IL PROCESSO CRIMINALE NEL TARDO IMPERO: GIUDICI ED...

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50 CAPITOLO SECONDO IL PROCESSO CRIMINALE NEL TARDO IMPERO: GIUDICI ED ACCUSATI SOMMARIO: 1. La giurisdizione e la competenza. Cenni sulle giurisdizioni speciali 2. La legislazione in materia di corruzione dei giudici e la figura del difensore nella testimonianza delle fonti non giuridiche. 4. Le garanzie pro condicione personarum. Deroghe e benefici a favore di: a) senatori ; b) militari ; c) decurioni ; d) clero. 1. La giurisdizione e la competenza. Delineata la figura dellaccusatore, spetta ora alla nostra indagine cercare di individuare sommariamente quella del secondo grande protagonista del processo criminale: il giudice, rinviando per gli aspetti piø tecnici alla vasta letteratura in materia 82 . La giurisdizione criminale, in questa epoca storica, si configura essenzialmente come un ufficio spettante agli alti funzionari imperiali ed in particolare a quelli preposti alle diverse articolazioni territoriali nelle quali ormai L strutturato limpero (prefetture, diocesi e province) 83 . Un alto tasso di identificazione caratterizza, pertanto, i rapporti tra gli apparati gerarchici amministrativi e gli uffici componenti lordinamento giudiziario, in unimpostazione che L ben 82 Tra i tanti basti citare J.L. Strachan- Davidson, Problems of the roman criminal law, 2, Oxford, 1912, 166 ; F. De Martino, Storia, 328 ss; F. Goria, La giustizia nellimpero romano dOriente: organizzazione giudiziaria, in La giustizia nellAlto Medioev. Settimane di Studio del Centro italiano di studi sullAlto Medioevo, 42, Spoleto, 1995, 259ss. 83 Sullargomento B. Santalucia, Diritto e processo, 269ss.; A.H.M. Jones, Il tardo impero, 695ss.

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CAPITOLO SECONDO

IL PROCESSO CRIMINALE NEL TARDO IMPERO: GIUDICI ED ACCUSATI

SOMMARIO: 1. La giurisdizione e la competenza. Cenni sulle giurisdizioni speciali � 2. La legislazione in materia di corruzione dei giudici e la figura del difensore nella testimonianza delle fonti non giuridiche. � 4. Le garanzie pro condicione personarum. Deroghe e benefici a favore di: a) senatori ; b) militari ; c) decurioni ; d) clero.

1. La giurisdizione e la competenza.

Delineata la figura dell�accusatore, spetta ora alla nostra indagine

cercare di individuare sommariamente quella del secondo grande

protagonista del processo criminale: il giudice, rinviando per gli

aspetti più tecnici alla vasta letteratura in materia82.

La giurisdizione criminale, in questa epoca storica, si configura

essenzialmente come un ufficio spettante agli alti funzionari imperiali

ed in particolare a quelli preposti alle diverse articolazioni territoriali

nelle quali ormai è strutturato l�impero (prefetture, diocesi e

province)83. Un alto tasso di identificazione caratterizza, pertanto, i

rapporti tra gli apparati gerarchici amministrativi e gli uffici

componenti l�ordinamento giudiziario, in un�impostazione che è ben

82 Tra i tanti basti citare J.L. Strachan- Davidson, Problems of the roman criminal law, 2, Oxford, 1912, 166 ; F. De Martino, Storia, 328 ss; F. Goria, La giustizia nell�impero romano d�Oriente: organizzazione giudiziaria, in La giustizia nell�Alto Medioev. Settimane di Studio del Centro italiano di studi sull�Alto Medioevo, 42, Spoleto, 1995, 259ss. 83 Sull�argomento B. Santalucia, Diritto e processo, 269ss.; A.H.M. Jones, Il tardo impero, 695ss.

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lontana dal principio, tutto moderno, di separazione tra funzione

amministrativa e giudiziaria.

Quest�ultima al contrario, trova il proprio modello operativo e la

stessa ragione giustificatrice della propria conclamata efficienza

unicamente nell�assetto burocratico statale, con la conseguenza che

l�esercizio della funzione punitiva viene affidato, in esclusiva, a

soggetti, prescelti come magistrati essenzialmente in ragione della

loro pregressa preposizione al vertice di un certo ambito territoriale o

amministrativo.

Tale interscambio tra funzione giurisdizionale ed amministrativa è

testimoniato dalle stesse fonti ed in particolare da C.I. 2.46.3.184,

costituzione del 531 per la quale la iurisdictio �certae administrationi

� adhaeret �.

Questa situazione di fondo determina, pertanto, il cristallizzarsi di

un�articolata struttura gerarchica, basata su diversi gradi di giudizio,

quante sono le pronunce dei funzionari imperiali competenti.

Il cittadino non è perciò lasciato sprovvisto di rimedi contro le

decisioni a lui sfavorevoli, ma può, al contrario, godere di un�ampia

diffusione dell�istituto dell�appello esperibile contro le decisioni di

tutti i magistrati (escluso il prefetto del pretorio) ed avente come

organo di ultima istanza lo stesso imperatore grazie allo strumento

della supplicatio.

84 C.I. 2.46.3.1: Sed ne quis ita effuse intellectum nostrae constitutionis audeat esse trahendum, ut etiam apud compromissarios iudices vel arbitros ex communi sententia electos vel apud eos, qui dantur a iudicibus, qui propriam iurisdictionem non habent, sed tantummodo iudicandi facultatem, putet huiusmodi extendi sanctionem, cum hos generaliter volumus tales causas dirimere, qui vel certae administrationi, cui et iurisdictio adhaeret, praepositi sunt vel ab his fuerint dati, et multo magis si a nostra maiestate delegata eis causarum sit audientia. A 531 d. III k. sept. Constantinopoli post consulatum Lampadii et Orestae VV. cc.

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Le fonti pervenute in materia di organizzazione degli apparati

giudiziari in epoca postclassica si possono definire �generose� sicché,

ad oggi, si dispone di una quantità di informazioni a riguardo, tale da

consentire una congettura abbastanza accurata e convincente dei

diversi gradi di giudizio.

La giurisdizione di primo grado spettava di regola ai governatori

provinciali (proconsules con rango di spectabiles in Africa, Asia ed

Acaia ; consulares, praesides o correctores con rango di clarissimi

nelle altre province) che, proprio per questo, erano detti iudices

ordinarii85. Essi avevano giurisdizione in materia tanto civile quanto

criminale, ma in quest�ultima era loro preclusa, salva specifica

autorizzazione imperiale, l�irrogazione di alcune particolari tipologie

di pene86 e a certe categorie di persone (ad esempio i decurioni).

Le funzioni di giudici di appello erano invece esercitate da funzionari

imperiali diversi, a seconda del rango del governatore provinciale

pronunciatosi in primo grado.

Se questi infatti aveva solo il titolo di clarissimus, come accadeva

nella maggior parte dei casi, le funzioni di organo giurisdizionale di

seconda istanza era svolte dal vicarius in quanto spectabilis e, nelle

85 J.L. Strachan- Davidson, Problems of the roman criminal law, 2, Oxford, 1912, 166 ; F. De Martino, Storia, 328 ss; F. Goria, La giustizia nell�impero romano d�Oriente: organizzazione giudiziaria, in La giustizia nell�Alto Medioevo, Settimane di Studio del Centro italiano di studi sull�Alto Medioevo, 42, Spoleto, 1995, 259ss. 86 Tra queste, l�opinione ormai più accreditata annovera, almeno a partire dal V secolo, anche la pena di morte. In questo senso si esprimono, tra gli altri: F. De Martino, Storia, 328 e nt. 47 ; B. Santalucia, s.v. Processo penale in Enciclopedia del diritto, 36, Milano, 1987, 353, 357 e nt 205 ; V. Giuffrè, La repressione, 185. Tuttavia F. Goria, La giustizia, 269 nt.26, non ritiene più sussistente tale limitazione nel diritto giustinianeo.

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diocesi prive di tale figura87, dal prefetto88, che aveva invece rango di

illustris89. Quando invece i governatori provinciali erano già essi stessi

investiti del rango di spectabiles90, per effetto di un�importante

riforma dell�imperatore Teodosio II, la relativa competenza a

giudicare i ricorsi fu trasferita dall�imperatore a uno speciale collegio

costituito dal praefectus praetorio orientis e dal quaestor sacri palatii.

Solo nei confronti delle decisioni del prefetto del pretorio la normale

procedura d�appello non risultava esperibile, considerandosi le

pronunce di tali funzionari imperiali non impugnabili, in quanto

emesse vice sacra. Tuttavia, già dal 365 è attestata la prassi di

rivolgere una supplicatio all�imperatore anche contro la decisione di

tale funzionario.

Lo stesso imperatore poteva essere adito come giudice di primo grado

e in tal caso decideva discrezionalmente se trattenere la causa o

rimetterla al tribunale competente.

87 Un�eccezione era costituita dalla diocesi d�Oriente presieduta da un comes e dall�Egitto sottoposto ad un prefetto 88 Talora i prefetti avevano giurisdizione concomitante a quella dei vicari e ciò poteva essere motivo di conflitti di competenza come attesta C.Th.11.30.36: Imppp. Valentinianus, Valens et Gratianus AAA. ad Eupraxium Praefectum Urbi. Post alia: cum ex causis iustis aliquid, quo minus iudicari statim possit, repperietur incertum ac debitor adversus discussoris statum coeperit reluctari, dilatione postposita super eo, quod excorietur ambiguum, vel sublimitas tua vel vicarius prout quisque vestrum proximus erit, adhibeat examen. Proposita XVI kal. mart. Gratiano A. III et Equitio conss. (374 febbr.14). In ogni caso si ritiene prevalere la competenza dei prefetti. 89 F. Goria, La giustizia, 270ss, osserva come le fonti riportino anche la prassi di devolvere, in mancanza del vicario, le funzioni di giudice di secondo grado al governatore di una provincia limitrofa, anziché al prefetto, purché munito del titolo di spectabilis e di ciò specificatamente incaricato. La scelta fra la proposizione del ricorso al prefetto o al governatore provinciale confinante avrebbe dovuto essere guidata dal favore per il più vicino, come confermano tanto C.Th.1.16.7 del 331 che Nov. Marc.1.2 del 450. Tuttavia, per l�autore, sia il rilievo che tali passi non sono stati inseriti nel Codice Giustinianeo, sia l�esame di Nov. Iust.23.3, inducono a ritenere che in epoca giustinianea il ricorso al tribunale del prefetto del pretorio dovesse ormai considerarsi preponderante.

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Questa possibilità di ricorso immediato al sovrano, attestata con

sicurezza almeno fino al 45091, venne comunque, proprio in

quell�anno, arginata da Marciano, che limitò la possibilità di adire

direttamente l�imperatore solo a quei casi in cui il governatore

provinciale non fosse stato in grado di provvedere autonomamente.

Altra prassi d�indubbia frequenza era quella del cd. procedimento per

consultationem con il quale un giudice di grado inferiore investiva

l�imperatore di una questione che riteneva problematica (per lo più un

dubbio di diritto). Secondo una costituzione di Giustino I92 in queste

ipotesi la decisione sarebbe spettata al quaestor sacri palatii

coadiuvato da due �magnifici viri vel patricii vel consulares vel

praefectorii� di nomina imperiale, ma già Giustiniano con la Nov. 125

limitò tale procedura alle sole cause criminali e pretese in ogni caso

una pronuncia del giudice preventivamente adito, eventualmente

impugnabile, in seguito, davanti all�imperatore.

Limitatamente alla città di Roma e a partire dal 359 anche a

Costantinopoli, si radicò poi la competenza giurisdizionale del

praefectus urbi, avente rango di illustris e competente a conoscere in

primo grado le controversie sorte a Roma ed entro le cento miglia

circostanti.

Tale prefetto rivestiva anche le funzioni di giudice d�appello almeno

in due casi: o in seguito a delega imperiale, in relazione alle cause a

lui specificamente devolute dall�imperatore, oppure nei confronti delle

sentenze emesse dai giudici inferiori del suo distretto.

90 Come erano ad esempio i proconsules. 91 Nov.Marc.1.2 (450): ��aut propter potestatem adversarii, aut ipsius rei difficultatem, aut publici debiti molem��.

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Nell�ambito della giurisdizione criminale ciò che più interessa

sottolineare è che tale prefetto era l�unico funzionario urbano che

disponesse dello ius gladii.

E� infine ricavabile dalle fonti una tendenza a devolvere le cause di

minor rilievo (res parvae ac minimae) ai magistrati municipali, come

testimonia una costituzione emanata a Milano dall�imperatore Onorio

nel 395:

C.Th.2.1.8.2 [=Brev.2.1.8.2]: Quum igitur de his rebus parvis ac minimis tuae sit iniuria potestatis iudicare, decretum est, eas tantum causas criminales a sinceritate tua audiri, quas dignus et meritus horror inscriptionis impleverit, quae magnitudinem videlicet criminis tempusque designat, ut alterutram partem digna legum tenere possit austeritas.

Tale complesso apparato giudiziario93 non riguardava tuttavia la

totalità dei giudizi: vi erano infatti processi che per la particolare

qualità dei soggetti coinvolti, in veste di accusati, erano sottratti alla

giustizia ordinaria e devoluti alla giurisdizione di tribunali speciali.

Si tratta del privilegio della cd. praescriptio fori.

Riservandomi di tornare sull�argomento a proposito delle garanzie pro

condizione personarum, ritengo ora necessario accennare brevemente

al tema delle giurisdizioni speciali ed a tal fine di tratterà di quello

riservato alla classe senatoria e militare. Già Costantino con 92 Per un esame più approfondito e competente di C.I. 7.62.34 (520-524): G. Bassanelli Sommariva, La legislazione processuale di Giustino I, in SDHI, 37, 1971, 159ss. 93 Per quanto attiene alle competenze giurisdizionali di altri funzionari imperiali quali ad esempio il comes sacrarum largitionum ed il comes rei privatae si rinvia all�apposito studio di A. Masi, La giurisdizione del �comes sacrarum

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CTh.9.1.194 del 4 dicembre 316, aveva interdetto ai senatori la

possibilità di scegliere il foro senatorio romano come sede competente

alla trattazione delle cause penali intentate contro di loro, imponendo

il rispetto del criterio del locus commissi delicti.

Da questa costituzione emerge come, prima della sua emanazione,

fosse possibile demandare direttamente all�imperatore la cognizione

dei crimina senatoria e come in ogni caso questi potessero sempre

godere del privilegio della praescriptio fori95, ovvero della possibilità

di essere giudicati dinanzi al foro senatorio presso il quale gli illustres

sono, per usare un�espressione moderna, legalmente domiciliati96.

Privati i senatori di tale beneficio, dopo neanche un decennio,

Costantino deve tuttavia essersi accorto delle difficoltà incontrate dai

governatori provinciali nel giudicare in sede penale senatori spesso

potiores et insolentiores, se con CTh.1.16.4 del 29 dicembre 328

largitionum� e del �comes rei privatae� sui rispettivi funzionari �palatini�, in Studi Cagliari, 1965-1968, 251-261. 94 CTh.9.1.1: (Imp. Constantinus A. ad Octavianum comitem Hispaniarum). Quicumque clarissimae dignitatis virginem rapuerit, vel fines aliquos invaserit, vel in aliqua culpa seu crimine fuerit deprehensus statim intra provinciam, in qua facinus perpetravit, publicis legibus subiugetur, neque super eius nomine ad scientiam nostram referatur, nec fori praescriptione utatur. Omnem enim honorem reatus excludit, quum criminalis causa et non civilis res vel pecuniaria moveatur. 95 Sull�argomento U. Vincenti, �Praescriptio fori� e senatori nel Tardo Impero romano d�Occidente, in Index, 19, 1991, 433-440 e in Labeo, 28, 1992, 155-164. 96 Il domicilio legale dei senatori comportava un generico obbligo di residenza a Roma: così almeno dai tempi della fondazione del principato. Ogni senatore poteva tuttavia chiedere ed ottenere il commeatus, cioè il permesso di allontanarsi dall�Urbs. Sul punto si veda A. Chastagnol, Le problème du domicile légal des senateurs romains à l�époque impérial, in Mélanges Senghor, Dakar, 1977, 44. Tuttavia, per tale autore, già al tempo dei Severi, sarebbe stato abolito l�obbligo per i senatori di risiedere a Roma, sicché il domicilio dovuto alla dignitas si sarebbe sovrapposto a quello dovuto all�origo. Per un ulteriore approfondimento si rimanda a P. Garbarino, Ricerche sulla procedura di ammissione al senato nel tardo impero romano, Milano, 1988, 349, e S. Giglio, Il tardo impero di Occidente e il suo senato. Privilegi fiscali, patrocinio, giurisdizione penale, Perugia, 1990, 250ss.

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ridimensiona la portata innovativa del suo precedente intervento,

restituendo a sé o al prefetto del pretorio la decisione dei casi più gravi

in cui fossero coinvolti personaggi particolarmente potenti e

conservando ai giudici provinciali solo l�istruttoria di questi delicati

processi.

Più precisamente, si consente ai governatori di rivolgersi direttamente

all�imperatore o al prefetto e, qualora l�esame della causa non possa

aver luogo per comprovate turbative �ambientali�, di trasmettere a

costoro addirittura tutto il fascicolo, con l�intera documentazione,

mediante il sistema della relatio.

Un ulteriore �aggiustamento�, ma sempre nel rispetto sostanziale della

normativa costantiniana, è operato, nell�ottobre del 366, da

Valentiniano I che, con CTh.9.40.1097, estende la cognizione

imperiale in materia penale anche ai processi intentati contro senatori

pro qualitate peccati.

In questo modo l�imperatore, avocando a sé il giudizio dei crimina a

sfondo politico, come il tradimento o la cospirazione, non snatura il

contenuto di CTh.9.1.1, bensì si pone nella stessa direzione di

CTh.1.16.4 nel senso di riservare all�imperatore le questioni più

delicate e scottanti.

Queste deroghe alle disposizioni di CTh.9.1.1 aprono però la strada ad

una serie di ulteriori eccezioni, introdotte dai successori di

Valentiniano I e fondamentalmente dirette ad abrogare il contenuto

della norma del 316. In particolare Graziano, l�11 febbraio 376, con

97 CTh.9.40.10: (Imppp. Valent., Valens et Grat. AAA. ad Praetextatum p.u.). Quoties in senatorii ordinis viros pro qualitate peccati austerior fuerit ultio proferenda, nostra potissimum explorentur arbitria, quo rerum atque gestorum tenore comperto, eam formam statuere possimus, quam modus facti contemplatioque dictaverit.

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una serie di prescrizioni, riportate in modo frammentato da

CTh.9.1.1398 e C.I.3.24.2, detta una nuova disciplina di riferimento in

materia di forum senatorio, stabilendo che né i clarissimi né gli

spectabiles possano emettere sentenza in un processo penale istruito

contro un caput senatorium99.

Più nel dettaglio l�imperatore ripartisce la competenza

alternativamente e senza una gerarchia preferenziale tra sé, il prefetto

del pretorio ed il prefetto urbano, affiancato da una giuria di quinque

viri estratti a sorte dall�albo senatorio.

CTh.9.1.13 modifica poi, parzialmente, anche il dispositivo di

CTh.1.16.4 dal momento che interdice ai governatori provinciali la

possibilità di esprimere i propri giudizi od osservazioni sulla causa

nella relatio all�imperatore, circoscrivendo il contenuto di questa alla

sola segnalazione della qualitas del soggetto coinvolto.

Il criterio discretivo pertanto non è più la gravitas a cui fa riferimento

CTh.9.40.10, ma la mera qualitas dell�imputato, per cui è sufficiente

ormai ricoprire la dignità di senatore perché la cognizione della causa

sia devoluta ad uno dei tre tribunali citati in CTh.9.1.13.

98 Per un ulteriore esame di questa costituzione si veda anche U. Vincenti, Note sull�attività giudiziaria del senato dopo i Severi, in Labeo, 32, 1986, 55-67; Id., La partecipazione del senato all�amministrazione della giustizia nei secoli III-VI d.C. (Oriente e Occidente), Padova, 1992, 136ss. 99 Secondo un�interpretazione più restrittiva, l�espressione caput senatorium si potrebbe riferire ad un processo capitale intentato contro un senatore. Tale interpretazione va però respinta. CTh.9.1.13 si propone infatti di riformare CTh.9.1.1, la legge di Costantino che stabiliva il foro dei senatori in materia di giurisdizione penale. In CTh.9.1.1 si parla di aliqua culpa seu crimen di cui si fosse macchiato quicumque clarissimae dignitatis. Ora, posto che nel tardo impero non tutti i crimina erano puniti con la pena capitale nelle sue varie forme, ne deriva che, mentre CTh.9.1.1 stabilisce comunque come competente il giudice del luogo in cui il crimine era stato commesso, CTh.9.1.13 dispone che il giudice provinciale possa solo istruire una causa penale contro un senatore e, verum nihil de animadversione decernens, riferisca poi non causae, sed capitis status, senza distinguere tra processi con o senza imputazione per la pena capitale.

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Graziano perciò, da un lato, ridimensiona in maniera considerevole la

funzione giudicante di governatori e vicari e, dall�altro, non accentra

su di sé il potere decisorio come ha fatto Valentiniano, ma lo

condivide con il prefetto del pretorio e quello urbano.

Questa situazione, propria dell�Occidente, non si comunica tuttavia

all�Oriente dove rimane in vigore la normativa costantiniana che

Valentiniano aveva modificato e che il fratello Valente aveva recepito

con tali cambiamenti.

A vanificare completamente i tentativi egualitari insiti negli interventi

di Costantino provvede però, non tanto la riforma di Graziano, quanto

le successive prescrizioni emanate a Ravenna dall�imperatore Onorio

il 6 agosto 423.

Esse sono pervenute frammentate in almeno cinque leges del Codice

Teodosiano, le quali, data la coincidenza di inscriptiones e di

subscriptiones, sono state considerate parti di un unico testo

normativo.

Mentre l�esordio della costituzione, riportato da CTh.1.6.11, attiene

solo ai processi civili e quindi esula dalla nostra indagine, le

successive disposizioni, contenute in CTh.9.1.19, di cui tra l�altro ci

siamo già occupati100, appaiono di maggior interesse.

Con questo intervento Onorio, ribadita la regola della riflessione della

pena in caso di presentazione di un�accusa infondata, prima stabilisce

l�obbligatorietà della custodia preventiva dell�accusatore, tenuto

comunque debito conto della dignitas, poi, passando ad occuparsi

dell�imputato, stabilisce il divieto per il reo confesso sia di chiamare

in correità nell�ambito del processo a suo carico, sia di testimoniare, in

relazione al crimine da lui confessato, in giudizi intentati contro terzi.

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Tale norma, dettata al chiaro scopo di evitare che, per le ragioni più

varie, innocenti siano coinvolti in vicende criminose a loro estranee,

non manca tuttavia di offrire un�ulteriore tutela anche ai senatori.

Più tecnica è invece la terza lex, CTh.2.1.12, che, ponendosi in

formale continuità con CTh.9.1.13, dispone che i processi penali

contro i senatori si svolgano secondo la statuta forma quinqueviralis

iudicii101.

Tuttavia le differenze con il provvedimento grazianeo sussistono ed in

particolare, se la costituzione del 376 prevedeva un quinquevirale

iudicium spectatorum maxime virorum da affiancare alla cognitio del

praefectus urbi in CTh.2.1.12 emerge come sia ora il ruolo del

prefetto urbano ad essere subordinato a quello della giuria senatoria.

Un altro dato importante che possiamo rilevare da una attenta lettura

di questo frammento è come ormai non vi sia più traccia della

giurisdizione del prefetto del pretorio nei confronti dell�ordine

senatorio. Questo si spiega col fatto che ora la giurisdizione di tale

alto magistrato è circoscritta ai clarissimi et spectabiles non facenti

più parte dell�assemblea senatoria sia nella pars Orientis che in quella

Occidentis102.

Altra riflessione che può trarre spunto da CTh.2.1.12 è quella per cui

il testo della costituzione non fa più riferimento neppure alla

giurisdizione imperiale, come alternativa a quella quinquevirale,

inducendo a ritenere che la giurisdizione penale sui senatori sia ormai

delegata interamente al praefectus urbi affiancato dalla giuria dei

cinque membri.

100 Si veda il capitolo secondo § 2.

101 In proposito riprendo essenzialmente le considerazioni espresse in proposito da S. Giglio, Il tardo impero, 48ss. 102 Sulle ragioni di questa esclusione si veda S. Giglio, Il tardo impero, 29- 47.

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La duratura incidenza delle disposizioni dell�imperatore Onorio e, di

conseguenza, la decisa svolta pro-senatoria della legislazione, almeno

occidentale, è testimoniata da un�epistola di Sidonio Apollinare,

all�epoca prefetto urbano, relativa al processo di Arvaldo, prefetto

delle Gallie ed esponente del ceto senatorio.

La narrazione, oltre ad essere illuminante da un punto di vista

meramente processuale, è di particolare interesse anche in quanto

sottolinea, nuovamente, le difficoltà che si incontrano in Roma ad

amministrare la giustizia penale ogniqualvolta sia implicato un

senatore.

Nel caso concreto, Arvaldo, accusato di crimen maiestatis nel 469,

nonostante i ripetuti tentativi dei suoi sostenitori di farlo assolvere, in

considerazione delle prove schiaccianti a suo carico viene condannato

a morte dalla commissione senatoriale.

L�episodio, oltre a fornire utili informazioni circa l�utilizzo della

custodia preventiva, evidenzia il ruolo ormai centrale assunto dal

senato circa la giurisdizione penale sui suoi membri.

Da notare poi come in questo testo la giuria senatoria risulti composta

da dieci membri, anziché dai tradizionali cinque.

Poiché, però, successivamente al 476 ed in particolare con il re

Teodorico si continua a trovare nelle fonti riferimenti al iudicium

quinquevirale, bisogna ritenere che tale riferimento ai dieci membri,

se non è frutto di un errore materiale nella tradizione del testo, abbia

comunque natura eccezionale.

In assenza di altre disposizioni di rilievo, si può quindi concludere che

dopo l�emanazione di CTh.2.1.12, questa rimane definitivamente la

disciplina applicabile in Occidente in materia di giurisdizione penale

sui senatori, senza necessità di ulteriori deleghe imperiali.

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In Oriente, invece, la giurisdizione penale sui senatori resta di

competenza esclusiva dell�imperatore posto che si ritiene ancora

applicabile C.I.12.1.6 emanata da Costanzo nel 357, la quale

distingue tra processi contro clarissimi e spectabiles affidati al

prefetto del pretorio e cause aventi a protagonisti illustres, cioè i

senatori, che rimangono di competenza esclusiva del tribunale

imperiale.

Contribuisce tuttavia a modificare tale assetto C.I.3.24.3

dell�imperatore Zenone, datata tra 485 e 486, la quale prevede la

possibilità di almeno tre tipi di giurisdizione delegata.

La prima riguarda la categoria dei patricii e le più alte cariche dello

stato, elencate in modo tassativo e nei confronti delle quali la

giurisdizione penale è devoluta ad un iudex delegatus, scelto

personalmente dall�imperatore.

Il secondo tipo di delega attiene invece agli illustres honorarii

residenti a Costantinopoli: verso di loro l�incriminazione, per mezzo

della relatio all�imperatore, può essere esercitata solo dal prefetto

urbano, da quello del pretorio e dal magister officiorum (quest�ultimo

però solo previa autorizzazione imperiale).

La giurisdizione imperiale sugli illustres residenti in provincia, infine,

spetta, almeno a livello istruttorio, ai giudici territorialmente

competenti, purché sempre attraverso la procedura della relatio.

Da tutto ciò discende come la giurisdizione penale sui senatori nella

pars Orientis abbia avuto disciplina ben diversa rispetto alla pars

Occidentis e quindi non sono state applicate le norme del Codice

Teodosiano. La giustificazione di tali differenze è sicuramente da

ricercare nel diverso peso politico rispettivamente assegnato nelle due

capitali all�assemblea senatoria, nonché in un�altra serie di variabili

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storico-sociali riassumibili nel rilievo per che in Oriente il maggior

centralismo del potere imperiale ha come conseguenza un

livellamento del trattamento repressivo e una decisa lotta ai privilegi,

mentre, in Occidente, con l�impero ormai in disgregazione, si acuisce

la necessità di conservare gelosamente i privilegi di categoria.

Il privilegio della praescriptio fori è poi riservato ad un�altra categoria

di soggetti: i membri dell�esercito.

Si rileva infatti la tendenza a prescegliere una giurisdizione speciale,

cioè tribunali composti da militari, in materia sia civile che penale.

Più precisamente l�imperatore Costanzo con CTh.2.1.2103 del 355

dispone che, mentre i giudizi civili104 vanno devoluti alla competenza

dei tribunali ordinari, quelli criminali spettano a questi ultimi e cioè,

nella specie, al governatore provinciale, solo qualora il soldato rivesta

il ruolo di accusatore, mentre quando è coinvolto in veste di imputato

la giurisdizione è riservata ai giudici militari105.

103 CTh.2.1.2 [= Brev.2.1.2]: (Imp. Constantius A. ad Taurum p.p). Definitum est, provinciarum rectores in civilibus causis litigia terminare, etsi militantes exceperint iurgia vel moverint. Ne igitur usurpatio iudicia legesque confundat aut iudicibus ordinariis adimat propriam notionem, ad provinciarum rectores transferantur iurgia civilium quaestionum. in criminalibus etiam causis, si miles poposcerit reum, provinciae rector inquirat. Si militaris aliquid admisisse firmetur, is cognoscat, cui militaris rei cura mandata est. Dat. VIII. kal. aug. Mediolano, Arbetione et Lolliano coss. 104 Più tardi con C.I.3.13.6 emanata a Costantinopoli da Teodosio nel 413 la competenza dei giudici militari venne estesa, almeno al ricorrere di determinate circostanze, anche ai processi civili nei quali fosse convenuto un soldato. Tale privilegio, inizialmente riaffermato per i limitanei dalla Nov. Theod.4 del 438, venne in seguito conferito a tutti con le Nov. Theod.7.1 del 439 e 7.2-3 del 440. 105 Non è facilmente determinabile se la costituzione si limiti a recepire una prassi già inveterata o se invece miri a circoscrivere la tendenza dei militari a monopolizzare le funzioni giurisdizionali affidandole solo a propri esponenti interni. In quest�ultimo senso si esprime A.H.M. Jones, Il tardo impero, I, 488.

64

Per quanto concerne l�individuazione di queste autorità competenti,

bisogna ritenere che esse, in genere, coincidano con quelle della più

alta gerarchia militare.

Si consolida così un sistema repressivo nel quale i limitanei sono

sottoposti ai tribunali dei loro duces e comites, mentre i comitatenses

ed i palatini rientrano nella giurisdizione del magister militum106.

Quando i corpi dell�esercito campale vengono stanziati alle frontiere,

si rende però necessario introdurre degli accorgimenti per evitare che

il soldato sia costretto a comparire davanti ad autorità troppo lontane.

Proprio a questa esigenza risponde una lunga costituzione di

Anastasio del 492, riportata in C.I.12.35.18, nella quale si stabilisce

che i reparti praesentales per Orientem non sono soggetti alla

giurisdizione del magister per Orientem, bensì dei magistri militum

praesentales e dei duces.

Inoltre, mentre in precedenza l�appello contro le sentenze dei duces

era presentato al magister militum competente per territorio, invece

l�imperatore Leone già nel 467 con C.I.12.59.8 affida questo potere al

magister officiorum, lasciando in vita la giurisdizione dei magistri

militum solo in Illirico, Tracia ed Oriente.

Per quanto riguarda infine gli ufficiali, bisogna operare una

distinzione: se militano alle dipendenze dei duces hanno lo stesso foro

dei limitanei; se invece sono sottoposti ai magistri militum hanno in

essi i loro giudici, nei processi sia criminali sia civili, e sia come attori

sia in veste di convenuti.

Tale privilegio è però limitato, a partire dal 491, ad un numero fisso di

ufficiali, pari a 300 per ciascun magister, ai quali viene rilasciato un

106 Così F. De Martino, Storia, 491.

65

documento firmato dallo stesso superiore e senza il quale non è

consentito avvalersi della praescriptio fori107.

