Il Potere Delle Parole
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IL POTERE DELLE PAROLE
“In principio parole e magia erano una sola cosa e perfino oggi il linguaggio conserva molto del suo potere magico.
Le parole suscitano emozioni e sono il mezzo con cui generalmente influenziamo i nostri simili.” (Sigmund Freud)
Il linguaggio è una caratteristica unica della specie umana che ci distingue dalle
altre creature. Esso rappresenta uno degli elementi chiave con cui ciascuno di noi
costruisce i propri modelli mentali del mondo e che può influenzare enormemente il
nostro modo di percepire la realtà e di rispondere ad essa. Questo capitolo tratta del
potere delle parole, dell’impatto che hanno su di noi e sui nostri interlocutori, della loro
capacità di essere utili o dannose e quindi dei modelli linguistici mediante i quali
possiamo trasformare le affermazioni dannose in affermazioni utili.
I fondatori della PNL nel loro primo libro hanno cercato di stabilire alcuni principi
per spiegare l’apparente “magia” delle parole. Secondo Bandler e Grinder, il linguaggio
rappresenta il mezzo mediante il quale rappresentiamo e trasmettiamo le nostre
esperienze alle persone che abbiamo attorno. Come scrivono i due autori “Tutte le
realizzazioni dell’umanità comportano l’uso del linguaggio. Noi esseri umani usiamo il
linguaggio in due modi: uno per rappresentare la nostra esperienza (ragioniamo,
pensiamo, fantastichiamo a parole); e l’altro per trasmetterci reciprocamente il nostro
modello del mondo (discutiamo, scriviamo, cantiamo a parole)”.
Le parole infatti sono il codice attraverso cui descriviamo sia le nostre esperienze
personali sia le nostre strutture mentali. Inoltre il linguaggio non solo rivela le nostre
percezioni, ma puo’ letteralmente crearle o cambiarle. Proprio per questo suo
potenziale “magico” è possibile sfruttare il linguaggio nel processo di cambiamento e di
guarigione intrapreso dai tuoi pazienti.
IL PAZIENTE: ESPERIENZA E LINGUAGGIO
Abbiamo già visto nel capitolo precedente come ognuno di noi raccoglie
informazioni dall’esterno attraverso i cinque sensi. Tali informazioni vengono filtrate,
elaborate e rappresentate in una mappa mentale. Solo successivamente usiamo il
linguaggio per descrivere a noi stessi e agli altri questa nostra mappa interna .
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Praticamente le parole servono a dare un nome alle nostre esperienze sensoriali di cui
creiamo dunque una rappresentazione linguistica.
Le parole sono per loro natura descrittive, e quando le usiamo per raccontare
un’esperienza non facciamo altro che etichettare attraverso di esse ciò che ci circonda
o che proviamo. Introduciamo così un fattore soggettivo che fa sì che quello di cui
parliamo si avvicini alla realtà ma non la rappresenti completamente. Le parole quindi
raccontano la realtà ma non sono la realtà.
Infatti, durante l’iter che traduce la mappa mentale nella sua rappresentazione
linguistica, la cosiddetta “realtà interna” passa attraverso tre processi di impoverimento
che la semplificano, dandone quindi una rappresentazione limitata:
- la generalizzazione
- la cancellazione
- la distorsione,
Questi tre processi sono necessari alla nostra mente per rendere la realtà più gestibile e
condivisibile, ma allo stesso tempo la impoveriscono, travisandone molto spesso il
significato e interpretandone il contenuto in maniera soggettiva.
Prova a pensare allora al tuo paziente e a quanti processi di “semplificazione” e
“limitazione” potrebbe aver sottoposto la sua realtà, nel momento in cui si presenta nel
tuo studio.
Se vuoi arrivare alla realtà non semplificata del tuo paziente, risalendo a monte di
ciò che egli semplificativamente racconta, può tornarti utile uno strumento molto potente
usato dalla PNL per approfondire la mappa mentale delle persone: il METAMODELLO.
Le parole impoveriscono e semplificano la realtà, di per sé troppo ricca di
particolari per poter essere rappresentata linguisticamente, attraverso i
processi di generalizzazione, cancellazione e distorsione.
Le parole sono la rappresentazione linguistica delle nostre esperienze
sensoriali.
