Boschi & bossoli

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Boschi & bossoli, di Michael Gregorio

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Michael GregorioBoschi & Bossoli

© 2012, Edizioni Ambiente S.r.l., via Natale Battaglia 10, 20127 Milanowww.edizioniambiente.it; tel. 02 45487277

© 2012, Michael Gregorio

Immagine di copertina: © Jeffrey Isaac

Tutte le edizioni e ristampe di questo libro sono su carta riciclata 100%

Finito di stampare nel mese di aprile 2012 presso Genesi Gruppo Editoriale – Città di Castello (Pg)

Per saperne di più: www.verdenero.it; blog.verdenero.it

Questa è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti accaduti o persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

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Michael GreGorio

Boschi & Bossoli

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23 gennaio, ore 04:00, Porto Marghera

Freddo e umido. La nebbia stava venendo su pesante come un muro. Da dieci minuti era lì sulla punta del molo e non aveva visto nessuno. Si tolse la sigaretta dalla bocca e la fece cadere nell’acqua. Lo sfrigolio della fiamma durò un mezzo secon-do e fu l’unico rumore udibile nel silenzio. Quando si voltò per tornare verso la terraferma, vide la figu-ra ferma contro la cabina di cemento dove si tenevano le corde e gli argani. Poteva non essere lui. Perché non lo aveva raggiunto sul molo? O non lo aveva chiamato al cellulare? Si guardò intorno. Il molo con le navi attraccate era male illuminato dalle poche luci distanti l’una dall’altra. Sullo sfondo, le costruzioni che ospitavano uffici e magazzini. Sembravano luoghi abbandonati da anni: nessuna luce, nes-sun rumore, nessun movimento. Guardò di nuovo la fine del molo, fin dove il buio e la neb-bia glielo permettevano. Niente. La successiva banchina era altrettanto vuota e silenziosa. Si avviò verso la figura. Se era qualcun’altro che era arrivato fin lì eludendo, chissà come, la maglia di filtraggio, che doveva fare? Far finta che anche lui era lì per caso? Parlarci? Per dire che cosa?

Uno

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Non doveva esserci nessun estraneo in quel punto, a quell’ora. Quando il giorno prima era stato chiamato, certo non avrebbe immaginato che l’appuntamento sarebbe stato alle quattro del mattino al porto di Marghera. «È sicuro che possiamo parlare lì?» «Certo» aveva risposto. «Ti concedo dieci minuti, prima che tutto cominci. Ti bastano?»«Bastano. Sarò lì, signore. Che faccio se qualcuno non mi lascia passare?»«Ci saranno solo i miei uomini. Se qualcuno ti ferma, digli che ti ho dato io il permesso.» Se lo aveva deciso lui, allora quello doveva essere il posto giusto e il momento giusto. Adesso era abbastanza vicino da vedere che l’uomo non era alto, né robusto e che portava una tuta da lavoratore. Dove-va essere lui. Dette ancora un’occhiata intorno.Dov’erano gli altri? «Alfonso.»Respirò sollevato. «Temevo che non fosse lei...»«Difficile. Qui è tutto sotto il mio controllo questa mattina. Quando sei arrivato?»«Dieci minuti fa.»«Problemi?»«Nessuno. Conoscevo quelli al posto di blocco.» «Bene. Mi fa piacere rivederti. E adesso dimmi, perché vole-vi parlarmi?»Per Alfonso non era semplice cominciare quel racconto. Per-ché stava per fare un discorso da fantascienza e sapeva bene che all’uomo che aveva davanti non piacevano i racconti di fantascienza. «Ho un amico che esce con una mia cugina» cominciò.

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«Lavora nella polizia. Una sezione tecnica. Strumentazione da ascolto. È stato lui a dirmelo.»«Che cosa?» La voce era bassa e ferma. Un uomo in pieno controllo di sé. Come richiedeva quello che di lì a poco avrebbe dovuto fare.«Le stanno addosso, signore.»«Chi?»«Un paio di magistrati.» Alfonso guardò verso la laguna. Venezia era invisibile nella nebbia. Nemmeno una luce. «Stanno mettendo insieme un dossier.»«Un dossier? Su cosa?» «Sul suo operato, signore.»«Di che mi accusano?»Alfonso prese tempo. Come spiegarlo? «Che vogliono da me?» insistette lui.«Stanno controllando le modalità di Topazio e Morfeo. I suoi successi più grandi, signore.»«Modalità?»«Il fatto che siano state condotte con troppi uomini. Troppo rumore. Secondo loro i risultati non sono stati così risoluti-vi. I magistrati pensano che le operazioni erano di... solo di facciata. Per finire sui giornali e sulle televisioni. E per fare carriera.» Si schiarì la voce che stava finendo in un mormo-rio. Si sentiva a disagio. Come se quelle accuse gliele stesse facendo lui.«Da dove è partita questa indagine? Voglio il nome, Alfonso.»«Questo non lo so, signore. E non lo sa nemmeno il mio amico. Mi ha detto solo che era stato contattato per questo lavoro e che quando aveva saputo chi doveva controllare gli era venuto un colpo. Perché il nome da controllare era il suo, signore.»Stettero in silenzio per un po’. Alfonso sentiva il suo respi-

