Il racconto dei boschi di Savina trapani

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Il RACCONTO DEI BOSCHI e' un racconto articolato in due tempi: presente e passato, sogno e realta', che si esplica attraverso una dicotomia incentrata su un'avventura vissuta dalla protagonista, la giovane principessa Leira, la quale e' animata nei suoi intenti dal raggiungimento di un obiettivo, che consiste nel ritrovare il magico corno del primo padre degli Unicorni. Il corno e' un dono ricevuto dalla principessa in occasione della propria nascita il quale, essendo un oggetto incantato, una volta perduto fa ritorno alla sua terra d'origine, ossia nella magica Terra degli Unicorni.

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SAVINA TRAPANI

Il racconto dei boschi

Romanzo Fantasy

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Copyright © 2010 CIESSE Edizioni Design di copertina © 2010 CIESSE

Edizioni

Il racconto dei boschi by Savina Trapani

ISBN 9788897277170

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NOTE DELL’EDITORE Il presente romanzo è opera di pura fantasia. Ogni riferimento a nomi di persona, luoghi, avvenimenti, indirizzi e-mail, siti web, numeri telefonici, fatti storici, siano essi realmente esistiti o esistenti, è da considerarsi puramente casuale e involontario.

Quest’opera è stata pubblicata dalla

CIESSE Edizioni senza richiedere alcun contributo economico all’Autore.

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BIOGRAFIA DELL’AUTORE SAVINA TRAPANI è nata a Catania il 24.08.1970. Nel 1989 ottiene la Maturità Classica, presso l‟Istituto “Sacro Cuore di Gesù” a Catania e nel 1998 il Diploma di Specializzazione in Giornalismo presso l‟Istituto “Superiore di Giornalismo” ad Acireale con il massimo dei voti: 110 con lode. Collabora con numerose riviste e periodici come giornalista e scrive poesie, raccolte di fiabe e libri fantasy. La lettura e il nuoto sono i suoi hobby preferiti. Una scrittrice matura e completa, i suoi testi sono sempre colmi di una genuinità considerevole. BIBLIOGRAFIA 1997 Racconto per ragazzi: “Accadde in India”, Joppolo Editore” 2003 nell‟antologia “Le più belle poesie del premio letterario Olympia Città di Montegrotto Terme 2003” AA.VV., collana “Le schegge d’oro”, la poesia “Quel lungo viale dagli alti cipressi” 2003 nell‟Antologia del premio letterario “Il Club dei Poeti 2003” AA.VV., collana “Le

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schegge d’oro”, la poesia “La sassifraga”, edizioni Montedit 2005 Presso il catalogo annuale dell‟Associazione Accademica Catanese “Eliodoro” di Arte, Lettere e Scienze, pubblica la poesie “Ceneri di castagne” per la XXIX Rassegna Nazionale D‟Arte 2006 raccolta di fiabe “La Regina dei ghiacci incantati e altre fiabe”, Casa Editrice La Prova D’Autore

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INTRODUZIONE A volte, durante le lunghe notti autunnali, quando nel cielo splende la luna piena, nel silenzio di un bosco si può udire un sussurro che, come un canto giunto da lontano, comincia a narrare: “Ti racconterò una storia senza spazio e senza tempo. Una storia che viene narrata dallo Spirito del bosco. E‟ il racconto di un ricordo lontano che gli uomini ormai sconoscono, ma che la terra, l‟aria e le forze della natura riescono ancora a rievocare durante le notti di luna piena, cantandola per ricordare un antico Errore. Questa storia trova il suo inizio nella Valle di Amur, fra i fiumi di Batam e Alled, su di una terra che non conosce tempo e dove si erge maestosa la rocca del “Perenne Silenzio”, che come un avido falco, regge fra i suoi artigli il cuore e l‟anima di queste sperdute terre. Si racconta che mai nessuno si fosse addentrato nella Valle di Amur, poiché al suo interno, la Rocca, proteggeva una creatura turpe e crudele, il cui nome era Osefir, il quale con i suoi Cavalieri Neri, da egli stesso generati, aveva contaminato il cuore e la