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IL METAMODELLO
Il metamodello o "linguaggio di precisione" è un insieme di domande tese a
raccogliere informazioni altamente specifiche per approfondire l’esperienza di una
persona. Poiché non possiamo guidare una persona all'interno della propria mappa,
che solo lei conosce, queste domande servono a stimolare l’interlocutore a rivelare le
generalizzazioni, le cancellazioni e le distorsioni che ha prodotto e risalire quindi
all’esperienza originaria della quale ha creato un modello linguistico. Accanirsi per
cambiare la realtà oggettiva molto spesso non ha senso e per accedere a nuove
alternative basta invece riorganizzare l'esperienza soggettiva effettuando alcune
precise operazioni mentali, proprio attraverso il metamodello. Il fine ultimo è quello di
aiutare il paziente a rendersi conto delle possibili soluzioni per i suoi problemi attraverso
maggiore chiarezza e precisione delle informazioni. Per evitare però che le domande
risultino troppo “inquisitorie”, e quindi poco apprezzate, impronta il colloquio su uno
spirito di collaborazione, diretto alla ricerca delle cause dei problemi e di soluzioni
efficaci.
E’ chiaro dunque che, linguisticamente, tendiamo a impoverire la realtà
attraverso le generalizzazioni, le cancellazioni e le distorsioni che ora approfondiremo
singolarmente.
LE GENERALIZZAZIONI
Le generalizzazioni sono affermazioni relative a ciò che le persone “possono “o
“non possono” fare, “devono” o “non devono o dovrebbero” fare. Quando un paziente
usa delle generalizzazioni, prende una parte di una sua esperienza e la utilizza per
rappresentare un’intera categoria. È ben immaginabile come tutto ciò possa portare ad
un impoverimento della comunicazione con la perdita di dati potenzialmente decisivi per
la diagnosi e la terapia.
Sono generalizzazioni per esempio le affermazioni: “Le medicine (gli antibiotici)
sono dannose”, “Il cambiamento è difficile; non posso modificare il mio stile di vita”,
“Dal dentista provo sempre dolore”, “L’anestesia è sempre un rischio”, o ancora “Lo
sanno tutti che i dentisti se ne approfittano”.
Usa il metamodello per aiutare il paziente a risalire all’esperienza sensoriale
originaria di cui ha creato un proprio modello linguistico.
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Le domande del metamodello sono volte quindi ad indagare la validità di tali
affermazioni e portare alla luce riferimenti specifici di tempo, persone, luoghi e contesto.
Servono cioè ad uscire dalla generalizzazione eseguita dal paziente e a
contestualizzare la singola esperienza. Le principali categorie delle generalizzazioni
sono: i quantificatori universali, gli operatori modali e le performative perdute.
I QUANTIFICATORI UNIVERSALI sono termini (tutti, ognuno, nessuno,
chiunque) che sovra-generalizzano un’ affermazione partendo da un caso particolare.
Può essere un esempio di affermazione generalizzante la frase: “Non puoi fidarti dei
dentisti”. L’odontoiatra può affrontarle e metterle in dubbio innanzitutto puntualizzando
sul quantificatore utilizzato, chiedendo ad esempio “Non ci si può fidare proprio di
nessun dentista?”, “Lei si è mai fidato di un dentista?”, “Immagini una circostanza nella
quale potrebbe fidarsi di un dentista”. Oppure può fornire un contro-esempio relativo
all’esperienza che si sta verificando nel momento stesso del colloquio, chiedendo al
paziente: “Lei si fida di me in questo momento?”. O ancora può tentare un confronto
evidenziando le differenze tra le due esperienze domandando “Cosa accadrebbe se lei
si fidasse del dentista?”, “Cosa le impedisce di fidarsi?”, “Che differenza c’è tra un
dentista di cui lei si fida e quello di cui non si può fidare?”, ”Cosa le permetterebbe di
fidarsi di un dentista?”. Rispondendo in questo modo riesci a realizzare una
ristrutturazione della conversazione e inviti il paziente a riesaminare la propria mappa, a
metterla in collegamento con una più ampia gamma di esperienze, arricchendo così le
possibili letture della realtà.