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ro raspare contro il collo alzato della giacca. Ma il respiro dell’altro era più forte. Come quando si apre la bocca perché l’aria non basta ai polmoni.«Incastrare lei sarebbe un vanto per tanti, questo dovrebbe saperlo. È il vecchio mostro dagli occhi verdi, come lo chia-mano. La gelosia.»«Lo sai che stai rischiando a dirmelo? Se i magistrati stanno veramente mettendo insieme un dossier potresti passare seri guai.» Alfonso ebbe voglia di accendere un’altra sigaretta. «Io resto sempre un suo uomo, signore. Come tutti quelli che hanno lavorato con lei» Alfonso sorrise. «I magistrati... avranno un teorema... quelli sono più fantasiosi dei romanzieri. Sicu-ramente gli si sgonfierà fra le mani. Non oseranno andare oltre. Se riesco ad avere altre notizie la cerco, signore. Non mi importa quello che rischio.»Stettero senza parlare per qualche minuto.«E io mi difenderò. Come so difendermi meglio: dando bat-taglia. Fino ad ora non ne ho persa una, Alfonso. E tu lo sai che i nemici erano tutti pericolosi.»«Anche quelli che sta per affrontare questa notte?»Aspettò un attimo a rispondere, poi ridacchiò. «Meno dei magistrati, Alfonso. Molto meno di loro.» Alfonso sentì una mano che si appoggiava sulla sua spalla e la stringeva. «Sono sempre stato orgoglioso dei miei uomini.» La mano lasciò la presa. «Raggiungiamo gli altri ora?»Alfonso guardò intorno. «Non vedo...»«Aspetta.» Controllò l’orologio. Poi Alfonso lo vide infilare la mano in tasca e tirare fuori una cosa scura. «La nave è quella attraccata alla fine del molo. L’hai appena superata.»«La Furor?»

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«Arrivata oggi pomeriggio tardi. Dentro dormono tutti e dormiranno fino a...» si portò alla bocca la cosa scura che aveva in mano. Con tono fermo disse lì dentro: «Adesso, ragazzi. Muovetevi!».Fu come l’ordine di partenza per una gara di corsa. Da tutte le parti più buie degli edifici sbucarono uomini con tute mimetiche ed armi. Sembravano un esercito di gatti neri e rapidissimi che correvano in gruppo sapendo ognuno esattamente dove andare e cosa fare. Alfonso li guardò a distanza. Erano decine. Decine e decine. E mentre correvano, tenevano i mitra in mano come se fossero pacchi dono da consegnare. Raggiunsero la nave e poi come scimmie in una foresta, Alfonso li vide arrampicarsi sulle corde.Da dentro cominciarono a urlare. Poi partirono le scariche e i bagliori di un paio di mitra che illuminarono il banco di nebbia ancora basso. Per un attimo Alfonso ebbe il desiderio di essere in mezzo a loro, come era stato fino a due anni prima. E ancora di più desiderò di far parte dell’operazione Mare-moto, quando poco dopo cominciarono a far scendere l’equipaggio della nave per poi schierarli sulla banchina con le manette dietro la schiena, mentre gli uomini del comando depositavano sulla banchina la merce che la nave conteneva. Kalashnikov neri e lucidi. E pacchetti da trenta centimetri per quaranta di cocaina proveniente dalla Turchia.Alfonso guardò gli uomini che, senza togliersi il passamon-tagna, alzavano il mitra e gridavano tre, quattro, cinque: «Hurrà!». Sottovoce anche lui si unì al coro: «Hurrà, Generale Cor-sini».

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In mezzo agli uomini, Corsini era l’unico senza passamon-tagna.Alfonso si disse che la tuta da lavoratore del porto che il Generale aveva indosso non lo rendeva meno carismatico. Le troupe della stampa e della televisione arrivarono in anti-cipo. Sul molo c’era una collina di Kalashnikov e di pac-chetti di cocaina. La nave conteneva ancora molta merce. Dell’uno e dell’altro tipo. Fu sul molo che il Generale Corsini tenne la conferenza stampa, parlando ad una foresta di microfoni che le mani dei giornalisti tenevano a pochi centimetri dalla sua bocca.Dietro di lui, il muro di nebbia sembrava lo sfondo lumine-scente di un palcoscenico. Alfonso si disse che al Generale doveva piacere quella scena. Chi avrebbe mai potuto raccogliere accuse contro la “Leg-genda”, come lo definivano i suoi uomini.

