IL PROGETTO PEDAGOGICO DELLA SCUOLA DELL’INFANZIA · attraverso questo rapporto, on gli adulti,...

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IL PROGETTO PEDAGOGICO DELLA SCUOLA DELL’INFANZIA Il progetto pedagogico della scuola dell’infanzia “Così per gioco” è un documento programmatico che rende espliciti i riferimento teorici e le linee di operatività che hanno come obiettivo il benessere e lo sviluppo intellettuale e sociale dei bambini e delle bambine che la frequentano. Il progetto pedagogico vuole rappresentare anche un impegno intenzionale di promozione diffusione e confronto sugli obiettivi e le finalità educative e qualitative del nostro servizio, che predispone per i bambini “un ambiente di relazione e cura e un ambiente di vita e di apprendimento” In continuità con la progettualità pedagogica del Servizio nido d’infanzia “Così per gioco”, il nostro obiettivo principale è quello di concorrere, attraverso le linee operative delle insegnanti, con la famiglia, alla costruzione della identità del bambini. All’interno del concetto d’identità coesistono la costruzione dell’emotività (il mondo delle emozioni) e la costruzione della cognitività (il mondo della conoscenza intellettiva) : tutto ciò significa che il presupposto da cui si parte è quello che all’immagine del bambino bisognoso di cure e di attenzione, si è sostituita quella di un bambino attivo,interattivo e competente, naturalmente predisposto al rapporto con gli altri e che, attraverso questo rapporto, con gli adulti, i coetanei e l’ambiente nel suo complesso, sviluppa le sue competenze e attraverso lo scambio ed il confronto continuo con se stesso e fra se stesso e gli altri, costruisce la propria identità. In questo senso si può sostenere che il contesto teorico che fa da riferimento alla progettualità pedagogica è in continuità educativa con il nido in particolare: Teoria interattivo/costruttivista : il bambino elabora le sue competenze nella relazione con l’altro , quindi il suo processo di crescita non è un progetto “soggettivo” ma “intersoggettivo” in quanto nasce in “relazione”a : ambiente, genitori, coetanei,insegnanti ecc.. Teoria dell’attaccamento : il legame di attaccamento alle figure famigliari di accudimento costituisce il sistema motivazionale nei primi anni di vita, che spinge il bambino a mantenere la vicinanza fisica a queste per ottenere la protezione . Tuttavia l’interiorizzazione di questi legami di attaccamento consente al bambino di sentirsi sicuro anche quando queste figure famigliari non sono presenti, perchè si verifica una fiduciosa attesa del loro ritorno. Nel corso del ciclo vitale il bisogno di sicurezza, pur rimanendo centrale nell’esperienza personale, si declina in modo più articolato, per cui se nei primi anni è necessaria una presenza fisica delle figure genitoriali, successivamente le fonti di sicurezza si ampliano ai legami sentimentali con un partner, ai rapporti di amicizia ed alle stesse affermazioni ed acquisizioni personali (M.Ammaniti, “Presentazione dell’edizione italiana” in S.Parkes , M.Hinde, L’attaccamento nel ciclo della vita, Il pensiero scientifico, Roma 1955).

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IL PROGETTO PEDAGOGICO DELLA SCUOLA DELL’INFANZIA

Il progetto pedagogico della scuola dell’infanzia “Così per gioco” è un documento programmatico che rende espliciti i riferimento teorici e le linee di operatività che hanno come obiettivo il benessere e lo sviluppo intellettuale e sociale dei bambini e delle bambine che la frequentano. Il progetto pedagogico vuole rappresentare anche un impegno intenzionale di promozione diffusione e confronto sugli obiettivi e le finalità educative e qualitative del nostro servizio, che predispone per i bambini “un ambiente di relazione e cura e un ambiente di vita e di apprendimento” In continuità con la progettualità pedagogica del Servizio nido d’infanzia “Così per gioco”, il nostro obiettivo principale è quello di concorrere, attraverso le linee operative delle insegnanti, con la famiglia, alla costruzione della identità del bambini. All’interno del concetto d’identità coesistono la costruzione dell’emotività (il mondo delle emozioni) e la costruzione della cognitività (il mondo della conoscenza intellettiva) : tutto ciò significa che il presupposto da cui si parte è quello che all’immagine del bambino bisognoso di cure e di attenzione, si è sostituita quella di un bambino attivo,interattivo e competente, naturalmente predisposto al rapporto con gli altri e che, attraverso questo rapporto, con gli adulti, i coetanei e l’ambiente nel suo complesso, sviluppa le sue competenze e attraverso lo scambio ed il confronto continuo con se stesso e fra se stesso e gli altri, costruisce la propria identità. In questo senso si può sostenere che il contesto teorico che fa da riferimento alla progettualità pedagogica è in continuità educativa con il nido in particolare:

Teoria interattivo/costruttivista : il bambino elabora le sue competenze nella relazione con l’altro , quindi il suo processo di crescita non è un progetto “soggettivo” ma “intersoggettivo” in quanto nasce in “relazione”a : ambiente, genitori, coetanei,insegnanti ecc..

Teoria dell’attaccamento : il legame di attaccamento alle figure famigliari di accudimento costituisce il sistema motivazionale nei primi anni di vita, che spinge il bambino a mantenere la vicinanza fisica a queste per ottenere la protezione . Tuttavia l’interiorizzazione di questi legami di attaccamento consente al bambino di sentirsi sicuro anche quando queste figure famigliari non sono presenti, perchè si verifica una fiduciosa attesa del loro ritorno. Nel corso del ciclo vitale il bisogno di sicurezza, pur rimanendo centrale nell’esperienza personale, si declina in modo più articolato, per cui se nei primi anni è necessaria una presenza fisica delle figure genitoriali, successivamente le fonti di sicurezza si ampliano ai legami sentimentali con un partner, ai rapporti di amicizia ed alle stesse affermazioni ed acquisizioni personali (M.Ammaniti, “Presentazione dell’edizione italiana” in S.Parkes , M.Hinde, L’attaccamento nel ciclo della vita, Il pensiero scientifico, Roma 1955).

Ciò significa che il bambino è predisposto ad elaborare, oltre all’attaccamento nei confronti della madre,altre relazioni significative: da qui discendono le relazioni tra insegnanti e bambini e, per sostenere questo buon rapporto, le relazioni fra bambini in piccolo gruppo e la triangolazione relazionale bambino/genitori/insegnanti.

Approccio Sistemico: l’intervento educativo deve tenere conto e rivolgersi ai diversi contesti di appartenenza e di esperienza dei bambini e quindi alle loro relazioni, rilevandone gli elementi di reciproca influenza ed interdipendenza relativamente agli stili educativi che vengono agiti nei diversi contesti.

Nel nostro progetto pedagogico vogliamo sottolineare il superamento di vecchie dicotomie che interpretavano il nido come ambiente dell’affettività per eccellenza e la scuola dell’infanzia l’ambiente dove si educava il bambino alla conoscenza. È soprattutto negli ultimi anni che con molta più chiarezza, la pedagogia fa vedere il ruolo delle relazioni e delle emozioni nei processi di apprendimento. Lo sviluppo cognitivo si fonda su presupposti relazionali, come abbiamo già detto, citando l’approccio interattivo costruttivista. Per questo motivo vogliamo con forza ricordare la necessità di persistere nella riflessione e rielaborazione progettuale, chiedendoci, con la consapevolezza di oggi, come avviene l’apprendimento dei bambini? Quali sono i saperi e le conoscenze fondamentali che i bambini della Scuola dell’Infanzia possono acquisire e come integrarli fra di loro? Come elaborare dei progetti che, tenendo conto, come dice l’autrice Diana Penso (Progettare nella scuola dell’Infanzia, ed.Junior 2009) dell’unitarietà dell’esperienza del bisogno di “fare e agire” del bambino , delle motivazioni e degli interessi, della possibilità di riflettere, discutere su ciò che si vede, si agisce e si incontra? “. Gli psicologi ci dicono che la mente interagisce con la realtà, lavora per atti di memorizzazione, evocazione, che la mente è costruttiva e non isolazionista, lavora più sulle relazioni che riesce a stabilire che su singoli dati o elementi di conoscenza. È evidente che la pratica della lezione, del lavoretto, del fare tutti insieme le stesse cose, di apprendere attraverso schede, libri di testo….. deve essere superata. Occorre individuare nuovi percorsi didattici, in modo da sollecitare “risposta attive” da parte dei bambini, scaturiti da problemi, dalla ricerca e dalla organizzazione di metodi di soluzione e spiegazione. (ibidem)

Non bisogna pensare ad una scuola di tipo trasmissivo, alla lezioncina, a fare accumulare conoscenze nella mente dei bambini ( ricordare Edgar Morin: “Meglio una testa ben fatta che una testa troppo piena”), dove le nozioni si sommano alle nozioni, come una sorte di costruzione progressiva che finisce per diventare una sommatoria di conoscenza e informazione.

