ipotesi delittuosa concernente il trasporto di rifiuti pericolosi sia dovuta ad una svista del legislatore o se, rifletta, viceversa, una precisa scelta di politica criminale. Analogo discorso potrebbe farsi, mutatis mutandis, per quanto concerne l’ipotesi delineata dall’art. 181, comma 1 bis, la quale si differenzia dall’omologa fattispecie contravvenzionale descritta dal primo comma della medesima disposizione unicamente con riguardo all’oggetto materiale della condotta, atteso che l’azione tipica consiste in entrambi i casi nell’esecuzione di lavori su beni paesaggistici in assenza di autorizzazione o in violazione delle prescrizioni in essa contenute. Invero, però, il problema in relazione a questo secondo caso parrebbe ridimensionarsi alla luce dell’opinione che ravvisa anche nell’illecito contravvenzionale in esame un reato “ontologicamente doloso”137.

Per quanto concerne, infine, il terzo illecito delittuoso, contemplato dall’art. 260 d.lg. 152 del 2006, l’intenzione del legislatore di delimitare la punibilità della condotta ivi descritta alle sole ipotesi dolose è resa senz’altro esplicita dall’introduzione nella descrizione del fatto tipico della previsione del dolo specifico. Quest’elemento, unitamente ad altri che compaiono nella costruzione della fattispecie, vale, infatti, a delimitare lo spettro applicativo dell’ipotesi delittuosa e a differenziarla da contigue fattispecie contravvenzionali.

10. L’efficacia selettiva del dolo specifico nell’ipotesi di cui all’art. 260 d.lg. 152 del 2006

Il citato caso di cui all’art. 260 d.lg. 152 del 2006 integra, peraltro, l’unica

ipotesi in cui il legislatore ha inteso in materia ambientale delimitare la tipicità soggettiva ad una peculiare forma di dolo. Infatti, come anticipato, la fattispecie in esame risulta punibile solo a titolo di dolo, il quale, inoltre, deve necessariamente assumere la forma del dolo specifico, posto che la norma richiede in capo all’agente il fine di conseguire un profitto ingiusto. Peraltro, in assenza di ulteriori connotazioni di tale profitto, si può ritenere che lo stesso

137 C. BERGAMASCO, Commento all’art. 181 d.lg. 42 del 2004, in Codice commentato dei reati e degli illeciti

in materia ambientale, a cura di F. GIUNTA, Padova, 2007, 1290.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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non debba necessariamente assumere natura patrimoniale138, ben potendo essere integrato anche dal perseguimento di vantaggi di altra natura139. Non può, tuttavia, non evidenziarsi come quest’ultima ipotesi sarà verosimilmente di rarissima configurazione, se si pensa al fatto che la dispendiosa attività di allestimento di mezzi e attività continuative ed organizzate difficilmente non si accompagnerà al perseguimento di un interesse di natura economica. Quest’ultimo, d’altra parte, potrà comunque assumere diverse forme, ben potendo il soggetto ambire ad ottenere dalla gestione illecita dei rifiuti sia un mero risparmio di costi, sia veri e propri ricavi140.

Va da sé, inoltre, che, trattandosi di dolo specifico, l’effettivo conseguimento dei suddetti risultati non è affatto necessario ai fini della perfezione del reato. Nondimeno, è chiaro che nell’ambito della fattispecie in esame il dolo specifico svolge comunque la funzione di delimitare ulteriormente la rilevanza penale di una condotta che risulterebbe oggettivamente già offensiva per il bene protetto. Si tratta, più precisamente, di uno degli elementi che fondano e giustificano una progressione, in termini di disvalore, tra le singole contravvenzioni contemplate dalla disciplina in materia di rifiuti e l’ipotesi delittuosa in esame. Tale previsione, peraltro, parrebbe assumere valore decisivo nella valutazione della responsabilità penale di soggetti che, pur in presenza degli altri elementi costitutivi richiesti dall’art. 260, abbiano in realtà realizzato le diverse operazioni di illecita gestione soltanto per ignoranza degli obblighi normativi. Ancorché, infatti, in simili ipotesi il dolo non possa ritenersi escluso, l’assenza del predetto scopo di profitto precluderebbe, comunque, la possibilità di ritenere integrata la fattispecie delittuosa in oggetto.

138 L. PRATI, Il nuovo reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti: una norma problematica, in

Ambiente 2001, 627. 139 Così, espressamente, Cass., III, 6 ottobre 2005, Fradella, C.e.d. 232351, che ha ritenuto

configurabile il reato de quo in un caso in cui risultava realizzato un risparmio nei costi di produzione ed un rafforzamento nella posizione apicale all’interno dell’azienda da parte degli imputati, individuando in ciò un conseguente vantaggio personale immediato e futuro.

140 In questo senso anche Cass., III, 16 dicembre 2005, Samarati, C.e.d. 233292; Cass., III, 6 ottobre 2005, Carretta, in Foro it., 2006, II, 284.

Capitolo sesto

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

SOMMARIO: 1. L’affinamento della tecnica di descrizione dell’illecito ambientale. − 2. Verso la creazione di un codex ambientale? − 3. L’incremento di offensività del reato ambientale: la previsione di meccanismi di degradazione dell’illecito penale e le ipotesi di progressione offensiva. − 4. La possibile qualificazione delittuosa di talune incriminazioni. − 5. Il destino delle fattispecie incentrate su provvedimenti autorizzativi. − 6. L’indifferibile introduzione di una responsabilità da reato delle persone giuridiche per gli illeciti ambientali. − 7. Il necessario rafforzamento del sistema sanzionatorio attraverso la diversificazione degli strumenti punitivi.

1. L’affinamento della tecnica di descrizione dell’illecito ambientale È giunto ora il momento di trarre qualche conclusione sull’attuale

fisionomia del reato ambientale, alla luce di dati emersi nel corso di questa indagine.

Indubbiamente, come si è cercato di puntualizzare, l’illecito penale nella materia de qua risulta affetto da una pluralità di profili problematici, che, da un lato, minano in diversa misura la conformità dello stesso ai principi generali di garanzia del diritto penale e, dall’altro lato, rischiano di pregiudicare l’effettività della tutela del bene giuridico. Non è questa, tuttavia, una buona ragione per adagiarsi in un’attività di enfatizzazione delle critiche mosse nei confronti di questo settore dell’ordinamento. Appare, piuttosto, maggiormente costruttiva una riflessione volta ad individuare quali siano i punti di forza del sistema vigente ed in quale direzione eventualmente potrebbe muoversi il legislatore in sede di riforma per porre rimedio ai profili di criticità.

Per quanto concerne la tecnica di descrizione dell’illecito, non sembrano mai sufficienti gli appelli affinché si proceda ad una drastica semplificazione del quadro normativo esistente, ponderando maggiormente l’effettiva necessità di ricorrere alla (ora) abusata tecnica del rinvio, nonché all’integrazione della fattispecie ad opera di fonti secondarie. Allorché, tuttavia, non si possa prescindere da tale opzione, dovrebbe essere assicurata, come anticipato1, la

1 Sul punto cfr. supra cap. II.

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massima trasparenza e chiarezza del procedimento di ricostruzione dell’illecito, nonché la predisposizione di meccanismi in grado di compensare l’eventuale difetto di democraticità delle scelte effettuate al di fuori della dialettica parlamentare.