Un�ultima riflessione merita infine la qualità e la composizione

dell�organo giudicante.

Venuti definitivamente meno i collegi formati da privati cittadini che

avevano caratterizzato l�epoca tardo repubblicana e imperiale, nel

tardo antico si riscontra una netta prevalenza della figura del giudice

monocratico108. Interessa al nostro studio accertare se tale

composizione dell�organo giudicante fosse effettiva109 e contribuisse

ad alimentare un�amministrazione della giustizia ricca di abusi e

corruzione, come testimoniano certe fonti, soprattutto non giuridiche,

o al contrario concorresse a determinare un esercizio della funzione

giurisdizionale più equo, rapido e privo di condizionamenti esterni.

2. La legislazione in materia di corruzione dei giudici e la figura del

difensore nella testimonianza delle fonti non giuridiche.

L�orientamento in materia di amministrazione della giustizia finora

descritto e che un�autorità come G. Pugliese110 ha sinteticamente

definito come ispirato � a realizzare la prevalenza della legge su ogni

altro precetto e a far sì che essa fosse rispettata dai vari organi dello

107 Questa evoluzione si coglie da una serie di interventi ed in particolare: CTh.1.7.4 del 414; Nov. Theod. 7.4 del 441 e C.I.12.54.5 del 491. 108 Fatta eccezione per quelle fattispecie che sono attribuite alla competenza di giudicare di collegi formati immancabilmente dal quaestor sacri palatii affiancato da qualche altro alto funzionario imperiale che a seconda dei casi s�identifica con il prefetto del pretorio (C.I. 7.62.32.1 e 4 del 440) o il magister officiorum (C.I. 7.62.32.38 del 529). 109 Assolutamente contrario all�idea del giudice monocratico è A. Checchini, Studi sull�ordinamento processuale romano e germanico, 1, Padova, 1925, 89ss. 110 G. Pugliese, Garanzie, 613.

66

stato� presenta, tra le sue ulteriori manifestazioni, una decisa lotta

degli imperatori contro gli abusi e gli arbitrii degli organi giudicanti

ampiamente testimoniati dalle fonti non giuridiche coeve.

Colui che viene coinvolto in un procedimento penale - osserva

Libanio111 - può essere anche innocente, ma ciò difficilmente viene

accertato se è interesse dei giudici e di chi li manovra giudicarlo

colpevole.

L�orazione 33 di questo autore, in particolare, è interamente dedicata

al problema della corruzione112 dei giudici impersonata nella figura di

Tisameno, il consularis Syriae assunto da Libanio come paradigma

degli iniqui giudici del suo tempo.

Tale governatore viene descritto113 come indolente, impreparato ed

essenzialmente dedito alla tortura e all�imposizione del carcere, quasi

queste attività esauriscano l�esercizio della funzione giurisdizionale.

Il consularis � dice Libanio - è veloce nell�arrestare, ma lento nel

prendere le decisioni: fugge i processi come i bambini l�orco e pensa

che essere governatore voglia dire andare a pranzo ed intrattenersi in

111 Tra i più importanti studi dedicati alla figura di Libanio si ricordino: P. Petit, Libanius et la curie municipale à Antioche au IVe siècle après J.C., Paris, 1955; P. Petit � J. Martin, Libanios. Discours I, Autobiographie, Paris, 1979. Qui ho accolto la traduzione proposta nell�opera di L. De Salvo, Giudici e giustizia ad Antiochia (la testimonianza di Libanio), in ARC, 11, 1996, 491 nt.24. 112 Tra le opere monografiche che si occupano di tale tematica: P. Veyne, Clientèle et corruption au service de l�état: la venalité des offices dans le Bas-Empire, in Annales ESC, 36, 1981, 339-360; R. MacMullen, Corruption and The Decline of Rome, New Haven- London, 1988. Per la corruzione della giustizia: J. Gaudemet, Les abus des �potentes� au Bas-Empire, in The Irish Jurist, 1, 1966, 128-135 (ora in Etudes de droit romain, 3, 1979, 433-442); A.H.M. Jones, Il tardo, 685-743; F. De Martino, Storia, 5, 494 ss. Sulle origini del problema si vedano anche: C. Venturini, Concussione e corruzione: origini romanistiche di una problematica attuale, in Studi Biscardi, 6, Milano, 1987, 133-157; L. Perelli, La corruzione politica nell�antica Roma: tangenti, malversazioni, malcostume, illeciti, raccomandazioni, Milano, 1994. 113 Lib, Or. 33.9-10 (3.169-171 Forster) e Lib, Or.33.30 ss (3.180 ss Forster).

67

chiacchiere sciocche. Per tali motivi il nostro retore supplica

l�imperatore di inviare un amministratore che sia tutto il contrario114.

Al di là della sicura vena polemica insita nelle parole di questo autore,

non si può trascurare che Libanio fu svariate volte coinvolto in

procedimenti penali e proprio da queste esperienze sembra nascere

una decisa condanna del sistema giudiziario a lui coevo.

La rappresentazione del magistrato corrotto che si dedica alla

spoliazione dei sudditi, anziché allo svolgimento dei propri compiti

istituzionali, è una lamentela che del resto si riscontra in più di un

autore del IV e VI115 secolo a testimonianza di una generale decadenza

nella preparazione degli organi giudicanti, non più costituiti da

soggetti dotati di una apposita formazione, bensì da funzionari

investiti di tale ruolo per ragioni politiche.

114 Lib, Or. 33.43 (3.186 ss Forster): il governatore auspicato da Libanio avrebbe dovuto avere le seguenti caratteristiche � un uomo di buon senso che abbia voglia di lavorare, un uomo fattivo piuttosto che un chiacchierone, uno che voglia usare la persuasione piuttosto che la repressione, uno che aiuti i poveri piuttosto che i loro oppressori; che distingua ciò che è possibile da ciò che non lo è, che sappia capire che c�è un tempo per torturare ed un tempo per minacciare��. 115 Nel V secolo, Salviano di Marsiglia nel suo De gubernatione Dei osserva come il giudice, benché personalmente peculator, raptor, eversor urbium et expoliator provinciarum si permetta comunque di punire negli altri le stesse colpe (Gub. 7.21.91). Tale scrittore ecclesiastico sottolinea poi come alle leggi dovessero ubbidire humiles, abiecti, pauperculi, mentre chi doveva farle rispettare di fatto le disprezzava (Gub.7.21.91-93). Questo - secondo Salviano- era dovuto alle stesse norme, che avevano qualcosa di ambiguo e quindi permettevano ai potentes di disattenderle.

68

Al capitolo quarto del De rebus bellicis116, per esempio, si parla di

execranda cupiditas degli iudices i quali ��velut mercatores117 in

provincias se missos existimant, eo graviores quod ab his procedit

iniquitas unde debuit sperari medicina... �. Mentre al successivo

capitolo ventuno l�anonimo richiede allo stesso imperatore la

medicina contro tanta improbità: ��ut confusas legum contrariasque

sententias, improbitatis reiecto litigio, iudicio augustae dignationis

illumines��.

Un�altra abitudine inveterata che Libanio condanna nelle orazioni 51

e 52118 e che concorre a rafforzare il convincimento di una giustizia

ormai allo sbaraglio è quella delle visite ai giudici.

116 Si tratta di un trattatello di anonimo autore, la cui datazione più convincente rimane, per ora, quella ai primi anni della seconda metà del IV secolo d.C. Così almeno ritengono: S. Mazzarino, Aspetti sociali del quarto secolo. Ricerche di storia tardo-romana, Roma, 1951, 72ss, che propone come data o il 353-354 o il 355-360; E.A. Thompson, A Roman Reformer and Inventor. Being a new Text of the Treatise De Rebus bellicis with a Translation and Introduction, Oxford, 1952, che con la datazione 366-375 d.C. riprendeva sostanzialmente la vecchia tesi di O. Seeck, s.v. Anonimi De rebus bellicis in P.W. 1.2, 1894, 2325; Di recente a favore dell�ipotesi di S. Mazzarino e contro le datazioni del V secolo si sono espressi: L. Cracco Ruggini, Utopia e realtà di una riforma monetaria: l�Anonymus de rebus bellicis e i Valentiniani, in Studi per L. Breglia, Suppl. al Bollettino di Numismatica, 4, 1987, 189; A. Giardina, Anonimo, Le cose della guerra, Milano, 1989, 39 nt.2; S.A. Fusco, La brama di ricchezza e l�oppressione dei cittadini: finanze e amministrazione nella visione costituzionale dell�anonimo De rebus bellicis, in ARC 12, 1998, 293. Tra coloro che invece si esprimono a favore del V secolo si veda per tutti: H. Brandt, Zeitkritik in der Spatantike. Untersuchungen zu den Reformvorschlagen des Anonymus De rebus bellicis, Munchen, 1988, 135ss, che propone il periodo 400-455. 117 A. Giardina, Anonimo, 105, sottolinea come il riferimento ai mercatores ricalchi un topos letterario antichissimo utilizzato, tra gli altri, da Cicerone in Ver.2.4.8 e più tardi da Simmaco, Ep.9.42 (in proposito S. Roda, Commento storico al libro IX dell�epistolario di Q. Aurelio Simmaco, Pisa, 1981, 170). 118 Secondo Forster 4.1 tali orazioni sono state scritte l�una poco prima e l�altra poco dopo il 388 e sono talmente simili da aver fatto ritenere all�autore di essere doppioni. In senso opposto si pronuncia invece P. Petit, Recherches sur la publication et la diffusion des discours de Libanius, in Historia, 5, 1956, 483, per il quale si tratta di due orazioni separate.

69

Essi vengono descritti come sottoposti a continue pressioni da parte

dei potentiores, sia attraverso l�assedio in casa che le sollecitazioni

negli stessi tribunali.

I malcapitati - racconta Libanio - sono importunati giorno e notte alla

loro tavola, nelle loro camere da letto e persino durante la loro

permanenza alle terme119.

Una simile situazione non fa che aggravare lo stato di

un�amministrazione giudiziaria già pregiudicata nella sua regolarità,

posto che, lamenta Libanio, con la loro insistenza tali persecutori

riescono a strappare sentenze e favori per i loro assistiti,

indipendentemente dall�effettiva colpevolezza degli imputati.

Ne deriva la difficoltà, anche per il giudice più corretto, di mantenersi

equo davanti alle sollecitazioni provenienti da ogni parte120, per cui

Libanio invoca un intervento dell�imperatore Teodosio in materia.

I giudici � rivela il retore121 � sono spesso minacciati di invettive e

diffamazioni nel caso che non concedano i vantaggi richiesti.

Così si lasciano intimidire e pronunciano sentenze favorevoli , mentre

coloro che li hanno fino a quel momento perseguitati ottengono dai

loro protetti ingiustamente assolti ricchezze di vario genere.

Un'altra manifestazione significativa di questo fenomeno è

rappresentata dalle azioni di disturbo esercitate nello stesso tribunale.

119 Lib, Or.52.6-7 (4.28 Forster) racconta l�aneddoto di un governatore che, dopo aver rifiutato i favori richiestigli mentre si trovava alle terme, fu assalito da un tale munito di inchiostro e penna che lo costrinse ad apporre la propria firma, tra le risate dei presenti. L'episodio è indicativo dello stato caotico e irregolare in cui potevano essere emanate certe sentenze. 120 Le pressioni non provenivano soltanto dagli honorati, ma anche dai maestri di retorica e persino dai medici (Lib, Or.52.35; 4.41 Forster). 121 Lib, Or.51.6-8 (4.9ss Forster)

70

I molestatori si appostano strategicamente accanto ai giudici,

sussurrando loro consigli e sottili minacce all�orecchio e non

permettendo così che sia fatta veramente giustizia.

I più temerari arrivano a sedersi sullo stesso seggio del giudice e � �

finiscono col convincerlo di cose di cui non avrebbero potuto

convincerlo i fatti� �.

Infine anche le lettere commendatizie, la cui diffusione nel mondo

antico è ormai generalmente riconosciuta122, vengono condannate da

Libanio come possibili responsabili di influenze negative sui giudici.

Quando infatti i potenti non possono assillare i governatori con la

propria presenza fisica - narra - ricorrono a lettere che talora

sortiscono più effetto di lunghi discorsi123

Libanio ostilmente conclude dichiarando che tali prassi ��hanno tolto

forza al giusto, aumentando la possibilità di commettere ingiustizie e

permettendo ai criminali di prendersi gioco della giustizia124�" , con

la conseguenza di rafforzare un sistema già malato in cui �� il nome

del potente dà forza alla sentenza e vale più della verità125��.

Gli interventi legislativi imperiali, dei quali ora ci occupiamo,

sembrano in effetti confermare il clima di tensione in cui i giudici di

122 La prassi delle lettere commentatizie, già attestata ai tempi di Cicerone e Plinio, anche nel IV secolo ha ampia diffusione. In particolare ci è pervenuta notizia delle epistole indirizzate dai vescovi Gregorio di Nazianzo (tra le più significative si vedano Epp.13;146;198 = 1.20ss; 2.37ss; 2.90ss. Gallat) e Basilio di Cesarea (Epp.111.2.12;137.2.53;273-275.2.146 Courtonne) alle autorità statali per difendere persone ingiustamente accusate e denunciare la venalità ed iniquità dei giudici, spesso stimolata dalle sollecitazioni dei potentiores. Sul punto: Y. Courtonne, Un témoin du IV siècle oriental. Saint Basile et son temps d�après sa correspondence, Paris, 1973, 376-378; M. Forlin Patrucco, Basilio di Cesarea. Le lettere, in Corona Patrum, 11, Torino, 1983; O. Zappalà, Le Litterae commendaticiae di Basilio di Cesarea, in Êïéíùíéá, 17, 1993, 49-60. 123 Lib. Or.51.11 (4.11 Forster). 124 Lib. Or.52.8 (4.29 Forster). 125 Lib, Or.52.13 (4.31 Forster).

71

prima istanza (nessun provvedimento fa infatti riferimento alla fase di

appello) sono chiamati ad esercitare le proprie funzioni e la

sussistenza di un assai elevato grado di ingiustizie, disuguaglianze e

corruzioni, è forse da ascrivere al dissolvimento dei valori propri

dell�antica classe dirigente e alla disgregazione della compagine

amministrativa, prodottasi nel corso del III secolo.

In tale periodo, che si suole chiamare dell�anarchia militare (dalla

morte di Alessandro Severo nel 235 fino Diocleziano nel 284, con la

sola interruzione restauratrice di Aureliano), infatti, si era assistito ad

una decomposizione della struttura costituzionale che aveva coinvolto

anche l�ambito giudiziario.

Gli aspetti in cui scomporre la problematica sono complessi, ma tra

loro fortemente collegati.

Da una parte, vi è infatti l�esigenza di proteggere i giudici dalle

pressioni esterne; dall�altra, quella di evitare che essi stessi,

autonomamente, commettano iniquità.

Gli imperatori, in un�ottica di bilanciamento dei diversi valori in gioco

ed in particolare dell�esigenza di celerità dei giudizi e di una

ragionevole e soprattutto libera ponderazione degli stessi, dettano

misure rivolte ad evitare la segretezza e l�inerzia.

Garantire la pubblicità significa, infatti, ridurre il rischio di giudizi

pilotati e sommari, così come porre precisi limiti temporali alla durata

delle cause ha il fine di evitare che istruttorie prolungate all�infinito

celino sostanziali dinieghi di giustizia, in attesa della morte del

presunto reo che, nel frattempo, si trova in carcere.

Centrale a questo proposito è un editto di Costantino del 1° novembre

72

331126 in cui si dettano alcune direttive fondamentali che dovranno

guidare l�attività dei praesides e dei loro collaboratori.

Tale intervento è pervenuto in due parti, rispettivamente CTh.1.16.6127

e CTh.1.16.7128, inserite nel titolo De officio rectoris provinciae.

Data l�importanza delle relative prescrizioni, ritengo opportuno

riprodurne il testo :

CTh.1.16.6: (Imp. Constantinus A. ad provinciales). Praesides publicas notiones exerceant frequentatis per examina tribunalibus, nec civiles controversias audituri secretariis sese abscondant, ut iurgaturus conveniendi eos nisi pretio facultatem impetrare non possit, et cum negotiis omnibus, quae ad se delata fuerint, exhibuerint audientiam et frequens praeconis, ut adsolet fieri, inclamatio nullum, qui postulare voluerit, deprehenderit, expletis omnibus actibus publicis privatisque sese recipiant. Iustissimos autem et vigilantissimos iudices publicis adclamationibus collaudandi damus omnibus potestatem, ut honoris eis auctiores proferamus processus, e contrario iniustis et maleficis querellarum vocibus accusandis, ut censurae nostrae vigor eos absumat; nam si

126 Nell�anno 331, Costantino diresse a tutti i provinciali, da Costantinopoli, due ampi editti, ricostruibili attraverso i brani collocati in diversi titoli dei Codici Teodosiano e Giustinianeo. In Chronologia Codicis Theodosiani, ad a.331 (Cod. Theod. cum perpetuis commentariis J. Gothofredi, Mantova, 1740, 1, 31) Jacopo Gotofredo, studiando le parti a lui note di queste due leggi, ne definì il contenuto: � de iudiciorum ordine et sanctitate�. Mentre dell�editto del 1° novembre ci occuperemo diffusamente, quello del 1° agosto può essere sinteticamente riassunto come incentrato a disciplinare i rapporti gerarchici tra giudici di diverso grado. In considerazione della vicinanza delle date di emissione e della identità dei destinatari, si è discusso circa la possibilità che i due editti costituissero un�unica lex generalis. Tuttavia questa ipotesi, avanzata da J. Gotofredus, Chronologia, 1, 42 e 378, e seguita da Krüger, Codex Theodosianus, 1-8, Berlino, 1923-26, nt.10 a 1.16.6, è invece respinta da Th. Mommsen, Prolegomena, 1 e da O. Seeck, Regesten, 181. 127 Secondo R. Bonini, Ricerche, 98, il testo di questa costituzione, che non compare nella compilazione visigotica del 506 ed è solo parzialmente ripreso dal codice giustinianeo, è noto per mezzo del manoscritto Ambrosiano C.29 inf. in cui i primi libri del Breviario Alariciano sono integrati con costituzioni tratte, si ritiene, da un Codice Teodosiano integro. 128 Conosciamo tale costituzione solo attraverso la Lex Romana Visigothorum 1.6.1.

73

verae voces sunt nec ad libidinem per clientelas effusae, diligenter investigabimus, praefectis praetorio et comitibus, qui per provincias constituti sunt, provincialium nostrorum voces ad nostram scientiam referentibus. Proposita k. nov. Constantinopoli Basso et Ablavio conss.

Partendo dall�esame della prima costituzione, si può notare come essa

imponga ai giudici di svolgere i processi pubblicamente, davanti alla

folla raccoltasi nel tribunale, anziché nascondersi nelle proprie stanze

private al fine di costringere il litigante ad un esborso di denaro per

poterli adire. Solo dopo aver ascoltato tutti i contendenti ed espletato

le necessarie formalità, tra le quali, in particolare, la redazione degli

atti pubblici e privati sarà loro concesso ritirarsi, ponendo così fine

all�udienza.

Questa costituzione pertanto, già nelle sue prime righe, sembra sancire

il rispetto di due libertà fondamentali e più precisamente: la necessaria

pubblicità dei processi, come garanzia contro gli abusi insiti nella

segretezza della trattazione, nonché il diritto di accedere al giudice per

ottenerne una pronuncia.

Rimandando al capitolo successivo per il dibattito circa lo

svolgimento pubblico o meno del processo nel tardo antico, non si può

negare come tale intervento sia sintomatico di una specifica attenzione

per la tematica della pubblicità.

La probabile presa di coscienza della stretta interdipendenza

sussistente tra gli abusi processuali e la posizione di predominio, che il

nuovo assetto organizzativo aveva assegnato alla burocrazia, deve

infatti aver condotto il legislatore a considerare la pubblicità della

74

pronuncia prima129 e quella dell�intero giudizio poi, come un possibile

e vincente rimedio contro le ingiustizie.

In questo senso si esprime F. De Marini Avonzo130, per la quale � �

in questa situazione � la pubblicità poteva acquistare un significato

che non aveva mai avuto nella storia processuale romana, come

strumento di informazione e di controllo da parte della collettività

sull�opera dei giudici� �.

Ancora più significativamente, l�autrice, proprio con riguardo

all�editto del 1 novembre 331, osserva come � �questa rinnovata

coscienza � emerga proprio ad opera di Costantino, al quale va

riconosciuto il merito di aver per primo impostato il problema della

pubblicità, entro quei termini di libertà e giustizia che ne hanno fatto

un principio operante nella nostra storia giuridica� �131.

Costantino sembra infatti, per la prima volta, configurare un controllo

della collettività sull�operato dei giudici, affinché ciò costituisca sia un

deterrente contro eventuali abusi, sia un agevole strumento per

pervenire alla loro conoscenza, qualora e comunque perpetrati.

Al rilievo che tale intervento valga solo per i processi civili, si può

facilmente ribattere che la stessa impostazione sistematica era già stata

manifestata da Costantino nel 313 in :

129 Per limitarci alla sola legislazione di Costantino, si può sottolineare come questo imperatore, già ben prima del 331, avesse emanato disposizioni in tema di pubblicità della sentenza, in particolare si vedano : CTh.8.4.2 del 315; CTh.1.22.1 del 316; CTh.1.16.3 e 2.10.2 del 319; CTh.1.5.1, 1.15.1, 2.10.3 , 9.1.4 del 325; 130 F. De Marini Avonzo, La giustizia nelle province agli inizi del basso impero. I principi generali del processo in un editto di Costantino, in Studi Urbinati, 31, 1962-1963, 310 (ripubblicato in Synteleia Arangio-Ruiz, II, Napoli, 1964, 1049ss). 131 F. De Marini, La giustizia, 311.

75

CTh.1.12.1: (Imp. Constantinus A. Aeliano proconsuli Africae). Omnes civiles causas et praecipue eas, quae fama celebriores sunt, negotia etiam criminalia publice audire debebis tertia, vel ut tardissime quarta vel certe quinta die acta conficienda iussurus. Quae omnia legati quoque coercitione commoniti observabunt.

Con questa norma si impone infatti che tutte le udienze del

proconsole, tanto civili che penali, siano condotte pubblicamente.

Tornando ad occuparci dell�editto, si deve notare come esso, non solo

si preoccupi di garantire lo svolgimento coram populo dei processi,

ma anche la disponibilità dei giudici e la gratuità dell�accesso alle

strutture giudiziarie.

L�espressione ��audituri secretariis sese abscondant, ut iurgaturus

conveniendi eos nisi pretio facultatem impetrare non possit� � non

costituisce, infatti, un mero rafforzamento dell�obbligo di giudicare

pubblicamente, sancito nella prima parte dell�editto, ma al contrario,

mediante il divieto imposto ai giudici di ritirarsi anticipatamente negli

auditoria o secretaria, pone un precetto ulteriore, volto ad evitare la

mercificazione dell�attività giudiziaria.

Imporre al giudice di essere accessibile al litigante, senza per questo

pretendere introiti indebiti, è una disposizione che, nella sua

semplicità, riesce ad essere interpretata almeno in tre modi diversi.

Da una parte infatti può essere letta come un�imposizione al giudice di

ricevere le parti senza ritardi, per ovvie ragioni di rapidità dei giudizi.

Dall�altra si potrebbe intendere come volontà di circoscrivere le visite

ai giudici, da parte dei soggetti interessati al processo, solo alle

apposite stanze e non ad altri luoghi, dove sarebbe più facile

perpetrare corruzioni.

76

Infine, più letteralmente, si può attribuire a tale norma il solo

significato di un divieto al giudice, nello svolgimento delle proprie

mansioni, di imporre interruzioni non previste e pretendere somme di

denaro non dovute, per l�esercizio di una funzione a lui

specificatamente devoluto dall�imperatore.

Posto che riguardo alla repressione dei primi due abusi esistono

ulteriori norme ad hoc132, ritengo di dover privilegiare quest�ultimo

significato, che considero perfettamente coerente con l�impostazione

burocratica tardo antica.

Un�altra disposizione contenuta in CTh.1.16.6, meritevole di

particolare attenzione, è quella relativa all�obbligo del giudice di

compilare tutti gli atti pubblici e privati.

Tale prescrizione va interpretata come una garanzia di regolarità del

giudizio in quanto la documentazione permette sia di avere piena

conoscenza dell�attività svoltasi oralmente, sia di esercitare un

controllo, anche posteriore.

Come infatti osserva B. Santalucia133 ��l�uso di redigere processi

verbali delle dichiarazioni dei testimoni e delle varie attività

dibattimentali, già noto al processo dinanzi alle corti giurate, ma

generalizzatosi soprattutto nella pratica delle cognitiones, stante

l�esigenza di conservare al giudice di appello la documentazione delle

prove e delle ragioni esaminate in primo grado, trovò in quest�epoca

definitiva affermazione��.

In particolare, da CTh.1.12.1 del 313 e da una successiva costituzione

di Teodosio del 440, riportataci da C.I.7.62.32.2, ricaviamo che

quanto veniva detto o fatto nel corso della causa era oggetto di

132 Si veda infra § 4 di questo capitolo. 133 B. Santalucia, Diritto e processo, 285.

77

apposite registrazioni in forma �stenografica� da parte degli

exceptores.

Tale materiale era successivamente trascritto integralmente in un

protocollo che era oggetto di sottoscrizione da parte del giudice e

veniva depositato in cancelleria dove gli interessati potevano

prenderne visione ed estrarne copia.

Per effetto di un intervento di Onorio del 397 contenuto in C.I.7.45.12,

la sentenza poté poi essere redatta sia in latino che in greco, purché ne

fosse data lettura pubblica e fosse inserita nel verbale in originale, o

almeno in copia, essendo assurto ormai ciò a requisito formale.

Il rigido rispetto delle regole di verbalizzazione e l�obbligo di udienza

aperta costituiscono pertanto le principali manifestazioni della

pubblicità processuale tardo antica.

La successiva disposizione dell�editto che, pur attenendo, a mio

parere, all�effettività delle norme penali, preferisco comunque trattare

in questa sede, pone un principio di estrema civiltà giuridica.

Si riconosce, infatti, un ampio potere di controllo da parte della

popolazione sull�operato dei governanti134 che, in questo modo,

vedono, almeno teoricamente, condizionato il proprio accesso alle

cariche superiori dal giudizio, positivo o meno, espresso nei loro

confronti dai provinciali.

Voler riconoscere in tale disposizione un antesignano del principio

democratico della rappresentanza politica, in base al quale la

collettività può esercitare un controllo sui propri rappresentanti ed

134 La tendenza a reprimere gli abusi dei governatori e, più in generale, dei funzionari imperiali, mediante un controllo esercitato dai cittadini, era già stata manifestata da Costantino, alcuni anni prima, in CTh.8.10.1 (= C.I.12.61.1) del 314 e CTh.9.1.4 del 325. In entrambi i casi esortava i cittadini a denunciare le malversazioni, con l�onere però di provarne il fondamento.

78

eventualmente sanzionarli con la mancata rielezione, è senz�altro fuori

luogo, sia perché all�epoca non esisteva alcun sistema elettorale che

permettesse alle popolazioni di esprimere le proprie preferenze, sia

perché un imperatore illuminato, ma comunque assoluto, quale

Costantino, non avrebbe mai voluto inaugurare, neppure parzialmente,

un simile meccanismo.

Ritengo, tuttavia, che tale disposizione, indipendentemente dalla

propria effettività, appronti ugualmente una garanzia importante,

benché su tutto altro versante, cioè quello dei rimedi contro la

corruzione degli organi giudiziari.

Invitando i provinciali a conlaudare publicis adclamationibus i

governatori che si siano dimostrati corretti ed efficienti ed invece ad

accusare querellam vocibus135 quelli disonesti e malvagi, Costantino

non fa che facilitare l�individuazione dei giudici corrotti che, con le

loro malversazioni, danneggiano non solo i provinciali, ma lo stesso

imperatore.

Va comunque sottolineato come l�editto di Costantino, pur proibendo

una serie di comportamenti scorretti, non sembri elaborare una

specifica fattispecie criminale, in relazione alla quale attribuire la

legittimazione attiva ai provinciali.

135 Questa espressione ha determinato diversi problemi interpretativi; infatti, mentre F. De Marini Avonzo, La giustizia, 314, ritiene non indichi un�accusa in senso tecnico, stante ormai il superamento, a suo parere, della necessità di una promozione solenne dell�iniziativa nel sistema della cognitio extra ordinem, al contrario T. Spagnuolo Vigorita, Execranda pernicies, 51, e sul suo esempio G. Zanon, Le strutture accusatorie della cognitio extra ordinem nel Principato, Padova, 1998, 47, preferiscono credere che l�espressione querellarum vocibus, contenuta nel testo, stia ad indicare le accuse solenni di malversazione proposte dai cittadini nei confronti dei governatori; l�utilizzazione di tale termine, al posto del più tecnico accusatio potrebbe, secondo loro, spiegarsi perciò in virtù dell�esonero per gli abitanti delle province dalla formalità del libello.

79

Ciò era accaduto in passato in ordine al crimen repetundarum, ma nel

sistema delle cognitiones, a differenza che in quello dei iudicia

publica, sembra più probabile ritenere che, per ottenere assistenza

giudiziaria, sia ormai sufficiente rivolgersi alle autorità competenti ad

istruire un�eventuale inchiesta, senza necessità di un apposito

riconoscimento legislativo di questa capacità.

La disposizione va poi letta alla luce del rapporto che Costantino

aveva inteso instaurare con i provinciali.

A differenza dei suoi predecessori che, in un�ottica accentratrice,

avevano sempre cercato di limitarne le ingerenze e i controlli sulla

politica centrale, Costantino preferisce invece assegnare a tali apporti

il ruolo di garanzie di buon governo e pertanto li incoraggia e

disciplina.

Siffatta apertura, assai significativa dal punto di vista concettuale, va

comunque ridimensionata sotto un profilo pratico, stante la difficoltà

delle popolazioni di far sentire la proprio voce e soprattutto assumersi

il rischio di inimicarsi il governatore in carica.

Passando ad una esegesi di CTh.1.16.7, che abbiamo finora trascurato,

si riscontrano nuove tutele contro le illecite esazioni, ma, questa volta,

non del governatore, quanto dei membri del suo officium.

CTh.1.16.7: (Imp. Constantinus A. ad provinciales). Cessent iam nunc rapaces officialium manus, cessent inquam: nam si moniti non cessaverint, gladiis praecidentur. Non sit venale iudicis velum, non ingressus redempti, non infame licitationibus secretarium, non visio ipsa praesidis cum pretio� Absit ab inducendo eius, qui officii princeps dicitur, depraedatio; nullas litigatoribus adiutores eorundem officii principum concussiones adhibeant; centurionum aliorumque officialium, parva magnaque poscentium, intolerandi impetus oblidantur, eorumque, qui iurgantibus acta restituunt, inexpleta aviditas

80

temperetur. Semper invigilet industria praesidalis, ne quicquam a praedictis generibus hominum de litigatore sumatur. Qui si de civilibus causis quicquam putaverint esse poscendum, aderit armata censura, quae nefariorum capita cervicesque detruncet, data copia universis, qui concussi fuerint, ut praesidum instruant notionem. Qui si dissimulaverint, super eodem conquerendi vocem omnibus aperimus apud comites cunctos provinciarum aut apud praefectum praetorio, si magis fuerit in vicino, ut his referentibus edocti, super talibus latrociniis supplicia proferamus.

Costantino, nella propria personale �crociata� contro le malversazioni,

aveva, già negli anni precedenti, dettato almeno due disposizioni sulle

quali ritengo utile soffermarmi.

Prima, nel 325, con CTh.1.15.1136 aveva disposto che ogni volta vi

fosse stato il rischio per il giudice di grado inferiore di subire

sollecitazioni da un potens, in deroga ai criteri sulla ripartizione delle

cause, la relativa controversia fosse devoluta al vicario. Appena tre

anni dopo, nel 328, con CTh.1.16.4137, quasi a completamento della

disposizione precedente, imponeva in capo allo stesso giudice,

sottoposto a pressioni, di denunciare l�accaduto all�imperatore o al

prefetto del pretorio.

Solo nel 331, però, detta una norma volta a riportare in maniera decisa

la burocrazia ad una dignità ed ad un rispetto della legalità più

consone alle sue funzioni.

