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Facoltà di Scienze Politiche Corso di laurea in Relazioni Internazionali Cattedra di Organizzazione Internazionale IL POLO AGROALIMENTARE DELL’ONU: IL WORLD FOOD PROGRAMME Relatore Chiar.mo Prof. Claudio Zanghì Correlatore Candidata Prof. Raffaele Cadin Flaminia Battistelli Anno Accademico 2007/2008

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Facoltà di Scienze Politiche

Corso di laurea in Relazioni Internazionali Cattedra di Organizzazione Internazionale

IL POLO AGROALIMENTARE DELL’ONU:

IL WORLD FOOD PROGRAMME

Relatore Chiar.mo Prof. Claudio Zanghì

Correlatore Candidata Prof. Raffaele Cadin Flaminia Battistelli

Anno Accademico 2007/2008

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INDICE

INTRODUZIONE ................................................................................................................5

CAPITOLO I: LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE ECONOMICA E SOCIALE NEL SISTEMA DELLE NAZIONI UNITE .....................................................9

1.1 L’ORIGINE E L’EVOLUZIONE DELLA COOPERAZIONE ECONOMICA E SOCIALE ..............................................................................................................................9 1.1.1 La natura della cooperazione alla luce della carta dell’ONU .....................................11 1.1.2 I contenuti della cooperazione economica e sociale ....................................................14 Le regole della cooperazione................................................................................................15 Le tipologie di cooperazione.................................................................................................17 1.2 GLI ORGANI PREPOSTI ALLA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO E LE LORO FUNZIONI...........................................................................................................................24 1.2.1 La funzione normativa e la funzione di coordinamento dell’Assemblea Generale e del Consiglio economico e sociale..............................................................................................25 1.2.2 Il decentramento delle attività operative per lo sviluppo .............................................29 Gli Istituti Specializzati ........................................................................................................30 Gli organi sussidiari.............................................................................................................34 CAPITOLO II: IL SISTEMA DELLE NAZIONI UNITE NEL SETTORE AGROALIMENTARE: IL POLO AGRO-ALIMENTARE ............................................38 2.1 IL SISTEMA DELLE NAZIONI UNITE NEL SETTORE AGROALIMENTARE........38 2.1.1 L’evoluzione della cooperazione agroalimentare internazionale..................................39 Dalla FAO alla nascita del Polo agroalimentare..................................................................41 Il diritto all’alimentazione e la sicurezza alimentare ............................................................45 2.2 PROFILO ISTITUZIONALE E ATTIVITA’ DEGLI ENTI DEL POLO AGROALIMENTRE............................................................................................................49 2.2.1 Profilo istituzionale e attività della FAO.....................................................................49 2.2.2 Profilo istituzionale e attività dell’IFAD .....................................................................53 2.2.3 Profilo istituzionale del WFP.......................................................................................57 2.2.4 Missione e attività del WFP ........................................................................................61 2.3 ATTIVITA’ CONGIUNTE DEL POLO AGRO-ALIMENTARE: IL TWIN-TRACK APPROACH E GLI OBIETTIVI DEL MILLENNIO...........................................................64 CAPITOLO III: IL WORLD FOOD PROGRAMME E L’ASSISTENZA UMANITARIA...................................................................................................................69 3.1 LE NAZIONI UNITE E L’ASSISTENZA UMANITARIA............................................69 3.1.1 I principi dell’azione umanitaria delle Nazioni Unite...................................................71 3.1.2 Il coordinamento dell’azione umanitaria nel sistema ONU ..........................................74 3.2 LE OPERAZIONI DI EMERGENZA DEL WFP ..........................................................78 3.2.1 I principi umanitari nelle operazioni del WFP ............................................................79

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3.2.2 Il WFP e le emergenze .................................................................................................81 3.2.3 Una nuova definizione di emergenza: la protezione delle livelihoods...........................83 3.2.4 Le tipologie e le fasi delle operazioni di emergenza .....................................................85 3.2.5 L’approvazione delle EMOPs e il ruolo del WFP.........................................................87 3.2.6 La valutazione dei bisogni nelle emergenze..................................................................91 3.2.7 Il targeting nelle emergenze.........................................................................................92 3.2.8 La distribuzione degli aiuti e gli implementing partners...............................................93 3.2.9 Dal soccorso iniziale alla riabilitazione.......................................................................94 3.2.10 Le reti di sicurezza alimentare ...................................................................................96 3.2.11 Uscire dalle operazioni di emergenza ........................................................................97 3.3 IL WFP E LE EMERGENZE COMPLESSE..................................................................99 3.3.1 Gli aiuti alimentari del WFP nelle emergenze complesse ...........................................100 3.3.2 L’accesso ai beneficiari nelle emergenze complesse...................................................103 3.3.3 Il WFP e i rifugiati.....................................................................................................108 3.3.4 Il WFP e gli sfollati ...................................................................................................111

CONCLUSIONI ...............................................................................................................115 APPENDICE ....................................................................................................................122

WFP - GENERAL REGULATIONS..................................................................................122 DICHIARAZIONE DI INTENTI DEL WFP......................................................................130

BIBLIOGRAFIA..............................................................................................................134

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Desidero ringraziare il World Food Programme, in particolare la Divisione di Public Policy Communications and Private Partnerships.

Il tirocinio da me svolto nel luglio-ottobre 2008 ha rappresentato per me un’opportunità di apprendimento e l’occasione per approfondire le tematiche della fame nel mondo e

dell’assistenza umanitaria realizzata dalle Nazioni Unite.

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INTRODUZIONE

Fin da quando si è iniziato a parlare di cooperazione internazionale, i problemi di natura

economica e sociale hanno occupato uno spazio nell’attenzione degli Stati. Naturalmente, la

priorità era rappresentata dai problemi politici e dalle possibili soluzioni ad essi.

All’indomani della prima guerra mondiale, quando erano vive la catastrofica esperienza

bellica e la spinta a risolvere le dispute internazionali attraverso il diritto e la cooperazione

internazionale, gli sforzi furono soprattutto diretti a creare un’istanza – la Società delle

Nazioni – in grado di comporre i conflitti e assicurare la pace. Anche se il Covenant della

Società delle Nazioni non assumeva esplicitamente un collegamento tra la stabilità economica

e la salvaguardia della pace, i costi economici della guerra nei paesi più colpiti (Austria, paesi

balcanici) così come il sottosviluppo di altri (Cina) avevano indotto la comunità

internazionale a occuparsene e a tentare le prime forme di intervento. Nonostante la limitata

efficacia di queste, alla fine degli anni Trenta il rapporto del “Comitato Bruce” aveva

proposto di estendere alla cooperazione economica la competenza della Società delle Nazioni

e di creare organizzazioni intergovernative specificamente addette a tale attività.

Bisogna tuttavia aspettare la Conferenza di San Francisco del 1945 che darà vita alle Nazioni

Unite, perché la cooperazione economica e sociale fosse definitivamente istituzionalizzata,

attraverso il riconoscimento ufficiale di questo tipo di cooperazione tra le attività dell’ONU e

la sua attuazione grazie alla decentralizzazione tramite gli Istituti Specializzati.

Come la Prima Guerra mondiale aveva permesso di intuire il rapporto tra sviluppo economico

e pace, così la Seconda aveva portato questo legame alla luce in modo chiaro e

incontrovertibile. Fondamentale in queso senso è stato l’apporto americano, espresso dal

presidente Roosevelt che aveva convinto gli Stati Uniti a impegnarsi nella Seconda guerra

mondiale sulla base dei quattro obiettivi enunciati nel suo discorso del 6 gennaio 1941: la

libertà dal bisogno insieme alla libertà di parola, alla libertà di credo e alla libertà dalla paura.

Mediante una serie di passaggi, le “quattro libertà” vennero fatte proprie da un numero

crescente di membri della comunità internazionale. Esse costituirono la base per quel “più

vasto e permanente sistema di sicurezza collettiva” prefigurato dalla dichiarazione congiunta

del presidente americano e del premier britannico Churchill sottoscritta il 14 agosto 1941 e

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nota come la “Carta Atlantica”. I suoi punti fondamentali, affermati nella Conferenza di Yalta

nel febbraio 1945, costituirono la base della Carta della Nazioni Unite sottoscritta dai

rappresentanti dei 50 paesi che nell’aprile-giugno 1945 diedero vita alla Conferenza di San

Francisco.

Già nel corso del secondo conflitto mondiale la fame è una realtà da fronteggiare e

l’inserimento di freedom from want tra le libertà promesse ai popoli del mondo legittima

nuove iniziatie: il settore agro-alimentare è uno dei primi banchi di prova del nuovo spirito

cooperativo che anima la comunità internazionale. La nuova organizzazione denominata

FAO, il cui atto istitutivo venne firmato nel febbraio 1945 nel corso della Conferenza di

Quebec City, “nata dall’idea della libertà dal bisogno […] e insieme nata dall’esigenza di

pace”1, era ormai pronta a costituire uno dei mattoni su cui veniva costruito l’edificio delle

Nazioni Unite.

Nonostante l’iniziale carattere tecnico e depoliticizzato che gli Stati membri lea conferiscono,

nel tempo la FAO, e la cooperazione agro-alimentare nel complesso, si arricchiscono di nuovi

strumenti teorici e pratici. La comunità internazionale giunge innanzitutto a riconoscere che la

povertà estrema e la fame nel mondo sono l’una la causa dell’altra, e una loro soluzione

presuppone il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione rurale e investimenti

mirati nel settore agricolo. Allo stesso modo, gli obiettivi della cooperazione agro-alimentare

si trasformano fino ad identificarsi nella sicurezza alimentare, nella sovranità alimentare dei

PVS e nello sviluppo agricolo e rurale sostenibile dei paesi beneficiari. L’approdo del

percorso evolutivo che ha investito tale settore è espresso dall’attuale impegno della comunità

internazionale alla realizzazione degli Obiettivi del Millennio, il primo dei quali è proprio

dimezzare la povertà assoluta e la fame nel mondo entro il 2015.

Nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite, il Polo agro-alimentare costituisce lo

“strumento” di tale cooperazione grazie all’azione interdipendente dei tre enti che lo

costituiscono: FAO, IFAD e WFP. Avendo come sfondo il nesso tra sviluppo e pace, tra

dimensione economica e dimensione politica, il presente lavoro di tesi si propone di

ricostruire il ruolo del polo agro-alimentare dell’ONU con particolare riferimento al WFP-

World food Programme e alle sue funzioni operative nell’ambito della cooperazione

umanitaria e d’urgenza.

Il primo capitolo delinea nei suoi termini generali il tema della cooperazione internazionale in

ambito economico e sociale e analizza il sistema delle Nazioni Unite in relazione ad essa.

1 Rev. Pan. Doc. 15, 25-06-1945, pp. 4-5 cit. in Schutz, FAO, Food and Agricolture Organization, editor in chief Rudiger Wolfrum, managing editor Christiane Philipp, 1995, p. 502.

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Dopo aver accennato all’origine e all’evoluzione della cooperazione economica e della

cooperazione sociale a livello internazionale e allo spazio che esse ricoprono nella carta

dell’ONU, vengono descritte le regole di tale cooperazione e distinti i tre tipi (cooperazione

tecnica, finanziaria, umanitaria e d’urgenza) di essa. Successivamente vengono analizzati gli

organi preposti alla cooperazione allo sviluppo e le loro funzioni, partendo dalla funzione

normativa e di coordinamento esercitata dall’Assemblea generale e dal Consiglio economico

e sociale dell’ONU. Passando alle attività operative dedicate allo sviluppo, vengano esaminati

gli istituti specializzati in riferimento sia a quanto previsto per essi dalla Carta costitutiva

dell’ONU, sia ai poteri di coordinamento dell’Assemblea generale e del Consiglio economico

e sociale, sia gli accordi di collegamento. Infine, vengono delineate le caratteristiche e i

compiti degli organi sussidiari, e in particolare di quelli “quasi autonomi” con funzioni

operative nell’ambito della cooperazione, importanti ai fini di questo discorso in quanto

comprendenti le agenzie come il WFP oggetto del nostro studio.

Il secondo capitolo descrive il sistema delle Nazioni Unite nel settore agro-alimentare.

L’evoluzione della cooperazione in questo settore viene seguita a partire dalla fondazione

della FAO fino alla nascita del Polo agro-alimentare, quando altri due enti, un organo

sussidiario comune a FAO e ONU e un istituto specializzato (WFP e IFAD) si inseriscono nel

“monopolio” della FAO in materia di cooperazione agro-alimentare. Ciò accade

parallelamente all’emergere di nuovi concetti quali il “diritto ad un’alimentazione adeguata” e

la “sicurezza alimentare”. È così che attualmente è possibile parlare di un sistema onusiano in

campo agro-alimentare. In tale sistema, la FAO, sebbene abbia nel tempo orientato le sue

attività e le sue risorse in senso operativo, conserva oggi le sue funzioni “normative”, mentre

assumono un ruolo crescente nel campo delle attività finanziarie e operative le due

organizzazioni più giovani. L’IFAD, infatti, è l’organizzazione preposta al finanziamento dei

progetti agricoli diretti a migliorare la produzione alimentare di Paesi in Via di Sviluppo

(PVS), mentre il WFP è la prima organizzazione nel mondo per la distribuzione di aiuti

alimentari finalizzata allo sviluppo economico e sociale dei paesi beneficiari, all’assistenza e

alla sicurezza alimentare di rifugiati, sfollati e degli altri soggetti bisognosi in situazioni di

emergenza.

Al ruolo del World Food Programme nell’ambito dell’assistenza umanitaria delle Nazioni

Unite è specificatamente dedicato il terzo capitolo. Esso si apre con una disamina

dell’assistenza umanitaria nel sistema delle Nazioni Unite, un vasto ambito che ricomprende

al proprio interno l’assistenza alimentare. Dopo aver toccato i principi dell’assistenza

umanitaria, l’analisi affronta il cruciale tema del coordinamento tra le organizzazioni onusiane

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preposte all’azione umanitaria. Successivamente vengono analizzate le Operazioni di

emergenza del WFP, alla luce sia dei generali principi umanitari, sia di nuovi concetti come la

“protezione delle livelihoods”, cioè delle capacità di sostentamento, oltre il vecchio concetto

di fonti materiali (come il bestiame, le coltivazioni ecc.).

Il mandato del WFP si articola in quattro obiettivi strategici quali salvare vite in situazioni di

crisi, proteggere i livelli base di sostentamento in tali situazioni e rafforzare la capacità di

reazione agli shock, sostenere i miglioramenti nell’alimentazione e lo stato di salute dei

bambini, delle madri e di altri soggetti vulnerabili, promuovere l’accesso all’istruzione e

ridurre le disparità tra i sessi. Delle attività finalizzate al conseguimento di tali obiettivi, le più

caratteristiche sono le operazioni di emergenza (EMOPs), le quali richiedono un accurato

lavoro di individuazione dei destinatari e di valutazione dei bisogni, nonché l’adozione di

procedure complesse. Il tutto in una strategia che contempla il passaggio dal soccorso

immediato (relief) alla creazione delle condizioni per il ripristino (recovery) della sicurezza

alimentare.

Il terzo capitolo si conclude con una discussione di problematiche particolarmente attuali

come quelle che il WFP incontra nella gestione delle emergenze complesse. Il confine tra la

dimensione umanitaria e quella politica appare drammaticamente sottile nelle emergenze

determinate dall’uomo, come tipicamente i conflitti. Il problema principale che in un simile

contesto devono affrontare le organizzazioni internazionali è rappresentato dall’accesso ai

destinatari della propria azione. Quest’ultimi (quasi sempre popolazioni civili) tendono a

essere vittime due volte, sia dell’emergenza iniziale (per esempio la guerra), sia delle

strumentalizzazioni politiche operate dalle parti ostili (gli impedimenti e i ricatti rivolti agli

operatori umanitari). Si tratta di un fenomeno che sta diventando particolarmente drammatico

nel caso dei rifugiati e degli sfollati, cioè di ampi settori della popolazione che, per sfuggire ai

conflitti interni si spostano, oppure vengono fatti spostare con la forza, all’interno o oltre i

confini del proprio paese.

Sebbene sia ancora difficile formulare un bilancio, sembra che la fine della guerra fredda, ben

lontana dall’aver favorito l’avvento di un’epoca di pace e di sviluppo, abbia moltiplicato nel

mondo crisi politiche che diventano presto militari e che la maggior parte delle volte sono

anche sociali ed economiche, con effetti drammatici sulle popolazioni. E, sebbene sia ancora

più difficile fare un bilancio in questo campo, anche le emergenze naturali sembrano

aumentate. Tutto questo sottolinea l’importanza dell’azione della comunità internazionale, in

particolare di quel sistema imperfetto ma indispensabile che è l’ONU, nel fronteggiare le

emergenze e contribuire a creare le condizioni dello sviluppo.

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CAPITOLO 1

LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE ECONOMICA E SOCIALE NEL SISTEMA DELLE NAZIONI UNITE

1.1 L’ORIGINE E L’EVOLUZIONE DELLA COOPERAZIONE ECONOMICA E SOCIALE

Come affermato dal Preambolo1 e dall’articolo 1.32 della Carta, e poi specificato dai Capitoli

IX e X, le Nazioni Unite promuovono la collaborazione internazionale in campo economico e

sociale. Ciò esprime la consapevolezza che i fini e i principi delle Nazioni Unite, vale a dire il

mantenimento di rapporti pacifici tra le nazioni, la sicurezza, il rispetto dei diritti umani, non

possono essere slegati dallo sviluppo economico e dall’equità sociale dei popoli.

Il grande sforzo che l’ONU compie in campo economico e sociale, e che va sotto il nome di

cooperazione per lo sviluppo, ha l’intento di ridurre le gravi disuguaglianze esistenti tra gli

stati e comprende tutte le attività dell’Organizzazione volte a realizzare le condizioni per

elevare il tenore di vita delle popolazioni ed assicurare il progresso sociale dell’umanità3. Lo

stimolo dell’Assemblea Generale in tal senso è stato e continua ad essere molto forte, anche

grazie alla maggioranza che in seno ad essa hanno i Paesi in via di sviluppo (PVS), i

principali fautori dell’accrescimento di tale funzione dell’Organizzazione4.

L’Assemblea Generale ha fatto riferimento all’art. 1.3 in numerose occasioni, sottolineando la

necessità della cooperazione internazionale nella risoluzione di questioni di carattere

economico, sociale, culturale o umanitario, nonché l’importanza della cooperazione tra Paesi

1 “We the people of the United Nations determined (..) to promote social progress and better standards of life in larger freedom, and to these ends (..) to employ international machinery for the promotion of the economic and social advancement of all peoples ”. 2 “The Purposes of the United Nations are: (..) To achieve international co-operation in solving international problems of an economic, social, cultural, or humanitarian character”. 3 Vedi Malintoppi, A., Studi sul coordinamento nel sistema delle Nazioni Unite, Milano, Giuffrè, 1962, p. 67. 4 Vedi Conforti, B., Le nazioni Unite, Padova, CEDAM, 2000, p. 233 e ss.

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più arretrati per promuovere lo sviluppo economico5. A conferma di ciò, nella ris. 2625

(XXV) del 24.10.1970 sulle relazioni amichevoli e sulla collaborazione fra gli Stati, ad

esempio, si afferma che gli Stati “hanno il dovere di cooperare tra loro, senza tener conto

delle differenze esistenti nei loro sistemi politici, economici e sociali, nelle varie sfere delle

relazioni internazionali 6”.

Un’analisi della cooperazione internazionale economica e sociale nel sistema delle Nazioni

Unite non può prescindere dall’esame delle norme della Carta dell’ONU applicabili e

dell’origine ed evoluzione storica dell’attività medesima.

L’origine dell’interesse degli Stati per la soluzione dei problemi internazionali di natura

economica, sociale e umanitaria è anteriore alla nascita delle Nazioni Unite; nelle prime

trattazioni generali, si parla di “dovere di mutua assistenza” a cui si riconducevano varie

forme di collaborazione tra stati “per la tutela degli interessi comuni e per la conservazione

della società internazionale”, anche se tali regole avevano più la natura di obblighi morali che

non di regole giuridiche7. Allo stesso modo, si faceva riferimento al dovere degli Stati di

convocare conferenze internazionali su problemi, quali quelli di carattere sanitario, la cui

soluzione richiedeva una cooperazione interstatuale. Si riconosceva altresì, circa le forme

private d’assistenza umanitaria, che d’altronde hanno costituito l’impianto originario sul quale

poi si è sviluppata la cooperazione multilaterale su basi associative, un dovere morale degli

Stati di consentire sul proprio territorio lo stabilimento di stazioni d’osservazione e

l’organizzazione di missioni tecniche8.

Se le unioni amministrative dell’ultima parte del XIX secolo sono, a ragione, riconosciute

come strumenti di cooperazione economica, sociale e tecnica, è comunque solo tra le due

guerre che si profila l’embrione di un meccanismo operativo in campo economico e sociale. Il

Covenant della Società delle Nazioni non stabiliva una connessione tra la stabilità economica

e il mantenimento della pace, né, di conseguenza, prevedeva un meccanismo d’intervento

dell’organizzazione nelle questioni economiche e sociali. Nonostante ciò, le esigenze

avvertite soprattutto da parte degli Stati più colpiti dagli effetti della guerra e da problemi

5Si pensi al Buenos Aires Plan of Action for promoting and implementing technical cooperation among developing countries endorsed dall’AG con ris. 33/134, 19.12.1978. 6 Vedi Wolfrum R., “Article 55” e “Article 56” in The Charter of the United nations: a commentary, ed. By Bruno Simma – in collaborazione con Hermann Mosler et al., II. ed. Oxford, Oxford University Press, 2002, p. 902. 7 Fiore, T. di diritto internazionale pubblico cit. in Marchisio, S., La cooperazione per lo sviluppo nel diritto delle Nazioni Unite, Napoli, Jovene, 1977, p. 41. 8 Vedi Marchisio, S., La cooperazione per lo sviluppo nel diritto delle Nazioni Unite, op. cit., p. 41.

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endemici di sottosviluppo sono state all’origine del coinvolgimento della Società delle

Nazioni in un numero crescente di questioni economiche e finanziarie, con risultati peraltro

poco soddisfacenti9.

Proprio sulla base di queste esperienze si innescò un dibattito sull’opportunità di rendere

permanenti quelle forme occasionali di cooperazione economica, sociale e tecnica; a tal

proposito fu creato un comitato speciale per lo sviluppo della cooperazione internazionale in

materia economica e sociale, il “Comitato Bruce”, che propose, da una parte, l’istituzione di

un nuovo organo, il “Comitato Centrale”, che avrebbe avuto le stesse funzioni del Consiglio

della Società in relazione alle attività di cooperazione e, dall’altra, la creazione di nuove

organizzazioni tecniche intergovernative. Nonostante la mancata attuazione di tali proposte, il

rapporto10 del Comitato Bruce costituisce il più significativo documento in materia di

cooperazione multilaterale anteriore alla seconda guerra mondiale.

La questione della “istituzionalizzazione” della cooperazione economica e sociale venne

ripresa alla Conferenza di San Francisco e la scelta adottata dalla Carta dell’ONU fu una

soluzione di compromesso tra le due proposte elaborate dal Comitato Bruce. La Carta, infatti,

da una parte, accentua l’interesse per la cooperazione rivedendo la struttura stessa

dell’organizzazione, dall’altra contiene una serie di norme relative ad organizzazioni

internazionali con competenze tecniche collegate all’ONU, gli Istituti Specializzati11.

1.1.1 La natura della cooperazione alla luce della carta dell’ONU

Per comprendere come la cooperazione per lo sviluppo sia intesa nella Carta, è necessario

leggerla alla luce dei criteri ispiratori della Carta medesima e dello specifico contenuto dei

Capitoli IX e X.

9 Vennero formulati alcuni programmi di assistenza tecnica come quelli di ricostruzione economica e finanziaria in Austria, Grecia e Bulgaria e il programma di cooperazione tecnica con la Cina nel 1931. Vedi Marchisio, S., La cooperazione per lo sviluppo nel diritto delle Nazioni Unite, op. cit., p. 42-43. Vedi anche Wolfrum R., “Article 55” e “Article 56”, op. cit., p. 911. 10 Approvato dall’Assemblea della Società delle Nazioni il 14 -12 -1939. 11 Vedi Marchisio, S., La cooperazione per lo sviluppo nel diritto delle Nazioni Unite, op. cit., p. 46.

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Nel Preambolo si trova un primo accenno alla cooperazione internazionale economica e

sociale, anche se qui l’accezione data ai termini “economico e sociale” risulta più restrittiva

che negli articoli successivi12.

La prima norma che, effettivamente, disciplina questo settore è l’articolo 1.3 della Carta che

elenca, tra gli obiettivi delle Nazioni Unite, quello di conseguire la cooperazione

internazionale nella soluzione delle problematiche internazionali di carattere economico,

sociale, culturale o umanitario.

Un’ulteriore specificazione si trova, poi, all’interno della sezione del Capitolo IV dedicata a

“funzioni e poteri” dell’Assemblea Generale, nell’articolo 13.1(b) in cui si parla di studi e

raccomandazioni intrapresi dall’ organo assembleare nell’intento di promuovere la

cooperazione nel settore economico, sociale, culturale, dell’istruzione e della salute. La

portata dei suddetti articoli è specificata dalle disposizioni dei capitoli IX e X dedicati

rispettivamente alla “Cooperazione internazionale economica e sociale” e al “Consiglio

economico e sociale”.

Come si vedrà, dal complesso di tali norme sembra dedursi la scelta di formulare soltanto un

obbligo generico di collaborazione in materia economica e sociale13, lasciando alla prassi e

alla volontà degli Stati membri il compito di adeguare le funzioni dell’Organizzazione alle

esigenze future; ciò peraltro si conciliava con la prevista istituzione degli istituti specializzati,

cui i trattati istitutivi avrebbero attribuito una serie di responsabilità in materia di

cooperazione “tecnica” con gli Stati membri.

Riconoscendo l’importanza di un’azione concertata per la soluzione dei problemi di carattere

economico e sociale, la Carta pone determinati diritti e obblighi a favore e a carico degli Stati

membri. Assume una rilevanza fondamentale, con riferimento alle situazioni giuridiche

soggettive degli Stati nel campo della cooperazione economica e sociale, l’art. 55 della Carta

con cui si apre il Capitolo IX. Secondo questa norma14, dalla quale emerge la coerenza interna

dei fini enunciati nell’articolo 1 della Carta, l’ONU promuove un più elevato tenore di vita, il

pieno impiego e condizioni di progresso e sviluppo economico e sociale (art 55(a) ) e la

12 Malintoppi, A., Studi sul coordinamento nel sistema delle Nazioni Unite, op. cit., p. 71. 13 È l’obbligo generico di collaborazione alla base di qualsiasi patto d’unione, vedi Malintoppi, A., Le raccomandazioni internazionali, Milano, Giuffrè, 1958, p.89. 14 “With a view to the creation of conditions of stability and well-being which are necessary for peaceful and friendly relations among nations based on respect for the principle of equal rights and self-determination of peoples, the United Nations shall promote: a. higher standards of living, full employment, and conditions of economic and social progress and development; b. solutions of international economic, social, health, and related problems; and international cultural and educational cooperation; and (..)”.

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soluzione delle questioni internazionali di carattere economico e sociale (art. 55(b) ). Tali

obiettivi vanno perseguiti nel tentativo di creare quelle condizioni di benessere e stabilità

indispensabili affinché l’obiettivo principale dell’Organizzazione, vale a dire il mantenimento

della pace e della sicurezza internazionali, possa essere realizzato.

La carta attribuisce, quindi, al conseguimento del fine della cooperazione un carattere

strumentale rispetto a quello principale, ma non esclusivo, del mantenimento della pace e

della sicurezza internazionali. Allo stesso modo, nella prassi dell’ONU, è stato enfatizzato più

volte come il mantenimento della pace costituisca una pre-condizione allo sviluppo

economico15, trovandosi dunque le due componenti in un rapporto dialettico, essendo l’uno il

presupposto dell’altro 16.

Sebbene l’art. 55 (a) e (b) sia diretto a specificare e rafforzare gli artt. 1.3 e 13.1(b), la

clausola (a) dell’art. 55, laddove introduce i concetti di “pieno impiego” e “economic and

social (..) development”, non ha equivalenti nelle due norme menzionate. Per quanto riguarda

la clausola (b) del 55, si distingue tra promozione di soluzioni ai problemi internazionali di

carattere socio-economico e promozione della cooperazione nell’ambito culturale e

dell’istruzione, ad indicare la differente funzione dell’ONU nei due campi. Se, per quanto

riguarda cultura e istruzione, l’ONU si limita a promuovere la cooperazione tra gli Stati, nel

campo economico e sociale, si tratta di una vera e propria competenza atta a ricercare

soluzioni adeguate alle problematiche internazionali. In quest’ambito, infatti, la cooperazione

internazionale, così come articolata dagli artt. 55 e 56, non è solo un fine in sé, come lo è in

ambito culturale ed educativo, bensì soprattutto uno strumento mediante il quale realizzare gli

obiettivi di stabilità e benessere stabiliti dalla Carta17.

In ultima analisi, ad ogni modo, l’articolo si limita a stabilire l’impegno dell’ONU a

“promuovere” la soluzione dei problemi internazionali ed interni nei suddetti settori, senza

creare obblighi giuridici specifici. D'altronde già il Comitato tecnico (Comitato II/3) della

Conferenza di San Francisco specificò che nessuna disposizione del capitolo IX poteva essere

15 In tal senso si è espressa anche la Corte internazionale di giustizia la quale, nel parere Certe spese delle Nazioni Unite del 20 luglio 1962, affermava che il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali costituisce il fine principale dell’ONU, potendo gli altri obiettivi essere conseguiti solo se è realizzata questa condizione fondamentale; nella Declaration on International Economic Co-operation, ris. AG S-18/3, 1.5.1990, si afferma che “reduction in international political tension (..) will create an opportuniy for strenghtening international economic cooperation”. 16 Questo approccio è stato particolarmente evidenziato in An Agenda for Peace (ris. AG 47/120 B del 20.12.1993) che nel capitolo dedicato al post-conflict peace buiding fa esplicito riferimento all’art. 55. Vedi Wolfrum R., “Article 55” e “Article 56”, op. cit., p. 923. 17 Vedi Wolfrum R., “Article 55” e “Article 56”, op. cit., p. 927.

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interpretata come un’autorizzazione all’ONU ad intervenire negli affari economici interni

degli Stati Membri18.

La forma così stabilita dall’art. 55 per la promozione della soluzione di tali problemi è quella

della cooperazione su basi “associative” e volontarie (d’altronde ciò è confermato, come si

vedrà in seguito, dalla natura volontaria dei contributi che finanziano le attività dell’ONU nel

settore economico e sociale).

La genericità dell’obbligo di collaborazione economica e sociale si è nel tempo tradotta in una

sua potenziale illimitatezza, tant’è che in questo articolo, e in particolare nel concetto chiave

di “sviluppo” di cui all’art 55(a), hanno trovato fondamento giuridico tutte le attività di

cooperazione economica, sociale e tecnica delle Nazioni Unite, nonché tutte le delibere

dell’Assemblea e del Consiglio economico e sociale (ECOSOC) relative a cooperazione

economica in generale, pieno impiego e stabilità economica, sviluppo, assistenza tecnica e

finanziaria, risorse naturali, commercio internazionali, rapporti finanziari internazionali19.

All’art. 55 si ricollega espressamente l’art. 56 che formula l’obbligo degli Stati membri di

agire, collettivamente o singolarmente, in cooperazione con l’organizzazione per il

raggiungimento degli obiettivi posti dall’articolo precedente. Tale norma ha la funzione di

rafforzare l’obbligo generico di cooperazione previsto nel preambolo della Carta nonché negli

articoli esaminati poc’anzi20. Essa, peraltro, non specifica le modalità e gli strumenti di tale

cooperazione, né investe l’Organizzazione del potere di richiederne forme specifiche agli Stati

membri.

In conclusione, si può dunque rilevare che, stando a quanto emerso dall’analisi dei principi

della Carta, la cooperazione internazionale economica e sociale, nell’ambito del sistema delle

Nazioni Unite, ha una natura strumentale, per ciò che concerne i fini dell’Organizzazione;

associativa e volontaria, per ciò che invece riguarda gli obblighi giuridici che, a tal proposito,

derivano dalla Carta a carico degli stati membri.

1.1.2 I contenuti della cooperazione economica e sociale

18 “The members of the Committee 3 of Commission II are in full agreement that nothing contained in Charter IX can be construed as giving authority to the organization to intervene in the domestic affairs of the Member States”. 19 Vedi Marchisio, S., La cooperazione per lo sviluppo nel diritto delle Nazioni Unite, op. cit., p. 51. 20 Vedi Marchisio, S., La cooperazione per lo sviluppo nel diritto delle Nazioni Unite, op. cit., p. 52 e Malintoppi, A., Studi sul coordinamento nel sistema delle Nazioni Unite, op. cit., p. 74.

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Le regole della cooperazione

Nel corso degli anni l’ONU ha operato nell’ambito della cooperazione per lo sviluppo e

ampliato la sua attività nel settore attraverso la creazione di nuove istituzioni e organi

sussidiari; l’adozione di raccomandazioni circa l’attività degli stati e delle istituzioni

internazionali; l’elaborazione di nuovi principi e programmi; la realizzazione, infine, di

attività operative dirette.

Le regole e i principi generali della cooperazione economica e sociale sono contenuti in

alcune “storiche” risoluzioni dell’Assemblea Generale. Tra queste occupano un posto di

rilievo la Dichiarazione e il Programma d’azione per l’instaurazione di un nuovo ordine

economico internazionale21, la Carta dei diritti e doveri economici degli Stati22 e la

Dichiarazione sulla Cooperazione Economica Internazionale23.

Da una parte, questi atti riprendono principi già contenuti in precedenti dichiarazioni e

risoluzioni dell’Assemblea, come ad esempio la ris. 2625 (XXV) del 1970 sulle relazioni

amichevoli e la collaborazione fra gli Stati e la ris. 1803 (XVII) del 1962 sulla sovranità

permanente sulle risorse naturali. Dall’altra parte, questi storici documenti elaborano un

preciso indirizzo politico relativamente alla crescita dei Paesi più arretrati orientato alla

creazione di un nuovo sistema di relazioni economiche internazionali. Sistema che deve

basarsi su un’idea di sviluppo che non dipenda dall’assistenza fornita dai paesi

industrializzati, bensì che sia libero da condizionamenti economici e politici imposti

dall’esterno e al quale concorra l’intera comunità degli Stati, permettendo ai PVS di far valere

il loro potere di negoziazione che loro deriva dalla piena sovranità sulle risorse naturali24.

Questo orientamento si sostanzia in specifiche norme della Dichiarazione, del Programma e

della Carta quali il diritto di ogni Stato ad adottare il sistema socio-economico più adeguato

alle proprie esigenze, la sovranità dei popoli sulle proprie risorse naturali, il potere di

nazionalizzare i beni stranieri, il diritto a controllare l’attività delle società multinazionali

all’interno del proprio territorio e così via. Ispirate dalla medesima concezione sono quelle

norme che, sempre secondo tali atti, devono regolamentare il commercio internazionale: una

contrattazione libera da condizionamenti politici e militari; relazioni economiche

internazionali basate sull'equità delle ragioni di scambio; la concessione ai PVS di trattamenti

21 Ris. 3201 e 3202 S-VI dell’1.5.1974. 22 Ris.3281-XXIV del 12.12.1974. 23 Ris.S-18/3 dell’ 1.5.1990, Declaration on International Economic Co-operation, and particularly the Revitalization of Economic Growth and Development of Developing Countries. 24 Vedi Conforti, B., Le nazioni Unite, op. cit., pp. 233 e ss.

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preferenziali anziché reciproci; l’accesso, da parte dei PVS, ai progressi scientifici e

tecnologici25.

Negli anni, sotto la spinta dei paesi industrializzati, queste regole sono state inserite in un

contesto più ampio. In due atti fondamentali dell’Assemblea26, la Dichiarazione sul diritto allo

sviluppo del 1986 e la Dichiarazione di Rio del 1992, infatti, viene affermata una nuova

visione politica socio-economica che, sancendo il carattere universale e inalienabile del diritto

allo sviluppo, pone la persona umana al centro di tale processo e lega la crescita al rispetto dei

diritti umani e alla tutela dell’ambiente27.

Il concetto di sviluppo sostenibile, cioè di sviluppo economico compatibile con l’equità

sociale e il rispetto dell’ambiente, si impone definitivamente con la Dichiarazione di Rio del

199228 ed è individuato come obiettivo del XXI secolo dall’Agenda 21 dell’ONU29.

Questi principi sono integrati dalle strategie decennali che l’Assemblea ha adottato a partire

dal 1960 e che indicano gli obiettivi da raggiungere, nell’arco del decennio, nell’ambito della

25 Vedi Conforti, B., Le nazioni Unite, op. cit., pp. 236. 26 Dichiarazione sul diritto allo sviluppo, ris. 41/128, 4.12.1986 e Dichiarazione di Rio del 1992 adottata dalla Conferenza dell’ONU sull’ambiente e sullo sviluppo (UNCED), fatta propria dall’AG con ris. 47/190 del 22.12.1992. 27 Vedi Spatafora, E., Cadin, R., Carletti, C., Sviluppo e diritti umani nella cooperazione internazionale: lezioni sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo umano, Torino, Giappichelli, 2003, p. 237-240. 28 Il concetto di sviluppo sostenibile viene introdotto dal Rapporto Brundtland del 1987, adottato dalla Conferenza mondiale sull’ambiente e lo sviluppo: “lo Sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni ». Nella Dichiarazione di Rio, lo sviluppo sostenibile è “il diritto allo sviluppo deve essere realizzato in modo da soddisfare equamente le esigenze relative all' ambiente e allo sviluppo delle generazioni presenti e future” (art. 4). 29l’Agenda 21, adottata dalla Conferenza di Rio, è il documento programmatico dell’ONU per il XXI secolo che indica le azioni da compiere, a livello globale, nazionale e locale, perchè lo sviluppo sostenibile sia raggiunto. Inoltre, per dar seguito a quanto raggiunto in seno all’UNCED, con ris 47/191 del 22 dicembre 1992, è stata creata la Commissione per lo sviluppo sostenibile (CSD), commissione funzionale dell’ECOSOC.

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cooperazione per lo sviluppo30. Nel 2000 l’Assemblea ha adottato la Dichiarazione del

Millennio che fissa gli 8 Obiettivi strategici per lo Sviluppo da raggiungere prima del 201531.

Così tracciata la cornice teorica in cui si colloca la cooperazione internazionale nel sistema

delle Nazioni Unite, è utile procedere ad un’analisi sostanziale, distinguendo forme e

contenuti della cooperazione stessa.

Le tipologie di cooperazione

La nozione di cooperazione internazionale economica e sociale delle Nazioni Unite

comprende tutte le forme di cooperazione dirette a favorire il progresso economico e sociale

degli Stati più arretrati, nonché l’assistenza umanitaria fornita dalla comunità internazionale

in seguito al verificarsi di un’emergenza.

Tra i molteplici tipi di cooperazione esistenti occorre effettuare una distinzione preliminare,

sulla base della natura dei soggetti che vi prendono parte, tra cooperazione bilaterale e

multilaterale. Nel primo caso si tratta di una forma di cooperazione gestita dai singoli governi

dei paesi donatori, regolata da accordi bilaterali con uno o più paesi beneficiari; con la

seconda, invece, s’intende una forma di cooperazione perseguita dagli Stati attraverso le

organizzazioni internazionali a vocazione universale o regionali e che trae il suo fondamento

giuridico dai trattati istitutivi di tali enti e dagli atti adottati dai loro organi sociali. Esiste

anche una forma mista di cooperazione, definita multi-bilaterale, che consiste in programmi di

sviluppo finanziati da un paese e gestiti congiuntamente con un organismo multilaterale.

30 La strategia del Decennio (ris. 1710 del 1961), che proclama il primo decennio per lo sviluppo, mira a colmare il distacco tra paesi avanzati e PVS attraverso un programma di azione finanziariamente adeguato e basato essenzialmente su grandi investimenti infrastrutturali. Nel 1970, con la ris. 2626, l'Assemblea proclama il secondo Decennio per lo sviluppo caratterizzato da un approccio più globale, prefiggendosi obiettivi non solo economici, ma anche sociali. La strategia per il terzo Decennio (dicembre 1980) fissa, tra gli altri, l'obiettivo dello 0,7% di ODA (Official Development Assistance) sul prodotto nazionale lordo dei paesi del DAC (Comitato di aiuto alla sviluppo dell'OCSE) entro il 1985. La strategia per il quarto Decennio (ris. 45/199 del 1990) si propone uno sviluppo accelerato dei PVS e un rafforzamento della cooperazione internazionale, e in particolare una significativa riduzione della povertà estrema. 31 Gli Obiettivi del Millennio sono: Eliminare la povertà estrema e la fame; Assicurare l’istruzione elementare universale; Promuovere la parità tra i sessi e conferire maggior potere alle donne; Diminuire la mortalità infantile; migliorare la salute materna; Combattere l’HIV/AIDS, la malaria e altre malattie; Assicurare la sostenibilità ambientale; Sviluppare un partenariato globale per lo sviluppo.

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Nella cooperazione economica e sociale del sistema ONU, che com’è evidente è di natura

multilaterale, si distingue, sulla base dei contenuti, tra cooperazione finanziaria, tecnica e

umanitaria e d’urgenza. Si analizzano qui di seguito le prime due categorie di cooperazione,

rinviando al terzo capitolo l’esame dell’assistenza umanitaria e d’urgenza.

La cooperazione finanziaria è parte integrante della cooperazione internazionale economica e

sociale e comprende tutte le risorse finanziarie allocate, su base bilaterale o multilaterale, da

uno Stato o da un’Organizzazione internazionale, come parte del proprio aiuto allo sviluppo ai

Paesi più arretrati.

Il Gruppo Banca Mondiale32 e il Fondo Monetario Internazionale33 sono le maggiori

organizzazioni internazionali su scala mondiale, e al contempo parte del sistema ONU34, a

concedere assistenza finanziaria; anche gli altri Istituti Specializzati35 e l’ONU stessa,

attraverso i suoi organi sussidiari e i fondi fiduciari speciali36, effettuano operazioni

finanziarie nei PVS37.

Ad oggi, anche la Banca Mondiale ha orientato la propria azione verso il raggiungimento

degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio enunciati nella Conferenza delle Nazioni Unite del

2000. Essa elargisce prestiti, con interessi a tasso di mercato, ai Governi dei Paesi membri o a

favore di progetti sui quali vi sia una garanzia del governo di uno Stato membro.

32 Per Banca Mondiale (BM) si intendono normalmente le istituzioni collegate IBDR (Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo) e IDA (Associazione internazionale per lo sviluppo), mentre il Gruppo Banca Mondiale si compone anche di MIGA (Agenzia Multilaterale per la Garanzia degli Investimenti), IFC (Società Finanziaria Internazionale), ICSID (Centro Internazionale per la Risoluzione dei Conflitti). L’Accordo istitutivo della BM è entrato in vigore il 27.12.1945. 33 Il FMI e l’IBRD sono state istituite nel 1945, a seguito degli accordi raggiunti nel corso della Conferenza di Bretton Woods, con il compito rispettivamente di promuovere la stabilizzazione delle relazioni monetarie e finanziarie internazionali e di sostenere la ricostruzione dei Paesi usciti devastati dal conflitto mondiale. Completata la ricostruzione delle economie dei Paesi europei e del Giappone, la BM ha diretto la sua attenzione verso i PVS. 34 FMI (accordo di collegamento del 15.11.1947), IBDR, IFC e IDA sono Istituti Specializzati dell’ONU; se formalmente sono IS come gli altri, nella prassi godono di uno status diverso e più autonomo rispetto agli altri IS, innanzitutto per il diverso sistema di voto (ponderato) adottato dalle istituzioni del “sistema Bretton Woods”. 35 L’IFAD (v. supra) ha il mandato specifico di finanziare programmi di sviluppo agricolo nei PVS, attraverso la concessione di prestiti; inoltre, progetti qualificabili come di assistenza tecnica spesso includono anche una grossa componente di assistenza finanziaria, come nel caso di numerose operazioni della FAO e dell’UNIDO. 36 I “trust funds” sono fondi multilaterali amministrati dall’ONU e dalle sue agenzie (in molti casi attraverso l’UNDP) che vengono destinati a scopi o paesi specifici. 37 Vedi Eggerstedt, H., Taake, H.H., “Capital Assistance” in United Nations: law, policies and practice, editor in chief Rudiger Wolfrum ; managing editor Christiane Philipp, 1995, p. 90.

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I documenti sulla strategia per la riduzione della povertà (PRSPs)38 sono oggi il principale

strumento con cui la BM sostiene i Paesi a basso reddito. Sono documenti preparati dai

Governi dei paesi beneficiari, in cui si formulano in modo organico le politiche dirette a

ridurre la povertà e stimolare lo sviluppo socio-economico. L’elaborazione di un PRSP è

condizione necessaria per ottenere l’assistenza agevolata della BM (tramite l’IDA) e del

FMI39, nonché per partecipare all’Iniziativa HIPC di cancellazione del debito40. In conformità

ai piani di sviluppo elaborati dal singolo Paese, la BM elabora le proprie Strategie di

Assistenza Paese (CAS) 41 con cui pianifica i programmi di assistenza.

L’Associazione internazionale per lo sviluppo (IDA)42, i cui statuti sono entrati in vigore nel

1960, ha invece il mandato di fornire assistenza ai Paesi che non sono in grado di accedere ai

prestiti concessi alle condizioni della Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo.

Essa, quindi, concede finanziamenti a lungo termine43 e senza interessi44 ai Paesi a basso

reddito pro capite.

Per beneficiare dell'assistenza dell’IDA, i Paesi devono dimostrare di seguire politiche idonee

a promuovere la crescita e ridurre la povertà. La procedura consiste in una fase preliminare

d’inchiesta per la valutazione del progetto da finanziare e una fase di negoziazione, che si

apre con l’approvazione del progetto di accordo di credito da parte dell’IDA e si chiude con la

firma di un accordo con lo Stato beneficiario45.

Per molti anni gli aiuti finanziari sono stati forniti solo per il tramite di queste organizzazioni,

mentre a partire dagli anni sessanta, su pressione dei PVS46, l’ONU ha creato importanti

38 Poverty Reduction Strategy Papers. 39 Tramite il Poverty Reduction and Growth Facility (accordo per la riduzione della povertà e la crescita) del 1999 sulla base del quale vengono concessi crediti a tassi particolarmente vantaggiosi ai Paesi a basso reddito. 40 Il programma Heavily Indebted Poor Countries (HIPC), nato nel 1986 dall’iniziativa congiunta del FMI e della BM, ha lo scopo di aiutare i paesi più poveri del mondo portando il loro debito pubblico a un livello sostenibile, a condizione che i loro governi dimostrino di raggiungere determinati livelli di efficienza nella lotta alla povertà. 41 Country Assistance Strategies. Vedi World Bank, worldbank.org. 42 A differenza della IBRD che reperisce i fondi nei mercati finanziari, l’IDA dipende dai contributi dei suoi stati membri, che devono quindi essere periodicamente ricostituiti. 43 Con un periodo di ammortamento di 35-40 anni ed un periodo di mora di dieci anni prima che inizi il rimborso del capitale. 44 È prevista una commissione dello 0,75% per rimborso spese. I crediti IDA sono finanziati attraverso un Fondo rotativo che è reintegrato, di norma, su base triennale e finanziato, per circa la metà, direttamente dai Paesi più ricchi, mentre il resto delle risorse proviene dai rimborsi dei prestiti concessi e da trasferimenti netti dall’IBRD. 45 Vedi World Bank, worldbank.org. 46 Con il declino del sistema neo-liberista di Bretton Woods emergono con maggiore intensità le rivendicazioni dei PVS per l’instaurazione di un nuovo ordine economico mondiale (NOEI), in grado

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meccanismi finanziari, di cui il principale è l’UNDP, e numerosi fondi destinati a paesi in

condizioni particolari o a scopi particolari47.