Apprendimento vero è desiderio di sapere,veicolato dalla buona relazione affettiva, da buona comunicazione fra bambini, adulti e coetanei.

Bisogna creare contesti di apprendimento, agito dalla cultura degli adulti che incontra il desiderio di sapere dei bambini, che organizza l’ambiente perché sia accogliente , attraente e propositivo di esperienze che conducono al fare, all’agire, alla capacità di rielaborare. E’nella rielaborazione dei bambini che si interpretano in maniera originale gli imput degli adulti e dell’ambiente e così si costruisce qualcosa di nuovo che è, come dice William Corsaro, “la cultura dell’infanzia”.

La scuola è opportunità di confronto , dove da parte delle insegnanti è determinante:

La competenza all’ascolto del bambino

La capacità di osservazione come metodologia di lavoro

La competenza relazionale sulla quale si fonda lo sviluppo cognitivo

Un progetto educativo e didattico si fonda su questi presupposti, cioè sulla pedagogia della reale conoscenza e attenzione all’altro, al bambino; la professionalità dell’insegnante nasce dall’intreccio fra le sue competenze culturali e formative, le esperienze di gioco e didattiche, la possibilità e l’intenzionalità di fare proposte, che nascono dall’ascolto e dall’osservazione dei bambini, e dalla capacità di autoriflessione (la professionalità dell’insegnante definisce, infatti, l’autoriflessione come una delle sue competenze specifiche) della verifica e valutazione finale.

LA RELAZIONE E LA CURA EDUCATIVA

Solo negli ultimi anni, nei libri dedicati alla scuola dell’infanzia ed alla sua progettualità pedagogica, non solo si teorizza con più rilevanza il costruttivismo sociale e quindi la relazione come mediatrice della conoscenza, ma vengono dedicati interi capitoli anche al significato del lavoro di cura, che ha sempre connotato la progettualità e la saggistica rivolta al nido. Abbiamo parlato di una scuola che ha fra i suoi fondamentali obiettivi la costruzione dell’identità del bambino, allora per questo motivo non ci si può sottrarre ad una attenta riflessione sul tema della cura educativa, fondamentale per la costruzione del profilo identitario del bambino.

Il lavoro di cura, in tutte le sue occasioni, ha una dimensione affettiva che riguarda tutte le età ed è strettamente collegata alla conquista del senso di sé che si struttura lungo la nostra vita. La dimensione della cura è una dimensione formativa sia al nido che alla scuola dell’infanzia, mentre solitamente è stata ritenuta “tipica” del Servizio nidi, senza capire, pur nelle differenze relative all’età dei bambini, che il lavoro di cura è un compito complesso che è rivolto al benessere del bambino, al suo “stare bene al mondo”, a quell’unitarietà di corpo e di mente che rappresenta l’identità di ognuno.

I gesti della cura delle insegnanti della scuola dell’infanzia riguardano sempre gli stessi momenti di routine del nido, ma sono attività relative alla cura dei bambini che pur con delle differenze, richiedono la stessa capacità relazionale, tempi sufficientemente lenti,

clima positivo, organizzazione attenta degli spazi, sollecitazione dell’autonomia del bambino e, nello stesso tempo, possibilità di sostegno, responsabilizzandoli. Sapere gestire la “pedagogia della cura” significa delineare e realizzare una coerenza pedagogica con tutti gli altri percorsi progettuali che nel loro complesso vengono proposti dalle insegnanti. L’organizzazione delle routine, rappresentando un uso qualitativo della quotidianità, fanno parte della progettualità culturale e pedagogica della Scuola dell’Infanzia e, unitamente a tutti gli altri interventi didattici e di gioco, svolgono un compito decisamente pedagogico.