Gli OPERATORI MODALI sono termini con i quali il paziente indica “in che
modo” agisce nel mondo. Tra le possibili “modalità operative” esistono la necessità, il
desiderio, la scelta, la possibilità o l’impossibilità, la capacità o l’incapacità. Per esempio
un paziente che si presenta dicendo “Non posso iniziare questo lavoro” oppure “Non
posso rinunciare a fumare” sta generalizzando mediante un operatore modale. Puoi
quindi domandargli: “Cosa le impedisce di iniziare questo lavoro?” oppure “Cosa
accadrebbe se fosse disposto a rinunciare a fumare?”. Anche in questo caso, quando
risponde o cerca di rispondere, l’interlocutore è portato a richiamare alla mente tutti gli
elementi nella sua neurologia che riguardano l’argomento in questione, e quindi ad
arricchire la sua mappa e contemplare nuove possibilità.
Le generalizzazioni consistono nel prendere parte di un’esperienza e
utilizzarla per rappresentare un’intera categoria.
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Le PERFORMATIVE PERDUTE sono affermazioni attraverso le quali il paziente
può esprimere giudizi sotto forma di generalizazioni, senza rendere espliciti nè i criteri
utilizzati, nè coloro che li hanno espressi. Si presentano come affermazioni ovvie,
universalmente applicabili, come verità assolute. Può essere un esempio l’espressione
“Non si può smettere di fumare tanto facilmente”, o anche “E’ difficile lavarsi i denti tre
volte al giorno”. Una generalizzazione chiude l’argomento, lo immobilizza, pone fine ad
ogni domanda di approfondimento o di analisi. Anche in questo caso puoi intervenire
nel processo attraverso le domande del metamodello chiedendo al tuo paziente “Chi lo
dice?”, “Quando lo dice?”, “A chi?”, “A proposito di cosa?”, “In quale momento?”, “In
quale circostanza?”,”In quale contesto?” . Queste domande ti permettono di recuperare
le informazioni mancanti e di aggiungerle alla rappresentazione dell’interlocutore
arricchendo così la sua esperienza soggettiva.
LE CANCELLAZIONI
Le cancellazioni sono dei processi, a volte inconsci, con cui il paziente seleziona
gli elementi a cui prestare attenzione, tralasciandone altri. Tale processo da un lato lo
protegge da una mole di stimoli eccessiva, dall’altra però impoverisce la sua mappa
mentale riducendola a proporzioni più “maneggevoli”.
I processi di cancellazione riguardano soprattutto verbi, nomi, riferimenti e
comparazioni che il paziente descrive in senso generale, in modo incompleto e poco
circostanziato. Ne è un esempio l’espressione: “Il dolore è insopportabile”. Ad una
cancellazione come questa consegue una perdita parziale di informazioni che dovrai
portare alla luce, con domande mirate, per riuscire ad arricchire il modello mentale del
tuo assistito e moltiplicare la gamma delle sue possibili scelte comportamentali. Le
domande del metamodello permettono di recuperare informazioni relative a chi, come,
cosa, dove e quando. Puoi quindi estrapolare informazioni più specifiche dall’esempio
precedente chiedendogli: “Quale dolore è insopportabile?”, “Qual è la zona specifica
interessata dal dolore?”, “Quando inizia il dolore?”, “Quanto dura?”, “Ci sono momenti i
cui si attenua?”.
È possibile distinguere le cancellazioni in indici referenziali non specificati,
cancellazioni semplici, cancellazioni comparative e superlative.
Le cancellazioni sono dei processi con cui il paziente seleziona gli elementi a
cui prestare attenzione tralasciandone altri.
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Gli INDICI REFERENZIALI NON SPECIFICATI in genere, coinvolgono i nomi
che designano delle categorie come “i medici”, “le medicine”, ”la gente”, “le malattie”. È
un esempio l’espressione “le medicine mi fanno male”. Dovresti indagare sulla frase del
paziente domandandogli: “Quale tipologia di medicine specificatamente le fanno
male?”, “A cosa le fanno male?”, “Che tipo di disturbi le arrecano?”.
Le CANCELLAZIONI SEMPLICI sono frequentemente nomi e verbi non
specificati che il paziente cancella da una sua affermazione. Per esempio in
un’espressione quale “Mi hanno dato due tipi di antibiotici” il paziente sta cancellando il
soggetto. Domanda allora “Chi specificatamente le ha dato gli antibiotici?” per ampliare
le informazioni che il paziente ha eliminato.