La cooperazione tecnica, che ricade nella cosiddetta “area operativa”48 dell’ONU, comprende

le attività internazionali di cooperazione economica dirette a promuovere, mediante il

trasferimento delle conoscenze necessarie allo sviluppo e la fornitura di servizi tecnici, un più

efficace utilizzo delle risorse economiche di cui dispongono gli Stati (programmi di

formazione di mano d’opera tecnica e professionale, missioni di esperti e progetti di ricerca).

Nonostante l’assenza di una noma specifica della Carta relativa alla cooperazione tecnica,

l’Organizzazione ha intrapreso sin dal dopoguerra attività nel campo dell’assistenza tecnica. Il

fondamento giuridico della cooperazione tecnica è stato ravvisato sia nell’art. 55, trattandosi

di un aspetto della più generale cooperazione economica e sociale, sia nell’art. 6649 della

Carta, che si riferisce ai “servizi” che il Consiglio economico e sociale può realizzare su

richiesta degli Stati membri e degli Istituti Specializzati, trattandosi di programmi “operativi”.

L’esecuzione delle attività operative è comunque subordinata, a norma dell’ art 66.2 della

Carta, ad una specifica richiesta degli Stati interessati, ciò costituendo una garanzia di non

ingerenza50.

Le decisioni politiche generali della cooperazione tecnica sono prese dall’Assemblea e dal

Consiglio economico e sociale che ne definiscono le principali politiche, obiettivi e

strumenti51. Il quadro giuridico in cui si esplicano le attività operative della cooperazione

tecnica è costituito dagli atti giuridici internazionali di natura contrattuale conclusi tra

organizzazione internazionale e Stato beneficiario52.

La cooperazione tecnica è finanziata per la maggior parte dai contributi volontari degli Stati

raccolti in vari fondi, mentre lo sono solo in parte dal budget generale dell’ONU e degli

di superare gli squilibri economici esistenti e ispirato ad esigenze di cooperazione e solidarietà internazionale, vedi infra. 47 Vedi Meng, W., “Economic Co-operation under the UN-System” in United Nations: law, policies and practice, editor in chief Rudiger Wolfrum, managing editor Christiane Philipp, 1995, p. 451-455. 48 Vedi Stoll, P.T., “Technical Assistance” in United Nations: law, policies and practice, editor in chief Rudiger Wolfrum, managing editor Christiane Philipp, 1995 p. 1211-1214. 49 “(The economic and social council) may, with the approval of the General Assembly, perform services at the request of Members of the United Nations and at the request of specialized agencies”. 50 Vedi Marchisio, S., La cooperazione per lo sviluppo nel diritto delle Nazioni Unite, op. cit., p. 71. 51 Per quanto riguarda gli Istituti Specializzati, tali decisioni sono obbligatorie solo nei casi in cui è coinvolto un programma dell’UNDP, mentre in tutti gli altri casi hanno solo valore di raccomandazioni. Vedi Stoll, P.T., “Technical Assistance”, op. cit., p. 1217. 52 Vedi supra.

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Istituti Specializzati53. Gli Stati donatori, fino ad oggi contrari ad assumere impegni

economici, intesi come contributi fissi, continuativi e proporzionali ai rispettivi PIL,

“promettono” i loro aiuti nel corso della speciale conferenza sull’annuncio dei contributi che

il Segretario Generale dell’ONU convoca annualmente54. Generalmente, ogni progetto è

finanziato da più fonti, prima di tutto dai contributi degli stessi Stati beneficiari55.

Dall’ampio coinvolgimento dell’ONU in quest’ambito deriva una complessa struttura

organizzativa sottoposta ancora oggi a continue riforme.

Le origini della cooperazione tecnica possono ricondursi alla risoluzione n. 200 (III) adottata

dall’Assemblea il 4 dicembre 1948, la quale ha istituito il Programma ordinario di Assistenza

Tecnica, inserendo le spese per il suo funzionamento nel bilancio ordinario e qualificando le

attività così consentite come “servizi”, ai sensi dell’art. 66.256. Le attività del Programma

erano limitate all’invio di missioni di esperti, alla concessione di borse di studio ai cittadini

dei Paesi in via di sviluppo e all’istituzione di centri di formazione e ricerca. Tali attività di

assistenza ordinaria sono state consolidate dalla creazione del Dipartimento delle Nazioni

Unite della cooperazione tecnica per lo sviluppo nel 1978, nato dalla fusione dell’Ufficio

della cooperazione tecnica con altre divisioni del settore economico e sociale57.

Le attività di cooperazione tecnica dell’ONU si sono ulteriormente estese con la creazione, su

iniziativa del Consiglio economico e sociale, del Programma ampliato di assistenza tecnica

(EPTA)58 diretto a rafforzare le economie nazionali dei PVS, elevare il tenore di vita delle

popolazioni e promuovere una reale indipendenza economica e politica dei paesi beneficiari.

Inoltre, la ris. n. 222 (IX), istituiva dell’EPTA, assume particolare importanza in quanto

definisce per la prima volta alcuni principi base della cooperazione economica e sociale

53 Allo scopo di aumentare i contributi degli Stati membri, che spesso condizionano le loro donazioni agli scopi dei progetti cui sono destinati, sono stati creati vari Fondi per scopi speciali amministrati da UNDP (es. UN volunteers (UNV), UN Fund for Sciente and Technoloy). Il programma è anche responsabile dei Trust Funds, spesso istituiti per le donazioni di un singolo stato o per particolari scopi. 54 Peraltro, la contribuzione annuale contrasta con il meccanismo di finanziamento dei PVS da parte dell’ l’ONU, attraverso l’UNDP, che avviene invece su base pluriennale. 55 Vedi Stoll, P.T., “Technical Assistance”, op. cit., p. 1218. 56 A conferma di quanto già rilevato, l’art. 66.2 qui è stato interpretato come attributivo di una competenza all’Assemblea. 57 In conformità alla ris.AG 32/197 del 20.12.1977 diretta ad innescare un processo di ristrutturazione dei settori economico e sociale del sistema ONU. 58 Con la ris ECOSOC 222 (ix) del 1949, poi approvata dall’AG con ris 304 (IV).

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dell’ONU, come il principio della volontarietà dei contributi e del consenso dello Stato

beneficiario59.

Alle pressioni degli Stati di nuova indipendenza per l’istituzione di un Fondo delle Nazioni

Unite per lo sviluppo economico (SUNFED)60 che fornisse investimenti a titolo gratuito o

comunque a basso interesse ai PVS, si opponevano gli Stati industrializzati, contrari alla

creazione di un meccanismo di finanziamento in seno all’ONU concorrenziale rispetto a

quello della Banca Mondiale61. Ciò perché in questo modo gli stati industrializzati avrebbero

visto eroso il loro “monopolio” decisionale all’interno dei meccanismi di finanziamento ai

PVS.

Con la creazione del Fondo Speciale (FS) 62, organo sussidiario dell’Assemblea, autonomo

rispetto all’EPTA ma senza funzioni di finanziamento diretto dello sviluppo economico, si è

raggiunta una soluzione di compromesso, che ha comportato un notevole ampliamento della

cooperazione economica e sociale. Il mandato del Fondo, infatti, ha previsto una maggiore

ampiezza delle attività operative consentite63 e ha accentuato l’aspetto finanziario

dell’assistenza tecnica introducendo il concetto di “pre-investimento”64.

Nella metà degli anni sessanta, con l’ingresso nelle Nazioni Unite dei Paesi di nuova

indipendenza, l’ONU espande ancora le proprie attività di cooperazione tecnica mediante

l’istituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale (UNIDO) e il

Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP), quali organi sussidiari

dell’Assemblea Generale65.

La principale funzione dell’UNIDO66 è la promozione dello sviluppo industriale nel mondo,

in particolare nei PVS, e come obiettivo a lungo termine il miglioramento delle condizioni di

vita di queste popolazioni, aiutandoli a sfruttare al meglio le proprie risorse naturali e umane

in loco. L’UNIDO essenzialmente fornisce assistenza tecnico-industriale67 e trasferisce

59 Vedi Marchisio, S., La cooperazione per lo sviluppo nel diritto delle Nazioni Unite, op. cit., p. 68 – 73 e Stoll, P.T., “Technical Assistance”, op. cit., p. 1220. 60 creato nel 1952, venne poi unito all’UNDP nel 1966. 61 Affossato il SUNFED a causa del disinteresse dei paesi industrializzati, per far fronte ai bisogni finanziari dei paesi in via di sviluppo, nel 1960 venne creata l’IDA, affiliata alla Banca mondiale, vedi infra. 62 Istituito con la ris 1240 (XIII) del 1957. 63 Il mandato del FS, infatti, prevedeva la realizzazione di progetti nei settori dell’agricoltura, sanità, pubblica amministrazione, risorse naturali, trasporti, industria e altri. 64 I progetti del Fondo Speciale erano infatti mirati a promuovere il successivo afflusso di capitali pubblici e privati, nazionali e internazionali, e a consentire le operazioni finanziarie della Bank. 65 Vedi Marchisio, S., L’ONU. Il diritto delle Nazioni Unite, Bologna, il Mulino, 2000, pp. 356 e ss. 66 Istituito con ris. AG2152 (XXI) del 17.11.1966 67 Tale assistenza è fornita sotto forma di esperti, formazione, borse di studio, attrezzatura.

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tecnologia industriale, qualificandosi come ente a carattere prevalentemente operativo. Svolge

altresì funzioni di coordinamento, costituendo un forum di negoziazione tra paesi

industrializzati e PVS. Dopo lunghe trattative, nel 1985 è stato trasformato in Istituto

Specializzato68.

Il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo69, invece, nasce dalla parziale fusione

dell’EPTA e del Fondo Speciale70, allo scopo di coordinare e razionalizzare il sistema della

cooperazione tecnica.

Con la ris. n. 2688 (XXV) del 1970, l’UNDP è stato sottoposto ad una riforma volta a

rinforzare il suo ruolo centrale nella programmazione dell’assistenza tecnica e, allo stesso

tempo, rendere gli stati beneficiari responsabili dei loro programmi nazionali. La risoluzione

suddetta, infatti, ha introdotto la programmazione per paese, secondo la quale ogni Paese che

voglia beneficiare dell’assistenza dell’UNDP deve formulare il proprio programma nazionale

di sviluppo, costituito da un insieme di progetti coerenti, da realizzare in un determinato

periodo in collaborazione con l’UNDP. In caso di approvazione da parte del Consiglio di

amministrazione dell’UNDP, è attribuita allo Stato beneficiario, all’inizio di un periodo

quinquennale, il c.d. “ciclo di programmazione”, una cifra indicativa corrispondente al totale

delle risorse finanziarie disponibili per la realizzazione del medesimo. Il programma

nazionale costituisce dunque il quadro di riferimento dei successivi interventi (Ibidem).

L’UNDP interviene solo su richiesta dei governi degli Stati beneficiari. Per disciplinare i

rapporti con gli stati beneficiari, l’UNDP conclude accordi bilaterali, sulla base di un modello

uniforme, che contiene le norme organizzative sullo svolgimento delle attività di realizzazione

dei progetti e sul trattamento giuridico degli enti che eseguono i progetti all’interno dello stato

beneficiario.

Oggi l’UNDP è l’organo più importante nel sistema dell’ONU per la cooperazione economica

e sociale e costituisce il principale meccanismo mondiale di cooperazione tecnica e di pre-

investimenti. Esso ha la funzione di approvare i programmi nazionali di sviluppo presentati

dai singoli stati, di mobilizzare le risorse e le competenze necessarie e di sovrintendere

all’esecuzione dei progetti che compongono i programmi; costituisce dunque, nel sistema

ONU, il centro del finanziamento, della pianificazione e del coordinamento dell’assistenza

tecnica.

68 Il trattato istitutivo dell’UNIDO è stato adottato l’8.04.1979 ed entrato in vigore il 21.06.1985. 69 Con ris. AG 2029 (XX) del 22.11.1965. 70 L’unificazione delle due componenti “assistenza Tecnica” e “pre-investimento”, corrispondenti rispettivamente alle attività dell’EPTA e del Fondo, verrà formalmente sanzionata dalla risoluzione 2688 (XXV) dell’11-12-1970, che introduce il meccanismo del country programming.

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Nell’ambito del commercio internazionale, la pressione dei PVS per riformarne le regole è

stata all’origine della creazione di un nuovo organo sussidiario dell’Assemblea, l’UNCTAD71,

con il compito di promuovere lo sviluppo attraverso il commercio e la rivalorizzazione dei

termini di scambio tra Paesi a basso reddito e paesi industrializzati. Tra le competenze

esercitate da quest’organo va rilevata una funzione politica e quasi-normativa72; tuttavia tali

funzioni sono diminuite nel tempo, mentre hanno assunto crescente importanza quelle

operative di assistenza tecnica73.

Il riferimento, nelle prime risoluzioni istitutive dei vari programmi e attività, all’obbligo ex

art. 56, al rispetto del principio di sovranità, e alla conseguente necessità di richiesta da parte

dello Stato e di un accordo tra stato e organizzazione, e il principio della volontarietà dei

contributi confermano il carattere essenzialmente volontaristico delle attività operative

nell’ambito della cooperazione tecnica.

Inoltre, la scelta di creare organi sussidiari anziché nuovi Istituti Specializzati ha accentuato il

processo d’accentramento della direzione delle attività di cooperazione nelle mani degli

organi principali dell’ONU e l’espansione dell’apparato organico dell’Organizzazione. La

dilatazione della cooperazione tecnica non è stata, quindi, il frutto dell’assunzione di nuovi

diritti e obblighi internazionali da parte degli Stati membri74, bensì di un’interpretazione

sempre più estensiva delle disposizioni di capitoli IX e X della Carta75.

1.2 GLI ORGANI PREPOSTI ALLA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO E LE LORO FUNZIONI

Secondo l’art. 60 della Carta dell’ONU, gli organi preposti alla cooperazione economica e

sociale sono l’Assemblea Generale e, sotto la sua direzione, il Consiglio economico e sociale.

Ad entrambi gli organi fanno capo una serie di commissioni e organi sussidiari da essi istituiti

che operano in questo settore. Essi si coordinano, nella loro attività, con quella degli Istituti

71 Ris. AG1995 (XIX) del 30.12.1964. 72 Vedi supra par. II. 73 Marxen, R., “UNCTAD – United Nations Conference on Trade and Development”, in United Nations: law, policies and practice, editor in chief Rudiger Wolfrum, managing editor Christiane Philipp, 1995, p. 1274-1284. 74 Come sarebbe stato se si fosse scelto di creare nuovi istituti specializzati ai sensi dell’articolo 59. 75 Vedi Marchisio, S., La cooperazione per lo sviluppo nel diritto delle Nazioni Unite, op. cit., p. 103.

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Specializzati, organizzazioni internazionali autonome, operanti anch’esse nel campo della

cooperazione economica e sociale. Insieme, danno vita al sistema delle Nazioni Unite76.

L’ECOSOC, la cui composizione77 e funzionamento sono disciplinati dal capitolo X della

Carta, ha il compito di promuovere la cooperazione internazionale nel campo economico e

sociale. Esso rappresenta il principale forum di discussione delle questioni economiche e

sociali internazionali e di consultazione con la società civile; opera attraverso i numerosi

organi sussidiari istituiti sulla base dell’art. 6878.

Al Consiglio si ricollegano anche gli stessi organi sussidiari dell’Assemblea, operanti nel

settore socio-economico, molti dei quali79 devono seguirne le direttive. A sua volta

l’Assemblea, in quanto organo alla cui autorità è sottoposto il Consiglio, può impartire

direttive agli organi sussidiari del Consiglio così come al Consiglio stesso. In definitiva, tutti

gli organi operanti nel settore dello sviluppo possono ritenersi sottoposti gerarchicamente

all’Assemblea e, nel grado immediatamente successivo, al Consiglio economico e sociale.

Il capitolo X delinea le competenze specifiche del Consiglio distinguendo tra competenze

“concorrenti” rispetto a quelle dell’Assemblea, quali le funzioni attribuite al Consiglio

dall’art. 62, ed esclusive o proprie come, ad esempio, le funzioni relative al coordinamento

con gli Istituti Specializzati. Sia le funzioni concorrenti che quelle proprie, necessitano, per la

loro validità, dell’approvazione da parte dell’Assemblea.

1.2.1 La funzione normativa e la funzione di coordinamento dell’Assemblea Generale e del Consiglio economico e sociale

La funzione primaria dell’ONU nel campo della cooperazione economica e sociale è quella

che può definirsi “normativa”, consistente cioè nell’elaborazione di una serie di regole80 al

fine di disciplinare i rapporti tra gli Stati nel settore della cooperazione.

L’Assemblea, sulla base degli articoli 1081 e 13, può intraprendere studi, adottare

dichiarazioni di principi e indirizzare raccomandazioni agli Stati membri allo scopo di

76 Vedi Conforti, B., Le nazioni Unite, op. cit., pp. 234 e ss. 77 Il Consiglio è un organo a composizione ristretta di cui fanno parte 54 membri (art. 61.1), i quali vengono ogni anno rinnovati parzialmente dall’Assemblea Generale dell’ONU, eleggendone 18 membri per un periodo di 3 anni (art. 61.2) in base al principio dell’equa distribuzione geografica. 78Vedi United Nations, un.org. 79 Ad es. UNICEF, UNCTAD, UNDP. 80 Il contenuto di tali “regole” è stato brevemente affrontato nel paragrafo precedente.

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promuovere la cooperazione internazionale economica e sociale. Le competenze così

attribuite all’Assemblea Generale indicano il carattere propulsivo della sua attività e la sua

funzione, tramite le raccomandazioni, di esprimere manifestazioni di desiderio dirette a

condizionare il comportamento degli Stati.

Anche il Consiglio ha il potere di fare raccomandazioni all’Assemblea, agli Stati membri e

agli Istituti Specializzati interessati “with respect to international economic, social, cultural,

educational, health, and related matters”82 e, nello stesso ambito, elaborare progetti di trattati

da sottoporre all’Assemblea83.

Le regole formulate negli “atti normativi” adottati dall’Assemblea e dal Consiglio non hanno

forza obbligatoria, non attribuendo la Carta poteri vincolanti a tali organi. Tuttavia, la

mancanza d’efficacia giuridicamente vincolante di tali atti dell’Organizzazione nel campo

della cooperazione economica e sociale non esclude che essi costituiscono un importante

punto di riferimento per l’attività delle Nazioni Unite e dettano le linee guida per il

comportamento degli Stati membri.

Oltre all’Assemblea e al Consiglio (e ad una serie di Commissioni prevalentemente di studio),

anche la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD)84 ha

svolto finora un ruolo importante nell’esercizio della funzione quasi-normativa per ciò che

concerne la regolamentazione del commercio internazionale85.

Il sistema delle Nazioni Unite è un sistema decentralizzato, composto dagli organi principali,

dalle Commissioni funzionali e regionali, dai fondi e dai programmi istituiti sia

dall’Assemblea che dal Consiglio e dagli Istituti Specializzati, e la sua attività in campo

socio-economico, sempre più ramificata, richiede idonei meccanismi di coordinamento.

L’Assemblea Generale e il Consiglio Economico e Sociale svolgono una fondamentale

funzione di coordinamento nel campo della cooperazione per lo sviluppo: mentre la prima

81 Art. 10: “The General Assembly may discuss any questions or any matters within the scope of the present Charter or relating to the powers and functions of any organs provided for in the present Charter, and, except as provided in Article 12, may make recommendations to the Members of the United Nations or to the Security Council or to both on any such questions or matters”. 82 art. 62.1. 83 art. 62.3. 84 vedi infra par 1.2.2.2. 85 Tale organo, infatti, nel 1971 ha predisposto un sistema generale di preferenze negli scambi commerciali a favore dei PVS (che ha modificato il GATT); concluso una serie di accordi multilaterali su alcuni prodotti di base (accordo sul caucciù del 1979, sul cacao del 1980, sullo stagno del 1981) e contribuito all’elaborazione di codici di condotta poi adottati da conferenze multilaterali (Codice di condotta delle “conferenze marittime”, poi adottato sotto forma di convenzione multilaterale nel 1974; codice sul trasferimento delle tecnologie). Vedi Conforti, B., Le nazioni Unite, op. cit., pp. 234 e ss.

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stabilisce l’indirizzo politico generale, il secondo coordina l’attività del sistema ONU affinché

tali politiche siano implementate.

Tra gli articoli della Carta86 che regolano i meccanismi di coordinamento del sistema ONU,

va innanzitutto esaminato l’art. 1.487che prevede, tra i fini dell’ONU, quello di costituire un

centro per il coordinamento delle attività degli Stati rivolto al raggiungimento degli obiettivi

comuni.

Tuttavia, il gruppo più rilevante di tali norme si trova nei capitoli dedicati alla cooperazione

economica e sociale88. Tra esse, si può distinguere tra norme inerenti all’organizzazione

interna dell’ONU e all’attività esplicata nei confronti degli Stati membri e norme relative ai

meccanismi di coordinamento nei confronti degli Istituti Specializzati89.

Per quanto attiene all’organizzazione interna, l’art. 6090 della Carta, individuando il Consiglio

come organo preposto alla cooperazione economica e sociale, gli attribuisce un ruolo centrale

nella funzione di coordinamento91, sotto la direzione dell’Assemblea Generale92. Nell’ambito

dei rapporti con gli Stati membri, gli art. 62.1 e 2 e 63.2 attribuiscono al Consiglio la facoltà

di raccomandare genericamente nel campo economico e sociale93 e nel settore specifico del

coordinamento94.

86 Artt.17.3, 57.1, 58, 59, 60, 62.1, 63.1-2, 64, 66.2, 70, 91, 96. 87 Art. 1.4: “The Purposes of the United Nations are: (..) to be a centre for harmonizing the actions of nations in the attainment of these common ends”. 88 Ciò deriva dalla separazione operata dalla Carta fra attività dell’ONU nel campo politico e quella nel settore economico e sociale; quest’ultima comprende tutta l’attività, diretta e indiretta, con natura strumentale rispetto al fine principale dell’ente tra cui, quindi, anche l’attività di coordinamento della cooperazione. 89 Vedi Malintoppi, “Istituti specializzati delle Nazioni Unite” in Enciclopedia del diritto, vol XXIII, pp.14-31, Milano, 1973. 90 Art. 60: “Responsibility for the discharge of the functions of the Organization set forth in this Chapter shall be vested in the General Assembly and, under the authority of the General Assembly, in the Economic and Social Council, which shall have for this purpose the powers set forth in Chapter X”. 91 Ad eccezione del compito di esaminare i bilanci degli istituti Specializzati, attribuito direttamente all’AG dall’art.17.3. 92 L’ECOSOC sottopone i suoi rapporti e quelli degli organi sussidiari e degli Istituti Specializzati all’Assemblea, che qui vengono trasmessi alla Seconda Commissione (economica e finanziaria) o alla Terza (sociale, umanitaria e culturale) (Meng, su art 60). 93 Art. 62 (1)e(2): “The Economic and Social Council may make or initiate studies and reports with

respect to international economic, social, cultural, educational, health, and related matters and may make recommendations with respect to any such matters to the General Assembly to the Members of the United Nations, and to the specialized agencies concerned.

It may make recommendations for the purpose of promoting respect for, and observance of, human rights and fundamental freedoms for all. 94 Art. 63.2: “ The Council (..) may co-ordinate the activities of the specialized agencies through consultation with and recommendations to such agencies and through recommendations to the General Assembly and to the Members of the United Nations.

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Per ciò che riguarda il rapporto tra ONU e Istituti Specializzati, il coordinamento è

caratterizzato dalla posizione paritaria dei soggetti. Le norme della Carta, che verranno più

approfonditamente esaminate nel paragrafo successivo, sono solamente principi generali e,

per trovare un’applicazione effettiva, devono essere tradotti negli accordi di collegamento, i

soli idonei a vincolare contemporaneamente l’ONU e gli IS.

È stato da più parti osservato, tuttavia, come i meccanismi di coordinamento dell’ONU

previsti dalla Carta non siano del tutto adeguati alla decentralizzazione funzionale delle

attività dell’ONU, sia per come era stata delineata alle origini ma, soprattutto, per come si è

evoluta nel tempo95. Nella prassi applicativa, infatti, il Consiglio ha progressivamente visto

eroso il proprio peso a favore dell’Assemblea che ha esercitato, da sola o attraverso i suoi

organi sussidiari, funzioni originariamente previste in capo al Consiglio96.

Ad esempio, come si è visto, l’UNDP, organo sussidiario dell’Assemblea, svolge un ruolo

fondamentale nel coordinamento della cooperazione allo sviluppo, soprattutto avendo

riguardo all’assegnazione delle risorse finanziarie e all’esecuzione dei progetti degli Istituti

Specializzati nei singoli paesi attraverso i coordinatori residenti.

Oggi, il coordinamento tra organi principali e sussidiari dell’ONU e Istituti Specializzati è

assicurato dal Committee for Programme and Coordination (CPC)97, a livello

intergovernativo, e dal Chief Executives Board for Coordination (CEB), a livello

amministrativo. Quest’ultimo raggruppa, sotto la presidenza del Segretario generale, i capi dei

fondi, dei programmi, delle istituzioni specializzate dell'ONU e delle organizzazioni legate

all'ONU, con il compito di rafforzare la cooperazione e il coordinamento riguardo a una vasta

gamma di questioni sostanziali e organizzative del sistema ONU98.

95 Dicke, K. “Decentralization” in United Nations: law, policies and practice, editor in chief Rudiger Wolfrum ; managing editor Christiane Philipp, 1995, p. 380-388. 96 Vedi Meng, W., “Economic Co-operation under the UN-System”, op. cit., p. 460. 97 Il CPC è il principale organo sussidiario dell’AG e dell’ECOSOC relativamente alla pianificazione, alla programmazione e al coordinamento. 98 Gli altri due sono l’High Level Committee on Programmes (HLCP) e l’High Level Committee on Management (HLCM); il primo è responsabile del coordinamento delle politiche e delle attività del sistema ONU, in particolare degli IS, anche allo scopo di renderle conformi agli Obiettivi di sviluppo del Millennio eagli orientamenti emersi dalle conferenze dell’ONU; il secondo dell’armonizzazione dell’amministrazione, del personale e dei bilanci. Vedi Saulle, M. R., Istituti specializzati delle Nazioni Unite, op. cit., p. 59.

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Nel 1997 il Segretario Generale dell’ONU ha creato l’United Nations Development Group

(UNDG )99 quale organo di coordinamento di tutti i fondi, programmi, agenzie, dipartimenti e

uffici dell’ONU che operano nel campo dello sviluppo. Tale organo ha il compito di

sovrintendere tutte le attività operative di aiuto allo sviluppo e favorire l’unità d’azione dei

programmi di cooperazione sul campo, con una particolare attenzione al “sistema del

coordinatore residente”.

L’Assemblea supervisiona l’attività dell’UNDG attraverso la sua Seconda Commissione, e in

particolare gli fornisce un formale mandato intergovernativo tramite la “Revisione triennale

delle politiche delle attività operative per lo sviluppo del sistema delle Nazioni Unite"100

(TCPR); il documento costituisce un importante strumento dell’Assemblea per monitorare e

valutare le attività operative dell’ONU e definire regole e modalità di funzionamento e di

coordinamento del sistema delle agenzie101.

Negli ultimi anni sono stati fatti alcuni tentativi di riforma per dare una maggiore coerenza e

un più efficace coordinamento alla cooperazione allo sviluppo nel sistema delle Nazione

Unite, armonizzandone strategie operative e conformandole agli obiettivi di sviluppo emersi

dalle conferenze e dai vertici internazionali102.

1.2.2 Il decentramento delle attività operative per lo sviluppo

Come già sottolineato, l’ONU prevede tra i propri scopi l’attuazione della cooperazione

internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale,

culturale ed umanitario (art. 1.3); per il perseguimento di questo fine, la Carta dell’ONU

traccia le linee essenziali di un sistema imperniato sulla decentralizzazione delle funzioni

relative ai settori specializzati.

99 L’UNDG è uno dei tre pilastri del CEB ed è presieduto dall’Amministratore dell’UNDP; il suo Comitato esecutivo è composto dai 4 fondi e programmi che riferiscono direttamente al Segretario Generale: UNICEF, UNFPA, WFP e UNDP. 100 Triennial Comprehensive Policy Review of operational activities for development of the United Nations system (TCPR). 101 Vedi United Nations Development Group, undg.org. 102 Ad esempio il CCA (Common Country Assessment, Diagnosi comune per paese) e l'UNDAF (United Nations Development Assistance Framework, Quadro per l'assistenza allo sviluppo delle Nazioni Unite), la loro possibile interazione con strategie nazionali di sviluppo e di riduzione della povertà; il "sistema del coordinatore residente" dell'ONU e una serie di meccanismi inter-agenziali di coordinamento, come l'equipe di paese (Country Team) e i gruppi tematici di lavoro.

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A differenza della tendenza centralistica103 della Società delle Nazioni, alla Conferenza di San

Francisco prevalse l’orientamento favorevole ad un decentramento funzionale nei settori

tecnico, economico e sociale104 per il quale l’ONU si sarebbe avvalsa di organizzazioni

internazionali specializzate, preesistenti o di futura creazione, e ne avrebbe supervisionato le

attività attraverso un consiglio economico e sociale105. Su tale scelta, d’altronde, pesava

l’esistenza di un sistema de facto già decentralizzato: infatti, sette autonome organizzazioni

internazionali già esistevano o nascevano contemporaneamente alle Nazioni Unite106.

Un’ importante tappa verso la decentralizzazione delle attività operative si ebbe poi in

conseguenza della ristrutturazione dell’ONU degli anni ’60-’70: con l’ingresso dei PVS

nell’Organizzazione, crebbe la domanda di assistenza tecnica e di nuove soluzioni

organizzative. L’Assemblea, negli anni, ha risposto a queste istanza con la creazione di

programmi, organi sussidiari e nuovi Istituti Specializzati coinvolti nella cooperazione per lo

sviluppo.

In conclusione, come emerso dalle previsioni della Carta e dall’evoluzione della prassi,

mentre l’ONU costituisce la sede decisionale (e di stanziamento dei fondi) della cooperazione

internazionale allo sviluppo, gli Istituti Specializzati e gli organi sussidiari a carattere

operativo sono stati associati in qualità di enti esecutori, allo scopo cioè di eseguire progetti

nei settori di loro competenza; di seguito si analizzano brevemente caratteristiche e funzioni

di tali soggetti.

Gli Istituti Specializzati

103 Quando la Società delle Nazioni venne istituita, operavano circa 20 organizzazioni internazionali con competenza settoriale, le Unioni Amministrative internazionali, con le quali la SdN tentò di creare una cooperazione di tipo centralistico; l’art 24 del Covenant della Società delle Nazioni prevedeva infatti: “There shall be placed under the direction of the League all international bureaux already established by general treaties if the parties to such treaties consent. All such international bureaux and all commissions for the regulation of matters of international interest hereafter constituted shall be placed under the direction of the League. (..)”. Solo 6 organizzazioni si associarono alla SdN, secondo l’art. 24. Il fallimento di questo tentativo direttivo da parte della Società delle Nazioni è il punto di partenza degli sviluppi che porteranno alla scelta operata nella Conferenza di san Francisco a favore della decentralizzazione. Vedi Meng, W., “Economic Co-operation under the UN-System”, op. cit., p. 457. 104 Un precedente significativo della scelta di un sistema decentralizzato può rinvenirsi nella già citata proposta elaborata nel 1939 dalla Commissione Bruce, relativamente alla Società delle Nazioni, di istituire un Comitato Centrale che coordinasse il settore socio-economico. 105 Vedi Saulle, M. R., Istituti specializzati delle Nazioni Unite, op. cit., p. 60. 106 UPU, ILO, FAO, ICAO, IBRD, IMF.

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La nozione di Istituto Specializzato trae origine dall’art. 57107 che attribuisce tale qualifica

alle organizzazioni internazionali che presentino determinate caratteristiche e siano poste in

collegamento con l’ONU mediante gli accordi previsti dall’art. 63108.

Dall’art. 57 si ricavano tali requisiti, in presenza dei quali un’organizzazione internazionale

può acquistare lo status di Istituto Specializzato. Il primo concerne la stessa base normativa

dell’ente: quest’ultimo deve essere costituito mediante un accordo intergovernativo, può

quindi trattarsi sia di unioni di Stati in senso stretto, sia di “Istituti internazionali”, purché

risulti istituito sulla base di un accordo109.

In secondo luogo deve essere un ente con vasti compiti internazionali, nel senso, cioè, che

devono considerarsi esclusi quegli enti che svolgono attività interna agli stati. L’espressione

usata nell’art. 57, inoltre, può anche intendersi come riferita alla sfera d’azione dell’ente che

deve essere potenzialmente universale dal punto di vista geografico.

Il terzo requisito, infine, concerne la sfera di attività dell’ente che deve esplicarsi nei settori

“economico, sociale, culturale, educativo, sanitario e simili”. L’espressione usata, a carattere

meramente esemplificativo, si riferisce al tipo di attività dell’ente che deve essere settoriale,

attinente, quindi, ad un’attività prevalentemente tecnica. Ciò è peraltro in linea con la

vocazione universale dell’ONU intesa come pluralità dei fini che essa intende perseguire,

adeguandosi alle esigenze che di volta in volta emergono110.

La presenza dei requisiti esaminati è condizione necessaria ma non sufficiente perché un ente

diventi un Istituto Specializzato: l’acquisizione di tale qualità giuridica, infatti, non può

derivare da un atto attributivo unilaterale dell’ONU, bensì esclusivamente da un accordo

bilaterale tra l’ente e le Nazioni Unite. La necessità dell’accordo espresso è da ricondursi sia

alla posizione di assoluta parità in cui si trovano i soggetti, sia alla mancanza di situazioni

giuridiche soggettive che incidono sulle loro relazioni prima dell’accordo. È solo dall’accordo

107 Art. 57: “The various specialized agencies, established by intergovernmental agreement and having wide international responsibilities, as defined in their basic instruments, in economic, social, cultural, educational, health, and related fields, shall be brought into relationship with the United Nations in accordance with the provisions of Article 63. Such agencies thus brought into relationship with the United Nations are hereinafter referred to as specialized agencies”. 108 Art. 63.1: “The Economic and Social Council may enter into agreements with any of the agencies referred to in Article 57, defining the terms on which the agency concerned shall be brought into relationship with the United Nations. Such agreements shall be subject to approval by the General Assembly”. 109Sebbene non si possa escludere l’altra ipotesi, in concreto, gli IS esistenti hanno natura di unioni internazionali di Stati in senso stretto. Vedi Malintoppi, A.,“Istituti specializzati delle Nazioni Unite”, op. cit., p. 27. 110 Vedi Saulle, M. R., Istituti specializzati delle Nazioni Unite, op. cit., p. 62.

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di collegamento, infatti, che deriva la titolarità di diritti ed obblighi, reciproci o unilaterali,

dell’ente rispetto all’ONU (in ogni caso non un vincolo di dipendenza dell’Istituto nei

confronti dell’ONU.

L’art. 63.1 individua nel Consiglio economico e sociale l’organo competente a negoziare gli

accordi di collegamento con gli Istituti Specializzati, mentre è l’Assemblea ad approvarli.

L’accordo entra in vigore solo dopo l’approvazione da parte dell’Assemblea Generale e

dell’organo plenario dell’ente.

I singoli accordi, che seguono un modello unitario, hanno come fine specifico quello di

attuare e integrare il sistema di collegamento previsto dalla Carta dell’ONU. Seguono le

norme dedicate al coordinamento tra ONU e IS.

La funzione del coordinamento tra gli Istituti e l’ONU, in quanto attività indiretta e

strumentale nell’ambito della cooperazione economica e sociale, può essere ricondotta negli

obiettivi ex art. 55. Alla norma suddetta è inscindibilmente connesso l’art. 56, il cui obbligo

generico di cooperazione degli Stati, valido per l’attività diretta nel campo economico e

sociale, può pertanto essere esteso anche all’attività indiretta di coordinamento. Dall’art. 56

può, quindi, desumersi un invito agli Stati membri, che la maggior parte delle volte sono

anche membri degli Istituti Specializzati, al coordinamento tra la loro attività svolta in quanto

membri dell’ONU e quella svolta come membri dei singoli Istituti111.

L’art. 58, poi, attribuisce all’Organizzazione il compito di rivolgere raccomandazioni agli IS

ai fini dell’armonizzazione dei rispettivi programmi e delle singole attività; la norma è

un’enunciazione di principio che solo gli accordi di collegamento traducono in un vero e

proprio potere di adottare raccomandazioni. Le stesse considerazioni valgono per il già visto

art. 63.2 che, se pur limitatamente all’ECOSOC, concerne tanto il coordinamento delle attività

degli Stati quanto degli Istituti.

A norma dell’art. 64, invece, il Consiglio può prendere opportune disposizioni per ricevere

rapporti regolari dagli Istituti; sulla base della stessa norma, il Consiglio può negoziare con gli

Stati membri e gli IS accordi speciali al fine di ottenere rapporti sulle misure prese per attuare

le sue raccomandazioni e quelle dell’Assemblea112.

111 L’ONU si è più volte indirizzata ai suoi Stati membri per sollecitare il coordinamento degli stessi in seno agli Istituti Specializzati per ottenere un’azione omogenea e agli Stati per sollecitarli ad adeguarsi a quanto richiesto dai singoli Istituti Specializzati di cui erano membri. Vedi Saulle, M. R., Istituti specializzati delle Nazioni Unite, op. cit., p. 62. 112 The Economic and Social Council may take appropriate steps to obtain regular reports from the specialized agencies. It may make arrangements with the Members of the United Nations and with the specialized agencies to obtain reports on the steps taken to give effect to its own recommendations and to recommendations on matters falling within its competence made by the General Assembly.

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Da quanto detto discende che sia nelle raccomandazioni che nella consultazione sono

individuabili gli strumenti tipici della funzione di coordinamento113, i quali, per il carattere di

consensualità il primo, e di flessibilità il secondo, confermano la reciproca parità nel rapporto

tra ONU e Istituti Specializzati.

Le altre norme inerenti ai rapporti con gli IS interessano principalmente il Consiglio e

prevedono la già osservata competenza nella negoziazione degli accordi di collegamento114; la

possibilità degli IS di partecipare alle sue deliberazioni e a quelle delle commissioni da esso

istituite115; l’esecuzione dei “servizi” ad esso richiesti dagli IS116 .

Nell’attuare ed integrare tale sistema di coordinamento, gli accordi tra ONU e IS prevedono

norme concernenti: lo scambio completo e rapido di informazioni e documenti tra ONU e IS;

l’esame, da parte dell’Assemblea Generale dell’ONU, dei bilanci degli IS (come previsto

dall’art. 17.3); la partecipazione reciproca dell’ONU e degli IS ai rispettivi organi; l’impegno,

da parte degli IS, di sottoporre le raccomandazioni dell’ONU agli organi competenti e fare

rapporti regolari sulle loro attività; gli obblighi degli IS in tema di assistenza ad organi

dell’ONU; la riscossione, da parte dell’ONU, dei contributi dovuti agli IS dagli Stati; la

facoltà dell’ONU di effettuare studi rivolti a istituire servizi comuni; il coordinamento degli

organi periferici degli IS117.

Ad oggi gli Istituti Specializzati dell’ONU118 sono numerosi e operanti nei più disparati

settori, ben oltre quelli elencati dall’art. 57, a conferma della continua evoluzione delle

esigenze che la comunità internazionale è chiamata ad affrontare. Il prossimo capitolo è in

parte dedicato all’esame di un singolo Istituto Specializzato, l’Organizzazione delle Nazioni

Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO).

It may communicate its observations on these reports to the General Assembly. 113 Ma anche organi speciali creati per il coordinamento. 114 Art.63.(1) 115 Art. 70 116 Art. 66.(2) 117 Vedi Malintoppi, A.,“Istituti specializzati delle Nazioni Unite”, op. cit., p. 30. 118 ILO (International Labour Organization), FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations), UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization), WHO (World Health Organization) World Bank Group (IBRD - International Bank for Reconstruction and Development, IDA - International Development Association, IFC - International Finance Corporation, MIGA -Multilateral Investment Guarantee Agency. ICSID - International Centre for Settlement of Investment Disputes, IMF - International Monetary Fund); ICAO (International Civil Aviation Organization); IMO (International Maritime Organization); ITU (International Telecommunication Union); UPU (Universal Postal Union); WMO (World Meteorological Organization); WIPO (World Intellectual Property Organization); IFAD (International Fund for Agricultural Development); UNIDO (United Nations Industrial Development Organization); UNWTO (World Tourism Organization); IAEA (International Atomic Energy Agency).

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Gli organi sussidiari

L’art. 7.2119 della Carta dell’ONU attribuisce agli organi principali delle Nazioni Unite

(Assemblea generale120e Consiglio di Sicurezza121) il potere di istituire gli organi sussidiari

necessari per l’adempimento delle loro funzioni. L’art. 68, infine, prevede che anche il

Consiglio economico e sociale122 possa istituire commissioni per il medesimo scopo.

Tralasciando il Consiglio di sicurezza, le cui competenze trascendono l’ambito della

cooperazione, sembra utile approfondire natura e funzioni degli organi sussidiari

dell’Assemblea generale e del Consiglio economico e sociale, alla luce dei principi della

Carta e della prassi applicativa.

L’art. 22 pone due limiti all’esercizio del potere di istituire organi sussidiari. Innanzitutto, le

funzioni attribuite a tali organi devono rientrare nella sfera delle competenze dell’Assemblea;

in secondo luogo, devono presentare carattere “necessario”, elemento la cui valutazione è

rimessa alla stessa Assemblea.

L’art. 22 è il fondamento giuridico della complessa struttura creata negli anni dall’Assemblea

generale. A parte le sei grandi commissioni in cui si articola, essa ha istituito un elevatissimo

numero di organi sussidiari molto diversificati tra loro e, per questo, difficilmente

classificabili. Essi si possono distinguere sulla base della loro composizione (stato o

individui) e della struttura organizzativa, del carattere permanente o temporaneo, del grado di

indipendenza di cui godono, delle modalità con cui vengono nominati o estinti, delle funzioni

ad essi affidate e dei settori in cui operano.

Sebbene alcuni organi sussidiari abbiano raggiunto un notevole grado di autonomia, il loro

status giuridico è, ad ogni modo, caratterizzato dalla subordinazione all’Assemblea generale.

Essa può controllare la loro attività, determinare o modificare composizione, mandato e

regolamento interno degli stessi o addirittura estinguerli in qualsiasi momento123.

119 “Such subsidiary organs as may be found necessary may be established in accordance with the present Charter”. 120 Art. 22: “The General Assembly may establish such subsidiary organs as it deems necessary for the performance of its functions”. 121 Art. 29: “The Security Council may establish such subsidiary organs as it deems necessary for the performance of its functions”. 122 Art. 68: “The Economic and Social Council shall set up commissions in economic and social fields and for the promotion of human rights, and such other commissions as may be required for the performance of its functions”. 123 Tomuschat, C. (1995) General Assembly in United Nations: law, policies and practice, editor in chief Rudiger Wolfrum ; managing editor Christiane Philipp, p. 548-550.

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Tra tutti i tipi di organi sussidiari, assumono particolare rilievo quelli dotati di autonomia

funzionale e operativa124, creati dall’Assemblea per perseguire le finalità della cooperazione

economica e sociale. Tali organi, definibili quasi-autonomous bodies125, godono di una

personalità giuridica ridotta che si sostanzia, ad esempio, nella competenza a concludere

accordi con gli Stati beneficiari o stipulare i contratti necessari all’adempimento dei loro

compiti.

Le funzioni loro attribuite, purché comprese nella sfera di competenza dell’Assemblea,

possono andare dall’elaborazione di principi, regole e programmi (come ad esempio nel caso

dell’UNCITRAL126, dell’UNCTAD e dell’UNEP); al finanziamento di progetti di soccorso o

sviluppo (UNCDF e UNFPA, UNDP); all’esecuzione diretta di attività operative (UNICEF e

WFP)127.

La proliferazione degli organi sussidiari dell’Assemblea generale, verso la fine degli anni

settanta, era giunta ad un livello tale da rendere sempre più pressante l’esigenza di una

riforma organizzativa dell’ONU. L’attuale fase di riforma dell’area operativa delle Nazioni

Unite è iniziata con il Rapporto Bertrand (1985) e proseguita con una serie di proposte dirette

a migliorare l’efficienza e coerenza dell’intero sistema, partendo dalla razionalizzazione della

rete degli organi sussidiari e dal loro coordinamento per evitare inutili sovrapposizioni.

Dal Consiglio economico e sociale dipendono una serie di organi sussidiari creati sulla base

dell’art. 68 della Carta, che autorizza il Consiglio a istituire “commissioni per le questioni

economiche e sociali e per promuovere i diritti dell'uomo, nonché quelle altre commissioni

che possono essere richieste per l'adempimento delle sue funzioni”. La rete di organi che

trovano fondamento giuridico in tale norma si compone delle commissioni funzionali, delle

commissioni economiche regionali, dei comitati permanenti e da quelli composti di esperti.

Le Commissioni economiche regionali sono cinque e sono state create sotto l’impulso

dell’Assemblea, che fin dalla prima sessione, ne chiese l’istituzione per contribuire alla

124 Possono farsi rientrare in questa definizione i seguenti organi sussidiari: UN Children’s Fund (UNICEF), UN Development Programme (UNDP), UN Population Fund (UNFPA), UN Environment Programme (UNEP), Office for the UN High Commissioner for Refugees (UNHCR), UN Conference on Trade and Development (UNCTAD), UN Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East (UNRWA), UN University (UNU), UN Institute for disarmamene Research (UNIDIR), UN Institute for Training and Research (UNITAR), UN Development Fund for Women (UNIFEM), World food Programme (WFP). 125 Vedi Hilf e Khan, “Article 22” in The Charter of the United Nations: a commentary, ed. By Bruno Simma with Hermann Mosler et al., Oxford, Oxford University Press, 2002, pp. 421 e ss. 126 United Nations Commission on International Trade Law. 127 Vedi Hilf e Khan, “Article 22” , op. cit., p. 424.

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ricostruzione dei Paesi distrutti dalla guerra. Sono gli unici organi delle Nazioni Unite che,

oltre ad avere una composizione su base regionale, funzionano a livello decentrato nella

regione geografica di competenza. Essi, tuttavia, non svolgono attività operative dirette,

piuttosto ricoprono un ruolo di coordinamento delle politiche degli Stati di appartenenza,

adottano raccomandazioni e intraprendono azioni di studio e documentazione.