Per quanto concerne la collocazione delle fattispecie poste a tutela dell’ambiente, come anticipato, da più parti si auspica come opportuna – e permeata di un valore non meramente simbolico – l’introduzione delle stesse nell’ambito della parte speciale del codice penale2. Le sequenze argomentative a favore della scelta di collocare almeno il nucleo centrale del diritto penale ambientale all’interno del codice sono fin troppo note3. Esse si incentrano, oltre che su esigenze di razionalizzazione del sistema, soprattutto sulla funzione di orientamento culturale che solo lo strumento codicistico parrebbe ancora in grado di esplicare, nonché sull’esigenza di rivalutare, nel processo di costruzione delle fattispecie in oggetto, il ruolo di taluni principi fondamentali del diritto penale che, viceversa, la collocazione extracodicistica tende vieppiù ad oscurare. Al contempo, in tale prospettiva, non sembrano decisive le argomentazioni talora addotte, in termini generali, per contestare l’eventuale scelta codicistica. Queste ultime, come è noto, si incentrano generalmente sull’esigenza di evitare continui adattamenti del codice in materie soggette a costanti modificazioni o, comunque, sulla necessità di assicurare lo stretto collegamento normativo tra disposizioni penali e norme extrapenali per rendere maggiormente intellegibile il significato della norma penale medesima4.

Nondimeno, se è vero che la scelta codicistica presenta un indiscutibile valore simbolico e di orientamento culturale, vi è da chiedersi se, posto l’imprescindibile collegamento che di regola parrebbe doversi instaurare tra le

2 Sul punto v. anche supra cap. I, § 2. In una prospettiva comparatistica, peraltro, V. MILITELLO, (Riforma della parte speciale e ricodificazione

penale negli orientamenti della Commissione Nordio, in La riforma della parte speciale del diritto penale. Verso la costruzione di modelli comuni a livello europeo, a cura di M. PAPA, Torino, 2005, 98) ricorda che la “teoria che ha preconizzato la morte del codice nell’attuale universo penalistico risulta falsificata dal ricordato fenomeno di ricodificazione penale presente in svariati ordinamenti europei”. Sui delicati rapporti tra codice e legislazione complementare cfr., altresì, F. C. PALAZZO, Per una razionalizzazione della legislazione complementare, in Cass. pen., 2003, 317 ss.

3 A favore della soluzione codicistica nella dottrina italiana, tra gli altri, E. LO MONTE, Diritto penale e tutela dell’ambiente. Tra esigenze di effettività e simbolismo involutivo, Milano, 2004, 465; nella dottrina spagnola, C. CONDE-PUMPIDO TOURÓN, Introdiccion al delito ecologico, in El delito ecologico, a cura di J. TERRADILLOS BASOCO, Madrid, 1992, 19 .

4 Sull’argomento, in termini generali, A. FIORELLA, La parte speciale tra codificazione e legislazione complementare, in Prospettive di riforma del codice e valori costituzionali, Milano, 1996, 279 ss.

Considerazioni conclusive 239

fattispecie ambientali e la normativa extrapenale richiamata5, analogo obiettivo non possa essere proficuamente raggiunto seguendo una diversa strada. Il riferimento è alla creazione di un corpo normativo organico, collocato al di fuori del codice penale, ma suscettibile di accorpare, riordinandola e razionalizzandola, tutta la disciplina in materia ambientale, sulla base di criteri uniformi e, per quanto concerne specificamente le ipotesi di reato, conformi ai generali principi penalistici. In altre parole, si potrebbe immaginare una sorta di codice (speciale) dell’ambiente, nel quale siano, però, effettivamente contenuti tutti i profili di disciplina della materia de qua, escogitando meccanismi volti ad arginare la tentazione del legislatore di inserire poi nuove fattispecie penali nelle più disparate leggi di settore. Si tratterebbe, dunque, del proseguimento ideale della strada intrapresa dal legislatore, sia pure in termini ancora parziali e settoriali, con il d.lg. 152 del 2006. Siffatta soluzione presenterebbe il vantaggio di evitare la scissione testuale del materiale normativo richiamato dalla fattispecie incriminatrice, assicurando a quest’ultima un maggior grado di determinatezza, per il tramite di rinvii più rigidi e mirati, ed agevolando, conseguentemente, una più immediata comprensione del significato normativo del precetto. Al contempo, tuttavia, la funzione di “richiamo” svolta da un corpo normativo unitario e razionale, assimilabile appunto ad un codice, sembra in grado per lo meno di attenuare gli effetti negativi che la tecnica del rinvio inevitabilmente comporta in termini di conoscibilità della fattispecie, là dove i frammenti di quest’ultima, come accade nella legislazione vigente, risultino dispersi unicamente nell’ambito di una molteplicità di testi normativi della legislazione speciale extra codicem6.

È, del resto, facile intuire che la scelta di attrarre i reati a tutela dell’ambiente all’interno del codice penale contribuirebbe inevitabilmente anche alla drastica riduzione del numero delle fattispecie incriminatici. Ma è ovvio che pure l’opzione a favore di un testo unico (o codice ambientale) dovrebbe in ogni caso perseguire questo obiettivo. Sicché, parallelamente, il legislatore dovrebbe puntare sulla depenalizzazione o riformulazione di talune incriminazioni, che

5 L’impossibilità di svincolare completamente l’illecito ambientale dal rinvio alla disciplina

amministrativa viene per lo più riconosciuta anche dalla dottrina straniera. In questo senso, nella dottrina spagnola per tutti, N. J. DE LA MATA BARRANCO, Protección penal del ambiente y accessoriedad administrativa, in particolare 237 ss.; J. M. PRATS CANUT, De los delitos contra los recursos naturales y el medio ambiente, in Comentarios al Nuevo Código Penal, a cura di G. QUINTERO OLIVARES, Pamplona, 1996, 1514 ss. Nella dottrina tedesca, tra gli altri, R. SCHEELE, Zur Bindung des Strafrichters an fehlerhafte behördliche Genehmigungen im Umweltstrafrecht, Berlin, 1993, 17.

6 Sul punto cfr., amplius, supra cap. II, §§ 2 ss.

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potremmo denominare di pura inosservanza, in cui viene in rilievo esclusivamente l’esigenza di presidiare regole organizzative, di disciplina, di comunicazione7. Come è noto, l’unica via percorribile per restituire credibilità ed efficienza al sistema penale nel suo complesso8 sembrerebbe quella di mantenere nell’area del penalmente rilevante le sole ipotesi di reato che si preoccupano comunque di tipizzare comportamenti di per sé idonei, per lo meno nella forma del pericolo astratto, ad arrecare pregiudizio al bene tutelato9. Ciò comporta che anche con specifico riferimento al diritto penale dell’ambiente si dovrebbe provvedere ad un inevitabile sfoltimento o depenalizzazione di tutte quelle fattispecie incentrate esclusivamente sulla tutela della funzione amministrativa, in assenza di qualunque pericolosità intrinseca della condotta nei confronti dei beni finali10.