SPAZI, ARREDI, GIOCATTOLI E MATERIALE DIDATTICO, LABORATORI

Nella progettualità pedagogica un altro aspetto importante di intervento qualitativo è legato alla strutturazione degli spazi interni ed esterni. Anche se partiamo dal presupposto che lo spazio deve essere inteso come sistema aperto e modificabile, la nostra organizzazione è legata al concetto di suddivisione degli ambienti in sezioni che accolgono bambini di età diversa ma, quando è possibile, omogenea all’interno della stessa sezione. Naturalmente sono previsti momenti di intersezione che riuniscono gruppi di bambini per offrire loro occasioni di incontro al di fuori degli spazi abituali nei quali è possibile sperimentare altri modi di relazione: solitamente i bambini più grandi assumono un atteggiamento “pedagogico” e protettivo nei confronti dei più piccoli. Nell’ organizzazione delle sezioni , l’attenzione è posta sulla suddivisone degli spazi, attraverso gli arredi che debbono rispondere a criteri di funzionalità, non pericolosità, educatività. Si vogliono armonizzare il più possibile colori e luci degli ambienti con la qualità degli arredi: abbiamo creato, assieme ad alcuni spazi più dichiaratamente didattici, altri spazi dove è dominante la componente affettiva, mediante l’uso di mobili color legno che ripercorrono una tipologia di arredi più familiari. Nel nostro progetto diamo molta rilevanza allo spazio e alla sua organizzazione in quanto rappresenta per i bambini un contesto da cui si apprendono i modi di percorrerlo, norme, regole e comportamenti, perché gli spazi non sono mai neutri, ma, a seconda di come sono strutturati, facilitano o impediscono, agevolano o condizionano l’esperienza dei bambini. Nei nostri spazi, attraverso la loro organizzazione i bambini debbono sperimentare le loro esigenze di rassicurazione/riconoscimento/esplorazione/scoperta. Il bambino deve “ritrovarsi” nello spazio e non sentirsi sopraffatto, deve essere sollecitato nelle sue azioni di esplorazione e scoperta per cui ha bisogno di luoghi attraenti, attraverso particolari proposte di gioco e didattiche. La curiosità, l’interesse, la sollecitazione dello sviluppo cognitivo, il senso di appartenenza sono capacità che vengono stimolate attraverso la creazione di centri d’interesse e di laboratori che prevedono un’articolazione e modulazione di esperienze

diverse che, in maniera intenzionale, vengono proposte ai bambini. A questo scopo contribuisce anche la scelta di un materiale ludico e didattico di qualità. Questo significa offrire ai bambini, attraverso l’attività ludica, i giocattoli e il materiale didattico l’opportunità di sperimentare livelli diversi, dimensioni percettive, intellettivi ed affettive molteplici ed infine conoscenze ed apprendimenti in funzione dell’appropriazione e del controllo della realtà. Giochi, giocattoli e materiale didattico debbono, inoltre, stimolare l’immaginario dei bambini. Infatti vogliamo offrire proposte articolate ed equilibrate attraverso una scelta di materiali non stereotipati e congruenti agli obiettivi della progettualità pedagogica che evidenziano la non occasionalità dell’intervento dell’insegnante. Esiste una classificazione dei materiali di gioco a cui noi facciamo riferimento, elaborata e presentata in una ricerca a cura di M.Callari Galli(Voglia di giocare, F. Angeli Milano 1982). Riprendendo le classificazioni alle quali si fa riferimento in tale ricerca, la scelta dei materiali deve prevedere in maniera equilibrata giocattoli di tipo “cognitivo” che cioè comportano un’attività preordinata, preparatoria alle forme di ragionamento, all’apprendimento di regole e quindi più ad operazioni di tipo esecutivo che inventivo-liberatorio. La categoria del cognitivo va inoltre suddivisa e distinta in intellettivo e motorio, sempre in relazione ai materiali offerti ai bambini. Infine vanno previsti i materiali di gioco definiti affettivo-sensoriale, nei quali la dominante è rappresentata del fatto che veicolano giochi ed azioni da condurre alla sfera delle emozioni. Da una scelta oculata ed intenzionale, articolata ed equilibrata nascono possibilità di esperienze più complesse e diversificate e che stimolano competenze ed affettività molteplici. Riprendendo una definizione di Piero Bertolini, che nel suo dizionario pedagogico dice che “ Il laboratorio è uno spazio qualificato di una attività che implichi il diretto coinvolgimento dei bambini nell’ esecuzione , nell’uso di materiale o strumenti specializzati nei processi di insegnamento e apprendimento per scoperta e per costruzione”, molta importanza sarà data, nel nostro progetto, all’allestimento di tali laboratori. In tali spazi, le insegnanti, quindi, possono organizzare delle proposte e delle strategie pedagogiche che afferiscono ai vari linguaggi: scientifico, verbale, matematico, teatrale,motorio, ecc… È proprio nel laboratorio che si esalta e si elabora la vera essenza pedagogica della Scuola della Infanzia, perché rappresenta uno spazio qualificato in cui si concretizza un percorso progettuale, attraverso un linguaggio prescelto e con una metodologia di ricerca.