Le commissioni funzionali sono organi intergovernativi operanti in diversi settori che

rientrano nelle competenze del Consiglio economico e sociale, quali ad esempio sviluppo

sociale, condizione della donna, diritti umani, prevenzione del crimine; tra queste, assume

particolare rilievo la Commissione per lo sviluppo sostenibile la quale, creata su impulso

dell’UNCED e composta da 55 membri scelti sulla base dell’equa distribuzione geografica tra

gli Stati membri dell’ONU e degli Istituti Specializzati, definisce le priorità d’azione delle

Nazioni Unite tra quelle individuate dall’Agenda 21.

Dei comitati permanenti, si è già accennato al ruolo rivestito dal Committee for Programme

and Coordination (CPC) nel coordinamento, nella pianificazione e nella programmazione nel

campo della cooperazione economica e sociale; esso collabora con l’Advisory Committee on

Administrative and Budgetary Questions (ACABQ), organo sussidiario dell’Assemblea

generale responsabile dell’esame dei bilanci dell’ONU e degli Istituti Specializzati, e con la

Joint Inspection Unit (JIU), agenzia creata nel 1966 dall’Assemblea Generale e dotata di ampi

poteri investigativi relativamente all’efficienza interna e l’utilizzo dei fondi

dell’Organizzazione128.

Infine, si è già osservata la competenza attribuita al Consiglio dall’art 66.2 in merito

all’esecuzione di “servizi”, vale a dire attività materiali, richiesti dagli Stati membri e dagli

Istituti Specializzati. Questa norma, infatti, costituisce il fondamento giuridico di molte delle

attività operative che l’ONU ha iniziato ad espletare sin dalle sue origini dirette allo sviluppo

dei Paesi meno avanzati, come l’UNRWA o l’UNICEF.

Tuttavia nella prassi, i programmi operativi in campo economico e sociale sono stati istituiti,

nella maggior parte dei casi, dall’Assemblea Generale mediante proprie decisioni; si è, infatti,

determinata una sorta di revisione tacita dell’art. 66.2 nel senso che l’Assemblea ha finito per

esercitare come propria la competenza di eseguire servizi.

D’altronde la Carta nulla dice rispetto ai mezzi e alle modalità delle attività operative e nella

prassi, che è stata determinante in proposito, l’ONU si è atteggiata, in misura crescente, a

strumento di attività interna degli stati attraverso lo sviluppo del suo apparato organico.

128 Vedi Lagoni, R., “ECOSOC – Economic and Social Council”, in United Nations: law, policies and practice, editor in chief Rudiger Wolfrum, managing editor Christiane Philipp, 1995, p.465-470.

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CAPITOLO 2

IL SISTEMA DELLE NAZIONI UNITE NEL SETTORE AGROALIMENTARE: IL POLO AGRO-ALIMENTARE

2.1 IL SISTEMA DELLE NAZIONI UNITE NEL SETTORE AGROALIMENTARE

Concluso l’esame della cooperazione internazionale economica e sociale nel sistema delle Nazioni

Unite, in questo capitolo l’analisi si restringe su un settore specifico di tale cooperazione, il settore

agro-alimentare.

Oggi la comunità internazionale sembra aver raggiunto la consapevolezza che il circolo vizioso della

povertà estrema non può spezzarsi se non trovando una soluzione al problema della fame nel mondo,

che a sua volta presuppone il miglioramento della condizione della popolazione rurale e investimenti

mirati nel settore agricolo.

Il concetto di “sviluppo” ha subito negli anni profonde trasformazioni, grazie soprattutto alle voci dei

nuovi paesi decolonizzati che si sono imposte nel dibattito internazionale. Se fino agli anni settanta lo

sviluppo era inteso come mera crescita economica sul modello dei paesi industrializzati

dell’Occidente, nel tempo tale concetto si è arricchito della dimensione sociale, culturale e ambientale,

ormai ritenute sue componenti imprescindibili.

La cooperazione allo sviluppo, in particolare nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite, si è adattata

e trasformata: oggi la comunità internazionale è, almeno sulla carta, impegnata a realizzare gli

Obiettivi del Millennio, il primo dei quali è dimezzare la povertà assoluta e la fame nel mondo entro il

2015.

L’approccio multi-dimensionale dello sviluppo ha imposto un ripensamento anche alla cooperazione

internazionale agro-alimentare. Se, da una parte, il modello di sviluppo del passato comportava grandi

investimenti infra-strutturali dall’esterno e privilegiava il settore industriale, dall’altra riduceva

l’impegno internazionale alla lotta contro la fame nel mondo all’assistenza alimentare bilaterale, un

modo di smaltire le eccedenze agricole dei Paesi produttori e di ottenere vantaggi economici allo

stesso tempo.

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Il modello di crescita economica “suggerito” ai PVS ha spesso comportato, infatti, il sacrificio del

settore rurale, il degrado dei redditi degli agricoltori e l’assenza di politiche agricole e interventi di

sostegno nel settore. I costi sociali sempre più alti, la marginalizzazione crescente di ampie fasce della

società e le crisi alimentari susseguitesi dagli anni settanta in poi hanno condotto a nuove politiche e

strategie dello sviluppo dei paesi più arretrati; in particolare, gli aiuti alimentari sono stati

gradualmente riformulati allo scopo di contribuire al raggiungimento della sovranità alimentare, ossia

di creare un sistema produttivo locale piuttosto che ad accrescere la dipendenza dei PVS dall’esterno.

Dalla prima Conferenza mondiale sull’alimentazione del 1974 ad oggi, il settore agro-alimentare ha

attirato un’attenzione crescente da parte della comunità internazionale, accompagnata alla

consapevolezza che dal settore agricolo e dallo sviluppo rurale dipendono le condizioni di vita di

milioni di persone nel mondo. Secondo le stime del 2008 della FAO, infatti, il 75% della popolazione

affamata del pianeta, 963 milioni di persone, vive in aree rurali e dipende dalla possibilità di accedere

alla terra e alle altre risorse naturali per la propria sopravvivenza.

Nuovi programmi, summit internazionali e dichiarazioni di principi hanno caratterizzato l’attività

dell’ONU e dei suoi Stati membri negli ultimi decenni, creando strumenti più o meno efficaci ma ad

ogni modo contribuendo all’evoluzione del dibattito in materia, a tenere alta l’attenzione dell’opinione

pubblica mondiale sul problema della fame e, in molti casi, ad ottenere alcuni risultati. All’interno di

questa galassia di iniziative sponsorizzate dalle Nazioni Unite, l’attenzione di questa ricerca si

concentra principalmente sul cosiddetto Polo agro-alimentare dell’ONU, costituito da due Istituti

Specializzati, (Food Agriculture Organization - FAO e International Fund for Agriculture

Development - IFAD) e un peculiare organo sussidiario comune a ONU e FAO (World Food

Programme - WFP). Tutte e tre queste agenzie, con sede a Roma, sono proiettate su scala globale,

ognuna con un mandato specifico e complementare agli altri, all’interno di una strategia sempre più

omogenea e multi-dimensionale per combattere la fame e la povertà.

2.1.1 L’evoluzione della cooperazione agroalimentare internazionale

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La prima forma di cooperazione intergovernativa nel settore agro-alimentare risale agli inizi del XX

secolo, quando venne creato l’Istituto Internazionale di Agricoltura, sotto il patrocinio di Vittorio

Emanuele III, sulla base di una proposta dell’americano David Lubin1.

Il Re d’Italia convocò a Roma una conferenza diplomatica nell’ambito della quale venne firmato, il 7

giugno 1905, la Convenzione istitutiva dell'Istituto Internazionale di Agricoltura (IIA). L'Istituto, in

funzione dal 1908, ridimensionato rispetto alle proposte iniziali, risultò essere un’unione

amministrativa internazionale con compiti prevalentemente di studio e raccolta dati2. Ogni iniziativa,

infatti, si scontrava con il dominio riservato, previsto dalla Convenzione di Roma, nelle questioni

relative agli interessi economici, le legislazioni e le amministrazioni degli Stati3.

Non si registrano altre forme di cooperazione agro-alimentare nel periodo compreso tra le due guerre:

né il Patto della Società delle Nazioni, né lo Statuto dell’Organizzazione internazionale del lavoro,

infatti, contengono alcun riferimento all’agricoltura.

La crisi generalizzata del ’29, tuttavia, ebbe alcune conseguenze. La sovrapproduzione e il crollo dei

prezzi dei prodotti agricoli, nel quadro della profonda crisi finanziaria ed economica globale,

condussero ad un ripensamento delle politiche governative nel settore agricolo, in particolare da parte

dei governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, che ne tentarono una correzione in senso

protezionistico e perseguirono una stabilizzazione dei prezzi dei prodotti di base4.

Un'altra novità ebbe luogo nella Società delle Nazioni, nel cui ambito la competenza della sezione

dedicata alla sanità fu esteso ai problemi della nutrizione. Un gruppo di nutrizionisti contribuì

all’elaborazione di innovative ricerche sull’importanza dell’alimentazione nel miglioramento delle

condizioni della vita dell’uomo; iniziava così il cosiddetto “matrimonio rivoluzionario” tra agricoltura

e sanità.

Gli specialisti della Società ebbero un ruolo decisivo anche negli sviluppi istituzionali successivi: la

loro proposta di creare una nuova organizzazione intergovernativa, infatti, venne accolta dal presidente

1All'epoca, l'agricoltura negli Stati Uniti era caratterizzata da una notevole variabilità negli andamenti della produzione, con frequenti fasi di produzione "in eccesso" che, secondo Lubin, una volta saturate le richieste della zona, poteva essere incanalata altrove. 2 Secondo la proposta originaria di Lubin, si sarebbe dovuto trattare di una Commissione internazionale del commercio, un organismo di coordinamento della produzione e della distribuzione a carattere internazionale, in grado di superare i particolarismi e le tentazioni protezionistiche e con competenze di gestione dei mercati internazionali dei prodotti agricoli. L’Istituzione avrebbe avuto carattere “rivoluzionario” nel sistema internazionale. 3 Va ad ogni modo riconosciuta l’importanza, nell’evoluzione della cooperazione internazionale, dell’attività dell’istituto e delle sue iniziative; ad esempio, nel 1930 l'IIA curò il primo "censimento agricolo mondiale", prevedendone la cadenza decennale - una tradizione che verrà poi ripresa dalla FAO. 4 Nel 1931, con l’Agricoltural Marketing Act, la Gran Bretagna abbandonava il libero scambio in agricoltura per arginare la concorrenza straniera, mentre negli Stati Uniti, le politiche de New deal prevedevano massicci sovvenzioni per l’esportazione dei prodotti agricoli. Inoltre, nel 1933, venne firmato il primo Accordo internazionale sul grano. Vedi Di Blase, A. e Marchisio S., L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), Milano, Angeli, 1992, p. 24.

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americano Roosevelt, il quale si fece promotore di una Conferenza delle Nazioni Unite

sull’alimentazione e l’agricoltura a Hot Springs5. Gli Stati partecipanti convenirono sull’importanza di

aumentare la produzione agricola mondiale e crearono una commissione provvisoria di 48 Stati con il

compito di elaborare lo Statuto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e

l’agricoltura.

Nella conferenza di Hot Springs vengono tracciati i contorni della futura organizzazione che, per una

consapevole scelta degli stati fondatori, risultava avere competenze molto estese con riferimento alle

materie (alimentazione, silvicoltura, pesca, statistiche), ma ridotti poteri effettivi di intervento sui

mercati mondiali6.

Terminati i lavori della commissione provvisoria, l’atto istitutivo venne firmato nell’ambito della

prima Conferenza della FAO convocata a Quebec il 16 ottobre 1945: nasceva così l’Organizzazione

delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura.

Dalla FAO alla nascita del Polo agroalimentare

Nel primo periodo di funzionamento della FAO, i risultati più concreti della sua attività possono

individuarsi nell’elaborazione di principi relativi allo smaltimento delle eccedenze7 e nella

partecipazione ai programmi di assistenza tecnica delle Nazioni Unite. Dalla sua origine fino al 1976,

anno di istituzione di un proprio programma di cooperazione tecnica (TCP), infatti, la FAO è il

principale esecutore dei programmi di assistenza tecnica dell’ONU (EPTA, FS, UNDP8).

Nel quadro della concezione dominante secondo la quale lo sviluppo agricolo si otteneva mediante

massicci investimenti di capitale, trasferimento di tecnologia e di know-how ai PVS, il compito

principale della FAO consisteva nello sviluppo di tecniche e tecnologie nella sede centrale che poi,

5 La conferenza si tenne a Hot Springs, in Virginia, dal 16 maggio al 3 giugno del 1943. 6 Già dal secondo dopoguerra la dipendenza alimentare dei Paesi più sfavoriti dai paesi produttori dell’Occidente è tale per cui le contrapposte esigenze in campo si riflettono nelle diverse visioni della futura FAO: da un parte, vi è la visione di un’organizzazione operativa in grado di far fronte alle crisi alimentari e al sottosviluppo agricolo, promuovendo la produzione agricola e programmando la cooperazione internazionale a lungo termine; dall’altra, l’atteggiamento degli Stati produttori teso a ridimensionare il ruolo della FAO a organismo di semplice studio. Vedi Shaw, D. J., World food security. A history since 1945, Basingstoke and New York, Palgrave MacMillan, 2007, pp. 3 e ss. 7 La Conferenza della FAO, con la ris. 14/53, raccomandava, in linea con la dominante concezione liberoscambista, il principio dello smaltimento “ordinato” delle eccedenze da parte degli Stati membri per evitare pressioni sul mercato e la caduta dei prezzi dei prodotti agricoli. La Conferenza, inoltre, incaricava di elaborare principi che regolassero il fenomeno la Commissione dei prodotti la quale, nel 1957, si trasformava in Comitato sui problemi dei prodotti di base, con un sottocomitato ad hoc per lo smaltimento delle eccedenze. Vedi Di Blase, A. e Marchisio S., L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), op. cit., pp. 42 e ss. 8 Vedi supra, primo cap.

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attraverso i suoi esperti, venivano trasferiti ai paesi beneficiari. L’attività dell’Organizzazione si

concentrava dunque in settori pratici quali l’assistenza tecnica, la formazione e la diffusione di

conoscenze, evitando settori più politicamente “sensibili”, quali le politiche agricole nazionali, che

avrebbero sollevato le resistenze degli Stati industrializzati9. Fino alla metà degli anni settanta l’attività

della FAO mantiene questo carattere tecnico e depoliticizzato, anche grazie all’assenza dell’Unione

Sovietica e al ruolo di forum neutrale che gli Stati usciti dalla decolonizzazione, entrati in massa negli

anni sessanta, vogliono conferire all’Organizzazione 10.

Gli anni sessanta sono l’età dei surplus dei mercati interni nei paesi industrializzati e delle “politiche

d’aiuto” bilaterali nei confronti dei PVS, che si rivelano soprattutto vantaggiose per i paesi ricchi11. I

canali di scambio bilaterali dei prodotti agro-alimentari erano preferiti dagli Stati rispetto ad un

rafforzamento della FAO e, per quanto riguarda le insufficienze alimentari, l’Organizzazione non era

stata dotata degli strumenti necessari per fronteggiarle, limitandosi a coordinare i paesi fornitori di

stock alimentari ai PVS. Tuttavia, è proprio a questi anni che risalgono l’inizio del dibattito sul ruolo

della FAO di fronte alle emergenze alimentari e le prime spinte verso l’adozione di una nuova food aid

policy, che porteranno di lì a poco alla creazione del World Food Programme (WFP).

Con il rapporto I prodotti alimentari al servizio dello sviluppo; un sistema di utilizzazione delle

eccedenze12, il Direttore Generale della FAO Sen riconosceva il carattere transitorio dell’assistenza

alimentare rispetto ai progetti di sviluppo a lungo termine e, ad ogni modo, la necessità che la FAO

svolgesse un ruolo non solo di coordinatore degli aiuti bilaterali, ma soprattutto di principale

responsabile dell’esecuzione di un nuovo programma multilaterale di aiuti. Il problema

dell’alimentazione veniva posto in una nuova prospettiva, nel senso che diveniva una questione

concernente la condizione umana e non più esclusivamente ridotta alla produzione agricola.

La maggioranza degli Stati membri del Consiglio era favorevole alla proposta di Sen ma gli Stati

Uniti, che già in passato si erano opposti alle precedenti proposte di creare una riserva alimentare

mondiale per far fronte alle crisi13, presentarono una contro-proposta per la realizzazione del

9 Vedi Di Blase, A. e Marchisio S., L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), op. cit., pp. 52 e ss. 10 A differenza di quanto avveniva in altri organismi dell’ONU, come ad esempio l’ UNCTAD, spesso usati come “casse di risonanza” delle istanze politiche dei PVS e caratterizzati dall’ideologizzazione Nord-Sud. 11 Gli aiuti alimentari bilaterali, infatti, favorivano da una parte l’aumento della produzione interna agricola nei paesi industrializzati, dall’altra, l’accesso facilitato al mercato delle materie prime ed energetiche a basso costo dei PVS. Vedi Buonomo, V., Un programma contro la fame: il fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, Roma, Città nuova, 1988, p. 26 e ss. 12 Doc. 61/17 presentato all’undicesima sessione della Conferenza, 4-24 novembre 1961 in Di Blase, A. e Marchisio S., L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), op. cit., p. 72. 13 La proposta di John Byod Orr, primo Direttore Generale della FAO, nel 1946, di dotare l’Organizzazione di un Ufficio alimentare mondiale allo scopo di stabilizzare i prezzi dei prodotti agricoli sul mercato mondiale e gestire una riserva mondiale per far fronte alle carestie alimentari, incontrò l’opposizione dei governi statunitense e inglese. La Conferenza della FAO proponeva, nel 1951, la costituzione di una riserva alimentare

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programma che essenzialmente ridimensionava la portata innovativa di quella del Direttore della

FAO14. Sulla base del progetto di Sen, con due risoluzioni parallele della FAO e dell’ONU, ossia la ris.

1/61 del Conferenza della FAO, approvata dall’Assemblea generale dell’ONU con ris. 1714 (XVI) del

19 dicembre 1961, nasceva il World Food Programme (WFP)15, un programma di aiuti alimentari

d’urgenza fondato sulla disponibilità delle eccedenze dei prodotti agricoli, inizialmente concepito

come transitorio e complementare rispetto agli altri programmi di cooperazione allo sviluppo del

sistema ONU.

Dall’età delle eccedenze dei prodotti agricoli di base si passava ad una fase in cui gli stock mondiali

iniziarono a scarseggiare, allorché si verificò, negli anni 1972-74, la più grave crisi agro-alimentare del

secondo dopoguerra, in particolare nella regione africana saheliano-sudanese. A fronte della nuova

situazione, la FAO lanciava, senza tuttavia raccogliere le adesioni sperate, il progetto di Intesa

internazionale sulla sicurezza alimentare mondiale16, mentre iniziavano i lavori preparatori della

Conferenza mondiale sull’alimentazione, sotto gli auspici delle Nazioni Unite.

Gli esiti della Conferenza del 1974, da collocare peraltro nel più ampio quadro delle iniziative

formulate dall’ONU negli anni settanta sui problemi dello sviluppo, mettono in luce il rischio di

marginalizzazione della FAO a favore di organismi e soluzioni parallele. Dalla Conferenza nascono,

infatti, il Consiglio mondiale dell’alimentazione (WFC), organo di collegamento delle politiche delle

Nazioni Unite per i settori agricolo e alimentare, e il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo

internazionale, sollevando ancora una volta l’opposizione degli USA che, nel 1954, diedero vita ad un sistema di aiuti alimentari bilaterale per la gestione delle proprie eccedenze cerealicole. Vedi Di Blase, A. e Marchisio S., L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), op. cit., pp. 32 e ss. 14 All’inizio del 1961 il Presidente Kennedy aveva istituito, allo scopo di gestire gli aiuti alimentari bilaterali, il “Food for Peace office” alla Casa Bianca con McGovern direttore. Quest’ultimo, a capo della delegazione americana, presentava pochi mesi dopo alla Conferenza della FAO, la proposta per la realizzazione del WFP: nonostante l’estensione evocata dallo slogan “Food for Peace”, la proposta degli Stati Uniti auspicava un coinvolgimento della FAO esclusivamente come intermediaria dei suoi interventi di aiuti bilaterali. Il Programma alimentare così concepito prevedeva un’unità amministrativa subordinata al Direttore Generale della FAO e un organo consultivo subordinato a Conferenza e Consiglio. Vedi Shaw, D.J., The UN World Food Programme and the development of food aid, Basingstoke and New York, Palgrave MacMillan, 2001, p. 32 e ss. 15 Vedi infra paragrafo sul profilo istituzionale e attività del WFP. 16 Secondo il progetto di accordo, proposto dal Direttore Generale nel 1973, gli Stati firmatari si sarebbero impegnati a cooperare per assicurare in ogni momento approvvigionamenti mondiali di cereali sufficienti ad attenuare la fluttuazione della produzione e dei prezzi, ad adottare misure nazionali ed internazionali per accrescere la produzione alimentare, ad offrire a condizioni ragionevoli le eccedenze disponibili all’esportazione nei periodi di scarsità alimentare. Il progetto era approvato dalla Conferenza della FAO nel novembre 1973 e sottoposto all’esame di un gruppo di lavoro ad hoc, composto da 45 Stati membri, osservatori della CEE e da sei organizzazioni intergovernative. Il rapporto del gruppo, inviato a tutti gli Stati membri della FAO e dell’ONU, veniva esaminato dal Comitato dei prodotti nell’ottobre 1974. L’accordo non sarebbe stato vincolante ma piuttosto una promessa basata sulla buona fede (come d’altronde era avvenuto per i principi sullo smaltimento delle eccedenze raccomandati dalla FAO). Vedi Di Blase, A. e Marchisio S., L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), op. cit., pp. 96 e ss.

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(IFAD), istituzione finanziaria con status di Istituto Specializzato delle Nazioni Unite, con il mandato

di eliminare la povertà e la fame nelle aree rurali dei paesi in via di sviluppo17.

La FAO attraversava dunque una crisi di adattamento, provocata dall'emergere delle priorità dello

sviluppo e del nuovo ordine economico internazionale, da cui è scaturita una fase definita di

«rifondazione», durante la quale l'Organizzazione ha riformulato i suoi obiettivi ed ampliato la gamma

degli strumenti a sua disposizione per contribuire all'eliminazione della fame e della malnutrizione nel

mondo. Per quanto riguarda il profilo interno, la riforma si è sostanziata nell’istituzione di un proprio

programma di cooperazione tecnica, un maggiore decentramento dell’Organizzazione mediante

l’istituzione di rappresentanti nei PVS e un riorientamento delle risorse verso le attività operative.

Per quanto riguarda la cooperazione agro-alimentare del sistema ONU, la FAO ha ad ogni modo svolto

un ruolo di primo piano nella sua evoluzione contribuendo con iniziative quali la Conferenza mondiale

sulla riforma agraria e lo sviluppo rurale del 197918, la Conferenza mondiale sulla gestione e lo

sviluppo della pesca del 1984, l'adozione del Patto sulla sicurezza alimentare mondiale nel 1985, la

Conferenza internazionale sulla nutrizione del 1992.

Anche gli obiettivi della FAO si sono trasformati nel tempo e sono giunti ad identificarsi nella

sicurezza alimentare, nella riforma agraria e nello sviluppo agricolo e rurale sostenibile. La sicurezza

alimentare, che significa assicurare, a tutti e in ogni momento, l’accesso materiale ed economico agli

alimenti di base indispensabili, diventa responsabilità dell’umanità con il Patto mondiale della

sicurezza alimentare del 1985. In questo quadro, l’aumento della produzione agricola diventa

funzionale alla sicurezza alimentare, ossia inteso come mezzo per realizzare la sufficienza alimentare

di base.

Gli altri due obiettivi si riferiscono invece ad una concezione dello sviluppo agricolo e rurale in cui

assumono rilevanza il fattore umano, e dunque la partecipazione delle masse rurali al proprio processo

di autodeterminazione, e il fattore nazionale, nel senso di pianificazione dello sviluppo, e quindi delle

tecnologie e dei progetti da applicare, a partire dalle esigenze di ogni Paese beneficiario. La FAO

promuove, infatti, un modello di sviluppo rurale e di riforma agraria che integra i due obiettivi

17 Vedi infra, paragrafo ‘il profilo istituzionale dell’IFAD’. 18 La Conferenza mondiale sulla riforma agraria e lo sviluppo rurale del 1979, nell’ambito della quale venne adottata la “Carta del contadino”, ha costituito un importante tentativo di coordinare a livello internazionale le politiche per lo sviluppo rurale e di stabilire una serie di impegni per gli Stati circa l’adozione di concrete misure per favorire dei processi di riforma agraria. Il Piano d’Azione approvato dalla Conferenza del 1979, tuttavia, pur rappresentando un’iniziativa di grande respiro, non ha trovato negli anni successivi un’adeguata traduzione in termini operativi da parte degli Stati firmatari.

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dell’accrescimento della produzione e dell’integrazione sociale anche se, trattandosi di una materia

sensibile di politica interna, ha spesso incontrato forti resistenze degli Stati interessati19.

In tal modo, il campo d’azione della FAO ha finito per ampliarsi rispetto alle intenzioni originarie e

tutta la sua attività ruota oggi intorno all’idea, integrativa degli obiettivi dell’Atto istitutivo, per cui lo

sviluppo è un processo di autodeterminazione nazionale e individuale, condizionato dalla giustizia

economica e sociale.

Siffatta evoluzione interna della FAO si è altresì intrecciata a quella parallela degli altri due enti che

oggi costituiscono il Polo agro-alimentare: l’IFAD e il WFP. Essi, infatti, crescendo nel tempo nei

rispettivi settori di attività, hanno ben presto “imposto” alla FAO una maggiore apertura e adattamento

della propria politica e azione. Benché negli anni non siano mancati spunti di incomprensione dovuti

alla non sempre chiara divisione dei compiti, le visioni strategiche della FAO, dell’IFAD e del WFP si

sono gradualmente integrate, essendo questi tre enti del sistema ONU attivi, benché con mandati

diversi, nello stesso settore di cooperazione internazionale agro-alimentare. I rapporti tra i soggetti del

Polo si sono trasformati, in particolare quello tra FAO e WFP, dove quest’ultimo ha acquisito una

crescente autonomia rispetto alle Organizzazioni da cui promana.

L’analisi prosegue attraverso un esame dei principi guida della cooperazione agro-alimentare, come

elaborati nel tempo dal Polo all’interno del più ampio quadro dell’evoluzione della cooperazione allo

sviluppo del sistema ONU, e che oggi ne indirizzano l’azione; si traccia poi un’analisi dei profili

istituzionali e delle attività di FAO, IFAD e, in particolare, WFP allo scopo di distinguerne i rispettivi

mandati, strutture e attività; si conclude con un’indagine delle attività congiunte del Polo agro-

alimentare.

Il diritto all’alimentazione e la sicurezza alimentare

La nuova concezione dello sviluppo, espressa nel testo del primo decennio dell’ONU per lo sviluppo

del 196120, che riconosce l’importanza anche dei fattori umani, sociali e istituzionali nel processo di

crescita economica, si specifica, in tema agro-alimentare, nel diritto all’alimentazione e alla libertà

dalla fame sancito nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali.

L’art. 11 del Patto adottato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite 196621, infatti, riconosce il

diritto ad un’alimentazione adeguata come parte del diritto ad un adeguato tenore di vita e accorda al

19 Vedi Di Blase, A. e Marchisio S., L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), op. cit., pp. 113 e ss. 20 Vedi supra par. sulle regole della cooperazione, primo cap. 21 Art. 11: “1. Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo a un livello di vita adeguato per sé e per la propria famiglia, che includa alimentazione, vestiario ed alloggio adeguati, nonché il miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita. Gli Stati parti prenderanno misure idonee ad assicurare l'attuazione di questo diritto, e riconoscono a tal fine l'importanza essenziale della cooperazione internazionale,

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diritto di essere liberi dalla fame lo status di diritto fondamentale dell’uomo. In vista di ciò, gli Stati

contraenti s’impegnano ad adottare tutte le misure necessarie per migliorare i metodi di produzione, di

conservazione e di distribuzione delle derrate alimentari, sia a livello nazionale che internazionale,

mediante la piena applicazione delle conoscenze tecniche e scientifiche, la diffusione di nozioni

relative ai principi nutritivi e la riforma dei regimi agrari. Gli Stati, inoltre, si prefiggono di assicurare

un’equa distribuzione delle risorse alimentari mondiali.

Il diritto all’alimentazione così sancito, trova il suo fondamento nell’art. 25 della Dichiarazione

universale dei diritti umani del 194822 ed è rispecchiato nel fine di "assicurare all'umanità la libertà

dalla fame" consacrato nel Preambolo della Costituzione della FAO. Tale diritto può, inoltre, essere

visto come parte integrante del diritto alla vita, riconosciuto legalmente nel Patto internazionale sui

diritti civili e politici, adottato anch’esso dall'Assemblea Generale dell'ONU nel 196623.

Il diritto all’alimentazione, in particolare, è stato da allora esplicitamente riconosciuto ed ulteriormente

definito in vari strumenti e dichiarazioni internazionali quali le Dichiarazioni adottate dalla Conferenza

mondiale delle Nazioni Unite sull'alimentazione del 197424, dalla Conferenza internazionale sulla

nutrizione convocata nel 1992 dalla FAO e dall'OMS e dalla Dichiarazione e dal Piano d'azione

adottati dal Vertice mondiale sull'alimentazione tenutosi a Roma nel 199625.

basata sul libero consenso. 2. Gli Stati parti del presente Patto, riconoscendo il diritto fondamentale di ogni individuo alla libertà dalla fame, adotteranno, individualmente e attraverso la cooperazione internazionale, tutte le misure, e fra queste anche programmi concreti, che siano necessarie: (a) per migliorare i metodi di produzione, di conservazione e di distribuzione delle derrate alimentari mediante la piena applicazione delle conoscenze tecniche e scientifiche, la diffusione di nozioni relative ai principi della nutrizione, e lo sviluppo o la riforma dei regimi agrari, in modo da conseguire l'accrescimento e l'utilizzazione più efficaci delle risorse naturali; (b) per assicurare un'equa distribuzione delle risorse alimentari mondiali in relazione ai bisogni, tenendo conto dei problemi tanto dei paesi importatori quanto dei paesi esportatori di derrate alimentari". 22 Art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti umani: "diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire il benessere proprio e della propria famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari (..)" 23 Secondo l'art. 6(1) del Patto internazionale su diritti civili e politici: "Il diritto alla vita è inerente alla persona umana. Questo diritto deve esser protetto dalla legge. Nessuno può essere arbitrariamente privato della vita". Il diritto all’alimentazione, il cui fondamento giuridico è normalmente individuato nel Patto sui diritti economici, sociali e culturali, è stato ricondotto, da alcuni rapporti del Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite, al Patto sui diritti civili e politici. Un livello di malnutrizione tale da provocare un’estesa mortalità infantile, infatti, potrebbe essere considerata come una evidenza dell'omissione dello Stato a proteggere il diritto alla vita all’interno del suo territorio. Vedi Moore, G. Diritto all’alimentazione, fao.org/legal. 24 La Dichiarazione universale sull'eliminazione della fame e della malnutrizione, adottata dalla Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sull'alimentazione del 1974, stabilisce che "Ogni uomo, donna e bambino ha il diritto inalienabile ad essere libero dalla fame e dalla malnutrizione per potersi sviluppare completamente e mantenere le proprie facoltà fisiche e mentali”. Oltre alla suddetta Dichiarazione, la Conferenza mondiale sull’alimentazione ha anche adottato 22 risoluzioni in materia di sicurezza alimentare. 25 La Dichiarazione sulla sicurezza alimentare mondiale del 1996 intende il diritto all’alimentazione, estendendolo rispetto all’accezione originaria, come "il diritto di ogni persona ad avere accesso ad alimenti sani e nutritivi, in accordo con il diritto ad una alimentazione appropriata e con il diritto fondamentale di ogni essere umano di essere libero dalla fame".

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Gli obiettivi e gli strumenti indicati nell’art. 11 del Patto sui diritti economici, sociali e culturali

riflettono dunque la strategia generale della comunità internazionale, e del sistema delle Nazioni Unite

in particolare, per il raggiungimento della sicurezza alimentare, così come concepita nel 1966. Allo

stesso modo, secondo l’art. 226 del Patto, gli Stati contraenti si impegnano ad operare, con il massimo

delle risorse di cui dispongono, al fine di assicurare progressivamente la piena attuazione dei diritti

riconosciuti nel Patto stesso e, in particolare, si impone agli Stati contraenti di legiferare sul diritto ad

un'alimentazione adeguata.

Il diritto all’alimentazione si è nel tempo configurato come diritto collettivo alla sicurezza

alimentare27, la cui effettività dipende fortemente dal modo in cui il diritto agrario di uno Stato regola i

rapporti istituzionali uomo-terra. Il diritto alla sicurezza alimentare, che rappresenta tutt’oggi

l’imperativo programmatico della cooperazione agro-alimentare e dell’attività dei soggetti del Polo, è

stato oggetto, tuttavia, di una profonda evoluzione che ha reso necessaria una rivisitazione del

programma d'azione previsto dall'art. 11.2 del Patto.

Una nuova strategia è stata fornita dalla Dichiarazione e dal Piano d'azione adottati dal Vertice

mondiale sull'alimentazione (WFS) del 1996. Gli Stati partecipanti al Vertice si sono prefissi

l’obiettivo di dimezzare il numero delle persone che soffrono la fame entro il 201528. Secondo la

Dichiarazione e il Piano d’azione, la sicurezza alimentare si realizza “when all people, at all times,

have physical and economic access to sufficient, safe and nutritious food to meet their dietary needs

and food preferences for an active and healthy life”29.

Il Piano, poi, definisce un concreto programma d'azione per il raggiungimento della sicurezza

alimentare attraverso un ambiente politico, sociale ed economico atto a ridurre la povertà e a

migliorare l'accesso di tutti ad una alimentazione sufficiente, nutrizionalmente adeguata e sana e ad

assicurarne l’effettiva utilizzazione30. Esso sancisce l'impegno all'adozione di politiche per

26 Art. 2. 1: “Ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna ad operare, sia individualmente sia attraverso l’assistenza e la cooperazione internazionale, specialmente nel campo economico e tecnico, con il massimo delle risorse di cui dispone, al fine di assicurare progressivamente con tutti i mezzi appropriati, compresa in particolare l’adozione di misure legislative, la piena attuazione dei diritti riconosciuti nel presente Patto”. 27 Così è stato inteso dal Patto sulla sicurezza alimentare mondiale della FAO del 1985. Vedi Di Blase, A. e Marchisio S., L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), op. cit., pp. 122 e ss. 28 Il Comitato sulla sicurezza alimentare (CFS) ha il compito di monitorare i progressi ottenuti nel raggiungimento dell'obiettivo stabilito dal Vertice mondiale sull’alimentazione del 1996. 29 World Food Summit Plan of Action (fao.org). 30 “we will ensure an enabling political, social, and economic environment designed to create the best conditions for the eradication of poverty and for durable peace, based on full and equal participation of women and men, which is most conducive to achieving sustainable food security for all; we will implement policies aimed at eradicating poverty and inequality and improving physical and economic access by all, at all times, to sufficient, nutritionally adequate and safe food and its effective utilization”, Rome Declaration on World Food Security (fao.org).

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un'alimentazione e uno sviluppo agricolo e rurale sostenibile, ed affronta problemi connessi con la

sicurezza alimentare quali il commercio e l'investimento. Il Piano d'azione tratta anche della

prevenzione delle situazioni di crisi e del bisogno di far fronte alle necessità alimentari temporanee ed

urgenti in modalità tali da favorire la ripresa, lo sviluppo e la capacità di soddisfare le necessità future.

L'Alto Commissario per i diritti umani, invitato dal Piano d’azione a definire meglio i diritti connessi

all'alimentazione di cui all'art. 11 del Patto del 1966, e il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti

economici, sociali e culturali31, che monitora l’implementazione del Patto negli Stati parti, hanno

elaborato il contenuto normativo del diritto ad un’alimentazione adeguata e i conseguenti obblighi

degli stati.

Nel Commento Generale 12 delle Nazioni Unite sull’interpretazione del diritto all’alimentazione, si

afferma che “the right to adequate food is realized when every man, woman and child, alone or in

community with others, has physical and economic access at all times to adequate food or means for

its procurement. The right to adequate food shall therefore not be interpreted in a narrow or restrictive

sense which equates it with a minimum package of calories, proteins and other specific nutrients. The

right to adequate food will have to be realized progressively. However, States have a core obligation to

take the necessary action to mitigate and alleviate hunger even in times of natural or other disasters32”.

Viene data, quindi, un’interpretazione ampia del diritto ad un’alimentazione adeguata (non solo come

diritto a procurarsi il cibo mediante i propri sforzi senza essere intralciati, ma anche diritto a riceverlo

quando non si è in grado di procurarselo) e si individua l’obbligo dello Stato di fare tutto il possibile

per soddisfare tale diritto anche in situazioni di emergenza.

In particolare, il Commento Generale insiste sulla necessità di un’azione positiva degli Stati che si

specifica nell’obbligo di introdurre leggi che proteggano tale diritto e di mobilitare le risorse

necessarie per la sua realizzazione33. Secondo tale interpretazione, infatti, il diritto ad un’alimentazione

adeguata impone agli Stati di assumersi tre tipi o gradi di responsabilità, ossia il dovere di rispettare,

proteggere e realizzare quanto stabilito. L'obbligo a rispettare implica che lo stato debba riconoscere

ad ogni essere umano il diritto ad un’alimentazione adeguata e pertanto l’accesso ad essa; nel rispetto

di questo diritto, lo Stato non deve interferire in alcun modo con tale accesso, ossia con i mezzi di

sussistenza dei suoi cittadini e con la loro capacità di provvedere a sé stessi. L'obbligo a proteggere

richiede la regolamentazione della condotta degli attori non statali affinché non interferiscano con

l’accesso ad un’alimentazione adeguata degli individui. L'obbligo a realizzare il diritto in esame

richiede un’azione positiva dello Stato, attraverso provvedimenti sia di breve che di lungo termine:

31 Il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali opera mediante l'Ufficio dell'Alto Commissario per i Diritti Umani. 32 General Comment n. 12 del Comitato delle nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali (ventesima sessione, 1999). Vedi Office of the High Commissioner for Human Rights (ohchr.org). 33 Vedi Il diritto al cibo (fao.org).

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esso deve quindi agevolare e provvedere. Con agevolare ci si riferisce al dovere dello Stato di

implementare programmi per la sicurezza alimentare, fornendo agli individui i mezzi per essere

autosufficienti. Con provvedere ci si riferisce invece al dovere dello Stato di fornire assistenza diretta

ogni volta che un individuo o un gruppo non siano in grado di godere del diritto ad una alimentazione

adeguata, in particolare nei casi di disastri naturali o di altro tipo34.

Nel 2000 l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha istituito la carica di Relatore

speciale sul diritto all’alimentazione il quale, affiancato dall’Unità di ricerca sul diritto

all’alimentazione, ha il compito di ricevere le informazioni riguardanti violazioni del diritto

all’alimentazione, identificare le problematiche emergenti sullo stesso, visitare i diversi Paesi e

presentare rapporti annuali all’Alto Commissario35.

Per verificare i progressi compiuti, gli Stati membri si sono riuniti nel 2002 per il Vertice mondiale

sull’alimentazione: cinque anni dopo, promosso dalla FAO36. Constatata l’insufficiente volontà

politica di molti Stati, la Dichiarazione del Vertice, ha ribadito che la fame e la malnutrizione sono

inestricabilmente legate al problema della povertà che l’agricoltura da sola non può risolvere e ha

riaffermato il diritto al “safe and nutritious food37”, definendo la sicurezza alimentare come

responsabilità comune dell’umanità. La Dichiarazione, inoltre, ha confermato l’obiettivo del WFS di

dimezzare il numero degli affamati entro il 2015 e auspicato, a tale scopo, la creazione di una Alleanza

internazionale contro la fame per coordinare gli sforzi degli Stati, delle organizzazioni internazionali e

delle organizzazioni della società civile coinvolti38.

2.2 PROFILO ISTITUZIONALE E ATTIVITA’ DEGLI ENTI DEL POLO AGROALIMENTRE

2.2.1 Profilo istituzionale e attività della FAO

34 Vedi ohchr.org e Moore, op. cit. 35 Vedi UN Special Rapporteur on the Right to Food (relatorighttofood.org). 36 Il vertice mondiale sull’alimentazione: cinque anni dopo, tenutosi a Roma dal 10 al 13 giugno del 2002, ha visto la partecipazione di 4000 delegati di 181 paesi e più della metà dei loro capi di Stato e di governo. 37 Vedi World Food Summit: five years later. FAO headquarters, Rome, Italy, 10-13 June 2002. 38 Vedi infra par. 2.3.

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Nel preambolo dello Statuto della FAO sono formulati gli scopi secondo i quali gli Stati membri si

impegnano a migliorare l’alimentazione e le condizioni di vita delle popolazioni, soprattutto rurali,

migliorare la produzione e la distribuzione dei prodotti agricoli e, come emendato nel 1965,

contribuire all’espansione dell’economia globale e a liberare l’umanità dalla fame.

Sebbene la formulazione degli obiettivi sia piuttosto generica, questi ultimi vanno letti nel più ampio

contesto delle intenzioni dei fondatori dell’Organizzazione, che ponevano la pace come obiettivo delle

future relazioni interstatali, ritenendola strettamente connessa al benessere delle popolazioni: “ the

FAO is born out of the idea of freedom from want ... is born out of the need for peace as well … the

two are interdependent” 39.

Le funzioni della FAO, definite all’art. 1 dello Statuto, consistono nel raccogliere, analizzare e

diffondere le informazioni relative alla nutrizione, all’agricoltura e all’alimentazione; nel

raccomandare agli Stati membri azioni nazionali o internazionali relativamente a settori specifici40; nel

fornire assistenza tecnica ai paesi che la richiedano e, in linea generale, adottare tutte le misure

necessarie per raggiungere gli scopi stabiliti nel preambolo.

Lo Statuto della FAO distingue tra membri originari dell’Organizzazione, membri aggiunti e membri

associati. Ai sensi dell’art. 2, i membri originari sono quelli che, avendo partecipato alla Conferenza di

Hot Springs, hanno accettato l’Atto istitutivo (44 su 45 Stati partecipanti). La conferenza della FAO

può, a maggioranza di due terzi, ammettere nell’Organizzazione, in qualità di membro aggiunto, ogni

paese che ne faccia richiesta e che accetti gli obblighi dello Statuto41. Con la stessa maggioranza, la

Conferenza può ammettere, quale membro associato dell’Organizzazione, qualsiasi territorio o insieme

di territori che non siano responsabili della conduzione delle proprie relazioni internazionali. Sulla

base di questa previsione molte colonie e territori ad autonomia limitata hanno goduto dello status di

membri associati della FAO fino al momento dell’indipendenza42.

39 General Report del Reviewing Panel della Commissione provvisoria dell’ONU su cibo e agricoltura, I conferenza, Rev. Pan. Doc. 15, 25-06-1945, p. 4-5. Cit. in Schutz, “FAO – Food and Agricolture Organization”, op. cit., p. 502. 40 Art. 1.2. “L’Organizzazione promuove e all’occorrenza raccomanda azioni nazionali e internazionali vertenti su: a) la ricerca scientifica, tecnologica, sociale e economica in materia di nutrizione, alimentazione e agricoltura; b) il miglioramento dell’insegnamento e dell’amministrazione in materia di nutrizione, alimentazione e agricoltura e la diffusione delle conoscenze teoriche e pratiche nel campo della nutrizione e dell’agricoltura; c) la conservazione delle risorse naturali e l’attuazione di metodi perfezionati di produzione agricola; d) l perfezionamento delle tecniche di trasformazione, commercializzazione e distribuzione dei prodotti alimentari ed agricoli; e) l’istituzione di soddisfacenti sistemi di credito agricolo a livello nazionale e internazionale; f) l’adozione di una politica internazionale per quanto concerne gli accordi sui prodotti agricoli”. 41 Art. 2, paragrafo 2 dello Statuto della FAO. 42 Ciad, Gabon, Madagascar, Mali e Senegal dal 1959-61; Cipro, Nigeria e Somalia dal 1959-60; Jamaica dal 1961-63; Kenya e Malta dal 1963-63; Lesotho e Botswana dal 1965-66; Guyana dal 1961-66; Mauritius dal 1961-68; Bahrain e Qatar dal 1967-71. Vedi Schutz, op. cit., p. 500-501.

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Concordemente al terzo paragrafo dell’art. 2 introdotto nel 1991, che prevede la possibilità di

ammettere organizzazioni regionali di integrazione economica, la Comunità economica europea è

diventata membro a pieno titolo dell’Organizzazione43.

La FAO si compone di tre organi principali che sono la Conferenza, il Consiglio e il Direttore

Generale. La Conferenza, supremo organo dell’Organizzazione, in cui ciascun membro è rappresentato

da un delegato, delibera a maggioranza dei voti espressi. Si è sviluppata, tuttavia, la prassi del

consensus per quasi tutte le questioni discusse ad eccezione degli emendamenti allo Statuto e al

Regolamento generale, e delle decisioni su bilancio che richiedono la maggioranza dei due terzi44.

L’organo assembleare, che si riunisce in sessione ordinaria a scadenza biennale, esamina il lavoro

svolto dall’Organizzazione, ne definisce le linee di indirizzo e approva le previsioni di bilancio, in

forma di sommario e progetti dei programmi di lavoro e di bilancio che, preparate e proposte dal

Direttore Generale, le vengono sottoposte durante il secondo anno del biennio. Può fare

raccomandazioni agli Stati membri relative ad azioni nazionali e internazionali e alle altre

organizzazioni internazionali in materie pertinenti agli scopi quali definiti nel preambolo dello Statuto.

Il Consiglio, composto da 49 membri con mandato triennale a rotazione45, è l’organo esecutivo eletto

dalla Conferenza ed esercita i poteri che quest’ultima le delega. Si riunisce almeno quattro volte tra le

sessioni ordinarie della Conferenza e controlla l’amministrazione generale e finanziaria

dell’Organizzazione. Il Consiglio e i suoi comitati46 esaminano il programma di lavoro e di bilancio

prima che essi vengano sottoposti alla Conferenza.

Il Direttore Generale, eletto dalla Conferenza per un periodo di sei anni, ha un ruolo di primo piano

nella gestione degli affari correnti e nella determinazione della politica generale dell’Organizzazione.