Invero, il ricorso alla sanzione penale in simili ipotesi deriva spesso, come è stato rilevato, o da “una ipervalutazione del generico interesse tutelato rispetto alle molteplici tipologie offensive, con conseguente aprioristica rinuncia a una qualsiasi selezione all’interno di quest’ultime”11; oppure, più in generale, “dalla miope convinzione della maggiore efficacia deterrente della sanzione criminale, in quanto dotata di un’intrinseca componente di stigmatizzazione sociale”12. In realtà, l’utilizzo di sanzioni penali, per lo più di modesta entità, per fatti privi di qualunque intrinseco disvalore − si precisa − non è in grado di creare nei destinatari quella consapevolezza che rappresenta una delle condizioni

7 V. amplius supra cap. III, § 3. 8 Su tale problematica cfr., tra gli altri, F. ANGIONI, Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico,

Milano, 1983, in particolare 231 ss. 9 V. amplus supra cap. III, § 3.1. Sul punto cfr., con specifico riferimento alla tutela penale

dell’ambiente, M. CATENACCI, Rapporti tra tecniche penali e tecniche amministrative nel sistema italiano di tutela dell’ambiente, in Protection of the environment and penal law. Protezione dell’ambiente e diritto penale, a cura di C. ZANGHÌ, Bari, 1993, 268.

10 In questo senso cfr., per tutti, F. C. PALAZZO, I criteri di riparto tra sanzioni penali e sanzioni amministrative, ne L’Indice pen., 1986, 48. In tale prospettiva la depenalizzazione, come è stato rilevato (C. E. PALIERO, Depenalizzazione, in Dig. disc. pen., III, Torino, 1989, 437), può essere vista come un «ritorno pendolare» di illeciti criminali nell’alveo del diritto penale amministrativo, in cui originariamente si trovavano, prima che avesse luogo la giurisdizionalizzazione degli illeciti di polizia, per dar vita alla nuova categoria delle contravvenzioni.

11 F. C. PALAZZO, I criteri di riparto tra sanzioni penali e sanzioni amministrative, cit., 40. 12 F. C. PALAZZO, Diritto penale e società tecnologica: principi in crisi e riforme attese, in Il Ponte, 1991, 57.

In tale prospettiva, sul rischio che il diritto ambientale finisca, non di rado, per assumere carattere meramente simbolico cfr., tra gli altri nella letteratura straniera, R. SCHEELE, Zur Bindung des Strafrichters an fehlerhafte behördliche Genehmigungen im Umweltstrafrecht, cit., 16; N. J. DE LA MATA

BARRANCO, Protección penal del ambiente y accessoriedad administrativa, cit., 33.

Considerazioni conclusive 241

indispensabili di una reale efficacia dissuasiva. Sicché, la sanzione criminale, in assenza di tale presupposto, svolge un ruolo essenzialmente d’ordine e organizzatorio di determinate attività e la violazione esprime nulla più che una oggettiva disfunzione e irregolarità nel settore di attività13. Appare, dunque, in simili ipotesi indifferibile una drastica riduzione degli illeciti penalmente sanzionati, accompagnata dal ricorso ad una diversificazione degli strumenti sanzionatori previsti per questi ultimi14.

2. Verso la creazione di un codex ambientale? Come è facile intuire, i vantaggi che potrebbero derivare dalla creazione di

un codex ambientale sono direttamente proporzionali alla bontà di progettazione di siffatto codice. Nel senso che si dovrebbe evitare di far coincidere questo testo con una mera “riscrittura” della legislazione vigente nella materia de qua15. Piuttosto, parrebbe opportuna, oltre alla riunione e al riordino della normativa esistente in un corpo unitario, anche la codificazione di principi generali destinati a regolare la materia ambientale, nonché – sotto il profilo più strettamente penalistico – la costruzione di talune fattispecie-base destinate ad operare in relazione alle diverse forme di inquinamento. Si potrebbe, in altri termini, immaginare un’unica parte sanzionatoria dell’edificando codex ambientale volta a scolpire i comportamenti penalmente rilevanti sulla base di schemi di incriminazione destinati ad operare sinergicamente alle singole parti precettive del codice medesimo.

È evidente, tuttavia, che la strutturazione di un codice speciale dell’ambiente presuppone a monte la soluzione di un rilevante problema. Si tratta, infatti, preliminarmente di precisare la nozione di ambiente penalmente rilevante. Come è noto e già ricordato, secondo una concezione estensiva si può ricondurre al concetto in esame tutto ciò che può influire, positivamente o

13 F. C. PALAZZO, op. loc. ult. cit. Nello stesso senso con specifico riferimento alle incriminazioni

basate esclusivamente sul momento autorizzativo, con le quali si sanzionino condotte neutre rispetto a possibili lesioni del bene protetto, cfr., ad esempio, G. GRASSO, I rapporti tra la legislazione penale nazionale e la normativa internazionale e comunitaria in materia di tutela delle acque, in Protection of the environment and penal law, a cura di C. ZANGHÌ, Bari 1993, 240.

14 Su tale profili cfr., per tutti, F. C. PALAZZO, I criteri di riparto tra sanzioni penali e sanzioni amministrative, cit., 35 ss.; ID., Bene giuridico e tipi di sanzioni, ne L’Indice pen., 1992, 209 ss.

15 In questo senso già R. BAJNO, La tutela dell’ambiente nel diritto penale, in Riv. trim dir. pen. econ., 1990, 361.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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negativamente, sulla qualità di vita dell’uomo, dunque, anche gli elementi urbanistici, paesaggistici, culturali, ecc. Ad avviso di una diversa concezione restrittiva, invece, la nozione di ambiente andrebbe ristretta ai soli elementi fisici strettamente indispensabili per la vita. Non è, del resto, difficile intuire che quanto più si tenderà ad ampliare il campo di applicazione del testo unico, tanto maggiori risulteranno le difficoltà di armonizzazione della materia. Talché, si potrebbe pensare di muovere, in primis, dalla costruzione di un nucleo, volto alla tutela delle componenti ambientali in senso stretto (aria, acqua, suolo), raggruppando, però, effettivamente in esso tutto quanto afferente alle materie trattate. Si dovrebbe, in altre parole, evitare di far coesistere a fianco del codice ambientale quel profluvio di testi normativi ad oggi esistenti con la funzione di ritagliare, di volta in volta, discipline specializzanti in relazione a peculiari forme di inquinamento, in alcuni casi, peraltro, destinate a rimanere lettera morta perché poco note o oscure nella loro formulazione. La semplificazione appare, in sintesi, il primo obiettivo da perseguire, al fine di evitare i problemi di convergenza apparente di più norme in relazione al medesimo fatto, di eliminare disarmonie sanzionatorie tra fatti dotati di disvalore omogeneo, di ridurre sensibilmente il rischio di rinvii erronei e di rinvii a catena. Solo quando si riuscirà a lavorare su un numero ragionevole di norme, sarà possibile fare proposte più concrete e credibili in merito ad una riformulazione globale degli illeciti in materia ambientale che non abbia una funzione meramente simbolica, ma tenga conto degli effettivi problemi che affliggono questo settore dell’ordinamento.