*

Erano le 7:30 quando il Generale Corsini montò sulla sua Alfa distante un chilometro dal porto per tornare a casa. L’aveva parcheggiata alle 3:25. L’operazione Maremoto sarebbe cominciata alle 4:30. La stampa era stata convocata per le 7:00 quando tutto fosse finito e la merce ben dispie-gata sul molo. Tutto perfetto, cronometrato. Aveva lasciato la macchina così lontano perché voleva cam-minare un po’. Per scaricarsi. Come sempre dopo un’ope-razione. Sapeva che si sarebbe sentito pieno di adrenalina. E adesso c’era anche il racconto di Alfonso a farlo sentire carico. Volevano tirarlo giù dal piedistallo. Colpirlo.

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Raggiunse la macchina e ci si infilò dentro. Sentiva freddo come non lo aveva sentito per tutta quella notte, nonostante l’aria umida del porto. Lo stupiva sempre come l’eccita zione dell’azione non facesse percepire i limiti fisici. Azionò il riscaldamento. Aprì il cassetto del cruscotto e tirò fuori il libro. Teneva la copia insieme alla pistola. Cominciò a sfogliarlo a caso anche se sapeva bene dov’erano le frasi che cercava. Conosceva a memoria quel libro, poteva recitarne interi passi. Tuttavia, ogni volta, gli piaceva la sensazione fisica di tenerlo tra le mani e perdersi tra le pagine. L’Arte della guerra del Generale Sun Tzu. Il suo vangelo. A volte pensava di sentire Sun Tzu piegato su di lui mentre leggeva. Come se fosse il generale cinese stesso a mormorar-gli nell’orecchio quei suggerimenti attraverso i secoli. E Sun Tzu, quella notte, gli consigliava che la guerra sareb-be stata la sua miglior difesa. Ma doveva trovare il terreno adatto su cui combatterla e scegliere il nemico da affrontare.Aprì la pagina: “Un’operazione ha il sopravvento quando è come una pietra scagliata contro un uovo. Si tratta del vuoto e del pieno...”.Lui avrebbe avuto la forza di una pietra. Doveva trovare l’uovo contro cui scagliarla.

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5 febbraio, ore 10:30, centro Italia

Erano solo loro quattro lassù.E a chi sarebbe venuto in mente di guidare fino la cima di una montagna in un giorno così freddo?Luigi Corbucci guardò Raniero ed Ettore. Si erano allontanati verso la chiesetta per lasciarlo parlare da solo con Cosimo Landini e adesso aspettavano in piedi fra due leoni di pietra corrosa che delimitavano gli scalini davanti al portale. Intabardati nelle loro giacche a vento, se ne stavano lì rigidi, imbottiti e con gli occhiali scuri. Sem-bravano astronauti sbarcati sulla luna.Era da pochi mesi che Ettore lavorava per lui ed era un cagnolino fedele. Raniero Baretta, invece, era più uomo di don Michele. Ma le regole le conosceva. Sapeva sempre chi comandava nelle diverse situazioni. Al sud era don Michele, ora era Luigi Corbucci. Era così che doveva essere. «Quei leoni stanno al freddo da secoli e voi per dieci minuti ci morite!» scherzò Zì Luigi. Ettore e Raniero risero. Cosimo Landini invece rimase impassibile. Landini era stato subito antipatico a tutti e tre: capelli bian-chi pettinati in modo da coprire la calvizie, cappotto di