Le CANCELLAZIONI COMPARATATIVE E SUPERLATIVE vengono usate
quando il paziente esprime una valutazione che confronta due esperienze (oggetti,
persone ecc.) senza specificare il secondo termine di paragone, come nell’affermazione
“E’ molto più doloroso”, “L’intervento è troppo lungo e faticoso”, “La terapia è troppo
costosa”. Per ricontestualizzare l’esperienza che ha portato il paziente a questa
conclusione potresti interrogarlo sul secondo termine di paragone mancante
chiedendogli per esempio “Molto più doloroso rispetto a cosa?”, “Troppo lungo e
faticoso rispetto a cosa?”, “Rispetto a cosa è troppo costosa?”.
LE DISTORSIONI
Le persone operano continuamente delle distorsioni sia quando rappresentano la
realtà nella propria mente, sia quando la raccontano agli altri. Distorciamo la realtà per
rappresentarla sotto una nuova forma, ma allo stesso tempo ne limitiamo anche la
ricchezza. Anche i tuoi pazienti possono fornire dei dati distorti che riducono l’efficaca
della vostra interazione.
Sono differenti tipi di distorsione le nominalizzazioni, la lettura del pensiero, la
causa-effetto e le presupposizioni.
Le NOMINALIZZAZIONI sono distorsioni che il paziente attua quando attribuisce dei
nomi ad azioni o eventi. Per esempio quando un paziente dice “Non sopporto
l’insensibilità delle assistenti” puoi mettere in discussione le nominalizzazioni
La realtà viene distorta nella nostra mente per essere rappresentata sotto una
nuova forma.
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sciogliendo i sostantivi (nel caso specifico l’insensibilità) in parole che ne esprimano
l’elemento di dinamismo e la possibilità di trasformazione. Potresti quindi chiedere
“Cosa fanno, o non fanno, per farle pensare che siano insensibili?”. De-nominalizzare ti
dà il potere di riconnetterti alle azioni e ai processi originari dell’interlocutore e di
riproporre gli stessi concetti appena espressi in formazione dinamica.
La LETTURA DEL PENSIERO si riferisce alle affermazioni di un paziente che
presume di conoscere il pensiero, le emozioni, i valori, le intenzioni di un'altra persona.
Rientra in questa categoria la frase “So che lei dottore, pensa che il dente non si possa
curare”. Anche se l’odontoiatra non ha fatto nessuna affermazione in merito, il malato,
magari scoraggiato e impaurito, gli attribuisce i propri pensieri. Anche in questo caso
puoi evitare fraintendimenti e difficoltà relazionali sfruttando domande mirate come “Che
cosa l’ha portata a questa conclusione?”, “In che modo è arrivato a farsi questa idea?”,
“Dipende da qualcosa che ho detto o fatto?”.
La CAUSA-EFFETTO è un tipo di distorsione che si verifica quando si mettono in
relazione due esperienze, comunicando che una delle due determina l’altra. Il punto è
che i due eventi potrebbero essere in relazione tra loro per altre ragioni oppure non
esserlo affatto. Ad esempio un paziente potrebbe sostenere “Dopo che mi ha fatto la
terapia canalare ho avuto mal di testa tutto il giorno”. Anche in questo caso puoi
evidenziare una concomitanza di più fattori in modo da allargare la prospettiva del
malato chiedendo “Cosa le fa pensare che la terapia possa aver provocato il mal di
testa”, oppure “Prima della terapia non le è mai capitato di provare mal di testa?”, ”In
che modo la terapia canalare dovrebbe essere la causa del mal di testa?”.
Le PRESUPPOSIZIONI sono delle condizioni che devono sussistere affinchè un
enunciato sia vero. Molte volte i pazienti traggono delle conclusioni da queste
affermazioni arbitrarie che ritengono vere e indiscutibili. Ad esempio se un paziente
dice: “Temo che dopo l’estrazione la parte si gonfierà e mi farà male, come è accaduto
anche a mia madre e mia sorella”, pressuppone implicitamente l’idea che i
consanguinei rispondano allo stesso modo a un problema di salute. Indaga con
domande mirate sul motivo che porta il paziente ad avere queste convinzioni perché
alle volte il malato stesso non sa che sono frutto di concetti presi per veri a priori e
provenienti dalla famiglia, dal retaggio culturale e dalla società.