Alcuni laboratori che abbiamo in progetto riguardano la musica e il riciclaggio e, se i genitori saranno d’accordo, alcuni potrebbero essere sostenuti dalla loro attiva partecipazione.

IL COLLEGIO DOCENTE

Nel percorso di formazione permanente iniziato nell’ anno 2008/2009,uno degli argomenti principali affrontati è stato relativo alla riflessione e relativa pratica metodologica del lavoro di gruppo come strategia principale per l’elaborazione del progetto pedagogico della Scuola dell’Infanzia. Lavorare in gruppo significa elaborare una capacità ad entrare in relazione con gli altri con una disponibilità a modificare i propri modelli di riferimento, non irrigidendosi all’interno dei propri schemi culturali precostituiti. Nel lavoro di gruppo, all’interno del collegio docente,la persona si evolve in un processo continuo e si trasforma in relazione alle nuove conoscenze ed esperienze, all’ambiente, alle altre persone, adattandosi attivamente. È proprio la disponibilità al cambiamento, la capacità a prendere le distanze dai propri modelli culturali introiettati, che da significato e forza, costituendo il presupposto del lavoro di gruppo. Facciamo un espresso riferimento ad una definizione di Piero Bertolini per elaborare cosa si intende per collegio docente: “L’insieme degli operatori che agiscono, pur con compiti differenziati, all’interno di ciascun plesso scolastico ( l’insieme cioè delle insegnanti, del personale inserviente e delle altre eventuali figure che svolgono comunque la loro attività professionale nell’ambito della scuola ) e che costituendosi come gruppo permanente tendenzialmente aperto si assume direttamente la responsabilità della conduzione dell’intera comunità scolastica. In questo senso il collettivo fa da riferimento non ad una struttura statica ( quale sarebbe quella che in una gerarchizzazione dei rapporti interpersonali, acquista il suo senso mediante un ruolo rigido e prefissato assegnato a ciascuno) ma ad una struttura dinamica il cui carattere costitutivo emerge e via via si precisa nel corso dell’attività stessa che svolge ………..” La modificazione che si produce all’interno di un Servizio quando si decide di gestirlo collegialmente, se questo tipo di gestione e contrassegnato da una vera accettazione dell’altro dal dialogo e dalla capacità di rivedere i propri modelli culturali per lavorare costruttivamente assieme, è sostanziale e di radicale trasformazione. Infatti la logica della subordinazione dei ruoli, propria delle strutture gerarchizzate, lascia il posto ad una conduzione di gruppo fondata sul rapporto paritario e sulla responsabilità di tutti,responsabilità che viene condivisa e non delegata. La partecipazione alla scelte metodologiche/educative di tutto il personale ha indubbi vantaggi nei confronti degli adulti in quando consente di superare atteggiamenti tipici della situazione opposta: da un lato che detiene il potere delle scelte decisionali che controlla fiscalmente il lavoro dell’altro, e dall’altro lato chi, deresponsabilizzato, è costretto pscicologicamente alla rivendicazione personale. Questi vantaggi diventano ancora più evidenti se spostiamo l’attenzione dagli adulti ai bambini che hanno come modelli di riferimento figure caratterizzate dalle spinta reciproca alla collaborazione e comprensione e non alla competitività.