Egli determina, rielabora e coordina le finalità di tutti i programmi della FAO. Secondo l’art. 7, infatti,

il Segretario, subordinatamente al controllo generale della Conferenza e del Consiglio, è titolare di

pieni poteri e autorità per dirigere i lavori dell’Organizzazione. Il Direttore Generale e il suo ufficio

sono assistiti da cinque uffici direttamente collegati tra loro; la struttura interna della FAO, poi, si

43 Oggi la FAO è costituita da 191 Stati membri, un’organizzazione membro, la Comunità Europea, e un membro associato, le Isole Faroe. 44 Vedi Di Blase, A. e Marchisio S., L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), op. cit., pp. 220-221. 45 Ai fini dell’elezione del Consiglio della FAO, gli Stati membri sono divisi in sette gruppi regionali, ad ognuno dei quali è attribuito un numero fisso di seggi: Africa, 12 seggi; Asia, 9; Europa, 10; America Latina e Caraibi, 9; Medio Oriente, 6; America del Nord, 2; Pacifico sud-occidentale, 1. Vedi United Nations, “Food and Agriculture Organization (FAO)” in United Nations Handbook 2007/2008, pp. 263 e ss. 46 Il Consiglio ha 8 comitati permanenti di cui 3 con competenze relative alla gestione dell’Organizzazione: Comitato del Programma, Comitato Finanziario, Comitato sulle questioni costituzionali e giuridiche e 5 relativi ai settori in cui opera la FAO: Comitato sui problemi dei prodotti di base, Comitato per la pesca, Comitato per le foreste, Comitato per l’agricoltura, Comitato per la sicurezza alimentare mondiale

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articola in otto dipartimenti che possono raggrupparsi in due categorie, quelli amministrativi e quelli

tecnici specifici della FAO47.

Ai sensi dell’art. 6, la Conferenza e il Consiglio possono istituire commissioni con funzioni consultive

per l’attuazione e il coordinamento delle politiche e comitati o gruppi di lavoro per effettuare studi e

presentare rapporti; anche il Direttore Esecutivo può istituire gruppi di esperti. Agli organi sussidiari,

la cui proliferazione ha caratterizzato l’evoluzione della FAO negli anni settanta48, si aggiungono

numerose conferenze dedicate a questioni tecniche, tra cui assumono particolare rilevanza le

Conferenze regionali. Per garantire una maggiore efficienza delle attività dell’Organizzazione, sono

presenti nel mondo cinque uffici regionali, nove sub-regionali, cinque di collegamento e 74 uffici

nazionali.

Al di là di quanto previsto dal Trattato istitutivo, il vero livello decisionale corrisponde alla

concertazione tra Direttore Generale, Consiglio e comitati del Consiglio. La Conferenza, che secondo

l’Atto istitutivo definisce la politica generale e approva il bilancio, ha piuttosto un potere di ratifica

delle decisioni prese al livello indicato.

Secondo l’art. 18 dello Statuto, ogni Stato membro e membro associato ha l’obbligo di versare

annualmente all’Organizzazione il suo contributo al bilancio ordinario49. Tuttavia, i contributi

obbligatori dei membri rappresentano solo una parte delle somme amministrate della FAO

nell’esercizio finanziario biennale. Una parte consistente è costituita dalle risorse extra-bilancio che

provengono sia dal sistema ONU (in particolare dall’UNDP50), sia dai governi donatori nel quadro di

programmi multibilaterali (fondi fiduciari).

47 I Dipartimenti in cui è articolata la FAO sono: Agricoltura e Difesa del Consumatore, Sviluppo Economico e Sociale, Gestione Risorse Naturali e Ambiente, Pesca e Acquicoltura, Foreste, Cooperazione Tecnica, Conoscenza e Comunicazione, Risorse Umane, Finanziarie e Fisiche. 48 Vedi Di Blase, A. e Marchisio S., L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), op. cit., pp. 223 e ss. 49 Le quote dei contributi sono stabiliti dalla Conferenza, su proposta del Consiglio e raccomandazione del comitato finanziario. Nella prassi la FAO applica la stessa ripartizione dei contributi adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU. 50 La FAO è sempre stata la principale beneficiaria delle risorse dell’UNDP, in quanto organo incaricato dell’esecuzione dei progetti in campo agro-alimentare. Tuttavia, la percentuale dei progetti agricoli affidati alla FAO è progressivamente diminuita a causa del crescente intervento dell’Ufficio dell’UNDP per l’esecuzione dei progetti, di altri organi del sistema ONU e degli stessi governi dei paesi beneficiari. 51Vanno ricordati il Codice di condotta per la pesca responsabile per una gestione della pesca che protegge le risorse marine; la Convenzione di Rotterdam sulla procedura di consenso informato per i prodotti chimici pericolosi e i pesticidi nel commercio internazionale; il Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura, per garantire l’accesso delle future generazioni alle risorse genetiche. Inoltre, la Commissione per il Codex Alimentarius, istituita nel 1963 e gestita congiuntamente dalla FAO e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), stabilisce le norme per rendere il cibo più sicuro per i consumatori.

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La FAO svolge funzioni sia “normative” che operative. Con riferimento alle prime, la Conferenza,

sulla base dell’art. 14 dello Statuto, approva convenzioni e accordi e li sottopone agli Stati membri;

definisce altresì norme e standard internazionali su questioni relative a agricoltura e alimentazione

attraverso strumenti di soft law51.

Quanto al secondo tipo di funzioni, occorre innanzitutto notare che, acquisita la consapevolezza di

non poter agire esclusivamente sul piano “normativo” per realizzare la sicurezza alimentare, le priorità

dell’Organizzazione sono state oggetto di una profonda evoluzione e le sue attività orientate, in misura

crescente, in senso operativo. Mentre nei primi anni le attività della FAO consistevano essenzialmente

nella fornitura di servizi tecnici, come in precedenza osservato, è stato soprattutto con il processo di

decolonizzazione e l’ingresso dei nuovi PVS che esse si sono trasformate nella natura e nel volume,

oltre che nel crescente peso finanziario che hanno assunto.

Il programma di cooperazione tecnica e le operazioni di emergenza, infatti, hanno assunto un ruolo

crescente nel bilancio ordinario, così come sono aumentate le risorse extra-bilancio destinate al

finanziamento di progetti operativi, in particolare dei Trust Funds52. La FAO ha negli anni privilegiato

i progetti diretti all’espansione della produzione agricola nei PVS, a volte trascurando lo sviluppo

rurale, delle istituzioni e la riforma agraria di quegli stessi paesi.

Dal 1994 la FAO ha dato inizio al più significativo processo di auto-riforma dalla sua nascita, diretto a

decentralizzare le attività, razionalizzare le procedure e ridurre i costi dell’Organizzazione53. Tale

processo è attualmente orientato a perseguire gli obiettivi contenuti nel Rapporto di Valutazione

Esterna Indipendente, stilato da un gruppo di valutazione di esperti nel 200754.

2.2.2 Profilo istituzionale e attività dell’IFAD

52 Nel 2007 la FAO ha speso 505 milioni di dollari in 1615 progetti operativi, dei quali 520 erano operazioni di emergenza per un valore di 250 milioni di dollari provenienti sia da fonti di finanziamento ordinarie che extra-bilancio, rappresentando il 49% dei progetti totali. Il programma di cooperazione tecnica, invece, ha avuto un valore di 255 milioni di dollari, coperti per il 10,7% dal budget ordinario, il 72% dai fondi fiduciari, il 15,9% dai fondi fiduciari unilaterali e l’1,4% dall’UNDP (fao.org). 53 I punti centrali della riforma sono: il trasferimento del personale dalla sede centrale al field, maggiore coinvolgimento degli esperti dei paesi in via di sviluppo e in transizione, estensione del partenariato con il settore privato e le ONG, maggiore accesso elettronico ai dati statistici e documenti dell’Organizzazione (fao.org). 54 Il Rapporto suggerisce le seguenti priorità: snellimento della burocrazia, nuova definizione di ruoli e livelli, con conseguente taglio dei dipendenti, maggiore sinergia e comunicazione tra le sedi nazionali, regionali e sub-regionali, crescente decentramento dell’autorità, così da responsabilizzare gli attori territoriali, maggiore coerenza nei progetti di sviluppo, abbandono di settori obsoleti e lotta agli sprechi. La Conferenza ha approvato il Rapporto e ha istituito un comitato, aperto a tutti gli Stati membri, con il compito di elaborare proposte per un Piano d’azione immediato che faccia seguito alle raccomandazioni dello studio.

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Durante la Conferenza mondiale sull’alimentazione del 1974 la Sierra Leone presentava la proposta, a

nome degli Stati africani e appoggiata dagli Stati arabi esportatori di petrolio, di creare un’istituzione

finanziaria internazionale che finanziasse i progetti agricoli diretti ad aumentare la produzione

alimentare nei PVS. La proposta venne fatta propria dalla Conferenza che, con la ris. finale n. XIII,

raccomandava l’istituzione del Fondo Internazionale di sviluppo agricolo (IFAD). L’ONU convocava

a Roma, nel giugno 1976, una Conferenza ad hoc per negoziare l’Accordo istitutivo. Lo Statuto,

sottoscritto da novantuno Stati, è entrato in vigore il 30 novembre 1977, consentendo all’IFAD di

iniziare ad operare dal 1978. In seguito, alla conclusione dell’Accordo di collegamento con l’ONU,

approvato dell’Assemblea Generale con la ris. n. 32/107 del 15-12-1977, l’IFAD ha inoltre acquisito lo

status di Istituto Specializzato delle Nazioni Unite.

Il Preambolo55 dell’Accordo esprime quella concezione di sviluppo più volte richiamata, punto

d’approdo del dibattito internazionale degli anni settanta e di cui l’IFAD si fece portatore, per la quale

solo una reale integrazione di tutti i fattori favorenti lo sviluppo, in una programmazione economica

che considera il settore agricolo come prioritario, può avere effetti realmente benefici per i PVS56.

Secondo l’art. 2 dello Statuto57, la finalità del Fondo è quella di mobilitare risorse aggiuntive58 e di

renderle disponibili, a condizioni favorevoli, per lo sviluppo agricolo negli Stati membri in via di

sviluppo. A tale scopo, l’IFAD fornisce i mezzi finanziari, principalmente per progetti diretti ad

introdurre, sviluppare o migliorare sistemi di produzione alimentare e a rafforzare le politiche e le

istituzioni connesse nel quadro delle priorità e strategie nazionali.

Con la ris. 86/XVIII del 26 gennaio 1995, il Consiglio dei governatori, in conformità con l’art. 12

dell’Accordo istitutivo, ha emendato gli artt. 3, 4 e 6 del medesimo relativi alla classificazione degli

Stati membri, alle risorse e alla distribuzione dei voti negli organi collegiali, e gli artt. 12 (lett. a) e 13

(sez.3) sulla procedura ed entrata in vigore degli emendamenti all'Accordo. Tale modifica ha anche

interessato gli Annessi I, II e III relativi alla distribuzione degli Stati nelle varie categorie di membri.

55 Agreement establishing the IFAD, Preamble: “Considering the need to improve the conditions of life in the developing countries and to promote socio-economic development within the context of the priorities and objectives of the developing countries, giving due regard to both economic and social benefits”. 56 Vedi Buonomo, V., Un programma contro la fame: il fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, op. cit., pp. 29 e ss. 57 Art. 2: “The objective of the Fund shall be to mobilize additional resources to be made available on concessional terms for agricultural development in developing Member States. In fulfilling this objective the Fund shall provide financing primarily for projects and programmes specifically designed to introduce, expand or improve food production systems and to strengthen related policies and institutions within the framework of national priorities and strategies, taking into consideration: the need to increase food production in the poorest food deficit countries; the potential for increasing food production in other developing countries; and the importance of improving the nutritional level of the poorest populations in developing countries and the conditions of their lives”. 58 “Aggiuntive” nel senso che le risorse finanziarie dell’IFAD si aggiungono a quelle mobilitate in loco dai rispettivi paesi e a quelle predisposte dalle altre fonti di aiuto, multilaterali o bilaterali. Vedi Buonomo, V., Un programma contro la fame: il fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, op. cit., p. 59.

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L’art. 3 dello Statuto59 opera una distinzione tra Stati membri originari e non originari: la sez. 2 lett. a,

infatti, qualifica come membri originari del Fondo quegli Stati che, avendo partecipato alla Conferenza

istitutiva, hanno accettato lo Statuto. Può invece diventare membro dell’IFAD, ai sensi dell’ art. 3

sez.1 lett. a, ogni Stato appartenente all’ONU, ad un suo Istituto Specializzato o all’Agenzia

internazionale dell’energia atomica; nonché, come specificato dalla lett. b, tutti i gruppi di Stati a cui

sono stati delegati poteri in settori che rientrano nelle competenze del Fondo e capaci di adempiere agli

obblighi scaturenti dall’Accordo.

Con l’entrata in vigore delle modifiche citate, l’originaria classificazione degli Stati membri in tre

categorie sulla base delle condizioni economico-finanziarie è stata sostituita da una ripartizione per

liste. I 165 Stati membri del Fondo sono, infatti, distribuiti nelle Lista A (paesi industrializzati

appartenenti all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), Lista B (paesi membri

dell’Organizzazione dei Paesi esportati di petrolio) e Lista C (paesi in via di sviluppo)60.

L’art. 9 sez. 1 del Trattato istitutivo prevede poi il potere di recesso, disciplinandone le modalità di

esercizio, e la sospensione dallo status di membro come conseguenza dell’applicazione della sanzione,

di cui alla sez. 2, nei confronti degli stati membri che non hanno adempiuto ad uno degli obblighi

derivanti dallo Statuto.

La struttura dell’IFAD, ai sensi dell’art. 6 sez. 1 dello Statuto, si articola in Consiglio dei governatori,

Consiglio d’amministrazione e Presidente. Al Consiglio dei governatori, organo plenario composto da

due rappresentanti (in qualità di titolare e di supplente) per ogni Stato membro, sono attribuiti tutti i

principali poteri dell’IFAD che possono tuttavia, con l’eccezione di alcuni poteri esclusivi61, essere

delegati al Consiglio d’amministrazione.

Al Consiglio di amministrazione spettano sia le competenze direttamente attribuitegli dallo Statuto, sia

quelle delegategli dal Consiglio dei governatori; ai sensi dell’art. 6 sez. 5, esso ha funzioni di gestione

e di indirizzo, tra le quali assumono rilevanza le competenze relative all’approvazione dei prestiti e dei

59 Art 3 : “Section 1 - Eligibility for Membership: (a) Membership of the Fund shall be open to any State member of the United Nations or of any of its specialized agencies, or of the International Atomic Energy Agency. (b) Membership shall also be open to any grouping of States whose members have delegated to it powers in fields falling within the competence of the Fund, and which is able to fulfil all the obligations of a Member of the Fund. Section 2 - Original Members and Non-Original Members: (a) Original Members of the Fund shall be those States listed in Schedule I, which forms an integral part of this Agreement, that become parties to this Agreement in accordance with Section 1(b) of Article 13. (b) Non-original Members of the Fund shall be those other States that, after approval of their membership by the Governing Council, become parties to this Agreement in accordance with Section 1(c) of Article 13. 60 L’ultima lista è a sua volta divisa in: C1 (paesi dell’Africa) e C2 (paesi dell’Europa, Asia e Pacifico) e C3 (paesi dell’America Latina e Caraibi). 61 Ai sensi dell’art. 6 sez. 2 lett. c, sono esclusivi del Consiglio dei governatori i poteri relativi all’adozione di emendamenti allo Statuto; all’ammissione di nuovi membri e alla sospensione; alla cessazione delle operazioni del Fondo; ai ricorsi presentati dagli Stati sull’interprestazione e sull’applicazione dell’Accordo; alla retribuzione del presidente.

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doni ai paesi beneficiari (che devono essere finanziariamente pre-approvati dal Consiglio dei

governatori). L’organo è composto da 18 Stati membri e 18 Stati supplenti, eletti dal Consiglio dei

governatori per un periodo di tre anni62.

Al vertice dell’IFAD, il Consiglio dei governatori elegge a maggioranza qualificata, per un periodo di

quattro anni, il Presidente del Fondo al quale lo Statuto63 attribuisce la responsabilità della condotta

degli affari dell’Organizzazione e della direzione del personale. Nell’ambito dell’IFAD, data la sua

natura di istituzione finanziaria, vige il sistema del voto ponderato.

Accanto agli organi descritti, un Comitato di controllo a composizione mista, creato nel 1982, è

incaricato di esaminare le decisioni adottate dal Consiglio di amministrazione e un Comitato di

valutazione, a composizione simile, ha il compito di verificare l’idoneità della programmazione del

Fondo64.

Il fine statutario dell’IFAD è quello di concedere finanziamenti, sotto forma di prestiti o doni, ai paesi

in via di sviluppo membri del Fondo o alle Organizzazioni intergovernative di cui detti membri sono

parte. I finanziamenti sono concessi nel quadro delle priorità di cui all’art 7 sez.1 lett. d, vale a dire

incrementare la produzione alimentare e migliorare il livello nutrizionale delle popolazioni più

bisognose nei paesi più poveri tra quelli a deficit alimentare, nonché in funzione di criteri economici e

sociali obiettivi.

Il Fondo accorda prestiti di tre tipi: a condizioni particolarmente favorevoli, intermedie o ordinarie, a

seconda del prodotto nazionale lordo del paese beneficiario65. Le operazioni di prestito sono

regolamentate, ai sensi dell’art. 7 sez. 2 lett. f, da accordi stipulati dall’IFAD con il paese beneficiario,

che assume la responsabilità dell’esecuzione del progetto. L’IFAD fornisce anche assistenza tecnica ai

paesi membri in via di sviluppo, per lo più sotto forma di dono.

Le risorse del Fondo sono costituite, secondo quanto disposto dall’art. 4, dai contributi iniziali versati

inizialmente dagli Stati fondatori, dai contributi supplementari versati secondo il sistema della

62 I membri del Consiglio di amministrazione vengono scelti secondo la seguente ripartizione: 16 dalla lista A, 8 dalla lista B, 12 dalla lista C. 63 Art. 6, sez. 8 dell’Accordo. 64 Vedi Spatafora, E., Cadin, R., Carletti, C., Sviluppo e diritti umani nella cooperazione internazionale: lezioni sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo umano, op. cit., p. 135-137. 65 I prestiti speciali a condizioni particolarmente favorevoli sono senza interessi salvo una commissione annua dello 0,75%, con rimborso in 40 anni; quelli a condizioni intermedie hanno un tasso d’interesse annuo pari alla metà del tasso di interesse variabile di riferimento determinato annualmente dal Consiglio di amministrazione, con rimborso in 20 anni; quelli a condizioni ordinarie hanno un tasso di interesse pari a quello di riferimento determinato dal Consiglio di amministrazione e con rimborso in 15 anni o 18 anni. Vedi Loan and Grant Administration; Operational Manual (ifad.org). Vedi anche Della Fina V., “Fondo internazionale di sviluppo agricolo (IFAD)”, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1998, II° aggiornamento p. 362.

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ricostituzione delle risorse66, da quelli speciali provenienti da Stati non membri o altre fonti e dalle

risorse provenienti da operazioni dell’IFAD.

A partire dal 1994, l’IFAD ha adottato un nuovo orientamento programmatico per destinare gli

investimenti rurali al miglioramento della condizione nutrizionale delle popolazioni più povere e ha

elaborato il principio guida dei progetti che il Fondo realizza, anche in cooperazione con la FAO e il

WFP, cioè il principio della sicurezza alimentare familiare, la household food security. Attualmente, il

quadro strategico del Fondo stabilisce le nuove linee d’azione per il periodo 2007-2010 e, in

particolare, definisce il modo in cui l’istituzione contribuirà al raggiungimento degli Obiettivi di

sviluppo del Millennio67.

2.2.3 Profilo istituzionale del WFP

Il WFP trova la sua base giuridica nelle due già citate risoluzioni parallele della FAO e dell’ONU: la

ris. n. 1/61 della Conferenza della FAO del 24-11-1961 e la ris. n. 1741 (XVI) dell’Assemblea

Generale dell’ONU del 19-12-1961. Inizialmente previsto come programma sperimentale di tre anni,

la durata del WFP è stata estesa sine die con le ris. n. 4/65 della Conferenza della FAO del 6-12-1965 e

n. 2095 (XX) del 1966 dell’Assemblea Generale dell’ONU68.

Le Regole Generali, che disciplinano il funzionamento del WFP, sono state elaborate sotto la direzione

del Comitato intergovernativo ed approvate dal Consiglio della FAO e dall’ECOSOC e più volte

66 Lo Statuto prevede un sistema speciale di finanziamento dell’IFAD per il quale le risorse iniziali, destinate ad esaurirsi, vengono gradualmente ricostituite attraverso sottoscrizioni addizionali periodiche degli Stati membri che costituiscono le risorse supplementari. Tale sistema funziona sulla base di accordi ad hoc con i quali gli Stati si impegnano a versare le quote addizionali concordate. Vedi Della Fina V., “Fondo internazionale di sviluppo agricolo (IFAD)”, op. cit., p. 363. 67 Secondo il quadro strategico 2007-2010, la finalità generale dell’IFAD è mettere uomini e donne poveri che vivono nelle aree rurali dei paesi in via di sviluppo in condizione di ottenere redditi più alti e una maggiore sicurezza alimentare. Gli obiettivi sono garantire che i poveri delle aree rurali abbiano, oltre alle capacità e all’organizzazione necessarie per trarne profitto, maggiore accesso alle risorse naturali, in particolare accesso indiscusso all’acqua e alla terra, e a una migliore gestione delle risorse naturali e delle tecniche di conservazione di tali risorse; alle tecnologie agricole più avanzate e servizi alla produzione efficaci; ad una vasta gamma di servizi finanziari; a mercati trasparenti e competitivi per i fattori di produzione e i prodotti agricoli; ad opportunità di lavoro rurale non agricolo e di sviluppo delle imprese; ai processi di definizione dei programmi e delle politiche a livello locale e nazionale. Vedi Strategic framework 2007-2010 (ifad.org).

68 La durata del Programma è stata estesa “on a continuing basis for as long as multilateral food aid is found feasible and desiderable”. Vedi Saur, K. G. (ed.), “World Food Programme (WFP)” in Yearbook of International Organizations, Guide to global civil society networks, ed. Union of International Associations, Munchen, 2006-2007.

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revisionate69; in sua attuazione, il Consiglio adotta, e in caso emenda, il Regolamento Generale70. Le

Regole Generali, formalmente riconducibili nella categoria delle regole di diritto interno delle

organizzazioni internazionali, possono considerarsi come lo Statuto del WFP.

L’art VIII71 delle Regole Generali qualifica il WFP come “an autonomous joint subsidiary programme

of the United Nations and FAO”. Il Programma ha infatti la peculiare natura giuridica di organo

sussidiario comune alla FAO e all’ONU72 e il suo funzionamento è sottoposto al controllo congiunto di

entrambe le organizzazioni. Esso, inoltre, è qualificabile come organo operativo e complesso, dotato

cioè di una propria struttura organizzativa73.

Le Nazioni Unite e la FAO controllano il WFP essenzialmente attraverso un organo intergovernativo,

il Consiglio di amministrazione (Executive Board) che, ai sensi dell’art. VI. 1, “will be subject to the

general authority of the Economic and Social Council and the Council of FAO”. Il Consiglio di

amministrazione del WFP ha sostituito, a partire dal 1 gennaio 1996, in forza della ris. 48/162 adottata

dall’Assemblea Generale il 20-12-199374, il precedente Comitato sulle politiche ed i programmi di

aiuto alimentare (CFA) il quale era a sua volta subentrato, a partire dal 1976, al Comitato

intergovernativo, operante dal 196375.

Tale organo, istituito congiuntamente dalle due Organizzazioni, è composto da 36 membri, con

mandato triennale, eletti per metà dall’ECOSOC e per metà dal Consiglio della FAO in modo tale da

69 Le Regole Generali sono state modificate una prima volta nel 1977, con l’approvazione dell’ECOSOC e del Consiglio della FAO, conformemente agli esiti della Conferenza mondiale sull’alimentazione del 1974, e rivedute successivamente nel 1991 nell’ambito della XXVI sessione della Conferenza della FAO (9-28/11/1991). Le ultime modifiche sono entrate in vigore a partire dal 1 gennaio 2004. Vedi General Regulations in allegato. 70 Il Regolamento Generale e ogni suo emendamento sono comunicati all’ECOSOC e al Consiglio della FAO. Art. VI.2 (b). vi, General Regulations. 71 Vedi General Regulations and rules, art. VIII.1 (wfp.org) 72Gli artt. 22 e 68 della Carta dell’ONU e l’art. 6 dello Statuto della FAO attribuiscono rispettivamente all’Assemblea Generale e al Consiglio economico e sociale dell’ONU e alla FAO la facoltà di istituire organi sussidiari. Vedi supra par. sugli organi sussidiari, I cap e par. sul profilo istituzionale e attività della FAO, II cap. 73 Vedi Marchisio, S., “Programma alimentare mondiale”, in Enciclopedia del diritto, II aggiornamento, 1998, p. 791. 74 La ris. 48/162 del 1993 stabilisce alcuni principi generali per la riforma dei settore economico e sociale delle Nazioni Unite, tra cui la trasformazione degli organi principali degli organi sussidiari operativi dell’Assemblea Generale (WFP, UNICEF, UNDP, UNFPA) in consigli di amministrazione con la medesima composizione e simili funzioni e responsabilità. Vedi Shaw, D.J., The UN World Food Programme and the development of food aid, op. cit., p. 232. 75 Con la ris. XXII del 16-11-1974 adottata dalla Conferenza mondiale sull’alimentazione e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU e dalla Conferenza della FAO, il Comitato intergovernativo viene sostituito dal Comitato sulle politiche ed i programmi di aiuto alimentare. Quest’ultimo era composto da 42 Stati, eletti per metà dall’ECOSOC e per metà dal Consiglio della FAO, di cui 15 scelti tra paesi industrializzati e 27 tra i PVS. Al CFA era stato attribuito lo specifico compito, oltre a quelli già propri del Comitato intergovernativo, di elaborare e coordinare le politiche d’aiuto alimentare raccomandate dalla Conferenza mondiale sull’alimentazione del 1974.

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assicurare un’equa ripartizione geografica tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo76. Il

Consiglio si riunisce tre volte l’anno, in una sessione annuale e due ordinarie, tuttavia in circostanze

eccezionali può riunirsi in sessione straordinaria.

Secondo l’art. VI, al Consiglio di amministrazione spetta il controllo generale delle attività del WFP,

l’elaborazione e il coordinamento delle politiche degli aiuti alimentari a breve e lungo termine e le

funzioni di supervisione e direzione intergovernative della gestione del WFP. Esso inoltre esamina,

modifica e approva i programmi, progetti e attività che gli sono sottoposti dal Direttore Esecutivo e i

rispettivi bilanci, verifica infine l’amministrazione e l’esecuzione dei programmi e dei progetti

approvati.

Per quanto riguarda il vincolo di subordinazione che lega il WFP alla FAO e all’ONU, esso si

sostanzia nell’obbligo del Consiglio di amministrazione di presentare un rapporto annuale al Consiglio

economico e sociale dell’ONU e al Consiglio della FAO. Ai sensi dell’art. VI. 3, infatti: “The Board

shall provide a concise report annually on WFP’s programmes, projects and activities including major

decisions of the Board to the substantive session of the Economic and Social Council and the Council

of FAO”.

La struttura organizzativa del WFP, ai sensi dell’art. V delle Regole Generali, è costituita, oltre che dal

Consiglio di amministrazione, dal Segretariato composto dal Direttore Esecutivo (Executive Director)

e da funzionari.

Il Direttore Esecutivo è eletto, per un periodo di cinque anni, dal Segretario delle Nazioni Unite e dal

Direttore Generale della FAO, previa consultazione del Consiglio di amministrazione del WFP.

Secondo l’art VII delle Regole Generali, il Direttore è responsabile, di fronte al Consiglio,

dell’amministrazione del WFP e dell’esecuzione dei suoi programmi, progetti e attività e rappresenta il

Programma nelle relazioni esterne.

Il Direttore Esecutivo svolge un ruolo rilevante nella fase di valutazione e approvazione delle richieste

di assistenza da parte dei governi dei paesi beneficiari: ai sensi dell’art. X. 6, infatti, riceve le richieste,

le esamina e formula proposte ad esse relative, in stretta consultazione con l’ONU, la FAO e gli altri

enti pertinenti77. Le richieste vengono approvate dal Consiglio il quale, tuttavia, può delegare tale

76 Art. V lett. a: “The Executive Board (hereinafter “the Board”) jointly established by the United Nations and FAO and composed of thirty-six (36) States Members of the United Nations or Member Nations of FAO to be elected by the Economic and Social Council of the United Nations and the Council of FAO from among the States listed in Appendix A in accordance with the distribution of seats set out in Appendix B”. L’Appendice A riproduce gli elenchi degli Stati membri della FAO e dell’ONU ai fini dell’elezione al Consiglio di amministrazione del WFP, mentre l’Appendice B, approvata dall’Assemblea dell’ONU e dalla Conferenza della FAO rispettivamente con ris. n. 53/223 del 23-4-1999 e n. 6/99 del 13-11-1999, stabilisce i criteri di distribuzione dei seggi tra le liste. 77 UNDP, UNESCO, UNHCR, etc. a seconda dei settori coinvolti nell’operazione.

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potere direttamente al Direttore esecutivo78. In situazioni di emergenza, le decisioni relative alle

richieste di soccorso che eccedono l’autorità delegata dal Consiglio al Direttore esecutivo, sono prese

congiuntamente dal Direttore generale della FAO e dal Direttore esecutivo del WFP. A tal riguardo,

fino alle modifiche del 1991 che hanno attribuito all’allora CFA il ruolo di principale supervisore, le

Regole Generali non delimitavano in modo sufficientemente chiaro le rispettive sfere di competenza

del Segretario Generale dell’ONU, Direttore generale della FAO e Direttore esecutivo del WFP, con la

conseguenza che spesso scaturivano dispute nella gestione delle operazioni di soccorso che vedevano

entrambe FAO e WFP coinvolti79.

La disciplina giuridica delle attività operative del WFP è oggetto di specifici accordi quadro con gli

Stati beneficiari. Ai sensi dell’art. XI, il Direttore Esecutivo prepara, in consultazione con il governo

interessato, un accordo che indichi, in particolare, termini e condizioni secondo i quali devono

realizzarsi le attività proposte, le responsabilità del governo dello Stato beneficiario, lo status del

Programma e dei suoi funzionari nell’ordinamento interno dello Stato. Gli accordi sono conclusi dal

Direttore Esecutivo, o da un suo rappresentante, in nome del WFP. In caso di operazioni d’urgenza,

invece, tali accordi possono assumere la forma di semplici scambi di lettere tra il Direttore esecutivo e

il governo interessato80.

Per ciò che riguarda le risorse del WFP, in conformità all’art. XIII delle Regole Generali, “all

contributions to WFP shall be on a voluntary basis”. Le risorse del Programma sono costituite, ai sensi

dell’art. 4.1 delle Regole Finanziarie del WFP81, dai contributi degli Stati, degli organismi governativi

o da altre fonti pubbliche o non governative, incluse quelle private; da entrate varie, inclusi gli

interessi sugli investimenti; infine, da fondi fiduciari e conti speciali.

Le risorse del WFP risultano provenire principalmente dalle donazioni dei governi, in denaro, beni o

servizi, annunciati nell’ambito della conferenza speciale convocata dal Segretario Generale dell’ONU

e dal Direttore Generale della FAO ogni due anni, sulla base dell’ammontare complessivo delle risorse

necessarie per ogni esercizio biennale determinato dal Consiglio di amministrazione. Spetta ai donatori

stabilire a quale titolo intendono fornire i loro contributi: come risorse ordinarie (che coprono le spese

78 Art. VI . 2 (c): “The Board shall review, modify as necessary, and approve programmes, projects and activities submitted to it by the Executive Director. In respect of such approvals, however, it may delegate to the Executive Director such authority as it may specify”. Conformemente al suddetto articolo, il Consiglio ha delegato al Direttore esecutivo il potere di approvare progetti di sviluppo, operazioni di emergenza e operazioni di soccorso protratto il cui valore in alimenti non eccede i 3 milioni di dollari. Vedi Appendix to the General Rules-Delegation of Authority to the Executive Director in General Regulations. 79Vedi Wolf, K. D.,“WFP-World Food Programme” in United Nations: law, policies and practice, editor in chief Rudiger Wolfrum, managing editor Christiane Philipp, 1995, p. 1415. 80 Vedi infra, terzo capitolo. 81 Financial Regulation 4.1: “The resources of WFP shall consist of: (a) contributions made pursuant to Article XIII of the General Regulations; (b) miscellaneous income, including interest on investments; and (c) contributions received in trust as set forth in Financial Regulation V”.

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amministrative e i programmi di sviluppo), per operazioni di soccorso prolungato e riabilitazione, a

titolo di Riserva alimentare di emergenza, per operazioni urgenti speciali o, infine, a titolo di

operazioni bilaterali82. Accanto alle donazioni da parte dei governi sono, negli ultimi anni, aumentati i

contributi da parte del settore privato83.

Il Programma amministra la Riserva alimentare di emergenza (IEFR) che è stata istituita nel 1975 dal

Segretario Generale dell’ONU, in conformità alla ris. 18 adottata dalla Conferenza mondiale

sull’alimentazione il 16-11-1974, con un target annuale minimo di 500.000 tonnellate di cereali. Al

suo interno è stato creato un conto di intervento rapido, l’Immediate Response Account (IRA), a sua

volta con un obiettivo di 30 milioni di dollari annui, allo scopo di mettere a disposizione del WFP le

risorse finanziarie necessarie nelle situazioni di emergenza.

Con la ris. 50/227 (1995) dell’Assemblea Generale dell’ONU, la FAO e il WFP hanno assorbito le

funzioni del Consiglio mondiale dell’alimentazione, nato come si è detto nel 1974 su raccomandazione

della Conferenza Mondiale sull’alimentazione, che è stato in tal modo estinto.

2.2.4 Missione e attività del WFP

Secondo l’art. II84 delle Regole Generali, gli obiettivi del World Food Programme consistono

nell’utilizzare gli aiuti alimentari per favorire lo sviluppo economico e sociale dei paesi beneficiari, nel

soddisfare le esigenze dei rifugiati, così come i fabbisogni alimentari nati da altre situazioni di

emergenza e nel promuovere la sicurezza alimentare mondiale conformemente alle raccomandazioni

82 Il WFP può fornire servizi bilaterali previo recupero dei costi. Nel 2007 il totale dei contributi al WFP sono stati di (in migliaia di $) 2.705.376 (rispetto ai 1.821.640 del 2002), così ripartiti: programmi di sviluppo (276.952), operazioni di emergenza (827.776), IRA (26.901), Protracted relief and recovery operation- PRRO (1.324.566), operazioni speciali (162.199), altro (trust funds, conti speciali, fondo ordinario) (86.981). I principali donatori sono stati USA (1.176.257), Commissione Europea (250.437), Canada (160.758), Giappone (118.713), Olanda (75.630), Svezia (64.863), Norvegia (40.209). Vedi WFP, World Food Programme- Annual Report 2007. 83 i contributi del settore privato nel 2007 sono stati di (in migliaia di $) 49.205 rispetto ai 3.788 del 2002. Vedi WFP, World Food Programme- Annual Report 2007. 84Art 2: “The purposes of WFP are: (a) to use food aid to support economic and social development; (b) to meet refugee and other emergency and protracted relief food needs; (c) to promote world food security in accordance with the recommendations of the United Nations and FAO. 2. In order to achieve the foregoing purposes, WFP shall, on request, implement food aid programmes, projects and activities: (a) to aid in economic and social development, concentrating its efforts and resources on the neediest people and countries; (b) to assist in the continuum from emergency relief to development by giving priority to supporting disaster prevention, preparedness and mitigation and post-disaster rehabilitation activities; (c) to assist in meeting refugee and other emergency and protracted relief food needs, using this assistance to the extent possible to serve both relief and development purposes; (d) to provide services to bilateral donors, United Nations agencies and non governmental organizations for operations which are consistent with the purposes of WFP and which complement WFP’s operations”.

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delle Nazioni Unite e della FAO. Nel perseguire questi obiettivi, il WFP, nelle sue operazioni,

concentra i suoi sforzi e le sue risorse sulle popolazioni e i paesi più bisognosi; contribuisce alla

transizione dall’emergenza allo sviluppo dei paesi colpiti da conflitti o disastri naturali, dando la

priorità alla prevenzione, preparazione e mitigazione dei disastri e alle attività successive di

riabilitazione; fornisce servizi bilaterali ai finanziatori, agli enti del sistema ONU e alle organizzazioni

non governative per operazioni che siano conformi alle sue finalità e complementari alle sue attività

(art. II. 2).

Gli obiettivi e le funzioni del Programma, ai sensi dell’art. II.1 del Regolamento, sono integrati da una

Dichiarazione di Intenti, che il Consiglio ha il compito di elaborare e revisionare periodicamente. Il

WFP ha adottato tale Dichiarazione nel dicembre 1994, diventando in questo modo il primo organo

sussidiario del sistema ONU a dotarsi di un simile atto85.

Nella Dichiarazione di Intenti si riconosce, innanzitutto, che l’aiuto alimentare è uno tra i mezzi per

promuovere la sicurezza alimentare e che le politiche che guidano l’assistenza alimentare fornita dal

WFP devono orientarsi all’obiettivo fondamentale dell’eliminazione della fame e della povertà,

dunque della necessità stessa degli aiuti alimentari. L’atto in esame pone al centro delle politiche e

delle strategie del WFP il miglioramento del livello nutrizionale e della qualità della vita delle persone

più vulnerabili e il contributo a “realizzare i beni materiali e a favorire l’autonomia delle popolazioni

indigenti e delle comunità”, in particolare mediante programmi ad alta intensità di manodopera locale

che creano occupazione, reddito e infrastrutture come presupposto di uno sviluppo sostenibile.

Allo scopo di perseguire gli obiettivi definiti nelle Regole Generali e nella Dichiarazione di intenti, al

WFP sono attribuite competenze essenzialmente operative. Infatti, su richiesta dei governi dei paesi

beneficiari, il WFP esegue programmi, progetti e attività di assistenza alimentare classificabili in

operazioni di emergenza (EMOPs), di soccorso prolungato e ricostruzione (PRROs), progetti di

sviluppo (DEVs) o, infine, operazioni speciali (SOs), riconducibili ad altrettante categorie d’intervento

stabilite dal Consiglio86. Va in primo luogo notato come la sfera di attività del Programma,

inizialmente limitata alla gestione delle eccedenze alimentari dei paesi donatori e agli interventi nelle

85 Vedi WFP, WFP Mission Statement, 1994. la Dichiarazione di intenti del WFP è stata approvata all’unanimità dal Consiglio di amministrazione, dopo essere stata elaborata dal Segretariato e esaminata da un gruppo di lavoro composto da 14 membri del Consiglio, sulla base anche dei risultati della prima valutazione tripartita del WFP condotta, tra il 1991-93, da tre tra i maggiori donatori (Canada, Olanda e Norvegia). Vedi Shaw, D.J., The UN World Food Programme and the development of food aid, op. cit., p. 245. 86 Le categorie stabilite dal Consiglio sono: Development Programme Category; Emergency Relief Programme Category; Protracted Relief Programme Category; Special Operations Programme Category (Art. II. 2, General Rules).

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situazioni di emergenza alimentare, si sia estesa nel tempo fino a comprendere programmi di sviluppo

a lungo termine, che oggi, insieme alle operazioni di soccorso, costituiscono la categoria principale87.

Con le operazioni di emergenza il WFP, sulla base della propria competenza tecnica nel settore dei

trasporti e della logistica, risponde ai disastri naturali o ai conflitti fornendo aiuti alimentari e beni di

prima necessità alle popolazioni colpite. Nei tre mesi iniziali di un’emergenza, il WFP, come si vedrà

meglio nel terzo capitolo, può ricorrere a un prestito massimo di 500.000 dollari dall’Immediate

Response Account, superati i quali, se le condizioni lo richiedono, il Country Director elabora un piano

d’azione di emergenza (EMOP) di durata compresa tra i 3 e i 24 mesi.

Oltre questo termine, il WFP può intervenire con una Protracted Relief and Recovery Operation

(PRRO), di durata massima triennale88. Tali operazioni di soccorso prolungato e ricostruzione

sostengono le comunità colpite da disastri nel periodo necessario a ristabilire i propri mezzi di

sussistenza e la sicurezza alimentare. Essi comprendono assistenza ai rifugiati e sfollati, e progetti

quali “cibo in cambio di formazione professionale” o “cibo in cambio di lavoro”, attraverso i quali si

incentivano la formazione e il lavoro da parte di manodopera locale per la ricostruzione delle

infrastrutture necessarie, “scambiati” con razioni alimentari.

Mediante l’assistenza alimentare alle popolazioni colpite da fame cronica e sottonutrizione, i

programmi di sviluppo del WFP mirano invece a sostenerne lo sviluppo economico e sociale a lungo

termine, permettendo alle comunità di convogliare tempo e risorse nella realizzazione di più

sostenibili condizioni di vita. I progetti di sviluppo includono anche quelli miranti a mitigare gli effetti

climatici, come il miglioramento dei terreni, l’irrigazione e la conservazione delle acque, che

contribuiscono a ridurre il rischio d’insicurezza alimentare, e i programmi di school feeding, attraverso

i quali il WFP fornisce razioni alimentari come corrispettivo della frequenza scolastica, che viene in tal

modo incentivata89.

87 Nel 2007 l’ammontare totale delle spese dirette è stato di (in migliaia di $) 2.753.308, così distribuiti: sviluppo (309.318), emergenze (2.005.656), operazioni speciali (166.244), operazioni bilaterali, trust funds e conti speciali (272.090). Vedi WFP, World Food Programme- Annual Report 2007. 88 I PRROs devono essere elaborati almeno sei mesi prima della scadenza dell’EMOP per permettere la mobilitazione delle risorse necessarie e la sua approvazione da parte del Vice Direttore esecutivo, per operazioni con valore inferiore ai $ 3 milioni, del Direttore esecutivo, per operazioni del valore compreso tra i $ 3 e i 20 milioni, del Consiglio di amministrazione, per operazioni il cui valore supera i $20 milioni. Vedi wfp.org. 89 Nel 2007 i beneficiari di tali programmi sono stati 19,3 milioni di bambini; in 45 anni sono 28 i paesi in cui i programmi di alimentazione scolastica, avviati dal PAM, sono ora gestiti direttamente dai governi. Vedi WFP, World Food Programme- Annual Report 2007.

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Le operazioni speciali, infine, che sono per natura a breve termine e solitamente integrative delle

operazioni di emergenza o delle PRROs, sono finalizzate a superare gli impedimenti operativi che

rallentano la catena dell’assistenza alimentare e implicano interventi logistici o sulle infrastrutture90.

Nel fornire assistenza alimentare, il WFP privilegia gli acquisti locali o regionali in base al paese di

destinazione, allo scopo di sostenere i mercati dei PVS e fornire cibo culturalmente più accettabile,

evitando di influire negativamente sul delicato equilibrio di domanda e offerta di paesi con economie

notoriamente fragili91.

Il WFP gestisce la Base di pronto intervento umanitario delle Nazioni Unite (UNHRD) di Brindisi, un

network che permette di inviare aiuti umanitari di primo soccorso nel mondo nell'arco di 24/48 ore.

UNHRD fornisce strutture per lo stoccaggio del materiale e supporto logistico anche ad altre agenzie

delle Nazioni Unite, organizzazioni governative e non governative.

La Dichiarazione di Intenti del 1994, infine, afferma l’importanza, per il WFP, di svolgere un ruolo di

membro attivo del sistema delle Nazioni Unite, ponendo la questione della fame nel mondo al centro

dell’ordine del giorno internazionale e di lavorare in stretta collaborazione con le altre organizzazioni,

in particolare con quelle per l’alimentazione e l’agricoltura con sede in Roma, la FAO e l’IFAD; con

l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, con l’UNHCR e con gli

altri enti e organizzazioni non governative (ONG) partners per fare fronte alle emergenze e alle crisi

umanitarie92.

2.3 ATTIVITA’ CONGIUNTE DEL POLO AGRO-ALIMENTARE: IL TWIN-TRACK APPROACH E GLI OBIETTIVI DEL MILLENNIO

Dalla consapevolezza che nessuna organizzazione da sola possiede le risorse o le capacità necessarie

ad affrontare tutti i problemi legati alla fame e al sottosviluppo, deriva l’importanza accordata da FAO,

IFAD e WFP ad una stretta collaborazione reciproca, oltre a quella con gli altri enti del sistema delle

Nazioni Unite, per potenziare l’impatto complessivo delle proprie attività.

90 Progetti del WFP attivi nel 2007: 19 DEVs, 44 EMOPs, 69 PRROs e 33 SOs. . I beneficiari totali sono stati 86,1 milioni di persone in 80 paesi, di cui 23,8 in progetti di sviluppo, 15,3 in operazioni di emergenza, 47 in operazioni di soccorso prolungato e ricostruzione. Vedi WFP, World Food Programme- Annual Report 2007. 91 Si tratta dell’iniziativa “Purchase for progress” lanciata nel 2008. Già nel 2007, comunque, circa l’80% del cibo acquistato dal WFP, per una cifra di 162 milioni di dollari, proveniva dal 69 PVS. Oltre agli accennati benefici per i paesi produttori, gli acquisti locali consentono al Programma di effettuare transazioni più rapide e di risparmiare sui costi di trasporto. 92 Vedi Shaw, D.J., The UN World Food Programme and the development of food aid, op. cit., p. 230.

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Sono numerosi i livelli ai quali opera la collaborazione del Polo, dalla formulazione di politiche e

orientamenti comuni, allo sviluppo di progetti congiunti di cooperazione allo sviluppo, dai vertici

istituzionali alla condivisione dei costi e all’integrazione di dati e tecnologie dell’informazione.

Altrettanto numerose sono le attività e i progetti comuni: la FAO e il WFP collaborano ad esempio alla

valutazione congiunta della vulnerabilità delle popolazioni povere alle crisi alimentari93; i progetti

finanziati dall’IFAD possono comprendere i programmi di aiuto alimentare e i programmi “cibo in

cambio di lavoro” del WFP; la FAO, attraverso la Divisione del Centro Investimenti, gestisce un

servizio multi-disciplinare per l’identificazione e la valutazione dei progetti idonei per il finanziamento

dell’IFAD.

Il Polo ricopre inoltre un ruolo di primo piano, mediante l’attivazione di numerosi progetti congiunti94

in particolare in relazione al primo Obiettivo, all’interno del Joint Programming, strumento promosso

dalle Nazioni Unite allo scopo di coordinare gli sforzi del sistema ONU e dei partner nazionali per

elaborare, implementare e monitorare le attività dirette al raggiungimento degli Obiettivi del

Millennio95.

Nei casi di emergenza, poi, le agenzie agro-alimentari lavorano spesso insieme per determinare l’entità

e la tipologia di intervento che si rende necessario, conformemente al cluster approach introdotto nel

2005 dall’ONU per garantire una più coerente ed efficace risposta umanitaria del sistema globale96. Il

Polo peraltro aveva già offerto esempi di collaborazione, come la risposta congiunta fornita

all’emergenza provocata dallo Tsunami del 2004 nei paesi asiatici, attraverso interventi distinti ma

complementari.