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LA PSICOLINGUISTICA
La psicolinguistica è una branca della psicologia che studia le modalità di
interazione tra le capacità verbali e altre facoltà cognitive. Nei paragrafi precedenti hai
visto come puoi usare il linguaggio per costruire un ponte di comunicazione con gli altri.
Ora evidenzieremo gli effetti che le parole producono sulle mente e sulle emozioni
umane e come puoi maniporarle per i tuoi fini.
Una delle differenze principali tra comunicatori mediocri e comunicatori di grande
successo è quanto parlano e il numero di DOMANDE che pongono. Si è scoperto che i
grandi comunicatori pongono al loro pubblico, quasi il triplo delle domande e, sebbene
possa sembrare sorprendente, parlano molto meno rispetto ai loro colleghi. I grandi
comunicatori fanno dunque molte domande e poi lasciano che sia il loro pubblico a
parlare. E’ la persona che fa le domande che ha il controllo, non chi parla tutto il tempo.
Attraverso di esse è possibile controllare e guidare la discussione, facendo però molta
attenzione al modo in cui si pongono.
Innanzitutto, in base a come sono formulate, le domande possono essere chiuse o
aperte. Le domande chiuse sono elaborate in modo tale che l’interlocutore è indotto a
rispondere in modo breve e conciso, probabilmente con un si o un no. Alla domanda “Ti
piace questa macchina?” per esempio la persona che risponderà si focalizzerà solo
sulla risposta specifica e non fornirà altre informazioni per inziare un approccio
parsuasivo. Per ottenere una risposta più ampia e dettagliata è meglio usare le
domande aperte iniziando al frase con : “Quando hai iniziato. . . ?Dove hai trovato. . . ?
Che cosa ne pensi. . . ?Hai mai pensato. . . ?Come ti senti. . . ?”. Chiedendo ad
esempio al paziente “Che ne pensi di questa macchina?” incoraggi la persona a parlare,
a prendere in considerazione vari aspetti dell’argomento palesando motivazioni e
desideri, spesso nascosti, che potrai usare nel processo di persuasione.
Un ulteriore accorgimento è quello di evitare di iniziare le domande con il classico
“Perché?”. Questa parola implica che l’interlocutore fornisca una spiegazione razionale
al proprio comportamento, quando in realtà, spesso, non sa bene per quale ragione si
comporta in un determinato modo. La domanda introdotta da “perché” suscita una
reazione di chiusura in quanto induce l’altro a giustificarsi anziché cercare possibili
alternative per il futuro. Nota come, formulata in questo modo, la frase perde di intensità
emotiva e passi dall’aggredire il carattere di una persona a trovare con lui una
soluzione. Fare domande con “cosa, quando, come, come, chi, dove” consente di
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aggirare questo ostacolo e rende più semplice entrare nella mente dell’interlocutore, in
quanto ti permette di analizzare parti specifiche dell’argomento.
Gli studi sulla psicolinguistica dimostrano che le osservazioni troppo dirette (con
l’uso del pronome “tu”, “voi”, “lei” sottinteso o esplicito) possono produrre conseguenze
negative ai fini della comunicazione. Frasi come: ”Devi sempre avere l’ ultima parola,
vero?”, “Prendi sempre un appuntamento e poi non ti presenti”, “Devi lavarti i denti”
risvegliano sentimenti negativi nell’interlocutore che quindi può chiudersi sulle sue
posizioni. Se riformulate con uno stile più aperto danno maggiore autorevolezza al
parlante e invogliano l’altro ad ascoltare. Inoltre l’enfasi dell’affermazione si trasferisce
sulla prima persona singolare “io” e risulta meno aggressiva. Ecco che le domande
precedenti risultano meno ostili se presentate come segue: “Sembra proprio che le
ultime parole debbano sempre venire da te”, “Ti aspetto sempre per l’appuntamento,
Fai sempre domande aperte per ricevere maggiori informazioni ed evita
la locuzione “perché’”.