3. L’incremento di offensività del reato ambientale: la previsione di meccanismi di degradazione dell’illecito penale e le ipotesi di progressione offensiva

Sotto il profilo del contenuto offensivo dell’illecito, per quanto da parte

delle più recenti proposte di riforma emerga la tendenza verso la formulazione di illeciti di danno o pericolo concreto16, non di rado le fattispecie di cui si auspica l’introduzione parrebbero difficilmente applicabili perché afflitte da un evidente gigantismo17. È, dunque, più probabile che la necessaria rivalutazione

16 V. supra cap. I, § 2. 17 A. MANNA, Realtà e prospettive della tutela penale dell’ambiente in Italia, in Riv. trim. dir. pen. econ. 1998,

864; A. MANNA, V. PLANTAMURA, Una svolta epocale per il diritto penale ambientale italiano?, in Dir. pen. proc., 2007, 1078. Sostanzialmente nello stesso senso, G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Corso di diritto

Considerazioni conclusive 243

del profilo offensivo delle singole fattispecie non debba passare attraverso il completo abbandono del reato di pericolo astratto, quanto più propriamente attraverso l’introduzione di adeguati correttivi nella tipizzazione ed applicazione degli stessi. Più precisamente, parrebbe possibile agire in una duplice direzione.

Da un lato, la tecnica di costruzione della fattispecie dovrebbe cercare di assicurare al maggior numero di casi una effettiva corrispondenza tra tipicità ed offensività18, avvalendosi, eventualmente, anche di specifiche ipotesi di degradazione dell’illecito, capaci, in presenza di ben delineati presupposti, di sollecitare l’onere di allegazione dell’imputato e sollevare, conseguentemente, il giudice dal peso di complessi procedimenti accertativi. Dall’altro lato, opportuna parrebbe l’introduzione di fattispecie incriminatrici – ad oggi del tutto assenti – intese a punire condotte che comportino un reale pericolo per l’effettiva consistenza naturalistica, destinate ad operare – è bene precisarlo – in aggiunta, e non in sostituzione, a quelle costruite sul paradigma del pericolo astratto.

Sotto il primo profilo, in relazione per esempio alle fattispecie incentrate sull’inosservanza di limiti-soglia, si potrebbe pensare all’introduzione di una specifica previsione, che consenta la degradazione dell’originario illecito penale, in illecito amministrativo là dove il superamento dei valori limite risulti comunque imputabile a titolo di colpa, sia del tutto occasionale e non superiore di x% ai suddetti valori. L’espressa previsione della possibilità di pervenire all’applicazione della sola sanzione amministrativa, là dove risulti infranta la implicita serialità delle condotte inquinanti, dovrebbe attenuare il rischio di obiezioni incentrate sullo spettro del più volte lamentato possibile scollamento tra tipicità ed offensività, oltre che sul rischio – più di recente evidenziato – di una violazione del principio di colpevolezza nella misura in cui si sanzionino condotte singolarmente non offensive, ma che diverrebbero tali solo in quanto cumulabili con altre dello stesso segno19.

Ancora: in relazione alle fattispecie incentrate sull’esercizio di determinate attività in mancanza della prescritta autorizzazione, sarebbe possibile, prevedere la degradazione dell’illecito penale in illecito amministrativo là dove si possa comunque dimostrare che, sin dall’inizio dell’attività medesima, sussistevano tutti i presupposti e requisiti affinché l’autorizzazione stessa potesse essere

penale. I Le norme penali: fonti e limiti di applicabilità. Il reato: nozione, struttura e sistematica, Milano, 2001, 421.

18 V. supra cap. III, §§ 3 ss. 19 M. MANTOVANI, L’esercizio di un’attività non autorizzata. Profili penali, Torino, 2003, 12 ss. Sul

punto cfr. anche supra cap. III, § 3.3.

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concessa e sempre che non vi fosse l’esigenza di subordinare l’esercizio dell’attività autorizzanda ad ulteriori specifiche prescrizioni. Esclusivamente in questo caso, infatti, la previsione della sola sanzione amministrativa parrebbe strumento sufficiente a sanzionare la lesione del mero interesse dell’amministrazione all’instaurazione di un rapporto di collaborazione con il privato.

Per quanto concerne il secondo profilo, come anticipato, sembrerebbe auspicabile il ricorso ad una tecnica di tipizzazione dell’illecito di tipo misto, che assoggetti, cioè, a pena lo sviluppo delle condotte già inosservanti (e in alcuni casi già dotate di disvalore penale nella forma, appunto, del pericolo astratto) verso stadi di pericolo ulteriori20. Il ricorso, infatti, ad un modello penalistico puro, del tutto svincolato dall’inosservanza della disciplina amministrativa finirebbe per riproporre i ben noti problemi relativi alle difficoltà di accertamento della pericolosità concreta. Viceversa, allorché la valutazione di pericolo concreto venga riferita a condotte già di per sé inosservanti della disciplina amministrativa, ci si potrebbe avvalere di un importante parametro di illiceità «di base», idoneo ad escludere la tipicità di condotte conformi alla disciplina extrapenale21. Infatti, l’osservanza di limiti dettati dal legislatore in via precauzionale, allo scopo di fronteggiare pericoli ipotetici, dovrebbe escludere la punibilità dell’agente che, pur rispettandoli, abbia causato eventi offensivi22. “Non versa in colpa l’agente che abbia rispettato le soglie precauzionali, laddove poi il rischio ipotetico si «trasformi» in concreto pericolo o in danno. In tali ipotesi l’agente ha corso un rischio consentito, valutato e normativizzato dal legislatore in termini particolarmente prudenziali”23.

In particolare, il modello della progressione offensiva parrebbe proficuamente utilizzabile in relazione alle ipotesi di superamento dei limiti-soglia. Questi ultimi, innanzitutto, per lo meno in alcuni settori del diritto

20 In questo senso anche F. GIUNTA, Ideologie punitive e tecniche di normazione nel diritto penale

dell’ambiente, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2002, 859. 21 F. GIUNTA, Ideologie punitive e tecniche di normazione nel diritto penale dell’ambiente, cit., 860. Talune

considerazioni critiche nei confronti di modelli incentrati su una doppia illiceità vengono svolte da A. L. VERGINE , Sui «nuovi» delitti ambientali e sui «vecchi» problemi delle incriminazioni ambientali (parte seconda), in Ambiente & Sviluppo, 2007, 9.

22 C. RUGA RIVA, Principio di precauzione e diritto penale. Genesi e contenuto della colpa in contesti di incertezza scientifica, in Studi in onore di G. Marinucci, I, Milano, 2006, 1756.

23 C. RUGA RIVA, Principio di precauzione e diritto penale, cit., 1756. Analogamente, con specifico riferimento al settore dell’inquinamento elettromagnetico, G. MARTIELLO, La rilevanza penale dell’inquinamento elettromagnetico: a proposito dell’art. 674 c.p., in Riv. trim. dir. pen. econ., 2007, 912.