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mente degli uomini, instillando in essi, poco per volta, i brutali sentimenti che lo caratterizzavano. Osefir, era un essere demoniaco: alto più di due metri, era avvolto nel suo purpureo mantello, con il capo coperto, da cui erano visibili solo due occhi incandescenti, il resto era un nulla sostenuto e alimentato dal Vuoto; detestava tutto ciò che potesse rappresentare il bene e, una volta conquistata la Rocca del Perenne Silenzio, aveva inviato i suoi Cavalieri Neri fra il popolo degli uomini, sottomettendoli al suo potere malvagio. La mente e il cuore degli uomini erano deboli e facilmente manipolabili, perciò non fu difficile, per Osefir, impossessarsene, assoggettandoli in breve tempo al proprio volere e ponendo il primo tassello per l‟edificazione di un mondo malvagio. Si racconta che Osefir fosse stato evocato dalle zolfare del monte Icnak, le cui lingue di fuoco, i fumi e il terribile odore rendono questo luogo inaccessibile a qualunque essere vivente e che attraverso dei sortilegi compiuti dallo stregone Mentotene avesse acquistato forza e vigore.

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Infatti, Mentotene raggiunte le pendici del monte, diede inizio ai suoi riti propiziatori nel tentativo di dar vita all‟orrida creatura, custodita nelle viscere della zolfara; così rivolgendosi al monte nell‟antica lingua utilizzata dagli stregoni, disse: 1“ùtriv erup el ettut etnenetnoc oznorb id osav li otidotsuc è iuc ni arret alla eregnuig rep, odrocir lì òresrevartta, ovitteibo oim led otnemignuiggar la etneiciffus eresse essevod non òic es; inimou ilged erouc len otanni eneb li ereggurtsid id otnetni„llen em a isrinu rep, arutaerc acifelam e adirro, rifesO erafloz eut elled erouc lad eracovni‟d otisoporp li noc kanIi etnom et a ognuig, enoizurtsid id è àtnolov aim al.” Ma il monte Icnak infastidito dall‟invocazione malefica dello stregone, che disturbava il suo riposo, ribatté: “Non sprecare il tuo tempo Mentotene, poiché neppure unendoti a Osefir riuscirai a compiere i tuoi oscuri propositi. Sai bene che i quattro mondi nascosti a est della Valle di Amur e protetti dai ricordi del tempo, non potranno essere violati dalla tua presenza. Il

1 Leggere dal basso verso l’alto e da destra verso sinistra.

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Sacro Vaso, custodito nella Terra degli Unicorni ti è inaccessibile, a causa del tuo cuore turpe e crudele.” “òrecsercca iretop ieimi i iul ni oi ehc ìsoc rifisO imaivni, igelitros ieim ia icsidibu e kancI etnom erelov oim la itimil errop non; itneve ilged isrirovaf li òrednetta otsocsan accor alled ologna nu ni e inimou ilged erouc led òressessopmi‟m otnat ni am, enrattiforppa id àrettemrep im ehc, elanab rup es, erorre‟l aipmoc is ehc etneizap òrednetta rifesO ni.” Rispose, deciso, lo stregone. Lo stregone Mentotene era il Primo Consigliere del re Campimene, il quale, nelle prospere terre della Valle di Amur, circondate dai fiumi di Batam e Alled, viveva inizialmente con il suo popolo, in pace. Lo stregone, desideroso di conquista, aveva cercato più volte di coinvolgere il re in battaglie a lui avverse, nel tentativo vano di potergli sottrarre il trono, qualora questi fosse morto in battaglia. Infatti, il sovrano Campimene, essendo ancora molto giovane, non aveva eredi e qualora fosse deceduto,