RUOLO DEL COORDINATORE PEDAGOGICO

È facilmente comprensibile quanto sia centrale la posizione di colui che coordina il lavoro di gruppo e che dovrebbe avere una specifica competenza non solo sulla prima infanzia ma anche una capacità a leggere cosa succede all’interno di un gruppo. In relazione a questa affermazione l’importanza del conduttore e la sua presenza nei gruppi di lavoro è evidente, in quanto, poiché non è implicato nella dinamica operativa e relazionale del gruppo (infatti non fa parte del collegio docente in maniera costante, come le insegnanti) costituisce il suo ruolo in funzione anche della mediazione della comunicazione e quindi diventa un riferimento costante che stimola all’analisi e alla discussione. Chi assume questo ruolo deve necessariamente configurarsi come operatore-ricercatore e quindi come osservatore partecipante della dinamica del gruppo operativo garantendo, a sé e al collegio docenti, la possibilità di riflettere sulla esperienza e di generalizzarla, rendendo omogenee le modalità di ricerca ed elaborando sempre nuovi strumenti d’indagine. La sua professionalità deve mirare ad elaborare strumenti culturali e professionali, non ad imporre soluzioni affinché non si creino problemi di delega e di dipendenza delle insegnanti nei suoi confronti.

I GENITORI

L’altra componente significativa della Scuola dell’Infanzia è rappresentata dalle famiglie che interagiscono sia fra di loro e con i loro bambini sia con le insegnanti, attraverso la partecipazione. Nel tempo, il concetto di partecipazione e gestione sociale si è molto modificato, le strategie organizzative per creare momenti diversi di rapporto con i genitori hanno perso un certo contenuto formale e rituale per diventare vere occasioni di relazione e confronto con le famiglie.

Immutato è rimasto invece il concetto della partecipazione dei genitori come parte integrabile della progettualità pedagogica.

L’intervento educativo, pensato per il bambino, ha più rilevanza pedagogica se condiviso con i genitori. Il modo nuovo con cui viene intesa la partecipazione è un modo più personalizzato che tiene conto di bisogni differenziati. L’intervento sul bambino deve comprendere l’intervento ed il confronto con il genitore, ma un confronto meno rituale, dove è importante che si parli di tutti i bambini, ma è altrettanto significativo che vengano riservati momenti di incontro individuale o di piccolo gruppo dove sia possibile parlare di problemi educativi specifici per specifici bambini. Il significato della partecipazione assume altri obiettivi, da un lato la permanenza della necessità del confronto:il genitore deve avere l’opportunità di essere sostenuto anche nella sua difficoltà del lavoro di cura e di educazione, nella quotidianità del rapporto con

il figlio. La partecipazione e l’incontro con le famiglie non rappresentano più una trasmissione di competenze da chi si occupa quotidianamente dei bambini e ha elaborato molte esperienze a chi ha meno spazi di confronto e opportunità di riflessione allargata e condivisa. Si è così delineato un modo diverso di stare con i genitori, passando dall’assemblearismo al “piccolo gruppo”, al rapporto più individuale articolato in un maggior numero di colloqui.

Nel piccolo gruppo i genitori denunciano la loro difficoltà a dare delle regole ai bambini a sostenere i loro “no” e la loro capricciosità : le insegnanti li sollecitano a riflettere sulle loro incertezze ansie ed atteggiamenti intrusivi.

Nasce un confronto libero, meno formalizzato, dove non si danno risposte ma si aiutano i genitori a trovare da se stessi delle risposte. I genitori debbono rappresentare una risorsa per le educatrici e la Scuola dell’Infanzia. Tutte le strategie d’incontro con le famiglie, da quelle formali a quelle informali della quotidianità, hanno un loro valore, perché significano autenticità di scambio, relazione praticata, dialogo favorito, ma fra le tante, due modalità sembrano avere una importanza particolare: l’incontro di sezione e il colloquio individuale con le famiglie. In tal senso, sono fondamentali le competenze comunicative e relazionali delle insegnanti e la loro capacità di ascolto autentico.

Il rapporto tra insegnante e genitori può rappresentare una delle esperienze più significative di confronto sui bambini per capirne la specificità di esperienza di vita , le loro esigenza, i loro particolari diritti che appartengono ad una”sfera di diversità”rispetto al mondo degli adulti, che ha qualità emozionali, percezioni spaziali e temporali diversamente percepite

DOCUMENTAZIONE

Documentare all’interno dei servizi socio-educativi è uno strumento fondamentale per consentire di lasciare traccia e quindi memoria di ciò che accade, costruendo la “Storia Pedagogica” della Scuola d’Infanzia e una memoria della crescita e della esperienza del bambino.