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lana di cammello chiaro, sciarpa di cachemire con la marca sistemata sul davanti in vista, come fosse una targa. Tutto quello che indossava diceva chiaramente: “Sono un uomo di potere”. Si erano dati appuntamento nel parcheggio della stazione. «Fino a che le cose non si chiariscono è meglio essere pru-denti» aveva detto. Prudenza sembrava la sua parola chiave. «Vi porto io in un posto dove possiamo stare tranquilli» aveva proseguito montando in auto. «Così vedrete dall’alto dove realizzeremo i progetti.» Erano tornati indietro sulla strada ed erano saliti per un bel po’ sul fianco della montagna. Raniero guidava, Ettore al suo fianco. Zì Luigi e Landini dietro. Landini aveva indicato dove fermarsi ed erano scesi tutti. Sulla destra, dietro la chiesetta con i leoni, cominciava un bosco fitto. Sulla sinistra una specie di terrazza naturale si apriva sulla vallata. Nessuna anima viva.Landini aveva portato Luigi verso il punto più sporgente. «Che gliene pare?» gli aveva detto indicando il panorama con un gesto della testa e strofinando le mani con compia-cimento. Sembrava gli stesse mostrando una tavola imban-dita. Zì Luigi guardò. Distesa di verde, chiese, case in pietra, colline con un po’ di neve. Bella cartolina, ma non era di quello che dovevano parlare. «Zona vergine. Poche infrastrutture e molto da sviluppare. Con le persone giuste il potenziale qui è enorme» disse Zì Luigi.«Io intendevo il panorama, signor Corbucci.»Zì Luigi non replicò. Landini sapeva che non erano lì per

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guardare il panorama. Questo glielo rese ancora più odioso. Faceva il superiore. Quello che apprezzava la bellezza natu-rale mentre lui parlava di affari. «Eh, le persone giuste» Landini aveva annuito. «Persone che sanno muoversi.»Zì Luigi sorrise. «Infatti io sono qui con lei.» «Da queste parti si sollevano vespai come ci si muove. Da voi è diverso...»«Sapete voi dove dirigere le ruote. Noi ci mettiamo... come dire? L’olio. Di olio da queste parti ve ne intendete, no? Quello che portiamo noi è liquido e abbondante. Non lasciamolo irrancidire, però.» «La prudenza è necessaria. Qui non siamo...»«...giù da noi» Zì Luigi concluse. Poi sospirò senza farsi sentire. Non era mai riuscito a trattare a lungo con i tipi come Landini. «Possiamo quantificare questa sua... prudenza?» chiese. Landini si sistemò i capelli. Il vento stava disfacendo il nido di uccello che si era combinato sulla testa calva. Doveva essere stata la vanità a impedirgli di mettersi un cappello contro il freddo. Per paura di rovinare quella costruzione. Adesso però il vento stava facendo scempio dei suoi sforzi.«Mandate i vostri depositi in tranches. Fra sei mesi la prima cifra. Poi a scadenze fate arrivare anche il resto.» Zì Luigi si voltò a guardarlo incredulo. «Voi state scherzan-do!» sbottò.«No, state scherzando voi. Le cifre di cui mi avete parlato non passano inosservate da queste parti.»«Pensavo che i nostri soldi rappresentassero una opportunità per la sua banca.»«Linfa. Ma non voglio attirare l’attenzione dei controllori.»«Abbiamo bisogno di accelerare i tempi noi. Il vostro vice Franzetti diceva che sarebbe stato facile...»

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Landini scacciò via con la mano quello che Zì Luigi aveva cominciato a dire.«Lasci perdere Franzetti. Un bravo giovane ma, appunto, gio-vane. Imprudente. E le ricordo che non è lui quello che deci-de. Sono io.» Landini si sistemò la sciarpa sul collo attento a che la marca fosse sempre dalla parte giusta. «Ho bisogno di più tempo. Intanto godetevi il panorama. Da quella parte c’è il convento dei frati e la loro chiesa. Guardate che meraviglia! Uno dei complessi più grandi e belli d’Italia.» Zì Luigi li conosceva i tipi come Landini. Le vergini preziose le chiamava. Quelle che pensavano di averla solo loro e per dartela ti facevano aspettare, per poter alzare il prezzo. Le zoccole peggiori.«Magnifico» disse Zì Luigi a denti stretti e la mente da un’altra parte. Conosceva bene quello che gli stava mostrando. Quella “meraviglia” che adesso commuoveva Landini lui l’aveva guardata molto tempo prima e per quasi quattro anni, da un inferno caldo d’estate e gelido in inverno: il carcere di mas-sima sicurezza che sorgeva nella vallata. Da dietro le sbar-re della sua cella aveva visto un pezzo di facciata di quella chiesa, la cima del campanile e parte del muro del convento. Lontane ed incombenti dall’alto della collina, gli erano sem-pre apparse costruzioni cupe e minacciose. Il rosone sulla punta più alta della facciata era stato come l’occhio di Dio puntato su di lui. Zì Luigi non riusciva a guardarli nemmeno adesso. «Il carcere è da quella parte della vallata, vero?» chiese, senza cercarlo veramente, sapendo benissimo dov’era.Il dottor Landini puntò il dito giù verso la nebbia che copri-va come un mare spumoso buona parte della valle. «In una giornata limpida si vedrebbe bene l’edificio. Tre o quattro