Considerazioni conclusive 245

penale ambientale potrebbero articolarsi – come già anticipato24 − su una distinzione di carattere generale (applicabile come genus alle diverse forme di inquinamento) tra valori limite e valori di tolleranza, in relazione alla diversa valenza inquinante delle varie sostanze e/o della loro concentrazione, in modo tale da consentire la diversificazione degli strumenti di tutela, a seconda che a venire in considerazione sia, appunto, il superamento dei primi (sanzione penale) o il superamento dei secondi (sanzione amministrativa). La prima soglia verrebbe ad indicare la quantità massima di sostanza inquinante, la cui immissione nell’ambiente consente di formulare una prognosi suffragata da riscontri scientifici in merito ad una apprezzabile pericolosità della condotta. La seconda, invece, verrebbe a definire un margine maggiormente prudenziale di sicurezza, non tale da assurgere a base epistemologica per la formulazione di illeciti penali, neppure nella forma del pericolo astratto. Sul piano dell’offensività, la delimitazione del penalmente rilevante alla sola condotta di superamento dei valori limite potrebbe assicurare l’incriminazione di condotte ritenute effettivamente pericolose per l’ambiente sulla base di rigorosi criteri empirici, che tengano conto dell’attitudine inquinante delle diverse sostanze e della loro concentrazione. Questo equivale a dire che l’estensione del modello della “doppia soglia” potrebbe conciliare due opposte esigenze: da un lato, quella di ricondurre nell’ambito del diritto punitivo amministrativo le condotte di superamento di quei limiti tabellari che vengano fissati in via precauzionale in misura inferiore all’insorgere di apprezzabili rischi per l’ambiente25; dall’altro lato quella di rafforzare la reazione dell’ordinamento nei confronti di condotte di superamento che, calate nel contesto ambientale di riferimento, determinino un pericolo per il bene protetto. Un elemento di novità nella costruzione di questa progressione della tutela potrebbe essere rappresentato dal procedimento di individuazione delle soglie limite. Nel senso che tale procedimento di individuazione potrebbe essere, anziché di tipo esclusivamente tabellare, di carattere misto, sulla falsariga di quello introdotto in sede di riformulazione della fattispecie di cui all’art. 257 d.lg. 152 del 2006, ed affidato anche all’esito di un’analisi delle peculiarità del sito.

24 Supra cap. II, § 3.3. 25 Distingue tra un “sospetto di pericolosità”, espressione del principio di precauzione, ed un vero

e proprio “pericolo” anche A. MANNA, Soluzioni de lege ferenda in tema di deflazione del carico processuale, e con riguardo all’utilizzo dei reati di pericolo nel diritto penale della «post-modernità», in Riv. trim. dir. pen. econ., 2007, 892.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

246

4. La possibile qualificazione delittuosa di talune incriminazioni

Invero, in tale prospettiva, si potrebbe immaginare, addirittura, una triplice

graduazione dell’offesa, che progredisca dall’inosservanza dei valori di tolleranza (suscettibile di integrare un mero illecito amministrativo), al superamento dei valori limite (idoneo ad integrare un illecito penale, che potrebbe assumere natura contravvenzionale), con eventuale approdo ad un illecito penale di natura delittuosa, allorché il soggetto, attraverso il superamento dei valori limite, cagioni una contaminazione dell’ambiente, da accertare in concreto in relazione ai probabili effetti nocivi che l’esposizione a determinati contaminanti può avere sui ricettori finali, tenendo presenti le caratteristiche del sito, la destinazione d’uso dello stesso, i livelli di tossicità delle sostanze, nonché il grado di mobilità delle matrici ambientali, le vie e modalità di esposizione (dirette o indirette). In siffatta prospettiva parrebbe, peraltro, pienamente condivisibile l’eventuale scelta del legislatore di subordinare la punibilità della contaminazione ambientale alla condizione dell’omessa bonifica, analogamente a quanto ora previsto dal già citato illecito contravvenzionale descritto dall’art. 257 d.lg. 152 del 200626. Un’efficace politica criminale in materia ambientale deve, infatti, privilegiare l’interesse per la restitutio in integrum del bene rispetto all’istanza punitiva27. Talché, subordinando la punibilità della contaminazione ambientale alla condizione dell’omessa bonifica, posto che il reato non verrebbe a perfezionarsi se non a seguito appunto del predetto inadempimento, il soggetto agente sarebbe stimolato ad attivarsi per non incorrere in nessuna conseguenza penale28. La riparazione (qui sotto forma di bonifica) persegue, come è noto, la salvaguardia, sia pure tardiva, del bene tutelato e la punizione viene di fatto posticipata al

26 De iure condendo, siffatta ipotetica fattispecie potrebbe risultare così strutturata: “Chiunque,

attraverso il superamento di valori limite, cagiona una contaminazione del suolo, del sottosuolo, delle acque, dell’aria è punito con la reclusione (…) se non provvede alla bonifica secondo le modalità previste dalla legge”.

27 In questo senso già F. C. PALAZZO, Principi fondamentali e opzioni politico criminali nella tutela dell’ambiente, in Ambiente e diritto, a cura di S. GRASSI, M. CECCHETTI, A. ANDRONIO, Firenze, 1999, II, 572, 573. Analogamente F. GIUNTA (Oltre la logica della punizione: linee evolutive e ruolo del diritto penale, in Studi in onore di G. Marinucci, I, Milano, 2006, 353), il quale – in termini generali – osserva che “l’obiettivo della reintegrazione dell’offesa deve assurgere a scopo comprimario del diritto penale”.

28 Così, in relazione alla fattispecie di cui all’art. 257 d.lg. 152 del 2006, D. MICHELETTI, Commento all’art. 257 d.lg. 152 del 2006, in Codice commentato dei reati e degli illeciti ambientali, a cura di F. GIUNTA, Padova, 2007, 356.

Considerazioni conclusive 247

mancato ravvedimento e posta in alternativa all’esenzione di pena per la condotta tipica già realizzata29. L’espressa previsione della condizione obiettiva di punibilità avrebbe, tra l’altro, due ricadute applicative di estrema importanza: da un lato comporterebbe il radicarsi del dies a quo per il decorso del termine prescrizionale del reato nel momento del verificarsi della condizione medesima, ai sensi del noto disposto di cui all’art. 158, comma 2, c.p.; dall’altro lato, però, farebbe sì che il mancato avverarsi della condizione (nel caso di specie coincidente con la realizzazione dell’avvenuta bonifica) precluderebbe ogni possibile conseguenza sanzionatoria, ivi compresa la temuta eventuale confisca dell’area che fosse prevista dal legislatore in aggiunta alla sanzione principale.

Peraltro, l’opzione politico criminale favorevole all’introduzione di fattispecie, anche di natura delittuosa, che tipizzino offese all’ecosistema naturale di portata più ampia non parrebbe porsi in rapporto di incompatibilità con la tecnica normativa utilizzata fino ad oggi. Piuttosto siffatta implementazione del sistema di tutela parrebbe destinata ad integrare la disciplina esistente30.

Invero, autorevole dottrina si è chiesta se il modello costituito dalla tutela anticipata sia veramente “un oggetto estraneo all’argenteria del penalista, uno strumento di fatto utilizzato ma non ostensibile senza difficoltà” o se possa trovare “giustificazione quale strategia coerente con un sistema penale efficace e garantista, vale a dire interessato sia al fine di scongiurare l’effettiva lesione dei beni tutelati, sia al fine di contenere l’intensità complessiva degli interventi sanzionatori”31. Ebbene, in materia ambientale, non sembra potersi contestare la circostanza che la tutela del bene protetto si realizza, prima di tutto, attraverso la prevenzione/repressione della reiterazione quotidiana di condotte che, singolarmente enucleate, possono avere anche un modesto impatto ambientale, ma che la cui capacità offensiva risiede nella sinergia cumulativa che fatalmente si instaura tra le stesse. Sicché, non parrebbe possibile prescindere da un argine costituito da un sistema punitivo (amministrativo e penale) volto a contrastare questo primo stadio di aggressione all’ambiente. Il problema, piuttosto, parrebbe spostarsi verso la necessità di una maggiore differenziazione nella risposta sanzionatoria, che eventualmente escluda per le

29 F. GIUNTA, Oltre la logica della punizione: linee evolutive e ruolo del diritto penale, cit., 346. 30 In questo senso, altresì, v. F. GIUNTA, Tutela dell’ambiente (diritto penale), in corso di

pubblicazione in Enc. dir., Aggiornamento, § 4. 31 L. EUSEBI, Brevi note sul rapporto fra anticipazione della tutela in materia economica, extrema ratio ed

opzioni sanzionatorie, in Atti del VI Congresso nazionale di diritto penale, Torino, 1996, 43.