Con CTh.1.16.7 si ordina infatti in modo perentorio ��Cessent iam

nunc rapaces officialium manus, cessent, inquam: nam nisi moniti

cessaverint, gladiis praecidentur��. 136 Di tale costituzione si occupa, tra gli altri, M. Lauria, Ius. Visioni romane e moderne. Lezioni, Napoli, 1962, 59ss.

81

Questo passo, così come l�intero testo di questa costituzione, ha dato

luogo ad alcuni problemi interpretativi; in particolare ci si è chiesti se

essa sancisse un generale divieto di esigere qualsiasi compenso per

l�attività svolta da parte dei componenti degli uffici sottoposti al

governatore oppure, in un�ottica di coordinamento con la precedente

CTh.1.16.6, si limitasse a reprimere le concussioni corrispondenti alle

violazioni sopra descritte.

Una risposta parzialmente soddisfacente mi sembra essere offerta

dallo stesso testo della costituzione, che contiene un�elencazione delle

condotte da reprimere la quale, benché non esaustiva, probabilmente

circoscrive l�ambito degli illeciti punibili.

Si vieta infatti che il velum del giudice sia suscettibile di vendita, che

l�ingresso e la stessa vista del preside abbiano un prezzo ovvero che il

secretarium si svilisca diventando oggetto di asta.

Queste prescrizioni, alquanto tautologiche, sembrano ribadire il

divieto di amministrare la giustizia senza il rispetto degli elementari

principi di pubblicità, libertà e gratuità espressi nella prima parte

dell�editto, rivolgendosi però, in questo caso, non direttamente al

giudice, ma ai suoi collaboratori che, con le loro condotte, potrebbero

agevolare l�instaurarsi di tale situazione di illegalità.

Segue a questo punto una lunga enumerazione delle diverse pratiche

condannabili e dei funzionari che avrebbero potuto concorrervi.

In sintesi Costantino commina la pena capitale a tutti coloro che,

officiales o scribae, richiedano qualche compenso per,

rispettivamente, ammettere le parti alla presenza del giudice o

consegnare loro gli atti processuali. La finalità di ciò, secondo le

137 Vedi S. Giglio, Il tardo impero d�Occidente e il suo Senato. Privilegi fiscali, patrocinio, giurisdizione penale, Napoli, 1990, 102ss.

82

parole contenute nella interpretatio, sarebbe stata quella di far sì che

��interpellantes tam divites quam pauperes sine ullo praemio

audiatur��.

Considerando tale costituzione si può quindi ritenere che essa, come

ha acutamente osservato F. De Marini Avonzo138 � �sanzionando con

la pena capitale le direttive fondamentali sull�andamento dei processi

costituisca il primo tentativo volto a far rispettare anche dal basso il

nuovo ordinamento pubblicistico, la cui caratteristica più importante è

forse quella di aver trasformato l�amministrazione della giustizia in

una parte della funzione amministrativa statale� �.

Rimandando all�ultimo capitolo per una trattazione della complessa

problematica della responsabilità dei funzionari imperiali nel tardo, va

sottolineato come anche i successori di Costantino continuino ad

emanare disposizioni volte ad evitare episodi di corruzione stante la

probabile persistenza del fenomeno.

In particolare, tali propositi trovano puntuale attuazione nell�opera

legislativa dell�imperatore Giuliano.

Bisogna premettere che una delle primarie cause della decadenza e

della corruzione del tempo era lo stesso sistema di reclutamento dei

governatori, i quali dovevano sostenere ingenti spese per l�acquisto

della carica e cercavano, non appena l�avessero ricoperta, di

recuperare le somme perdute eleggendo l�attività giudiziaria a fonte

prima del loro arricchimento139.

Intuendo che una delle principali cause della degenerazione della

giustizia era proprio il sistema dei suffragia, Giuliano cercò di porre

138 F.De Marini Avonzo, La giustizia, 325. 139 A.H.M. Jones, Il tardo, 486ss.

83

rimedio a tale fenomeno mediante la promulgazione di CTh.2.29.1 del

1° febbraio 362 volta a regolare l�attività dei suffragatores.

Pur non soffermandomi sull�interpretazione del testo di questa

costituzione, che è stato oggetto di un vivissimo dibattito140, mi limito

a segnalare come ad oggi la dottrina141 sia orientata a ritenere che

l�imperatore con questa disposizione abbia mirato a ridurre la

corruzione nell�amministrazione statale punendo i corruttori ancora

prima che i corrotti.

Al di là dell�intervento in esame, l�attenzione di questo imperatore per

i problemi della giustizia è in ogni caso grande ed infatti egli dimostra

di cercare effettivamente di risolvere le relative questioni per mezzo

dell�azione legislativa, rispondendo, per quanto possibile, alle istanze

dei suoi sudditi.

Illuminante a questo proposito è l�episodio di cui furono protagonisti

l�ex governatore della Gallia Narbonense Numerio, accusato di

malversazione, e il famoso oratore Delfidio che lo attaccava con

violenza, senza riuscire a sostenere l�accusa con prove adeguate142.

140 Su questa costituzione si sono soffermati, giungendo a conclusioni diverse: W. Goffart, Did Julian Combat Venal Suffragium ? A note on CTh.2.29.1, in CPh, 65, 1970, 145-151; T.D. Barnes, A Law of Julian, in CPh, 69, 1974, 288-291; R. Andreotti, Problemi del suffragium nell�imperatore Giuliano, in ARC,1, 1975, 3-26. Per una sintesi di tali posizioni vedi M. Caltabiano, Un quindicennio di Studi, 116-118. Sulla storia e l�evoluzione del suffragium nel basso impero e sulla legislazione precedente e successiva a quella di Giuliano vedi C. Collot, La pratique et l�institution du suffragium au Bas Empire, in RD, 43, 1965, 185-221. 141 In questo senso P. Arina, La legislazione di Giuliano, in AAN, 1985, 218; M. Sargenti, Aspetti e problemi dell�opera legislativa dell�imperatore Giuliano, in ARC, 3, 1979, 323-381, ed in particolare per la legge in questione 343, ora in Id., Studi sul diritto del tardo impero, Padova, 1986, 177-190. Tale autore rileva come per mezzo di questa costituzione, Giuliano colpisse, almeno indirettamente, la pratica dei suffragia negando la validità dei relativi accordi, vietando la ripetizione delle somme in base ad essi pagate e punendo chi violasse tali disposizioni con un�adeguata multa. 142 Amm.18.1.4

84

In questo frangente Giuliano non solo rifiuta di condannare un

innocente sulla base di inconsistenti indizi, ma comprova anche la sua

sensibilità per la pubblicità dei dibattimenti, dal momento che procede

all�interrogatorio, solo dopo aver ammesso ad assistere al processo

coloro che lo desiderino.

In proposito M. Sargenti ha sottolineato come �� l�impegno di questo

imperatore consistette nello snellimento e nell�accelerazione del

processo, ma soprattutto nel miglioramento della sua qualità e

nell�affermazione di un rigoroso principio di giustizia��143.

Il valore della pubblicità, intesa come necessaria presenza di spettatori

all�udienza, viene poi ribadito, nel 364, anche da Valentiniano I 144 che

emette varie disposizioni dirette ad evitare sia la segretezza dei

giudizi, sia la corruzioni dei giudici.

Con più precisione in CTh.1.16.10 del 365 e soprattutto in

CTh.1.16.11 del 369 invita i giudici a curare il mantenimento

dell�ordine pubblico e a difendere i cittadini di bassa estrazione

sociale dalle vessazioni dei potenti.

Al fine poi di contrastare le indebite influenze esterne sui giudici

Graziano nel 377, con CTh.1.16.13, proibisce a tutti coloro che

risiedono nella provincia di far visite private al governatore nelle ore

pomeridiane, a motivo sia della conoscenza personale, sia del loro

rango ed Onorio nel 408 in CTh.1.20.1 reitera questo concetto,

143 M. Sargenti, Aspetti, 366-368. 144 CTh.1.16.9: (Impp. Valentin. et Valens AA. Have Arthemi, carissime nobis). Iudex sibi hanc praecipuam curam in audiendis ac discingendis litibus impositam esse non ambigat, ita ut non in secessu domus de statu hominum vel patrimoniorum sententiam ferat, sed apertis secretarii foribus, intro vocatis omnibus, aut pro tribunali locatus et civiles et criminales controversias audiat, ne congruae ultionis animadversio cohibeatur. Absit autem, ut iudex, popularitati et spectaculorum editionibus mancipatus, plus ludicris curae tribuat quam seriis actibus.

85

aggiungendo che gli honorati non possono godere del privilegio di

sedere al banco del giudice, se è in corso un�azione giudiziaria nella

quale sono implicati.

Queste costituzioni non dovettero sortire l�effetto voluto, se ancora nel

VI secolo Giustiniano si trovò a tentare di sradicare il malcostume

giudiziario.

Per limitarci ai testi principali, si può ricordare come nel 535 la

Nov.8145 lamenti ancora l�abitudine dei governatori provinciali di

rilasciare, dietro pagamento di un�indebita somma di denaro, i

delinquenti o, ancora più gravemente, di condannare innocenti con la

conseguente crescita di omicidii, adulteri, rapimenti di vergini ed altri

vergognosi delitti. In tale disposizione l�imperatore si limita ad

imporre ai giudici la prestazione di un giuramento contenente, tra

l�altro, la promessa di perseguire i reati, senza comminare particolari

misure sanzionatorie.

Al rilievo, poi, che tale situazione di illegalità fosse propria solo

dell�ambito provinciale, si può opporre che nello stesso anno

condizioni analoghe vengono tuttavia descritte con riferimento alla

capitale, Costantinopoli, dalla Nov. 13146, a conferma del carattere

endemico e non solo periferico del problema.

In tale novella, al fine di assicurare una maggiore effettività alla

repressione criminale, Giustiniano sostituisce la figura del praefectus

vigilum con quella del praefectus plebis, quasi a testimonianza del

maggior rigore insito in tale carica, ma anche ciò non risultò

probabilmente sufficiente, se, a riprova delle dimensioni ormai

145 Nov.8.1; 7-8 e 10.1. In proposito si rimanda, per uno studio più approfondito, a R. Bonini, Ricerche, 112ss.

146 Nov.13.2 e 4-6.

86

ragguardevoli raggiunte dal problema, l�imperatore, ancora una volta,

nel 535, inserisce, tra le prescrizioni della Nov.17147, il monito ai

governatori di assicurare con ogni mezzo la persecuzione dei reati più

gravi e di non tenere conto, neppure, del diritto di asilo148.

Allo stesso anno risalgono poi molte altre disposizioni di analogo

contenuto149, che tuttavia toccano solo incidentalmente il problema e

sulle quali ritengo quindi inutile soffermarmi.

E� da notare, comunque, come, in tali leggi, la causa ultima delle

carenze e delle disfunzioni denunciate venga identificata nuovamente

nel fenomeno della vendita delle cariche, a riprova della mancata

fortuna delle disposizioni di Giuliano.

I magistrati, che hanno dovuto corrispondere considerevoli somme di

denaro per conseguire la propria posizione pubblica, continuano a

lucrare sull�attività giurisdizionale per rifarsi dell�esborso, tanto

mostrandosi negligenti nel perseguimento dei reati, quanto inducendo

colui che chiede soddisfazione a pagare per ottenerla.

Un altro tema ricorrente nelle Novelle di Giustiniano è poi l�invito ai

giudici ad amministrare la giustizia senza alcun riguardo per la

posizione sociale delle parti, anzi l�imperatore esorta a vigilare perché

i sudditi non vengano oppressi dagli appartenenti alle classi più

agiate150. Proprio in quest�ottica, tra l�altro, si dispone che gli imputati

per crimini commessi in provincia siano giudicati nel locus commissi

147 Nov.17.3; 5; 7. 148 Si veda in proposito G. Crifò s.v. Asilo (diritto di), in Encicl. del Dir., 3, Milano, 1958. 149 Ricordiamo Nov.24.1-2; 25.2-3; 26.3; 28.6; 29.5 tutte dell�anno 535. Tra le successive, giudico le più significative Nov.80.6-9 del 539 che è relativa alla sola Costantinopoli, nonché Nov.128.21 del 545 e 134.2-5 del 556 che non riguardano singole province o diocesi, ma hanno carattere generale.

150 Nov.24.2; 25.2.2 del 535; 30.5.1 e 102.1 del 536..

87

delicti, anziché nella capitale dove sarebbe più facile ordire

macchinazioni e compiere ingiustizie151.

Concludendo l�excursus sulle norme elaborate dagli imperatori per

combattere la corruzione, si può osservare che la ragione

giustificatrice sottesa a tali interventi continua a non emergere in

modo univoco.

Essa infatti può essere rinvenuta tanto in un�autentica preoccupazione

per le sorti dei ceti inferiori, quanto costituire il mero riflesso della

conclamata benignitas imperiale, quanto ancora integrare un tentativo

di debellare manifestazioni di malcostume, invise al sovrano, perchè

vissute come affronti alla sua autorità.

Le manifestazioni di malcostume che investono i soggetti coinvolti nel

processo penale non sono tuttavia riconducibili solo alle malversazioni

dei giudici corrotti, ma sembrano coinvolgere in pieno anche gli

avvocati.

L�unica parte dell�opera ammianea, specificatamente riservata alla

trattazione delle problematiche proprie del settore giudiziario, è infatti

la lunga invettiva che l�autore dedica agli esercenti la professione

forense152. Essi vengono distinti in quattro categorie153 e descritti, in

151 Questo è il contenuto essenziale della Nov.69 del 538 che ai cap.2-3 regola analiticamente il caso dell�assenza dell�imputato dalla provincia e al 4 restringe molto la possibilità di invocare il privilegium fori. Il fatto che la legge sia prevalentemente diretta contro ricchi e potenti, risulta con chiarezza dalla praefatio che sottolinea, tra l�altro, come costoro cercassero di spostare il luogo del giudizio per rendere più difficile la produzione di prove a loro carico. 152 Più diffusamente sull�argomento: R. Andreotti, Problemi della Constitutio de postulando attribuita all�imperatore Giuliano e l�esercizio della professione forense nel tardo impero, in RIDA, 19, 1972; M. Caltabiano, Studium iudicandi e iudicium advocatorumque pravitas nelle Res Gestae di Ammiano Marcellino, in ARC, 11, 1996. 153 La prima è costituita da coloro che � seminando contrasti diversi, si agitano tra risse e processi, consumando le porte delle vedove e le soglie delle persone senza figli o suscitano odi implacabili quando avvertano qualche possibilità di discordie

88

ogni caso, come rapaci, ignoranti, senza scrupoli e sensibili solo al

proprio tornaconto. Per Ammiano è infatti prassi ordinaria che �

�finalmente, dopo che sono trascorsi mesi, giorni ed anni, e i

contendenti sono ormai ridotti alla miseria, si giunge a trattare la

causa, ormai consunta dalla vecchiezza � gli illustri rappresentanti

del foro fanno il loro ingresso � e colui che maggiormente confida

nella sua eloquenza dà inizio ad un prologo soave � Tuttavia, mentre

tutti si aspettano la conclusione, il discorso termina con la

dichiarazione che, dopo tre anni, che il processo si va in qualche modo

istruendo, i difensori non ne sono ancora ben informati. E così,

ottenuta un�altra proroga, essi chiedono insistentemente il compenso

della loro difficile lotta� �.

Giustizia lenta, avvocati avidi ed ignoranti, generale diffusione della

calunnia ed utilizzo del processo come strumento di persecuzione

politica, sono perciò gli argomenti ricorrenti in Ammiano.

tra amici o parenti o affini � Per l�ostinazione maligna di costoro la temerarietà sostituisce la libertà, la sconsiderata audacia la costanza, la vuota abbondanza di parole la vera eloquenza� � (Amm.30.4.9 e 10). � �La seconda categoria è rappresentata da coloro che professando la scienza del diritto � tacciono come avessero le bocche cucite e per il loro continuo silenzio assomigliano alle proprie ombre � poi per apparire eruditi � citano Trebazio, Cascellio, Alfeno e le leggi da gran tempo dimenticate� � (Amm.30.4.11 e 12). �Il terzo gruppo è formato da coloro i quali, per segnalarsi in una professione così torbida, aguzzano le loro lingue venali per combattere la verità e con fronte sfacciata e molti ignobili latrati riescono a farsi aprire tutte le porte: costoro � si danno da fare perché le liti non abbiano mai termine e con inchieste complicate e confuse cercano di trarre in inganno i tribunali� (Amm.30.4.13). Infine vi è �un quarto ed ultimo genere di impudenti, ostinati ed ignoranti. Costoro abbandonate in fretta le scuole � esortano i cittadini innocenti ai litigi � e ammessi a difendere le cause � s�informano dell�importanza della questione e del nome del cliente � durante il processo stesso. Quando poi mancano di prove � si abbandonano alle ingiurie più sfrenate � e se si fa il nome di un antico scrittore pensano sia il nome straniero di un pesce o di una vivanda� � (Amm. 30.4.14 ).

89

3. Le garanzie pro condicione personarum. Deroghe e benefici a

favore di: a) senatori; b) militari; c) decurioni; d) clero.

A questo punto ritengo necessario introdurre un�ulteriore tematica

relativa ai soggetti del processo, che, qualora omessa, impedirebbe di

comprendere a fondo l�atmosfera propria dell�età postclassica e di

cogliere la ragione giustificatrice sottesa a molti interventi imperiali:

quella relativa alle garanzie pro condicione personarum.

Con questa espressione si designa il fenomeno in base al quale, nel

tardo antico, l�amministrazione della giustizia, nel seguire il proprio

corso, non riserva a tutte le categorie sociali un trattamento omogeneo,

ma appronta norme particolari a favore degli esponenti di determinate

classi.

Pertanto, il termine �garanzia� diventa sinonimo di �privilegio� ed

opera in relazione alla dicotomia honestiores � humiliores154,

distinzione che ha origini ben più risalenti rispetto al tardo impero155.

154 Su questa dicotomia segnalo in particolare: Th. Mommsen, Abriss des römischen Staatsrechts, Leipzig, 1907, 6, 2, 176 ss.(= Disegno del diritto pubblico romano, trad.it. di P. Bonfante a cura di V. Arangio � Ruiz, Milano, 1943); Id., Strafrecht, 394ss.; C. Julian, Honestiores-humiliores, in DS, 3,1, 235ss.; U. Brasiello, La repressione, 79ss; Id. s.v. Honestiores e humiliores, in NNDI, 8, Torino, 1962, 108; F. De Robertis, La variazione della pena �pro qualitate personarum� nel diritto penale, in RISG, 17, 1939, 59-110; G. Cardascia, L�apparition dans le droit des classes d� �honestiores� et d� �humiliores�, in RHD, 28, 1950, 305-337 e 461-485; P. Garnsey, Social status, 103-172 e 221-276; J. Gagé, Les classes sociales dans l�empire romain, Paris, 1971, 282-284; O. Robinson, Slaves and the Criminal Law, in ZSS, 89, 1981, 227ss. e 251ss.; D. Grodzynski, Les �summa supplicia�, 361-403; R. Rilinger, Humiliores-honestiores. Zu einer sozialen Dichotomie im Strafrecht der romischen Kaiserzeit, München, 1988; F. J. Navarro, La formación des grupos antagonicos en Roma: honestiores y humiliores, Pamplona, 1994. 155 Per quel che riguarda l�origine di tale distinzione già Th. Mommsen, Strafrecht, 1032-1033 riteneva che avesse avuto inizio con l�impero. A riguardo lo studioso, tuttavia, individuava non una mera bipartizione, bensì affermava che il soggetto sarebbe venuto in considerazione almeno da un triplice punto di vista

90

I principali ambiti in cui essa si manifesta sono quelli del foro

competente (CTh.9.1.1) di cui abbiamo già trattato a proposito del

ceto senatorio, della custodia preventiva (CTh.9.2.1; 9.2.2; 9.1.19 e

C.I.9.2.17; 9.4.4; 9.6.1), della tortura (CTh.9.16.6; 9.35.2.3; 12.1.117;

C.I.9.8.3-4; 9.18.7; 9.41.8-9; 9.42.3.3; 12.1.3) e della procedura

accusatoria (CTh.9.7.16).

Tali diversità emergono nelle disposizioni di Costantino solo

indirettamente, essendo i provvedimenti di questo imperatore per lo

più diretti a parificare, piuttosto che a diversificare i criteri applicativi

della legge penale. Costantino, infatti, oltre ad essere colui che

significativamente proclama �omnem honorem reatus excludit� in

CTh.9.1.1 del 316, in altri interventi successivi ridimensiona il

trattamento di favore riservato agli honestiores in ambito sia

probatorio (CTh.9.8.3-4 del ) sia detentivo (CTh.9.4.4 del ).

ovvero a seconda che fosse rientrato nella condizione di servus, libero-humilior, libero-honestior. L�equiparazione, contenuta nel testo di Macro (D.48.19.10pr.), tra servi e liberi humiliores ha però indotto alcuni autori, per tutti F. De Robertis, La variazione della pena nel diritto romano, Bari, 1954, 494 (= in Scritti varii di diritto romano, 3, Bari, 1987), a ritenere tale tricotomia come estranea alle fonti e ad optare per l�originario dualismo. Benché un passo delle Istituzioni di Giustiniano faccia risalire la distinzione tra honesti e humiles, a fini repressivi, ad Augusto, la scarsa fiducia circa l�assenza di interpolazioni in questo brano, induce a preferire un rescritto di Adriano del 119 d.C. riportato, in modo perfettamente coincidente da D.47.21.2 (Callistratus) e Coll.13.3.2 (Ulpianus) e nel quale si parla di splendidiores-alii. Solo con gli imperatori successivi e più precisamente a partire da Antonino Pio, però, comincia ad apparire l�uso terminologico, in seguito stabilizzatosi, di contrapporre gli honestiores agli humiliores. In particolare, sotto i Severi la diversità di trattamento tra le due categorie è ormai assurta a normalità, soprattutto dal punto di vista dell�irrogazione della pena, tanto che Papiniano in D.48.5.9 si sorprende quando ciò non accada.

91

Introducendo il discorso su CTh.9.1.1. si può osservare come

Pugliese156 ne abbia riassunto il contenuto nei seguenti termini: �non

facciamo differenza tra quelli che hanno una dignità e quelli che non

ce l�hanno, tutti possono essere arrestati�.

Al di là di questa semplificazione, va sottolineato come tale

dichiarazione, benché fatta con riguardo alla competenza territoriale,

essendo la presente costituzione diretta a negare la praescriptio fori ai

clarissima dignitate praediti, possa comunque considerarsi come una

enunciazione a carattere generale157.

Mentre a partire dal II secolo, ai fini soprattutto dell�irrogazione della

pena e della sua scelta, si aveva riguardo, come criterio discretivo, alla

dignità e rispettabilità sociale del soggetto coinvolto (nelle fonti si

parla spesso di respectus dignitatis158 o di honoris reverentia159),

invece nel tardo assume valore predominante la consistenza

patrimoniale della persona, tanto che pauperes, plebeii ed humiliores

vengono a coincidere160, benché la stratificazione sociale costituisca

una indiscutibile realtà nel tardo.

156 G. Pugliese, Garanzie, 616. 157 Nel 325 in CTh.7.4.1 l�imperatore Costantino non si lascia sfuggire l�occasione per ribadire �in qua culpa si quis fuerit adprehensus nec personae merito nec honoris fastigio defendendus est�. 158 D.48.19.28.5. 159 D.48.19.28.9 160 L�indifferenza da parte dei legislatori tardo antichi per i termini classici della distinzione si giustifica con il rilievo che essi ormai designano una connotazione meramente patrimonialistica. In tal senso sembrano deporre anche CTh.9.42.5 dell�imperatore Giuliano datata 362 e una costituzione di Valentiniano del 454 riportata in C.I.5.5.7. A tale proposito, F. De Robertis, La variazione, 510, osserva come: �il basso impero abbia smarrito completamente l�orientamento classico in ordine al fondamento delle varie categorie sociali espresso nella contrapposizione honestiores-humiliores. Se infatti continuano ad apparire distinctiones personarum come locupletes-plebei, pauperes, egeni (CTh.9.42.5; CTh.7.19.1.1; CTh.15.8.2; C.I.9.19.6; C.I.9.39.1), personae humilioris fortunae � personae superioris, splendidioris fortunae (CTh.7.10.1; CTh.16.10.12), humilioris conditionis � inferioris loci dignitatisve personae (CTh.7.18.1) ciò è pur sempre

92

In generale quindi in epoca postclassica la distinzione tra ceti sociali

da un lato sembra avere carattere eccezionale, dato il prevalere della

tendenza alla fissazione ex lege della pena e alla sua applicazione

formalmente egualitaria e, dall�altro, anche quando compare, presenta

un�accezione ben diversa da quella classica.

A riprova di ciò si può ricordare, tra l�altro, la frequenza con cui gli

imperatori richiamano il carattere unitario della regolamentazione,

ribadendo più volte che ad essa non debba sfuggire nessuno, in quanto

applicabile a quicumque o quisquis.

Ad un esame superficiale, pertanto, si potrebbe quasi ritenere che, in

certi casi, indipendentemente dal rango di appartenenza del colpevole,

il suo comportamento antisociale basti a renderlo indegno della

considerazione di cui ad altri effetti avrebbe goduto e che, anzi,

proprio il suo eventuale status elevato giustifichi un trattamento

sanzionatorio più rigoroso.

Ulteriore argomento a favore sarebbe invece che, in ordine alla pena

patrimoniale o multa, riappare la graduazione, ma sempre al fine

precipuo di colpire con maggior severità i ceti superiori.

Si coglie quindi una tendenza al livellamento sociale e bisogna perciò,

come al solito, chiedersi, se essa sia riflesso di un orientamento

all�isonomia almeno formale o un ulteriore tentativo di repressione dei

fenomeni devianti.

in funzione dell�elemento patrimoniale�. Nella stessa ottica si potrebbe leggere anche la posizione di privilegio attribuita ai grandi proprietari terrieri (possessores; potentiores). La causa dell�abbandono del concetto classico legato alla dignitas a favore di un�interpretazione economica si deve imputare per A. Ferrero, La rovina della civiltà antica, Milano, 1926, 23ss., alla decadenza della classe degli honestiores maturata durante la crisi del III secolo. Distrutta l�aristocrazia municipale, il decurionato non costituì più una dignità personale, ma una condizione sociale che si acquisiva per nascita o per censo (si veda in proposito CTh.12.1.33).

93

Le categorie sociali qualificate come honestiores sono essenzialmente

quattro : senatori, decurioni, militari e clero.

a) I senatori.

L�ordine senatorio, anche nel tardo impero, rimane lo strato sociale

più elevato, pur subendo numerose variazioni in ordine alla propria

composizione. Seguendo le sorti dell�impero, infatti, anche il senato si

sdoppia in due ordini, rispettivamente facenti capo alle città di Roma e

di Costantinopoli, che, solo a partire dalla metà del IV secolo, per

intervento dell�imperatore Giuliano, possono vantare una piena

parificazione giuridica161.

Tuttavia, mentre il senato di Roma resta più tradizionale e costituito

prevalentemente162 da famiglie di rango elevato e di antica nobiltà, che

continuano ad esercitare una grande influenza sul governo centrale,

quello di Costantinopoli figura come meno illustre, composto da

161 Questa duplice composizione sembra risalire all�imperatore Costanzo che con una serie di interventi contribuì a rafforzare il prestigio del senato orientale nei confronti di quello di Occidente. In particolare, l�imperatore nel 340, con CTh.6.4.5-6, creò tre preture annuali (Flavialis, Costantiniana, Triumphalis), nel 356 autorizzò il senato di Costantinopoli ad eleggere i pretori con la maggioranza legale di presenti di cinquanta membri (CTh.6.4.8-9) ed infine, nel 357, trasferì in esso tutti i clarissimi residenti in Achea, Macedonia ed Illirico. Quanto alla parificazione attuata da Giuliano si veda Zos.3.11.3 e Pan.3.24.5. 162 Non mancano comunque esempi di stranieri introdotti nell�ordine senatorio dopo essersi distinti nell�esercito, si pensi a Stilicone come ci testimonia Zos.4.57.2. Si veda in proposito S. Mazzarino, Stilicone, la crisi imperiale dopo Teodosio, Milano, 1942; P. Straub, Parens principum, Stilichos Reichspolitik und das Testament des Kaisers Theodosius, Klio, 1952, 94. Altri personaggi sono ricordati da Jones, Il tardo, 552. Infine sui rapporti dei barbari con Roma si veda S. Dill, The Roman Society in the Last Century of the Western Empire, 2, New York, 1960, 292ss.

94

membri di più recente designazione e pertanto meno decisivo nelle

vicende politiche dell�impero163.

Rinviando alle apposite trattazioni per l�approfondimento circa le

caratteristiche del senato nel tardo impero164, si può dire che, ai nostri

fini, ciò che interessa osservare è come, senza alcun dubbio, molti

siano stati i privilegi che, a partire dal IV secolo, vennero riconosciuti

e rafforzati a favore della classe senatoria.

Si tratta comunque di un processo lento che si consolida alcuni

decenni dopo la morte di Costantino, il quale aveva invece tentato,

almeno in un primo momento, di ridimensionare la potenza del senato.

Il punto di partenza di questa evoluzione si può individuare proprio in

un provvedimento di questo imperatore e più precisamente in

CTh.9.10.3, emanata il 6 ottobre 317 o 319165, con la quale

s�introdusse nel sistema giurisdizionale penale il principio della

riflessione della pena, che comportava una responsabilità per calunnia

in capo all�accusatore per il solo fatto dell�assoluzione dell�accusato,

In questo modo Costantino cercava di evitare che i senatori abusassero

dello strumento dell�accusa trasformandolo in uno stratagemma

diretto ad eliminare dalla scena politica avversari scomodi per mezzo

di accuse infamanti.

163 Questo è almeno il panorama che emerge dalle ricerche di M. T. W. Arnheim, The Senatorial Aristocracy in the Later Roman Empire,Oxford,1972. 164 In proposito: C. Lécrivain, Le Sénat Romain dépuis Dioclétien à Rome et à Constantinople, Paris, 1888; P. Petit, Les sénateurs de Constantinople dans l�oeuvre de Libanius, in L�antiquité classique, 26, 1957, 347-382; P. Arsac, La dignité sénatorial au Bas Empire, in RHD, 47, 1969, 202-213ss.; R. Etienne, La demographie des familles imperiales et senatoriales au IVe siècle après J.C., in Transformation et conflits au IVe siècle après J.C., Bonn, 1978, 133-168; G. Dagron, Naissance d�une capitale. Constantinople et ses institutions de 330 à 451, Paris, 1984, 119-210; P. Garbarino, Ricerche sulla procedura d�ammissione al senato nel tardo impero romano, Milano, 1988.

95

Questa norma ebbe però, come conseguenza inattesa, dopo la morte di

Costantino, lo sviluppo di un�articolata legislazione, volta a garantire

una sorta di immunità della classe senatoria, impedendo che un

illustris potesse essere sottoposto ad accusatio o comunque

incriminato sulla base di un�inquisitio, fatta eccezione per i delitti di

maiestas e di eresia166.

Tale ampia legislazione spazia dalla determinazione del foro

competente di cui ci siamo già ampiamente occupati, alla prova

testimoniale, fino alla possibilità di sottoposizione alla tortura degli

esponenti del senato.

Abbiamo già accennato trattando di praescriptio fori del divieto di

testimonianza in altri processi imposto al reo confesso e la limitazione

del ricorso alla custodia preventiva in considerazione della dignitas

dell�accusato.

Dando per acquisito quanto finora detto, va ora sottolineato come tutta

la normativa in tema di privilegi senatori in materia penale, finora

discussa, vada reinterpretata soprattutto alla luce di CTh.9.35.3

emanata da Graziano il 27 marzo 377, la quale proibisce la tortura dei

senatori.