93 Nel 1997 21 organismi e organizzazioni, perseguendo gli obiettivi del Vertice Mondiale sull’Alimentazione del 1996, hanno creato un Gruppo di Lavoro di Mediazione per sviluppare insieme un Sistema di Mappatura e Informazione sulla Vulnerabilità e sulla Precarietà Alimentare (FIVIMS), all’interno del quale FAO, IFAD e WFP svolgono un ruolo di primo piano attraverso supporto tecnico e finanziario. 94 il WFP ha preso parte, nel 2007, a 84 joint programmes (JPs) in 36 paesi beneficiari, principalmente in tre settori principali: HIV/AIDS (14 JPs), istruzione (13 JPs), Obiettivi di Sviluppo del Millennio (11 JPs). In Tanzania il WFP e FAO collaborano in 5 JPs e WFP e IFAD in 1 JP; in Mozambico, il Building Commodity Value Chains and Market Linkages for Farmers’ Associations, rappresenta un caso di JP trilaterale tra FAO, IFAD e WFP. Vedi WFP, World Food Programme- Annual Report 2007. 95 Il Joint Programming è uno strumento nell’ambito dell’iniziativa Delivering as One delle Nazioni Unite, sviluppatasi a partire dalle raccomandazioni contenute nel rapporto finale, dell’aprile 2007, del Gruppo di alte personalità sulla coerenza del sistema delle Nazioni Unite nelle aree dello sviluppo, dell'assistenza umanitaria e dell'ambiente. Il Gruppo è stato istituito nel 2006 dall’allora Segretario dell’ONU Kofi Annan per valutare l'esigenza di riorganizzare il ruolo delle agenzie, fondi e programmi del Sistema delle Nazioni Unite operanti nei settori della promozione dello sviluppo umano, dell'assistenza umanitaria e della protezione dell'ambiente al fine di eliminare eventuali duplicazioni dei rispettivi mandati e di aumentare l'incisività e l'efficacia dell'azione delle Nazioni Unite. Vedi High-level Panel on System-wide Coherence (un.org). 96 L’Emergency Relief Coordinator (ERC) ha lanciato nel 2005 un’Humanitarian Response Review allo scopo di valutare le capacità di risposta umanitaria del sistema globale (Sistema ONU, ONGs, Red Cross, etc) e eventuali aree da potenziare. Lo studio ha individuato il cluster approach come strumento per rendere la risposta umanitaria globale più effettiva, attraverso la creazione di partenariati, e più prevedibile e strutturata, attraverso una chiara divisione dei compiti e delle responsabilità nei vari settori di risposta. Vedi infra, terzo capitolo e Office for Coordination of Humanitarian Affairs (ochaonline.un.org).

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FAO, IFAD e WFP sono impegnati nel raggiungimento degli Obiettivi del Millennio. Le tre agenzie

concordano nella valutazione per la quale tali obiettivi possono essere conseguiti solamente a patto di

aiutare le persone in povertà estrema, in particolare nelle aree rurali, ad emergere dallo stato di miseria

e fame in cui sono confinate. Conseguentemente, i tre soggetti del Polo concentrano la loro attività sul

primo obiettivo del Millennio di dimezzare, entro il 2015, la popolazione che vive in condizioni di

povertà estrema e fame.

A tal fine, il Polo ha elaborato il cosiddetto twin track approach, strategia del “doppio binario”, che

combina l’assistenza immediata a programmi di sviluppo a lungo termine diretti ad accrescere la

produttività, creare posti di lavoro e aumentare il valore dei beni locali. Secondo le agenzie, inoltre, se

si vuole ottenere un progresso concreto, la struttura del commercio agricolo internazionale deve

diventare più equa, offrendo ai paesi in via di sviluppo le stesse possibilità di guadagno

dall’esportazione dei propri prodotti. La prima direttrice d’intervento, costituita da assistenza

alimentare mirata, prevenzione sanitaria, programmi di school-feeding, ricostruzione di infrastrutture

danneggiate dai conflitti o disastri naturali, deve abbinarsi alla seconda fatta da investimenti a lungo

termine nello sviluppo rurale. Le tre agenzie operano in collaborazione per assicurare il funzionamento

della strategia twin track. Le diverse attività e settori di competenza dei tre soggetti sono tra loro

complementari e concorrono all’obiettivo individuato: la FAO con il sostegno allo sviluppo rurale

tramite il suo expertise nel settore agricolo, il WFP fornendo assistenza alimentare nelle emergenze,

ricostruzione e programmi di school-feeding, l’IFAD con i suoi progetti che migliorano l’accesso delle

popolazioni dei PVS a risorse indispensabili quali i servizi finanziari, le risorse tecnologiche, la terra e

i mercati.

Le agenzie sono anche impegnate a ricercare soluzioni congiunte agli altri Obiettivi del Millennio.

Concorrono all’obiettivo di garantire l’educazione primaria universale (secondo Obiettivo) con i

programmi di school feeding del WFP e gli altri progetti volti a incrementare i redditi familiari così da

favorire la frequenza scolastica.

Per quanto riguarda il terzo Obiettivo di promuovere la parità dei sessi, le donne ricevono

un’attenzione particolare nei progetti del WFP, IFAD e FAO. Il ruolo fondamentale delle donne nello

sviluppo di strategie di lotta alla povertà è da tempo riconosciuto dagli operatori della cooperazione

internazionale e le tre agenzie le definiscono un target prioritario dei loro programmi. Le donne,

infatti, costituiscono la maggioranza dei poveri nel mondo e spesso sono il vero sostegno

dell’agricoltura, lavorando la terra molto più degli uomini. L’esperienza dimostra che quando le donne

vengono dotate degli strumenti appropriati, ad esempio consentendo loro l’accesso al credito, i risultati

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sono migliori nell’elevare il reddito famigliare, risultando più affidabili degli uomini nella gestione

delle risorse loro concesse.

Nel perseguire l’ottavo Obiettivo di creare un partenariato globale per lo sviluppo, le tre agenzie

stanziate a Roma sono state tra i fondatori dell’Alleanza contro la fame (IAAH) che, a partire da una

proposta del Presidente tedesco J. Rau del 2001, è stata ufficialmente lanciata nel corso della Giornata

mondiale dell’alimentazione del 2003 con l’intento di riunire in una partnership globale, nazionale e

locale per la sensibilizzazione sul tema della fame, le organizzazioni internazionali, le ONG, i

donatori, i produttori e i consumatori di prodotti alimentari, il mondo scientifico e accademico97.

Dalla ricostruzione che si è proposta emerge l’evoluzione del concetto di sviluppo nell’ambito della

cooperazione del sistema ONU e in particolare nel settore agro-alimentare. Nel tempo tale concetto è

andato ampliandosi dalla dimensione esclusivamente economica ad altre dimensioni di tipo sociale e

culturale. Si è rilevato come tale evoluzione abbia trovato riscontro nella “filosofia” cui le tre agenzie

del Polo agro-alimentare dichiarano di ispirarsi, centrata oggi sul diritto individuale e collettivo ad

un’alimentazione adeguata e sul principio per cui ogni forma di assistenza alimentare debba essere

orientata al conseguimento dell’autonomia e dell’autosufficienza delle popolazioni. Nella prassi, FAO,

IFAD e WFP hanno ampliato gradualmente il loro campo d’azione fino ad includere, nel

perseguimento del loro mandato istituzionale, aspetti sociali come dimostrano i programmi che

collegano l’assistenza alimentare alla frequenza scolastica e alla formazione professionale e culturali,

come dimostrano la teoria e la pratica del cibo culturalmente accettabile.

97 Vedi International Alliance Against Hunger (iaahp.net).

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CAPITOLO 3

IL WORLD FOOD PROGRAMME E L’ASSISTENZA UMANITARIA

3.1 LE NAZIONI UNITE E L’ASSISTENZA UMANITARIA

Nell’ambito della cooperazione economica e sociale nel sistema delle Nazioni Unite, particolare

rilievo assume l’assistenza umanitaria e d’urgenza, che si distingue nettamente dall’assistenza allo

sviluppo. Tale settore della cooperazione, infatti, attiene alla prima fase dei soccorsi in un’emergenza e

si sostanzia in aiuti, la cui efficacia è subordinata alla tempestività delle operazioni di soccorso, diretti

a garantire i bisogni essenziali da cui dipende la sopravvivenza stessa della popolazione colpita.

Le crisi umanitarie possono essere causate da catastrofi naturali, conflitti armati e in generale da tutti

quei disastri che stravolgono le normali condizioni di vita di una popolazione. Questa è ad ogni modo

una definizione relativa, in quanto l’impatto di un disastro, di qualunque natura esso sia, può variare in

relazione al grado di vulnerabilità e viceversa al grado di sviluppo della comunità colpita. Povertà e

arretratezza, infatti, possono amplificare gli effetti di una catastrofe naturale o innescare tensioni

interne o internazionali.

L’aumento esponenziale, registrato nell’ultimo ventennio, delle crisi umanitarie dovute a conflitti

armati o catastrofi naturali e del numero delle vittime ad esse collegate, ha fatto sì che assumessero un

ruolo di primo piano nella gestione del fenomeno l’assistenza umanitaria internazionale e i suoi attori.

Di fronte alla mancanza di volontà politica degli Stati di rimuovere le cause delle emergenze

umanitarie, come il sottosviluppo e i conflitti armati, le Nazioni Unite hanno svolto e continuano a

svolgere un ruolo centrale nel fronteggiare tale fenomeno. Se l’ONU si è, sin dai suoi esordi, dotato di

funzioni operative attraverso la fornitura diretta di soccorsi, è solo in tempi recenti che si è impegnato

nella regolamentazione e nel coordinamento dell’assistenza umanitaria.

Benché la Carta dell’ONU non incarichi direttamente l’Organizzazione di occuparsi di assistenza

umanitaria, il fondamento giuridico della sua competenza in materia può essere ricondotto all’art. 1.3

della Carta stessa. Tale norma, come osservato nel primo capitolo, annovera tra gli scopi delle Nazioni

Unite quello di conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali

di carattere, inter alia, umanitario.

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Gli organi preposti alla realizzazione di tale obiettivo, come d’altronde alla cooperazione economica e

sociale nel complesso, sono l’Assemblea Generale e, sotto la sua direzione, il Consiglio Economico e

Sociale. Un ruolo di primo piano, tuttavia, è stato svolto anche dal Segretario Generale cui competono,

ai sensi degli artt. 98 e 99 della Carta1, le funzioni che gli vengono affidate dagli organi collegiali

dell’Organizzazione2 nonché le funzioni politiche autonome cui fa riferimento il secondo dei suddetti

articoli. Fu proprio sulla base dei vasti poteri di iniziativa previsti dall’art. 99 che, nel 1971, il

Segretario Generale dell’ONU, di fronte all’inerzia degli altri organi, promosse la prima operazione di

soccorso su vasta scala dell’ONU nel Pakistan orientale, a seguito di un ciclone che fece più di

500.000 vittime.

Mentre si è dedicata alla formulazione dei principi solo dalla fine degli anni ottanta, l’ONU si è invece

occupata della fornitura diretta di soccorsi sin dalle origini. Sono infatti molteplici le agenzie e i

programmi del sistema onusiano che operano nel campo dell’assistenza umanitaria. Dopo il fallimento

dell’Unione Internazionale di Soccorso3, al momento della creazione delle Nazioni Unite, gli Stati

decisero di non istituire un’organizzazione con lo specifico mandato di fornire assistenza umanitaria in

qualunque situazione di emergenza4.

Il primo organismo al quale vennero affidati compiti operativi, creato nel 1943 e dunque antecedente

alla nascita dell’ONU, fu la United Nations Relief and Rehabilitation Administration (UNRRA). Tale

ente fu creato allo scopo di portare soccorso alle vittime civili della seconda guerra mondiale, gestire i

campi di sfollati e il rimpatrio di milioni di rifugiati e, una volta portati a termine tali compiti, venne

dissolto nel 1947. Dopo l’estinzione dell’UNRRA, molte delle sue funzioni vennero assunte da diversi

organismi, primi fra tutti dallo United Nations High commissioner for Refugees (UNHCR) e dallo

United Nations Children’s Fund (UNICEF).

1 Art. 98 della Carta dell’ONU: “The Secretary-General shall act in that capacity in all meetings of the General Assembly, of the Security Council, of the Economic and Social Council, and of the Trusteeship Council, and shall perform such other functions as are entrusted to him by these organs”. Art. 99 “The Secretary-General may bring to the attention of the Security Council any matter which in his opinion may threaten the maintenance of international peace and security”. 2 Proprio su tale base, nel 1964 l’ECOSOC incaricò l’allora Segretario Generale di esaminare quale potesse essere il ruolo più appropriato per l’ONU nella risposta umanitaria da far seguire ai disastri naturali.Vedi ris. 1049 (XXXVII) 1964. 3 Nel 1927 43 Stati firmarono la Convenzione per la creazione di un’Unione Internazionale di soccorso allo scopo di portare soccorsi laddove fosse necessario. Costituita nel 1933, le sue attività rimasero comunque molto limitate e lo scoppio del secondo conflitto mondiale e la fine della Società delle Nazioni ne decretarono la fine. 4 Vedi Zorzi Giustiniani, F., Le Nazioni Unite e l’assistenza umanitaria, Napoli, Editoriale Scientifica, 2008, p.162.

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L’UNHCR, tuttavia, venne istituito solo nel 19515 quando succedette all’ International Refugee

Organization (IRO) allo scadere del mandato quinquennale di quest’ultimo. Lo Statuto di UNHCR

stabilì, come sua funzione principale, la protezione giuridica dei rifugiati, senza che fossero

inizialmente previste funzioni operative simili a quelle dei suoi predecessori. Esse vennero integrate

nel suo mandato solo successivamente, quando emerse l’esigenza di fornire assistenza materiale ai

rifugiati che ricadevano sotto la sua protezione6.

L’altro organismo che ha ereditato gran parte delle funzioni operative dell’UNRRA è l’UNICEF,

inizialmente istituito come programma temporaneo e successivamente trasformato, nel 1953, in organo

sussidiario a carattere permanente dell’Assemblea Generale. L’UNICEF non ha mai smesso di

svolgere compiti di assistenza umanitaria sia in situazioni di emergenza derivanti da conflitti, come

previsto dal suo mandato originario, sia da catastrofi naturali.

Altri organi sussidiari dell’ONU che svolgono un ruolo operativo in materia umanitaria sono

l’UNRWA7, l’UNDP e l’UNEP; tra gli Istituti Specializzati va invece segnalata l’attività svolta dalla

WHO e, come descritto nel secondo capitolo, dalla FAO. Nel campo dell’assistenza alimentare, un

ruolo cruciale è stato svolto sin dalla sua creazione nel 1963 dal WFP, tanto che oggi è la principale

agenzia umanitaria del sistema ONU.

In seguto all’altissimo numero di catastrofi naturali verificatisi a partire dal 1965, le Nazioni Unite

hanno assunto un ruolo chiave nel coordinamento del settore. Nel 1971 è stato quindi creato l’Ufficio

dello United Nations Disaster Relief Coordinator (UNDRO) con il compito di coordinare tutte le

azioni di soccorso internazionale in caso di catastrofe naturale. L’UNDRO è stato sostituito dopo

vent’anni di attività, anche a testimonianza del cresciuto interesse degli Stati per le questioni

umanitarie, prima dal Department of Humanitarian Affairs (DHA) e poi dall’ Office for the

Coordination of Humanitarian Assistance (OCHA)8.

3.1.1 I principi dell’azione umanitaria delle Nazioni Unite

5 L’UNHCR è stato istituito dall’Assemblea Generale dell’ONU quale suo organo sussidiario con ris. 319 (IV) del 19 dicembre 1949, ma cominciò le sue attività solo nel 1951 allo scadere del mandato dell’IRO. 6 Nel 1952 l’Assemblea Generale dell’ONU autorizzò UNCHR, per la prima volta, a lanciare un appello per raccogliere fondi per assistere i rifugiati che ricadevano nel suo mandato. Vedi ris. 538 (VI), 2 febbraio 1952. Vedi Zorzi Giustiniani, F., Le Nazioni Unite e l’assistenza umanitaria,, op. cit., p. 163. 7 UNRWA – United Nations Relief and Work Agency for Palestinian Refugees in the Near East, creata dall’Assemblea Generale nel 1948 con compiti esclusivamente umanitari relativamente alla situazione dei rifugiati palestinesi in seguito alla nascita dello Stato di Israele. 8 Vedi infra.

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I principi che contraddistinguono l’assistenza umanitaria sono l’umanità, l’imparzialità e la neutralità.

Tali principi sono nati e si sono sviluppati nell’ambito del Movimento di croce Rossa e Mezzaluna

Rossa. Essi hanno poi ricevuto un riconoscimento convenzionale, mediante il riferimento all’azione

del CICR, nelle Convenzioni di Ginevra e nei relativi Protocolli; grazie all’adozione di tali strumenti,

sono diventati i principi propri di ogni operazione di soccorso umanitario condotta in tempo di

conflitto armato9.

Il requisito dell’umanità, come menzionato nelle Convenzioni10, è riferito sia all’ente che presta i

soccorsi che al contenuto dell’assistenza umanitaria, senza essere definito ulteriormente. L’esplicito

riferimento alla Croce Rossa fatto nelle Convenzioni permette di adottare la definizione, fornita dalla

Croce Rossa stessa, secondo la quale un’organizzazione, per definirsi umanitaria, “must be concerned

with the condition of man, considered solely as a human being, regardless of his value as a military,

political, professional or other unit”11.

La seconda caratteristica richiesta dalle Convenzioni in materia di attività di soccorso, l’imparzialità,

fa riferimento all’assenza di ogni discriminazione oggettiva, ossia alla non applicazione di distinzioni

sfavorevoli nei confronti di certe persone, in ragione della loro appartenenza a una determinata

categoria12.

La neutralità non viene espressamente annoverata dalle Convenzioni tra i requisiti dell’assistenza

umanitaria, tuttavia è un concetto che permea l’intero corpus del diritto umanitario nel senso che

quest’ultimo non prende posizione sulle cause dei conflitti e richiede di essere applicato e rispettato da

tutti i belligeranti e dalle parti contraenti delle Convenzioni e dei Protocolli. Il concetto di neutralità è

peraltro strettamente connesso con quello di imparzialità ma, a differenza di quest’ultimo che richiede

di agire secondo regole prestabilite, il requisito della neutralità impone un obbligo di astensione.

Astenersi, quindi, dal prendere posizione in controversie di natura politica, razziale, religiosa o

9 Ai sensi dell’art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra del 1949, applicabile ai conflitti armati non internazionali e ormai parte del diritto consuetudinario internazionale, “un ente umanitario imparziale, come il Comitato internazionale della Croce Rossa, può offrire i suoi servigi alle Parti belligeranti”. Secondo il II Protocollo Addizionale relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati non internazionali, “quando la popolazione civile soffre di privazioni eccessive per mancanza di approvvigionamenti essenziali alla sua sopravvivenza, come i viveri e i rifornimenti sanitari, sono intraprese, con il consenso dell’Alta Parte contraente, azioni di soccorso in favore della popolazione civile, di carattere esclusivamente umanitario e imparziale e svolte senza alcuna distinzione di carattere sfavorevole” (art. 18.2). 10 Art. 3, cit. “un ente umanitario imparziale, come il Comitato internazionale della Croce Rossa” e art. 59 della IV CG “Allorché la popolazione di un territorio occupato o una parte della stessa sia insufficientemente approvvigionata, la Potenza occupante accetterà le azioni di soccorso organizzate a favore di detta popolazione e le faciliterà nella piena misura dei suoi mezzi. Queste azioni, che potranno essere intraprese sia da Stati, sia da un ente umanitario imparziale, come il Comitato internazionale della Croce Rossa, consisteranno specialmente in invii di viveri, medicinali ed oggetti di vestiario”. 11 Vedi Uhler O., Coursier H. (eds), Commentary, IV Geneva Convention, Geneva, 1958 cit. in Zorzi Giustiniani, F., Le Nazioni Unite e l’assistenza umanitaria,, op. cit., p. 134. 12 Art. 18.2, II Protocollo “(..) azioni di soccorso in favore della popolazione civile, di carattere esclusivamente umanitario e imparziale e svolte senza alcuna distinzione di carattere sfavorevole”.

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ideologica (neutralità ideologica) ma anche attuare una rigida separazione tra combattenti e

popolazione civile, nel senso di assicurarsi che l’assistenza vada a beneficio esclusivamente dei civili

(neutralità militare)13. L’applicazione di questo principio permette, a chi fornisce assistenza, di godere

della fiducia di tutti gli attori coinvolti e di ottenere, quindi, una maggiore facilitazione nell’accesso

alle vittime.

L’applicabilità dei suddetti principi è stata generalizzata a tutte le tipologie di crisi, conflitti armati o

catastrofi naturali, grazie alle tre risoluzioni dell’Assemblea Generale 43/131, 45/100 e 46/18214 in

materia di assistenza umanitaria che li hanno resi i principi cardine di qualsiasi operazione umanitaria.

Tuttavia, con il moltiplicarsi delle organizzazioni umanitarie, si sono manifestate alcune divergenze

riguardo all’interpretazione e all’applicazione di tali principi e alla concezione stessa dell’azione

umanitaria15.

Parallelamente si è giunti all’elaborazione di diversi codici di condotta mediante i quali le parti

aderenti si sono accordate su alcuni standards generali di comportamento in materia di assistenza

umanitaria. Tra le iniziative che hanno ricevuto maggiori adesioni all’interno della comunità

internazionale si segnalano il Code of Conduct for the International Red Cross and Red Crescent

Movement and NGOs in Disaster Relief16 e la Humanitarian Charter and Minimum Standards in

Disaster Response (Sphere Project)17. Quest’ultimo progetto mira a promuovere i diritti delle persone

colpite dai disastri specificando gli standars minimi che dovrebbero essere raggiunti da chi fornisce

assistenza umanitaria; il WFP, insieme ad altri organismi del sistema ONU, vi aderisce e partecipa

attivamente.

Le tre storiche risoluzioni dell’Assemblea Generale in materia di assistenza umanitaria poc’anzi citate

hanno segnato un punto di svolta per quanto riguarda l’impegno dell’ONU nella regolamentazione e

nel coordinamento dell’azione umanitaria. Esse forniscono, infatti, un regime generale alle operazioni

13 Vedi Mackintosh, K., “The Principles of Humanitarian Action in International Humanitarian Law” (HPG Report 5) in The Politics of Principles: the principles of humanitarian action in practice, March 2000, p. 5-7 e Zorzi Giustiniani, F., Le Nazioni Unite e l’assistenza umanitaria,, op. cit., p. 142. 14 Si tratta delle due ris. 43/131 e 45/100 recanti Humanitarian assistance to victims of natural disasters and similar emergency situations adottate l’8 dicembre 1988 e il 14 dicembre 1990 e la ris. 46/182 Strengthening of the coordination of humanitarian emergency assistance of the United Nations adottata il 19 dicembre 1991. 15 Alcune organizzazioni hanno sviluppato il cosiddetto human rights-approach per il quale l’assistenza umanitaria è inscindibile dalla protezione dei diritti dell’uomo finendo, in certi casi, per condizionare la fornitura dei soccorsi all’osservanza dei diritti dell’uomo. Un altro approccio è quello denominato developmentalist approach basato sull’idea del capacity building e dell’applicazione di concetti propri dell’assistenza allo sviluppo a situazioni di emergenza umanitaria; esso prende le mosse dalla critica ai sistemi tradizionali di soccorso accusati di creare dipendenza e ridurre le capacità delle comunità locali. Vedi Zorzi Giustiniani, F., Le Nazioni Unite e l’assistenza umanitaria,, op. cit., pp. 148-152. 16 Sponsorizzato da membri dello Steering Committee for Humanitarian Response (SCHR), da Interaction e dal CICR, è un codice in dieci punti che ha raccolto oltre 200 adesioni tra le ONG umanitarie. 17 È un progetto di SCHR e Interaction, sostenuto da CICR, VOICE e dall’International Council of Voluntary Agencies (ICVA).

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umanitarie e assegnano un ruolo chiave alle Nazioni Unite in materia, affrontando, inoltre, altre due

questioni cruciali, vale a dire l’accesso alle vittime, di cui si avrà modo di parlare in seguito, e il

coordinamento tra gli attori coinvolti, qui di seguito affrontato.

3.1.2 Il coordinamento dell’azione umanitaria nel sistema ONU

L’azione umanitaria è condotta da una pluralità di attori e ciò può comportare il rischio di sprechi e

duplicazioni. Appare quindi fondamentale la necessità del suo coordinamento, inteso come mezzo

volto a garantire la realizzazione dell’obiettivo dell’assistenza umanitaria in ogni operazione di

emergenza, vale a dire la soddisfazione dei bisogni essenziali delle vittime18.

Responsabile del coordinamento è, in linea di principio, lo Stato nazionale. Tuttavia, quando

l’emergenza è tale da gettare lo Stato nel caos, come avviene di regola nelle “emergenze complesse”19,

il coordinamento dei soccorsi non potrà che essere realizzato dalle organizzazioni umanitarie.

Particolare rilievo a riguardo assume il ruolo svolto dalle Nazioni Unite, non solo nel coordinare

l’azione delle sue agenzie e degli Istituti Specializzati del sistema onusiano, ma anche degli altri attori

umanitari. La crescita esponenziale degli organi sussidiari del sistema ONU, osservata nel primo

capitolo, e la loro progressiva autonomia rispetto all’organo da cui promanano20, si riscontra anche nel

settore umanitario nel quale opera una pluralità ed eterogeneità di enti, con il rischio sempre presente

di una risposta non del tutto efficace se non adeguatamente coordinata.

Organi sussidiari e Istituti Specializzati che lavorano in situazioni di emergenza hanno spesso concluso

tra loro accordi bilaterali, generalmente denominati memoranda d’intesa, che istituiscono un quadro

flessibile di collaborazione e ripartizione delle rispettive responsabilità. Nell’esaminare le operazioni

di emergenza del WFP più avanti, si avrà l’occasione di considerare i memoranda che tale agenzia ha

concluso con i suoi partner, in particolare quello tra WFP-UNHCR relativo all’assistenza dei rifugiati

nelle emergenze.

18 “Coordination and all of OCHA’s work is ultimately undertaken to improve the lives and day-to-day living conditions of the people that are at the heart of the UN’s humanitarian purpose – those affected by disaster, calamity and conflict”. Vedi OCHA, OCHA in 2005. Activities and extra budgetary funding requirements, novembre 2004, p.17. 19 Vedi infra, par. 3.3. 20 I principali organi sussidiari dell’ONU che si occupano di assistenza umanitaria sono WFP, UNHCR, UNRWA, UNICEF e UNDP. Come già osservato per il WFP, anche gli altri godono di sostanziale autonomia dall’Assemblea Generale, l’organo che li ha creati, e dal Segretario Generale, vertice della struttura amministrativa dell’Organizzazione. Quest’ultimo, infatti, è incaricato di nominare i direttori, oltre che del WFP, anche di UNDP e UNICEF; eppure, in tutti e tre i casi, deve sempre ottenere la preventiva approvazione degli Stati membri rappresentati nei rispettivi consigli di amministrazione.

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Al di là delle intese bilaterali, il coordinamento globale dell’attività di tutte le agenzie coinvolte è

assicurato dall’ONU attraverso diversi meccanismi e modelli. La ris. 46/182 ha riformato

integralmente la capacità di risposta dell’ONU alle emergenze, prevedendo, in primo luogo, la

creazione della figura dell’Emergency Relief Coordinator (ERC), nominato dal Segretario Generale

quale interlocutore delle agenzie nelle emergenze e guida dei coordinatori residenti che rappresentano

l’ONU nei singoli teatri di crisi21. L’ERC è stato posto al vertice del Dipartimento degli Affari

Umanitari (DHA), creato l’anno seguente come ufficio di supporto22, e poi dell’Ufficio delle Nazioni

Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), nuovo organismo di coordinamento che

nel 1997 ha sostituito il DHA.

La risoluzione prevede tre meccanismi a sostegno dell’azione di coordinamento dell’ERC: l’Inter

Agency Standing Committee (IASC), il Central Emergency Revolving Fund (CERF)23 e il

Consolidated Appeal Process (CAP)24 .

21 Le specifiche responsabilità assegnate all’ERC dalla ris. 46/182 sono: “Under the aegis of the General Assembly and working under the direction of the Secretary-General, the high-level official would have the following responsibilities: a) Processing requests from affected Member States for emergencyassistance requiring a coordinated response; b) Maintaining an overview of all emergencies through, inter alia, the systematic pooling and analysis of early-warning information as envisaged in paragraph 19 above, with a view to coordinating and facilitating the humanitarian assistance of the United Nations system to those emergencies that require a coordinated response; c) Organizing, in consultation with the Government of the affected country, a joint inter-agency needs-assessment mission and preparing a consolidated appeal to be issued by the Secretary-General, to be followed by periodic situation reports including information on all sources of external assistance; d) Actively facilitating, including through negotiation if needed, the access by the operational organizations to emergency areas for the rapid provision of emergency assistance by obtaining the consent of all parties concerned, through modalities such as the establishment of temporary relief corridors where needed, days and zones of tranquility and other forms; e) Managing, in consultation with the operational organizations concerned, the central emergency revolving fund and assisting in the mobilization of resources; f) Serving as a central focal point with Governments and intergovernmental and non-governmental organizations concerning United Nations emergency relief operations and, when appropriate and necessary, mobilizing their emergency relief capacities, including through consultations in his capacity as Chairman of the Inter-Agency Standing Committee; g) Providing consolidated information, including early warning on emergencies, to all interested Governments and concerned authorities, particularly affected and disaster-prone countries, drawing on the capacities of the organizations of the system and other available sources; h) Actively promoting, in close collaboration with concerned organizations, the smooth transition from relief to rehabilitation and reconstruction as relief operations under his aegis are phased out; i) Preparing an annual report for the Secretary-General on the coordination of humanitarian emergency assistance, including information on the central emergency revolving fund, to be submitted to the General Assembly through the Economic and Social Council”. Vedi ris. 46/182, par.35. 22 Il DHA nasce dalla fusione dell’UNDRO con altri uffici creati ad hoc per gestire crisi complesse. 23 Il CERF è un meccanismo centrale di finanziamento che integra le disponibilità finanziarie delle varie agenzie nella fase iniziale delle emergenze. Il suo scopo quindi è quello di permettere al sistema ONU di rispondere tempestivamente alle crisi senza dover attendere che i fondi dei donatori si rendano disponibili. 24 Il CAP è un processo di raccolta fondi congiunto che viene attivato quando una crisi umanitaria necessita di una risposta di tutto il sistema ONU. Esso consiste prima di tutto nella tempestiva valutazione dei bisogni delle vittime e nell’identificazione della strategia operativa più adeguata, predisposte da una missione condotta dai rappresentanti delle agenzie ONU. Sulla base dei risultati della missione viene preparato un documento che verrà usato per richiedere i finanziamenti necessari ai donatori. Una volta ricevuti i finanziamenti, le agenzie devono

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Tra questi ricopre un ruolo di particolare importanza lo IASC. Esso è un organo consultivo, presieduto

dallo stesso ERC, che costituisce il principale meccanismo di coordinamento tra le organizzazioni

umanitarie. Ne fanno parte tutti i programmi e agenzie ONU che si occupano di soccorsi, alcune

organizzazioni esterne a tale sistema e le principali federazioni internazionali di ONG25, rendendolo il

foro ideale dove scambiare informazioni e opinioni tra i membri della comunità umanitaria. Il suo

ruolo consiste nell’elaborare linee-guida della politica umanitaria e migliorare, sul piano operativo, la

risposta del sistema umanitario nel suo insieme26.

Per quanto riguarda il coordinamento sul campo, la ris. 46/182 ha previsto che tali funzioni siano

svolte, di regola, dal coordinatore residente (RC)27, il quale generalmente proviene dall’UNDP.

Quest’ultimo, in qualità di Humanitarian Coordinator (HC), è il diretto rappresentante sul campo

dell’ERC che, infatti, provvede a nominarlo dopo aver consultato lo IASC. Il RC/HC presiede il

Country Team dell’ONU presente in un determinato paese e composto dai rappresentanti delle agenzie

sul campo.

Nel 1994, lo IASC ha approvato altri due modelli possibili: il primo comporta che le cariche di RC e

HC vengano assegnate a persone diverse o che nel paese teatro della crisi non ci sia un RC. Il secondo

si verifica, invece, quando l’ERC decide di designare una lead agency per la fornitura di assistenza

umanitaria e in quel caso il direttore locale dell’agenzia scelta diventa anche coordinatore umanitario.

La scelta di una lead agency, fatta dallo IASC tra i suoi membri, dipende da vari fattori, primo fra tutti

la stretta connessione del suo mandato al tipo di assistenza richiesta nell’emergenza, ma anche la

presenza sul territorio dell’ente e la sua capacità di stabilire meccanismi, sia settoriali che comuni, di

supporto operativo. La scelta, dunque, dipende dalla situazione specifica nella quale si svolge la crisi;

il WFP è stato designato agenzia pilota in numerose emergenze, sia in forza del suo primato nel settore

della distribuzione alimentare che della logistica.

Un tentativo di riforma globale dell’Organizzazione è stato posto in essere dal Programme for Reform

lanciato nel 1997 dal Segretario Generale dell’ONU. Tre punti rilevano a riguardo del futuro delle

restituire le somme che sono state anticipate loro mediante il CERF. Vedi Humanitarian Appeal, ochaonline.un.org/cap2005. 25 ICRC e IOM (International Organization for Migration) con invito permanente, IFRC (International Federation of the Red Cross) in qualità di osservatore e le seguenti federezioni di ONG: InterAction, International Council of Voluntary Agencies, Steering Committee for Humanitarian Response. Vedi IASC, humanitarianinfo.org/iasc. 26 Vedi Zorzi Giustiniani, F., Le Nazioni Unite e l’assistenza umanitaria,, op. cit., p. 212. 27 Per quanto riguarda il ruolo assegnato al RC, la ris. 46/182 prevede: “Within the overall framework described above and in support of the efforts of the affected countries, the resident coordinator should normally coordinate the humanitarian assistance of the United Nations system at the country level. He/She should facilitate the preparedness of the United Nations system and assist in a speedy transition from relief to development. He/She should promote the use of all locally or regionally available relief capacities. The resident coordinator should chair an emergency operations group of field representatives and experts from the system”. Vedi ris. 46/182, par. 39.

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operazioni umanitarie: in primo luogo la creazione di comitati esecutivi per facilitare la cooperazione e

lo scambio di informazioni tra le agenzie e dipartimenti diversi su temi comuni, favorendo

l’abbattimento delle barriere che prima esistevano tra di esse. Dei quattro comitati creati, l’Executive

Committee on Humanitarian Affairs (ECHA) rappresenta attualmente il foro in cui sono dibattute al

livello più alto le questioni umanitarie28. Le altre due novità previste dalla riforma sono la

trasformazione del DHA in OCHA e la soggezione di tutte le agenzie ONU all’autorità dello Special

Representative del Segretario generale29.

Il sistema di coordinamento umanitario delle Nazioni Unite descritto si è rivelato, tuttavia, carente

sotto molti punti di vista. A livello centrale, l’OCHA ha sperimentato sin dagli esordi insufficienza di

risorse, di autorità e di supporto da parte delle agenzie. Esso inoltre dipende, in larga misura, dai

contributi volontari degli Stati. Sul campo, poi, il coordinatore umanitario dovrebbe “facilitare e

garantire una veloce, efficace e ben coordinata assistenza umanitaria a coloro che sono stati seriamente

colpiti dall’emergenza complessa in questione”30, raggiungere accordi con le agenzie onusiane e, nella

misura del possibile, con gli altri attori umanitari sulla divisione dei rispettivi compiti. Spesso il

coordinatore umanitario non è stato in grado di assolvere le sue funzioni a causa delle scarse risorse

che si è visto attribuire. L’esigenza di rafforzare la sua leadership e in generale quella delle Nazioni

Unite nelle emergenze umanitarie è ormai costantemente ribadita dagli organi dell’Organizzazione31.

Una recente riforma in tal senso è stata compiuta dallo IASC che ha deciso di designare un ente guida

(cluster lead) per ogni settore dove erano state rilevate deficienze del sistema32. Nel 2005 ha così

nominato il WFP quale ente guida nel settore della logistica, ponendolo a capo del Global Logistics

Cluster (nel settore degli aiuti alimentari la sua leadership era gia stabilita)33.

28Dell’Executive Committee on Humanitarian Affairs (ECHA) fanno parte tutte le agenzie umanitrie dell’ONU, il Department of Political Affairs (DPA) e il Department of Peace-keeping operations (DPKO). L’ECHA si riunisce mensilmente ed è presieduto dall’Under-Secretary-General (USG) for Humanitarian Affairs, nella sua qualità di direttore di OCHA. Vedi ECHA, ochaonline.un.org. 29 Un Rappresentante Speciale del Segretario generale (SRSG) viene nominato in emergenze complesse dove di solito l’ONU ha dispiegato un’operazione di pace o è impegnato in negoziati poltici. In questi casi al SRSG viene affidata la direzione generale di tutta l’operazione e alla sua autorità sono sottoposte tutte le agenzie operative, coordinatore residente e umanitario. Vedi Renewing the United Nations: a programme for reform, Report of the Secretary General, A/51/959, 14 luglio 1997. 30 Vedi IASC, Terms of reference of the humanitarian coordinator, 9 dicembre 1994, p.1 31 Vedi ris. 59/141 approvata dall’AG il 25 febbraio 2005, par. 2 e la ris. dell’ECOSOC 2003/5 del 15 luglio 2003, par. 35. 32 Vedi Cluster Approach, humanitarianreform.org. 33 Lo IASC ha poi nominato l’UNICEF come ente guida nei settori della nutrizione, acqua, igiene e servizi comuni di dati e UNHCR per la gestione e il coordinamento dei campi, il riparo d’emergenza e la protezione degli sfollati a seguito di un conflitto. Vedi IASC, Guidance Note on Using the Cluster Approach to Strengthen Humanitarian Response, 24 novembre 2006.

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Tracciata la cornice generale dell’assistenza umanitaria del sistema delle Nazioni Unite, i suoi principi,

i suoi attori e il relativo sistema di coordinamento, si passerà ora ad analizzare le operazioni di

emergenza del World Food Programme che in tale ambito si inseriscono.

3.2 LE OPERAZIONI DI EMERGENZA DEL WFP

La povertà genera la fame ed è a sua volta alimentata da mancanza di responsabilità dei politici,

corruzione, agitazioni civili, conflitti etnici o religiosi, disastri naturali improvvisi e siccità prolungate

e diffuse.

Negli ultimi quindici anni si è assistito a un tendenziale aumento dei disastri naturali, incrementando il

numero di crisi umanitarie che implicano la fame delle popolazioni colpite. Dati della Federazione

Internazionale della Croce Rossa mostrano che il numero dei disastri idro-metereologici, come uragani

e siccità, sono aumentati di sette volte rispetto agli anni Sessanta34, mentre quelli geofisici, come

terremoti ed eruzioni vulcaniche, di cinque. Dall’analisi emerge, inoltre, che l’incremento dei disastri

ha un tasso più elevato nei paesi con minore sviluppo umano.

Lo stesso problema si presenta per quanto riguarda i conflitti. Sebbene il loro numero sia diminuito

rispetto al periodo immediatamente successivo alla fine della Guerra Fredda, ne sono ancora attivi

circa venti, alcuni dei quali (Iraq e Sudan ad esempio) richiedono alcune tra le più massicce operazioni

di intervento degli ultimi decenni.

L’andamento di tali fattori fornisce indicazioni precise per quanto riguarda il futuro dell’assistenza

umanitaria e, in particolare, degli aiuti alimentari che sembrano destinati ad aumentare a ritmo

crescente negli anni a venire.

Il WFP è la prima agenzia umanitaria del mondo a fornire aiuti alimentari. Le sue attività, come

brevemente descritto nel capitolo precedente, si dividono in EMOPs (Emergency Operations –

Operazioni di Emergenza), DEVs (Development Programmes – Programmi di Sviluppo), PRROs

(Protracetd Relief and Rehabilitation Operations – Operazioni per il Soccorso prolungato e la

Riabilitazione) e SOs (Special Operations- Operazioni Speciali).

34 Vedi IFRC, World Disaster Report: Focus on Risks, Ginevra, Svizzera, 2003 e CRED (Centre for Research on the Epidemiology of Disasters), cred.be.

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Ognuna di esse risponde ad uno o più dei quattro Obiettivi Strategici35 propri del mandato del WFP e

che incanalano la sua azione verso scopi precisi: salvare vite in situazioni di crisi; proteggere i livelli

base di sostentamento in tali situazioni e rafforzare la capacità di reazione agli shock; sostenere i

miglioramenti nell’alimentazione e lo stato di salute dei bambini, delle madri e di altri soggetti

vulnerabili; promuovere l’accesso all’istruzione e ridurre le disparità tra i sessi .

In questa seconda sezione, l’analisi si concentra sulle Operazioni di Emergenza del WFP, le più

caratterizzanti e più rilevanti, in termini di numero e risorse, della sua attività, esaminandone i principi,

le policies e le varie fasi della loro concreta realizzazione.

L’ultima sezione del capitolo esamina la risposta del WFP ad un particolare tipo di emergenze, quelle

complesse, e il suo approccio verso le specifiche categorie coinvolte nelle situazioni di crisi, ossia i

rifugiati e gli sfollati. Si affronta infine una questione, quella dell’accesso umanitario, che spesso si

pone nelle situazioni di emergenza complessa laddove il diniego o la restrizione dell’accesso alle

vittime può compromettere la realizzazione delle operazioni di soccorso.

3.2.1 I principi umanitari nelle operazioni del WFP

Partendo dalla considerazione che il WFP è un’agenzia umanitaria del sistema ONU a carattere

essenzialmente operativo e che la sua natura giuridica è quella di organo sussidiario comune a due

organizzazioni internazionali, da cui in ultima istanza dipende, si comprende come i principi guida e le

policies che orientano le sue attività, traggano spesso la loro legittimità e la loro ispirazione da fonti

esterne, dall’Assemblea Generale dell’ONU e dalla Conferenza Generale della FAO in primis.

Tuttavia, l’organo direttivo del WFP, sin dagli albori della sua esistenza, non ha mai mancato di

traslare e adattare tali principi all’effettivo operare dell’agenzia, facendo in modo che ogni operazione,

in particolare nel settore dell’assistenza umanitaria, si inserisse in un quadro giuridico e politico

concordato e conforme ai principi del diritto umanitario, dei diritti umani e alle risoluzioni dell’ONU

in materia di assistenza umanitaria.

L’intento è ora quello di tracciare il continuum che intercorre tra i principi e la pratica che

caratterizzano le operazioni di emergenza di questo peculiare organo del sistema ONU, nonché il

contenuto dei criteri in tal modo elaborati e praticati.

35 Gli Obiettivi Strategici del WFP sono enunciati nel Piano Strategico 2008-2011, vedi WFP, WFP Strategic Plan 2008-2011.

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Sulla base dei vari tentativi internazionali di standardizzare la materia e sulla base dell’esperienza sul

campo dell’agenzia, il Consiglio di amministrazione ha adottato la decisione Humanitarian

Principles36 che chiarifica i principi umanitari che guidano l’attività del WFP.

La dichiarazione prende le mosse dalla convinzione che la comunità internazionale debba agire di

fronte alla sofferenza umana nel mondo quando le famiglie, le comunità, le istituzioni locali o

nazionali non sono in grado di fronteggiare i bisogni delle persone più vulnerabili. Si riconosce

l’importanza di assicurare che l’aiuto sia innestato sulle capacità presenti all’interno delle comunità e

dei paesi dove si opera, che l’assistenza alimentare sia il mezzo appropriato alla situazione e sia ben

coordinato con la risposta umanitaria nel complesso.

Muovendo da queste premesse, il WFP ribadisce la sua aderenza agli standars umanitari elaborati

nell’ambito dallo Sphere Project e adottati dallo IASC nel 2000. Il WFP, infatti, ha fornito supporto

tecnico al progetto sin dagli esordi e, recentemente, nell’elaborazione della sezione dedicata alla

sicurezza alimentare e alla nutrizione. Negli accordi che normalmente stipula con le ONG locali per

implementare parte dei suoi progetti, ad esempio, il WFP inserisce la richiesta della loro adesione alla

Sphere Humanitarian Charter e ai suoi standars.

L’obiettivo del WFP è usare l’assistenza, alimentare e non, per soddisfare i bisogni immediati delle

vittime delle emergenze e migliorare la sicurezza alimentare dei suoi beneficiari. A tale obiettivo si

connette l’impegno a non usare mai gli aiuti alimentari come mezzo di pressione politica o economica.

Nel fornire la sua assistenza, il WFP anzitutto riconosce come propri i tre principi basilari

dell’assistenza umanitaria: l’umanità, l’imparzialità e la neutralità37. In secondo luogo, pone a

fondamento di un’efficace azione umanitaria il rispetto, inteso sia nei riguardi dello Stato territoriale in

cui opera, e quindi della sua sovranità e integrità territoriale, sia dei costumi e delle tradizioni locali38.

La dichiarazione continua richiamandosi ai principi dell’auto-sufficienza, della partecipazione e del

capacity-building, precisando che l’assistenza del WFP deve essere fornita in modo tale da non

danneggiare la produzione agricola locale e non interferire nei mercati locali. Per quanto riguarda la

36 WFP, Humanitarian Principles, WFP/EB.A/2004/5-C, Maggio 2004. 37 “Humanity. WFP will seek to prevent and alleviate human suffering wherever it is found and respond with food aid when appropriate. It will provide assistance in ways that respect life, health and dignity. Impartiality. WFP’s assistance will be guided solely by need and will not discriminate in terms of ethnic origin, nationality, political opinion, gender, race or religion. In a country, assistance will be targeted to those most at risk from the consequences of food shortages, following a sound assessment that considers the different needs and vulnerabilities of women, men and children. Neutrality. WFP will not take sides in a conflict and will not engage in controversies of a political, racial, religious or ideological nature. Aid will not be provided to active combatants”. Vedi WFP, Humanitarian Principles, cit. 38 “Foundations of effective humanitarian action. Respect. WFP will respect the sovereignty, territorial integrity and unity of the state in which it is working. WFP will respect local customs and traditions, upholding internationally recognized human rights. WFP will act in accordance with the United Nations Charter and consistent with international humanitarian law and refugee law. WFP will also take into account the Guiding Principles on Internal Displacement, when applicable”. Vedi WFP, Humanitarian Principles, cit.

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partecipazione, invece, essa si riferisce sia al coinvolgimento della popolazione locale

nell’implementazione delle attività del WFP, sia all’inclusione delle istituzioni locali e nazionali nella

programmazione e esecuzione delle stesse. Il WFP, infine, opera in coordinamento con il sistema

ONU, a livello centrale e locale, e con gli altri attori umanitari.

Nella dichiarazione sono inoltre individuati i livelli di accountability e professionalità che il WFP si

impegna a mantenere, tenendo informati i donatori, i Governi dei paesi ospitanti, i beneficiari e gli altri

attori coinvolti delle sue attività e del loro impatto, attraverso rapporti regolari e mantenendo i più alti

standards di professionalità e integrità del suo personale39.

3.2.2 Il WFP e le emergenze

Nell’arco della sua esistenza il WFP, e in particolare l’Executive Board, ha tracciato un esauriente

quadro in cui inserire, definire e disciplinare le emergenze che il WFP si trova ad affrontare. Accanto

ai principi umanitari appena descritti, occorre considerare la definizione di emergenza elaborata e

adattata negli anni dagli organi direttivi del WFP ai fini della sua attività.