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prima dei suoi giorni, per legge la corona sarebbe passata al suo Primo Consigliere, quindi a Mentotene. Non riuscendo a coinvolgere il sovrano nei suoi intenti malvagi, lo stregone, attraverso degli antichi incantesimi, riuscì a evocare, nelle zolfare del monte Icnak, Osefir, il quale, avendo assorbito in sé il perfido mago e i suoi poteri oscuri, detronizzò, dopo battaglie estenuanti, il sovrano Campimene, dalla Valle di Amur, impossessandosi dell‟Antica Rocca. Dinanzi a tanto male i due fiumi della Valle di Amur, Batam e Alled, si prosciugarono, arrestando il proprio corso, il vento tacque per sempre e la Valle acquistò un aspetto rossiccio cupo, perdendo il verde intenso che l‟aveva caratterizzata, il silenzio si abbatté su questa terra e proprio per questo l‟Antica Rocca, unico edificio rimasto nella Valle, prese il nome del “Perenne Silenzio.” Per via di tutta questa malvagità, le pure virtù sembrarono assopirsi e il mondo venne gettato nel caos; l‟uomo, ribellandosi a ogni forma d‟ideale e moralità, cancellò qualsiasi differenza potesse sussistere fra lui e l‟animale.

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Fattosi forte della sua potenza e deciso più che mai a distruggere anche le pure virtù, custodite in un luogo molto lontano e inaccessibile, Osefir, utilizzando i poteri ereditati dallo stregone Mentotene, cominciò a generare il suo esercito di Cavalieri Neri, il cui potere si produssero attraverso i cinque elementi, che il malefico estrapolò dalla zolfara del monte Icnak. Infatti, tornato sul monte, forgiò dal fuoco il suo primo Cavaliere Nero che scatenò sul popolo degli uomini, Foresi-Osefir era il suo nome, il quale, scendendo con il suo nero destriero sui villaggi, sguainata la spada infuocata e facendola roteare sul suo capo, instillò nel cuore degli uomini il desiderio di conquista, quindi l‟amore per la guerra; ma Foresi-Osefir, con la sua armatura scintillante e il volto coperto dal velo del tempo, non era visibile all‟occhio umano e tranquillamente poté compiere i suoi voleri. Così, il popolo dei Tar, le cui antiche origini discendevano dal sovrano Campimene, guidato dal re Azzor, per lunghi mesi si spingeva oltre le proprie terre, mosso dal desiderio di conquistare i territori, vicini e lontani, delle popolazioni a essi ostili.

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I Tar erano guerrieri sostenuti da istinti primordiali, scendevano in campo, portando morte e distruzione, armati di clave e dardi, con i volti tracciati da colori sgargianti, fra cui predominava il rosso sangue; al loro passaggio la terra s‟inaridiva e sembrava attraversata da un fremito convulso. Perseguitavano la giustizia e la purezza, per loro macchie capaci di contaminare tutto ciò che potesse essere turpe. Erano tempi oscuri, periodi in cui la ragione veniva adombrata dall‟istinto e dalla ferocia, erano tempi in cui l‟uomo non sapeva spiegarsi il perché del tutto e la sua infinitesimale coscienza, taceva sotto i colpi della morte. Il popolo degli uomini aveva dimenticato Osefir con il suo esercito del male, nella Rocca del Perenne Silenzio e la Valle di Amur rimaneva un luogo inavvicinabile, in quanto le antiche superstizioni, raccontavano fatti orribili accaduti in quei luoghi;, infatti, il popolo di Azzor credeva che la Valle fosse la sede di un Dio ostile e crudele, ma se si fossero mantenuti distanti da essa, la loro esistenza sarebbe stata salva. Così, il potere nefasto di Osefir non conosceva limiti e dallo zolfo generò il suo

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secondo Cavaliere Nero, Metete-Osefir, dai vestiti lascivi e dal volto deturpato dall‟ira, era capace di diffondere nel cuore degli uomini il bisogno di vendetta. Al suo passaggio, emettendo il suo grido maligno, non udibile da orecchio umano, ridestava rancori e rabbie che col tempo le sue vittime erano riuscite ad assopire. Grandi vendette furono compiute a causa di Metete-Osefir, battaglie estenuanti che fecero milioni di vittime, perpetrate dall‟antico popolo dei Tar. Il terzo Cavaliere Nero che Osefir forgiò dai neri fumi della zolfara e che decise di inviare fra il popolo degli uomini, fu Assiafonte-Osefir, dagli ornamenti degni di un re e con un volto bellissimo, afferrava le sue vittime per i capelli, infondendo in essi la bramosia per i beni materiali: più gli uomini avevano e più volevano, più desideravano e più cercavano di possedere. Ovviamente, anche la presenza del terzo Cavaliere Nero di Osefir non poteva essere percepita dagli uomini, ma il desiderio che mostravano per i beni materiali ne era un‟evidente presenza. Il quarto Cavaliere Nero generato dalla terra cocente della zolfara sul monte Icnak si