RIASSUNTO
TECNICA DELLE DOMANDE
Info generali
Info specifiche
Fatti, necessità
Conferma necessità
DOMANDE APERTE
DOMANDE CHIARIFICATRICI
DOMANDE DI CONTROLLO
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ma non vieni mai”, “Secondo me/a mio parere/ mi sembra che tu debba porre maggior
attenzione all’igiene orale”.
Un metodo di sicura efficacia per attirare l’attenzione dell’interlocutore è quello di
ENTRARE IN CONFIDENZA con lui rendendolo partecipe di un’esperienza o di un
aneddoto personale inerente al tema della conversazione, che verrà percepito come un
“segreto” confidato. Attraverso questo semplice espediente il tuo interlocutore sente che
ti stai aprendo a lui, percepisce l’uomo dietro il professionista e ottieni facilmente il suo
ascolto. Lo rendi così attento e più che lieto di seguirti nel discorso.
Un altro modo sicuro per catturare l’attenzione di qualcuno è quello di CHIAMARLO
PER NOME. Il nostro cervello è impostato per rispondere automaticamente al suono del
nostro nome anche se impegnato in altri compiti. Chiama quindi per nome il tuo
paziente: oltre a farlo sentire “importante”, lo renderai partecipe in prima persona e
riuscirai anche a tenerlo vigile e attento sul discorso che stai affrontando. Inoltre cerca
di ricordare (o di annotare) più dettagli possibili della sua vita e delle conversazioni che
avete intrapreso e trova i momenti giusti per “sfoggiare” questa tua capacità.
Il nostro cervello è alla continua ricerca di completezza e tende inconsciamente a
riempire i vuoti di informazioni rimpiazzandoli con concetti affini. Possiamo sfruttare
questo escamotage finendo le nostre frasi con la parola “OPPURE”. Se poniamo alla
fine di una frase la parola oppure, alzando il tono della nostra voce, l’interlocutore la
percepirà come fosse una domanda e tenderà a concludere da sé la frase. Per esempio
alle domande “Vuole annullare l’appuntamento, oppure.....?”, ”Preferisce andare al
cinema, oppure…..?” il cervello dell’interlocutore tenderà a concludere automaticamente
con “… Oppure no” ,poiché incosciamente ha già valutato l’alternativa alla frase che ha
appena sentito. Se poi vuoi aumentare ancora le possibilità di successo, basta
associare al linguaggio verbale anche un messaggio analogico: cambia il tono di voce
oppure annuisci o scrolla leggermente la testa se la logica dell’affermazione vorrebbe
concludere la frase rispettivamente con l’accettazione o la negazione della tua richiesta .
Può risutare molto utile argomentare un’affermazione con perche’, cioè fornire
sempre una spiegazione per un comportamento, anziché lasciare che sia l’interlocutore
a trovarla. Nel momento in cui fornisci una spiegazione, privi l’altra persona della
Evita le osservazioni troppo dirette e riformulale in uno stile aperto spostando
l’enfasi sulla prima persona singolare.
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possibilità di speculare in maniera erronea sui motivi specifici delle tue azioni. Dato che
le aspettative individuali determinano l’idea che uno si fa di una determinata situazione,
argomenta tutto quello che fai e dici spiegandone il perché: eviterai così che l’altro
rimurgini con supposizioni infondate e otterrai più facilmenteil suo consenso.
Per aumentare la possibilità di successo nel dare delle istruzioni può essere efficace
anche fornire INDICAZIONI COMPLESSE, cioè unire due comandi da una
congiunzione “e”. Per esempio invece di dire “si sieda” e poi “ firmiamo il contratto”
unisci il comando in un'unica affermazione come “per favore, si sieda e firmiamo il
contratto” in modo che il paziente riceva più informazioni da elaborare. Infatti è più
facile dire di no a una richiesta alla volta piuttosto che rifiutarne due insieme.
Nella comunicazione risulta vantaggioso inserire anche le IPNO-WORD, cioè delle
parole che creano uno stato emozionale piacevole e predispongono al consenso. Sono
degli ancoraggi auditivi che, una volta attivati, provocano uno stato d’animo positivo.