Sia nella prima metà del IV secolo, che per tutto il V, diventa infatti

estremamente difficile e rischioso esercitare l�accusa nei confronti di

un senatore e il privilegio dell�esenzione dalla tortura rende ciò ancora

più manifesto. 165 Secondo O. Seeck, Regesten, 58 e 169 tale costituzione è del 319; per C. Chastagnol, La Préfecture, 91 nt.5 del 317. 166 Sull�eresia si veda CTh.16.5.9 del 31 marzo 382 emanata da Teodosio a Costantinopoli. Per un esame più approfondito di questa costituzione si rinvia a J. Rougé, La législation de Théodose contre les héretiques. Traduction de CTh.16.5.6-24, in Epektatis. Mélanges patristiques offerts au cardinal J.

96

Costantino, con CTh.11.36.1 del 2 novembre 314/315, aveva

circoscritto la possibilità di emettere sentenze capitali ai soli casi di

confessione dell�imputato o di unanime deposizione dei testimoni,

con la conseguenza di un uso sempre più massiccio della tortura, come

mezzo per provocare la confessione.

Sottrarre i senatori a tale cruenta pratica significava perciò di fatto

limitare significativamente la possibilità di condannarli a morte.

Per effetto poi di un susseguirsi di disposizioni, pervenute per mezzo

di P.S. 5.15.1- 3 e 5.16.5 e riprese anche da Edictum Theodorici 48,

vengono sancite una vasta serie di incompatibilità relative alla

testimonianza e all�accusa in capo ad una pluralità di soggetti.

Tra di essi in particolare rientrano i domestici, cioè gli ingenui, non

cognati, che frequentano abitualmente la casa del senatore, i parentes,

cioè i genitori, i liberi, cioè i figli, i cognati, cioè tutti i parenti in linea

diretta o collaterale sia di sesso maschile che femminile ed infine i

servi ed i liberti.

Questi ultimi, qualora trasgressori, per effetto di CTh.9.6.1 del 15

marzo 376, avrebbero addirittura dovuto subire la pena del rogo, fatta

eccezione per il caso di un�accusa di maiestas.

Stesso trattamento e stessa deroga è poi estesa, per effetto di

CTh.9.6.3 dell�8 novembre 398, alla generalità dei familiares, da

intendere come quei soggetti ingenui di nascita che, pur frequentando

abitualmente la casa, non sono parenti.

Tale incapacità relativa di accusare imposta a liberi, domestici o

familiares, schiavi, liberti e parenti tutti ha come ragione giustificativa

l�esigenza di proteggere la persona del pater da subdole

Danielou, Paris, 1972, 635-649; G. Barone-Adesi, Eresie �sociali� ed inquisizione teodosiana, in ARC, 6, Napoli, 1986, 119-166.

97

macchinazioni, ma, se combinata con il divieto di chiamata in correità

di CTh.9.1.19 e le incapacità assolute di accusare previste già in età

classica167, produce una sostanziale impunità della classe senatoria.

Tanto più che CTh.9.6.4 amplia ulteriormente ciò abolendo nel 423

l�eccezione relativa al crimen maiestatis, prevista in tutte le precedenti

leggi dello stesso titolo.

Da questo articolato intreccio di disposizioni si ricava in sostanza che

un senatore poteva essere alla fine accusato o da una persona libera,

purché non sottoposta a procedimento penale e con un reddito

superiore ai 50 aurei (ma quali prove avrebbe mai potuto addurre

questi se tutti coloro che, in qualche modo, avevano contatti abituali

col senatore erano gravati dal divieto di accusa o di testimonianza e lo

stesso accusatore rischiava la pena del reciproco ?) oppure da un suo

pari grado, ma limitatamente ai crimini contro lo stato.

Ne deriva, almeno in Occidente, una disciplina tutt�altro che

ugualitaria, volta all�esaltazione della garanzia personale, che tuttavia,

a mio parere, almeno questa volta, non è il frutto di una deliberata

scelta di politica legislativa, bensì il prodotto stratificato e secolare di

consuetudini, privilegi ed immunità che in uno stato, ormai in declino,

nessuno tentava neppure più di sradicare.

A riprova di ciò si pensi come in Oriente invece tale regolamentazione

non trovi spazio, ma anzi i termini della distinzione si affievoliscano

sempre più fino a costituire, almeno nella compilazione giustinianea,

un mero retaggio della tradizione.

167 Soggetti a tali incompatibilità assolute erano gli schiavi o i liberti che non avessero almeno un figlio o un patrimonio pari a 30.000 sesterzi, i poveri che non possedessero almeno 50 aurei, i magistrati nell�esercizio del loro ufficio, i soldati sotto servizio militare, le donne, gli impuberi, i minori di 25 anni, i figli di

98

b) i militari.

Un�altra tipologia di soggetti che, rientrando nella più ampia categoria

di honestiores, godono, nell�ambito della vita giudiziaria tardo antica,

di particolari garanzie e privilegi, in ragione della carica ricoperta,

sono i militari168.

Ritengo subito utile premettere che, nonostante le disposizioni

dedicate, all�interno del Codice Teodosiano, agli appartenenti a questo

ordine169, ad oggi conosciamo ancora poco o nulla dei giudizi

effettivamente svolti nei confronti di tali soggetti.

In particolare sappiamo con certezza solo di come i militari godessero

della castrensis iurisdictio, cioè della possibilità di essere giudicati

direttamente dai propri superiori di cui abbiamo già trattato, nonché di

trattamenti differenziati in materia di tortura e pene.

famiglia senza l�assenso del pater familias, gli infames e quanti avessero già esercitato l�accusa due volte. 168 Per un ulteriore approfondimento sulla figura del militare, anche nel tardo, si rinvia a M. Carcani, Dei reati, delle pene e dei giudizi militari presso i Romani, Milano, 1874; A.H.M. Jones, Il tardo impero, 488ss.; F. De Martino, Storia, 460ss.; V. Giuffrè, Il �diritto militare� dei Romani, Bologna, 1980, 75ss.; Id., Testimonianze sul trattamento penale dei �milites�, Napoli, 1989, 17ss.; F. Goria, Giudici civili e giudici militari nell�età giustinianea, in SDHI, 61, 1995, 447ss. 169 Ai militari è dedicato l�intero libro settimo del Codice Teodosiano. Già nel titolo primo, rubricato De re militari, sono tuttavia anticipati sommariamente i principali contenuti della disciplina dedicata alla materia dell�organizzazione militare. Le diciotto costituzioni che lo compongono infatti richiamano tutti i più importanti temi in materia: dalla disciplina delle licenze (poi approfondita in CTh.7.12) ai privilegi per i veterani (ripresi in CTh.7.20) fino all�obbligo dei figli dei militari di indirizzarsi all�honor armorum (CTh.7.22) e alla piaga della diserzione (CTh.7.18). Va comunque sottolineato come nessun titolo sia specificamente dedicato al trattamento penale degli appartenenti all�esercito.

99

Per quanto attiene alle pene capitali esse di solito sono eseguite fuori

dal campo (extra vallum) ed inflitte con la decapitazione (decollatio) o

con la fustigazione (fustuarium) fino alla morte.

E� però nel settore delle pene non capitali che si riscontrano le

principali incongruenze rispetto al �regime ordinario� e, più nel

dettaglio, sorprende il fatto di non trovare mai inflitta la sanzione, al

contrario molto diffusa nella tarda antichità, costituita dalla condanna

ai lavori forzati170.

La spiegazione di questa differenza di trattamento è, a mio avviso,

rinvenibile nello stesso carattere �speciale� della giurisdizione

militare; poiché infatti la scelta delle pene da applicare in concreto è

rimessa agli stessi capi militari si può ipotizzare che questi, qualora

non ritengano di comminare la pena di morte, preferiscano far

scontare le altre sanzioni di ordine fisico nello stesso ambito della

milizia, avendo in questo modo anche maggiori garanzie circa una

loro effettiva esecuzione.

Accade così che, pur non rinvenendo notizia di condanne ad metalla

irrogate a soldati, non è infrequente riscontrare nelle fonti

l�imposizione ai militari di altre mansioni di fatica straordinarie, quali,

ad esempio, la munerum indictio, consistente nella realizzazione di

fossati o di fortificazioni di altro genere, utili all�esercito, in assenza di

una pena si impone pertanto in via discrezionale un munus avente

contenuti analoghi.

170 Questa esenzione risale già all�età classica per cui si veda in proposito si veda D.49.16.3.1 per cui �Milites�in metallum, aut in opus metalli non dabuntur� e D.49.18.3.

100

Quanto infine all�esenzione dei milites dalla tortura, si tratta di un

privilegio avente origini assai risalenti171, che tuttavia non manca di

trovare enunciazione anche nel tardo antico.

La norma più di ogni altra significativa da questo punto di vista è

CTh.9.35.1172 dell�8 luglio 369 la quale, fatta eccezione per il crimen

maiestatis, esclude la possibilità di esperire lo strumento della tortura,

senza previa autorizzazione imperiale, nei confronti di coloro che

siano protetti vel militiae auctoramento vel generis aut dignitatis

defensione.

c) I decurioni.

Ancora più scarse sono le notizie pervenute a proposito dei

decurioni173. Benché ad essi sia infatti dedicato l�intero ampio titolo

12.1 del Codice Teodosiano, le disposizioni relative al trattamento

penale loro riservato rimangono estremamente oscure.

171 La testimonianza più antica riguardo all�esenzione dei militari dalla tortura risale a Tarrunteno Paterno in D.49.16.7 (Tarrunt. Pat. De re mil, 2), tuttavia Th. Mommsen, Le droit pénal, 82 nt.2 preferisce ritenere che il privilegio risalga all�età di Tiberio. 172 CTh.9.35.1: (Imppp. Valentinianus, Valens et Gratianus AAA. ad Olybrium praefectum urbi). Nullus omnino ob fidiculas perferendas inconsultis ac nescientibus nobis vel militiae auctoramento vel generis aut dignitatis defensione nudetur, excepta tamen maiestatis causa, in qua sola omnibus aequa condicio est. II quoque citra consultationis modum subiciantur quaestioni, qui evidentibus argumentis subscriptiones nostras finxisse prodentur, qua in re ne palatini quidem nominis adsumptionem huius esse volumus quaestionis exortem. 173 Si occupano dei decurioni, tra gli altri, M. Nuyens, Le statut obligatoire des décurions dans le droit constantinien, Louvain, 1964, 1-332; R. Ganghoffer, L�evolution des institutions, 215ss.; F. De Martino, Nota storica sui �decurioni�, in Diritto, economia e società nel mondo romano. Diritto pubblico 2, Napoli, 1996, 147ss.

101

Sulla base di una breve esposizione storica si può osservare che molti

erano stati invece i vantaggi riconosciuti a questa categoria sociale nel

corso del II-III secolo.

Se infatti l�imperatore Adriano, come risulta da D.48.19.15, aveva

escluso la possibilità di sottoporre i decurioni ed i loro figli alla pena

di morte, appena un ventennio dopo, M. Aurelio ne aveva vietato

anche la deportazione.

La disposizione più completa in materia di repressione criminale dei

decurioni rimane comunque D.48.19.9.11-14 nella quale Ulpiano

riferisce come gli appartenenti a tale ordine fossero sottratti

all�applicazione di alcune pene terribili e crudeli, che egli identifica

in: a) condanna in metallum; b) condanna in opus publicum; c)

impiccagione; d) rogo.

Questo elenco brevemente tracciato da Ulpiano è poi completato da

Marciano mediante l�aggiunta di due ulteriori esclusioni e più

precisamente: e) la pena ad bestias; f) la fustigazione.

Non rinvenendo traccia nelle fonti successive di una norma abolitiva

di questi privilegi, ne deduco una generale applicabilità anche nell�età

tardo imperiale.

L�assenza di disposizioni relative al trattamento penale dei decurioni a

partire dal IV secolo, se si esclude CTh.8.2.4 dell�imperatore

Valentiniano che esonera i curiales dalla tortura, può comunque

trovare una spiegazione logica.

E� infatti consentito supporre o che gli imperatori considerassero

ormai inutile ribadire privilegi già concessi e quindi impliciti

nell�ordinamento oppure che il ruolo, prima assai prestigioso, degli

appartenenti alle curie avesse patito una diminuzione tale da

giustificare perché le fonti letterarie spesso descrivono decurioni più

102

dediti a far valere i propri antichi privilegi che a godere di nuovi

benefici. Anche alla luce delle considerazioni svolte, ritengo perciò

plausibile ipotizzare un ceto curiale ormai assorbito nel sistema

burocratizzato e gravato dall�onere dell�ereditarietà, il quale, se in

Occidente riesce ancora a godere degli antichi privilegi, in Oriente

deve lottare per non sprofondare nell�anonimato della pesante

macchina amministrativa rivendicando l�essenzialità del compito

svolto a favore dell�impero e delle sue casse.

d) Il clero.

Un�ultima categoria che merita la nostra attenzione, sotto il profilo

delle garanzie pro condicione personarum, in quanto destinataria di un

trattamento giuridico privilegiato, è quella degli ecclesiastici174.

Le agevolazioni riconosciute a costoro, tuttavia, a differenza di quanto

si è potuto riscontrare con riguardo a senatori militari e decurioni, non

si esauriscono nell�attribuzione del privilegium fori e nel

riconoscimento di una dispensa dalla tortura, bensì si atteggiano come

più varie ed articolate.

Senza perciò sottovalutare il beneficio consistente

nell�assoggettamento ai tribunali episcopali, misura protettiva che

permette al clero, sia di godere di una giustizia migliore, amministrata

da giudici meglio formati, sia di mettersi al riparo da pene crudeli tra

174 Tra le principali opere sull�argomento si segnalano: B.Biondi, Il diritto romano cristiano, 516ss.; J. Gaudemet, L�Eglise dans l�Empire Romain (IV-V siècles), Parigi, 1958; L. De Giovanni, Chiesa e Stato nel codice Teodosiano. Saggio sul libro XVI, Napoli, 1980. Tra i più recenti si ricorda anche, nonostante la portata limitata, L. Cracco Ruggini, La fisionomia sociale del clero ed il consolidamento delle istituzioni ecclesiastiche nel Nord-Italia (IV-VI secolo), in Morfologie

103

cui quella capitale, non si può fare a meno di osservare che questo non

è l�unico settore nel quale le costituzioni imperiali concedono benefici

agli ecclesiastici.

In particolare meritano attenzione le vicende legate al riconoscimento

dell�esenzione dalla testimonianza disposto a favore dei religiosi.

Nel 381 infatti Teodosio I pone il divieto per i vescovi di essere

obbligati a testimoniare. Il fatto che il relativo frammento, riportato da

CTh.11.39.8175, riproduca il testo di due interlocutiones pronunciate

dall�imperatore in un consistorio tenuto a Costantinopoli, induce

tuttavia a ridimensionare, fin da subito, la portata di questa

disposizione.

Posto che l�interlocutio costituisce la forma tipica di decisione degli

incidenti processuali, se ne può fondatamente dedurre che

l�imperatore fosse stato chiamato, in quell�occasione, a risolvere un

caso concreto in cui ci si interrogava circa la liceità di una chiamata in

testimonianza di un episcopo, eventualmente seguita da una sua

traduzione forzata in giudizio.

Teodosio risolve la questione affermando, nella prima interlocutio,

che un vescovo non è costretto a rendere testimonianza in un processo

criminale né dall�honor, né dalle leges.

Sembra pertanto sancire non un�incapacità assoluta dei membri

dell�episcopato a testimoniare, ma solo un privilegio a loro favore di

astenersi, qualora citati in un processo criminale.

sociali e culturali in Europa fra Tarda Antichità e Alto Medioevo (3-9 aprile 1997), Spoleto, 1998, 225ss. 175 CTh.11.39.8: Pars actorum habitorum in consistorio aput imperatores Gratianum, Valentinianum et Theodosium cons. Syagri et Eucheri die III kal. iul. Constantinopoli. In consistorio Imp. Theodosius A. dixit: episcopus nec honore nec legibus ad testimonium flagitatur. Idem dixit: episcopum ad testimonium dicendum admitti non decet, nam et persona dehonoratur et dignitas sacerdotis

104

Nella seconda interlocutio, tuttavia, Teodosio fa maggior chiarezza, in

quanto dichiara esplicitamente di ritenere sconveniente per un vescovo

assumere la veste di testimone, posto che la dignità sacerdotale di cui

è investito ne uscirebbe deturpata.

Anche questa affermazione va però letta alla luce delle circostanze

storico politiche che portano alla sua emanazione.

Come è stato autorevolmente suggerito da Gotofredo176, è infatti

probabile che il caso concreto sottoposto all�attenzione imperiale

trovasse origine nelle accuse che i vescovi si erano reciprocamente

rivolti in occasione della loro partecipazione al II concilio ecumenico

svoltosi, tra il maggio e il luglio di quell�anno, a Costantinopoli.

Poteva quindi non apparire conveniente che, in quella circostanza, gli

stessi componenti del sinodo si presentassero a testimoniare a favore

di un collega ed a danno di un altro, dal momento che ciò avrebbe

contribuito solo a gettare discredito sulla categoria vescovile.

Ritengo quindi fondato interpretare questo intervento del 381 non

come una inibizione assoluta agli episcopi della possibilità di

testimoniare nei giudizi penali, ma come una mera valutazione di

opportunità espressa al ricorrere di circostanze molto particolari.

A sostegno di una simile lettura è d�ausilio anche il contenuto di

CTh.11.39.10 emanata dallo stesso Teodosio nel 386 e che sembra

estendere anche ai presbiteri i privilegi già riconosciuti ai vescovi.

In essa infatti l�imperatore non mette in dubbio la possibilità degli

ecclesiastici e più precisamente dei presbiteri di rendere excepta confunditur. (381 iun. 29). 176 Gotofredo, Ad h.l., a cui mostra di aderire Biondi, Il diritto romano cristiano, 1, 384. Nonostante l�inserimento all�interno del Codice Teodosiano di questa norma possa indurre a propendere per una generalizzazione delle sue prescrizioni,

105

testimonianza, ma si limita ad assicurare che in tale evenienza essi

possano agire liberi dalla costrizione della tortura.

Tuttavia, al fine di evitare che il clero approfitti di questa sostanziale

immunità, riconosce ai litigatores la facoltà di incriminare quei

presbiteri che, abusando di questa norma di favore, se ne servano per

occultare il vero o, ancora peggio, per dichiarare il falso.

L�imperatore ha comunque cura di precisare che tale privilegio assiste

soltanto i presbiteri, in quanto ogni altro chierico di grado od ordine

inferiore, quando citato come testimone, dovrà rendere le proprie

dichiarazioni nei modi previsti per legge e quindi, qualora l�istruttore

lo ritenga necessario, anche per tormenta.

A tale disparità di trattamento tra appartenenti al clero reagiscono

però, in seguito, le statuizioni del Concilio di Cartagine del 401177 le

quali, disponendo che nessun ecclesiastico possa essere chiamato a

rendere testimonianza davanti ad un giudice laico, cercano di sottrarre

i religiosi di ogni grado dalle vessazioni insite nella tortura secolare .

Esistono comunque ulteriori concessioni, attribuite dalla legislazione

imperiale al clero, che assumono più marcatamente il carattere di

privilegio, rispetto alla disciplina in tema di testimonianza finora

illustrata.

In particolare, Valentiniano III nella Nov.35.1, con un�ulteriore deroga

al diritto comune, dispensa i vescovi dal comparire personalmente in

giudizio quando imputati di un crimine di estrema gravità. In questo

caso infatti l�imperatore dispone che gli ecclesiastici siano

altre costituzioni, come vedremo, sembrano confermarne la portata meramente particolare. 177 Il 13 settembre del 401 si riunì a Cartagine il concilio plenario. In tale sede, l�assemblea emanò vari canoni disciplinari, tra cui quello in esame. In proposito si rimanda a Diz. Patristico, 606.

106

formalmente rappresentati nella causa da un procuratore investito in

modo solenne, pur rimanendo i sostanziali destinatari della sentenza e

del suo dispositivo.

Altre costituzioni perseguono invece l�obiettivo di proteggere il clero

contro abusi e violenze e, fra tutte, di particolare interesse è

CTh.16.2.31 (= Sirm.14) del 399.

Si tratta di un�epistola dell�imperatore Onorio al prefetto del pretorio

Teodoro relativa al delitto di profanazione delle chiese.

In essa si sancisce che, qualora qualcuno, irrompendo nelle chiese,

commetta un sacrilegio tale da arrecare ingiuria ai sacerdoti, ai loro

aiutanti o allo stesso luogo di culto, ciò debba subito essere portato a

conoscenza delle potestates, sia tramite litterae dei magistrati e dei

curatori, sia tramite notoria degli apparitores, affinché siano resi noti i

nomi dei colpevoli identificati.

La pena nei confronti di costoro non potrà essere altro che la morte e,

data la gravità dell�offesa, si dovrà procedere alla sua esecuzione nel

più breve tempo possibile senza attendere che sia il vescovo a

reclamare la punizione.

Questo intervento, in origine indirizzato alla provincia d�Africa, in

ragione del clima turbolento e scismatico imperversante nel territorio,

assume poi, data la sua collocazione nel Teodosiano, carattere

generale, ponendo così una misura di protezione specifica a favore del

clero contro i crimini di violenza e saccheggio, sconosciuta alla

legislazione previgente.

Gli imperatori non si preoccupano però di tutelare gli ecclesiastici solo

dalle eventuali offese dei privati, bensì si curano di predisporre a loro

favore opportune garanzie anche nei confronti degli abusi perpetrabili

dalla stessa burocrazia statale.

107

In particolare, l�imperatore Leone, nel 472, in un lungo

provvedimento relativo agli ecclesiastici, pone almeno due

disposizioni di particolare favore178.

Da una parte infatti, mediante C.I.1.3.32.6, interdice l�uso della

misura della detenzione nei confronti degli appartenenti al clero e,

dall�altra, con C.I.1.3.32.5 si preoccupa di ridurre ad una somma

modesta le remunerazioni, ormai istituzionalizzate, che i funzionari

possono esigere dai clerici che agiscono in giudizio.

Unificando concettualmente tutti gli interventi brevemente illustrati

finora, si può osservare come essi si limitino ad introdurre garanzie

settoriali, giustificate dal ruolo ormai centrale assunto dalla chiesa e

dai suoi componenti nella società tardo antica.

In conclusione va osservato come i privilegi riconosciuti alle quattro

categorie di soggetti finora discussi siano interpretabili come

interventi occasionali, volti a carpire il favore degli strati sociali più

influenti mediante la concessione di quei benefici dei quali la

situazione socio-politica contingente richiede il riconoscimento o,

perlomeno, la riaffermazione degli stessi.

CAPITOLO TERZO

178 In proposito A.S. Scarcella, La legislazione di Leone I, Milano, 1994, 86ss.

108

IL PROCESSO CRIMINALE NEL TARDO IMPERO: LUOGHI, MODI, TEMPI.

SOMMARIO: 1. I luoghi del processo. � 2. Il dibattimento, la fase istruttoria e la pronuncia della sentenza. Il contributo delle fonti non giuridiche: il processo per magia di Libanio ed il racconto di Procopio da Cesarea � 3. La legislazione in materia di durata dei giudizi. 4. I tempi del processo e la carcerazione preventiva. Cenni in tema di tortura

1. I luoghi del processo.

Dopo aver discusso circa l�identità del potenziale accusatore e

l�individuazione del giudice adito, si tratta ora di ricostruire

sommariamente il concreto dipanarsi dell�attività processuale.

Mi propongo quindi, preliminarmente, di determinare dove e come si

svolgesse il giudizio, dopo di che analizzerò per quanto possibile, data

l�esiguità delle fonti, le modalità di formazione della sentenza e la sua

pubblicazione.

Il processo penale, a differenza di quello civile che aveva come

scenario abituale la basilica179, si mostra problematico già nella

determinazione della sua localizzazione.

Mentre alcuni autori180, infatti, sulla base essenzialmente dei processi

dei martiri, assunti erroneamente a mio parere a paradigma dei

179 Uno studio accurato ed interessante in materia è stato condotto da G. Dareggi, I luoghi dell�amministrazione della giustizia nella Tarda antichità, in ARC, 11, Napoli, 1996, 377ss. 180 G. Lanata, Gli atti dei martiri come documenti processuali, Torino, 1989, 133. analizza, tra gli altri, gli atti dei martiri Perpetua e Massimiliano, nei quali si indica come luogo di udienza il foro. Il teatro di Smirne sarebbe stato invece sede dell�interrogatorio del martire Pionio e del processo di Policarpo; G. Dragon, Costantinopoli. Nascita di una capitale (330-451), trad.it., Torino, 1991, 322 indica l�ippodromo di Costantinopoli come luogo abituale delle esecuzioni capitali. Sono comunque nettamente contraria a considerare paradigmatici tali processi sia perché esulano dall�arco temporale del mio esame, sia perché secondo me condotti con modalità repressive derogatorie rispetto alla procedura ordinaria.

109

processi penali tardo antichi181, individuano come luogo ancora

ricorrente di amministrazione della giustizia criminale il foro o

comunque lo spazio pubblico, altri, Santalucia182 per primo, si

assestano su posizioni nettamente contrastanti.

Secondo tale autore �l�obbligo di giudicare pubblicamente venne

sempre più rapidamente meno, sostituito dalla prassi delle cognitiones

segrete condotte nei secretaria, uffici riservati dei funzionari imperiali

appartati e interclusi al pubblico mediante l'apposizione di inferriate

(cancelli) e tendaggi (vela) rimossi soltanto in particolari fasi del

giudizio, quali ad esempio la lettura della pronuncia finale�.

A tali secretaria sarebbero stati eccezionalmente ammessi solo i

dipendenti imperiali incaricati della redazione del verbale, nonché

alcuni illustri personaggi, peraltro non identificati con sicurezza dalle

fonti.

Chi immaginiamo si potesse trovare in aula ?

Sicuramente il giudice coadiuvato dagli adsessores, in particolare

quelli destinati alla verbalizzazione, che è ormai assurta a passaggio

ineliminabile del processo tardo antico, dopodiché certa è la presenza

dell�accusatore (ove esistente), dell�accusato (qualora non

contumace), dei relativi patrocinatori legali, nonché infine dei

181 Varie sono state le ipotesi interpretative sulle azioni promosse contro i cristiani, in particolare, mentre per alcuni erano perseguitati in base ad una legge speciale, valida per tutto il territorio dell�impero, secondo altri invece ci si basava sull�ordinamento penale comune ricollegandosi alle fattispecie di incesto, associazione illecita, magia, introduzione di culto straniero e soprattutto maiestas. Altri ancora infine ritenevano le persecuzioni cristiane fondate su un uso discrezionale dell�imperium finalizzato al mantenimento dell�ordine pubblico. Per una ricognizione di tutte le diverse posizioni in materia si rinvia a G. Lanata, Gli atti dei martiri, 74 ss il quale dal suo canto ipotizza l�esistenza di un autonomo capo d�accusa costituito dalla qualità stessa di cristiano. 182 B. Santalucia, Diritto e processo, 284, della stessa opinione anche V. Giuffrè, La repressione, 152.

110

testimoni, più una serie di residentes (honorati, primates, summates,

principales etc.).

Come sempre restia ad accettare acriticamente le opinioni dottrinali,

per quanto autorevoli, intendo condurre un breve esame sui testi, al

fine di trarne tutte le informazioni utili ad una ricostruzione, per

quanto possibile, anche di questo aspetto del processo criminale tardo

imperiale.

In primo luogo, in contrasto con l�opinione di Santalucia mi sento di

riportare:

C.Th.1.16.10 [= Brev.1.6.3]: (Impp. Valentinianus et Valens AA. ad Valerianum Vicarium Hispaniarum). Libellos iudicibus, postquam se receperint, vetamus offerri, ne super alienis causis vel statu pronuntient, quando ab officii conspectu atque ab oculis publicis recesserint. Praelata VI. id. sept. Veronae, Valentiniano et Valente AA. conss 183.

Questa costituzione, che viene datata 8 settembre 365 in quanto si

ritiene appartenente allo stesso contesto normativo di C.Th.9.3.4184,

già esaminato in precedenza, vieta ai giudici di accettare ulteriori

elementi di accusa dopo la conclusione del pubblico dibattimento (ab

oculis publicis).

183 Interpretatio: Iudices, postquam se de consessu publico in domum suam receperint, libellos a litigatoribus non accipiant, nec sine officio suo de causis alienis vel de statu aliquid cognoscant.

52 Così risulta da Th. Mommsen, ad h.l. e da O. Seeck, Regesten, 226. 53 La tematica della pubblicità del processo criminale tardo antico costituirà oggetto del § 2 in cui verranno esaminate anche CTh. 1.12.1; CTh. 1.16.6 ; CTh. 1.16.7; CTh. 1.16.9 ; CTh. 1.16.10. 54 Lydus 3.37

111

Ne risulta quindi che, terminate le formalità necessarie alla

costituzione del rapporto processuale, si riteneva formata

un�imputazione già sufficientemente determinata, che non si voleva

pregiudicare mediante la possibile proposizione di motivi nuovi.

Il riferimento al pubblico dibattimento185 poi, (benché posto in

alternativa con ab officii conspectu e quindi da non sopravalutare),

fornisce la possibilità di ipotizzare un giudizio penale che, anche se

svolto nei pubblici palazzi, non precludeva in assoluto la presenza di

una pluralità di spettatori.

Una rappresentazione particolarmente accurata dei luoghi e modi in

cui si svolgevano i giudizi nel periodo imperiale proviene da Giovanni

Lido186, cronista dell�età giustinianea. Tale autore indica come sede

privilegiata di amministrazione della giustizia, almeno nei processi

davanti al prefetto del pretorio, l�auditorium, che descrive come

diviso in due parti da una parete posta nel mezzo della sala e composta

da pertiche di legno disposte in senso obliquo al fine di formare una

sorta di reticolato. Tale parete, designata con il nome di saeptum o

cancellum, era presidiata costantemente da due addetti all�officium

che, proprio in relazione a tale compito, erano detti cancellarii187.

Da CTh.1.16.7 ed altre fonti188 si ricava poi la presenza dei vela,

tendaggi trasparenti utilizzati per separare il magistrato dalle altre

persone che gli sedevano accanto.

186 Per gli studi relativi a questo personaggio si veda per tutti: J. Caimi, Burocrazia e diritto nel De magistratibus di Giovanni Lido, Milano, 1984.

188 C.Th.1.16.7 : ��non sit venale iudicis velum..� ; C.Th. 13.9.6 (= C.I. 11.5.5): �levato velo istae causae cognoscantur..�; Giovanni Crisostomo., Hom., 56, in P.G.,550ss:�ôá ðáñáðåôáóìáôá óõíåëĸõóáíôåò ïß ðáñåóôùôå�.

112

La coesistenza di tali elementi di sbarramento, a mio parere, anziché

confermare l�idea espressa dal Santalucia189 di un processo ormai

segreto ed intercluso al pubblico, la ridimensionano.

Da un attento esame della testimonianza di Giovanni Lido, infatti, si

ricava che, mentre il velum era alzato nella parte più interna del

secretarium per sottrarre il magistrato alla vista del pubblico in

determinati momenti dell�udienza, il cancellum serviva a separare i

pubblici funzionari procedenti dalla folla degli astanti, la cui presenza

è quindi palese.

Conferma di ciò proviene anche da Sidonio Apollinare che già nel V

secolo ci informa di come alla corte di Teodorico, re dei Visigoti:

�pellitorum turba satellitum, ne absit, admittitur, ne obstrepat,

eliminatur, sicque pro foribus immurmurat exclusa velis, inclusa

cancellis�190.

Il fatto che il processo, ormai, solesse svolgersi in un luogo chiuso,

non esclude affatto che il pubblico potesse esservi ammesso: in tal

senso depone anche la famosa Collatio191, convocata a Cartagine nel

411, su ordine dell�imperatore Onorio, allo scopo di definire la grave

questione relativa allo scisma donatista192. E� infatti stato tramandato

189 B. Santalucia. Diritto e processo, 279. 190 Sidonio Apollinare, Ep.1.2.4 ; nello stesso senso anche Amm.18.1 per il quale l�imperatore Giuliano giudicava palam admissis volentibus.