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chilometri dopo quell’incrocio di strade. Segua la direzione di quel gruppo di corvi.»Non c’era indicazione migliore per segnalare un luogo come quello. Cemento grigio, finestre strette, cancelli e ferro. Era una costruzione orrenda e si era chiesto diverse volte se davano il compito di progettare quei luoghi ad architetti che avevano dato prova di nutrire un bel grado di odio verso il prossimo. Provò un certo piacere a pensare che se le cose andavano nel verso giusto, sarebbero state molte le costruzioni di cemento che lui avrebbe aiutato a far nascere da quelle parti. E dentro non ci sarebbero stati quelli con il 41-bis, ma persone che avrebbero pagato fior di quattrini per abitarvi. Una vendetta di tipo diverso. Ma comunque di soddisfazio-ne, come tutte le vendette.La vita era strana, pensò Zì Luigi. Non avrebbe mai imma-ginato di tornare in quei posti. Eppure don Michele aveva visto una opportunità d’oro in quella zona e aveva dato a lui l’incarico di coglierla. Esattamente come in una guerra. Era una questione di rapidità, di capacità di muoversi sce-gliendo le armi più appropriate. Lui e don Michele avevano avuto fin da giovani coraggio e voglia di dare battaglia. E adesso Landini voleva imporgli la pazienza. «Di quanti progetti stiamo parlando, dottor Landini?» Landini aprì le braccia. «Che le dico? Si parla già di ingran-dire la strada che congiunge le due vallate, per esempio. È di due corsie dalla fine della guerra. Si parla di farne quattro.» Tracciò segni nell’aria come un nuotatore. «Poi ci sarebbero diverse sopraelevate. Una lì, proprio davanti a quell’incro-cio, lo vede? E poi c’è il grande campo da golf e le villette a schiera. Con piscina naturalmente...» Raccolse i capelli ribelli e li torse intorno alla mano per rimetterli a posto. «Le

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autorità politiche lo hanno messo già in progettazione. Si è parlato di nuovi centri commerciali e di edilizia privata. Sta per diventare un Eldorado, signor Luigi.» «E per tutto questo servono soldi. L’olio, appunto.» Per un po’ Zì Luigi guardò giù nella pianura in silenzio. Anche Landini era diventato improvvisamente silenzioso. Indicare tutte quelle possibili costruzioni sembrava averlo fatto ammutolire. Magari si era spaventato, pensò Zì Luigi. Più di quanto lo avessero eccitato le somme che lui gli aveva prospettato nei loro precedenti incontri e che sarebbero passate per la sua banca. «Niente sarà più riconoscibile qui» mormorò Landini guar-dando nel vuoto. A Zì Luigi scappò da ridere. Hitler aveva detto la stessa cosa di Berlino prima di raderla al suolo. Lo aveva letto in uno dei libri che aveva studiato in carcere quando si era laureato in storia e filosofia. Era stata l’argomento che aveva deter-minato la positività della relazione degli assistenti sociali e degli psicologi su di lui. “Il concetto del male nella storia del XX secolo” era il titolo della tesi. Avevano dichiarato lui una “personalità pienamente recuperata”. Hitler gli aveva dato una grossa mano per uscire dal carcere. «Fa freddo, dottor Landini. Torniamo in macchina?» Landini annuì accostando la sciarpa al viso e al collo. Raniero e Ettore si erano spostati verso la Mercedes. Raniero puntò la chiave e fece scattare l’apertura degli sportelli. Il rumore fu forte come una schioppettata. Anche Landini stava marciando in quella direzione, ma Zì Luigi lo prese per un braccio e lo fermò. «Io ho molta pazienza, ma cerchiamo di dare inizio a tutto, dottor Landi-ni. Lei deve capire che l’unico socio per voi sono io.»