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chiamava Ivalsi-Osefir ed era colui che per volontà del suo malefico padrone aveva instillato nel cuore degli uomini l‟amore per la caccia, non solo di animali, ma all‟occorrenza anche degli stessi uomini. Ivalsi-Osefir, correva veloce per i boschi e i villaggi, danzando come inebriato dal suo stesso male, e con indosso la sua tunica, incitava l‟uomo a cacciare la sua preda, spingeva alle liti e sollevava risse fra gli ignari presenti. L‟ultimo Cavaliere Nero, nato dai vapori della zolfara, era Vanisci-Osefir, colui che diffondeva la superstizione, a cui tutti indistintamente sottostavano, diffondendola di bocca in bocca e in tal modo perpetrava il suo scopo, manipolando la maggior parte delle azioni e dei voleri fra il popolo dei Tar. Tutti i Cavalieri Neri accompagnavano il proprio nome a quello di Osefir, in quanto ognuno di essi racchiudeva in se i poteri iniqui dell‟orrida creatura, custodendoli ed elargendoli per sua stessa volontà; se si fosse riusciti a indebolire o addirittura a distruggere uno dei cinque Cavalieri Neri, allo stesso tempo si sarebbe riusciti a ridurre notevolmente lo stesso potere di Osefir,

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poiché i propri poteri, a essi in parte, aveva legato. Ma il principale punto di forza del Malefico era che i cinque Cavalieri Neri non erano visibili all‟occhio umano e la sua stessa posizione nella Valle di Amur era protetta dalla superstizione, così indisturbato Osefir portava avanti i suoi scopi. Tuttavia, il potere dell‟orrida creatura non poteva estendersi oltre le terre dei Tar e il suo desiderio di distruggere definitivamente la fonte di ogni bene era vano. Infatti, le Pure Virtù, racchiuse nel Sacro Vaso di Bronzo, erano troppo distanti da lui e il luogo in cui erano custodite gli era inaccessibile. Così il male pazientemente attendeva che gli si presentasse l‟occasione per diradare le ombre che si opponevano ai suoi limitati e vani tentativi. In attesa di trovare la crepa che aprisse la strada per inoltrarsi nelle terre in cui era custodito il Sacro Vaso, puntualmente Osefir contemplava il suo bastone di vetro che gli mostravano una visione parziale e alterata della bianca fiamma in cui risplendevano le Giuste Virtù che un giorno avrebbero potuto ridestare il popolo dei Tar dal suo potere.

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Ma fu proprio durante quest‟era di orribili malefici che cominciò a germogliare la stirpe di quel sovrano da cui nacque una nobile discendenza.” E questa era anche una leggenda che un vecchio abitante di un antico villaggio raccontava a una bambina, durante le lunghe sere d‟inverno dinanzi al crepitare del fuoco. Erano queste le parole che le sussurrava all‟orecchio, mentre quei grandi occhi verdi cedevano alla pesantezza dei sogni. Ma si trattava solo di un racconto? E i sogni a cui si abbandonava la bambina erano solo sogni? Sognava…sì la bambina sognava un mondo che non conosceva che pensava di non avere mai visto e in questo spazio, frutto forse della fantasia, il bene risplendeva sotto la forma di una bianca fiamma, posta su di un Vaso di Bronzo, il quale rappresentava la mente degli uomini aperta alla giusta via. Il vaso prezioso era custodito in un mondo molto distante da quello che teneva prigioniero Osefir e in cui viveva il popolo dei Tar, infatti, si trovava nella Terra degli Unicorni, i quali essendo creature sacre vivevano protetti dagli elfi, in un luogo inaccessibile da qualunque essere che non