Il reato ambientale. Tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza

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fattispecie di pericolo astratto la pena detentiva32, o che mostri una maggiore duttilità nel sapersi degradare giudizialmente verso l’area dell’illecito amministrativo33.

Inoltre, per rafforzare la tutela, siffatto sistema, che ad oggi esaurisce le potenzialità repressive in materia ambientale, potrebbe essere integrato, come anticipato, dalla previsione di più gravi ipotesi, la cui funzione dovrebbe essere quella di ritagliare fatti dotati di una maggiore e più tangibile dannosità nei confronti – è bene precisarlo – sempre delle risorse ambientali. Si intende, in altre parole, dire che altra, ed eventualmente concorrente, forma di progressione dell’offesa è quella che si indirizzi nei confronti di beni giuridici di diversa natura, come ad esempio, nei confronti di interessi di natura personale (salute, incolumità e vita). Sicché, la disciplina potrebbe essere completata dalla previsione di aggravanti o di ulteriori ed autonome fattispecie incriminatrici che attribuiscano rilevanza alle diverse ipotesi in cui la contaminazione comporti, oltre ad un pregiudizio per l’ambiente, anche la lesione o concreta messa in pericolo di altri beni afferenti al singolo individuo o alla collettività.

5. Il destino delle fattispecie incentrate su provvedimenti autorizzativi L’attuale assetto della disciplina in materia ambientale non sembra, invero,

poter rinunciare completamente agli illeciti punitivi volti a sanzionare l’esercizio di determinate attività in assenza o in violazione di un provvedimento autorizzativo. Nondimeno, una maggiore conformità di dette fattispecie al principio di offensività si potrebbe perseguire individuando una distinzione, di carattere generale ed applicabile nei diversi settori di tutela dell’ambiente, tra provvedimenti abilitativi necessari per lo svolgimento di attività a rilevante impatto ambientale (il provvedimento potrebbe chiamarsi, per esempio, autorizzazione) e provvedimenti richiesti per lo svolgimento di attività a modesto impatto ambientale (il provvedimento porrebbe definirsi permesso), sì da prevedere l’illecito penale solo nei casi di assenza della prescritta autorizzazione e l’illecito amministrativo nei casi di mancanza del prescritto permesso34. In tale prospettiva il legislatore dovrebbe effettuare un’accurata

32 Così anche D. PULITANÒ, Suggestioni ideologiche e difficoltà tecniche nella riforma penale, in Dir. pen.

proc., 2007, 1396. 33 M. DONINI, Selettività e paradigmi della teoria del reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 383, nt. 49, 386. 34 Sul punto v. anche supra cap. III, § 3.

Considerazioni conclusive 249

selezione delle attività che siano effettivamente suscettibili di incidere in modo significativo sull’integrità del bene ambiente. Proprio siffatta caratteristica, infatti, dovrebbe costituire la ratio della sottoposizione dell’attività medesima ad una più penetrante forma di controllo, volta ad una gestione integrata dei rischi (tutt’altro che remoti), insiti nell’esercizio della stessa. Tanto che, là dove risulti che tutte le misure necessarie a scongiurare gli evidenziati pericoli per l’ambiente fossero comunque state adottate a prescindere dall’avvenuto rilascio del provvedimento autorizzatorio, dovrebbe comunque prevedersi la possibilità di applicare la sola sanzione amministrativa necessaria a reprimere, in questo caso, non il pericolo per il bene finale tutelato, ma unicamente la rottura del rapporto di collaborazione tra il privato e la P.A.35.

Irrinunciabile nell’ambito di un efficace arsenale sanzionatorio contro la criminalità ambientale parrebbe anche la previsione di fattispecie volte a sanzionare la violazione di provvedimenti della P.A., adottati nei casi contemplati dalle autorità competenti, a condizione, però, che le relative prescrizioni abbiano una specifica funzione preventiva rispetto all’alterazione dell’ambiente. Tale circostanza consentirebbe di individuare con maggiore precisione, attraverso l’inserimento di un requisito espresso nella singola norma, i limiti di legittimità dell’azione amministrativa, anche ai fini di un eventuale annullamento o disapplicazione (rectius: non applicazione per difetto di tipicità) delle fattispecie volte a presidiarne l’esercizio. Inoltre, la necessaria natura preventivo-cautelare delle prescrizioni imposte nei confronti di possibili alterazioni ambientali dovrebbe facilitare un recupero di siffatte fattispecie di inosservanza nell’ambito del principio di offensività, portando allo scoperto la diretta funzione strumentale delle stesse alla tutela (anticipata) del bene giuridico.

6. L’indifferibile introduzione di una responsabilità da reato delle persone giuridiche per gli illeciti ambientali

È, comunque, indubbio che un reale rafforzamento della tutela ambientale

debba necessariamente passare attraverso l’introduzione di una responsabilità diretta delle persone giuridiche. Come è noto, le disposizioni inerenti la responsabilità degli enti per le ipotesi di reati ambientali, pur contemplate già

35 V. supra § 2.

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dalla legge con cui venne delegata l’adozione del d.lg. 231 del 2001, furono poi, inopinatamente, stralciate dal testo di quest’ultimo36.

Un segnale nel senso di rimediare a siffatta esclusione proviene dalla più recente proposta di riforma della disciplina penale dell’ambiente approvata dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 24 aprile 200737. L’art. 2 del disegno di legge delega, infatti, reca proprio “modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231”, prevedendo un’ulteriore implementazione del catalogo dei reati presupposto della responsabilità da reato degli enti38. Se, infatti, criminologicamente il principale autore di un attentato all’integrità dell’ambiente è un soggetto collettivo, precisamente «l’ente produttore», “allora, normativamente, è la responsabilità dell’ente il presidio sanzionatorio da implementare per garantire la tutela dell’ambiente nella sua dimesione sovraindividuale e diffusa: è infatti acquisizione pacifica della scienza penale che l’illecito ambientale sia motivato principalmente dal lucro d’impresa”39.

In tale prospettiva, sembra esservi ampio margine per l’affinamento di un sistema sanzionatorio pensato specificamente per imprese ed enti che si rendano responsabili di comportamenti lesivi per l’ambiente o, più semplicemente, per l’estensione del sistema, già operante, delineato dal d.lg. 231 del 2001. Come è noto, l’impianto punitivo contemplato dal succitato d.lg. 231 del 2001 prevede la sanzione pecuniaria, le sanzioni interdittive e la confisca. La prima, di indefettibile applicazione, è strutturata sulla falsariga del sistema “per quote”, al fine di meglio adattarla alle reali capacità economiche dell’ente. Siffatta peculiarità appare in grado di esplicare positive ricadute tanto in termini di prevenzione generale, quanto in termini di prevenzione speciale. Sotto il primo profilo, infatti, i destinatari non potrebbero fare affidamento su

36 Per talune considerazioni critiche in merito alla scelta minimalista emersa dal d.lg. 231 del 2001

v. C. DE MAGLIE, La disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle associazioni. Principi generali e criteri di attribuzione della responsabilità, in Dir. pen. proc., 2001, 1349, 1350; G. DE

SIMONE, I profili sostanziali della responsabilità c.d. amministrativa degli enti: la «parte generale» e la «parte speciale» del d.lg. 231 del 2001, in Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, a cura di G. GARUTI, Padova, 2002, 118; C. PIERGALLINI, Societas delinquere et puniri non potest: la fine tardiva di un dogma, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2002, 586.