La documentazione a cui noi lavoriamo ha tre obiettivi: uno istituzionale (progetti, filmati, fotografie, manifatti dei bambini) che riguarda tutto il materiale che rimane nella scuola d’Infanzia come sua storia e percorso pedagogico che permette di ricostruire la sua identità educativa ed il suo evolvere nel tempo.

L’altro obiettivo è rivolto alla famiglia e riguarda sia la trasmissione di informazioni documentate della esperienze fatte dal bambino nella scuola d’Infanzia, sia gli aspetti affettivi/emozionali perché riguardano una fase dell’età del bambino che sarà supportata, nel ricordo, da tutte queste testimonianze.

L’ultimo obiettivo è il bambino:lo aiuteremo a costruire memoria di sé, ad avere un passato da ricordare perchè il materiale di documentazione gli restituisce gesti, sentimenti,emozioni,volti e vissuti che hanno costituito la sua quotidianità nella Scuola d’Infanzia .

VALUTAZIONE E AUTOVALUTAZIONE

In campo educativo, il significato e gli obiettivi della valutazione hanno sempre più assunto un contenuto complesso: partendo dalla definizione di questo termine come “procedimento sistemico che mira a determinare in quale misura gli obiettivi sono stati raggiunti dagli allievi” (Giovannini:Valutazione sotto esame ,1994), si è passati ad un significato di valutazione del sistema e cioè del contesto, della progettualità pedagogica, degli elementi fondamentali nei suoi punti di forza( spazi , materiali di gioco e didattici ecc..) , dell’intervento educativo degli operatori, delle strategie comunicative con la famiglia ecc..

Lo stesso Vertecchi, nel “La parola della nuova scuola”del 1988, ricordava che si tendeva a fare una certa confusione tra i termini “Verifica” e “Valutazione” usandoli come sinonimi, mentre, secondo lo studioso, la verifica da un punto di vista concettuale, precede la valutazione poiché”la priorità della verifica consiste nel fatto che essa ha il compito di rilevare elementi obiettivi , mentre la valutazione si esprime attribuendo a tali elementi un valore....”

Bisogna interpretare il termine “Valutare” in senso educativo facendo riferimento, nel caso della Scuola d’Infanzia, non ad una pratica di misurazione e tantomeno delle condotte individuali o degli apprendimenti dei bambini, ma piuttosto ad un processo di attribuzione di senso su tutti quegli elementi che costituiscono la progettualità pedagogica del Servizio. Significa darsi degli strumenti per mantenere la qualità che una scuola d’Infanzia deve avere per consentire il benessere dei bambini, attraverso le sinergie messe in atto dagli attori del processo gestito dagli operatori, dei coordinatori pedagogici, dai dirigenti gestionali, dai genitori sia attraverso la valutazione delle strategie e degli spazi di relazione elaborati.

Mettere in atto un processo di valutazione significa, non solo rispondere, ovviamente in termini quantitativi alla accoglienza dei bambini, ma costruire occasioni formative di qualità che diano strumenti principalmente alle stesse insegnanti, per essere in grado di verificare se stesse “ in situazione” e, di conseguenza, essere capaci sia di rimodellare la propria qualità relazionale e di significato nel rapporto con i bambini, i genitori, le colleghe, sia di predisporre, con maggiore capacità critica, contesti educativi capaci di rispondere in modo sempre più coerente, ai diritti ed ai bisogni dei bambini relativamente alla loro crescita e formazione.

Il percorso del progetto di valutazione/autovalutazione ha inizio da un processo nel passato, legato allo schema “ programmazione ,sperimentazione,verifica” dove l’obiettivo era verificare gli obiettivi di didattici, i metodi didattici, i materiali di gioco, gli

ambienti e dove viene introdotto il dubbio che nell’ intervento educativo delle operatrici della scuola d’Infanzia spesso la verifica riguarda il comportamento del bambino, a prescindere della relazione dell’adulto educatore.

La verifica, deve essere fatta sui propri comportamenti e non solo su quelli dei bambini.

Ciò non significa scegliere tra un comportamento autoritario o permissivo, ma riuscire ad entrare nel merito di ciò che è pedagogicamente corretto, congruente tra l’obiettivo pedagogico e le strategie educativo/relazionali, cioè saper scegliere tra i diversi modi dell’educare a seconda delle situazioni e degli obiettivi.