191 Tale importante documento è citato a proposito, in quanto la Collatio cartaginese presieduta da Flavio Marcellino, si svolse secondo le più rigorose norme del diritto processuale. Ciò risulta non solo dall�obbiettivo esame dello svolgersi di tale cognitio, ma dalle parole dello stesso Marcellino che più volte impone il rispetto delle regole del procedimento ordinario. In proposito A. Checchini, Studi, I, Padova, 1925, 23ss. 192 Secondo il Dizionario patristico e di antichità cristiane, a cura di A. Di Bernardino, 1, Casale Monferrato, 1983, 1018: ��La discussione tra donatisti e cattolici verteva sulla natura della Chiesa in quanto società e sulle relazioni col mondo e le sue istituzioni. I donatisti si consideravano gli autentici eredi della chiesa dell�Africa del nord quale era stata prima della grande persecuzione e, in

113

che l�assemblea si riunì nel secretarium thermarum Gargilianarum

alla presenza di un pubblico assai numeroso.

Alcuni passi di Giovanni Crisostomo e Basilio Magno193 ci attestano

poi che i vela venivano abbassati solo nel momento che precedeva la

sentenza, per essere rialzati al momento della sua lettura, che valeva

come solenne pubblicazione.

Il pubblico quindi, a mio parere, continuava a rappresentare una

componente abituale della vita giudiziaria e la sua eventuale

esclusione non trovava tanto giustificazione in ragioni di segretezza,

quanto di uno svolgimento del giudizio privo di interferenze.

La presenza di una folla rumorosa avrebbe infatti potuto distrarre il

giudice ed attenuare il rigore e la solennità di certi momenti e ciò

spiega perché il velo venisse abitualmente abbassato proprio al

momento della decisione ( in un quasi odierno ritirarsi per deliberare).

2. Il dibattimento, la fase istruttoria e la pronuncia della sentenza.

Il contributo delle fonti non giuridiche: il processo per magia di

Libanio ed il racconto di Procopio da Cesarea

Coordinando i diversi risultati delle mie ricerche ne ricavo il seguente

quadro: costituito il rapporto processuale, le parti si riunivano davanti

ad un giudice, spesso indicato col termine disceptator, che presiedeva

particolare, quale era stata al tempo di Cipriano. Erano dunque conservatori nella loro liturgia e celebravano l�agape, così come l�eucarestia, ignorando le nuove festività accettate dai cattolici come l�Epifania (Aug., Sermo 212.2), opponendosi al monachesimo (Aug., C. litt. Petiliani 3.40.48 ed Enarr. in P.S. 132.3) e mantenendo la Bibbia africana, mentre i cattolici usavano la Volgata��.

114

allo svolgimento di un giudizio ormai per lo più denominato

disceptatio194 o altercatio. Compito del giudice era quello di causas

cognoscere195 ovvero di lites (o causas) audire ac discingere196,

nonché di adoperarsi affinché il iudicium fosse rectum197

A questo punto la regolare costituzione delle parti veniva

ufficialmente accertata mediante una solenne chiamata (citatio) del

praeco198, che le fonti non giuridiche attestano anche per il processo

penale199. Trattate le eventuali questioni preliminari, le parti potevano

procedere ad un breve dibattito riassuntivo in cui, attraverso

reciproche domande e risposte, chiarivano tanto le proprie posizioni

quanto le questioni su cui il giudice era chiamato a pronunciarsi200.

193 Gotofredo nel suo commentario, con riguardo a CTh.1.7.1, riporta la testimonianza di Basilio Magno secondo la quale i veli erano eccezionalmente abbassati solo quando si discutevano le più gravi cause penali. 194 CTh.2.5.2: �studio protrahendae disceptationis�quantum pertinet ad huius modi disceptationes�; CTh.9.1.13: �Provincialis iudex�cum in eius disceptationem criminalis causae dictio adversum senatorem inciderit�; CTh.9.31.3:�disceptatio�cognitione�tractanda�;CTh.2.4.7:�actiones�iudicantum disceptatione finiantur�. 195 CTh.9.1.13: (Imppp. Valens, Gratianus et Valentinianus AAA. ad Senatum). Post alia: provincialis iudex vel intra Italiam, cum in eius disceptationem criminalis causae dictio adversum senatorem inciderit, intendendi quidem examinis et cognoscendi causas habeat potestatem, verum nihil de animadversione decernens integro non causae, sed capitis statu referat ad scientiam nostram vel ad inclytas potestates. Referent igitur praesides et correctores, item consulares, vicarii quoque, proconsules de capite, ut diximus, senatorio negotii examine habito. Referant autem de suburbanis provinciis iudices ad praefecturam sedis urbanae, de ceteris ad praefecturam praetorio. Sed praefecto urbis cognoscenti de capite senatorum spectatorum maxime virorum iudicium quinquevirale sociabitur et de praesentibus et administratorum honore functis licebit adiungere sorte ductos, non sponte delectos. Et cetera. Lecta in senatu III id. Feb. Valente V et Valentiniano AA. conss. (376 febr. 11).

196 CTh.1.16.3 e 1.16.9 197 CTh.10.10.3 198 CTh.1.16.6: �..frequens praeconis, ut adsolet fieri, inclamatio�� 199 Eusebii, Hist. Eccles, 7.15.5 200 CTh.2.6.2 parla di �lis�in altercationem adducta�.

115

Il successivo giuramento, prestato da parti ed avvocati201, inaugurava

l�apertura della discussione. In essa erano invitati ad esporre le proprie

ragioni prima l�accusatore ed i suoi eventuali patroni, poi l�accusato e

chi l�assisteva202. Venivano inoltre assunte le testimonianze, le altre

prove ed eventualmente si stimolava una confessione, anche mediante

il ricorso alla tortura.

Le informazioni riportate dalle fonti in materia istruttoria sono

estremamente scarse e sembrano ridursi ad un generico richiamo alla

regola per la quale gli accusatori potranno adire il giudice solo qualora

siano in possesso di prove chiare e rilevanti.

In materia di prove gli imperatori tardo antichi, in molte occasioni,

trascurando completamente i profili di tecnica processuale in materia

istruttoria, si richiamano ad un generico concetto di veritas sulla cui

esistenza in senso oggettivo non sembrano nutrire dubbi.

Le leggi postclassiche con particolare insistenza richiedono infatti che

le prove siano acerrimae et apertissimae in modo da non lasciare

alcuna incertezza circa la colpevolezza dell�accusato.

Può darsi che siano le solite frasi ampollose, tanto frequenti nelle

prescrizioni di quest�epoca, tuttavia non mancano precise disposizioni

a riguardo.

Di veritas, anzi di acerrima indago per raggiungere la medesima parla

già Costantino in CTh.9.19.2.1 del 26 marzo 326 nella quale dispone

che, qualora si tratti di accertare la falsità o meno di un instrumentum,

201 C.I. 1.3.14 precisa che il giuramento degli avvocati deve aver luogo �cum lis fuerit contestata, post narrationem propositam et contradictionem obiectam� e A. Checchini, Studi, 66 dall�esame di questa costituzione trae l�applicabilità di tale prescrizione tanto al processo civile che penale. 202 Agath.Histor. 4.3 e 4.7

116

tanto l�accusatore che il presunto reo debbano illuminare il giudice,

agevolandolo nelle sue indagini, affinché emerga il vero.

La tematica viene ribadita ancora, molto più tardi in termini analoghi,

in una costituzione di Teodosio I del 18 maggio 382 diretta al prefetto

del pretorio Floro, conservata in CTh.9.37.3 e giunta con alcune

varianti in C.I.4.19.25 e C.I.9.46.9, nella quale si legge: ��sciant

cuncti (nel giustinianeo è stato aggiunto accusatores) praemeditentur,

ante praecaveant eam se rem deferre debere in publicam notionem,

quae munita sit testibus, instructa documentis, signis ad probationem

luce clarioribus expedita��. Tuttavia le fonti non chiariscono cosa si

intenda per instrumentum, per cui si può solo ipotizzare che anche nel

tardo antico le prove ammesse in giudizio fossero di natura tanto

testimoniale che documentale.

Terminata l�istruttoria, il giudice si ritirava per decidere e si ritiene

che, poco dopo, ricomparisse per dare lettura di quello che oggi

chiameremmo il dispositivo della sentenza.

La presenza delle parti alla lettura era richiesta a pena di nullità,

tranne il caso in cui esse, benché formalmente convocate, fossero

deliberatamente non comparse203.

Una costituzione di Valentiniano I del 371204 disponeva che la

decisione dovesse essere scritta su un apposito libello e, ex libello,

letta alle parti. Una costituzione di poco successiva dello stesso

imperatore si preoccupava però di precisare quali fossero le formalità

da rispettare nell�eseguire tale redazione :

203 C.I. 7.43.2 : Imp. Gord. A Severo. Cessante quoque causa peremptorii edicti adversus eos, qui admoniti iudicio adesse noluerunt, sententiam ab iudice posse ferri certum est. Gord. A. Severo. A 238 s. III k. aug. Pio et Pontiano conss. 204 C.I. 7.44.2

117

C.Th.4.17.1: (Imppp. Valentinianus, Valens et Gratianus AAA. ad Probum p.p.). Statutis generalibus iusseramus, ut universi iudices, quibus reddendi iuris in provinciis permittimus facultatem, cognitis causis ultimas definitiones de scripti recitatione proferant. Huic adicimus sanctioni, ut sententia, quae dicta fuerit, cum scripta non esset, ne nomen quidem sententiae habere mereatur, nec rescissionem perperam decretorum appellationis sollemnitas requiratur. Dat. III non. dec. Treviris Gratiano A. III et Equitio V. C. conss. (3 dec. 374).

Dall�esame delle costituzioni finora analizzate emerge perciò una

particolare attenzione per la pubblicità e la necessità di

verbalizzazione della sentenza che deve essere, a pena di nullità, tanto

conservata per iscritto che solennemente letta agli interessati.

Anche Giovanni Lido205, nel VI secolo, informa di come, in base

all�antico costume osservato nel tribunale del prefetto del pretorio, la

sentenza dovesse essere trascritta in un apposito schedario e poi

presentata al magistrato per la sottoscrizione. A questo punto il

segretario, consegnato il purum ( ovvero l�originale) alle parti, ne

redigeva una óõíïøéò in lingua latina, conservandola presso di sé,

ðñïò êùëõìá ôïëìçñáò ðñïóèçêçò ç õöáéñåóåùò206.

Essendo, come si può notare, le costituzioni imperiali in materia di

procedimento penale contenute sia nel Codice Teodosiano sia nel

Giustinianeo estremamente esigue, ritengo utile continuare a ricorrere

alle fonti non giuridiche.

Mi servirò di esse per acquisire la narrazione di quegli episodi

concreti di vita processuale, di cui le fonti del diritto sono state tanto

205 Lyd. De mag. 3.2. 206 CTh.16.5.55 : Gesta quae sunt translata in publica monumenta habere volumus perpetuam firmitatem, neque enim morte cognitoris perire debet publica fides

118

avare, non dimenticando però mai di sottolinearne la circoscritta

attendibilità, anche alla luce dei pochi e sicuri riferimenti di carattere

giuridico di cui dispongo.

Per una sorta di rigore sia sistematico che cronologico, tra le varie

testimonianze207 preferisco privilegiare inizialmente quella di Libanio.

Libanio, non solo fu uno dei più importanti maestri di retorica del suo

tempo, ma anche un uomo politico famoso, che si trovò ripetutamente

coinvolto in prima persona, come accusato, in vicende giudiziarie

relative a delitti, anche molto scabrosi208.

Al di là dei racconti di corruzione, talora a forti tinte, che abbiamo già

riportato e nei quali non si può non cogliere una palese vena

tendenziosa e polemica, ciò che ora interessa è la descrizione della

sequenza procedimentale delle cause, delle quali questo autore stesso

fu protagonista e che narra con stile vivace, ma preciso, di particolare

interesse è l�orazione 1.69 209.

In essa Libanio racconta lo svolgimento del processo che si svolge nei

suoi confronti, quando è accusato di magia ad Antiochia e a

Nicomedia.

Il processo viene rappresentato in uno scenario mutevole, scandito

dalla disputa verbale tra l�accusato e l�accusatore, alla presenza del

governatore e di una vasta folla.

Tale svolgimento, che sembrerebbe ancora richiamare quell�idea

arcaica di processo come lotta ormai stilizzata e solo verbale tra due

antagonisti, è intervallata dall�arrivo di illustri personaggi, che si

207 Tra le più note si possono ricordare quelle dei vescovi Basilio di Cesarea, Giovanni Crisostomo, Gregorio di Nazianzo e del retore Temistio. 208 Nell�Or.1.98 (1.131ss Forster; 138ss Petit) Libanio racconta di essere stato accusato di fronte all�imperatore di tenere in casa le teste mozzate di due donne. 209 1. 116 Forster; 126 Petit.

119

atteggiano a protettori dei due litiganti e che Libanio rappresenta come

principale minaccia al corretto svolgersi del processo e al suo

concludersi con una pronuncia conforme solo alla legge vigente.

In particolare, il retore racconta come il sofista che lo aveva accusato

non fosse riuscito, forse per l�emozione, a pronunciare il proprio

discorso ed avesse imputato ciò ad un sortilegio dello stesso Libanio.

Invitato dal giudice a dare almeno lettura delle proprie

argomentazioni, ne era stato incapace e di fronte all�ordine di far

leggere un terzo, aveva iniziato a pronunciare parole prive di senso.

Al di là della rielaborazione certamente enfatica e letteraria della

vicenda, ciò che importa notare è come il processo sia aperto al

pubblico e basato sull�impulso delle parti che procedono, in apparente

posizione di parità, ad un contraddittorio di fronte ad un giudice che

dirige le operazioni e forma il suo convincimento.

Libanio poi attesta la prassi, confermata anche da Ammiano

Marcellino210, di tenere le udienze di notte, secondo lui al fine di

sfruttare lo stato confusionale di quei momenti ed ottenere la

confessione, che resta sempre la regina delle prove e che spesso

veniva �stimolata� mediante il ricorso alla tortura.

Sempre animata dall�intento di ricostruire la dinamica processuale,

ritengo utile riportare la testimonianza di Procopio di Cesarea211.

210 Amm. 28.1.54 211 Su Procopio di Cesarea e sui suoi Anekdota si vedano, tra gli altri: B. Rubin, Prokopios vin Kaisareia, Stuttgart, 1954, ripreso in P.W., 23,1, 1957,273ss.; A. Carile, Consenso e dissenso fra propaganda e fronda nelle fonti narrative dell�età giustinianea, in L�imperatore Giustiniano. Storia e mito, a cura di G.G. Archi, Milano, 1978, 62ss.; A. Cameron, Procopius and the Sixth Century, London, 1984; H.G. Beck, Kaiserin Theodora und Prokop. Der Historiker und sein Opfer, München, 1986, trad. it., Lo storico e la sua vittima. Teodora e Procopio, Bari, 1988; F. Goria, Aspetti della giustizia penale nell�età giustinianea alla luce degli Anekdota di Procopio, in ARC, 11, 1996, 565.

120

Storico dell�età giustinianea, nato intorno al 500, divenne nel 562

prefetto di Costantinopoli, città nella quale morì poco dopo.

I suoi Anecdota, benché mossi da un chiaro intento diffamatorio e

quindi da valutare molto cautamente, quanto al loro reale apporto

conoscitivo, costituiscono ugualmente, ai fini di questa analisi, una

fonte preziosa in quanto le tematiche dell�amministrazione della

giustizia e dello svolgimento dei processi vi compaiono in modo assai

ricorrente.

Da un esame globale dell�opera di Procopio212 emerge già come

l�autore consideri il processo il mezzo più idoneo ad assicurare

effettività al sistema giuridico attraverso �la repressione dei

comportamenti devianti �213.

In particolare Procopio, che ai tempi di Belisario rivestì la carica di

adsessor, individua la ricetta per una corretta amministrazione della

giustizia in uno svolgimento processuale libero da condizionamenti

esterni, basato su una certa uguaglianza di trattamento e vincolato al

rispetto di determinate regole procedurali. Tra queste ultime, in

particolare, cita la necessità di un accusatore 214 (quasi a testimoniare

come ormai spesso se ne prescindesse), limiti alle testimonianze (per

evitare che ciò si trasformi in uno strumento dilatorio e d�incertezza) e

divieto di segretezza215.

Tutte queste informazioni sono fornite da Procopio all�interno di un

feroce � j�accuse � contro l�attività dei giudici che ancora una volta

sono descritti come lenti e corrotti.

212 In particolare in tal senso: Anecd.7.19 ; 31; 40; 7.13.22; 7.14.20. 213 Espressione mutuata da F. Goria, Aspetti, 566 214 Anecd.11.35. 215 Anecd. 20.12.

121

A differenza però di Libanio, che è un retore, Procopio, che forse ha

compiuto studi giuridici, imposta in modo più tecnico la propria

critica, così tramandando notizie importanti.

Da Anecd.14.13, ad esempio, ricaviamo che Giustiniano, per porre

rimedio all�inflazione processuale che affliggeva i magistrati della

capitale, aveva istituito come loro delegati dodici ulteriori giudici che

tenevano udienza nel portico del palazzo reale.

Allo stesso modo lamentando la prassi del patrocinium216, Procopio

narra come Giustiniano avesse introdotto, anche nei processi

criminali, l�obbligo delle parti di prestare giuramento di non aver dato

o promesso ai giudici o ad altri alcuna utilità a scopo di patrocinio, e

ciò è confermato da Nov.Iust.124.1 del 546. Emerge tuttavia, anche

dal racconto di questo autore, un quadro frammentario ed incerto, che,

pur gettando luce su alcuni particolari interessanti, non si caratterizza

come trattazione esaustiva della procedura penale.

3. La legislazione in materia di durata dei giudizi.

Un versante che gli imperatori si dedicano a disciplinare con regolarità

è quello relativo alla durata dei processi.

A differenza del processo classico che non conosceva limiti di

tempo217, quello tardo antico è sottoposto al rispetto di rigide

restrizioni temporali.

Il primo a stabilire un termine legale è Costantino il arriva a stabilire il

25 marzo 326 :

216 già vietato da Leone I nel 468 con CI.11.54.1. 217 Così almeno ritiene B.Biondi, Il diritto romano, 510.

122

CTh.9.19.2.2: Ultimum autem finem strepitus criminalis, quem litigantem disceptantemque fas non sit excedere, anni spatio limitamus, cuius exordium testatae aput iudicem competentem actionis nascetur auspicium: capitali post probationem supplicio, si id exigat magnitudo commissi, vel deportatione ei qui falsum commiserit imminente. Proposita VIII kal. april. in Foro Traiani Constantino A. VII et Constantio C. conss.

In questa costituzione, nella quale non è riportato il destinatario, ma

che ritengo abbia comunque portata generale, facendosi riferimento ad

un non meglio precisato strepitus criminalis, l�imperatore sancisce il

termine di un anno218, quale spazio temporale entro cui debbano

esaurirsi le corrispondenti attività processuali e fissa come dies a quo

il giorno della proposizione dell�azione.

L�imposizione di un arco cronologico così breve sembra rispondere a

precise esigenze organizzative dell�impero, nel quale i ritardi della

giustizia sono un motivo costante di lagnanze.

La lentezza processuale viene tuttavia imputata, nell�ottica tardo

imperiale, non solo al mancato rispetto del termine finale, ma anche

all�eventuale desistenza dell�accusatore.

Al di là dell�intervento di Teodosio del 380 (CTh.9.3.6) che riguarda

essenzialmente il problema della carcerazione preventiva, ritengo utile

per ora mettere a confronto una costituzione di Valentiniano del 385

218 Quanto alle origini del termine annale in ordine alla conclusione del processo penale, R. Bonini, Ricerche, 217 nt.130, osserva come esso abbia probabilmente iniziato ad affermarsi nella prassi (vedi D.48.16.15.5) e soltanto con CTh.9.19.2.2 abbia ricevuto riconoscimento legislativo in relazione al caso particolare del falso. In proposito: M. Wlassak, Anklage und Streibefestigung in Kriminalrecht der Römer, Wien, 1917, 102 e 206; M. Lauria, Calumnia, 124 nt. 6; J.A.C. Thomas, Prescription of Crimes in Roman Law, in RIDA, 3, 9, 1962, 428.

123

con una di Onorio del 409, riportateci entrambe anche dal Codice

giustinianeo219 :

CTh.9.36.1: (Imppp. Valent., Theodos. et Arcad. AAA. Desiderio vicario). Quisquis accusator reum in iudicium sub inscriptione detulerit, si intra anni tempus accusationem coeptam prosequi supersederit, vel, quod est contumacius, ultimo anni die adesse neglexerit, quarta bonorum omnium parte mulctatus aculeos consultissimae legis incurrat; scilicet manente infamia, quam veteres iusserant sanctiones. Dat. IV. id. iul. Treviris, Arcadio A. I. et Bautone coss.

CTh.9.36.2 : ( Impp. Honor. et Theodos. AA. Caeciliano p.p.). Post alia: Noverint iudices cuilibet culmini honorive praesidentes, necessariis utrique parti, si petantur, dilationibus non negatis a die inscriptionis intra anni curricula criminales causas limitandas, quo emenso habeat accusator, quia destitit, poenam sibi legibus constitutam. In iudicum autem debet esse diligentia, ut, si nulla rationabilis a reo vel accusatore dilatio postuletur, urgeant talium causarum notionem, non exspectatis anni moris. Si vero accusator vel reus, propter documenta forsitan sibi necessaria, annum voluerint custodiri, dare assensum debet patientia cognitoris, in alteram partem severiorem formatura sententiam. Etc. Dat. XII. kal. febr.

219 A CTh.9.36.1 corrisponde nel Codice giustinianeo, seppure con qualche variazione, C.I.9.44.1: (Valentin. Theodos. et Arcad. AAA. Desiderio vic). Quisquis accusator reum in iudicium sub inscriptione detulerit, si intra certum tempus accusationem coeptam persequi supersederit vel, quod est contumacius, ultimo die adesse neglexerit, quarta bonorum omnium parte multatus aculeos consultissimae legis incurrat, scilicet manente infamia, quam veteres iusserant sanctiones. Invece CTh.9.36.2 è ripresa da C.I.9.44.2pr.: (Impp. Honorius et Theodosius AA. Caeciliano pp). Noverint iudices cuilibet culmini honorive praesidentes, necessariis utrique parti, si petantur, dilationibus non negatis praecedentibus scilicet inscriptionibus, intra certum tempus criminales causas limitandas: quo emenso subeat accusator, quia destitit, poenam legibus constitutam, et si persona vilior fuerit, cui damnum famae non sit iniuria, poenam patiatur exilii, nisi forte intra statuti temporis metas consensus partium abolitionem poposcerit.

124

Ravennae, Honorio VIII. et Theodos. III. AA. conss.

124

Nella costituzione del 385 sembrano delinearsi due diverse fattispecie

a seconda della condotta tenuta dall�accusator, dopo aver ottemperato

alla formalità dell�inscriptio: nel primo caso �intra anni accusationem

coeptam persequi supersederit�; nel secondo invece si rende

�contumax�220 fino all� �ultimo anni die�.

In entrambe le ipotesi, l�accusatore che con la sua condotta ha

dimostrato un sostanziale disinteresse per il processo e le sue sorti,

viene punito, sia con le interdizioni insite nella qualifica di infamis, sia

con una sanzione pecuniaria pari ad un quarto del suo patrimonio.

A voler applicare categorie concettuali di tipo moderno, si potrebbe

quasi parlare di perenzione del procedimento per inattività di una

parte221.

La seconda costituzione riguarda invece le dilazioni accordabili agli

intervenuti. Il legislatore, a questo proposito, pur invitando i giudici a

concedere ad entrambe le parti, qualora lo desiderino, le necessarie

dilazioni, ordina loro di vigilare affinché esse, sia da parte del reo che

dell�accusatore, rispondano ad una giusta causa; diversamente i

magistrati saranno tenuti ad affrettare la conclusione del processo,

senza riconoscere alcuna proroga.

La causa criminale - si precisa - dovrà comunque concludersi entro il

termine di un anno222 dal giorno dell�inscriptio, altrimenti

220 Sul significato di contumacia si veda in generale E. Volterra, Osservazioni sull�ignorantia iuris nel Dir. Pen. Rom. (Appendice: contumacia nei testi giuridici romani), in BIDR, 38, 1930, 121ss. 221 Si è osservato come il comportamento dell�accusatore, in questi casi, non sia facilmente inquadrabile negli schemi classici della tergiversatio. Così almeno ritengono: M. Lauria, Calumnia, 124ss; B.Biondi, Il diritto romano, 507; In proposito il Lauria, seguito in ciò dal Brasiello, s.v. calumnia, in Enc. del Dir., 5, 1959, 816 sottolinea acutamente come nell�epoca giustinianea gli abusi perpetrati dall�accusatore tendessero ormai a confluire nel più ampio concetto di calumnia. In proposito si veda il § 1 di questo capitolo.

125

l�accusatore, considerato desistente, dovrà essere sottoposto alla pena

prevista per legge. Qui, ancora una volta, il legislatore imperiale si

trova evidentemente a bilanciare due esigenze parimenti importanti.

Da un lato la necessità di concedere alla parte la possibilità di

presenziare ed, eventualmente, di disporre del tempo necessario ad

allestire la propria difesa; dall�altro, evitare che il riconoscimento di

questa facoltà divenga oggetto di abusive dilazioni.

Prima di procedere ad una più specifica ricostruzione delle scelte di

politica legislativa sottese a tali interventi, credo utile anticipare

l�innovativa disciplina dettata da Giustiniano in materia, al fine di

procedere poi ad un esame comparato delle tre costituzioni.

Giustiniano �affinché le liti non fossero quasi immortali e non

eccedessero la misura della vita umana� dettò in C.I.9.44.3 del 529

rigorose prescrizioni, che sicuramente migliorarono la posizione

dell�imputato in attesa di giudizio :

C.I.9.44.3: (Iust. A. Menae. pp. A Decio vc.cons.) Criminales causas omnimodo intra duos annos a contestatione litis connumerando finiri censemus nec ulla occasione ad ampliora produci tempora, sed post biennii excessum minime ulterius lite durante accusatum absolvi, scientibus iudicibus eorumque officiis, quod, si litigatoribus admonentibus ipsis litis introductionem vel examinationem distulerint, poena vicenarum librarum auri ferientur.

222 Ritengo sia da sottolineare come nella versione teodosiana del testo, il potere discrezionale del giudice di concedere la proroga sia subordinato all�evenienza in cui le parti, fin dall�inizio del processo, abbiano concordato, di fronte al giudice, di dedicare il periodo annuale alla raccolta del materiale probatorio. In tal caso infatti il giudice è tenuto a rispettare l�accordo privato, salvo poi punire più severamente l�eventuale soccombente. Nella versione giustinianea invece tale norma è omessa, con un conseguente rafforzamento dei poteri discrezionali dell�organo giudicante circa la concessione o meno delle dilazioni.

126

La norma dispone che il processo penale sia sottoposto al termine

perentorio e quindi estintivo di due anni, a partire dalla litis

contestatio.

Trascorso inutilmente siffatto periodo, senza essere pervenuti alla

decisione della causa, l�accusato dovrà essere assolto e in aggiunta,

qualora la mancata conclusione dipenda da un ritardo del giudice nella

litis introductio o nell�examinatio (nonostante l�admonitio dei

litigatores), lo stesso giudice e gli appartenenti al suo officium saranno

soggetti ad una pena pecuniaria pari a venti libbre d�oro.

Ritengo sia da notare come l�assoluzione, in questo caso, sia il mero

riflesso dell�estinzione del processo, e quindi dell�accusa, e non

l�effetto di un provvedimento formale adottato dal giudice, con la

conseguente possibilità di riproporre l�accusa.

Il vero valore di questo intervento legislativo si coglie, però, solo in

quanto rapportato alla disciplina contenuta nelle costituzioni, di cui ci

siamo già occupati e che sono recepite anche da Giustiniano.

L�approccio contenuto in CTh.9.36.1 (=C.I. 9.44.1) e CTh.9.36.2 (=

C.I.9.44.2) è ben diverso da quello di C.I.9.44.3: in quest�ultima

infatti l�attenzione del legislatore, sempre ansioso di rendere più

rapido il meccanismo processuale, si concentra non sul

comportamento delle parti, ma su quello del giudice e più

precisamente sull�ipotesi in cui questi rimanga inattivo, nonostante le

ripetute sollecitazioni dei privati.

Analizzando da un punto di vista più tecnico i rapporti intercorrenti

fra queste tre costituzioni, si coglie, poi, come l�intervento

giustinianeo risulti peculiare anche sotto il profilo della decorrenza del

dies a quo.

127

Mentre in CTh.9.36.1 e 2 esso coincide con l�inscriptio, invece in

C.I.9.44.3 s�identifica con la litis contestatio223.

Al di là delle difformità sussistenti tra queste norme, ciò che va in

ogni caso posto in risalto è come esse costituiscano un tentativo di

ovviare, con un insieme di limiti temporali e di sanzioni tra loro

diverse, agli inconvenienti connessi alla lentezza processuale.

Gli imperatori manifestano ripetutamente questa esigenza e, sia che

essa corrisponda ad una mera necessità di miglioramento della

funzionalità degli apparati giudiziari, sia ad una volontà di

diminuzione dei costi, connessi ad un prolungamento esagerato dei

giudizi, in ogni caso, essa fa piena prova della tensione imperiale volta

a rendere possibile una giustizia amministrata in quei �tempi

ragionevoli�, posti a fondamento anche della moderna disciplina sul

giusto processo.

Va infine specificato, per ragioni di sistematicità, che l�esame di

C.I.9.44.3 non si può esaurire in un mero coordinamento di questa

costituzione con quelle appartenenti al suo stesso titolo, ma essa va

223 Circa il dibattito intrapreso dalla moderna dottrina sull�effettiva natura della litis contestatio nel processo penale, si possono così sinteticamente riportare le principali posizioni: per primo il Wlassak, Anklage, 142ss. e 198ss., mise in dubbio l�autenticità delle fonti che estendevano tale istituto anche al processo penale. Esse, secondo l�autore, sarebbero state infatti il frutto delle interpolazioni dei compilatori giustinianei, i quali non avrebbero prestato attenzione al fatto che i classici non avessero mai impiegato l�espressione litis contestatio al di fuori del processo civile. Questa tesi finì per assurgere a communis opinio e, fra gli altri, aderirono ad essa: U. Brasiello, Repressione, 24 nt.19 e 340ss; G. Pugliese, Processo privato e processo pubblico, 73 e 102. Qualche riserva si riscontra invece nel Di Paola, La �litis contestatio� nella �cognitio extra ordinem� dell�età classica, in Ann. Sem. giurid. Univ. Catania, 2, 1947-1948, 288 nt.106. La tesi di Wlassak è stata sottoposta ad una accurata revisione da parte di A. Biscardi, Sur la �litis contestatio� du procès criminel, 307 ss., dato che, per tale autore, l�espressione litis contestatio nel processo penale sarebbe già stata usata in epoca classica per indicare quei sollemnia accusationis, successivi all�inscriptio ed idonei a costituire il rapporto processuale.

128

rapportata anche alle disposizioni collocate sotto altre rubriche e, in

particolare, con quelle relative ai limiti di durata del processo imposti

in caso di carcerazione preventiva dell�imputato.