Nel 1970 il Comitato intergovernativo ha circoscritto le emergenze a quelle “situazioni urgenti in cui

c’è una chiara evidenza che si è verificato un evento che ha provocato sofferenza umana o perdita di

bestiame e che il governo interessato non ha i mezzi per risolverlo”40. Su questa base, distingue tre

categorie di emergenze: 1) calamità naturali improvvise, come terremoti e alluvioni, 2) emergenze

provocate dall’uomo, come i flussi di rifugiati, 3) condizioni di grave scarsità alimentare dovuta a

siccità, fallimenti dei raccolti, malattie41.

Tale definizione ha subito negli anni integrazioni di non trascurabile portata. Nel 1986 il Comitato

sulle politiche ed i programmi di aiuto alimentare (CFA), avallando l’anzidetta definizione, ha adottato

ampi criteri sulla base dei quali il Direttore Esecutivo avrebbe dovuto valutare l’esistenza di

39 “Professionalism. WFP will maintain the highest standards of professionalism and integrità among its international and national staff to ensure that its programmes are carried out efficiently, effectively, ethically and safely. All staff will adhere to the Standard Code of Conduct for the International Civil Service and the Secretary-General’s Bulletin on Sexual Abuse and Exploitation in Humanitarian Crises and Other Operations”. Vedi WFP, Humanitarian Principles, cit. 40 “(..) for the purposes of WFP emergency projects, emergencies are defined as urgent situations in which there is clear evidence that an event has occurred which causes human suffering or loss of livestock and which the government concerned has not the means to remedy; and it is a demonstrably abnormal event which produces dislocation in the life of a community on an exceptional scale”. Vedi WFP/IGC: 17/5 Rev. 1; WFP/IGC: 17/16. 41 Quest’ultima categoria corrisponde a quella odierna di emergenze ad andamento incrementale. Ibidem.

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un’emergenza a cui far seguire l’intervento del WFP. Ai sensi della decisione del CFA, un’Operazione

di Emergenza ha le sue fondamenta nei seguenti principi: (i) la fame è inaccettabile; (ii) i paesi più

poveri devono ricevere un’attenzione prioritaria negli interventi del WFP; (iii) gli interventi devono

essere rapidi e non soggetti a eccessive formalità burocratiche né a criteri troppo rigidi e (iv)

l’assistenza deve essere temporanea42.

Nel corso degli anni novanta, nel giro di poco tempo, il WFP ha trasformato la sua natura

riconvertendo la sua attività, fino ad allora prevalentemente di sviluppo, in una focalizzata sulle

emergenze verso le quali iniziarono ad essere allocate circa l’80% delle risorse operative43. Il tipo di

attività che si è trovato a svolgere, in particolare, si è indirizzato verso situazioni di conflitto o post-

conflitto e crisi economiche ad andamento incrementale o improvvise, come in Europa dell’Est, nella

Comunità degli Stati Indipendenti (CIS) o in Indonesia.

Questi mutamenti nella prassi hanno trovato riscontro in una corrispondente evoluzione del concetto di

emergenza, testimoniata dall’attenzione che tale materia ha ricevuto dall’organo direttivo del WFP.

Nella prima sessione del 2005 l’Executive Board, sulla base di un’ampia rassegna dell’evoluzione di

tale concetto nella teoria e prassi umanitaria del WFP e della comunità internazionale in generale, ha

integrato la propria definizione di emergenza e i relativi principi. Dall’indagine condotta dal Board, in

particolare rispetto alle altre agenzie ONU e ai suoi principali partners e donatori, emerge che i

soggetti esaminati evitano di dare specifiche definizioni e precise quantificazioni di ciò che costituisce

un’emergenza. Le definizioni adottate usano termini che fanno riferimento a “extraordinary situations”

(UNDP), che colpiscono un “large number of people or a very large percentage of a population”

(IASC); le emergenze sono caratterizzate dalla necessità di ricorrere a “exceptional measures”

(UNHCR) o “extraordinary action” (UNICEF) e un’emergenza è tale solo quando “overwhelms the

normal coping capacities of the affected people and society” (UNICEF) 44.

Le categorie di emergenze generalmente individuate dai soggetti considerati sono tre. Per l’UNICEF,

infatti, esistono emergenze provocate da improvvisi disastri, quelle ad andamento incrementale e

quelle complesse; UNDP, a sua volta, fa riferimento ai disastri naturali, ai disastri provocati dall’uomo

e alle emergenze complesse; l’ACT45 distingue tra “natural”, “human made” e “complex

emergencies”.

42 Vedi WFP/CFA: 21/10Add.1. 43 Vedi Shaw, D.J., The UN World Food Programme and the development of food aid, op. cit., p.182. 44 L’indagine condotta dall’Executive Board nel 2005 include l’esame delle definizioni di “emergenza” e relativi criteri di FAO, OCHA, UNDP, UNHCR, UNICEF, WHO, ICRC (International Committee of the Red Cross), USAID (United States Agency for International Development), IASC, ACT (Action by Churches Together), OXFAM e molti altri. Vedi WFP, Definition of Emergency, WFP/EB.1/2005/4-A/Rev.1. 45 Action by Churches Together, un importante partner nelle operazioni di emergenza del WFP.

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Elemento unificante è il condiviso riconoscimento delle emergenze complesse come una categoria a

sé, caratterizzata da forti implicazioni politiche all’origine del conflitto e durante la fornitura dei

soccorsi. Altro tratto comune nelle definizioni adottate dai soggetti della comunità internazionale è

l’idea che un’emergenza possa originarsi anche da una serie di eventi che erodono i mezzi di

sostentamento e gradualmente distruggono la “capacità di resistenza” delle persone colpite. È altresì

largamente diffusa la nozione di emergenza come sinonimo di crisi “imminente” o “minaccia”,

piuttosto che apice della crisi. Ciò implica che non si attende che l’emergenza venga dichiarata per

entrare in azione, ma al contrario si agisce per evitare l’esplosione della crisi. Le definizioni

considerate, infine, riconoscono l’importanza di una valutazione flessibile basata sui fattori propri

della situazione specifica da affrontare.

3.2.3 Una nuova definizione di emergenza: la protezione delle livelihoods

Alla luce dei cambiamenti interni nonché delle evoluzioni dei principi condivisi dalla comunità

internazionale, si è posta l’esigenza, per il WFP, di adeguare la sua definizione di emergenza. Dal

momento che tale definizione fornisce i criteri guida delle decisioni relative ad ogni Operazione di

Emergenza, essa deve riflettere il più possibile le sfide esistenti e la prassi corrente. In particolare, si

deve riconoscere il rischio connesso con le capacità di sostentamento (livelihoods risk) come parte

integrante del concetto di emergenza, l’esistenza della categoria specifica delle emergenze complesse e

il fondamentale ruolo ricoperto dalla valutazione dei bisogni che l’assistenza mira a soddisfare.

Nel 2005 l’Executive Board ha approvato la seguente definizione di emergenza: “For purposes of WFP

emergency projects, emergencies are defined as urgent situations in which there is clear evidence that

an event or series of events has occurred which causes human suffering or imminently threatens

human lives or livelihoods and which the government concerned has not the means to remedy; and it is

a demonstrably abnormal event or series of events which produces dislocation in the life of a

community on an exceptional scale46”.

L’“evento o serie di eventi” all’origine di un’emergenza possono essere di varia natura: improvvise

calamità naturali quali terremoti, alluvioni, infestazioni di insetti e simili disastri inattesi; disastri

causati dall’uomo che provocano flussi di rifugiati, sfollati o comunque sofferenze della popolazione

colpita; scarsità di cibo determinata da eventi ad andamento incrementale quali siccità, fallimenti di

raccolto, malattie, etc. che hanno come risultato quello di erodere la sicurezza alimentare delle

comunità e delle persone più vulnerabili; accesso al cibo o condizioni di disponibilità dello stesso

46Vedi WFP, Definition of Emergencies, cit. Il corsivo indica le parti emendate nel 2005.

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compromessi da improvvisi shock economici, fallimenti del mercato, collassi dell’economia che

provocano un’erosione della capacità della popolazione e delle persone più vulnerabili di soddisfare le

proprie esigenze alimentari; emergenze complesse di fronte alla quale il governo del paese colpito o il

Segretario Generale dell’ONU richiede l’intervento del WFP47.

In conformità a questi criteri, sono di volta in volta valutati gli specifici casi candidabili per un

intervento del WFP. Le decisioni che concernono le operazioni di soccorso sono quindi fondate sulle

effettive e accertate esigenze delle popolazioni colpite, tenendo conto delle eventuali considerazioni e

criteri che l’Executive Board può in ogni momento modificare, conformemente al mandato e ai

principi del WFP.

Nell’attuale definizione di emergenza, l’attenzione è posta sull’elemento rappresentato dalle capacità

di sostentamento (livelihoods). Già nel 1986 il CFA aveva affermato che fornire assistenza in

un’emergenza presupponeva una valutazione fatta sulla base delle informazioni disponibili e di

un’applicazione flessibile dei criteri approvati, includendo tra le emergenze anche quelle a intensità

incrementale o di tipo livelihood-threatening48. Il WFP poi, nel The policy of Food Aid and

Livelihoods in Emergencies49, che costituisce il quadro normativo delle EMOPs per la protezione del

sostentamento e del recupero, ribadisce che i suoi programmi sono diretti a salvare “lives and

livelihoods”. Tradizionalmente concentrato a salvare vite nelle emergenze, nel tempo il WFP ha potuto

verificare come quest’ultime abbiano spesso un significativo impatto nel lungo periodo sulle capacità

di sostentamento delle persone colpite. Da ciò deriva la strategia oggi adottata di fornire aiuti

alimentari a quelli che sono a rischio di perdere, o hanno perso, tali capacità.

Ai fini dei suoi interventi, con il termine livelihoods il WFP intende le capacità, le risorse e le attività

necessarie per vivere, che comprendono risorse umane (salute, capacità, istruzione), naturali (terra,

acqua, foreste, minerali), sociali (parentele, networks, gruppi), fisiche (infrastrutture, attrezzi) e

finanziarie (salari, risparmi, credito, debiti)50.

Molte delle strategie di sopravvivenza quali quelle di nutrirsi meno o con cibi meno nutrienti, di

indebitamento, della migrazione e della vendita dei propri mezzi materiali, che le vittime di

un’emergenza adottano per soddisfare i bisogni alimentari mettono a repentaglio la loro salute e il loro

benessere, nonché la loro sicurezza alimentare di lungo periodo e la capacità di affrontare le crisi

47 Ibidem. 48 Sebbene la decisione del 1986 non faccia riferimento esplicito al termine “livelihoods”, essa afferma che l’aiuto alimentare è appropriato nelle emergenze ad andamento incrementale allo scopo di “contribuire al miglioramento, nel lungo periodo, della sicurezza famigliare delle famiglie colpite” e “contribuire ad una riduzione della futura vulnerabilità delle persone”. Vedi WFP/CFA: 21/10Add.1 49 WFP, The policy of Food Aid and Livelihoods in Emergencies, WFP/EB.A/2003/5-A. 50 Vedi WFP, The policy of Food Aid and Livelihoods in Emergencies, cit.

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future51. L’assistenza umanitaria diretta a proteggere le capacità di sostentamento, dunque, non solo

facilita il processo di recupero dei singoli nuclei familiari, ma può anche aiutare a preservare risorse

essenziali su cui l’intera comunità si poggerà per riprendersi nell’immediato futuro52.

Si comprende quindi che, se nella vecchia ottica la perdita di bestiame (livestock) era di per sé un

elemento determinante nell’erosione dei mezzi di sostentamento atto a provocare un’emergenza

umanitaria, oggi esso non è più determinante di quanto non lo sia, ad esempio, il tasso di diffusione

dell’HIV/AIDS o il verificarsi di un collasso economico. Dare importanza all’elemento dei “mezzi di

sostentamento” in un’emergenza, significa inoltre riconoscere che non solo un evento esemplare ma

anche una serie di eventi di intensità minore può condurre all’erosione della capacità delle famiglie di

accedere al cibo necessario alla sopravvivenza e che di conseguenza l’assistenza tempestiva può

evitare una perdita irreversibile di tale capacità.

Proteggere le capacità di sostentamento nelle emergenze, tuttavia, può comportare il rischio di deviare

le risorse destinate a rispondere ad uno shock verso situazioni di insicurezza alimentare cronica.

Secondo la politica del WFP, queste ultime situazioni vanno infatti affrontate attraverso programmi di

sviluppo a lungo termine, sebbene non sia sempre facile distinguere tra bisogni cronici e bisogni

transitori nell’ambito di una crisi. Proprio dal riconoscimento che un elevato numero di emergenze

“croniche” fondono soccorso, recupero e sviluppo e richiedono una prospettiva a lungo termine, deriva

l’istituzione della categoria delle Operazione per il soccorso prolungato e la riabilitazione (PRROs).

3.2.4 Le tipologie e le fasi delle operazioni di emergenza

Sebbene politiche, obiettivi, meccanismi di finanziamento siano i medesimi per tutti i tipi di

emergenze – anche se ognuna di esse è poi valutata singolarmente - il WFP individua quattro categorie

di emergenze al fine di programmare i relativi interventi: disastri improvvisi, crisi ad andamento

incrementale, emergenze complesse, flussi di rifugiati.

Le prime tre tipologie di emergenze possono causare spostamenti della popolazione, in gruppi di

internally displaced people (IDPs), le cui condizioni sono normalmente più difficili e le cui esigenze

sono più acute rispetto a quelle della popolazione residente; si vedrà meglio in seguito come il WFP si

rapporta a questa specifica categoria nelle sue operazioni di emergenza.

51 Vedi Gentilini, U., “Vulnerabilità e reti di salvataggio per gli ultra-poveri: l’approccio del World Food Programme”, in La questione agraria, n.1, 2004, p. 74. 52 Vedi Young H., Were G., Aklilu Y., Catley A., Leyland T., Borrel A., Raven-Roberts A., Webb P., Holland D., Johnecheck W., “Nutrition and Livelihoods in Situations of Conflict and Other Crises”, in Scn News, 24, 2002, pp. 28-30.

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Le categorie anzidette possono richiedere due tipologie di assistenza, ossia soccorso e/o recupero e

l’assistenza può interessare tutto il paese colpito o essere localizzata in aree specifiche all’interno di

esso, durare pochi mesi (in caso di disastri improvvisi), uno o più anni (in caso di emergenze

complesse e dove sono coinvolti rifugiati). La valutazione dei bisogni e il tipo di risposta che

l’emergenza richiede variano quindi a seconda del tipo di crisi e, in ogni caso, le emergenze complesse

richiedono sfide di programmazione e di tipo operativo maggiori rispetto agli altri tipi di emergenza,

dovute alla situazione di conflitto in cui si verificano.

Per quanto riguarda le emergenze complesse, stando alla definizione che ne dà l’Executive Board, esse

si determinano quando un conflitto o un tracollo socio-economico provocano una grave crisi

umanitaria e un elevato grado di insicurezza alimentare. Sino alla fine degli anni ottanta, le emergenze

erano solitamente associate ai disastri naturali e solo in misura minore alle crisi human-made. Con il

proliferare dei conflitti nel periodo del “post guerra fredda”, questa situazione è radicalmente mutata: i

numerosi conflitti interni, spesso esacerbati da altri fattori quali disastri naturali o insicurezza

alimentare cronica, hanno provocato un crescente numero di vittime civili e esigenze umanitarie

sempre più pressanti, in particolare relativamente ai rifugiati e agli sfollati. Nei casi di conflitto in cui

la pace è stata ristabilita, possono altresì sorgere particolari esigenze umanitarie relative ai combattenti

smobilitati.

Si vedrà meglio in seguito come il WFP e il sistema delle Nazioni Unite forniscono assistenza

umanitaria nelle emergenze complesse, in particolare in riferimento alle categorie coinvolte (rifugiati e

IDPs).

Ogni Operazione di Emergenza, affinché si realizzi materialmente, richiede la presentazione di un

piano da parte del rappresentante del WFP sul campo e l’approvazione del progetto da parte del

Direttore Esecutivo, dal vice Direttore Esecutivo o dal Direttore Generale della FAO; ciò fa seguito ad

una richiesta da parte del governo del paese colpito o, in casi eccezionali, dello stesso Segretario

Generale delle Nazioni Unite.

La singola operazione, poi, si struttura nelle seguenti fasi: 1) la valutazione dei bisogni delle persone

colpite dalle emergenze (ENA), 2) il targeting, ossia l’identificazione dei gruppi e delle aree più

vulnerabili (Vulnerability Analysis and Mapping – VAM) , 3) la pianificazione dell’operazione e dei

suoi obiettivi (Design and Planning), 4) l’implementazione che prevede la registrazione dei

beneficiari, la distribuzione e la gestione dei beni, 5) il monitoraggio del progetto e l’analisi dei

risultati e, infine, 6) l’uscita dall’emergenza (exiting) o la conversione dell’EMO in una operazione

per il soccorso prolungato e la riabilitazione (PRROs).

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Appare utile analizzare la procedura e i criteri di approvazione, nonché le fasi ritenute più rilevanti di

un’Operazione di Emergenza del WFP, ossia quelle del targeting, della valutazione dei bisogni e

dell’uscita dall’emergenza. Verranno inoltre esaminate le reti di sicurezza alimentare che il WFP attiva

anche in contesti di crisi e la transizione, nel corso di un’EMOP, dalla fase del relief a quella del

recovery.

3.2.5 L’approvazione delle EMOPs e il ruolo del WFP

Quando da una rapida valutazione delle condizioni del paese colpito dalla crisi si accerta che occorre

un’immediata assistenza alimentare da parte del WFP, tale assistenza viene fornita attraverso

l’espansione o l’adattamento di un EMOP, PRRO o programma di sviluppo già esistente in quell’area.

Se invece l’assistenza non può essere fornita attraverso alcun progetto, attività o operazione in corso, e

la procedura regolare per la preparazione e l’approvazione di un EMOP non può essere seguita vista

l’urgenza della situazione, viene predisposto un Immediate Response Project Document per

l’approvazione del Country o Regional Director. Il Country Director (per operazioni a livello di paese)

e il Regional Director (per operazioni a livello regionale) hanno infatti l’autorità, delegata loro dal

Direttore Esecutivo, di approvare un Immediate Response EMOPs fino ad un costo massimo di

500.000 dollari, il cui finanziamento dovrà essere concesso dal Direttore di Operations Management

Programming (OMXP) entro ventiquattro ore.

Al di là di questa particolare categoria di EMOPs, la regolare procedura delle operazioni di emergenza

prevede, in caso di operazione a livello di paese, una presentazione del progetto da parte del Country

Director e una raccomandazione del Regional Drector, oppure, in caso di EMOP regionale o in un

paese dove il WFP non è presente, una presentazione del progetto da parte del Regional Director.

Se il valore totale del cibo necessario all’operazione non eccede i 3 milioni di dollari e l’EMOP si

svolge in un paese dove il WFP operava già prima della crisi, il documento è approvato dal Vice

Direttore Esecutivo (Direttore dell’Operations and Management Department). Nel caso in cui la stessa

tipologia di operazione sia prevista in un paese in cui il WFP non era presente prima dell’emergenza, il

documento è approvato dal Direttore Esecutivo. Quando invece l’operazione supera i 3 milioni di

dollari, essa viene approvata congiuntamente dal Direttore Esecutivo del WFP e dal Direttore Generale

della FAO.

Laddove necessario, e quando il country office fornisce le informazioni necessarie attraverso un

documento attendibile, l’EMOP può essere approvata in soli sette giorni. Tuttavia, si ha un inizio

tempestivo dell’operazione solo quando il cibo e i beni necessari possono essere acquistati o presi in

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prestito localmente o in un paese vicino53, altrimenti il tempo di esecuzione della distribuzione del

cibo, che a quel punto deve essere importato, può essere anche di alcuni mesi.

Le EMOP hanno una durata massima di 24 mesi dall’inizio della crisi e sono di norma seguite da una

PRRO, la cui programmazione è invece più accurata e inizia circa sei mesi prima del suo previsto

avviamento. Eccezionalmente una PRRO può avere inizio prima della fine di un EMOP o addirittura

senza essere preceduta da un’EMOP: se la situazione si stabilizza velocemente e l’operazione è su

piccola scala, infatti, le attività di recupero possono iniziare prima del previsto.

Il Regional Director, tuttavia, può decidere di continuare a fornire l’assistenza attraverso un EMOP

anche se è stato superato il limite massimo dei ventiquattro mesi piuttosto che muovere verso una

PRRO. Tale scelta è opportuna laddove la situazione rimane molto instabile, con alti livelli di

insicurezza alimentare, frequenti spostamenti di popolazione e non si è in grado di pianificare le

attività per più di 12 mesi. Una proposta in tal senso, concordata tra Regional e Country Director, deve

essere sottoposta al Vice Direttore dell’Operations and Management Department e approvata non oltre

15 mesi (9 prima del limite dei 24 mesi dell’EMOP che si intende estendere).

Il quadro giuridico della singola operazione di emergenza è fornito dall’accordo specifico, denominato

Letter of Understanding (LOU), che il WFP stipula con il governo beneficiario prima dell’inizio

dell’intervento. Esso descrive brevemente l’intervento e i suoi obiettivi, la durata prevista e la stima

dei beneficiari e delle aree in cui si prevede di operare.

Di norma, tale accordo costituisce l’implementazione concreta del Basic Agreement che,

precedentemente concluso tra WFP e governo, rappresenta la cornice giuridica di tutte le attività e le

operazioni del WFP in quel paese. Nell’ipotesi in cui non sia stato concluso un Basic Agreement con

quel paese, la Letter of Understanding includerà una clausola con cui le parti si impegnano a rispettare

quanto prescritto dalla Convenzione sui Privilegi ed Immunità delle Nazioni Unite e la Convenzione

sui Privilegi ed Immunità degli Istituti Specializzati, entrambi applicabili al WFP54.

Dei criteri in base ai quali viene accordato l’intervento del WFP, il primo è quello dell’eleggibilità ai

fini dell’individuazione dei soggetti che possono richiederne l’assistenza d’urgenza. Possono fare

richiesta tutti gli Stati membri dell’ONU e i membri o membri associati degli Istituti Specializzati55; la

53 Tuttavia il Regional Director e l’OMXP possono decidere di accelerare le consegne dirottando verso l’area colpita dall’emergenza spedii di cibo da altri paesi. 54 “The Parties have entered into this LOU fully accepting and agreeing to abide by the provisions of the Convention on Privileges and Immunities of the United Nations, and the Convention on the Privileges and Immunities of the Specialized Agencies and its Annex 2, which are both applicable to WFP”. Ibidem. 55 Il WFP può altresì fornire assistenza di emergenza, alimentare o di altro tipo, e supporto logistico qualora lo richieda il Segretario Generale dell’ONU; in questi casi eccezionali l’assistenza del WFP sarà integralmente

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priorità è ad ogni modo accordata alle richieste dei paesi a basso reddito e deficit alimentare (low-

income, food-deficit countries - LIFDCs). Le richieste da parte di tutti gli altri paesi sono considerate

alla luce delle risorse a loro disposizione (in particolare PIL pro capite, capacità di prendere in prestito

dall’IMF, riserve di valuta estera56), della situazione dell’offerta alimentare nazionale, e del grado della

crisi in questione, misurata in particolare sulla base della proporzione di popolazione colpita. Tuttavia,

migliore è la posizione finanziaria del paese richiedente, tuttavia, e maggiore sarà la richiesta di

dimostrare l’eccezionalità della situazione e la necessarietà dell’assistenza alimentare. Un paese a

reddito medio dove un numero di persone non elevato è colpito da un disastro, più o meno

intensamente, non sarà di norma eleggibile ad ottenere il supporto delle risorse del WFP destinate alle

emergenze.

Il secondo criterio attiene alle pre-condizioni necessarie affinché sia concessa l’assistenza del WFP.

Innanzitutto, esse è accordata quando vi è una richiesta da parte del governo o del Segretario Generale

dell’ONU; deve inoltre esserci una valutazione credibile che accerti le condizioni di emergenza, che

l’assistenza internazionale sia necessaria e gli aiuti alimentari siano la risposta opportuna, che il cibo

richiesto non sia già stato fornito da altre fonti e sia possibile una consegna tempestiva dell’aiuto ai

beneficiari stabiliti; deve altresì sussistere l’assicurazione, da parte del governo, che il personale del

WFP sia messo nelle condizioni di monitorare la distribuzione e l’uso del cibo e delle altre eventuali

risorse fornite; non si può prescindere, infine, dalla disponibilità finanziaria necessaria

all’implementazione materiale dell’operazione.

Il WFP, in ogni caso, interviene non in presenza di ogni disastro che si verifichi localmente, bensì in

presenza di disastri oltre la capacità delle comunità colpite e del governo di fronteggiarli con le proprie

forze; ai fini dell’approvazione, viene considerata anche l’assistenza che viene eventualmente offerta

da altre fonti.

Questi criteri consentono al WFP di agire qualora, a giudizio del Direttore Esecutivo, ciò possa

“salvare le vite e proteggere e ristabilire la capacità di sostentamento” delle persone colpite. Ciò

significa che la sussistenza di tali condizioni non creano un obbligo ad agire da parte del WFP: in

ultima istanza, infatti, la decisione viene presa sulla base di una valutazione fondata sulle informazioni

disponibili allo scopo di determinare l’effettiva necessità e la giustificazione di un’operazione di

emergenza.

L’ultimo criterio valuta invece l’idoneità dell’aiuto alimentare, il quale non viene ritenuto la soluzione

ad ogni tipo di emergenza. L’Executive Board individua due situazioni nelle quali, più delle altre,

coordinata con il sistema ONU e gli sforzi dei governi, delle organizzazioni inter-governative e delle ONG coinvolti (General Regulations, art. IX). 56 Secondo quanto stabilito dal CFA nel 1986, infatti, il WFP non valuterà la capacità di risposta alle emergenze da parte di un paese esclusivamente sulla base del PIL. CFA 21/24 (maggio/giugno 1986).

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l’assistenza alimentare d’urgenza è la risposta appropriata: quando l’offerta di cibo ha subito un

collasso (sia che si tratti di un fallimento della produzione o di un cedimento dei mercati, in ogni caso

quando il fallimento dell’offerta è la caratteristica dominante della situazione alimentare); o quando si

è verificato uno spostamento di popolazione - ossia un’inusuale migrazione, originata da una crisi, di

un grande numero di persone dalle proprie case – e queste persone sono sprovviste di altri mezzi di

sopravvivenza.

Nel caso in cui il WFP interviene in un’emergenza, secondo i criteri e le modalità analizzate, esso può

ricoprire diversi ruoli e rispondere a diverse funzioni a seconda della situazione specifica e delle

richieste del governo.

Innanzitutto il WFP può fornire consulenza e assistenza al governo del paese interessato, ma anche alle

altre agenzie ONU coinvolte e alle autorità locali, in riferimento alla valutazione del fabbisogno degli

aiuti alimentari d’urgenza, alla pianificazione e alla gestione degli interventi di aiuto alimentare e al

coordinamento delle consegne di tutti gli aiuti alimentari internazionali.

Il suo compito principale nelle emergenze, tuttavia, è quello di fornire in prima persona aiuti

alimentari, sempre subordinati ad una precedente individuazione dei beneficiari, congiuntamente al

supporto logistico laddove necessario, e aiutare a far sì che la consegna e la distribuzione si svolgano

correttamente. In tutti i casi, l’azione del WFP è pianificata e implementata in stretta collaborazione

con il Resident/Humanitarian Coordinator e gli altri membri del UN country team.

Qualora si tratti di un’emergenza complessa, il WFP coopera con l’ufficio delle Nazioni Unite per il

Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) e le altre agenzie nel quadro di una risposta inter-

agency sulla base di un piano comune d’azione umanitaria (CHAP) e un appello consolidato (CAP)57.

In questa struttura di sforzi integrati, il WFP ha uno specifico ruolo relativamente alla valutazione e al

monitoraggio del fabbisogno di aiuti alimentari, al coordinamento della consegna degli aiuti alimentari

internazionali; l’agenzia, inoltre, fornisce l’expertise logistico di cui ha un indiscusso primato nel

sistema umanitario dell’ONU e, laddove richiesto, i servizi logistici necessari a tutta la comunità

umanitaria internazionale.

In tutte le operazioni di emergenza il WFP ha poi la responsabilità di verificare che l’aiuto fornito sia

stato ricevuto e utilizzato nel modo più efficiente ed efficace possibile, nel rispetto del quadro

giuridico fornito dagli specifici accordi stipulati con il governo e con le altre organizzazioni

interessate.

Il WFP, inoltre, sebbene senza coinvolgersi direttamente, ha il “dovere umanitario” di usare la propria

influenza allo scopo di assicurare che il governo e/o le altre organizzazioni umanitarie forniscano gli

57 Vedi supra, par 3.1.2.

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aiuti non alimentari e i servizi necessari alla sopravvivenza della popolazione colpita, in particolare

acqua, servizi igienici e sanitari, ripari e condizioni di sicurezza, che peraltro risultano funzionali

all’efficacia degli aiuti alimentari forniti dal WFP medesimo.

3.2.6 La valutazione dei bisogni nelle emergenze

L’Emergency Needs Assessment (ENA) costituisce il primo stadio di ogni intervento del WFP: sulla

base delle sue conclusioni, infatti, prende le mosse la progettazione di ogni operazione di soccorso.

Accertata la necessità dell’assistenza esterna e l’adeguatezza degli aiuti alimentari come soluzione alla

specifica situazione, si stima il numero di persone colpite, il loro grado di bisogno in termini di

fabbisogno alimentare e la loro capacità di accedere al cibo con i propri mezzi, nonché la durata

prevista dell’assistenza58. La valutazione deve rappresentare il più possibile i reali bisogni dei futuri

beneficiari in modo tale da evitare di sotto/sovrastimarne il numero e quindi di lasciare persone a

rischio o sprecare risorse scarse.

Le missioni di valutazione condotte dal WFP possono essere di quattro tipi59: valutazioni rapide, che

consistono in una prima e rapida stima dei bisogni in una situazione di particolare urgenza; valutazioni

del raccolto e dell’offerta alimentare, relative all’indagine degli effetti di uno shock (naturale o

economico) sul livello di sicurezza alimentare del paese, di regola condotte con la FAO; valutazioni

congiunte dirette a misurare i potenziali livelli di auto-sufficienza dei rifugiati, effettuate con UNHCR;

le valutazioni dell’ONU di tipo inter-agency, che fanno seguito agli appelli consolidati.

Il fatto che il WFP dipenda completamente dai contributi volontari dei governi e degli altri donatori,

aiuta a comprendere l’importanza della trasparenza e dell’indipendenza della sua attività come

requisito fondamentale per continuare a ricevere fondi e ad operare senza interruzioni. La trasparenza

delle valutazioni dei bisogni nelle emergenze (ENA) è stata a volte messa in dubbio dai donatori,

creando un motivo di preoccupazione per il WFP essendo i risultati delle ENAs usate per convalidare

le richieste di finanziamento delle operazioni.

Dalla consapevolezza dell’importanza delle attività di valutazione, deriva l’attenzione crescente

prestata dal WFP a rafforzare la qualità e l’attendibilità di tale fase nonché a ribadire il continuo

impegno a migliorare i metodi, le capacità e i rapporti con i parnters60 nella valutazione dei bisogni,

58 Vedi Darcy, J, Hofmann, C.A., According to need? Needs assessment and decision-making in the humanitarian sector, Overseas Development Institute 2003, HPG Report No 15. 59 Vedi WFP, Emergency Needs Assessment, WFP/EB.1/2004/4-A, p.20. 60 Il WFP esegue o partecipa a circa 100 missioni di valutazione ogni anno. Al momento, il 50% circa delle ENAs del WFP sono condotte con partners; l’obiettivo è di aumentare tale percentuale fino al 75%, facendo in

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come illustrato nella relativa decisione adottata dal Board nel 200461. Rientrano in questa strategia

recenti iniziative quali l’istituzione nel 2003, all’interno del WFP, dell’Emergency Needs Assessment

Branch (ODAN) allo scopo di fornire supporto e consulenza nelle valutazioni e di collaborare con i

partner e con i donatori, oltre alla maggiore decentralizzazione del processo di valutazione di cui oggi

sono responsabili i Regional e Country Director.

Il WFP, al contempo, ha rafforzato il partenariato locale con i governi e le ONG, sviluppando stretti

legami operativi con le reti nazionali e regionali di valutazione della sicurezza e vulnerabilità

alimentare e incrementando il ricorso ad esperti locali. Esso coopera, inoltre, con i suoi partner

istituzionali, tra cui FAO, UNHCR, UNICEF e IASC, nelle attività di valutazione anche attraverso la

stipulazione di nuovi accordi o la revisione di quelli già esistenti, come nei casi della guida per le

missioni di valutazione congiunta WFP/UNHCR e del FAO/WFP Crop and Food Supply Assessment

Mission Guidelines.

La strategia del WFP diretta a migliorare le ENAs ha altresì integrato i risultati di iniziative parallele

quali l’Humanitarian Charter and Minimum Standards in Disaster Response (Sphere Project)62.

3.2.7 Il targeting nelle emergenze

L’identificazione delle persone più bisognose, delle aree più vulnerabili e dei momenti nei quali

l’assistenza occorre maggiormente, è un fattore fondamentale ai fini dell’efficacia degli aiuti

alimentari e ricopre un importante ruolo nel continuum tra emergenza e sviluppo adottata dal WFP.

Nel 2006, il Consiglio di Amministrazione ha adottato la decisione Targeting in Emergencies63, dove

l’identificazione dei beneficiari delle operazioni del WFP è considerato un elemento centrale di

un’integrata e completa valutazione dei bisogni e di un’adeguata risposta alle emergenze.

Il WFP definisce il targeting come quel processo attraverso il quale vengono selezionate le persone e

le aree ai fini di un trasferimento di risorse e comprende due attività principali: l’identificazione dei

modo che solo le valutazioni rapide siano condotte esclusivamente dal WFP. Vedi WFP, WFP Annual Report 2007, cit. 61 Vedi WFP, Emergency Needs Assessment policy, cit. 62 Vedi supra, par. 3.1.2 63 WFP, Targeting in Emergencies, WFP/EB.1/2006/5-A.

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beneficiari e la selezione dei meccanismi di consegna e distribuzione degli aiuti. L’Executive Board

delinea in tal modo i principi che sottendono un’assistenza alimentare mirata: l’azione del WFP è

rivolta non solo a chi rischia la vita ma anche a chi rischia di perdere i propri mezzi di sostentamento,

il WFP identifica i gruppi più vulnerabili sulla base del loro livello di sicurezza alimentare e

nutrizionale, individua il tipo e la forma di assistenza alimentare che più si adatta alle esigenze di tali

gruppi, ed esegue gli aggiustamenti dei target e le modifiche necessarie nelle sue attività

conformemente ai cambiamenti accertati nei bisogni dei beneficiari.

Il targeting è, infatti, un’attività di gestione richiesta a tutti i livelli del ciclo dell’intervento e avviene

per mezzo dell’unità di Vulnerability Analysis and Mapping. Dal momento che sia le situazioni di

emergenza, così come i bisogni della popolazione, si trasformano e cambiano, anche i gruppi

identificati come target e i metodi di tale attività devono evolversi in misura corrispondente. Un

targeting efficace richiede un’analisi regolare e sistematica di una molteplicità di fattori, inclusa la

dimensione di genere di un’emergenza. Includere questi fattori negli obiettivi dell’operazione

dall’inizio, permette una certa flessibilità nell’individuazione dei beneficiari nelle fasi successive senza

che siano compromessi gli obiettivi generali del progetto. La scelta del tipo di operazione e del

meccanismo di consegna che assicuri che il cibo raggiunga chi ne ha bisogno è un aspetto altrettanto

importante.

Gli impedimenti insiti nelle emergenze, come la mancanza di accesso nelle emergenze complesse

dovuta ai conflitti armati, portano inevitabilmente a fare errori nell’identificazione dei destinatari.

L’obiettivo del WFP è minimizzare gli errori di esclusione, che possono costituire una minaccia alle

vite delle persone colpite, e mantenere entro un limite accettabile gli errori di inclusione, che sono

invece sprechi che devono essere contenuti.

Il targeting, inoltre, normalmente migliora nella transizione da un’operazione di soccorso ad una di

recupero in conseguenza del fatto che il numero dei beneficiari cala e gli errori di identificazione

diminuiscono.

3.2.8 La distribuzione degli aiuti e gli implementing partners

Le attività di distribuzione sono realizzate dal WFP direttamente oppure attraverso implementing

partners con cui vengono conclusi accordi specifici. In situazioni di conflitto interno, nelle aree

sottoposte all’autorità del governo, il WFP coopera con le entità governative esistenti, servendosene a

volte come partners per l’implementazione operativa delle operazioni.

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Quando la capacità nazionale è limitata, la maggior parte degli aiuti viene distribuita mediante le

ONG, in particolare quelle internazionali con cui il WFP ha concluso memoranda d’intesa o mediante

istituzioni locali radicate nel territorio come le chiese e le società della Croce Rossa/Mezzaluna rossa.

Il WFP può altresì ricorrere alle strutture tradizionali, ad esempio affidando la distribuzione ai capi

villaggio o a comitati di donne, ad organizzazioni che rappresentano gli sfollati e i rifugiati o a

comitati locali di soccorso, la cui istituzione è spesso stimolata dal personale sul campo dell’agenzia.

Una modalità alternativa è rappresentata dalla distribuzione su base familiare, che consiste nel

suddividere la comunità in gruppi numericamente simili che eleggono al loro interno un leader a cui

sono affidate le razioni da distribuire tra tutti i componenti.

Il WFP vincola il partenariato con le ONG al rispetto dei cinque Principi del Partenariato (PoP),

adottati durante la Global Humanitarian Platform (GHP) del 2007 dal WFP, le maggiori ONG, il

Movimento della Croce Rossa/Mezzaluna Rossa e le agenzie ONU, che sono: uguaglianza,

trasparenza, approccio orientato ai risultati, responsabilità e complementarietà.

Il partenariato può essere di tipo cooperativo, formalizzato in un Field Level Agreement (FLA), dove

l’ONG è responsabile di eseguire un’attività per conto del WFP (trasporto, stoccaggio, distribuzione) o

di tipo complementare, nel quale le parti progettano insieme un’operazione o il WFP fornisce il cibo

necessario alla realizzazione di un progetto dell’ONG. A parte inevitabili difficoltà operative, la

collaborazione tra WFP e implementing partners rimane di cruciale importanza grazie al valore

aggiunto che il rapporto di queste ultime con il territorio comporta64.

3.2.9 Dal soccorso iniziale alla riabilitazione

Il WFP accorda un particolare significato, e quindi attenzione nella pratica, alla transizione, nel corso

di un’emergenza, dal soccorso iniziale alla fase successiva del ristabilimento del livello di sicurezza

alimentare antecedente alla crisi. La suddetta transizione si rispecchia spesso nel passaggio da

un’operazione di emergenza (EMOP) ad un’operazione per il soccorso prolungato e la riabilitazione

(PRROs).

L’Executive Board ha formulato la seguente definizione di soccorso: “relief is assistance provided to

enable people affected by a crisis to meet their nutritional and related needs (saving lives) with dignity

and without resorting to activities that undermine their future food security (protecting livelihoods)”65.

64 Nel 2007 il WFP ha lavorato con più di 230 ONG in 31 EMOPs in 22 paesi e oltre 2.100 ONG hannno collaborato in 82 PRROs, vedi WFP, WFP’s operational relationship with NGOs – Annual Report 2007 e WFP, Working with NGOs – A Framework for Partnership, WFP/EB.A/2001/4-B. 65 Vedi WFP, Consolidated framework of WFP policies, WFP/EB.2/2008/4-F.

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Va osservato come l’accento sia posto sull’importanza del tipo di assistenza da adottare allo scopo di

non compromettere l’obiettivo di lungo periodo della sicurezza alimentare dei beneficiari.

Il soccorso alimentare si rende necessario quando una crisi priva temporaneamente le persone dei

mezzi di sostentamento e dell’accesso al cibo, e continua ad esserlo fino a quando le persone colpite

non tornano ad essere in grado di procurarsi, con i propri mezzi, un’alimentazione sufficiente ed

adeguata. Se tale fabbisogno è generalmente di breve durata nel caso di emergenze acute ed

improvvise, può invece protrarsi a lungo nel caso di flussi di rifugiati o sfollati che hanno un accesso

limitato alla terra o ai posti di lavoro, così come nelle emergenze complesse quando c’è una

intermittente interruzione delle attività agricole ed economiche.

Il criterio basilare su cui si fonda il soccorso del WFP è che esso deve essere fornito ogni volta si renda

necessario ma allo stesso tempo deve essere ritirato (gradualmente) il prima possibile. Interventi mirati

di soccorso diretti ai nuclei familiari più vulnerabili e più esposti all’insicurezza alimentare, tuttavia,

continuano ad essere implementati per periodi più lunghi anche in seguito alla conclusione

dell’operazione di emergenza.

Il concetto di recovery rimanda invece alla fase immediatamente successiva di un’emergenza, in un

continuum che il WFP si preoccupa di assicurare per evitare che conseguenze negative si ripercuotano

nel lungo periodo sui beneficiari. Tale concetto implica il ripristino di una condizione di normalità

ossia quella antecedente al verificarsi della crisi. Nel contesto delle emergenze che colpiscono la

sicurezza alimentare, per il WFP con recovery si intende “a process that occurs at various levels

(individual, household, community, country) following a shock (human-made or natural disaster)

when, on the basis of existing capacities and, if necessary, with externally provided assistance, there is

a return to the level of food security that existed prior to the shock (livelihoods are restored)”66.

La fase del recupero inizia non appena le persone colpite hanno soddisfatto le immediate esigenze di

sopravvivenza e sono nuovamente in grado di pensare a ricostruire le proprie vite e i propri mezzi di

sussistenza. Nel caso di un disastro naturale, ad esempio, questa fase può cominciare dopo pochi

giorni, mentre nel caso di rifugiati o IDPs il vero recovery inizia solo dopo il ritorno nelle case che

questi hanno abbandonato, in seguito alla decisione di integrarli in modo definitivo nella posizione

attuale, o dopo che sono stati fatti ristabilire altrove. Nell’attesa di una soluzione definitiva, tuttavia, il

livello di autosufficienza può essere incrementato attraverso l’accesso alla terra coltivabile o ad

opportunità di impiego, nonché rafforzandone il livello di salute psico-fisica che permetta loro di

sfruttare effettivamente tali opportunità.

In un’emergenza complessa, infine, il recovery inizia non appena le condizioni locali di sicurezza

permettono di ripristinare le attività agricole o qualunque altra attività che generi reddito in modo

66Vesi WFP, Consolidated framework of WFP policies, cit.

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sostenibile - ma che possono sempre essere interrotte a causa di un deterioramento delle condizioni

circostanti.

In ultima analisi, il primo obiettivo del WFP nelle emergenze rimane quello di assicurare una

tempestiva consegna e distribuzione dei soccorsi umanitari allo scopo di salvare vite; al contempo,

come enunciato nella Dichiarazione di intenti, il WFP cerca di usare l’assistenza d’urgenza in modo

tale che serva sia a scopi di soccorso che di sviluppo67. Occorre quindi considerare gli aiuti alimentari

non solo come un necessario e doveroso intervento durante le crisi umanitarie, ma anche come una

risorsa scarsa, il cui uso attentamente mirato è in grado di prevenire comportamenti che aumentano la

vulnerabilità, e di favorire lo sviluppo di lungo periodo.

3.2.10 Le reti di sicurezza alimentare

Una particolare modalità di impiego degli aiuti alimentari da parte del WFP, trasversale agli Obiettivi

Strategici e alle corrispondenti categorie di operazioni, è rappresentata dalle cosiddette reti di sicurezza

alimentare.

Le “reti di salvataggio” possono essere definite come i trasferimenti di risorse (contante, buoni,

vouchers) volti ad assicurare la quantità minima di consumo di cibo di un determinato gruppo di

persone altamente vulnerabili e a proteggere gli individui da eventuali shock nel consumo alimentare.

Al contempo, tali reti incentivano quanto più possibile l’assunzione di “comportamenti produttivi” dei

beneficiari e costituiscono una piattaforma che collega le strategie d’investimento nella sicurezza

alimentare di una comunità con gli effettivi bisogni degli ultra-poveri68.

Sebbene riguardino tutti gli obiettivi strategici del mandato del WFP, le reti di sicurezza alimentare

attengono in misura maggiore alla seconda priorità strategica (proteggere i livelli base di

sostentamento in situazioni di crisi e rafforzare la capacità di reazione agli shock) e sono spesso

attivate nel corso di un’operazione di emergenza o nella fase di transizione verso un’operazione di

soccorso prolungato e riabilitazione.

Gli specifici interventi compresi in tali reti sono principalmente tre: trasferimenti in denaro, lavori

pubblici e trasferimenti basati sull’alimentazione. Questi ultimi comprendono i trasferimenti indiretti

di alimenti (sussidi al consumo, buoni alimentari) e trasferimenti diretti (“condizionati” e non). Gli

aiuti alimentari si inseriscono in queste tre categorie, con l’obiettivo di raggiungere le persone quando

il loro consumo di alimenti si riduce al di sotto di una data soglia critica a causa di shock di vario

67 “WFP is well placed to play a major role in the continuum from emergency relief to development. (..) emergency assistance will be used to the extent possible to serve both relief and development purposes”, Vedi WFP, WFP Mission Statement, cit. 68 Vedi Gentilini, U., “Vulnerabilità e reti di salvataggio per gli ultra-poveri: l’approccio del World Food Programme”, op. cit., p. 75.

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genere, favorendone al contempo l’inserimento in attività produttive quali la costruzione di

infrastrutture comunitarie69.

Per mezzo della loro funzione di “trampolino”, le reti di salvataggio basate sull’alimentazione non solo

aumentano il consumo corrente, ma pongono anche le basi per migliorare la produttività futura in

situazioni di “emergenza quotidiana”, favorendo il continuum tra emergenza-riabilitazione-sviluppo.

3.2.11 Uscire dalle operazioni di emergenza

La risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU 46/182 afferma che l’assistenza nelle emergenze

deve essere fornita in modo tale da facilitare il recupero e le attività di sviluppo a lungo termine.

Rientra nelle funzioni del Resident/Humanitarian Coordinator a livello locale e dello IASC, sotto la

leadership dell’Emergency Relief Coordinator, a livello globale, assicurare che questi collegamenti

sistematici siano fatti e continuamente perfezionati70.

Secondo lo IASC, l’exit strategy da un’operazione di soccorso è meglio garantita dove e quando il

governo del paese colpito trova la capacità di subentrare nella cura delle vittime. Capacità che peraltro

non deve limitarsi all’assistenza umanitaria ma estendersi, nel caso di emergenze complesse, alla

protezione delle vittime medesime71. Il coordinatore umanitario/residente ha la responsabilità di

determinare, in consultazione con il country team e il governo, quando le condizioni per procedere ad

un totale o parziale ritiro siano soddisfatte72.

Alla luce di quanto stabilito a livello di sistema delle Nazioni Unite dall’ONU e dallo IASC,

l’Executive Board del WFP ha adottato la decisione Exiting Emergencies73 con la quale riconosce,

come parte integrante delle operazioni di emergenza, la necessità di un’exit strategy programmata con

il governo interessato e gli altri partner coinvolti e dichiarata espressamente all’inizio di ogni

intervento allo scopo di facilitare risposte più effettive da parte del paese colpito dopo la fase iniziale

dei soccorsi.