Ogni persona ha decine cliente afferma ”la mia macchina deve essere elegante e
potente ” potresti ripetere in maniera sottile nei colloqui col lui le due ipno-word
elegante e potente per catturarne la simpatia e la fiducia. Inoltre per aumentarne
l’effetto, metti in risalto ogni parola con un tono di voce più alto, con un cenno del capo
o degli occhi, oppure piegandoti leggermente in avanti. Sono tutte “sottolineature” che
vengono percepite inconsciamente dal cervello bypassando la parte razionale e
arrivando direttamente a quella emozionale.
Così come esistono parole consigliate per condizionare positivamente il paziente ne
esistono anche altre da evitare perché possono influenzarlo negativamente.
Le frasi con la parola VERAMENTE hanno sempre un retrogusto negativo in quanto
l’interlocutore riconosce in esse una “via di fuga”, intuisce che qualcosa non è come la
si descrive e nel peggiore dei casi può diventare diffidente.
La parola MAGARI è un altra via di fuga che esprime soltanto incertezza e manifesta
la reale non volontà di chi la pronuncia.
Chiama il paziente col proprio nome, usa in maniera appropiata la particella
“oppure”, argomenta qualsiasi affermazione con “perché” e usa
consapevolmente le ipno-word: sono accorgementi che migliorano la tua
comunicazione.
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Anche le particelle MA/PERO’/TUTTAVIA generano resistenza nella comunicazione
poiché unendo due affermazioni tendono ad escludere la prima e ad enfatizzare la
seconda, che di solito esprime il concetto opposto. Per esempio a seguito
dell’affermazione di un paziente “Il mio medico è bravo, ma ……” puoi manipolare il
dialogo distogliendo l’attenzione dell’interlocutore dall’espressione dopo il ma e
approfondendo i motivi della sua bravura. Inoltre per non esprimere un giudizio è
sempre meglio usare la congiunzione E poiché connette le due affermazioni senza
lasciare intendere alcuna preferenza.
Evita anche la formula “A ESSERE SINCERO DEVO DIRE” poichè viene percepita
negativamente, in quanto presuppone che altre volte non lo sei stato e quindi non sei
sempre degno di fiducia.
Infine quando usi la particella pronominale “SI” nessuno si sente interpellato
personalmente poiché il “si” è neutro e di per sè debole e quindi qualsiasi
considerazione, di critica o di plauso, cade nel vuoto.
In conclusione quando le persone parlano utilizzano delle parole che non sono affatto
scelte a caso ma anzi sono significative ad un livello personale. Infatti è vero che le
espressioni hanno un significato condiviso dalla maggior parte delle persone, ma è
altrettanto vero che ciascuno di noi ha una sua personale percezione di esse e
soprattutto ad esse è collegata una diversa esperienza soggettiva.
PER RIASSUMERE…
Le parole sono la rappresentazione linguistica delle nostre esperienze sensoriali.
Le parole impoveriscono e semplificano la realtà, di per sé troppo ricca di
particolari per poter essere rappresentata linguisticamente, attraverso i processi
di generalizzazione, cancellazione e distorsione.
Usa il metamodello per aiutare il paziente a risalire all’esperienza sensoriale
originaria di cui ha creato un proprio modello linguistico.
Il significato di una comunicazione è dato dalla risposta che ottiene.
Evita le particelle “ma/però/tuttavia”,“si”, le parole “magari” e “veramente” e
la formula “a essere sincero” : impoveriscono la tua comunicazione.
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Le generalizzazioni consistono nel prendere parte di un’esperienza e utilizzarla
per rappresentare un’intera categoria.
Le cancellazioni sono dei processi con cui il paziente seleziona gli elementi a cui
prestare attenzione, tralasciandone altri.
La realtà viene distorta nella nostra mente per essere rappresentata sotto una
nuova forma.
Fai sempre domande aperte per ricevere maggiori informazioni ed evita la
locuzione “perché’”.
Evita le osservazioni troppo dirette e riformulale in uno stile aperto spostando
l’enfasi sulla prima persona singolare.
Chiama il paziente col proprio nome, usa in maniera appropiata la particella
“oppure”, argomenta qualsiasi affermazione con “perché” e usa
consapevolmente le ipno-word: sono accorgementi che migliorano la tua
comunicazione.
Evita le particelle “ma/però/tuttavia”,“si”, le parole “magari” e “veramente” e la
formula “a essere sincero”: impoveriscono la tua comunicazione.
Il significato di una comunicazione è dato dalla risposta che ottiene.