3. I tempi del processo e la carcerazione preventiva. Cenni in tema di tortura.

Tra disposizioni in materia di carcerazione preventiva224, il primo

provvedimento che considero meritevole di attenzione, a questo

224 La communis opinio in relazione al suddetto istituto è orientata a ritenere che all�affermarsi delle procedure extra ordinem, il carcere abbia riacquistato quella funzione di custodia, che aveva in parte perso durante l�ultima repubblica. Massimo esponente di questa linea di pensiero è Th. Mommsen, Strafrecht, 328ss., per il quale il ristabilimento della carcerazione preventiva trova la sua più ragionevole giustificazione in un�interpretazione estensiva delle eccezioni inserite nella Lex Iulia de vi publica, la quale limita il ricorso all�imprigionamento e alle altre misure restrittive della libertà personale alla presenza di determinate condizioni soggettive, quali ad esempio lo status di iudicatus o di confessus. Questa tesi accanto all�orientamento, sempre espresso da Th. Mommsen, Strafrecht, 963, secondo il quale l�ordinamento romano non avrebbe mai conosciuto la detenzione quale vera e propria pena di carattere criminale, ma solo come mezzo di coercizione magistratuale con l�unica funzione di misura in attesa del giudizio o della sua esecuzione, conta ormai tra i suoi sostenitori la stragrande maggioranza dei romanisti. Fra i principali ricordiamo: C. Ferrini, Diritto penale romano, estratto dall�Enciclopedia del diritto penale italiano, 1, Milano, 1902, 155ss; E. Costa, Crimini e pene da Romolo a Giustiniano, Bologna, 1921, 96; U. Brasiello, La repressione, 386; E. Levy, Gesetz und Richter im kaiserlichen Strafrecht, in BIDR, 45, 1938, 100 nt. 193,104, 211 (= in Gesammelte Schriften, 2, Köln-Graz, 1963, 463 nt.193 e 466 nt.211); G. Cardascia, L�apparition dans le droit des classes d� �honestiores� et d� �humiliores�, in RH, 28, 1950, 314; T. Mayer- Maly, s.v. Vincula, in PWRE, 8 a 2, Stuttgart, 1958, 2203ss. (che in parte avanza riserve, almeno con riguardo al diritto tardo classico, ma nella sostanza non si discosta formalmente dalla communis opinio); F. La Rosa, Nota sulla �custodia� nel diritto criminale romano, in Synteleia Arangio-Ruiz, 1, Napoli, 1964, 310; U. Brasiello, s.v. Pena, in NNDI, 12, Torino, 1965, 813; P. Garnsey, Social status and legal privilege in the Roman Empire, Oxford, 1970, 149; B. Santalucia, Lineamenti, 517. Per quanto riguarda i restanti autori si registra come unica eccezione rispetto all�opinione ormai consolidata S. Solazzi, La condanna ai �vincula perpetua� in CI.9.47.6, in SDHI, 22, 1956, 346 nt.1 (= Scritti di diritto romano, 6, Napoli, 1972, 716 nt.1). Si distacca dal resto della dottrina M. Balzarini, Il problema della pena detentiva nella tarda repubblica: alcune aporie, in Studi economico- giuridici, 54, 1991-1992 ripreso in Il problema della pena

129

riguardo, è una costituzione di Costantino del 31 dicembre 320225, in

cui ci siamo già imbattuti nel primo capitolo:

CTh.9.3.1pr (= C.I.9.4.1pr.-3): (Imp. Constantinus A. ad Florentium rationalem). In quacumque causa reo exhibito, sive accusator exsistat sive eum publicae sollicitudinis cura perduxerit, statim debet quaestio fieri, ut noxius puniatur, innocens absolvatur. Quod si accusator aberit ad tempus aut sociorum praesentia necessaria videatur, id quidem debet quam celerrime procurari. Interea vero exhibito non ferreas manicas et inhaerentes ossibus mitti oportet, sed prolixiores catenas, ut et cruciatio desit et permaneat fida custodia. Nec vero sedis intimae tenebras pati debebit inclusus, sed usurpata luce vegetari et, ubi nox geminaverit custodiam, vestibulis carcerum et salubribus locis recipi ac revertente iterum die ad primum solis ortum ilico ad publicum lumen educi, ne poenis carceris perimatur, quod innocentibus miserum, noxiis non satis severum esse cognoscitur.

criminale tra filosofia greca e diritto romano. Atti del deuxième colloque de philosophie pénale (Cagliari, 20-22 aprile 1989), Napoli, 1993, 373-395; Id., La pena de encarcelamiento hasta Ulpiano, in Seminarios Complutenses de Derecho Romano, 1, Madrid, 1990, 221-234, il quale ritiene che non si possa ridurre il ruolo del carcere all�esclusiva funzione di custodia, in quanto il sistema romano avrebbe conosciuto, e non solo a livello di deviazione pratica, una vera e propria pena detentiva. In particolare l�autore di fronte all�ostacolo rappresentato alla sua tesi dal brano ulpianeo D.48.19.8.9 per il quale ��carcer enim ad continendos homines, non ad puniendos haberi debet��, lo interpreta come un�opinione di Ulpiano espressa in una situazione di contingente opportunità. Questo passo rifletterebbe, pertanto, solo il pensiero di Ulpiano che il carcere, come luogo di pena, in caso di edificio sovraffollato, renderebbe più difficile la sua utilizzazione a fini preventivi che ne costituiscono la funzione primaria, ma non esclusiva. Per il resto evito di addentrarmi nella disputatio circa la configurabilità o meno di una pena carceraria romana, che esulerebbe dall�ambito di questo studio e inoltre richiederebbe molto più spazio, rimandando a M. Messana, Riflessioni storico � comparative in tema di carcerazione preventiva (a proposito di D.48.19.8.9 � Ulp. 9 De off. Proc.) in AUPA, 41, 1991 e A. Lovato, Il carcere, Bari, 1994.

225 Per i problemi di datazione di questa costituzione vedi supra capitolo 1 § 1 in cui aderisco alla ricostruzione proposta da O. Seeck, Regesten, 170. Qui si può aggiungere che la norma è pervenuta attraverso il manoscritto V (Vaticanus reginae 886) di origine incerta. A proposito rimando a Theodosiani libri XVI cum constitutionibus Sirmondianis, ed. Th.Mommsen e P.M. Meyer,1,1, Prolegomena, 44-46.

130

Questa disposizione226, nei Codici Teodosiano e Giustinianeo, apre il

titolo De custodia reorum e, fin dalla sua formulazione iniziale,

appare rivolta a sancire prescrizioni aventi carattere generale.

Si dispone infatti che, sia quando l�accusa provenga da un privato

accusatore, che quando sia frutto della publica sollicitudo, non appena

l�accusato sia stato exhibitus, cioè incarcerato, l�istruttoria processuale

abbia subito luogo, in modo che diventi possibile punire il colpevole o

assolvere l�innocente. Nel caso poi in cui l�accusatore sia assente o

emerga l�esigenza della partecipazione di eventuali correi, così da

rendere necessario un rinvio, occorre comunque provvedere a ciò nel

più breve tempo possibile ed assicurare, nel frattempo, al presunto

colpevole in stato di custodia, determinate garanzie di trattamento.

Prima del relativo approfondimento, è necessario sottolineare come

questo intervento sembri attestare, dal suo esordio, la costante

preoccupazione imperiale di abbreviare i tempi del processo, al fine di

evitare che chi è innocente debba sopportare i disagi insiti nella

condizione di accusato.

Costantino tuttavia, pur manifestando il bisogno di circoscrivere

temporalmente la durata della detenzione, a differenza di quanto farà

Giustiniano, non perviene all�indicazione di termini precisi, bensì si

limita solo a sollecitare l�inizio del dibattimento, per giungere ad una

più rapida definizione della causa.

Il suo intervento si qualifica, da questo punto di vista, come generico e

di ciò mi riservo di fornire una possibile spiegazione tra poco. Ben più 226 Tra gli altri, si occupano di questa costituzione: U. Brasiello, La repressione, 488; B. Biondi, Il diritto romano, 439, 486, 508 e 513; R. Bonini, Ricerche,

131

precise ed accurate sono invece le prescrizioni costantiniane volte a

migliorare le condizioni dell�accusato in attesa di giudizio all�interno

del carcere.

In tale lasso di tempo bisogna infatti che l�exhibitus non sia trattenuto

con �manicae ferreae et inhaerentes ossibus�, ma con �prolixiores

catenae�, sufficienti a garantire una �fida custodia�, pur senza

sottoporre il presunto reo ad una eccessiva �cruciatio�.

I compilatori giustinianei precisano ulteriormente che l�uso delle

catene dovrà essere condizionato dalla �qualitas criminis�.

Questa integrazione è di particolare importanza, in quanto sembra

testimoniare un�evoluzione in senso garantistico nell�ambito delle

ragioni giustificative del ricorso allo strumento dell�incatenamento.

Mentre in Costantino l�uso delle �manicae ferreae� si configura infatti

come un necessario complemento della detenzione, in epoca

successiva si atteggia invece come eccezionale e limitato agli imputati

di crimini più gravi.

Le tendenze di favore di questa disposizione, che Gotofredo227 definì

come �humanissima et christianissima� e che il Mommsen228 giudicò

la prima a prescrivere un trattamento umano ai prigionieri, non sono

però circoscritte ad un�attenuazione delle modalità di incatenamento

dei detenuti, ma sono rivolte a realizzare un miglioramento generale

delle condizioni dei carcerati, in relazione a tutti i loro bisogni

primari.

Si ordina così che le celle abbiano luce sufficiente, che solo di notte la

custodia si attui completamente al chiuso e sempre in luoghi salubri,

143ss; G. Pugliese, Garanzie, 617; M. Messana, Riflessioni storico-comparative, 127ss; S. Pietrini, Sull�iniziativa, 71ss; A. Lovato, Il carcere, 178ss. 227 Gothofredus, ed. CTh. ad 9.3.1. 228 Th. Mommsen, Strafrecht, 304

132

mentre al primo sorgere del sole il recluso vada condotto all�aperto.

La finalità di queste misure è dichiarata dallo stesso imperatore che,

con esse, vuole evitare la morte dei reclusi attraverso la pena del

carcere che lui stesso giudica come un supplizio intollerabile per gli

innocenti, ma non abbastanza rigoroso per i colpevoli.

Costantino, in questo suo intervento, non si accontenta poi di

sollecitare genericamente ad un rapido espletamento dei processi e a

dare disposizioni affinché le condizioni carcerarie non siano

disumane, ma si fa anche carico di rendere effettiva la vincolatività di

siffatte prescrizioni, approntando appositi e severi meccanismi

sanzionatori nei confronti dei trasgressori.

In primo luogo, al fine di proteggere gli innocenti da una carcerazione

oltreché ingiusta anche tormentosa, fa assoluto divieto ai carcerieri di

ricevere compensi dagli accusatori, sia per infliggere crudeltà, in

modo da accelerare la morte dei prigionieri, sia per prolungarne le

sofferenze, condannandoli di fatto ad una lunga agonia, che li porta a

consumarsi lentamente fino a spegnersi.

Ma non è tutto: anche gli stessi giudici sono resi responsabili e

minacciati della sanzione capitale in caso di abusi commessi dai

sorveglianti che abbiano causato la morte dei reclusi per inedia o altra

causa.

Costantino inaugura perciò un sistema di controllo �a piramide� che

coinvolge non solo i semplici guardiani, ma anche alcuni dei più alti

rappresentanti della burocrazia tardo antica, arrivando a comminare

loro, ed è la prima volta che nella nostra analisi incontriamo qualcosa

di simile, persino la pena di morte.

Bisogna a questo punto cercare di ricostruire le ragioni di politica

legislativa che si celano dietro una disposizione tanto rigorosa e, al

133

contempo, favorevole per gli innocenti.

Accantonando la motivazione religiosa già da tempo smentita su più

fronti229, rimane da verificare se tutto ciò non sia altro che il frutto di

una mera operazione propagandistica rappresentata dall�adozione di

principi umanitari nei confronti dei detenuti da parte di un legislatore

che, secondo l�iconografia tradizionale, si deve ammantare di

benignitas oppure risponda ad un�autentica volontà imperiale di

miglioramento delle condizioni giudiziarie e carcerarie.

229 Il problema delle motivazioni profonde alla base delle scelte politiche costantiniane è molto dibattuto. Una breve sintesi della questione si trova in A. Lovato, Aspetti immorali della tutela nel basso impero, in Diritto e società nel mondo romano, 1, Como, 1988, 153-155 nt.110. Alcune posizioni dottrinali, per tutti B. Biondi, Il diritto romano, hanno cercato di dimostrare l�influenza cristiana sulla politica e sulla legislazione di Costantino, ma tali apporti sono stati ormai da tempo ridimensionati non solo in campo penale, ma persino familiare. In particolare per J. Gaudemet, Les transformations de la vie familiale au Bas-Empire et l�influence du Christianisme, in Romanitas, 5, 1962, 58-85 (= Etudes de droit romain, 3, 281-310) l�influenza cristiana fu piuttosto limitata sia sulla normativa che nella vita quotidiana. Pertanto se queste influenze sono riscontrabili, esse possono essere provate solo per norme e questioni specifiche: è il caso ad esempio di CTh.15.12.1 del 1° ottobre 325 che vieta la condanna ai ludi gladiatorii e la sostituisce con quella ai metalla. Con tale disposizione Costantino esprime la propria disapprovazione per i cruenta spectacula, offerti dai giochi gladiatori e sono state individuate nelle Divinae Institutiones di Lattanzio 6.20.10-12 le possibili fonti ispiratrici del divieto. Ci sono invece altri casi in cui i provvedimenti di Costantino sembrano in netto contrasto con gli ideali cristiani ed è il caso delle norme in materia di vendita dei neonati e di diritti della personalità. Sul punto si veda G. Crifò, Diritti della personalità e diritto romano cristiano, in BIDR, 64, 1961, 33-59; Id., Cristianesimo, diritto romano, diritti della personalità: una rilettura, in Hestiasis. Studi di tarda antichità, Messina, 1991, 373-386. Sugli studi costantiniani del Burckhardt per il quale l�azione politico-legislativa di Costantino non risponde ad una fede sincera nella religione cristiana, ma a mere esigenze propagandistiche, si veda S. Mazzarino, Burckhardt politologo. �L�età di Costantino� e la moderna ideazione storiografica, in Il basso impero. Antico, tardoantico ed era costantiniana, 1, Bari, 1974, 32-50. Come opere di sintesi sulla problematica in esame segnalo infine: V. Aiello, Alle origini della storiografia moderna sulla tarda antichità: Costantino fra rinnovamento umanistico e riforma cattolica, in Hestiasis. Studi di tarda antichità, 281-312; F. Amarelli, I problemi di metodo per lo studio delle fonti relative ai rapporti tra cristianesimo e diritto romano, in Metodologie della

134

A tal fine ritengo utile osservare in primo luogo quanto il

ragionamento sotteso alle disposizioni costantiniane di cui ci stiamo

occupando sia ricco di implicazioni.

Costantino non si limita infatti a sancire che, essendo il carcere una

misura penosa per gli innocenti, ne va limitato l�uso, ma detta una

disciplina sintomatica di un�impostazione di fondo ben più articolata.

Se analizziamo l�affermazione per cui �il carcere è troppo per un

innocente e troppo poco per un colpevole� ne risulta che, mentre la

seconda dichiarazione non fa che confermare, ancora una volta, il

carattere di misura solo preventiva e non anche punitiva del carcere, la

prima invece porta a ben altre considerazioni.

In particolare se ne può desumere che nelle prigioni soggiornano due

categorie ben distinte di soggetti: quelli in attesa di giudizio e quelli in

attesa di esecuzione.

Tuttavia, posto che lo status di innocente è sempre successivo

all�accertamento giudiziario, sorge spontaneo un dubbio: o

Costantino, sapendo perfettamente che nelle sue aule spesso si

condannano anche innocenti, con tali disposizioni vuole combattere

questo abuso, oppure è in lui implicito il principio per cui ciascuno è

innocente fino alla condanna.

Il problema si concentra quindi nello stabilire quale fosse il fine

perseguito da Costantino e due sono le possibili letture.

1) L�imperatore vuole, ancora una volta, di fatto, solo giudizi più

veloci, per avere carceri meno affollate e le disposizioni umanitarie

circa il trattamento dei detenuti hanno solo intento propagandistico,

così come le sanzioni previste per i giudici che, nell�intenzione

ricerca sulla tarda antichità. Atti del Primo Convegno dell�Associazione di Studi Tardoantichi, a cura di A. Garzya, Napoli, 1989, 11-23.

135

imperiale, rimarrebbero solo sulla carta. Non è però questa la tesi che

privilegio.

2) Costantino mira a chiarire a giudici, funzionari e guardiani in

genere, quale debba essere la funzione del carcere. Mancando una

precedente disposizione generale in materia, Costantino, da poco

combattuto il fenomeno delle carceri private, si occupa ora di quelle

pubbliche. Chiarisce perciò che il carcere non è una punizione, ma un

luogo di custodia in attesa del processo o comunque della pena e che

pertanto non deve diventare pretesto per eliminare, prima del tempo, i

rei o per perpetrare corruzioni.

Il carcere, per l�imperatore, serve solo ad assicurare alla giustizia il

presunto reo, a far sì che non scappi prima del giudizio (di qui l�uso

delle �manette�) e non deve perciò trasformarsi in un �lager� in cui le

influenze corruttrici dei privati possono anticipare la sentenza.

Il fatto poi che Costantino non fissi limiti di durata alla carcerazione,

sembra avvalorare la tesi per cui il suo vero fine non è tanto

abbreviare la reclusione, quanto impedirne un uso distorto.

A conferma di tale indirizzo si può notare che, sempre a Serdica e

sempre nel 320, ma in febbraio, con CTh.11.7.3 egli condanna l�uso

della detenzione come strumento di pressione contro i debitori, in una

vera e propria lotta alle carceri private. Ciò potrebbe avvalorare

quanto detto sopra.

Sempre a questo proposito si può poi riportare CTh.11.30.2230 del 313

indirizzata a Catullino, praeses Byzacenae, in cui si vieta che

l�appellante subisca il carcere o altri mezzi di pressione, tranne che in

230 A riguardo anche U. Vincenti, �Ante sententiam appellari potest�, Contributo allo studio dell�appellabilità delle sentenze interlocutorie nel processo romano, Padova, 1986, 102.

136

relazione ad alcuni particolari gravi delitti e soprattutto CTh.8.4.2231

del 315, che è un editto ad Afros in cui si vieta agli stationarii232 di

allestire private carceri e trattenere in custodia presso di sé anche

soggetti colti in flagranza di reato.

In entrambi questi casi, Costantino cerca di riportare la giustizia nei

suoi circuiti ordinari ovvero tenta di far sì che il presunto reo o il

condannato, che si appella, non corra il rischio di un�eliminazione

anzitempo, che riporterebbe l�amministrazione della giustizia in

quell�ottica della vendetta personale e privata incompatibile, non tanto

col concetto di stato di diritto, che non c�è ancora, quanto con la più

elementare forma di governo.

Anche dopo il 320, Costantino prosegue in questa direzione come

dimostra CTh.9.3.2233 del 3 febbraio 326 indirizzata ad Evagrium

praefectus praetorio in cui si dispone che, quando si sia accertata la

colpevolezza dell�imputato di qualche crimine, questi debba sostare in

carcere, mentre si procede alla commemoratio in pubblico del crimine

commesso, al fine di evitare eccessi repressivi nella comminazione

della pena, mediante un controllo della collettività. Se interpretata

letteralmente, anche questa disposizione si mostra di una modernità 231 Si occupa, tra gli altri di questo testo, C. Dupont, Le droit criminelle. Les infractions, 114. 232 Da G. Lanata, Morire di chirurgia o morire di polizia? Variazioni sulla Novella 13, in Società e diritto nel mondo tardoantico. Sei saggi sulle novelle giustinianee, Torino, 1994, 15-16 si apprende che ��agli stationarii era soprattutto demandata la caccia ai banditi; una volta catturato il reo essi dovevano stendere l�elogium, un breve rapporto, inviato al governatore della provincia insieme all�arrestato, il quale veniva sottoposto a regolare procedimento��. 233 CTh.9.3.2: (Constantinus A. ad Evagrium). Si quis in ea culpa vel crimine fuerit deprehensus, quod dignum claustris carceris et custodiae squalore videtur, auditus aput acta, cum de admisso constiterit, poenam carceris sustineat atque ita postmodum eductus aput acta audiatur. Ita enim quasi sub publico testimonio commemoratio admissi criminis fiet, ut iudicibus inmodice saevientibus freni quidam ac temperies adhibita videatur. Dat. III non. feb.

137

notevole.

In sintesi perciò, a mio parere, tali disposizioni non sono né solo

programmatiche, né così illuminate da anticipare i presupposti delle

moderne misure cautelari234, ma si prefiggono solo di evitare gli abusi

possibili attraverso la carcerazione e anche questa, a suo modo, è una

garanzia da non sottovalutare.

La legislazione successiva a Costantino riprende e sviluppa, in tema di

carcerazione preventiva, i motivi a cui si era ispirata la normativa

precedente ed in particolare l�imperatore Costanzo emana almeno

quattro disposizioni che ritengo utile segnalare.

Il 6 dicembre 337 con CTh.11.7.7235, indirizzata al governatore della

Sardegna Bibulenio, Costanzo si dichiara sfavorevole alla reclusione

inflitta per debiti e, riprendendo sostanzialmente i temi già espressi dal

padre in CTh.11.7.3, riafferma il divieto di incarcerare i debitori.

Più originali sono gli interventi successivi ed in particolare, con una

costituzione del 18 ottobre 338236, CTh.9.1.7, indirizzata al prefetto

del pretorio Domizio Leonzio, l�imperatore stabilisce che coloro che

siano stati incarcerati sulla base di accuse infondate debbano veder

completata l�istruttoria del proprio procedimento entro il termine

massimo di un mese. Neanche due anni dopo e più precisamente il 5

aprile 340, con un altro provvedimento, CTh.9.3.3, questa volta diretto

Heracleae Constantino A. VII et Constantio Caes. conss.

234 Ad oggi i presupposti delle misure cautelari sono tre e si identificano in base all�art. 274 c.p.p. nel pericolo di fuga e di reiterazione del reato o nell�inquinamento di prove. 235 Per un esame di questa costituzione si rimanda a O. Robinson, Private prison, in RIDA, 15, 1968, 389ss. 236 La datazione di questa costituzione al 338 contrasta con la qualifica di prefetto del pretorio attribuita al destinatario, posto che Domizio Leonzio rivestì tale carica solo dal 340 al 344. Si è quindi preferito optare per un errore di qualifica e ritenere che la norma, benché del 338 fosse indirizzata a Leonzio in qualità di vicarius Asiae. Così, tra gli altri, ritiene A.H.M. Jones, Il tardo, 1, 502.

138

al prefetto del pretorio Acyndinus, Costanzo237 dispone invece, su

tutt�altro fronte, la separazione dei luoghi di prigionia per uomini e

donne.

Infine nel 355, con CTh.6.29.1, sulla scia di quanto già disposto da

Costantino, scoraggia un uso arbitrario e personale del potere di

arresto nelle mani dei funzionari imperiali stabilendo la necessità,

anche per stationarii e curiosi, di provare le proprie accuse.

Rimandando per l�esame di quest�ultima costituzione a quanto già

detto e trascurando la prima, in quanto meramente ripetitiva di

disposizioni precedenti, posso per ora limitarmi a notare che, in

generale, le problematiche, a cui gli interventi costanziani cercano di

fornire una risposta, non sono molto diverse da quelle già affrontate da

Costantino. Non ritengo utile quindi soffermarmi eccessivamente su di

esse, se non per sottolinearne qualche aspetto innovativo.

In particolare, mentre CTh.9.3.3 continua a rispondere ad un�esigenza

di umanizzazione delle condizioni carcerarie, mediante un

miglioramento degli standard igienico-sanitari ed una maggior

attenzione per i bisogni propri delle diverse categorie di detenuti, le

donne238 in primo luogo che in quanto più deboli avrebbero potuto

essere bersaglio di ancora più gravi abusi, invece CTh.9.1.7 detta una

disposizione meritevole di approfondimento.

237 Benché l�inscriptio della versione giustinianea C.I.9.4.3 attribuisca tale costituzione a Costantino, il fatto che il destinatario di essa sia Acindynus che ricoprì la carica di prefetto del pretorio dal 338-340 non lascia dubbi circa la reale paternità di Costanzo. Sul punto si veda T.D. Barnes, Praetorian prefects, 337-361, in ZPE, 94, 1992, 253 e nt.18 (= From Eusebius to Augustine. Selected papers 1982-1993, Aldershot, 1994, 13). 238 Per B. Biondi, Il diritto romano, 514 tale disposizione è a garanzia della pudicitia ed ha la stessa ratio della Nov.134.9.1 per la quale ��le donne, sia pure colpevoli di gravi reati, non possono essere trattenute nelle carceri comuni, ma rinviate nei monasteri o affidate ad altre donne, in guisa che siano custodite pudicamente�.

139

La traduzione di A. Lovato239 per cui tale norma limiterebbe

l�operatività del termine perentorio di trenta giorni per l�espletamento

dell�attività istruttoria ai soli casi in cui l�imputato sia stato sottoposto

a custodia in carcere, sulla base di delazioni, se intese come false

accuse, non mi soddisfa.

Reputo infatti che il carattere delatorio o meno di una accusa possa

emergere solo al momento conclusivo delle indagini e non già

all�apertura dell�istruttoria; inoltre accogliere una simile

interpretazione darebbe luogo ad un paradosso.

Mi spiego: pensare che il termine di trenta giorni operi solo in caso di

accuse infondate implica attribuire a tale previsione una scarsissima

incidenza pratica. Se infatti l�accusa è inizialmente considerata

fondata e poi solo in seguito riconosciuta come non tale, il termine

non ha operato; se invece fin da subito è nota l�inconsistenza

dell�accusa, viene meno la stessa esigenza di aprire il procedimento e

quindi di far decorrere il termine.

Credo quindi che la soluzione più ragionevole sia quella di attribuire

al riferimento alla delatio contenuto in CTh.9.1.7240 un altro

significato e in ciò aderisco all�opinione espressa da S. Pietrini241 per

la quale in certi casi per delator si indica solo �colui che si limita ad

una mera denuncia, senza voler assumere la veste di accusato�.

Se ne desume una generale operatività del termine breve di trenta

giorni in tutti i procedimenti avviati d�ufficio, con il conseguente

239 A. Lovato, Il carcere, 186. 240 CTh.9.1.7: (Imp. Constantius A. Domitio Leontio p.p.). Ii, quos custodia delatae criminationis includit, intra unius mensis spatium audiantur inquisitione completa, ne, si delati criminis causam segnius iudicantis lenitudo distulerit, reciprocos poenae sortiatur incursus. Dat. XV kal. novemb. Urso et Polemio conss. (338 oct. 18).

241 S. Pietrini, Sull��iniziativa, 103 nt.143.

140

riconoscimento di una vera garanzia di rapidità, qualora tale periodo

corrisponda ad un�effettiva solerzia nell�attività investigativa e non

diventi invece pretesto per istruttorie sommarie.

Uno dei più importanti interventi tardo antichi in materia di

carcerazione preventiva rimane, in ogni caso, la costituzione emanata

da Teodosio I a Costantinopoli il 30 dicembre 380.

L�intervento indirizzato al praefectus praetorio Illyrici Eutropius ed

avente portata generale è riprodotto in entrambi i Codici in due

parti242, l�una collocata sotto il titolo de exhibendis vel transmittendis

reis, l�altra nel de custodia reorum.

Prima di passare ad esaminarne il testo, ritengo utile accennare

brevemente al clima243 in cui tale disposizione vide la luce.

Appena dieci mesi prima e più precisamente il 28 febbraio 380,

l�imperatore Teodosio, con una scelta sicuramente più politica che

spirituale, aveva emanato a Tessalonica il celebre editto nel quale

proclamava il cristianesimo religione ufficiale dell�impero.

Questo avvenimento, insieme all�attestata influenza esercitata da

Ambrogio244, vescovo di Milano, sull�imperatore, influì grandemente

sul tenore della norma in tema di carcerazione preventiva, anche se gli

242 Non è da condividere l�idea di M. Messana, Riflessioni storico-comparative, 70 per cui si tratterebbe di due provvedimenti distinti e che l�autrice motiva adducendo che CTh.1.1.5 del 26 marzo 429 autorizzava l�inserimento di parti di una stessa costituzione in titoli diversi. Su tale problema si veda anche G. de Bonfils, CTh.12.1.157-158 e il prefetto Flavio Mallio Teodoro, Bari, 1994, 16-24 per il quale ��la frammentazione era forse un modo consueto di lavorare per i compilatori dei due codici��. 243 Da segnalare in proposito è il lavoro di A. Di Mauro Todini, Aspetti della legislazione religiosa del IV secolo, Roma, 1990, in cui l�autrice si occupa del contesto storico e del dettato normativo dell�editto, 117-143. 244 Sul problema dei conflitti ideologici che dividevano Ambrogio e Teodosio, si veda G. Vismara, Ambrogio e Teodosio: i limiti del potere, in SDHI, 56, 1990, 256-269 e N.Q.King, The Emperor Theodosius and the establishment of Christianity, London, 1961, 68ss.

141

apporti cristiani non vanno comunque esagerati.

Passiamo ad un esame della prima parte della norma emanata il 30

dicembre 380:

CTh.9.2.3: (Imppp. Gratianus, Valentinianus et Theodosius AAA. Eutropio p.p). Nullus in carcerem, priusquam convincatur, omnino vinciatur. Ex longinquo si quis est acciendus, non prius insimulanti adcommodetur adsensus quam sollemni lege se vinxerit et in poenam reciproci stilo trepidante recaverit. Eique qui deducendus erit ad disponendas res suas componendosque maestos penates spatium coram loci iudice aut etiam magistratibus dierum xxx tribuatur, nulla remanente aput eum qui ad exhibendum missus est copia nundinandi. Dat. III kal. ian. Constantinopoli Gratiano V et Theodosio I AA. conss.

Già l�inizio di questa disposizione ha creato notevoli problemi

interpretativi. Infatti, mentre alcuni autori245 hanno riconosciuto

nell�affermazione �Nullus in carcerem, priusquam convincatur,

omnino vinciatur� un inequivocabile divieto di carcerazione

preventiva, altri hanno cercato di fornire spiegazioni ulteriori246.

245 Così reputano, tra gli altri, U. Brasiello, La repressione, 487; R. Bonini, Ricerche, 141; G. Pugliese, Garanzie, 617; S. Giglio, Relatio 49, 584-585; N. Scapini, Diritto e procedura penale nell�esperienza giuridica romana, Parma, 1992, 156. 246 Ad esempio M. Messana, Riflessioni, 132 interpreta tale disposizione ��nel senso che soltanto fondati indizi di colpevolezza possono consentire l�impiego della custodia carceris��. L�autrice tuttavia, sul presupposto che si tratti di due provvedimenti distinti, incontra difficoltà a coordinali in quanto, osserva, il primo sembrerebbe vietare ogni carcerazione preventiva, il secondo si soffermerebbe su alcune modalità della stessa. Questo accade perché la studiosa si fonda sull�erronea convinzione che Teodosio avesse abolito la custodia carceraria. Al contrario A. Berger, Procanon. Note on a rare term in the scholia to the Basilica, in Festschrift Schulz, 2, 1951, 18, osserva a proposito di questa costituzione che con essa si stabilisce che la popolazione non può essere arrestata e trattenuta in carcere per lungo tempo senza processo.

142

Secondo me la soluzione della questione dipende dal significato che si

intende attribuire al verbo �convincere�.

Se infatti lo si interpreta letteralmente come �provare la colpevolezza

di qualcuno�, la frase in esame contiene il divieto di imprigionare

l�imputato prima che ne sia dimostrata la colpevolezza. Tuttavia a

questo punto s�impongono due possibili letture esegetiche a seconda

del senso attribuito all�altra forma verbale contenuta nella

proposizione e cioè �vincire�.

Se a tale termine si assegna il significato traslato di �imprigionare�, si

può effettivamente supporre che l�imperatore volesse vietare l�utilizzo

del carcere nei confronti di persone in attesa di giudizio, riservando

ormai tale misura a quelle condannate e da giustiziare.

Se invece si privilegia il significato letterale e storico del verbo e cioè

quello di � legare, incatenare, mettere in ceppi �, allora la garanzia si

ridimensiona notevolmente.

Teodosio, in quest�ultimo caso, non avrebbe infatti bandito il ricorso

alla detenzione preventiva, bensì, con una disposizione ricca di

umanità, ma, in ogni caso, né più né meno in linea con quella dei suoi

predecessori, si sarebbe limitato a combattere l�invasiva e crudele

pratica dell�incatenamento.

Ritengo di dover aderire a quest�ultima ipotesi che, pur restringendo

molto la portata garantistica dell�intervento teodosiano, mi sembra

comunque l�unica accettabile.

A Teodosio tuttavia non basta regolare le modalità pratiche di

detenzione in carcere, stabilendo il ricorso alle catene solo in caso di

accertamento della colpevolezza, per cui detta altre norme interessanti

di sostegno all�accusato.

Sempre in questa costituzione si specifica infatti che, qualora si renda

143

necessaria una traduzione ex longinquo, il magistrato possa concedere

la relativa autorizzazione solo quando l�accusatore abbia esaurito i

sollemnia accusationis e che al deducendus debba essere concesso

uno spazio di tempo, pari a trenta giorni nella versione teodosiana ed

identificato in un più generico sufficientes dies, comunque non

inferiore a trenta giorni, in quella giustinianea, per consentirgli di

disponere res suas e di componere maestos penates.