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possedesse il loro medesimo grado di purezza. Il Vaso di Bronzo, contenente la bianca fiamma, si trovava riposto all‟interno di un salice incantato, le cui fronde prospicienti l‟acqua, si specchiavano nel Lago del Sole Nascente; il vaso non era visibile attraverso una visione diretta del salice, ma guardando le terse acque del lago lo si poteva vedere riflesso in esse, mentre uno Spirito delle Acque, ne proteggeva il contenuto. Eccetto gli Unicorni, unici signori di quei magici luoghi, nessuno aveva mai avuto modo di vedere il Vaso di Bronzo, neppure agli elfi era concesso di addentrarsi fino le rive del Lago del Sole Nascente e solamente un cuore eccezionalmente puro, capace di custodire in se enormi poteri, avrebbe potuto tirar fuori il vaso dalla sua originaria collocazione. La bambina non conosceva l‟origine di tanto sapere e il mondo fantastico del vecchio, di fronte ai suoi sogni, non aveva confini, né limiti, infatti, il racconto si materializzava nella sua mente, la realtà cedeva alla forza del fantastico, del surreale, mentre la Valle di Amur acquistava vita, grazie a quelle

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parole…il tutto si fondeva e si confondeva nell‟intrecciarsi dei sogni e della realtà. Il mondo narrato dal vecchio era un luogo popolato da elfi, Centauri, uomini ed Unicorni, il cui linguaggio era l‟armonia di ogni bene e conoscenza, non sapevano cosa fosse la tristezza e il silenzio era solo la pausa che precedeva il ricordo di antichi errori. Il sonno di lei era profondo, pesante e quanto calore scaturiva dalle parole pronunciate dal vecchio saggio. Lei era felice e Lei era il suo nome.

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1.

IL POPOLO DEI TAR Lei viveva presso il popolo dei Tar, in un villaggio barbarico, posto a est della Valle di Amur, ai piedi di una catena di montagne, oltre la quale si pensava vivessero le divinità protettrici di quei luoghi. La posizione del villaggio era tale che la catena di montagne circostanti stendeva una perenne ombra su di esso, per grande parte del giorno, impedendo così al sole di fare capolino sulle capanne e a causa di ciò, il clima era umido, freddo, conferendo al luogo un costante aspetto autunnale. Per il resto, la zona nel suo insieme, era orrida a causa delle selve che si addentravano tutte intorno e aspra per via delle paludi: il clima risultava più umido a est e più ventoso a ovest. In compenso il terreno era generoso, ferace di messi, favorevole al pascolo del bestiame, essenzialmente composto da pecore, ma povero, tuttavia, di alberi fruttiferi. Il villaggio del popolo dei Tar presentava uno schema strutturale tipico delle popolazioni

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barbare, in quanto al suo interno vi erano raggruppamenti di famiglie strette tra loro da legami di parentela, denominate sippe, l‟insieme di questi raggruppamenti davano vita al gan o pagus, vale a dire al villaggio vero e proprio. I Tar, tuttavia, differivano dalle popolazioni barbariche, solo per il fatto che non erano nomadi, non andavano spostandosi alla ricerca di terre fertili, in quanto la zona si confaceva alle proprie esigenze e una volta stanziati nel territorio, vi rimasero. Non conoscendo la proprietà privata, le terre intorno al villaggio erano divise fra le famiglie che le lavorano e ne godono dei frutti, senza però possederle privatamente. Essenzialmente, i Tar erano un popolo dedito all‟agricoltura, la pastorizia e l‟allevamento dei cavalli, ma il loro interesse primario era volto alla guerra (Foresi-Osefir) e nei periodi di quiete si dedicavano alla caccia (Metete-Osefir). I vecchi più forti, le donne e i bambini pascolavano le greggi e coltivavano la terra, mentre i guerrieri non avevano alcun altra incombenza se non quella di combattere, tuttavia cacciavano e si dedicavano

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allevamento dei cavalli, solo nei periodi in cui non erano impegnati in qualche battaglia. La terra coltivata dal popolo dei Tar si trovava al centro del territorio occupato, quindi era il cuore del villaggio, mentre il resto del territorio era circondato da difese naturali. Le zone boschive, confinanti con il villaggio, erano chiamate almende e servivano normalmente per la caccia, ma nei periodi più freddi, venivano utilizzate per il rifornimento di legnami. Le abitazioni, all‟interno delle quali veniva acceso un fuoco, alimentato costantemente, erano costruite con pelli di animali e al loro interno vi si rifugiavano le donne e i bambini, dopo una dura giornata di lavoro, mentre gli uomini si riunivano nella Tenda Madre, per deliberare con i capi, in presenza del loro re Azzor. Ma per i Tar il proprio mondo non cominciava e non finiva al villaggio, infatti, per il resto erano un popolo rozzo e feroce, le loro invasioni avevano un comune denominatore, risolversi in razzie e stragi. La guerra e la conquista di altri popoli, venivano stabilite attraverso le deliberazioni