37 Sul punto cfr. anche supra cap. I, § 2. Sui contenuti del d.d.l. A. MANNA, V. PLANTAMURA, Una svolta epocale per il diritto penale ambientale italiano?, cit., 1075 s.

38 A. L. VERGINE (Sui «nuovi» delitti ambientali e sui «vecchi» problemi delle incriminazioni ambientali (parte prima), in Ambiente & Sviluppo, 2007, 680) condivide l’iniziativa contenuta nel d.d.l., sottolineandone, tuttavia, al contempo i difetti di tecnica redazionale.

39 G. MANNOZZI, F. CONSULICH, La sentenza della Corte di Giustizia C-176/03: riflessi penalistici in tema di principio di legalità e politica dei beni giuridici, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2006, 931.

Considerazioni conclusive 251

un’eventuale sproporzione tra la sanzione minacciata e le proprie condizioni economiche, sì da rendere vantaggioso l’illecito commesso; sotto il secondo aspetto, la quantificazione della sanzione alla luce delle reali capacità economiche e patrimoniali dell’ente impedisce che condizioni particolarmente favorevoli di queste ultime rendano di fatto insensibile l’ente medesimo al carattere afflittivo della sanzione pecuniaria40.

Analoghe finalità animano la previsione delle sanzioni interdittive, destinate ad esplicare oltre ad una funzione di dissuasione-intimidazione, anche, e maggiormente, un’istanza di prevenzione speciale sotto forma di neutralizzazione del rischio-reato41.

Non si deve, inoltre, trascurare il potenziale insito nel rilievo accordato alle condotte di ravvedimento post factum, dotate di un’efficacia condizionante il quantum o addirittura l’an della sanzione. Previsione, questa, che mette in luce come il sistema sanzionatorio “non si ispiri ad una logica punitiva draconiana ed indiscriminata”, ma miri “dichiaratemente a privilegiare la prospettiva della tutela dei beni in uno con la prevenzione del rischio di commissione di illeciti”42.

7. Il necessario rafforzamento del sistema sanzionatorio attraverso la diversificazione degli strumenti punitivi

Come è noto, specie in taluni settori, la sanzione meramente affittiva, sia

essa pecuniaria (amministrativa o penale) sia essa detentiva, può non risultare sufficiente a costituire un valido deterrente nei confronti di comportamenti diretti a violare le disposizioni di legge43. Ciò soprattutto in quanto il significato patrimoniale di tali sanzioni (posto che l’applicazione di una sanzione detentiva risulta statisticamente limitata e che anche tale sanzione può essere sostituita ex art. 53 ss. l. 689 del 1981 con quella pecuniaria) può costituire nell’ambito dei

40 Così C. PIERGALLINI, Societas delinquere et puniri non potest: la fine tardiva di un dogma, cit.,

596. 41 Nuovamente, C. PIERGALLINI, Societas delinquere et puniri non potest: la fine tardiva di un

dogma, cit., 596. 42 C. PIERGALLINI, op. ult. cit., 597. 43 In termini generali, sull’esigenza di riconsiderare le modalità attraverso le quali si intenda

realizzare l’intento preventivo, specie nei settori in cui determinate esigenze hanno condotto a moltiplicare le ipotesi di anticipazione della tutela, cfr. L. EUSEBI, Brevi note sul rapporto fra anticipazione della tutela in materia economica, extrema ratio ed opzioni sanzionatorie, cit., 42 ss.

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reati imprenditoriali nulla più di una voce di bilancio, spesso di minore impatto rispetto a costi di adeguamento e di mantenimento in perfetta funzionalità di impianti44. Per questa ragione non di rado il sistema sanzionatorio tradizionale è, per esempio, affiancato da disposizioni squisitamente amministrative che prevedono la sospensione o la revoca di provvedimenti abilitativi nelle ipotesi di inosservanza delle prescrizioni contenute nei provvedimenti medesimi45. Ebbene, de iure condendo, utile appare il potenziamento di tale strada, da realizzarsi mediante l’introduzione di nuove sanzioni interdittive in qualità sia di pene principali (eventualmente in sostituzione della pena detentiva), sia di pene accessorie46. Infatti, in relazione alla criminalità ambientale l’efficacia deterrente di sanzioni che si concretizzano nella limitazione della facoltà di esercitare determinate attività o poteri parrebbe addirittura superiore rispetto a quella insita nella minaccia di (per lo più) modeste pene detentive, soprattutto allorché – come è facile intuire – l’attività criminosa sia strettamente connessa alle scelte imprenditoriali. A questo dato si aggiunga la constatazione che anche la funzione rieducativa della pena risulterebbe potenziata dall’applicazione di sanzioni che tendono ad inibire lo svolgimento di quelle stesse attività dalle quali sia scaturita la commissione del reato.

Inoltre, nell’ambito del diritto penale dell’ambiente è ravvisabile una condivisibile tendenza verso la previsione in numero crescente di specifici obblighi di riparazione, ripristino o risanamento ambientale. Siffatta tendenza appare in sintonia con le più recenti direttrici di politica criminale che tendono a configurare la pena non solo come strumento per prevenire la realizzazione di situazioni offensive, ma anche come sprone per il ripristino dello status quo ante

44 F. CERVETTI SPRIANO, C. PARODI, La nuova tutela delle acque, Milano, 2001, 397, 398. 45 Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, alla previsione di cui all’art. 208, comma 13, d.lg.

152 del 2006, il quale − in tema di gestione dei rifiuti − dispone che “quando, a seguito di controlli successivi all’avviamento degli impianti, questi non risultino conformi all’autorizzazione di cui al presente articolo, ovvero non siano soddisfatte le condizioni e le prescrizioni contenute nella stessa autorizzazione, quest’ultima è sospesa, previa diffida, per un periodo massimo di dodici mesi. Decorso tale termine senza che il titolare abbia adempiuto a quanto disposto nell’atto di diffida, l’autorizzazione è revocata”.

46 In argomento cfr. F. C. PALAZZO, R. BARTOLI, Certezza o flessibilità della pena? Verso la riforma della sospensione condizionale, Torino, 2007, 138, 137 ss. Del resto, già il Progetto di riforma del codice penale elaborato dalla Commissione presieduta dal prof. Grosso ha prefigurato la previsione di sanzioni interdittive anche quali pene principali (il testo del predetto Progetto è pubblicato in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 574 ss.) Sul punto v. anche le considerazioni di F. RAMACCI, La riforma del codice penale, in Dir. pen. proc., 2006, 667, 668.