Significa avere un ruolo di “regista” delle varie attività e lasciare ai bambini l’inventiva , la scelta dei tempi e della durata degli interessi personali.

Oggi significa, come già detto, sostenere il ruolo tutoriale o di modeling delle insegnanti a cui va intrecciato il lavoro di cura, che va sempre ridefinito, sia per i percorsi relazionali sia per i percorsi cognitivi che attiva nei bambini.

Il contenuto del concetto di professionalità delle insegnanti è diventato, quindi , estremamente complesso perche richiede anche capacità di ascolto del bambino che non consiste in una pratica passiva ma si traduce, invece , in una attiva disponibilità ad incontrare l’altro in un rapporto comunicativo

”Deve essere attiva ricerca dell’interlocutore, deve essere sforzo attivo di comprensione . La reciprocità del rapporto non è data dalla disuguaglianza tra chi parla e chi ascolta, dalla parità dell’impegno comunicativo, nessuno può solo parlare, come nessuno è solo ascoltatore”.(S.Cicatelli:”Per una pedagogia dell’ascolto”in Orientamenti pedagogici n.46,Torino,SEI,1999)

D’altra parte, se non c’e nessuno capace di ascoltare, anche le nostre parole risultano inutili, non producono effetto e ci restituiscono l’immagine di una drammatica solitudine comunicativa.

I modi dell’intervento delle insegnanti, per essere valutati, devono essere progettati (intenzionati) e debbono avere una specificità educativa che va elaborata a due livelli:

- Presa in carico individuale del progetto pedagogico

- Presa in carico collettiva del progetto pedagogico

Ciò significa, in termini di responsabilità, la consapevolezza, la concretezza di un proprio soggettivo intervento che , nell’interpretazione di un mandato pedagogico elaborato dal gruppo educativo, viene gestito, tradotto operativamente con il proprio stile comunicativo, con la propria capacità di sapere scegliere, fra le varie opzioni educative, quella più consona alla situazione che si è presentata in una data occasione educativa. Quindi nessuna delega, nessuna deresponsabilizzazione.

La presa in carico collettiva significa elaborare, rispetto alla progettualità pedagogica,il passaggio dall’essere un gruppo di relazione all’essere un gruppo di integrazione e ciò si realizza, attraverso il confronto dell’idee (sul bambino, sull’educazione, sul ruolo professionale sul tipo d’intervento, sull’organizzazione degli spazi etc..), la negoziazione delle diverse “visioni del mondo”, l’abbassamento della “soglia dei propri convincimenti personali” per ascoltare l’altro, con la mediazione del coordinamento pedagogico. Lavorare in gruppo per progettare, significa, infine,l’orchestrazione delle differenze.

Da qui il percorso che un gruppo educativo deve fare si può articolare attraverso queste fasi:

- L’osservazione e l’analisi della situazione;

- L’identificazione e l’elaborazione del progetto d’intervento;

- La presa in carico di gruppo e individuale di tale progetto;

- La valutazione dei risultati e l’auto valutazione ;

- La documentazione relativa al progetto realizzato e agli strumenti di valutazione

In questo senso è importante che al Collegio docenti sia rivolto un percorso di formazione che consente di elaborare modelli di autovalutazione e di valutazione. Nel primo caso, si mettono in atto alcune strategie di gruppo come strumenti di crescita comune e di autovalutazione riguardanti :

- Il lavoro di valutazione svolto

- Messa in comune del significato della valutazione

- Discussione relativa al ruolo professionale degli operatori, analizzando schede di osservazione approntate in tal senso (ad esempio nei percorsi formativi)

- Analisi e autoanalisi critica di materiale video registrato in vari momenti e contesti d’intervento educativo

- Ridefinizione delle progettualità pedagogica, delle strategie educative e del loro ruolo nel rapporto con i bambini come conseguenza della decodifica del materiale elaborato (scheda e videoregistrazione).

Parlare sia di valutazione che di autovalutazione, come si è appena detto (uso di schede o analisi di videoregistrazioni), significa fare, ancora una volta riferimento al metodo osservativo. E, ancora una volta, osservare ed ascoltare i bambini, rappresentano il vero presupposto di una significativa progettualità pedagogica.