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che si svolgevano in giorni fissi, venivano indette dal re e presiedevano a esse tutti i guerrieri. Inoltre, la superstizione voleva che le deliberazioni avvenissero sempre durante il plenilunio, in quanto i Tar lo ritenevano un momento di buon auspicio, poiché la luna illuminata dal Sole, sorrideva ai loro propositi. Viceversa, non veniva mai presa alcuna decisone, o avanzata alcuna proposta durante il novilunio, in quanto la luna non essendo illuminata dal Sole, non avrebbe favorito i loro propositi (Vanisci-Osefir: la superstizione). Durante le adunanze nella Tenda Madre, re Azzor occupava la parte centrale della sala con il suo trono, presiedendo la seduta, mentre i capi e i guerrieri erano adunati intorno al fuoco, posto al centro della grande tenda; ovviamente, i capi sedevano accanto ad Azzor e accanto a essi sedevano i comandanti e infine i guerrieri. Se le idee, avanzate durante la seduta, venivano accolte con favore, Azzor le sanciva con un “E sia”, allora si udiva il rumore delle lance che i guerrieri urtavano fra loro, poiché non vi era consenso più ambito di quello espresso con le armi. Ma se le idee proposte

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non incontravano il volere della maggioranza si udivano mormorii di disapprovazione. Intorno ai problemi di minore importanza, decidevano i capi anche se, tuttavia, l‟ultima parola spettava ad Azzor, mentre le deliberazioni su cui gravava un interesse collettivo richiedevano, sempre, la partecipazione di tutti. Così, stabilita qualche conquista, partivano alla volta del proprio obiettivo mancando per lunghi mesi, ed essendo un popolo, come già detto, superstizioso portavano con loro disegni di animali sacri e i simboli degli dei a loro favoriti, armandosi di dardi, clave, martelli, lance e spade. Indossavano corazze, che ricoprivano solamente le parti più vulnerabili del corpo, le quali si andavano a unire al pellame delle vesti che indossavano giornalmente, assunte non solo con fini ornamentali e funzionali, ma anche utilizzate per scaldarsi. Durante i quarant‟anni di comando, Azzor, uomo ormai vecchio, ma con il vigore di un giovane conquistatore, aveva sparso morte e distruzione, nelle terre vicine e fra i popoli lontani; il suo urlo di battaglia, seminatore di morte, lo si poteva ancora udire chiaramente.

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Prima di intraprendere il viaggio alla volte delle terre di conquista i guerrieri del popolo dei Tar, si spargevano sul volto e sul corpo degli unguenti, ottenuti dalla lavorazione di alcune erbe, che conferivano alla pelle un colore rossiccio imbrunito, simbolo della loro bramosia di conquista. Inoltre, i guerrieri Tar non erano per nulla saggi, ma bensì istintivi come gli animali e desiderosi di possedere tutto ciò che trovavano durante le razzie (Assiafonte-Osefir); durante le battaglie condotte lungo i fiumi, le acque cambiavano colore, diventando rosso sangue, mentre la terra s‟inaridiva sotto lo scalpitare dei cavalli, sussultando sconvolta da tanto orrore. Al loro passaggio i villaggi bruciavano e qualsiasi invocazione di pietà taceva sotto i duri colpi inflitti dalle spade; Azzor sapeva di essere il più forte, “L‟invincibile” e tale consapevolezza ne rafforzava il potere. Azzor, era stato scelto come re in base alla propria nobiltà, infatti, mentre i re venivano scelti per la posizione sociale che occupavano all‟interno del popolo, i capi venivano scelti in base al proprio valore. Tuttavia Azzor non aveva un‟autorità illimitata o arbitraria e i capi esercitavano il