Considerazioni conclusive 253

delictum47. Tali previsioni interagiscono variamente con gli istituti del diritto penale generale, nonché con le specifiche fattispecie incriminatici del diritto penale ambientale48. Parte della dottrina, peraltro, osserva, come il “ricorso sempre più ampio a siffatti strumenti sanzionatori” rappresenti “un sintomo ed il riconoscimento della scarsa efficacia rivelata dalle sanzioni penali ‘classiche’”49. Sennonché, i “caratteri fondamentali della sanzione ripristinatoria sono quanto di più lontano si possa immaginare dalle caratteristiche funzionali e di disciplina proprie della sanzione penale: basti pensare al fatto che il contenuto afflittivo della sanzione ripristinatoria non è parametrato sulla colpevolezza, rimanendo almeno tendenzialmente indifferente addirittura alla realizzazione colposa ovvero dolosa dell’illecito”50. La segnalata tendenza parrebbe, dunque, segnare ad avviso di una parte della dottrina una attenuazione della componente tanto retributiva quanto rieducativa della pena51. Tuttavia, pur non trascurando siffatto possibile epilogo, sembrano al contempo condivisibili i rilievi di chi sottolinea come, da un lato, la previsione di un «premio» per chi proceda alla reintegrazione dell’interesse leso “assolva, innanzitutto, a un’apprezzabile funzione di rieducazione del reo, tenuto a riparare a sue spese al danno provocato”, con la conseguenza che egli sarà “più consapevole del valore” che il bene protetto assume per l’intero ordinamento52; dall’altro lato, la rimessa in pristino funga in concreto da sanzione penale alternativa alla sanzione carceraria. Si tratterebbe, in sostanza, “di una sorta di pena pecuniaria direttamente commisurata tuttavia al danno o al pericolo cagionato, che richiede, a differenza di quella tradizionale irrogata per dictum giudiziale, un costruttivo e positivo attivarsi da parte del colpevole”53. Si configurerebbe in tal modo “un diritto penale che turba il sonno dei grandi ideologi della materia, sia dei classici che dei positivisti”, ma sarebbe “un diritto penale che trova nell’effettività la sua fonte di legittimazione e che pone al

47 D. MICHELETTI, Il reato di contaminazione ambientale. Interpretazioni a confronto sull’art. 51 bis d.lgs. n.

22/1997, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2004, 107. 48 Sul punto amplius L. BISORI, Gli istituti ripristinatori nel diritto penale dell’ambiente, in Ambiente e

diritto, a cura di S. GRASSI, M. CECCHETTI, A. ANDRONIO, Firenze, 1999, II, 597 ss. 49 Sul punto cfr. amplius L. BISORI, Gli istituti ripristinatori nel diritto penale dell’ambiente, cit., 597 ss. 50 F.C. PALAZZO, Principi fondamentali e opzioni politico criminali nella tutela penale dell’ambiente, cit., 571. 51 F.C. PALAZZO, Principi fondamentali e opzioni politico criminali nella tutela penale dell’ambiente, cit., 549,

550. 52 P. SEVERINO DI BENEDETTO, I profili penali connessi alla bonifica dei siti contaminati, in Ambiente,

2000, 418. 53 D. BRUNELLI, Profili penali nella bonifica dei siti inquinati, in La bonifica dei siti inquinati: profili

problematici, a cura di P.M. VIPIANA PERPETUA, Padova, 2002, 222, 223.

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centro del suo bersaglio innanzitutto la tutela del bene prezioso di cui fa presidio, privilegiando il bisogno sociale di protezione sul bisogno sociale di punizione”54.

Allorché si ritengano condivisibili tali ultime considerazioni, si comprende però come, per un efficace funzionamento del sistema, risulti imprescindibile che la minaccia sanzionatoria sia seria55. In tale prospettiva, parrebbe allora giustificarsi anche l’introduzione di ipotesi delittuose, nell’ambito delle quali, come anticipato56, l’omessa bonifica possa assurgere al rango di condizione al cui verificarsi sia subordinata la punibilità di un reato sanzionato in termini non irrisori.

La condotta ripristinatoria in senso ampio, inoltre, può non solo precludere la punibilità del fatto, ma altresì assumere una valenza attenuante della risposta sanzionatoria, successivamente alla consumazione del reato, o, ancora, svolgere un ruolo decisivo ai fini del giudizio di meritevolezza del beneficio della sospensione condizionale della pena, peraltro anche – è bene precisarlo – nel caso di condanna per reati in relazione ai quali il legislatore non ha previsto in modo specifico l’obbligo di bonifica e ripristino57. È noto, infatti, che la possibilità di condizionare la sospensione condizionale della pena all’adempimento di determinati obblighi è contemplata in termini generali, prima ancora che da specifiche previsioni, dall’art. 165, comma 1, c.p. In virtù di una modifica apportata dalla l. 689 del 1981, infatti, si prevede che tra gli oneri suscettibili di condizionare la sospensione condizionale della pena vi sia quello dell’eliminazione delle conseguenze dannose e pericolose del reato. L’imposizione di procedere ad uno sforzo finalizzato al ripristino delle originarie condizioni di equilibrio ecologico rappresenta in tale prospettiva un adempimento proposto al condannato in alternativa ad una pena che è stata commisurata ed applicata in relazione alla gravità del fatto e alla capacità a delinquere del reo.

In termini ancora più generali, non va dimenticato che la finalità di incentivare l’adempimento di un onere risarcitorio e restitutorio sembra avere

54 D. BRUNELLI, Profili penali nella bonifica dei siti inquinati, cit., 223. 55 Così anche D. BRUNELLI, Profili penali nella bonifica dei siti inquinati, cit., 223. Nello stesso senso

D. MICHELETTI (Commento all’art. 257 d.lg. 152 del 2006, cit., 367), il quale osserva che “la corretta operatività di un tale meccanismo esige l’esistenza di un determinato rapporto proporzionalistico tra l’afflittività della pena minacciata in astratto e il costo dell’attività rispristinatoria, dato che senza una plusvalenza affittiva, mancherebbe lo stimolo alla restitutio in integrum”.

56 V. supra § 3. 57 Cass., III, 16 settembre 2003, Spadetto, in Foro it., 2003, II, 649.

Considerazioni conclusive 255

ispirato anche la recente modifica, ad opera della l. 145 del 2004, della disciplina della sospensione condizionale della pena, attraverso la previsione di un termine di sospensione breve (un anno), nel caso in cui la pena inflitta non sia superiore ad un anno e sempre che l’imputato prima delle sentenza di primo grado abbia riparato interamente il danno ovvero si sia adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato da lui eliminabili (art. 163, comma 4, c.p.).

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Il reato ambientaleTipicità, offensività, antigiuridicità,colpevolezza

Costanza Bernasconi

C.B

ernasconi

Ilreatoam

bientale

Il reato ambientale presenta una fisionomia del tutto particola-re. Basti pensare che la gran parte delle fattispecie incrimina-trici previste dalla sconfinata normativa di settore è costituita

da illeciti contravvenzionali, mentre poche e residuali sono le ipo-tesi delittuose. Da qui l’interesse per una dogmatica del reato am-bientale, che faccia vivere i fondamentali principi del diritto pe-nale (legalità, offensività e colpevolezza) nelle categorie del fattotipico, dell’antigiuridicità e della colpevolezza, senza con ciò tra-scurare l’obiettivo di una tutela efficace. Lo studio coglie le rica-dute applicative che discendono dall’analisi strutturale del reatoambientale e tratteggia, de lege ferenda, proposte di razionalizza-zione delle tecniche normative.

Costanza Bernasconi è ricercatore confer-mato nell’Università di Ferrara.

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