Si instaura in questo modo un regime più aperto agli interventi

dell�autorità giudiziaria, in astratto notevolmente più favorevole al

reus deducendus di quello precedente247.

Un orientamento analogo si riscontra nel secondo frammento della

costituzione databile 30 dicembre 380 dove compare l�ormai celebre

riferimento alla velox poena :

CTh.9.3.6: (Imppp. Gratianus, Valentinianus et Theodosius AAA. Eutropio p.p). De his quos tenet carcer id aperta definitione sancimus, ut aut convictum velox poena subducat aut liberandum custodia diuturna non maceret. Temperari autem ab innoxiis austera praeceptione sancimus et praedandi omnem segetem de neglegentia iudicum provinciarum ministris feralibus amputamus. Nam nisi intra tricensimum diem semper commentariensis ingesserit numerum personarum, varietatem delictorum, clausorum ordinem aetatemque vinctorum, officium viginti auri libras aerario nostro iubemus inferre, iudicem desidem ac resupina cervice tantum titulum gerentem extorrem impetrata fortuna decem auri libris multandum esse censemus.

Con particolare decisione l�imperatore esordisce ammonendo che �o

il reo è velocemente sottoposto alla pena prevista oppure una lunga

144

custodia non tormenti chi deve essere liberato�.

In questo modo Teodosio riprende l�idea già espressa da Costantino,

per la quale la detenzione deve rappresentare un momento di

passaggio prima della destinazione finale dell�imputato e non una

misura permanente, sostitutiva della pena.

Al fine di garantire l�effettività di tale prescrizione, come aveva già

fatto il suo predecessore, anche Teodosio continua a combattere le

possibili corruzioni e negligenze.

Di particolare interesse è l�obbligo imposto al commentariensis248 di

redigere un resoconto mensile contenente l�annotazione del numero e

delle persone incarcerate, dei capi di imputazione e di tutti gli altri

elementi utili a identificare i detenuti.

Il proposito manifestato da Teodosio non si discosta perciò molto da

quello alla base degli interventi su cui ci siamo già soffermati.

Tale disfavore per una carcerazione prolungata non fa quindi altro che

confermare le tristi narrazioni di Libanio sulla disperata condizione

dei reclusi249.

A causa della lentezza dei giudizi e delle condizioni igienico-sanitarie,

infatti, la vita dietro le sbarre si trasforma in una lenta ed inesorabile

247 Di questo parere sono già S. Giglio, Relatio 49, 585; D. Vera, Commento storico alle relationes di Quinto Aurelio Simmaco, Pisa, 1981, 345; R. Bonini, Ricerche, 142 e ntt.146-147. 248 Il testo non chiarisce a quale ufficio debba appartenere questo funzionario, tuttavia essendo la costituzione indirizzata ad un prefetto del pretorio ritengo plausibile individuare tra i suoi collaboratori il commentariensis in questione. Sui commentarienses in generale: A. Premerstein, A commentariis, in RE, 4, 1, 1900, 766ss. Sull�attività di questi funzionari nell�officium del prefetto del pretorio: F. De Martino, Storia, 306 e nt.60 che cita tra le fonti Lyd., de mag.3.16-18; quanto invece all�officium del prefetto urbano: W.G. Sinnigen, The officium of the Urban Prefecture during the Later Roman Empire, Rome, 1957, 57ss. 249 Lib, Or.33.30ss (3.180ss Forster).

145

condanna a morte, consumata in celle gremite all�estremo250 che

facilitano l�atroce agonia non solo dei criminali, ma anche dei

colpevoli di reati minori, dei testimoni e degli innocenti.

�Le prigioni sono stipate di corpi - scrive Libanio nell�orazione 45 -

nessuno esce, o solo pochissimi, per quanto moltissimi vi entrino � i

reclusi vivono in condizioni pessime, non riescono neanche a

distendersi per dormire251, il loro cibo è scarso e cattivo e vivono nella

preoccupazione di coloro che hanno lasciato, soprattutto mogli e

sorelle, che se brutte o vecchie, si vedono costrette all�accattonaggio e

se giovani e avvenenti, alla prostituzione��.

Gli stessi carcerati hanno poi bisogno di denaro sia per procurarsi beni

di prima necessità (ad esempio lampade ad olio) sia per sfuggire alle

torture e alle percosse, e se non ne dispongono sono sottoposti ai

tormenti e la loro unica salvezza è l�intercessione delle donne votate

alla filantropia252.

Accade così - conclude amaramente Libanio - che gli uomini in attesa

di giudizio muoiono a migliaia, mentre gli accusatori restano impuniti

250 Lib, Or. 33.41 ss (3.186 Forster) sempre con riguardo alla crudeltà del giudice Tisameno, Libanio ricorda : � Continuava ad aumentare il numero dei prigionieri, non ne lasciò mai nessuno né per i tribunali né per l�esecuzione; conseguenza era che risultava più facile per i prigionieri rendere l�anima che vedere le ossa cacciate fuori della pelle. Egli stipò le prigioni di corpi e motivo di morte era il gran numero dei prigionieri. La maggior parte di questi non meritava la prigione, ma neppure quelli che la meritavano avrebbero dovuto soffrire una morte come questa. La legge prevedeva il taglio della testa, ma non che restassero soffocati a causa del sovraffollamento. In questi casi la rapidità del procedimento è il bene della vittima�. 251 Lib, Or.45.8 (3.362 Forster) 252 Tali donne di cui parla Libanio sono state individuate dalla communis opinio nelle diaconesse, che avevano come occupazione principale proprio quella della carità. In materia, tra gli altri: R. Gryson, Il ministero della donna nella chiesa antica, trad.it., Roma, 1974; A.G. Martimort, Les diaconesses, Roma, 1982; M.G. Bianco, Diaconesse, in Diz. Patr. e di Ant. Crist. dir. da A. Di Berardino, 1, 1983, 934ss.

146

e i giudici indugiano in piacevolezze e si esimono arbitrariamente dal

rendere giustizia253.

Nella stessa orazione 45, �Sui prigionieri�, Libanio ipotizza le ragioni

di tale sovraffollamento e le individua, in parte, nella prassi delle

delazioni, già riscontrata in Ammiano.

Ridurre il numero dei reclusi, in relazione alle strutture carcerarie

esistenti, era un vero problema politico che aveva tra i suoi risvolti più

temuti, oltre al sovraffollamento, rischi di epidemie, disordini ed

evasioni.

Tuttavia, ancora una volta, la ricetta imperiale continua ad essere

incentrata sui soliti semplici punti: istruttorie celeri per abbreviare i

tempi di detenzione, lotta alle corruzioni e alle accuse infondate e nel

frattempo miglioramento delle condizioni dei detenuti in un�ottica non

solo umanitaria, ma anche di ordine pubblico, senza però fissare

termini massimi di custodia.

Neanche con la morte di Teodosio e la conseguente ed irreversibile

divisione delle due partes imperii254, la situazione, ormai cristallizzata,

sembra cambiare, in quanto gli imperatori continuano a tornare sui

precedenti divieti, a riprova della mancata effettività delle passate

disposizioni.

253 Lib, Or.45.25-26 (3.371ss Forster) riferisce come Tisameno, dopo aver a lungo rimandato un�udienza per omicidio, finalmente la svolse, ma, poco dopo, l�interruppe annoiato, con il pretesto di essere disturbato dal canto dei monaci che, in quel mentre, stavano entrando in Antiochia. La conseguenza fu un ulteriore allungarsi dei tempi di quel processo che mai si concluse, dato che cinque degli accusati morirono per la troppo lunga detenzione, senza che si facesse luce sulle loro effettive responsabilità. 254 Bisogna chiedersi se tale separazione sia stata causa di una qualche diversità di prospettive nelle due cancellerie imperiali circa l�impiego del carcere. Un comune disfavore verso la misura detentiva è comunque avvertibile, tra la fine del IV e gli inizi del V secolo, tanto in Occidente (per esempio CTh.9.38.6) che in Oriente (si veda CTh.9.1.18).

147

Proprio a conferma del fatto che uno dei principali mali del tardo

antico era la mancata osservanza delle prescrizioni imperiali, si può

sottolineare come il legislatore, dopo il 380, non si accontenti più di

reiterare il divieto di carceri private o di ribadire il disfavore per le

detenzioni prolungate, ma miri a punire coloro che di siffatte

degenerazioni potevano considerarsi responsabili e cioè quei

funzionari, per lo più appartenenti ai corpi di polizia255, che in pieno

contrasto con i propri compiti istituzionali, si servivano di prigioni

private per estorcere confessioni o privavano della libertà personale i

presunti rei senza averne i poteri.

Il primo abuso venne colpito nel 388 con l�incriminazione per lesa

maestà tramite CTh.9.11.1.

Nei confronti del secondo, invece, l�imperatore Arcadio nel 395, con

una serie di disposizioni rivolte a Marcello magister officiorum, sancì

la netta separazione delle funzioni di giudici ed agentes in rebus,

proibendo a questi l�esercizio del potere di arresto.

E� però con l�imperatore Onorio che troviamo una nuova risposta al

problema del coordinamento tra esigenze di rapidità del processo e

tempi della carcerazione preventiva. Mentre nel 395 con CTh.9.1.18

Arcadio, al fine dichiarato di combattere l�inerzia dei giudici e i

conseguenti differimenti della decisione, non fa che riproporre il

rimedio tradizionale: diminuire i tempi di carcerazione al fine di

ottenere una più rapida definizione del giudizio; invece Onorio, in

CTh.9.2.5 del 409, indirizzata a Ceciliano prefetto del pretorio,

introduce quello che potrebbe apparire un nuovo istituto.

255 Sui corpi di polizia tardoimperiali si sofferma in particolare F. Paschoud, Frumentarii, agentes in rebus, magistriani, curiosi, veredarii: problèms de terminologie, in BHAC, 10, 1979-1980, 215-243.

148

Limitatamente ad una serie tassativa di crimini256, dispone che i rei,

qualora sorpresi in flagranza di reato, siano esentati dalla carcerazione

preventiva ed immediatamente condannati, in una sorta di antesignano

del moderno giudizio direttissimo.

Negli altri casi il giudizio si svolge invece secondo le regole di

CTh.9.2.6257 emanata da Onorio il 21 gennaio 409: essa consente

all�imputato, qualora lo desideri, di usufruire di trenta giorni sub

moderata et diligenti custodia al fine di sistemare i propri affari

personali, anche in vista della necessità di sostenere le spese

processuali.

E� da notare come sia nel provvedimento del 380, che in quello del

409 ricorra il termine di 30 giorni.

Tuttavia mentre il primo sembra volto ad escludere abusi da parte dei

funzionari del governatore nel compimento dell�exhibitio, invece il

secondo presenta specifici riferimenti all�ambito municipale

(municipalibus actis interrogari). Andando avanti con i decenni, si

nota che la prospettiva formalmente garantista della posizione degli

accusati, in qualità di detenuti, prosegue e si consolida anche con il

legislatore giustinianeo, ma con una sostanziale differenza.

Mentre gli imperatori, che si erano succeduti dal IV fino agli inizi del

VI secolo, avevano adottato numerose seppur generiche prescrizioni,

256 Essi sono la rapina, la violenza commessa da più persone, l�omicidio, lo stupro, il ratto e l�adulterio. 257 E� probabilmente la normativa richiamata da quattro lettere di Agostino (Ep.113, 114, 115, 116) con le quali egli intendeva ottenere per un certo Faventius l�osservanza delle disposizioni che consentivano di trascorrere trenta giorni sub moderata custodia, previa comparizione davanti alla curia cittadina. Sulla fattispecie: M. Bianchini, Usi ed abusi della custodia reorum: una testimonianza di Agostino d�Ippona, in Atti del III Seminario Romanistico Gardesano, Milano, 1988, 443-458, che a pagina 449 sottolinea come CTh.9.2.5, appartenente allo stesso testo normativo da cui venne stralciata CTh.9.2.6, neghi un simile beneficio al reo di crimine grave colto in flagrante.

149

sempre però consistenti, per lo più, in ammonimenti vaghi ai diversi

funzionari, invece Giustiniano, per la prima volta, concretizza questi

propositi, traducendoli in precise e tra loro coordinate previsioni

normative.

Il provvedimento basilare in materia, è una costituzione del 529

pervenuta in greco258, indirizzata al prefetto del pretorio Mena,

riportata in: C.I.1.4.22-23, 9.4.6, 9.5.2 e 9.47.26259.

La costituzione imperiale all�inizio dispone che solamente i

magistrati, sia cittadini che provinciali, e i defensores civitatum

possano sottoporre un uomo a custodia.

Nel prosieguo della costituzione Giustiniano provvede invece alla

fissazione di precisi termini di custodia preventiva.

Essi, che, come abbiamo già ricavato dalle considerazioni precedenti,

non avevano trovato, fino a questo momento, un riconoscimento

ufficiale, variano, ora, a seconda dello stato di libero o schiavo

dell�imputato, nonché in ragione della natura del crimine commesso.

Si ordina così, più nel dettaglio, che gli schiavi vadano trattenuti 258 Sulla scelta della lingua greca potevano aver influito ragioni di opportunità quali ad esempio la destinazione territoriale della legge all�atto della sua emanazione, oppure le esigenze della prassi, affinché la normativa potesse essere alla portata di quanti che dovevano osservarla e farla osservare; forse non fu estraneo a questa scelta Giovanni di Cappadocia le cui convinzioni sul punto contrastavano con quelle di Triboniano. Così ritiene G. Purpura, Giovanni di Cappadocia e la composizione della commissione del primo codice di Giustiniano, in AUPA, 36, 1976, 53-54. 259 In questa trattazione si intende aderire alla palingenesi proposta da R. Bonini, Ricerche, 194. L�autore ritiene, infatti, che C.I.9.4.6 faccia parte, insieme ad altre costituzioni inserite in altre parti del Codice e precisamente C.I.9.5.2 (collocata sotto il titolo De privatis carceribus inhibendis ) e C.I.9.47.26 (sotto il titolo De poenis) di un unico ampio provvedimento originario, spezzettato, già all�atto della compilazione del Novus Codex, in più parti. E� inoltre da aggiungere che una parte notevole di C.I.9.4.6 è riportata sotto la rubrica De episcopali audientia et de diversis capitulis quae ad ius curamque et reverentiam pontificalem pertinent, in C.I.1.4.22, mentre la disposizione di C.I.9.5.2, pur se con qualche variante è riprodotta in C.I.1.4.23.

150

almeno venti giorni, dopodiché puniti o, se innocenti, restituiti ai

proprietari o persino rilasciati, qualora questi non si presentino.

Quanto invece ai liberi imprigionati per debiti, essi, a meno che non

siano in grado di prestare fideiussori a garanzia della propria

comparizione, possono essere custoditi per un massimo di trenta

giorni, al termine dei quali la causa va decisa e il convenuto liberato.

Se tuttavia la complessità della questione impedisce al giudice di

pervenire ad una soluzione entro questa scadenza, l�imputato potrà

comunque essere liberato dietro prestazione di una cautio iuratoria.

Qualora però, dopo tale liberazione, egli preferisca rimanere

contumace, sarà punito con la perdita di tutti i suoi beni.

Nei successivi paragrafi 4-6 viene invece disciplinata la reclusione

preventiva dell�uomo libero accusato di un crimine, distinguendo a

seconda che esso abbia o meno natura capitale.

Infatti, se si tratta di un crimen non capitale, il detenuto può essere

rilasciato prestando fideiussori oppure, se non è in grado di

procurarsene, è destinato a rimanere in carcere per un periodo

massimo di sei mesi entro cui la causa dovrà pervenire ad una

conclusione.

Se invece si tratta di un crimen capitale, s�introduce un�ulteriore

distinzione costituita dal rilievo che l�accusa sia stata formulata da

pubblici funzionari, oppure semplicemente mossa da un privato.

Nella prima ipotesi si stabilisce che non possa essere ammesso

l�intervento di fideiussori, ma la custodia non ecceda comunque i sei

mesi; nella seconda, invece, è ripristinata la possibilità di prestare

garanti, ma in loro assenza, il termine massimo di detenzione sale ad

un anno.

In un�ottica di coordinamento con la di poco successiva C.I.9.44.3 del

151

529, che fissa il termine generale di due anni per la durata del

processo e a cui abbiamo già accennato, si può desumere che il limite

biennale si applichi solo nei casi in cui l�accusato non sia sottoposto a

carcerazione preventiva e quindi tutte le volte in cui sia permesso per

legge prestare garanti o l�iniziativa sia di provenienza privata.

Si tratta pertanto, con evidenza, di un sistema molto ben congegnato,

che, come osserva Bonini260, �più dei precedenti interventi mira a

salvaguardare in modo compiuto il principio della libertà personale�.

L�entusiasmo per questa disposizione, che aveva portato Pugliese261 a

parlare di un habeas corpus avanti lettera, va comunque

ridimensionato alla luce del successivo paragrafo 6, nel quale si

sancisce la presunzione di colpevolezza fino al giudizio finale e, in

base ad essa, si ammettono carcerazioni preventive anche superiori ai

termini suindicati.

Il Bonini262 ha interpretato questa clausola nel senso che, �poiché gli

accusati si presumono colpevoli, sono destinati a rimanere in carcere

per tutto il tempo necessario allo svolgimento del processo�,

assegnando così a tale prescrizione un valore essenzialmente

contrastante con le disposizioni precedenti.

Un simile ragionamento non sembra tuttavia condivisibile soprattutto

perché non appare credibile che il legislatore giustinianeo, dopo aver

approntato un meccanismo tanto articolato e rispettoso delle diverse

fattispecie, intenda poi vanificarlo.

Preferisco quindi aderire all�opinione espressa da Pugliese263 per il

quale il paragrafo 6 si limiterebbe a precisare �che se sussistono 260 R. Bonini, Ricerche, 200. 261 G. Pugliese, Garanzie, 619. 262 R. Bonini, Ricerche, 201. 263 G. Pugliese, Garanzie, 618.

152

all�inizio del processo elementi tali da far presumere la colpevolezza

dell�accusato, allora (e solo allora) questi può essere tenuto in carcere

per il tempo indicato, senza che possa liberarsi col dare fideiussori.

Si tratta quindi di una limitazione, non dell'annullamento, dei principi

enunciati prima: una limitazione certamente grave, ma non tale da

togliere a quei principi tutto il loro valore ed il loro interesse�.

In sintesi perciò saremmo di fronte non ad un�intrinseca

contraddizione del legislatore giustinianeo, quanto ad una sua

manifestazione di sensibilità per le esigenze concrete del processo che

lo portano talora a trasgredire le direttive programmatiche in vista del

conseguimento di fini pratici.

Tornando all�esame dei nostri brani, incontriamo la prescrizione per

cui, chiuso il processo ed emanata la sentenza, questa, sia corporalis

che pecuniaria, va subito eseguita. In questo caso concordo con

Bonini264 per il quale la ratio di questa disposizione può essere

identificata nel proposito di limitare al massimo l�intervallo tra la

conclusione del processo e l�esecuzione della sentenza, e mi riservo di

tornare in seguito sul problema.

Tralasciando per ora anche la menzione delle conseguenze

sanzionatorie poste a carico dei funzionari trasgressori, in quanto

sempre coinvolgenti il ruolo di sorveglianza ed ausilio devoluto ai

vescovi a cui intendo accennare in conclusione, passo ad esaminare il

successivo testo, C.I.1.4.22., appartenente, secondo la palingenesi del

Bonini, a questa lunga costituzione

In esso si ribadisce il divieto di mantenere carceri private, che già ben

conosciamo; l�elemento innovativo tuttavia è rappresentato dalla

264 R. Bonini, Ricerche, 202.

153

risposta sanzionatoria elaborata da Giustiniano in caso di

inosservanza.

Si stabilisce infatti che i trasgressori, cuiuscumque condicionis vel

dignitatis sint, saranno tenuti a trascorrere in un pubblico carcere un

periodo equivalente a quello passato nella prigione privata dal

soggetto illegalmente detenuto; inoltre, come ulteriore pena, si

dispone a priori la soccombenza dei carcerieri in caso di lite da loro

eventualmente intentata contro i detenuti.

Il brano conclusivo della costituzione è rappresentato da C.I.9.47.26

che, presupponendo come già esaurito il processo penale, è collocato

sotto la rubrica De poenis.

Essendo tuttavia suddetta disposizione incentrata su una figura di

esilio abbastanza affine alla relegatio e limitandosi solo in parte a

richiamare le disposizioni di cui sopra, ritengo inutile indugiarvi.

L�ultima tematica, che reputo necessario, almeno, introdurre, in questa

sede, è la tortura265.

Credo utile soffermarmi brevemente su di essa, sia perché argomento

connesso al tema della carcerazione, sia perché ogni trattazione avente

ad oggetto l�epoca tardo imperiale e tendente ad un minimo di

265 Tra i principali studi in materia segnalo: Th. Mommsen, Le droit pénal, 2, 82; P. Fiorelli, La tortura giudiziaria nel diritto comune, 1, Milano, 1953, 16ss.; L.Chevailler, s.v. Torture (la torture e le droit pénal romain, in Dictionaire de droit canonique, 7, Paris, 1965, 1293-1295; P.A. Brunt, Evidence given under Torture in the Principate, in ZSS, 97, 1980, 256-265; D. Grodzynski, Tortures mortelles et catégories sociales. Les �summa supplicia� dans le droit romain aux IVe et Ve siècles, in Du chatiment dans la cité, Paris, 1984, 361-403; V. Marotta, Multa de iure sanxit. Aspetti della politica del diritto di Antonino Pio, Milano, 1988, 202ss; P. Cerami, Tormenta pro poena adhibita, in AUPA, 41, 1991, 31-50; J.Ph. Levy, La torture dans le droit romain de la preuve, in Collatio iuris romani, 1, 1995, 241ss.; S. Toscano, Sub iudice subpliciorum: notazioni sul diritto di punire nella società tardoantica, in ARC, 10, Perugia, 1995, 603ss; J. Arce, Sub eculeo incurvus: tortura e pena di morte nella società tardo romana, in ARC, 11, Perugia, 1996, 355ss.

154

completezza espositiva non può esimersi dall�occuparsene.

Come dimostrano gli importanti titoli De quaestionibus, inseriti tanto

nel Codice Teodosiano (CTh.9.35), quanto nella compilazione

giustinianea (D.48.18 e C.I.9.41), la tortura a carico dell�imputato e

dei testimoni, quale strumento per estorcere la confessione e pervenire

alla verità, è un fenomeno senza dubbio molto diffuso in quest�epoca.

L�istituto in ogni caso va considerato alla luce delle idee del tempo,

senza che il mero rilievo della sua ricorrenza porti, aprioristicamente e

superficialmente, ad etichettare tale periodo come barbara e priva di

ideali. Se solo con Beccaria266 e la rinascita illuminista si sente infatti

il bisogno di condannare definitivamente tale pratica, ciò testimonia in

parte quanto essa prima costituisse una consuetudine radicata.

Gli stessi padri cristiani sembrano ammetterla senza orrore o scandalo

tanto che Ambrogio, in qualità di vir consularis, la applica267 e

Agostino riconosce in essa una vera necessità sociale268 tanto che,

invitando lo iudex christianus ad esercitare le proprie funzioni pii

patris officium, non esclude che per far emergere la verità egli possa

anche ricorrere virgarum verberibus269.

Nel tardo, in conclusione, due sembrano le tendenze in tema di

tortura: da una parte l�allargamento delle fattispecie criminose in

relazione alle quali si ammette la sua operatività, dall�altra il

progressivo restringimento della sua applicazione mediante

l�esclusione di varie categorie di soggetti.

266 C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, Milano, 1764, 306 ss. 267 P.L. 20.31. 268 Nel De civitate Dei, 19.6 Agostino, a proposito della tortura, la giustifica dicendo: ��pertrahit humana societas, quam diserere nefas ducit��. 269 Ep.133.2.

155

CAPITOLO QUARTO

IL PROCESSO CRIMINALE NEL TARDO IMPERO: L�ESECUZIONE DEL GIUDICATO PENALE

SOMMARIO: 1. Il problema del giudicato penale e della sua esecuzione � 2. Le direttive ai funzionari imperiali.

1. Il problema del giudicato penale e della sua esecuzione.

Ogni sistema repressivo che miri a garantire l�effettività delle proprie

prescrizioni e ad atteggiarsi, nel panorama degli ordinamenti giuridici,

come �giusto�, non può prescindere dal perseguire quell�insieme di

valori che, ad oggi, vengono sinteticamente riassunti nella formula

�certezza del diritto�270. Tale concetto, tuttavia, nel diritto penale,

integra una fattispecie a realizzazione progressiva che, per veder

completato il proprio iter formativo, necessita di almeno tre fasi

successive.

Per aversi certezza, infatti, non basta che il comportamento contestato

come illecito sia contemplato a titolo di reato da una norma

dell�ordinamento e che la pena concretamente irrogata con la sentenza

coincida, per qualità e quantità, con quella prescritta in astratto dalla

legge, ma è soprattutto necessario che suddetta sanzione, una volta

270 Un bell�esempio dell�importanza che il valore della certezza del diritto può assumere anche nel mondo antico è fornito dagli studi pubblicati a cura di M. Sargenti e G. Luraschi, in La certezza del diritto nell�esperienza giuridica romana. Atti del convegno di Pavia, 26-26 aprile 1985, Padova, 1987.

156

comminata, sia effettivamente scontata dal soggetto riconosciuto come

colpevole.

Mentre i primi due momenti sembrano trovare attuazione, almeno

parziale, anche nell�esperienza giuridica romana tardo antica, l�ultimo

appare invece estremamente carente.

La costante preoccupazione manifestata dalle cancellerie imperiali a

proposito dell�attività applicativa della norma, elaborata a livello

centrale, da parte dei funzionari periferici e le numerose direttive

emanate a tal fine sembrano, tuttavia, smentire la natura preordinata e

dolosa di tale mancata esecuzione.

Sussiste pertanto un�aporia di fondo tra i ripetuti interventi imperiali

che, tra IV e V secolo, cercano di prevenire e reprimere l�inattività dei

funzionari locali, anche attraverso la conoscibilità della legislazione

vigente271, ed il desolante quadro della giustizia criminale riportato

dalle fonti letterarie.

Bisogna perciò, in primo luogo, verificare se ed in quale modo la

legislazione imperiale si sia preoccupata di garantire che il colpevole

di un reato venga effettivamente condannato e sconti la relativa

sanzione ed, in secondo luogo, indagare le ragioni profonde per cui,

nonostante tali disposizioni, la pena non sia poi in concreto espiata.

Al fine di fornire una risposta soddisfacente a questi interrogativi,

dovrò perciò addentrarmi in tematiche complesse e non ancora del

tutto chiarite, quali la conoscibilità del diritto, l�indipendenza

dell�organo giudicante, l�effettività delle norme criminali.

271 Proprio questa preoccupazione avrebbe ispirato, secondo G.G. Archi, Le codificazioni postclassiche, in La certezza del diritto, 149-168, le iniziative assunte dalle cancellerie di Ravenna e di Costantinopoli negli anni 426-438

157

Tutte questioni che, nel tardo, non hanno ancora trovato risposta

univoca e che, ai fini della mia indagine, andranno comunque

esaminate alla luce di quella sottile linea di confine tra ideologia e

propaganda che permea tutta la legislazione imperiale ed in cui

risiede, a mio parere, la vera chiave di volta circa il problema

dell�efficacia della normativa criminale.

Prima di passare ad esaminare i più rilevanti interventi in materia,

ritengo necessario premettere la menzione di alcune tendenze proprie

del tardo antico che, se opportunamente correlate, possono contribuire

a cogliere meglio il problema del giudicato penale e della sua

esecuzione.

Un primo aspetto meritevole di attenzione è costituito dalla

propensione postclassica, finora qui mai posta in risalto, ma

riconosciuta da larga parte della dottrina272, a privare completamente il

giudice di ogni discrezionalità circa l�irrogazione della pena in

concreto.

272 Questa tesi sostenuta da F. De Robertis in una serie di studi (F. De Robertis, Arbitrium iudicantis e statuizioni imperiali, in ZSS, 59, 1939; Id., Sull�efficacia normativa delle costituzioni imperiali. Il giudice e la norma nel processo penale straordinario, in Ann. Bari, 4, 1941; Id., La variazione della pena �pro modo admissi�, Studi di diritto penale romano, Città di Castello- Bari, 1942; Id., La variazione della pena nel diritto romano. I. Problemi di fondo e concetti giuridici fondamentali. II. La variazione della pena � pro qualitate personarum�, Bari, 1954; ora tutti in Scritti varii di diritto romano, 3, Bari, 1987) è ad oggi ormai divenuta opinione dominante. Tra i tanti che vi aderiscono si ricordi B. Santalucia, Diritto e processo, 140 per il quale �tutti i principali crimini sono ora assoggettati alle pene fissate dalle costituzioni imperiali. Il giudice deve limitarsi ad accertare se l�ipotesi delittuosa si sia o meno verificata: la pena discende direttamente dalla legge ed è preclusa ogni possibilità di graduarne la portata� e V. Giuffrè, La repressione, 182 che con estrema chiarezza osserva come ormai �la nuova concezione del potere�non poteva non comportare la riduzione a minimi termini dei poteri di valutazione dei tribunali imperiali: la tendenza della legislazione imperiale fu, infatti, di identificare con precisione minuziosa tutte le possibili figure criminose e di fissare per ciascuna una pena determinata, lasciando ai

158

Secondo la maggioranza degli autori, si sarebbe infatti consolidato un

sistema repressivo in grado di prevedere per ciascuna fattispecie

criminale una pena edittale determinata, alla quale il giudice si

sarebbe dovuto rigorosamente attenere, senza possibilità di iniziative

autonome.

Tale affermazione, in apparenza non problematica, necessita però,

secondo me, di essere circoscritta e precisata alla luce di ulteriori

fattori. Va infatti sottolineato che il precetto ��perpensas serenitatis

nostrae longa deliberatione constitutiones nec ignorare quemquam

nec dissimulare permittimus��273, così come le condizioni minime

per poter affermare un obbligo, in capo ai funzionari imperiali, di

conoscere e quindi applicare la legge vigente si possa affermare solo

con la pubblicazione del codice di Teodosio II.

Inoltre tale dovere, anche in seguito, riguarda solo ed unicamente il

complesso delle costituzioni imperiali e non anche le norme di ius

vetus, conservate nelle opere giurisprudenziali ed ancora largamente

applicate nei giudizi criminali; costituzioni imperiali che talvolta non

si preoccupano né di definire il reato, né di comminare espressamente

una pena determinata.

Emerge quindi, almeno fino al Codice Teodosiano, una realtà

normativa frammentata, incerta, contingente, talora contraddittoria,

dove le disposizioni imperiali precedenti, mai esplicitamente abrogate,

giudici il solo compito di accertare in fatto se l�ipotesi criminosa si fosse o non si fosse verificata�. 273 Questa frase, conservata in CTh.1.1.2 del 391, è probabilmente tratta, secondo G.G. Archi, Teodosio II e la sua codificazione, Napoli, 1976, 98 e 101, da un più ampio provvedimento, comprensivo anche di CTh.3.1.6. L�autore suppone quindi che nel testo originale l�affermazione estrapolata si riferisse ad una specifica legge imperiale e che solo i compilatori del Teodosiano l�abbiano resa generale riferendola pur tuttavia �alle sole divales o sacrae constitutiones accolte secondo le direttive del 435, e cioè alle leges generales�.

159

si sovrappongono a quelle più nuove e contribuiscono a rendere, per il

giudicante, ancora più difficile l�individuazione della norma da

applicare.

Del resto, anche dopo il 429, non sempre è facile reperire nello stesso

Teodosiano risposte sanzionatorie univoche e complete274.

Posto infatti lo stretto legame intercorrente tra norme penali, realtà

contingente e politica legislativa, accade spesso che gli imperatori si

limitino a richiamare le disposizioni dei predecessori, qualora

corrispondenti ai propri indirizzi politici, senza preoccuparsi che alle

enunciazioni di principio, segua una concreta attuazione in sede

giudiziaria.