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Landini lo guardò come se non avesse capito. Poi annuì sor-ridendo. «E lei deve adattarsi ai nostri metodi.» I capelli adesso svolazzavano intorno alla faccia lasciando nuda tutta la testa. «Le sto dando buoni consigli su come agire per il meglio.» «E io la ringrazio» Zì Luigi guardò Raniero da sopra la spal-la di Landini. «Glielo diamo adesso quel regalo al dottore, Raniè.» Landini guardò Zì Luigi con espressione confusa. «Ma non c’è bisogno. Conosco già la vostra generosità...» «Posso essere ancora più generoso» Luigi guidò Landini verso il portabagagli della macchina. «È qui dentro.» Landini si avvicinò al retro della macchina e si piegò sorri-dendo per guardare sul fondo. Ettore teneva il portabagagli aperto. Landini alzò la testa. «Che devo vedere?» chiese con un sorriso.Continuò a sorridere anche quando Ettore gli puntò la pistola alla fronte e premette il grilletto. Il sorriso sparì quando l’arma si inceppò.«Ma che fate?» chiese con la voce rotta. La voce di Raniero abbaiò: «Che cazzo succede, Ettore?». Ettore premette il grilletto un’altra volta. Non partì nessun colpo. Zì Luigi imprecò.Fu Raniero a tirare fuori il cric dal portabagagli. Lo sollevò sopra la sua testa con tutte e due le mani e lo calò su Landi-ni, aprendo la parte destra del suo cranio fino all’orecchio.Landini emise un piccolo grido di stupore, poi cadde in ginocchio. Uno zampillo di sangue si alzò dalla ferita e ricadde sul suo cappotto di lana di cammello. Landini oscillò un paio di volte rantolando. Raniero gli mise il piede contro il petto e lo spinse dolce-mente indietro, come se volesse aiutarlo a coricarsi.

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Zì Luigi fece un salto indietro. «Sulle scarpe me lo fai cadere?»Raniero lasciò cadere il cric a terra. «Don Michele si incaz-zerà per questo?»«Don Michele sarà contento. È lui che non vuole perdere tempo. Le altre cosche ci stanno con il fiato sul collo. Que-sto se l’è tirato addosso da solo il cric. Sulla corda ci voleva tenere dopo tutto quello che ha preso!»Ettore era appoggiato al portabagagli, la pistola ancora in mano, l’espressione confusa. «Mi dispiace, Zì Luì. La pisto-la...»«Provala prima la prossima volta» Zì Luigi guardò Landini. «Lascialo sanguinare ancora un po’, Raniè» consigliò. «Poi lo porti da Corrado. Diamogli ’sto lavoro da fare. Così è contento.»Aspettarono che il sangue sparisse succhiato dal terreno, lasciando solo una gora più scura. Poi Raniero sistemò un telo impermeabile sul fondo del portabagagli. «Qui non passerà niente» disse. Tirò fuori il pacchetto delle sigarette e ne offrì una ad Ettore. «Tirati su, va!» Fumarono tutti e due mentre Zì Luigi si allontanò per guar-dare il panorama. Dopo un po’ Raniero lo seguì. «È bello qui, eh, Zì Luì. Un peccato scaricarci cemento.»«Ma quale peccato?» gli batté la mano sulla spalla. «Noi il cemento lo facciamo diventare oro. Che dici, Landini sarà pronto?» Tornarono indietro e guardarono il cadavere per qualche attimo.«È pronto, è pronto» confermò Zì Luigi. Raniero riprese il cric da terra, lo pulì sul bavero del cappot-to di cammello e lo buttò dentro il portabagagli.

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«Di’ a Corrado di non combinare guai questa volta» disse Zì Luigi. «Veda di farlo sparire bene ’sto cadavere. Non lasciamolo in giro come l’altro.» «Corrado lo sa, Zì Luì. Deve farsi perdonare.»«La galera gli ha dato al cervello a quello. Prima portiamo su i nostri uomini, Raniè, meglio è. Mica possiamo legarci i coglioni! Quando uno si mette di traverso come questo qui...» batté la mano sulla spalla di Raniero. «Fate le cose perbene.»Raniero annuì. «Con prudenza. Come voleva la buonanima del dottor Landini.» La battuta li fece ridere tutti. «Ettore, piglialo per le gambe, dài!» ordinò Raniero.Cinque minuti dopo guidavano di nuovo giù per i tornanti. Lasciarono Zì Luigi alla sua macchina. «Quando avete finito vi offro una bella cena» disse. «Poi ce ne torniamo tutti a casa.»

*

Luigi guidò lentamente lungo la strada costeggiata dagli olivi. Ecco come si doveva penetrare in quel terreno: dolcemente. Come l’olio dentro il pane.

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5 febbraio, ore 11:00, Roma

«Che manifestazione è?» Il Generale Corsini era entrato nella stanza e l’addetto alla strumentazione video non se ne era nemmeno accorto. Provò a scattare in piedi, ma la mano di Corsini sulla sua spalla lo fermò.«Continua» ordinò.«Torino, signore. Manifestazione dei no tav. Il video è stato requisito durante una perquisizione in un centro sociale di Milano. Si sono autofilmati a quanto pare. E lo hanno fatto circolare anche in altri centri sociali.»«Il solito circuito dei “divetti” della protesta» Corsini si spo-stò da dietro il tecnico e si avvicinò al monitor. «Qualcosa di nuovo?»«Direi di sì, Generale, per questo le ho chiesto di dare un’oc-chiata. È saltato fuori un nuovo gruppetto che non conosce-vamo. Ora le mostro. Guardi quello che succede intorno a quel furgone chiaro.» Il tecnico indicò con il dito un piccolo Opel Combo cele-stino. «Il rapporto dice che sono riusciti a portarlo dentro il cordone di protezione un paio di giorni prima della manifestazione. Lo avranno lasciato in qualche garage o fondo, o chissà in che altro buco. Guardi che c’era dentro il furgone, Generale.»