69 Ibidem. 70 IASC (1997) Exit Strategy for Humanitarian Actors in the Context of Complex Emergencies, reliefweb.int, p.1 71 Tale strategia d’uscita prevede che la titolarità dell’operazione venga assunta da un’istituzione permanente, spesso attraverso l’inserimento in già esistenti programmi governativi. Vedi anche Rogers, Beatrice L., and Kathy E., Macias (2004) Program Graduation and Exit Strategies: Title II Program Experiences and Related Research. Food and Nutrition Technical Assistance Project (FANTA).www.fantaproject.org. 72 Ibidem, p. 2. 73 Vedi WFP, Exiting Emergencies, WFP/EB.1/2005/4-B.

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Uscire da un’emergenza può assumere una doppia valenza per il WFP: ritirare la sua assistenza da un

EMOP o da un paese, ma anche sostituire un EMOP con un programma a lungo termine per

proteggere e potenziare i mezzi di sostentamento e la resistenza della comunità interessata. L’obiettivo

principale delle operazioni di emergenza del WFP è riportare la capacità di accesso al cibo delle

comunità colpite ai livelli precedenti all’emergenza e i soccorsi offerti dal WFP devono essere parte di

un più esteso sforzo nazionale e internazionale per raggiungere tale obiettivo, a cui devono aggiungersi

altre forme di assistenza, inclusa quella di tipo non alimentare. L’exit strategy da un’emergenza deve

fare quindi in modo che l’assistenza del WFP venga ritirata senza che sia compromessa la riacquisita

capacità dei beneficiari di soddisfare il proprio fabbisogno alimentare. La strategia d’uscita è quindi un

piano che progetta il ritiro delle risorse dell’agenzia, dal paese o dalla popolazione beneficiaria, senza

che vengano pregiudicati i traguardi raggiunti durante la risposta all’emergenza. Il piano d’uscita

stabilisce gli indicatori in base ai quali ritirarsi, i benchmarks misurabili per valutare i progressi fatti

nel raggiungimento degli obiettivi stabiliti inizialmente, i livelli crescenti verso il loro raggiungimento

e individua i responsabili per ogni livello. Include, infine, misurazioni periodiche dei progressi fatti, le

possibili modificazioni basate su un’analisi dei potenziali rischi e un calendario flessibile che indichi

quando si prevede di raggiungere i benchmarks prefissati.

La chiara identificazione degli obiettivi dell’operazione d’emergenza aiuta a determinare come e

quando uscire. Se l’obiettivo è il recupero di ciò che è stato distrutto, il prolungato accesso al cibo da

parte della comunità ai livelli precedenti all’emergenza costituisce un evidente segnale ai fini

dell’uscita dall’operazione. Si verificano casi, tuttavia, in cui il ripristino dei livelli di sicurezza

alimentare precedenti alla crisi è un risultato insoddisfacente o un obiettivo irrealistico per un

intervento d’emergenza. Si pensi ad esempio al caso di un’emergenza in un contesto di fame cronica in

cui ripristinare i livelli anteriori alla crisi è possibile solo se ai soccorsi si affiancano interventi a lungo

termine del WFP o altri enti umanitari che contrastino le cause della fame alla radice.

L’Executive Board ha stabilito gli indicatori, specifici al contesto in cui si opera, sulla base dei quali

decidere quando uscire da un’emergenza74. Essi possono essere programmatici, che attengono cioè

agli effettivi progressi verso gli obiettivi stabiliti o contestuali, relativi al miglioramento della

complessiva situazione umanitaria o al ritorno dei rifugiati alle loro case. Con i criteri sistematici, poi,

si fa riferimento alla capacità del governo di fornire adeguata assistenza nell’emergenza, mentre gli

indicatori esterni sono attinenti alla diminuzione dei contributi dei donatori al finanziamento

dell’operazione di soccorso.

Nella prassi tuttavia, nonostante gli indicatori siano stati definiti espressamente, a volte si rende

difficile sapere con certezza se l’uscita dall’emergenza è appropriata; gli indicatori vanno quindi intesi

74 Vedi WFP, Exiting Emergencies, cit.

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come parte di un’exit strategy che sia flessibile e lasci spazio alla discussione, a valutazioni qualitative

e a giudizi basati sulle informazioni accessibili al personale sul campo del WFP e degli altri soggetti

coinvolti.

Elemento fondamentale da considerare nel pianificare una strategia d’uscita è il tipo e il grado di

partnership esistente con le altre agenzie ONU, le autorità locali e le ONG e, conseguentemente, è

necessaria l’inclusione del piano del WFP come parte integrante del piano strategico sviluppato dai

soggetti del sistema ONU.

3.3 IL WFP E LE EMERGENZE COMPLESSE

Spetta allo Stato territoriale garantire, in prima battuta, le esigenze umanitarie fondamentali della

popolazione, avendo in materia una “responsabilità primaria”. Le tre risoluzioni in materia di

assistenza umanitaria dell’Assemblea Generale ribadiscono infatti che “it is up to each State first and

foremost to take care of the victims of natural disasters and similar emergency situations occuring in

its territory”75. L’assistenza umanitaria interviene, quindi, soltanto in funzione suppletiva allorché il

sovrano territoriale si dimostri unable o unwilling di provvedere alle esigenze umanitarie della

popolazione ed è subordinata al consenso dello Stato. Tuttavia si parla anche dell’esistenza di un vero

e proprio dovere di assistenza umanitaria da parte della comunità internazionale76.

Il diritto umanitario internazionale, in tutte le disposizioni dedicate alla fornitura dei soccorsi, fa

riferimento alla necessità che il sovrano territoriale permetta l’accesso di tali soccorsi, anche se il

relativo obbligo è espresso in termini diversi a seconda del tipo di conflitto – internazionale o interno –

e dello status del territorio ai quali si riferisce77.

Anche le Nazioni Unite hanno affermato, se pur cautamente, il principio del libero accesso alle vittime

a partire dalle ris. 43/131, 45/100 e 46/182, per le quali “l’accesso alle vittime è essenziale78” e

l’“assistenza umanitaria dovrebbe essere fornita con il consenso dello Stato e in principio sulla base di

una richiesta del paese colpito”79, senza peraltro distinguere esplicitamente tra conflitti internazionali e

conflitti interni80. Il principio è stato nel tempo adottato anche dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU il

75 Vedi ris. AG 43/131, 45/100, 46/182. 76 Lattanzi, F. (1997) Assistenza umanitaria e intervento di umanità (Torino Giappichelli), p.10. 77 Vedi art. 59 della IV Convenzione di Ginevra applicabile ai conflitti internazionali, per cui gli Stati devono accettare e facilitare le operazioni di soccorso. Nei conflitti interni, invece, la disciplina in materia di assistenza umanitaria è contenuta nell’art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra e all’art. 18 del II Protocollo. 78 “In providing humanitarian assistance, in particular the supply of food, medicines or health care, for which access to victims is essential, rapid relief will avoid a tragic increase in the number of victims”, corsivo nostro, ris. AG 43/131, 45/100, 46/182, cit., preambolo. 79 “humanitarian assistance should be provided with the consent of the affected country and in principle on the basis of an appeal by the affected country”, corsivo mio, ris. 46/182, cit, par. I.3. 80 Vedi Mackintosh, K. The Principles of Humanitarian Action in International Humanitarian Law (HPG Report 5), op. cit., p. 9.

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quale, dal conflitto in Bosnia Erzegovina in poi, ha iniziato a esigere dalle parti in conflitto un

“accesso integrale e senza restrizioni” alle vittime civili, esprimendosi in termini obbligatori81.

Di fatto l’accesso è però spesso negato, o comunque ostacolato, e l’efficacia dei soccorsi umanitari è

così ridimensionata. I paragrafi successivi affrontano le problematiche e i dilemmi connessi

all’assistenza alimentare in situazioni di emergenze complesse e in particolare il carattere “sensibile”

del cibo in tali crisi. Si esamina poi l’impatto di fattori caratterizzanti le emergenze complesse, quali

l’accesso umanitario e la massiccia presenza di rifugiati e sfollati, sulla programmazione e

sull’implementazione delle operazioni di emergenza del WFP.

3.3.1 Gli aiuti alimentari del WFP nelle emergenze complesse

Lo IASC, di cui il WFP è membro, ha definito le emergenze complesse come “una crisi umanitaria in

un paese, regione o società in cui vi sia una totale o considerevole delegittimazione dell’autorità

derivante da un conflitto interno o esterno e che richiede un intervento internazionale che vada al di là

del mandato o delle possibilità di una singola agenzia e/o del programma delle Nazioni Unite presente

nel paese82”.

L’azione umanitaria si è realizzata prevalentemente, e tutt’oggi si realizza, in tali ambiti di “emergenza

complessa”, spesso a conflitto ancora aperto, in cui risulta difficile distinguere tra combattenti e civili.

Esse sono caratterizzate da manifestazioni di violenza e da notevoli perdite di vite umane, da un

numero elevato di rifugiati, sfollati e dispersi, da ingenti danni alle strutture economiche e sociali ed

alle infrastrutture, dal collasso delle istituzioni politiche e da alti livelli di insicurezza alimentare. Tali

elementi possono risultare esasperati dall’eventuale coincidenza con disastri naturali quali siccità o

alluvioni83.

Le crisi complesse spesso si protraggono per anni di pari passo con le fasi del conflitto che oscilla e

rifluisce continuamente, a volte su base stagionale; sono volatili, ossia caratterizzate da cambiamenti

improvvisi, legate, ad esempio, a divisioni interne alle fazioni in lotta o a cambi di alleanze, che

81 Vedi ris. 758 (1992), 8 giugno 1992, par. 8 in cui il CdS “demand that all parties and others concerned create immediately the necessary conditions for unimpeded delivery of humanitarian supplies to Sarajevo and other destinations in Bosnia and Herzegovina” . 82 “A humanitarian crisis in a country, region, or society where there is a total or considerable breakdown of authority resulting from internal or external conflict which requires an intenational response that goes beyond the mandate or capacity of any single agency and/or the ongoing UN country programme”, vedi IASC, 10th meeting, Dicembre 1994. 83 Vedi Maniscalco, M. L., “L’azione umanitaria: dilemmi e paradossi vecchi e nuovi”, in Rivista Trimestrale di Scienza dell’Amministrazione”, n. 3, 2004, p. 10-11.

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colpiscono le popolazioni e causano nuovi sfollamenti84, così che il livello dei bisogni umanitari

cambia di conseguenza.

Il WFP dagli anni novanta ad oggi ha distribuito tonnellate di cibo a milioni di persone in situazioni di

emergenze complesse; nonostante ciò, sono stati numerosi i civili che il WFP non è stato in grado di

raggiungere. I costi di consegna sono aumentati, massicce quantità di cibo sono state perse, rubate o

non allocate nel migliore dei modi e molte sono state le critiche che nel tempo sono state rivolte al il

WFP e alla comunità umanitaria nel complesso. Le sfide poste da situazioni di emergenza complessa,

infatti, sono molteplici e richiedono una continua evoluzione delle politiche e delle pratiche adottate.

Dei problemi ricorrenti che l’assistenza alimentare del WFP affronta nelle emergenze complesse, si

pone per primo in ordine temporale l’accesso alle vittime, di cui si dirà nel paragrafo successivo.

Accanto all’accesso, che rimane un elemento molto instabile per tutta la durata dell’emergenza, appare

altrettanto difficile assicurare la protezione del personale e un ambiente sicuro in cui effettuare le

operazioni, determinare il numero di persone bisognose di assistenza, il grado di tale assistenza, e

mantenere le rispettive stime aggiornate, è altrettanto difficile.

I dislivelli nelle informazioni, i dubbi sull’affidabilità di molti dati e le difficoltà nella verifica delle

informazioni, infatti, sono tutti elementi peculiari a questa tipologia di emergenze e si ricollegano al

generale collasso della struttura socio-politica del paese, all’assenza di istituzioni locali rappresentative

di tutta la società e alla presenza di interessi settari (così che le informazioni si riferiscono solo a

determinati gruppi e sono soggette a manipolazioni). La mancanza di dati attendibili è di regola più

acuta nelle prime fasi di un’emergenza ma l’esperienza dimostra che, dopo un graduale miglioramento,

tale affidabilità declina nel tempo. I leader locali o i gruppi che controllano una determinata zona,

infatti, ad un certo punto capiscono come funzionano i meccanismi di valutazione e di allocazione

degli aiuti del WFP e come assicurarsi, manipolandoli, maggiori risorse85.

Stabilire stime realistiche del numero di persone bisognose di assistenza è attività delicata per il WFP;

i numeri sono spesso politicamente “sensibili” e costituiscono un frequente motivo di frizione tra le

agenzie, i rappresentanti delle popolazioni e coloro che detengono il potere a differenti livelli, e a volte

finiscono per essere oggetto di vere e proprie negoziazioni. Laddove mancano le istituzioni, il WFP

usa come fonte di informazione gli attori locali: il suo staff sul campo, le chiese, i consigli, le ONG.

Il cibo rappresenta un elemento chiave nelle emergenze complesse in quanto costituisce un mezzo

essenziale di sopravvivenza per la popolazione ma anche una risorsa strategica strumentalizzata dalle

84 Secondo l’analisi condotta dall’uffico di valuazione del WFP, la divisone interna al SPLA è stato uno dei fattori determinanti al verificarsi della carestia nel Sudan meridionale nel 1991. Vedi WFP, Recurring Challenges in the Provision of Food Assistance in Complex Emergencies – the problems and dilemmas faced by WFP and its partners, Ron Ockwell, Office of Evaluation, WFP, settembre 1999, Roma, p. 3. 85 Vedi Guarnieri, V., “Food aid and Livelihoods: Challenges and Opportunities in Complex Emergencies”, in Forced Migration Review, n. 20, 2004, pp. 4 - 6.

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forze belligeranti e un bene economico prezioso, suscettibile di essere accumulato e commerciato.

Sebbene il WFP tenti di essere neutrale in situazioni di conflitto e di fornire assistenza in modo

imparziale, cioè sulla base dei bisogni, gli aiuti forniti, in particolare quando si tratta di ingenti aiuti

alimentari, non sono mai privi di conseguenze sull’evoluzione degli eventi e delle azioni degli attori

coinvolti nella crisi. Accade ad esempio che l’assistenza fornita si frapponga - involontariamente - agli

obiettivi di alcune fazioni in lotta, diventandone un bersaglio, oppure fornisca un non intenzionale

supporto alle loro operazioni militari86.

Il cibo, poi, offre legittimità e rinforza l’autorità del governo o della fazione che controlla l’area o che,

di fatto, ne controlla la distribuzione. Le operazioni logistiche di consegna e distribuzione, a loro volta,

generano un’attività economica considerevole, rappresentando a volte la principale fonte di

occupazione e di guadagno nelle aree colpite dalla crisi87.

Il rischio più ricorrente è che il cibo venga usato come un’arma politica e militare. In quasi tutte le

crisi fronteggiate dalla comunità umanitaria, le fazioni in lotta hanno cercato di manipolare i processi

di allocazione e distribuzione per favorire le “loro” aree o popolazioni. Le distribuzioni di cibo sono

state usate, in alcuni teatri di crisi, come “esca” per attrarre le persone verso specifiche località dove

potevano essere controllate (Burundi, 1998), attaccate (Zaire orientale, 1997) o creare sfollamenti

artificiali per ottenere gli aiuti (Congo orientale, 1997).

La negazione del cibo è stata anche usata come mezzo per influenzare il voto nelle elezioni (Bosnia,

1996-98) o spingere le popolazioni a lasciare la loro terra e trovare rifugio in aree controllate dal

governo in modo da gravare sulle risorse a disposizione di quest’ultimo e danneggiarne la capacità di

controllo (Angola, 1993-9). Per tutte le ragioni illustrate, gli aiuti alimentari forniti dalla comunità

umanitaria nelle emergenze complesse sono stati in passato accusati da più parti di alimentare e

prolungare i conflitti.

Da queste considerazioni emerge l’esigenza del WFP di monitorare la destinazione del cibo ai

beneficiari identificati e il suo impatto successivo. Sebbene no-food-without-monitoring sia un

principio generalmente applicato dall’agenzia, sono frequenti le eccezioni nelle emergenze complesse,

dove a volte il monitoraggio si limita alle consegne e alle distribuzioni, tralasciando le fasi successive,

a causa di restrizioni imposte dalle parti, risorse insufficienti o ragioni di sicurezza. Ciò non sembra

86 Ciò accade ad esempio quando i camion del WFP che trasportano cibo, messi a disposizione per lavorare con il WFP e che non circolerebbero in quelle aree se non in ragione dei contratti firmati con l’agenzia, sono requisiti da militari o bande armate (ad esempio in Zaire, 1996-97). Vedi WFP, Recurring Challenges in the Provision of Food Assistance in Complex Emergencies – the problems and dilemmas faced by WFP and its partners, cit., p. 14. 87 Le operazioni di assistenza alimentare, infatti, possono essere una fonte di guadagno per gli attori del conflitto sia diretta, attraverso contratti o appropriazione indebita, o indiretta, attraverso la tassazione; spesso sono state imposte tasse sul passaggio dei convogli del WFP (Bosnia), sui beneficiari (Liberia) o gli operatori locali incaricati della distribuzione (Zaire). Vedi WFP, Recurring Challenges in the Provision of Food Assistance in Complex Emergencies – the problems and dilemmas faced by WFP and its partners, cit., p. 14.

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del tutto coerente con il principio di neutralità che impone all’assistenza umanitaria la non

partecipazione (diretta o indiretta) alle ostilità, da cui può ricavarsi il corollario del controllo effettivo

delle risorse immesse nell’area del conflitto da parte delle organizzazioni di soccorso, inteso sia come

supervisione della distribuzione sia come monitoraggio della post-distribuzione88.

Non solo le parti in lotta, ma anche la comunità internazionale ha usato e usa il cibo come strumento di

pressione politica. Molti stati donatori ricorrono all’ear-marking, devolvendo i propri fondi a specifici

programmi o crisi, favorendo operazioni umanitarie in paesi considerati strategici e magari trascurando

paesi che versano in situazioni di crisi di ben maggiore entità. Alcuni donatori hanno condizionato i

contributi al WFP al loro impiego in specifici progetti in località determinate, deliberatamente

favorendo alcuni gruppi e escludendone altri. Allo stesso modo, contributi sono stati ritirati o

indirizzati verso altre agenzie quando il WFP si è rifiutato di organizzare distribuzioni in località

“suggerite” dai donatori89. Gli stessi Rappresentanti Speciali (SRSG), in conformità al loro mandato di

cercare soluzioni politiche alle crisi, hanno più volte chiesto al WFP e alle altre agenzie umanitarie di

modificare i loro piani di distribuzione allo scopo di facilitare i negoziati politici in corso90.

Se decidere il tipo di aiuto da destinare, a chi, e se e quando ritirarlo, è di per sé una sfida per i

funzionari del WFP, che per di più si acuisce in un contesto di emergenza complessa, ciò prende le

forme di un vero e proprio dilemma quando si constata che, sempre più spesso, sono i donatori a

decidere sull’allocazione delle risorse e l’agenzia ha poca discrezione nel fornire assistenza secondo le

proprie valutazioni dei bisogni tra i differenti paesi, aree o gruppi individuati. Il risultato è, tra gli altri,

quello di esporsi all’accusa di coloro i quali la criticano di essere, se pur non intenzionalmente, uno

strumento della politica estera degli Stati donatori.

3.3.2 L’accesso ai beneficiari nelle emergenze complesse

88 Vedi Mackintosh, K. The Principles of Humanitarian Action in International Humanitarian Law (HPG Report 5), op. cit., p. 11. 89Negli anni 1997-98, ad esempio, USAID richiese che il cibo da loro donato venisse distribuito a determinati gruppi nelle regioni di Bay e Bakool (Somalia centrale); tale richiesta fu disattesa dal WFP per motivi di sicurezza. Come risultato, il WFP perse gran parte delle donazioni di USAID. Vedi WFP, Recurring Challenges in the Provision of Food Assistance in Complex Emergencies – the problems and dilemmas faced by WFP and its partners, cit., p. 13. 90 Ad esempio in Afghanistan, Angola, Liberia, Somalia; di solito queste richieste sono state “gentilmente” respinte dal WFP, ma tensioni si sono verificate durante la crisi in Afghanistan (1992-94) nella quale la direzione generale di tutte le attività politiche e umanitarie è stata affidata alla stessa persona. Vedi WFP, Recurring Challenges in the Provision of Food Assistance in Complex Emergencies – the problems and dilemmas faced by WFP and its partners, cit., p. 26.

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Uno dei maggiori ostacoli all’assistenza umanitaria delle Nazioni Unite e ai soccorsi alimentari

d’urgenza del WFP in particolare è costituito, come si è detto, dagli impedimenti frapposti all’accesso

degli aiuti alle vittime. Tale difficoltà non è limitata alle situazioni di conflitto ma può verificarsi

anche quando un gruppo di persone è isolato e/o ostacolato nell’accesso all’assistenza umanitaria in

ragione del proprio status economico, politico, etnico o religioso o delle condizioni di salute.

Il WFP considera l’accesso umanitario una pre-condizione dell’assistenza umanitaria91. Dall’accesso,

infatti, dipende il movimento, libero e sicuro, del personale umanitario per distribuire beni di soccorso

e per raggiungere i civili impossibilitati a muoversi a causa di conflitti, disastri naturali o che si

trovano in altre situazioni di accesso difficile. L’accesso umanitario, poi, è fondamentale per poter

eseguire valutazioni imparziali dei bisogni della popolazione a rischio e quindi fornire l’assistenza

adeguata.

L’accesso umanitario è normalmente frutto di negoziazioni con le parti belligeranti con cui si stabilisce

la sospensione parziale, ratione loci o ratione temporis, delle ostilità. Lo spazio umanitario così

garantito, tuttavia, può ampliarsi o restringersi in qualunque momento per il determinarsi dei più

disparati fattori, in primis di tipo politico o relativi alla sicurezza; esso quindi richiede una diplomazia

costante.

Il termine negotiated access risale al primo accordo del genere concordato dalle Nazioni Unite. Nel

1989 Operation Lifeline Sudan (OLS), il programma umanitario creato dall’ONU e realizzato dal

WFP, dall’UNICEF e da varie ONG locali, ha concluso un accordo con il governo sudanese e il Sudan

People’s Liberation Movement (SPLA)92 per far giungere i soccorsi ai beneficiari nel Sudan

meridionale e agli sfollati dei campi di Khartoum attraverso l’istituzione di “corridoi umanitari”.

L’esperienza è stata da lì in poi ripetuta, dal WFP e dalle altre agenzie ONU, in altri teatri di crisi ad

esempio in Afghanistan, Angola e Etiopia, con varie formule quali ad esempio i “corridoi di pace”, le

“aree sicure”, i “corridoi sicuri” e i “giorni di tranquillità”93.

Le operazioni di emergenza del WFP sono intralciate non solo dalle restrizioni o dal diniego

dell’accesso da parte dello Stato o delle entità non statali che controllano determinate aree del paese,

ma anche dalle estorsioni da parte di bande locali o dalla stessa incapacità dello Stato territoriale di

91 “Humanitarian access involves the free and unimpeded movement of humanitarian personnel to deliver relief services, or the free and safe movement of humanitarian agencies to reach civilians who are trapped, unable to move or detained because of armed conflict, natural disasters and other difficult access situations. Humanitarian access allows impartial assessment of the needs of populations at risk and the delivery of assistance to respond to those needs. Access is therefore a precondition for humanitarian action”, corsivo nostro, vedi WFP, Note on humanitarian access and its implications for WFP, WFP/EB.1/2006/5-B/Rev.1,marzo 2006, par.5. 92 Si tratta dell’Agreement on the implementation of the principles governing the protection and provision of humanitarian assistance to war affected civilian populations. Vedi WFP, Note on humanitarian access and its implications for WFP, cit., par. 6. Vedi anche Zorzi Giustiniani, F., Le Nazioni Unite e l’assistenza umanitaria,, op. cit., p. 106. 93 Vedi WFP, Note on humanitarian access and its implications for WFP, cit., par. 6.

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garantire la sicurezza del personale umanitario. Tali impedimenti sono spesso acuiti dal collasso di

infrastrutture essenziali nella distribuzione degli aiuti o da altri ostacoli di percorso come la presenza

di mine o di ordigni inesplosi.

Le conseguenze di un accesso ostacolato o ritardato sono numerose, innanzitutto le valutazioni e i

monitoraggi dei bisogni risultano inesatti, se non del tutto assenti, e a loro volta conducono a piani

strategici e operativi fondati su informazioni incomplete94. La consegna del cibo, in secondo luogo,

avviene in ritardo, se non addirittura cancellata, il livello nutritivo dei beneficiari si deteriora, così che

si rendono necessarie razioni di cibo supplementare e terapeutico. I costi di trasporto e consegna, poi,

aumentano a causa del ricorso a meccanismi di distribuzione detti di last resort, come ad esempio il

lancio degli aiuti dagli aerei quando è impossibile raggiungere i destinatari via terra. La percezione di

neutralità del WFP, infine, può risentirne95 e la sicurezza del personale è messa a rischio.

Con la creazione dell’OCHA e dell’ERC ai sensi della ris. 46/182, la responsabilità complessiva della

negoziazione dell’accesso è stata centralizzata in linea con i tentativi di rafforzare la coerenza della

risposta umanitaria delle Nazioni Unite96. L’ERC e l’OCHA, che godono di un credito politico

maggiore rispetto alle singole agenzie grazie al rapporto privilegiato con il Segretario Generale, sono

attivamente coinvolti nel condurre le negoziazioni a livello centrale, in stretta consultazione con il

coordinatore umanitario e il country team. A livello locale, infatti, il coordinatore umanitario/residente

è responsabile, insieme al country team, di raggiungere un accordo quadro all’interno del quale, poi, le

singole agenzie negoziano intese dettagliate nei rispettivi settori assumendo un ruolo di leadership a

seconda del tipo di assistenza predominante nella crisi. Come UNHCR negozia l’accesso ai rifugiati e

l’UNICEF ai bambini, il WFP negozia l’accesso per consegnare il cibo quando l’insicurezza

94 In Darfur nel 2004, ad esempio, la mancanza di accesso ha impedito al WFP di raccogliere i dati relativi ai nuclei familiari di 30 comunità sulle 75 selezionate. Le aree controllate dai ribelli dello SPLA, infatti, erano particolarmente difficili da raggiungere e richiedevano un permesso di ingresso negoziato con i comandanti locali. La valutazione dei bisogni complessivi della regione che ne è risultata è stata del tutto inadeguata rispetto alla reale situazione delle aree sotto il controllo del SLA. Vedi WFP (2004), Emergency Food Security and Nutrition Assessment in Darfur, Sudan, Roma. 95 Durante la crisi in Angola nel 1993-94, ad esempio, la difficoltà per il personale del WFP di accedere alle aree controllate dai ribelli dell’UNITA per condurre le sue missioni di valutazione fece sì che un’alta percentuale degli aiuti fosse distribuita nelle aree sotto il controllo del governo. Di conseguenza il WFP fu acusato dall’UNITA di non essere neutrale e, attraverso gli aiuti, favorire la resistenza delle aree filo-governative; la tensione si manifestò più volte attraverso blocchi dei convogli stradali e spari contro gli aerei che trasportavano cibo del WFP. Vedi Vedi Mc Hugh, G., Bessler, M., Humanitarian Negotiations with Armed Groups, New York, United Nations, 2005, par. 3.2.1. 96 Su richiesta del Segretario Generale dell’ONU, un gruppo informale dello IASC, presieduto dall’OCHA e di cui il WFP è parte, ha elaborato nel 2005 un manuale sui negoziati umanitari con i gruppi armati ad uso del personale delle Nazioni Unite per consentire di individuare le caratteristiche dei loro interlocutori (struttura del gruppo, motivazioni, rivendicazioni, dimensione etno-culturale) e condurre i negoziati con la massima sicurezza e cautela. Vedi Vedi Mc Hugh, G., Bessler, M., Humanitarian Negotiations with Armed Groups, op.cit.

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alimentare è la priorità da affrontare97. Nel fare ciò deve spesso concordare, nel ruolo di cluster lead

della logistica che le è stato assegnato, operazioni di trasporto che travalicano i confini nazionali o

attraverso aree in aperto conflitto. Il WFP negozia attraverso il suo Country Director.

Il WFP, in quanto food agency, inoltre, ha esigenze specifiche che devono essere costantemente

tutelate e fatte presenti nelle consultazioni tra le agenzie. L’accesso, infatti, deve essere continuo

poiché le consegne del cibo, a differenza di altri beni di soccorso che possono essere distribuiti una

tantum, devono essere regolari e tempestive. La sensibilità politica implicita in questa forma di aiuti

impone precauzioni ulteriori: si è detto infatti come il cibo possa essere usato come un’“arma” o

comunque influenzare le dinamiche di potere tra i gruppi. L’assistenza alimentare ha poi esigenze

logistiche particolari come ad esempio la presenza di depositi sicuri e adeguati e di un’ampia

pianificazione del trasporto, essendo il cibo voluminoso, deperibile e costoso da trasportare.

Non è possibile standardizzare un approccio del WFP all’accesso umanitario: ogni accesso è case-

specific, richiede quindi capacità diplomatiche, un approccio flessibile e il bilanciamento, di volta in

volta, tra i bisogni dei civili e le esigenze di sicurezza del personale e degli stessi beneficiari. Ogni

emergenza complessa richiede un’analisi attenta degli aspetti politici, sociali ed economici della crisi.

Sebbene, infatti, i negoziati umanitari per garantire l’accesso alle vittime debbano mantenersi separati

da quelli politici, essi non possono essere condotti in un vacuum politico e devono essere politicamente

informati in modo da non danneggiarsi reciprocamente 98.

La cornice giuridico-politica entro cui si sviluppano i negoziati del WFP è composta dai principi del

diritto umanitario internazionale, dai diritti umani e dei rifugiati, dai principi umanitari e dalle policies

che guidano le sue operazioni di emergenza e dai requisiti di sicurezza operativa elaborati dalle

Nazioni Unite99. Nel complesso, essi costituiscono gli standards minimi e i compromessi ammissibili

entro cui il WFP conduce le sue negoziazioni. Tra questi standards, l’agenzia accorda un peso

rilevante all’aderenza alla sua politica di genere per la quale le donne, quando sussistono le condizioni

di sicurezza, sono incaricate di ricevere e distribuire le razioni agli altri membri della comunità100.

Policies altrettanto basilari cui devono conformarsi i contenuti degli accordi consistono nel divieto di

97 Il WFP ha assunto un ruolo di lead agency nei negoziati umanitari che si sono svolti in Sierra Leone dal 1997 in poi, ha assunto la guida dei negoziati con il governo e i ribelli in Guinea-Bissau nel 1998, dopo una prima azione diplomatica condotta dal RC e ha avuto un ruolo chiave nella negoziazione dei “corridoi umanitari” in Sudan tra il 1996 e il 1999. Vedi WFP, Note on humanitarian access and its implications for WFP, cit., par.23. 98 Vedi WFP, Note on humanitarian access and its implications for WFP, cit., par. 26. 99 Il WFP opera sotto la guida politica di United Nations Department on Safety and Security e conformemente a United Nations Minimum Operational Security Standards (MOSS). 100 Sebbene il ricorso alle donne nelle operazioni di distribuzione si sia rilevato un approccio vincente in molti contesti, in particolare nei campi dei rifugiati, in altri casi ha esposto le donne al rischio di attacchi (Liberia, Angola). Vedi WFP, Gender Policy (2003-2007) - Enhanced Commitments to Women to Ensure Food security, WFP/EB.3/2002/4-A, settembre 2002.

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pagare per ottenere l’accesso ai beneficiari e di trasportare armi o persone armate su veicoli

contrassegnati dal logo del WFP.

Un ruolo importante è svolto dalle ONG e dall’ICRC, con cui il WFP e le altre agenzie collaborano per

ottenere e mantenere l’accesso ai beneficiari quando esse non possono essere presenti in prima

persona. In situazioni particolarmente a rischio, infatti, il regolamento sulla sicurezza delle Nazioni

Unite proibisce l’accesso delle agenzie. In quei casi il WFP e gli altri organismi ONU si adoperano per

sviluppare partnership innovative con le ONG, l’ICRC o altri attori della società civile che hanno

politiche di sicurezza più flessibili allo scopo di garantire che gli aiuti arrivino comunque a

destinazione101. Requisito fondamentale di tali accordi è assicurarsi che il partner coinvolto sia

percepito dalla popolazione come neutrale e abbia concluso i necessari accordi con le autorità locali.

L’accesso negoziato dalle Nazioni Unite, dove realizzato, non ha dato purtroppo sempre i frutti sperati.

Per prima cosa, sebbene il WFP il più delle volte tenti di negoziare, in una situazione di conflitto, sia

con i rappresentanti del governo che con i movimenti ribelli o i warlords locali per garantire

l’assistenza alle rispettive popolazioni, in quanto agenzia dell’ONU ha dovuto spesso agire in linea con

i desideri del governo riconosciuto (quando esiste) o nel quadro degli accordi speciali conclusi dalle

Nazioni Unite con il governo (come ne caso di OLS in Sudan), finendo con l’assistere solo le zone

sotto il controllo governativo.

Il cosiddetto humanitarian-access-first approach adottato dall’ONU, poi, rischia di influire

negativamente sull’efficacia dell’azione umanitaria, trasformando l’accesso da mezzo a fine

(“l’accesso a tutti i costi”). In certi casi tale approccio ha subordinato gli obiettivi umanitari al

tentativo di condurre i belligeranti al tavolo della pace o ha finito per favorire in concreto più le parti

belligeranti che la popolazione civile102.

Tale considerazione si lega ad un’analisi critica della progressiva integrazione di assistenza umanitaria

e azione politica sviluppata a partire dagli anni novanta dal Segretario Generale e dal Consiglio di

Sicurezza dell’ONU. L’Agenda per la Pace del 1992 ha, infatti, fornito la cornice concettuale di una

nuova strategia integrata di risoluzione dei conflitti armati di cui l’assistenza umanitaria dovrebbe far

101 In seguito all’eruzione del vulcano Nyiragongo a Goma nel 2002, ad esempio, il WFP ha concordato un meccanismo “creativo” di divisione delle responsabilità per cui il WFP forniva le razioni alimentari, le autorità governative gestivano le liste dei beneficiari e i gruppi politici dell’opposizione della società civile monitoravano la distribuzione. Questa fomula di inclusione degli attori locali, sotto la generale supervisione del WFP, ha funzionato bene anche grazie alla costruzione di un sistema di accountability di tutte le parti. Vedi WFP, Note on humanitarian access and its implications for WFP, cit., par. 36. 102 Nel conflitto bosniaco, ad esempio, i belligeranti acconsentirono a firmare accordi speciali al solo scopo di ottenere credibilità a livello internazionale, senza che ci fosse la reale volontà di rispettarli. Vedi Zorzi Giustiniani, F., Le Nazioni Unite e l’assistenza umanitaria,, op. cit., p. 109.

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parte.103 La riforma lanciata dal Segretario Generale nel 1997 rappresenta il tentativo successivo di

porre in essere tale approccio, attraverso il rafforzamento dello Special Representative (SRSG) che il

Segretario Generale nomina in situazioni di emergenze complesse di particolare rilievo104.

Quando nel teatro di crisi sono presenti forze di peacekeeping dell’ONU o missioni di monitoraggio

che vengono percepite come non neutrali da parte dei gruppi locali, ciò può compromettere anche la

percezione di neutralità di cui godono il WFP e le altre agenzie umanitarie da parte di chi non

distingue correttamente tra i due gruppi di attori ONU.

In ultima analisi, il collegamento dell’azione umanitaria a fini politici non sembra del tutto compatibile

con i principi di imparzialità e neutralità riconosciuti dalla stessa Assemblea Generale come

fondamento dell’assistenza umanitaria. Il ruolo dell’azione umanitaria non è e non può essere quello di

risolvere i conflitti o mettere fine alle violazioni dei diritti umani, che rimangono, in ultima analisi,

obiettivi dell’azione politica105.

3.3.3 Il WFP e i rifugiati

La Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 definisce rifugiato “una persona che temendo

a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un

determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e

non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che,

non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di

siffatti avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per lo stesso timore”.

I diritti dei rifugiati, codificati dalla Convenzione del 1951 e estesi a chiunque rientri nella suddetta

definizione dal Protocollo del 1967, prevedono tra gli altri il fondamentale principio di non-

103 “Al Consiglio di Sicurezza è stata assegnata da tutti gli Stati membri la responsabilità primaria per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale in base allo Statuto. Nel suo senso più ampio questa responsabilità deve essere condivisa dall'Assemblea Generale e da tutti gli elementi funzionali dell'Organizzazione. Ciascuno di essi ha un ruolo speciale e indispensabile da giocare in un approccio integrato alla sicurezza umana”, traduzione mia, vedi Agenda for peace, preventive diplomacy, peacemaking and peacekeeping, Report of the Secretary General pursuant to the statement adopted by the Summit Meeting of the Security Council n 31 January 1992, A/47/277-S/2411, 17 giugno 1992, par. 15. 104 Vedi supra, par. 3.1.3. 105 Vedi Maniscalco, M. L., “L’azione umanitaria: dilemmi e paradossi vecchi e nuovi”,op. cit., p. 18-19.

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refoulement, secondo il quale nessuno Stato contraente potrà espellere o rimandare (refouler) in nessun

modo un rifugiato, contro la sua volontà, verso un territorio dove teme di essere perseguitato106.

L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) è l’agenzia dell’ONU incaricata di

fornire protezione internazionale e assistenza materiale ai rifugiati ed è attualmente competente anche

per i richiedenti asilo, i rifugiati rimpatriati (returnees) e gli sfollati interni107.

Ai fini dei suoi interventi, con rifugiati il WFP indica quelle persone che ricadono sotto la protezione

di UNHCR108. I rifugiati sono riconosciuti dal WFP come una categoria speciale di beneficiari per tre

ragioni: essi hanno bisogni particolari dovuti al fatto che sono stati costretti a lasciare non solo le loro

case e i loro mezzi di sostentamento, ma anche il loro paese; costituiscono un peso addizionale

(temporaneo, ma spesso protratto nel tempo) per il governo del paese ospitante, che è spesso già

povero, e sulle risorse naturali e ambientali dell’area in cui si stabiliscono (spesso a danno della

sicurezza alimentare di lungo periodo della popolazione ospitante); la comunità internazionale ha la

responsabilità di assicurare la protezione dei rifugiati e aiutare il governo che li ospita, se necessario, a

fornire loro assistenza materiale. Sebbene li riconosca come una categoria speciale, il WFP fornisce

assistenza ai rifugiati in ragione del loro livello di insicurezza alimentare e non del loro status.

Il WFP assiste i rifugiati nel quadro del memorandum di intesa (MOU) concluso con UNCHR nel

2002. Quando si verifica un nuovo flusso di rifugiati in una crisi già esistente e UNCHR è presente nel

paese, viene condotta il prima possibile una missione di valutazione congiunta (Joint Assessment

Mission-JAM) per accertarne i bisogni immediati.

Nel caso di una nuova crisi di rifugiati, invece, i pre-requisiti della mobilitazione di WFP e UNHCR

sono leggermente diversi. Se UNCHR è già presente nel paese, risponde alla crisi nel quadro fornito

dall’accordo che ha firmato con il governo; se non ancora presente, può offrire i suoi servizi al

governo ma comunque necessita di una sua richiesta prima di stabilirsi nel paese, eseguire una

valutazione e fornire assistenza. Il WFP, invece, può agire sulla base di una richiesta dello Stato

indirizzata al WFP medesimo, a UNHCR o al sistema dell’ONU nel complesso, oppure sulla base di

una richiesta da parte del Segretario Generale dell’ONU. Se già presente nel paese, poi, può iniziare gli

accertamenti, in collaborazione con le autorità governative, anche prima della richiesta formale del

governo.

106 Convenzione relativa allo status dei rifugiati, Art. 33: “Nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere - in nessun modo – un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche”. 107 I rifugiati nel mondo (stime 2007) sono sedici milioni, di cui 11,4 sotto il mandato di UNHCR e 4,6 sotto il mandato di UNRWA, vedi UNHCR, 2007 Global Trends: Refugees, Asylum-seekers, Returnees, Internally Displaced and Stateless Persons, giugno 2007. 108 Nel 2007 il WFP ha assistito 1.9 milioni di rifugiati e 0,8 milioni di returnees nel mondo. Vedi WFP, WFP Annual Report 2007, cit. p. 8.

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Il WFP fornisce assistenza se il numero dei rifugiati è superiore a 5000 e se, in seguito alla valutazione

della sicurezza alimentare, risulta che essi necessitano di assistenza alimentare. Mentre UNHCR ha il

compito di determinare, insieme al governo del paese ospitante, lo status dei richiedenti asilo e il

numero totale dei rifugiati che vivono in quel paese, attraverso la compilazione di appositi registri, il

WFP fornisce assistenza alimentare ai rifugiati che ne hanno bisogno: il numero di assistiti da UNCHR

può dunque differire dal numero di rifugiati beneficiari del WFP. Tuttavia le due agenzie collaborano,

sulla base dello Joint Assessment Guidelines, nel determinare il numero dei rifugiati che necessitano

degli aiuti alimentari e sviluppano un piano (Joint Plan of Action) che delinea gli obiettivi e gli accordi

operativi di ogni operazione congiunta.

Nel caso di rifugiati rimpatriati, il WFP ha evidenziato la necessità di stabilire se il cibo sia o meno

una risposta appropriata. Quando i returnees si stanziano in aree urbane dove il cibo è disponibile,

fornire aiuti sottoforma di contante può costituire una risposta più adeguata alle loro esigenze. In caso

di rimpatrio in aree rurali o dove il cibo non è immediatamente disponibile, invece, WFP e UNHCR

hanno accertato che il migliore sostegno in questa fase iniziale consiste nel fornire aiuti alimentari su

una base trimestrale che può eventualmente essere estesa.

UNHCR è responsabile del monitoraggio dello stato nutrizionale dei rifugiati assistiti e

l’implementazione di eventuali programmi di alimentazione supplementare. Per quanto riguarda gli

aspetti logistici, il WFP è responsabile del trasporto del cibo fino ai punti estesi di consegna (extended

delivery points -EDPs), mentre da lì alla destinazione finale la responsabilità passa a UNHCR. La

distribuzione è regolata da specifici accordi tra le agenzie e il governo, in consultazione con i

beneficiari, secondo il principio della massima partecipazione dei membri delle comunità, in

particolare delle donne; la direzione generale di questa fase è di regola affidata a un implementing

partner di UNHCR.

Il memorandum di intesa WFP-UNHCR dedica particolare importanza alla creazione delle condizioni

per raggiungere soluzioni durature e la promozione dell’autosufficienza attraverso una serie di attività

dirette all’empowerment socio-economico dei rifugiati e rimpatriati nelle comunità locali; le agenzie si

impegnano a collegare le attività di reintegrazione ai programmi di riabilitazione e sviluppo a lungo

termine del governo e degli altri attori coinvolti109. L’accordo infine prevede una stretta collaborazione

sul campo e il costante scambio di informazioni tra le due agenzie.

109 Memorandum di intesa WFP-UNHCR, Art 3.11: “In accordance with their respective mandates, UNHCR and WFP will promote the use of assistance to encourage and build the self-reliance of the beneficiaries. This will include programming food anf non-food aid to support asset-building, training, income-generation and other self-reliance activities (..)”.

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111

3.3.4 Il WFP e gli sfollati

Lo sfollamento di civili è ormai una delle maggiori questioni umanitarie del nostro tempo: secondo

stime di UNHCR, gli sfollati nel mondo sono 51 milioni110. Gli internally displaced people (IDPs)

sono civili costretti a lasciare le proprie case e terre a causa di un conflitto armato, di un clima di

violenza generalizzata, di episodi di violazione dei diritti umani, di disastri naturali o causati dall'uomo

e che non hanno attraversato una frontiera statale internazionalmente riconosciuta111.

Gli sfollati sono stati tradizionalmente considerati come un affare interno degli Stati interessati e le

agenzie umanitarie hanno generalmente non assistito gli IDPs a meno che non venisse loro

esplicitamente richiesto dai governi. Non esiste, infatti, una specifica agenzia responsabile

dell’assistenza e della protezione degli sfollati: attualmente ci sono sette diverse organizzazioni che si

occupano degli sfollati che sono, oltre al WFP, UNHCR, l’UNDP, UNICEF, WHO, IOM e ICRC. Il

cibo è di norma la prima esigenza degli sfollati, sebbene altri bisogni siano altrettanto essenziali, in

particolare la protezione della loro incolumità fisica e dei diritti umani.

La protezione internazionale accordata agli IDPs è stata alquanto insoddisfacente nei decenni passati e

solo nel 1997 il Segretario Generale dell’ONU ha nominato il Rappresentante Speciale delle Nazioni

Unite per gli sfollati e reso il Coordinatore delle Nazioni Unite per il Soccorso di Emergenza (ERC)

responsabile della protezione e dell’assistenza degli sfollati interni.

I Principi Guida sugli sfollati sono stati elaborati dal Rappresentante Speciale del Segretario Generale

per gli sfollati, e presentati alla Commissione per i Diritti Umani nel 1998, con l’intento di

compendiare in un unico documento le pertinenti norme dei diritti dell’uomo e del diritto umanitario

applicabili in situazioni di sfollamento. Essi costituiscono dunque il primo e completo tentativo di

articolare la protezione e l’assistenza ai bisogni degli sfollati. In quell’occasione molte organizzazioni,

tra cui WFP, UNHCR, UNICEF e CICR, hanno dichiarato il proprio sostegno al documento,

incoraggiando così molti governi a fare altrettanto.

I Principi Guida non sono stati approvati formalmente ma molti governi, agenzie dell’ONU,

organizzazioni regionali o non governative hanno da subito cominciato a fare riferimento ad essi o ad

utilizzarli come fondamento per i propri programmi, leggi o politiche pubbliche, nonostante molti

governi si fossero opposti alla loro applicazione considerandoli una violazione della propria sovranità.

110 Secondo tali stime, di 51 milioni di IDPs 26 milioni sono dovuti a conflitti armati e 25 milioni a disastri naturali, vedi UNHCR, 2007 Global Trends: Refugees, Asylum-seekers, Returnees, Internally Displaced and Stateless Persons, cit., p. 2. 111 I Principi Guida danno la seguente definizione di internally displaced people: “persons or groups of persons who have been forced or obliged to flee or to leave their home or places of habitual residence, in particular as a result of or in order to avoid the effects of armed conflict, situations of generalized violence, violations of human rights or natural or human-made disasters, and who have not crossed an internationally recognized border." Vedi Guiding Principles on Internal Displacement, introduzione, art.2.

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Sebbene non legalmente vincolanti per se, i Principi Guida codificano il diritto vigente, riaffermando

quanto prescritto dal diritto umanitario internazionale e dai diritti umani. Essi sono stati adottati dallo

IASC nel 1998 (ma non dall’ECOSOC) e costituiscono il parametro di riferimento del WFP nella sua

attività.

Nel 2000, l’ONU ha istituito il Senior Inter-Agency Network on Internal Displacement nell’ambito

dello IASC con il compito di condurre missioni e analisi relative a situazioni di sfollamento

particolarmente critiche e favorire una risposta umanitaria dell’ONU efficiente e coordinata di fronte

alle esigenze degli sfollati, in cui ogni agenzia contribuisca allo sforzo congiunto sotto un sistema di

coordinamento unificato all’interno del paese interessato.