Le ragioni dell�inapplicabilità nel tardo delle norme incriminatrici non

sembrano risiedere, però, solo nel carattere non sempre tassativo ed

onnicomprensivo della relativa legislazione, ma trovano alimento

anche in problemi di conoscibilità della normativa vigente, legati allo

stesso sistema processuale.

Essendo infatti l�obbligo di applicare le costituzioni imperiali limitato,

di fatto, solo ai testi normativi offerti al giudicante dalle parti durante

la recitatio o dallo stesso personalmente conosciuti, si verifica spesso

che la decisione, stante l�impreparazione di avvocati e giudici, sia

adottata sulla base di un apparato conoscitivo assai inferiore rispetto

all�intera legislazione vigente.

In altre parole si può ipotizzare che i tribunali imperiali non siano in

grado di conoscere completamente tutte le leggi in vigore e quindi

274 A mero titolo esemplificativo si può citare il fatto che in CTh.9.5 Ad legem Iuliam maiestatis è riportata un�unica costituzione CTh.9.5.1 del 320-323 che riguarda l�uso della tortura nei processi di maiestas e vieta a servi e liberti di accusare i propri domini, senza però né definire il reato, né determinare in concreto la pena da applicare.

160

abbia trovato spazio la prassi di continuare ad applicare solo quelle

più note.

Scarsa conoscibilità della normazione, sua incompletezza ed

impossibilità del giudice di colmare le eventuali lacune appaiono

quindi, a prima vista, le principali cause di tale mancanza di

effettività. Molti altri fattori hanno tuttavia concorso ad aggravare

questa situazione di fondo e sono quelli che giustificano ad esempio le

ipotesi in cui la pena edittale, anche quando disposta in modo chiaro e

preciso, non è applicata o rimane ineseguita.

Ritengo perciò necessario, dapprima, mettere in luce se e come i

diversi imperatori abbiano cercato di garantire l�effettività delle

proprie prescrizioni, poi verificare quale margine di autonomia residui

al giudice nell�applicazione della norma e solo infine cercare di capire

perché, nonostante queste disposizioni, il giudicato possa rimanere

inattuato.

1. Le direttive ai funzionari imperiali.

L�indagine sulle problematiche relative alla responsabilità penale dei

funzionari275, benché sia stata autorevolmente definita �basilare per

spiegare il funzionamento della amministrazione imperiale

275 Sull�argomento, ritengo opportuno segnalare gli studi di: M. Lauria, Calumnia, 97ss. (= Studii e ricordi, Napoli, 1983, 245ss.); M. Clauss, Der magister officiorum in der Spatantike (4-6 Jahrhundert), München, 1980, 55ss.; K.L. Noethlichs, Beamtentum und Dienstvergehen, Wiesbaden, 1981; K. Rosen, Iudex und officium. Kollektivstrafe, Kontrolle und Effizienz in der spatantike Provinzialverwaltung, in Ancient Society, 21, 1990, 273ss.; A. Laniado, Les amendes collectives des officia dans la législation inpéeriale après 438, in Ancient Society, 23, 1992, 83ss.; S. Pietrini, L�iniziativa, 136ss.

161

romana�276, resta uno dei temi più oscuri e bisognosi di

approfondimento dell�esperienza giuridica tardo antica, stanti anche le

notevoli conseguenze pratiche ad esso collegate.

Il primo rilievo da cui può prendere avvio la relativa indagine è il fatto

che, solo in concomitanza con la nuova struttura burocratica

postclassica, è possibile rinvenire nella legislazione imperiale un così

consistente numero di illeciti riconducibili all�ambito di attività dei

funzionari.

A sostegno di questa affermazione si può portare ad esempio il primo

libro del Codice Teodosiano che dedica vari titoli all�incriminazione di

comportamenti commissivi ed omissivi, perpetrabili dai soli

appartenenti agli uffici imperiali.

A questo proposito il Lauria ha parlato di un nuovo �diritto penale

disciplinare�277 il quale, possiamo aggiungere noi, attraverso una

responsabilizzazione degli amministratori, sembra realizzare, in via

mediata, anche un miglioramento delle condizioni degli amministrati.

Tuttavia il fondamento di tale disciplina sanzionatoria appare

notevolmente diverso rispetto alle epoche precedenti.

Mentre infatti nei secoli passati ed in particolare durante la repubblica,

i reati, aventi quali soggetti attivi magistrati, ravvisavano tutti la

propria condotta tipica in un uso distorto e quindi illegale

dell�imperium278, invece nel tardo, non solo la responsabilità dei

funzionari si estende, ma spesso prescinde dall�accertamento di una

276 Queste parole sono di M. Lauria, Indirizzi e problemi romanistici, in Il Foro italiano, 61, 1937, 559 (= Studii e ricordi, 339). 277 M. Lauria, Calumnia, 251. 278 Sulla responsabilità dei magistrati si veda tra i più recenti: O. Licandro, In magistratu damnari. Ricerche sulla responsabilità dei magistrati romani durante l�esercizio delle funzioni, Torino, 1999, al quale si rimanda per un approfondimento delle fonti e della bibliografia.

162

concreta neglegentia, configurandosi come mera conseguenza

dell�incarico ricoperto.

Nella legislazione successiva al IV secolo è quindi frequente

riscontrare, come osservano alcuni autori279, fattispecie punitive tanto

basate sull�elemento soggettivo della colpa, quanto configuranti

ipotesi di responsabilità oggettiva.

Ciò che interessa ai fini del nostro studio non è tuttavia indagare il

coefficiente soggettivo sotteso alle singole norme incriminatrici, bensì

evidenziare gli interventi imperiali concretamente approntati al fine di

garantire il rispetto delle disposizioni vigenti.

L�attenzione imperiale, manifestata su più fronti e finalizzata ad

imporre ai funzionari l�applicazione delle leggi in vigore, va però

sottolineato, non sembra rispondere principalmente ad una

preoccupazione per le sorti dell�imputato, quanto ad un bisogno

imperiale di ribadire la propria supremazia ed evitare inefficienze.

Da ciò discende sia il fatto che i più importanti interventi in materia

riguardano l�ambito fiscale e criminale, dove il pericolo di

ripercussioni dirette sul potere imperiale è più forte, sia il fatto che i

giudici trasgressori vengono duramente apostrofati come arroganti e

condannati al pagamento di cospicue somme di denaro.

Un primo esempio significativo è costituito da un editto di Costantino

del 2 giugno 315, indirizzato ad universos provinciales e conservato in

CTh.2.30.1280.

279 Per tutti D.A. Centola, In tema di responsabilità penale nella legislazione tardo imperiale, in SDHI, 68, 2002, 571. 280 CTh.2.30.1: (Imp. Constantinus A. ad universos provinciales). Intercessores a rectoribus provinciarum dati ad exigenda debita ea, quae civiliter poscuntur, servos aratores aut boves aratorios pignoris causa de possessionibus abstrahunt, ex quo tributorum illatio retardatur. Si quis igitur intercessor aut creditor vel praefectus pacis vel decurio in hac re fuerit detectus, a rectoribus

163

In esso l�imperatore incarica i governatori provinciali di infliggere la

pena capitale all�intercessor (cioè al magistrato nominato dallo stesso

governatore della provincia per la riscossione di quei debita, quae

civiliter poscuntur), al creditore, al praefectus pacis281 o al decurione

che abbiano pignorato anche i beni destinati al pagamento dei tributi.

In questo modo Costantino, con la promessa di un castigo

estremamente dissuasivo quale la pena di morte, impone ai funzionari

(ma anche al privato creditore) un vero obbligo di diligenza e

responsabilizza i governatori provinciali, demandando loro uno

specifico dovere di vigilanza sull�operato dei propri sottoposti.

Il provvedimento normativo che ritengo comunque più interessante e

chiarificatore, tanto della posizione dell�organo giudicante nel tardo

antico, quanto dell�impegno imperiale a far sì che la legge sia

applicata e la pena comminata eseguita, è CTh.9.10.4.1, emanata da

Teodosio I:

CTh.9.10.4.1: Iudicem vero nosse oportet, quod gravi infamia sit notandus, si violentiae crimen apud se probatum distulerit, omiserit vel impunitate donaverit aut molliore, quam praestituimus, poena perculerit. Dat. prid. non. mart. Mediolano, Valentin. A. IV. et Neoterio V. C. conss.

Si tratta di un�epistula del 6 marzo 390 indirizzata ad Albino,

praefectus urbi, nella quale si prevede per il giudice, presso cui sia

provinciarum capitali sententiae subiugetur. Dat. IV. non. iun. Sirmio, Constantino A. IV. et Licinio IV. conss. 281 L�identificazione di questo funzionario non è agevole. Il Codice giustinianeo, inoltre, riproducendo parzialmente la costituzione in esame in C.I.8.16.7.1 sostituisce il riferimento al praefectus pacis con quello al praefectus pagi vel vici. E� pertanto da ritenere preferibile, tra tutte le possibili soluzioni, quella che, basandosi su una traduzione letterale dal greco, fa coincidere tale personaggio con l�irenarca.

164

stato provato il crimen violentiae, la pena di una grave infamia, nel

caso che abbia differito od omesso la punizione oppure abbia

riconosciuto al colpevole l�impunità o una pena più lieve di quella

sancita dalle leggi imperiali in materia.

Va subito sottolineato come questa costituzione si preoccupi di colpire

in modo puntuale tutti i possibili usi distorti della capacità giudicante:

dal totale diniego di giustizia, al differimento pretestuoso, fino

all�applicazione di una pena diversa da quella prevista per legge,

ancorché limitatamente al crimen violentiae.

Con tali rigide prescrizioni l�imperatore non mira tanto a sancire un

principio di tassatività e di legalità nell�applicazione delle pene,

quanto ad evitare che quell�equilibrio tra controllo assoluto e

trattamento severo, ma quantomeno umano, dell�imputato, che si era

cercato di rafforzare a livello legislativo, venga vanificato nella prassi

proprio da coloro che, in ultimo, sono tenuti a far funzionare il

meccanismo limitandosi ad applicare la legge, e cioè i giudici.

Non mi sento quindi di ipotizzare che il pensiero tardo imperiale

anticipi l�idea positivista di un giudice soggetto solo alla legge (non

almeno a livello intenzionale); intendo solo evidenziare come il

legislatore, come sempre, miri a far sì che la repressione criminale sia

efficiente e per farlo questa volta, dopo aver colpito i calunniatori, i

giudici corrotti ed i corruttori, scelga di sanzionare coloro che

amministrano la giustizia al di fuori degli schemi legalmente

determinati.

165

L�attenzione di Teodosio per questa problematica si coglie poi in un

altro suo successivo intervento, datato 9 aprile 392 e riportato in

CTh.1.29.8282.

Questa volta l�imperatore, con una lettera al prefetto del pretorio

Taziano, richiede ai defensores civitatum283 un costante impegno

contro i latrones284 affinché i crimini commessi da costoro non si

accumulino impuniti e siano rimossi i patrocinia che abbiano favorito

i colpevoli e prestato aiuto ai criminali.

Ancora per mezzo di parole dure e ferme, l�imperatore fa appello ai

suoi funzionari affinché l�apparato di leggi, predisposto per riportare

la sicurezza e l�ordine pubblico, sia fatto rispettare in modo capillare.

L�indagine che qui si sta conducendo risulta poi arricchita se si

considera che, in altri casi, la legislazione imperiale non si limita a

colpire la singola persona fisica del magistrato, ma configura una

responsabilità di tipo collettivo dei funzionari preposti ad un

determinato ufficio.

282 CTh.1.29.8: (Imppp. Valentinianus, Theodosius et Arcadius AAA. a Tatiano p.p.). Per omnes regiones in quibus fera et periculi sui nescia latronum fervet insania, probatissimi quique atque districtissimi defensores adsint disciplinae et quotidianis actibus praesint, qui non sinant crimina impunitate coalescere. Removeantur patrocinia, quae favorem reis et auxilium scelerosis impertiendo, maturari scelera fecerunt. Dat. V. id. april. Constantinopoli, Arcadio A. II. et Rufino V.C. conss.

283 Sulla figura di tali magistrati si vedano, per tutti, gli studi compiuti a riguardo da V. Mannino, Ricerche sul �defensor civitatis�, Milano, 1984 e F. Pergami, Sulla istituzione del �defensor civitatis�, in SDHI, 61, 1995, 413ss. 284 Per una ricerca più approfondita su tali personaggi si rimanda all�analisi di CTh.9.29.2 (sull�obbligo di deferire i latrones ai giudici) compiuta da M.A. De Dominicis, Riflessi di costituzioni imperiali del Basso Impero nelle opere della giurisprudenza postclassica, Mantova, 1955, 66ss.; in proposito si vedano anche i più recenti studi di A.D. Manfredini, Municipi e città nella lotta ai �latrones�, in Annali dell�Università di Ferrara, 5/6, 1992, 23-34 (= in Roma y las Provincias, Madrid, 1994, 147-159).

166

Al fine di evitare il verificarsi di eventi il cui impedimento sarebbe

rientrato, nella valutazione imperiale, proprio tra i compiti devoluti

agli appartenenti agli uffici, il legislatore tende a moltiplicare le

disposizioni285 volte a punire, non solo il singolo funzionario

responsabile, ma anche tutti i suoi subalterni.

Si assiste così ad un allargamento della responsabilità che non può

trovare altra ragione giustificativa se non quella di costituire un

estremo tentativo di riportare la burocrazia al rispetto della legge e

quindi della sua applicazione.

Per citare le costituzioni imperiali più significative a riguardo, si può

ricordare CTh.6.4.13 di Costanzo II del 3 maggio 361, nella quale si

prevede che, qualora i giudici a ciò destinati abbiano con neglegentia

trascurato le editiones, sia inflitta non solo una multa pari a dieci

libbre d�oro a carico degli stessi giudici, ma anche una di cinquanta

nei confronti dei membri dell�ufficio.

Ancora Teodosio I nel giugno del 380 con CTh.6.10.1, evidenziando

tutto il favore nutrito verso la professione dei notarii286, decreta che

quando a loro carico siano state imposte illecite prestazioni, ancorché

di lieve entità, l�intero officium sia punito con una grave multa.

Di notevole importanza, anche in ragione del suo originale contenuto,

è però, tra tutte, una costituzione di Valentiniano II, CTh.1.6.9 del 27

285 La comune responsabilità dell�officium e del preside per provvedimenti presi da quest�ultimo è sancita in molte costituzioni, tra le quali, oltre a quelle citate nel testo: CTh.12.1.47 del 359; CTh.11.16.11 del 365; CTh.11.29.5 del 374; CTh.12.1.85 del 381; CTh.11.30.48 del 387; CTh.9.40.15 e 11.36.31 del 392; CTh.11.30.51 del 393; CTh.8.5.58 del 398; CTh.11.30.58 del 399; CTh.13.9.6 del 412; CTh.13.5.38 del 414. 286 Su tale figura si veda per tutti: H.C. Teitler, Notarii and exceptores. An Inquiry into Role and Significance of notarii and exceptores in the Imperial and Ecclesiastical Bureaucracy of the Roman Empire (from the Early Principate to circa 450 A.D.), Utrecht, 1983.

167

aprile 385, indirizzata a Simmaco, prefetto urbano, in cui si sancisce

che il giudice che non osservi le disposizioni di legge, privilegiando la

propria arroganza rispetto al giudizio imperiale, veda sanzionato il suo

ufficio con una pena pecuniaria pari a cinque libbre d�oro, a meno che

egli stesso non preferisca pagarne personalmente il doppio, per

risparmiare la punizione ai suoi collaboratori.

La particolarità di tale disposizione risiede sia nel fatto che per la

prima volta si assiste ad un caso di responsabilità alternativa, anziché

cumulativa, sia nel rilievo che la colpevolezza dei componenti

dell�ufficio è affermata in via principale, mentre quella del giudice si

configura solo come sussidiaria.

Simile differenza di trattamento si riscontra in un altro provvedimento,

sempre di Valentiniano II, di appena tre giorni successivo e cioè

CTh.2.1.6 del 30 aprile 385, indirizzato a Neoterio, prefetto del

pretorio.

In esso si dispone che, qualora il litigante dia prova di non essere stato

ascoltato dal giudice competente o di aver subito il rinvio della

controversia in ragione dell�inerzia o del favore, mostrato dal

magistrato, nei confronti della controparte, sia il giudice che i

primores del suo ufficio debbano essere puniti.

Tuttavia, mentre per il primo la pena consiste in una sanzione

pecuniaria pari al valore della causa (cd. aestimatio litis), per i secondi

è prevista la poena deportationis.

Sia in CTh.1.6.9 che in CTh.2.1.6 figura perciò la tendenza a punire

più severamente i componenti dell�ufficio, benché gerarchicamente

inferiori, rispetto al giudice a capo dello stesso.

Al fine di fornire un�adeguata giustificazione a tale fenomeno, appare

necessario, tuttavia, evidenziare le cause che hanno permesso

168

l�affermarsi, nel tardo antico, di ipotesi di responsabilità collettiva dei

funzionari.

Anche questa problematica è stata riportata dalla maggioranza degli

autori che se ne sono occupati nell�alveo della prospettiva inquisitoria

od accusatoria assunta dal sistema processuale tardo antico.

Mentre il Lauria riconosce in tali costituzioni l�affermazione di un

generale obbligo di inquirere in capo ai funzionari imperiali, in

coerenza con un sistema repressivo in cui �i magistrati ed il loro

officium sono tenuti a reprimere gli ormai innumerevoli delitti e sono

anzi essi stessi colpevoli se i delinquenti restano impuniti� dal

momento che, conclude l�autore �la neglegentia dei giudici che

trascurino di scoprire e punire i delinquenti è configurata in molte

costituzioni come connivenza�287; invece chi opta per un�impostazione

di tipo accusatorio preferisce riconoscere in tali fattispecie meri

�illeciti a carattere amministrativo o procedurale�288.

Senza voler entrare nel merito di questa disputa, sulla quale mi sono

già soffermata in apertura, ritengo che dall�esame dei provvedimenti

fin qui citati e che rappresentano, del resto, solo alcuni degli esempi

più significativi dell�ampia produzione normativa tardo antica a

riguardo, si possa trarre l�impressione di una disciplina in tema di

responsabilità dei funzionari a carattere contingente ed occasionale.

Mancando infatti una disposizione che, a livello generale ed

inderogabile, imponga di applicare tutta la legislazione vigente (forse

perché ci si rendeva conto sia della sua difficile reperibilità, che della

sua continua mutevolezza), gli imperatori si limitano ad esortare

all�applicazione della legge penale in relazione a determinate

287 M. Lauria, Accusatio- inquisitio, 277ss. 288 S. Pietrini, Sull�iniziativa, 136 nt.196.

169

fattispecie o a determinati fenomeni sociali che, in quel momento

storico ed in quell�ambito territoriale, sono percepiti come

particolarmente allarmanti.

E� così che beneficiano di rinnovata vis repressiva e di un richiamo

all�effettività le norme a tutela delle vittime dei latrones o del crimen

violentiae, le disposizioni a favore di notarii ed in materia di

editiones.

I numerosi ambiti toccati da disposizioni di questo tipo inducono

comunque a ritenere configurabile un�autentica preoccupazione

imperiale per il mancato rispetto della legge.

Un�altra riflessione stimolata dalle costituzioni finora esaminate e

degna, a mio parere, di particolare attenzione è il rilievo di come, a

differenza che nella struttura burocratica moderna, in quella tardo

antica si assista, non ad una responsabilizzazione del funzionario

gerarchicamente sovraordinato per il fatto del sottoposto, ma al

fenomeno contrario.

Abbiamo infatti visto come spesso l�obbligo di vigilanza sia posto in

capo ai componenti dell�ufficio invece che al superiore e come, in

caso di mal funzionamento dell�apparato burocratico, si preferisca

punire più severamente i collaboratori rispetto al funzionario

responsabile.

E� quindi come se i singoli funzionari fossero gravati dell�onere di

adoperarsi affinché il capo dell�ufficio applichi le disposizioni

imperiali e renda il suo operato efficiente.

Questo fenomeno è stato brillantemente spiegato da Centola289 col

fatto che �mentre i funzionari di grado superiore, posti a capo

dell�officium come il praefectus urbi e quello praetorio�di solito vi

170

rimangono per un periodo di tempo piuttosto limitato, invece i

funzionari subalterni, quali ad esempio gli apparitores290 � svolgono

la loro attività in maniera molto più stabile all�interno dell�apparato

statale�.

Configurare i collaboratori del giudice come una sorta di �coscienza

storica� dell�ufficio e come i veri depositari delle conoscenze

giuridiche che il magistrato sarà chiamato in concreto ad applicare,

sembra anche a me la ricostruzione più plausibile, in quanto coerente

sia con il carattere temporaneo degli incarichi tardo imperiali, che con

le fonti letterarie che descrivono sempre il giudicante assistito da più

adsessores.

A spiegare tale responsabilizzazione dell�organo, anziché del suo

rappresentante, potrebbe poi essere d�ausilio ricordare quella

tendenza, propria del tardo, a far prevalere la tutela dell�ordine

pubblico sulla difesa del singolo individuo, di cui ci siamo già

occupati291.

Il legislatore, infatti, tutto teso a realizzare l�efficienza del sistema

repressivo, potrebbe plausibilmente aver preferito, a fini dissuasori,

colpire l�ufficio nella sua interezza, senza eccessivamente soffermarsi

sulle singole responsabilità individuali, anziché indagare le condotte

personali all�origine dell�evento turbativo del buon funzionamento

dell�apparato burocratico.

Verificata l�esistenza di un obbligo in capo all�organo giudicante di

applicare le leggi imperiali, è ora necessario chiedersi se ciò comporti

per il giudice anche il vincolo assoluto a conformarsi alle pene ivi

289 D.A. Centola, La responsabilità, 578. 290 Sugli apparitores si vedano le pagine di N. Purcell, The �apparitores�: A Study in Social Mobility, in Papers Brit. School at Rome, 51, 1983, 125-173. 291 In proposito si veda il capitolo primo § 1.

171

previste. Senza dubbio la legislazione tardo imperiale, più di ogni

altra, ambisce ad imporre uno schema sanzionatorio, oltreché severo,

anche molto rigido e predefinito.

Il legislatore di questo periodo infatti, anziché prevedere un massimo

ed un minimo edittale all�interno del quale lasciare libero il giudicante

di comminare in concreto la pena ritenuta più idonea, anche alla luce

delle circostanze292, preferisce fissare già in modo autonomo la

punizione nella sua quantità e qualità.

A proposito di questa precisione legislativa nell�approntamento delle

tabelle sanzionatorie, il Guarino293 ha osservato come �si sarebbe

tentati di dire che sin da allora si profilò il principio nullum crimen

nulla poena sine lege, se non fosse così evidente e sconcertante, nel

sistema penalistico postclassico, la mancanza di una base legislativa

che subordinasse sufficientemente i giudicanti ad un minimo decoroso

di precise regole processuali�.

Senza arrivare a tanto, anche perché tale rigida predeterminazione non

risponde ad esigenze garantistiche, quanto piuttosto a ragioni di

efficienza del sistema, bisogna cercare di capire fino a che punto

questo schema venga rispettato e quali siano i rimedi in caso di sua

inosservanza.

In primo luogo si può notare che, qualora il tribunale ignori una

costituzione imperiale o volutamente ne disattenda le prescrizioni,

irrogando una pena diversa per quantità o qualità da quella prevista, la

prima reazione spetti alla parte lesa dal giudicato troppo rigoroso o

292 Sull�irrilevanza delle circostanze oggettive nella repressione criminale del tardo impero si veda per tutti: F. De Robertis, La variazione �pro modo admissi�, 219ss. 293 A. Guarino, Storia, 542.

172

troppo mite, la quale, attraverso lo strumento dell�appello, può

chiedere la riforma della sentenza.

Va però precisato che l�accesso all�appello è consentito all�accusatore

solo laddove presente al giudizio294. Perciò in tutti i casi di sua assenza

o anche solo di sua mancata attivazione si pone un problema di

legittimazione a far valere il mancato rispetto della legge, consumatosi

mediante l�irrogazione di una pena troppo lieve.

Ipotizzo quindi che, in queste condizioni, il controllo sull�operato del

giudice sia possibile solo da parte dei suoi collaboratori e, in caso di

inerzia anche di costoro, operino proprio quelle costituzioni imperiali

di cui ci siamo occupati sopra e che, in questo senso, si configurano

come apparati sanzionatori specifici apposti, quando se ne ravvisa

l�opportunità, alle diverse leggi, al fine di assicurarne l�applicazione.

Per non incorrere in tali conseguenze disciplinari, il giudice che vuole

comminare una pena diversa e, nella specie, più mite di quella imposta

dalla legge, può comunque rivolgersi direttamente all�imperatore per

ottenere un provvedimento di temperamento della sanzione ritenuta

troppo severa.

In sintesi quindi, mentre è sicuramente ravvisabile una possibilità per

il giudice di disattendere in melius la pena prevista dalle costituzioni

imperiali, purché ciò costituisca una espressa manifestazione della

volontà imperiale, ben più difficile è invece configurare un�ulteriore

riforma in peius.

294 Sembra lecito supporre che anche l�accusatore possa ricorrere in appello contro una sentenza che non lo soddisfa; tuttavia, come nota significativamente G. Bassanelli Sommariva, Il giudicato penale e la sua esecuzione, in ARC, 11, Napoli, 1996, 49: �nell�intero codice di Teodosio II una unica costituzione allude con certezza all�appello proposto dall�accusatore: si tratta di una legge occidentale del 398 d.C., collocata sotto la rubrica de calumniatoribus�. Questo

173

Poiché infatti applicare una pena ancora più rigorosa di quella edittale

si configurerebbe come un affronto al monopolio dell�imperatore in

materia repressiva, non si ravvisa nelle fonti traccia di tale evenienza.

Accanto ai casi in cui la pena edittale non è applicata per decisione

discrezionale dell�organo giudicante, vi sono poi altre circostanze in

cui essa non è comminata in quanto il processo non giunge al suo

epilogo, ad esempio a causa della morte del presunto colpevole.

Nonostante le disposizioni volte ad escludere la competenza ad

incarcerare dei funzionari minori e a rendere più umane le condizioni

carcerarie e più brevi i tempi giudiziari, le morti legate all�uso della

tortura e alla detenzione preventiva continuano ad essere

frequentissime.

Assodato come esista in capo ai giudici un obbligo di applicare la

legge penale e di come ciò possa trovare una deroga solo nel consenso

dell�imperatore o nel verificarsi di cause di forza maggiore estintive

del processo295, come la morte dell�imputato, resta da esaminare

perché quando nulla di tutto ciò accada, la pena regolarmente inflitta

resti comunque ineseguita.

Posto che il Codice Teodosiano non si occupa in una sede precisa

dell�esecuzione della pena, a differenza di quanto accade per i temi

della carcerazione preventiva296 e della tortura come mezzo

istruttorio297, fornire una risposta esaustiva non appare semplice.

provvedimento è individuabile in CTh.9.39.3 emanato a Milano dall�imperatore Onorio ed indirizzato al proconsole d�Africa Vittorio. 295 Per ragioni di completezza espositiva ritengo necessario citare come ulteriore causa di non irrogazione della pena anche quei provvedimenti di clemenza, quali l�abolitio, concessi dall�imperatore spesso in coincidenza con ricorrenze di tipo cristiano, quali ad esempio la Pasqua. Data la vastità dell�argomento ho comunque ritenuto opportuno non includerlo in tale studio.

296 CTh.9.3 De custodia reorum. 297 CTh.9.35 De quaestionibus.

174

Nel titolo De poenis, nel quale sono raccolte numerose costituzioni, ad

esempio, non è possibile rinvenirne alcuna specificatamente dedicata

ai problemi connessi all�esecuzione della condanna, essendo tutte,

invece, direttamente od indirettamente incentrate sul potere di punire e

sulle sue modalità di esercizio.

Pur mancando una disciplina puntuale di tale istituto, è comunque

possibile individuare alcuni interventi che dimostrano ugualmente una

certa attenzione del legislatore a che le pene inflitte siano

effettivamente scontate.

I più significativi che sono riuscita a reperire sono, in particolare, due

provvedimenti orientali, rispettivamente del 13 marzo 392 e del 27

luglio 398, nei quali si contrastano con decisione gli interventi dei

chierici volti a sottrarre i condannati all�esecuzione:

CTh.9.40.15: (Impp. Valentinianus, Theodosius et Arcadius AAA. Tatiano p.p.). Si quis convictus reus maximi criminis fuerit subiectusque sententiae, competens iudicium compleatur nec exquisita commentis ars eiusmodi subornetur, ut direptus a clericis adseratur vel appellasse simuletur�Dat. III id. mart. Constantinopoli Arcadio A. II et Rufino conss.

CTh.9.40.16pr.: (Impp. Arcadius et Honorius AA. Eutychiano p.p.). Post alia: addictos supplicio et pro criminum immanitate damnatos nulli clericorum vel monachorum, eorum etiam, quos synoditas vocant, per vim adque usurpationem vindicare liceat ac tenere. Quibus in causa criminali humanitatis consideratione, si tempora suffragantur, interponendae provocationis copiam non negamus, ut ibi diligentius examinetur, ubi contra hominis salutem vel errore vel gratia cognitoris obpressa putatur esse iustitia: ea condicione, ut, sive pro consule, comes orientis, praefectus augustalis, vicarii fuerint cognitores, non tam ad clementiam nostram quam ad amplissimas potestates sciant esse

175

referendum. Eorum enim de his plenum volumus esse iudicium, qui, si ita res est et crimen exegerit, rectius possint punire damnatos.

Entrambe queste costituzioni vanno interpretate come

un�affermazione di esclusività del potere repressivo in capo

all�imperatore il quale, tramite esse, sembra ancora una volta ribadire

la propria intolleranza nei confronti di qualsiasi condizionamento

esterno, anche proveniente dal clero.

Tali testi pertanto, pur riguardando il problema dell�efficacia delle

norme criminali, non possono essere letti come un�enunciazione a

carattere generale del principio dell�intangibilità del giudicato e della

sua esecuzione, bensì come provvedimenti emanati al fine precipuo di

riequilibrare i rapporti tra Chiesa ed Impero e nei quali il problema

dell�effettività è toccato solo incidentalmente o meglio costituisce

l�occasione per riaffermare la prevalenza del potere imperiale sulle

velleità clericali.

Le interferenze del mondo ecclesiastico nell�amministrazione della

giustizia sono infatti, con ogni probabilità, ormai così frequenti e

capillari che gli imperatori si vedono costretti ad intervenire.

Accade così che nel 392 Teodosio I vieti l�intervento del clero nei

confronti delle sentenze fondate sulla confessione del colpevole o su

prove manifeste e riguardanti crimini gravi, quali omicidio, magia,

adulterio ed avvelenamento298 e prometta gravi sanzioni ai giudici e in

298 Già Costantino in CTh.11.36.1 del 313 al ricorrere di tali fattispecie ed in presenza dei suddetti requisiti aveva negato la possibilità di esperire il rimedio dell�appello.

176

genere ai funzionari, sia di alto che di basso rango, che non si

attengano alle prescrizioni.

Appena sei anni dopo Arcadio si vede comunque costretto a tornare

sul problema e ad intervenire severamente nei confronti di clerici e

monaci che tentano di sottrarre il presunto colpevole a quello che lui

sembra considerare un giusto processo.

Con CTh.9.40.16 tuttavia l�imperatore non vuole proibire

radicalmente un regolare esercizio dell�intercessio, che sia ispirata da

un sincero sentimento di umanità e venga sottoposta al giudice

competente per provocare una relatio al prefetto del pretorio e, tramite

essa, una nuova istanza.

Ciò che egli condanna è un uso distorto di tale strumento che viene

utilizzato dal clero per colpire l�autorità imperiale e causare tumulti

che come osserva Gaudemet ��prennent l�aspect d�une guerre civile

plus que d�un jugement��299.

L�imperatore si riserva perciò di punire personalmente questi episodi e

dichiara di ritenere responsabili i vescovi dei disordini provocati da

monaci e clerici nelle diocesi di loro competenza.

Tali costituzioni quindi, benché non risolutive del problema

dell�esecuzione, servono ad attirare l�attenzione sul rapporto

intercorrente nel tardo antico tra applicazione della legge ed effettività

e sulle conseguenze che ne derivano nelle prassi dei tribunali.

299 J. Gaudemet, L�Eglise, 315.