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La scena successiva mostrava lo stesso furgone con le porte posteriori aperte. Dall’interno qualcuno stava passando maschere antigas e bastoni di legno agli altri.«Il furgoncino appartiene ad un gruppo che conosciamo già da tempo. Provengono da Faenza. Ma poi è spuntato fuori un fantasmino che non abbiamo mai notato prima. Questo ragazzo qui, Generale Corsini.»Lo schermo mostrava sei o sette persone che si muovevano rapidamente. Indossavano il solito abbigliamento: cappuc-cio, jeans scuri, fazzoletti a coprire naso e bocca. Il ragazzo che il dito del tecnico gli indicava era l’unico senza cappuc-cio e con solo un fazzoletto a scacchi. Corsini notò una testa ben rotonda e occhiali. Si avvicinò allo schermo.«Guardi la stranezza del comportamento, Generale.»Il ragazzo si era messo di fianco alla porta aperta del furgone e sembrava parlare in modo concitato a quelli che stavano tirando fuori le maschere antigas e i bastoni di legno. Poi, il ragazzo ha afferrato il braccio di uno incappucciato e lo ha costretto a voltarsi. Le due figure si sono fronteggiate. I gesti erano frenetici.«Che sta facendo secondo te?» chiese Corsini.«Sembrerebbe che li voglia fermare» disse il tecnico.«Uhm... tu dici che non sta per prendere anche lui una maschera o un bastone?» «Potrebbe sembrare. Ma un altro paio di sequenze non sembrano confermare questa ipotesi, Generale. Queste, per esempio.»Il tecnico fece scorrere dei fotogrammi più velocemente. Poi li fece andare di nuovo a velocità normale. «Sta lì davanti a tutti gli altri come un vigile che dirige il traffico. Li sta fermando. E quelli si arrabbiano con lui. Lui non ha niente in mano.»

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«Potrebbe essere lui che smistava le cose.»Il tecnico ridacchiò. «O potrebbe essere colui che dice agli altri di non fare ciò che stanno facendo. C’è un altro pezzet-to di filmato.» Fece scorrere ancora le immagini.«Ferma qui» disse il Generale Corsini. Poi si tolse gli occhia-li e avvicinò la faccia a pochi centimetri dallo schermo.Lo stesso ragazzo era piegato su una fontana. Esitò solo un attimo, poi prima di bere, si tolse il fazzoletto che copriva la bocca. La telecamera lo riprese a volto scoperto. Portava un paio di occhiali dalla montatura rotonda di metallo sottile. Capelli tagliati cortissimi.«Vede? O è San Francesco che prova a fermare i lupi...» «O è un lupo lui stesso che fa finta di essere un agnello, per-ché sapeva di essere ripreso, uno scaltro, un nuovo leader.»«Questo è possibile.»«Dicevi che è interessante... Sappiamo chi è? Da dove viene?»«Sì certo, signore. È interessante perché compare anche in un paio di filmati di altre manifestazioni. E non è da solo. Vicino a lui ci sono altri tre ragazzi. Vengono tutti dalla stessa zona. Più che cani sciolti, sembra un collettivo, direi, Generale.»Corsini gli batté una mano sulla spalla. «Hai fatto un buon lavoro. Portami notizie su di loro appena le hai. Chi sono e dove bazzicano.»Mezz’ora dopo il Generale Corsini guardava la foto dello stesso ragazzo. Questa volta nitida e presa frontalmente. Gli occhialini lasciavano vedere occhi chiari, interrogativi e con una punta di ironia. La foto lo aveva colto con la bocca leggermente aperta e la testa spostata da un lato. Sembrava che stesse guardando dritto l’obbiettivo con stupore.» Corsini lesse le notizie. Scarse.