Nel marzo del 2000 fu proposto che UNHCR assumesse la piena responsabilità degli sfollati, con il

ruolo di lead agency nella protezione e assistenza degli IDPs e UNCHR rispose positivamente. Dopo

numerosi rinvii, nel 2005 il Coordinatore delle Nazioni Unite per il Soccorso di Emergenza (ERC) ha

finalmente assegnato la responsabilità per la protezione degli sfollati a UNHCR, dando forma alla già

avanzata proposta di un agenzia a capo del coordinamento.

Il WFP è il maggiore fornitore di cibo agli sfollati interni e questi sono la categoria più numerosa dei

suoi beneficiari112. Nel 2001 il WFP ha rivisto le proprie azioni a favore di questa categoria ed ha

stilato un quadro per le politiche e le strategie in caso di sfollamento113. Il Consiglio di

Amministrazione ha ribadito che il WFP fornisce assistenza agli sfollati quando gli venga richiesto da

uno Stato membro dell’ONU, da un membro o membro associato di un Istituto Specializzato o

dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica.

L’Executive Board ha proposto una linea di condotta secondo la quale gli sfollati non costituiscono

uno specifico gruppo destinatario a cui fornire gli aiuti, se non in alcuni casi come ad esempio nei

campi, ma piuttosto sono assistiti sulla base dei loro bisogni alimentari. L’agenzia, quindi, applicherà

gli stessi criteri di targeting usati per gli altri gruppi colpiti da insicurezza alimentare, impegnandosi

tuttavia a comprendere e affrontare le esigenze particolari degli sfollati. Questa politica, tuttavia, non è

stata ancora adottata a causa dei dibattiti sui Principi Guida che si sono avuti nell’ECOSOC e

nell’Assemblea Generale, nonché all’interno dello stesso Executive Board. L’agenzia, infatti, è

tutt’oggi coinvolta nel dibattito ancora aperto nei fora competenti e il suo ruolo potrebbe evolversi

conseguentemente.

In attesa di definire la protezione degli sfollati che solleva temi molto sensibili per gli Stati, nella

prassi l’assistenza del WFP a questa categoria è ispirata alla pratica e ai principi condivisi dal sistema

112 Nel 2007 il WFP ha assistito 8,8 milioni di sfollati nel mondo. Vedi WFP, WFP Annual Report 2007, cit. p. 8. 113 WFP, Reaching people in situation of displacement: framework for action, WFP/EB.A/2001/4-C, 17 Aprile 2001.

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ONU. La sua assistenza è subordinata al soddisfacimento di alcune condizioni, ossia l’esistenza di una

richiesta da parte dello Stato114 nel territorio del quale si trovano gli IDPs o da parte del Segretario

Generale dell’ONU, ai sensi dell’art. IX delle Regole Generali del WFP; l’accesso ai gruppi colpiti

deve essere garantito allo scopo di permettere valutazioni, targeting, distribuzione del cibo e

monitoraggio della stessa; lo Stato deve inoltre dare assicurazione di un livello di sicurezza sufficiente

affinché il WFP possa operare in conformità agli Standard minimi di sicurezza operativa elaborati

dalle Nazioni Unite115.

Gli sfollati richiedono, ad ogni modo, un approccio a sé da parte del WFP nel senso che l’aver

abbandonato case, terre e mezzi di sostentamento può rendere queste persone più vulnerabili

all’insicurezza alimentare. Lo sfollamento deve essere quindi un indicatore di vulnerabilità, più che un

mezzo per definire un gruppo specifico. La condizione di insicurezza alimentare che vivono è peraltro

esacerbata dall’insicurezza e dalle condizioni politiche del paese e l’elevato numero di donne e

bambini che di norma si riscontra è ulteriore motivo di preoccupazione per l’agenzia. Il WFP tenta, il

prima possibile dall’inizio della crisi, di incorporare nelle sue operazioni misure che sostengano

l’autosufficienza degli sfollati nel lungo periodo. L’assistenza del WFP è dunque fornita agli sfollati

sulla base degli stessi criteri usati per gli altri gruppi vulnerabili, con un’attenzione particolare a non

discriminare questi ultimi o dare luogo a tensioni con le comunità residenti.

L’unica differenza, che richiede maggiore attenzione nella programmazione dell’intervento, è

costituita dalle sensibilità politiche che la questione suscita. Se infatti, in principio, lo Stato ha la

responsabilità di proteggere gli IDPs, esso speso si rivela unwilling o unable di soddisfare i suoi

obblighi e le risorse internazionali mobilitate per assisterli sono spesso rallentate da infiniti dibattiti. La

sfida addizionale che l’assistenza ai rifugiati pone al WFP è quindi quella di comprendere i fattori

politici e socio-economici che hanno determinato lo sfollamento, le condizioni che permettano il

ritorno e il ri-stanziamento definitivo di queste persone e tenerne conto al momento della

programmazione e implementazione di ogni fase dell’operazione.

Oltre agli aiuti alimentari, il WFP può fornire ai suoi partners umanitari servizi di tipo logistico,

operativo e di trasporto, ad esempio di beni non alimentari di primo soccorso o degli stessi sfollati in

località più sicure. L’agenzia esegue, inoltre, la costante valutazione e il monitoraggio dei bisogni dei

beneficiari che, a causa dei movimenti da un luogo di sfollamento ad un altro, si evolvono senza sosta;

114Conformemente a quanto affermato dalla ris 46/182 dell’Assemblea Generale dell’ONU: “humanitarian assistance should be provided with the consent of the affected country and in principle on the basis of an appeal by the affected country”, anche il WFP ribadisce il rispetto della sovranità dello Stato colpito. 115 United Nations Minimum Operational Security Standards (MOSS).

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un’attenzione particolare è riservata alla valutazione dei bisogni dei gruppi più vulnerabili, ossia

donne, bambini e anziani.

Non essendo la protezione propria del suo mandato, il WFP non si focalizza su questa ma ha

recentemente aumentato i propri sforzi in questo senso e promosso una maggiore responsabilità, ad

esempio rafforzando il monitoraggio della distribuzione del cibo, per evitare che questo possa causare

tensioni tra i gruppi o violenze sulle donne116.

Conformemente a quanto stabilito dalla ris. 46/182 dell’ONU, le Nazioni Unite collaborano con il

governo per assicurare che la risposta umanitaria sia, nella misura del possibile, complementare a

quella delle autorità nazionali e locali. L’approccio del WFP agli sfollati è, di volta in volta, parte della

risposta congiunta del sistema ONU e si pone in linea con la strategia e le azioni del UN Country

Team, sostenendo il ruolo di guida del coordinatore umanitario/residente delle Nazioni Unite nella

realizzazione di una strategia che soddisfi le esigenze di protezione e assistenza degli sfollati di quel

paese.

Un aspetto di questo tipo di assistenza, poi, riguarda la difficoltà materiale di implementarla laddove,

in situazioni di conflitto, l’accesso agli sfollati è spesso limitato. Tali limitazioni e gli attacchi

intenzionali al personale umanitario sono all’ordine del giorno e richiedono strategie coordinate e

approcci neutrali da parte delle agenzie coinvolte che garantiscano l’incolumità dei beneficiari e del

personale umanitario.

116WFP, Reaching people in situation of displacement: framework for action, cit., par.45

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CONCLUSIONI

Con la carta dell’ONU, gli Stati si impegnano per la prima volta a cooperare tra di loro

in campo economico e sociale. Che cosa significava questo allora e, soprattutto, che

cosa significa oggi? Indubbiamente la nascita delle Nazioni Unite segna l’avvento di

una nuova concezione dei rapporti internazionali: dopo la tragedia dei conflitti mondiali

e il fallimento della Società delle Nazioni, gli Stati si dichiarano pronti a mettere da

parte gli egoismi nazionali e a impegnarsi a salvaguardare la pace guadagnata con così

tante perdite, umane e non. Ma gli Stati iniziano anche a comprendere che garantire la

pace internazionale significa costruirne le pre-condizioni socio economiche, fattori

pregiudiziali ai fini della stabilità politica di un determinato paese. Eppure questa

intuizione sembra sia rimasta più un’enunciazione di intenti che una politica da

perseguire realmente e il mondo appare oggi diviso in un emisfero ricco e in uno

povero.

Laddove le Nazioni Unite prevedono un meccanismo coercitivo per ristabilire la pace,

non pongono invece obblighi agli Stati in tema di cooperazione economica e sociale nel

senso di costruire le condizioni necessarie alla pace tra i popoli. Nel tempo i PVS hanno

imposto con forza crescente le loro esigenze di sviluppo all’attenzione della comunità

internazionale e l’ONU, volente o nolente, ne è spesso stata la tribuna.

I PVS sono riusciti a sancire formalmente i loro diritti e i loro bisogni nelle

dichiarazioni e nelle carte che si sono susseguite dagli anni sessanta del ventesimo

secolo in poi: il nuovo ordine economico internazionale aveva inizio, almeno in teoria.

Ma i meccanismi della divisione internazionale del lavoro e dei mercati non sono stati

intaccati da tali enunciazioni: sono ancora oggi del tutto sbilanciati dalla parte dei paesi

più sviluppati. In attesa di un sistema economico e commerciale mondiale che sia

effettivamente equo, la comunità internazionale supplisce con la cooperazione che,

tuttavia, se non affiancata da una reale volontà politica degli Stati di sradicare le cause

del sottosviluppo, non può realizzare appieno i propri obiettivi.

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Laddove poi gli aiuti dipendono dai contributi volontari degli Stati, è facile che siano

subordinati agli interessi geo-politici ed economici di questi ultimi. È proprio per questo

che si rende necessario un meccanismo di filtro e coordinamento, che sia neutrale e allo

stesso tempo rappresentativo di donatori e beneficiari: solo l’ONU sembra poter

esercitare tale ruolo. Dalla ricostruzione della cooperazione economica e sociale nel

sistema delle Nazioni Unite che si è operata è emerso che, rispetto al sistema

decentralizzato concepito alle origini, l’Organizzazione ha ampliato le sue funzioni e le

sue attività in questo ambito, caratterizzato oggi da una pluralità di agenzie, programmi,

istituti specializzati e organi sussidiari con diversi gradi di autonomia. Il sistema che ne

è emerso, se da un lato risulta poco coeso, soggetto a sprechi e sovrapposizioni,

dall’altro lato è comunque l’unico che oggi riempie il vuoto derivante dallo scarso

impegno da parte degli Stati industrializzati.

Nella tesi si è ricostruito il percorso che in ambito ONU ha portato ad accogliere una

visione dello sviluppo inteso come diritto inalienabile dell’uomo e parte integrante dei

diritti umani. È ormai riconosciuto come tale diritto sia inscindibilmente legato ai diritti

civili e politici, economici, sociali e culturali in quanto da essi dipende la sua piena

realizzazione. La persona umana è al centro del processo di sviluppo, un processo

graduale che abbraccia dunque tutte le dimensioni in cui l’uomo vive e si esprime:

l’ONU parla, infatti, di “sviluppo umano”. Lo sviluppo umano, d’altronde, non può

realizzarsi, né si può affermare il suo carattere universale e inalienabile, prescindendo

dal diritto alla nutrizione, alla salute, all’istruzione. Questi diritti vanno oggi

riconosciuti come diritti non derogabili perché strettamente connessi al diritto

fondamentale per eccellenza: il diritto alla vita. Riconoscere l’interdipendenza tra

sviluppo e diritti civili, politici, sociali, economici dell’uomo, e dunque la

multidimensionalità dello sviluppo, è il passo fondamentale verso un effettivo esercizio

dello sviluppo umano e una crescita equa di cui tutti possano beneficiare.

Ma ancora prima, c’è un altro legame che è fondamentale riconoscere e dunque

affrontare: non c’è sviluppo umano senza eliminazione della povertà. Se oltre 900

milioni di persone nel mondo soffrono la fame, come è concepibile che possano

sviluppare le proprie capacità e costruirsi un futuro se la loro unica preoccupazione è

sopravvivere?

L’ONU, la FAO, il WFP e le altre agenzie del sistema ONU riconoscono oggi che

l’eliminazione delle cause profonde della povertà in cui vivono milioni di persone nel

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mondo è la pre-condizione di qualsiasi sviluppo. La povertà e la fame, infatti,

costituiscono una vera e propria violazione dei diritti dell’uomo laddove ostacolano

l’attuazione dei diritti civili/politici/economi/sociali/culturali.

L’impetuosa globalizzazione, che pure ha portato beneficio a molti, ha avuto l’“effetto

indesiderato” di travolgere e lasciare indietro i paesi più poveri e le loro popolazioni. È

responsabilità di ogni Stato recuperare il controllo del processo di crescita e creare le

condizioni di un effettivo sviluppo della propria popolazione. Allo stesso tempo, la

comunità internazionale deve impegnarsi nella realizzazione di un nuovo ordine

economico internazionale più equo e inclusivo, che preveda il ri-equilibrio nella

distribuzione delle risorse e la costruzione di rapporti paritari e di mutuo scambio tra

paesi sviluppati e paesi più arretrati. Gli enti preposti alla cooperazione economica e

sociale devono operare per pervenire ad un “patto per lo sviluppo” nei paesi più

arretrati, in cui lo sviluppo sia il “vettore” di un processo integrato dove tutti i diritti

umani e le libertà fondamentali possano realizzarsi1. Questo convincimento fornisce la

strategia che deve guidare le politiche e la prassi della cooperazione economica e

sociale internazionale e, in particolare, quella realizzata dal sistema ONU; è il quadro

teorico generale da cui nessun tipo di cooperazione può oggi prescindere.

Si è scelto a questo punto di esaminare un settore trasversale a tutte le tipologie di

cooperazione - finanziaria, tecnica e umanitaria e d’urgenza - che è quello agro-

alimentare, proprio in ragione del legame inscindibile che esiste tra povertà, fame e

sviluppo. Il modello di cooperazione del passato, ancora lontano da questi

riconoscimenti, riduceva l’impegno internazionale per la lotta contro la fame nel mondo

all’assistenza alimentare bilaterale che, sotto la patina dei buoni propositi, nascondeva

molto altro. L’esigenza, prima di tutto, di smaltire le eccedenze agricole dei paesi

produttori, attività da cui peraltro derivavano a questi ultimi notevoli vantaggi

economici. Ma pesava anche la mancanza di riflessione sulle motivazioni, gli obiettivi e

le pratiche di una cooperazione agro-alimentare che fosse realmente d’aiuto ai suoi

destinatari. Calare dall’alto gli investimenti, imporre stravolgimenti strutturali,

finanziare grandi progetti infra-strutturali tralasciando il settore agricolo e le esigenze

delle popolazioni rurali, spesso le più vulnerabili, e in generale trascurare i fattori

1 Vedi Rapporto sullo sviluppo nel mondo 2000/2001: Combattere la povertà della Banca Mondiale in Spatafora, E., Cadin, R., Carletti, C., Sviluppo e diritti umani nella cooperazione internazionale: lezioni sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo umano, op. cit., p.243.

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specifici della realtà locale cui tali interventi erano destinati, ha dato risultati controversi

se non esplicitamente negativi. L’esperienza ha dimostrato che solo con un approccio

fondato sull’inclusione, la partecipazione paritaria di donatori e beneficiari e sul mutuo

scambio si costruiscono buoni progetti di cooperazione.

La filosofia dietro la cooperazione agro-alimentare si è evoluta parallelamente al

dibattito sullo sviluppo. Tale forma di assistenza è stata gradualmente riformulata allo

scopo di contribuire al conseguimento della sovranità alimentare, vale a dire allo scopo

di favorire la creazione di un sistema produttivo locale piuttosto che un accrescimento

della dipendenza dei PVS dall’assistenza esterna. Nella concezione dello sviluppo

agricolo e rurale, poi, ha gradualmente assunto rilevanza il fattore umano, e dunque la

partecipazione delle masse rurali al processo di autodeterminazione. D’altronde, come

afferma la Dichiarazione sul diritto allo sviluppo del 1986, tale diritto umano

presuppone la piena realizzazione del diritto all’autodeterminazione dei popoli. Anche

la FAO, sotto la spinta dei paesi di nuova indipendenza, ha ripensato il suo ruolo

nell’affrontare il problema dell’alimentazione, inteso come una questione centrale della

condizione umana e non più esclusivamente ridotta alla produzione agricola.

Sovranità alimentare, sicurezza alimentare, diritto all’alimentazione sono i principi che

oggi guidano la cooperazione che in quest’ambito realizza il Polo agro-alimentare

dell’ONU. Nel continuum tra diritti inerenti all’uomo e sviluppo umano, infatti, si

colloca il diritto all’alimentazione. Tale diritto è sancito dall’art. 11 del Patto

internazionale sui diritti economici, sociali e culturali che afferma, e distingue tra loro, il

diritto ad un’alimentazione adeguata e il diritto fondamentale alla libertà dalla fame. Il

secondo diritto è in realtà un aspetto del primo, la realizzazione del diritto ad

un’alimentazione adeguata ha infatti come condizione preliminare l’eliminazione della

malnutrizione generata dalla povertà più estrema2.

Nel 1961 il Direttore Generale della FAO Sen riconobbe la necessità che fosse

direttamente la FAO ad eseguire un programma multilaterale di aiuti alimentari, non

limitandosi più alla gestione di quelli bilaterali. Con ciò venivano gettate le basi per la

creazione del WFP che iniziava ad operare poco dopo. A sua volta, la Conferenza

mondiale sull’alimentazione del 1974 costituiva una tappa fondamentale

nell’evoluzione delle politiche del settore, conseguendo tra i suoi risultati più

significativi la creazione dell’IFAD.

2 Vedi Alston, P. (1984) International law and the human right to food, in Alston P., Tomasevski, K. (eds.), The right to food (Utrecht), p.11.

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FAO, IFAD e WFP, che insieme costituiscono il Polo agro-alimentare dell’ONU, sono

oggi tre aspetti della stessa strategia: sradicare la fame e migliorare la produzione

agricola e le condizioni di vita delle popolazioni, soprattutto rurali, dei PVS. Hanno

mandati diversi, ma le rispettive visioni strategiche sono strettamente integrate.

La cooperazione agro-alimentare effettuata dal Polo è, quindi, di tipo tecnico e

finanziario in situazioni di “normalità” in cui si mira allo sviluppo del sistema agricolo e

rurale locale, ma assume carattere umanitario d’urgenza quando il verificarsi di una crisi

mette a rischio la sicurezza alimentare della popolazione dello Stato interessato.

Gli aiuti alimentari del WFP sono, infatti, usati trasversalmente, in progetti di sviluppo

come in operazioni di emergenza, assumendo le forme idonee a seconda degli obiettivi

da raggiungere. Il diritto ad un’alimentazione adeguata si pone come cruciale nel

continuum tra il soccorso iniziale e la riabilitazione successiva delle comunità colpite

che il WFP e le altre agenzie operative dell’ONU riconoscono come linea guida dei loro

interventi nelle emergenze. Il WFP fornisce soccorsi d’urgenza in modo da proteggere i

mezzi di sostentamento dei beneficiari e non compromettere, anzi se possibile

rafforzare, il loro sviluppo futuro.

Come ha affermato nel 1999 il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti economici,

sociali e culturali, “sebbene il diritto ad un’alimentazione adeguata debba essere

realizzato progressivamente, gli Stati hanno l’obbligo di prendere le misure necessarie

per mitigare e alleviare la fame nel senso previsto dall’art. 11 del Patto, anche in tempi

di disastri naturali o di altro tipo” 3. Ciò significa che non è sufficiente che lo Stato

garantisca la tutela dei diritti correlati al diritto ad un’alimentazione adeguata (diritto

alla proprietà, al lavoro, alla sicurezza sociale). Esso deve anche provvedere a fornire

direttamente quanto necessario agli individui e ai gruppi più vulnerabili che si trovano

in una condizione di insicurezza alimentare; ossia deve assicurare a quanti sono soggetti

alla sua giurisdizione, tra cui rientrano rifugiati e sfollati, l’accesso a quel minimo di

cibo sufficiente, adeguato e sicuro da assicurare loro la libertà dalla fame. Tale obbligo

persiste nelle situazioni di emergenza nelle quali lo Stato interessato deve soddisfare le

esigenze umanitarie fondamentali della popolazione con tutte le risorse di cui dispone.

Tuttavia, laddove esso non è in grado di provvedere ai bisogni basilari della sua

popolazione (innanzitutto un’alimentazione adeguata), in situazioni di emergenza

3 General Comment n. 12 del Comitato delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali (ventesima sessione, 1999), vedi supra, secondo capitolo.

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supplisce l’assistenza fornita dalla comunità delle organizzazioni umanitarie che lo

Stato farà in modo di facilitare: da ciò deriva che impedire l’accesso agli aiuti alimentari

umanitari in situazioni di conflitto o altro tipo di emergenza potrebbe costituire una

violazione dell’art. 11 del Patto.

Si è osservato come operare in situazioni di emergenza complessa, dove peraltro

l’accesso è spesso ristretto, ponga notevoli sfide al WFP: innanzitutto il WFP, come

tutti gli enti umanitari, è responsabile nel prestare la massima attenzione a non alterare

gli equilibri dei conflitti in cui opera. Ciò significa che l’allocazione di un bene sensibile

come il cibo richiede preparazione, conoscenza del sistema politico e socio-economico

in cui si opera, flessibilità e capacità diplomatiche.

Le operazioni del WFP, poi, per risultare pienamente efficaci non possono prescindere

da una stretta consultazione e dal coordinamento con gli altri enti, del sistema ONU e

non, della comunità umanitaria. Le missioni di valutazione congiunte con la FAO in

caso di shock economico o naturale, con UNHCR in caso di flussi di rifugiati, i

partenariati con le ONG e le istituzioni locali, ad esempio, costituiscono contributi

fondamentali all’efficacia delle attività del WFP. In interventi delle Nazioni Unite

sempre più integrati e “centralizzati”, poi, il WFP si è visto riconoscere più volte il

ruolo di lead agency, sia in relazione al coordinamento degli aiuti alimentari

internazionali nel complesso, che dei servizi logistici e delle telecomunicazioni.

Ma il WFP può essere del tutto neutrale? Come si concilia la sua neutralità con gli

interessi strategici, politici ed economici degli Stati che ne finanziano le operazioni? E

ancora, come può la sua azione essere neutrale se sempre maggiori pressioni vengono

esercitate nei suoi confronti affinché si integri negli obiettivi politici dell’ONU

attraverso le missioni di peace-making/peace-building/peace-keeping sul campo?

Sembra potersi concludere che l’investimento di attenzione realizzato a questo proposito

dall’agenzia sia notevole. Il WFP nasce come il braccio operativo, “alimentare”

dell’ONU. Eppure oggi, grazie ai suoi risultati si è conquistata la sua sfera di

autonomia, mantenendosi in equilibrio tra percezione di neutralità di cui gode tra i

beneficiari e la fiducia degli Stati donatori, confermandosi come la più grande agenzia

umanitaria nel mondo.

Riconsiderando il rapporto dialettico, emerso all’inizio della presente tesi, che intercorre

tra pace e sviluppo socio-economico, sembra potersi concludere che fino a quando gli

Stati non avranno la volontà politica di sradicare le cause che stanno dietro alle

emergenze, vale a dire le condizioni di sottosviluppo e i fattori politici, economici e

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sociali che alimentano i conflitti armati, non sarà possibile realizzare quella stabilità

interna necessaria alla costruzione dello sviluppo e della pace. Nell’ambito delle

emergenze, in particolare quelle complesse, ciò che l’assistenza umanitaria deve fare è

salvare vite umane preservando le esigenze di sviluppo futuro della popolazione. In

ultima analisi, se l’assistenza umanitaria non sembra potersi sostituire all’azione politica

degli Stati, è tuttavia compito della comunità internazionale nel complesso agire avendo

come obiettivo la pace e il rispetto dei diritti umani nel mondo.

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APPENDICE

WFP - GENERAL REGULATIONS Article I: Establishment The World Food Programme (hereinafter “WFP”) is jointly established by the United Nations and the Food and Agriculture Organization of the United Nations (hereinafter “FAO”) as a programme for the purposes and for the performance of the functions set out in the present General Regulations and shall continue its activities in the light of periodic reviews. Article II: The purposes and functions of WFP 1. The purposes of WFP are: (a) to use food aid to support economic and social development; (b) to meet refugee and other emergency and protracted relief food needs; (c) to promote world food security in accordance with the recommendations of the United Nations and FAO. 2. In order to achieve the foregoing purposes, WFP shall, on request, implement food aid programmes, projects and activities: (a) to aid in economic and social development, concentrate its efforts and resources on the neediest people and countries; (b) to assist in the continuum from emergency relief to development by giving priority to supporting disaster prevention, preparedness and mitigation and post-disaster rehabilitation activities; (c) to assist in meeting refugee and other emergency and protracted relief food needs, using this assistance to the extent possible to serve both relief and development purposes; (d) to provide services to bilateral donors, United Nations agencies and non governmental organizations for operations which are consistent with the purposes of WFP and which complement WFP’s operations. Article III: Cooperation of WFP with the United Nations and FAO and with othe relevant agencies and organizations

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In all stages of its activities, WFP shall, as appropriate, consult with and seek advice and cooperation from the United Nations and FAO. It shall also coordinate and operate in close liaison with appropriate United Nations agencies and operating programmes, bilateral assistance programmes, and other relevant organizations, as required. Article IV: Headquarters The Headquarters of WFP shall be in Rome, Italy. Article V: Organization: Organs The organs of WFP shall be: (a) The Executive Board (hereinafter “the Board”) jointly established by the United Nations and FAO and composed of thirty-six (36) States Members of the United Nations or Member Nations of FAO to be elected by the Economic and Social Council of the United Nations and the Council of FAO from among the States listed in Appendix A in accordance with the distribution of seats set out in Appendix B. (b) A Secretariat comprising an Executive Director and such staff as WFP may require. Article VI: Powers and functions of the Board 1. The Board shall, within the framework of these General Regulations, be responsible for providing intergovernmental support and specific policy direction to and supervision of the activities of WFP in accordance with the overall policy guidance of the General Assembly of the United Nations, the FAO Conference, the Economic and Social Council and the Council of FAO, and for ensuring that WFP is responsive to the needs and priorities of recipient countries. The Board will be subject to the general authority of the Economic and Social Council and the Council of FAO. 2. The functions of the Board shall be the following: (a) The Board shall help evolve and coordinate short-term and longerterm food aid policies. It shall, in particular: (i) ensure implementation of the policies formulated by the General Assembly and the FAO Conference and the coordination measures and guidance received from the Economic and Social Council and the Council of FAO; (ii) provide a forum for intergovernmental consultation on national and international food aid programmes and policies; (iii) review periodically general trends in food aid requirements and food aid availabilities, and the implementation of recommendations made on food aid policies; (iv) formulate proposals for improvements in and more effective coordination of multilateral, bilateral and non-governmental food aid policies and programmes, including emergency food aid; and (v) recommend new policy initiatives to the Economic and Social Council and the Council of FAO and, through them, respectively, to the General Assembly and FAO Conference as necessary; (b) The Board shall be responsible for the intergovernmental supervision and direction of the management of WFP. It shall, in particular: (i) receive information from and give direction and guidance to the Executive Director;

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(ii) ensure that the activities and operational strategies of WFP are consistent with the overall policy guidance set forth by the General Assembly and the FAO Conference, as well as the Economic and Social Council and the Council of FAO; (iii) monitor the performance of WFP, and review the administration and execution of the activities of WFP; (iv) decide on strategic and financial plans and budgets; (v) encourage and examine new programme initiatives; (vi) adopt and, as necessary, revise the general rules required to give effect to these General Regulations. The general rules and any amendments thereto shall be reported to the Economic and Social Council and to the Council of FAO; (vii) adopt and, as necessary, revise the Financial Regulations in accordance with Article XIV of these General Regulations; and (viii) consider the annual report of the Inspector General, and take such action thereon as it considers appropriate. (c) The Board shall review, modify as necessary, and approve programmes, projects and activities submitted to it by the Executive Director. In respect of such approvals, however, it may delegate to the Executive Director such authority as it may specify. It shall review, modify as necessary, and approve the budgets of programmes, projects and activities, and review the administration and execution of approved programmes, projects and activities of WFP. (d) The Board shall carry out such other responsibilities as are conferred upon it in these General Regulations. 3. The Board shall provide a concise report annually on WFP’s programmes, projects and activities including major decisions of the Board to the substantive session of the Economic and Social Council and the Council of FAO. The annual report must contain sections referring to one or all of the following, as appropriate: (a) monitoring of the implementation of all previous policy decisions referred to in paragraph 2 (a) (i) of this Article; (b) policy recommendations; (c) coordination recommendations including for improvement of field‑level coordination; and (d) such other matters as may be required pursuant to decisions of the Economic and Social Council and the Council of FAO. 4. The Board shall adopt its own Rules of Procedure. The Rules of Procedure shall: (a) with respect to the approval of programmes, projects and other activities, make provision for such approval being obtained by correspondence between sessions of the Board; (b) make provision for inviting Members of the United Nations or Members or Associate Members of FAO that are not members of the Board to participate without the right to vote in the deliberations of the Board. Any Member of the United Nations or FAO, and any Associate Member of FAO, and any Member or Associate Member of any other specialized agency or the International Atomic Energy Agency (IAEA), that is not a member of the Board, whose programme, project or other activity is under review, or who has a particular interest in a programme, project or other activity, shall have the right to participate, without the right to vote, in the deliberations of the Board. 5. The Board shall hold an annual session and such regular sessions as it considers necessary and, in exceptional circumstances, may hold special sessions on request submitted in writing by at least one third of the members of the Board, or with the

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concurrence of one third of the members of the Board on the call of the Secretary General of the United Nations (hereinafter “the Secretary-General”) and the Director-General of FAO (hereinafter “the Director-General”) or on the call of the Executive Director. 6. The Board shall ensure, in the programmes, projects and other activities under its supervision, that commercial markets and normal and developing trade are neither interfered with nor disrupted, that the agricultural economy in recipient countries is adequately safeguarded and that due consideration is given to safeguarding normal commercial practices in respect of acceptable services in accordance with the relevant decisions of the United Nations and FAO, and their subsidiary bodies. Article VII: WFP Secretariat: Organization and functions 1. The Secretariat of WFP shall be headed by an Executive Director, who shall be responsible and accountable to the Board for the administration of WFP and for the implementation of WFP programmes, projects and other activities. 2. The Executive Director shall be appointed by the Secretary- General and the Director-General after consultation with the Board. 3. The Executive Director shall be appointed for a term of office of five years. The procedure set out in paragraph 2 above shall apply to reappointment which shall, in no case, be for more than one further term. 4. The Executive Director shall be responsible for providing necessary services to the Board. 5. The Executive Director shall be responsible for the staffing and organization of the Secretariat. The selection and appointment of senior officials above the level of D2 shall be made by the Executive Director in agreement with the Secretary-General and the Director-General. 6. The Executive Director shall administer the staff of WFP in accordance with FAO Staff Regulations and Rules and such special rules as may be established by the Executive Director in agreement with the Secretary-General and the Director-General. 7. The Executive Director shall keep the cost of management and administration of WFP to a minimum consistent with the maintenance of efficiency and accountability and shall use the most efficient and cost-effective services, including in the field. In this context, and in the context of relevant resolutions of the United Nations and FAO, the Executive Director shall, under such arrangements as may be agreed upon: (a) make extensive use of the technical services of FAO, the United Nations and other agencies of the United Nations system where these offer the most efficient and cost-effective services; and (b) where appropriate, draw upon the administrative, financial, and other services of FAO the United Nations and other agencies of the United Nations system. 8. The representative of WFP for each country where WFP has operational activities shall be designated by the Executive Director. In other countries, the Resident Representative of the United Nations Development Programme (UNDP), or the Regional Representative of UNDP, as the case may be, shall act as the representative of WFP at the request of the Executive Director and with the agreement of the Administrator of UNDP. 9. Without prejudice to the authority of the Secretary-General and the Director-General, the Executive Director shall generally represent WFP and perform such functions as may be conferred on the Executive Director or on the Secretariat under any agreements concluded by the United Nations and FAO on behalf of WFP with States or

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intergovernmental organizations, and under the assistance agreements provided for in Article XI of these General Regulations. 10. The Executive Director shall exercise such other responsibilities, as are conferred upon the Executive Director in these General Regulations or as may be conferred by the Board. 11. The Executive Director may delegate to other officials of WFP such authority as the Executive Director considers necessary for the effective carrying out of the responsibilities of the Executive Director. Article VIII: Legal status and capacity 1. WFP is an autonomous joint subsidiary programme of the United Nations and FAO. 2. WFP shall, drawing on the legal personality of the United Nations and FAO, have legal capacity: (a) to contract; (b) to acquire and dispose of movable and immovable property; (c) to be party to judicial proceedings. 3. Any liability arising from the exercise of the legal capacity referred to above shall be met by WFP from its own funds and shall not constitute a liability on other funds of the United Nations or FAO. Article IX: Eligibility for assistance All States Members of the United Nations or Members or Associate Members of any specialized agency or of the IAEA shall be eligible to submit requests for consideration by WFP. WFP may also provide emergency food aid and associated non-food items and logistics support at the request of the Secretary-General. WFP assistance in such exceptional cases shall be fully coordinated with the United Nations system and efforts of governments, intergovernmental and non-governmental organizations in the areas concerned. Article X: Requests for assistance 1. Governments desiring assistanc from WFP may request: (a) food aid programmes and projects to support economic and social development; (b) food assistance to meet emergency needs; (c) food assistance to meet protracted relief needs; (d) technical assistance to help establish or improve their own food assistance programmes. 2. Bilateral donors, United Nations agencies and non-governmental organizations may request WFP services for operations which are consistent with the purposes of WFP and which complement WFP’s operations. 3. Requests for assistance tocountry programmes or development projects shall indicate that they have a clear relationship with the recipient country’s development plans and priorities and include, as appropriate, a significant input of the recipient government’ resources. WFP should also be assured that all efforts will be made, as feasible and appropriate, to have the objectives of the programmes and projects pursued once the operations of WFP have been phased out. 4. Requests for assistance or services shall be presented in the form indicated by the Executive Director and in accordance with general rules made pursuant to these General Regulations.

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5. In examining such requests and in formulating proposals thereon the Executive Director shall consult closely with the United Nations, FAO and other relevant agencies. 6. Decisions on requests shall be made in accordance with the powers and functions of the Board, including any delegation of authority made by the Board to the Executive Director. Decisions on requests for assistance to meet emergency needs which exceed the level of authority delegated to the Executive Director shall be made jointly by the Executive Director and the Director-General. Article XI: Assistance agreements 1. Upon approval by the Board or by the Executive Director on its behalf, of a request for a food aid programme or project, or for technical assistance To help a government establish or improve its own food assistance programme, an agreement shall be prepared by the Executive Director in consultation with the government concerned. All such agreements shall indicate the terms and conditions on which the proposed activities are to be carried out and the responsibilities of the government of the recipient country. 2. Upon approval of a request for emergency or protracted relief food aid, an agreement, which may be in the form of an exchange of letters, may be concluded forthwith between the Executive Director and the government of the recipient country and/or intergovernmental or non-governmental bodies concerned. 3. Upon approval of a request for services to bilateral donors, United Nations agencies and non-governmental organizations, the Executive Director may enter into an agreement with the government, or intergovernmental and/or non-governmental body concerned, specifying the services to be provided and the terms and conditions on which the proposed services are to be carried out. Assistance agreements shall be signed by the Executive Director, or the Executive Director’s representative, on behalf of WFP. Article XII: Implementation 1. The primary responsibility for the execution of programmes, projects and activities shall rest with the recipient country, in accordance with the provisions of the relevant agreements and general rules made pursuant to these General Regulations. The Executive Director shall, however, be responsible for supervision and assistance in execution, and shall take the necessary measures for this purpose. 2. Commodities shall be delivered, under criteria to be established by the Board, to the recipient country as grants without payment. 3. Costs of unloading and internal transport, and of any necessary technical and administrative supervision, shall be borne by the government of the recipient country. However, this condition may be waived by the Executive Director in whole or in part, under criteria to be established By the Board, when providing food assistance to meet emergency and protracted relief needs and, in the case of least developed countries, food aid programmes and projects. 4. In the assessment of prospective economic and social development programmes and projects and in their execution, when approved, adequate consideration shall be given to safeguarding exporters, international trade and producers and safeguarding local food production and commercial markets in recipient countries. The Executive Director shall comply with such general rules as shall be established by the Board for these purposes. Such general rules shall ensure early consultation with countries likely to be affected, drawing on

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FAO’s Principles of Surplus Disposal and shall also ensure that the Consultative Sub-Committee on Surplus Disposal of the FAO Committee on Commodity Problems is informed and its views taken into account. Article XIII: Contributions 1. All contributions to WFP shall be on a voluntary basis. Contributions may be donated by governments, intergovernmentaL bodies, other public and appropriate non-governmental, including private, sources. 2. Donors may contributo appropriate commodities, cash and acceptable services In accordance with the general rules made pursuant to these General Regulations. Except as otherwise provided in such general rules In respect of developing countries, countries with economies in transition and other nontraditional donors, or in respect of other exceptional situations, each donor shall provide cash contributions sufficient to cover the full operational and support costs of its contributions. 3. Commodity pledges may be made either in monetary terms or in terms of fixed physical quantities of specified commodities. Article XIV: Financial arrangements 1. All contributions to WFP mentioned in Article XIII of these General Regulations shall be credited to the World Food Programme Fund (hereinafter referred to as “the WFP Fund”), from which the cost of administration and operation of WFP shall be met. The WFP Fund, and any sub-funds or accounts that may be established, shall be administered in accordance with the Financial Regulations of WFP. 2. The Board shall exercise full intergovernmental supervision and scrutiny of all aspects of the WFP Fund. 3. The Executive Director shall have complete responsibility and shall be accountable to the Board for the operation and administration of the WFP Fund. 4. In all matters relating to the financial administration of WFP, the Board shall draw on the advice of the United Nations Advisory Committee on Administrative and Budgetary Questions (ACABQ) and the Finance Committee of FAO. 5. The Board shall, after receiving advice from the ACABQ and the FAO Finance Committee, establish Financial Regulations to govern the management of the WFP Fund. 6. The Executive Director will submit the following to the Executive Board for approval: (a) the biennial WFP budget, and supplementary WFP budgets whenever appropriate prepared in exceptional circumstances; (b) annual financial statements of WFP, together with the report of the External Auditor; (c) other financial reports. These will also be submitted to the FAO Finance Committee and the ACABQ for their review and comments. The reports of these bodies will be submitted to the Board. Article XV: Amendments to the General Regulations 1. Amendments to these General Regulations shall be approved by the General Assembly of the United Nations and the FAO Conference.

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2. The Board may recommend amendments to these General Regulations through the Economic and Social Council and the Council of FAO.

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DICHIARAZIONE DI INTENTI DEL WFP

Il World Food Programme - WFP è il braccio operativo per gli aiuti alimentari del sistema

delle Nazioni Unite. L’aiuto alimentare è uno dei molti strumenti che possono contribuire a

promuovere la sicurezza alimentare, termine con cui si indica il libero e incondizionato

accesso di tutti i popoli al cibo necessario per una vita sana e attiva1.

La politica alla base dell’utilizzo degli aiuti alimentari del WFP deve essere orientata

all’eliminazione della fame e della povertà. Lo scopo ultimo degli aiuti alimentari dovrebbe

essere l’eliminazione del bisogno stesso di tali aiuti.

Sono necessari interventi mirati per aiutare a migliorare la vita delle popolazioni più

bisognose. Popolazioni che, stabilmente o nel corso di periodi critici della propria esistenza,

non sono in grado di produrre viveri a sufficienza o non possiedono le risorse per ottenere in

altro modo il cibo di cui le famiglie hanno bisogno per condurre una vita sana e attiva.

In linea con il proprio mandato, che riflette anche il principio di universalità, il WFP

continuerà a:

• utilizzare gli aiuti alimentari a sostegno dello sviluppo sociale ed economico;

• soddisfare le esigenze dei rifugiati e i fabbisogni alimentari nati da altre

situazioni di emergenza, assicurando il relativo supporto logistico; e

• promuovere la sicurezza alimentare mondiale secondo i consigli delle Nazioni

Unite e della FAO.

Le linee-guida che indirizzano l’utilizzo degli aiuti alimentari del WFP sono:

a) salvare la vita dei rifugiati e delle popolazioni coinvolte in situazioni di emergenza:

b) migliorare la qualità della vita e il livello nutrizionale delle popolazioni più vulnerabili nei

momenti critici della loro esistenza;

c) prestare assistenza nella realizzazione di beni materiali e favorire l’autonomia delle

popolazioni indigenti e delle comunità, in particolare attraverso programmi di lavoro

intensivi.

Nel primo caso, gli aiuti alimentari rappresentano una componente essenziale alla protezione

umanitaria e sociale. Il loro impiego sarà realizzato con un forte orientamento allo sviluppo,

1 Convegno Internazionale sulla Nutrizione FAO/WHO (1992)

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con l’obiettivo principale di salvare vite umane. Per quanto possibile, la fornitura di aiuti

alimentari di emergenza sarà coordinata con i soccorsi forniti dalle altre organizzazioni

umanitarie. Nel secondo caso, gli aiuti alimentari rappresentano un pre-investimento nelle

risorse umane. Nel terzo, si fa ricorso alla risorsa più abbondante delle popolazioni indigenti,

il lavoro delle proprie braccia, per creare occupazione e reddito nonché per costruire le

infrastrutture necessarie allo sviluppo.

Il WFP è nella posizione giusta per sostenere un ruolo principale nel processo continuo che va

dagli aiuti di emergenza allo sviluppo. Nei programmi di sviluppo, si accorderà la priorità alla

prevenzione delle calamità naturali, alla capacità di farvi fronte e di attenuarne le conseguenze

nonché alle attività di ricostruzione successive. Per contro, gli aiuti di emergenza saranno

utilizzati, per quanto possibile. a scopi sia assistenziali sia inerenti allo sviluppo. In entrambi i

casi, l’obiettivo finale è quello di favorire l’autonomia.

Nello svolgere il proprio mandato, il WFP concentrerà la propria attenzione sul modo più

consono e redditizio di sfruttare le risorse disponibili. Particolare attenzione sarà prestata a

quegli aspetti dello sviluppo in cui gli aiuti alimentari si rivelano maggiormente utili. Saranno

fatti tutti gli sforzi necessari per evitare ripercussioni negative su produzioni alimentari locali,

modelli di consumo e dipendenza dagli aiuti alimentari. Il WFP continuerà a giocare un ruolo

principale e significativo nel prestare la propria assistenza e competenza tecnica nel settore

dei trasporti e della logistica, allo scopo di garantire una distribuzione pronta ed efficiente

degli aiuti umanitari.

La natura multilaterale del WFP rappresenta uno dei suoi maggiori punti di forza. La capacità

di intervenire virtualmente in qualsiasi parte del mondo in via di sviluppo, senza riguardo

all’orientamento politico dei governi, sarà sfruttata al fine di mettere a disposizione un canale

neutrale attraverso il quale convogliare gli aiuti di emergenza in situazioni in cui molti Paesi

finanziatori non sarebbero in grado di prestare direttamente assistenza. Il WFP si occuperà di

fornire i servizi - consigli, buoni uffici, supporto logistico e informazioni - nonché di

sostenere i diversi Paesi nell’organizzare e gestire i propri programmi di aiuti alimentari.

Su richiesta, il WFP è pronto a fornire servizi bilaterali ai finanziatori, alle organizzazioni

delle Nazioni Unite e alle organizzazioni non governative previo recupero dei costi. Tali

servizi saranno forniti e giustificati separatamente e si integreranno con le operazioni

principali del WFP, per quanto possibile.

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Gli sforzi e le risorse del WFP saranno concentrati sui Paesi e le popolazioni più bisognose2,

seguendo la decisione del CFA di destinare almeno il 90% del sostegno allo sviluppo prestato

dal WFP ai Paesi a basso reddito con carenze alimentari e almeno il 50% del proprio sostegno

allo sviluppo ai Paesi meno sviluppati. Il WFP si impegnerà a garantire che i propri

programmi di assistenza siano ideati e resi operativi coinvolgendo nel senso piú ampio la

popolazione. Le donne, in particolare, rappresentano un fattore chiave nel processo di

cambiamento: consegnare il cibo nelle loro mani significa affidarlo a chi lo utilizzerà a

beneficio dell’intero nucleo familiare e in primo luogo dei bambini. Lo scopo dei programmi

di assistenza del WFP sarà proprio quello di rafforzare nelle donne la capacità d’intervento e

di recupero di fronte alle emergenze.

Per essere realmente efficaci, gli aiuti alimentari dovrebbero essere totalmente integrati nelle

priorità e nei progetti di sviluppo dei Paesi destinatari e coordinati con altre forme di

assistenza. Il punto di partenza del WFP è rappresentato dalle politiche nazionali, dai piani e

dai programmi dei Paesi in via di sviluppo, inclusi i loro piani per la sicurezza alimentare. Lo

scopo è integrare tutte le proprie attività a livello del Paese in modo di essere in grado di far

fronte ai fabbisogni urgenti a mano a mano che essi si presentano, pur mantenendo i propri

obiettivi fondamentali di sviluppo. Le note sulla strategia da adottare nel Paese, se disponibili,

dovrebbero fornire l’ossatura di una risposta integrata da parte del sistema delle Nazioni

Unite. In alcuni casi speciali, il WFP adotterà un approccio al problema multinazionale o

regionale, in particolare per quanto concerne la fornitura di assistenza umanitaria. Nessuna

organizzazione da sola possiede le risorse o le capacità necessarie ad affrontare tutti i

problemi legati alla fame e al sottosviluppo. Di qui l’importanza accordata dal WFP alla

collaborazione con le altre organizzazioni, in particolare con gli enti da cui trae origine: le

Nazioni Unite e la FAO. Il WFP continuerà a lavorare in stretta collaborazione con l’Ufficio

delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, con l’UNHCR e con altri

enti e organizzazioni non governative pertinenti (NGO) per fare fronte alle emergenze e alle

crisi umanitarie. Il rapporto di collaborazione interesserà anche le organizzazioni delle

Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura con sede in Roma, la FAO e l’IFAD,

soprattutto per quanto concerne l’utilizzo degli aiuti alimentari per il raggiungimento della

sicurezza alimentare dei nuclei familiari. Si continueranno a stabilire associazioni di impresa

incisive con l’UNDP, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, enti e

2 Normalmente, per affamate e indigenti si intendono le popolazioni che guadagnano meno dell’equivalente di un dollaro al giorno o che destinano la maggior parte del proprio budget familiare all’acquisto di cibo.

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istituzioni regionali, finanziatori bilaterali e organizzazioni non governative, a sostegno dello

sviluppo economico e sociale.

Il WFP sosterrà il proprio ruolo di membro attivo del sistema delle Nazioni Unite con

l’obiettivo di porre la questione della fame nel mondo al centro dell’ordine del giorno

internazionale. Nel suo dialogo con i governi destinatari e la comunità dei soccorsi, il WFP

patrocinerà le politiche, le strategie e le operazioni orientate a diretto beneficio delle

popolazioni affamate e indigenti.

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