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Lorenzo Micheli, nato e vissuto nella stessa cittadina del centro Italia. Studente di filosofia in pari con gli esami. Papà sindacalista della fiom, mamma infermiera in un cen-tro di ricovero per anziani. Sulla scheda c’erano riportate uno spezzatino di notizie su di lui e sulla sua vita talmen-te scollegate da sembrare le foglie dove la Pizia scriveva i responsi. Un paio di cose però erano interessanti, pensò Corsini. Aveva partecipato a tutte le manifestazioni contro gli scempi del paesaggio nella sua zona. E qualche protesta contro costruzioni di cemento nel centro storico della sua città l’aveva organizzata lui. Dal suo paese avevano saputo che frequentava concerti di musica classica quando erano gratis e congressi sulla filosofia greca anche quando si dove-va pagare l’iscrizione. Quelli su Socrate se li era andati a sentire fino a Torino.C’era una seconda foto. Anche questa doveva essere stata scattata ad una manifestazione. Il solito fazzoletto a scacchi era alzato fino a coprire il naso. In quella aveva un aspetto più minaccioso.Corsini posò le foto di Lorenzo Micheli e passò alle altre sui tre amici che lo accompagnavano. «Riccardo Bucci, Davide Castrianni e Federico Donati» mormorò. «Ma che bella comitiva.»

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francesco aloe

il vento porta farfalle o neve

10 aprile 1991. Il Moby Prince entra in collisione con una petroliera

ancorata a tre miglia dal porto di Livorno e prende fuoco.

A bordo del traghetto muoiono carbonizzate 140 persone.

Solo una riuscirà a salvarsi. Dove erano i soccorsi? E cos’è accaduto

quella notte? Un tragico incidente provocato dalla nebbia

o il criminale tentativo di coprire un fiorente traffico di armi e rifiuti

tossici in partenza da quel porto? Un viaggio doloroso, alla scoperta

di una delle pagine più vergognose della recente storia del Belpaese.

(pag. 304, 14,50 euro)

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francesca vesco

cedimenti

Mescolando noir e fantascienza, il libro racconta la battaglia

di Martina contro la speculazione edilizia, in un intreccio

di malaffari, di cosche, di palazzinari e di particolarissime armi.

«Il romanzo che avete appena finito di leggere è opera di pura

fantasia? Non ho conoscenze scientifiche sufficienti... certamente,

a parte le sue indubbie qualità narrative, è un libro che lascia

intravedere prospettive inquietanti sul nostro futuro.»

Umberto Eco

(pag. 272, 15,00 euro)

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noir di ecomafiaverdenero

1. Sandrone Dazieri, bestie2. Giacomo Cacciatore, Valentina Gebbia, Gery Palazzotto, fotofinish

3. Eraldo Baldini, melma4. Piero Colaprico, l’uomo cannone

5. Simona Vinci, rovina6. Giancarlo De Cataldo, fuoco!

7. Wu Ming, previsioni del tempo8. Licia Troisi, i dannati di malva

9. Loriano Macchiavelli, sequenze di memoria10. L. Gori, M. Vichi, bloody mary

11. Tullio Avoledo, l’ultimo giorno felice12. Girolamo De Michele, con la faccia di cera

13. Carlo Lucarelli, navi a perdere14. Francesco Abate, Massimo Carlotto, l’albero dei microchip

15. Valerio Varesi, il paese di saimir16. Gian Luca Favetto, le stanze di mogador

17. Patrick Fogli, vite spericolate18. Alfredo Colitto, il candidato19. Giancarlo Narciso, solo fango

20. Paolo Roversi, pescemangiacane21. Deborah Gambetta è tutto a posto22. Elisabetta Bucciarelli corpi di scarto

23. Francesco Aloe il vento porta farfalle o neve24. Francesca Vesco cedimenti

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Sabina Morandi, il pozzo dei desideriAlice Audouin, emilie, ecologista in carriera

Piersandro Pallavicini, a braccia aperteFrancesco Falconi, gothica. l’angelo della morte

Kai Zen, delta bluesNicoletta Vallorani, lapponi e criceti

Serge Quadruppani, la rivoluzione delle apiAlessandra Montrucchio e poi la sete

Martino Ferro c’era una svolta

romanziverdenero

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Carlo Vulpio, la città delle nuvole Roberto Scardova, carte false

A. Miotto, M. Scanni, L. Brogioni, l’italia chiamòStefania Divertito, amianto

PeaceReporter, guerra alla terraMaurizio Torrealta, Emilio Del Giudice,

il segreto delle tre pallottole Luca Scarlini, ladri di immaginiDaniele Biacchessi, teatro civilePeppe Ruggiero, l’ultima cena

Petra Reski sulla strada per corleoneStefania Divertito toghe verdi

Carlo Porcedda, Maddalena Brunetti lo sa il vento

Giulio Cavalli nomi, cognomi e infamiMotel Connection h.e.r.o.i.n.

Carl Safina un mare in fiammeMartín Caparrós non è un cambio di stagione

inchiesteverdenero

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