Il Poeta Perseguitato (2)

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BLANCA CORTÁZAR LA SATIRA OPERISTICA NEL LIBRETTO DEL SECONDO OTTOCENTO. L’ARTE DI FAR LIBRETTI E IL POETA PERSEGUITATO DI ANTONIO GHISLANZONI La fama di Antonio Ghislanzoni è oggi quasi esclusivamente legata alla sua produzione librettistica, nonostante il fecondissimo e spesso pregevole lavoro da lui svolto in ambito letterario e giornalistico. La sua attività per il teatro d’opera, prolifica ai limiti dell’incredibile 1 , lo vide tante volte collaboratore di operisti minori, ma anche di autori quali Gomes, Ponchielli, Catalani e Petrella. Spicca fra tutte la collaborazione con Verdi, che, com’è noto, gli chiese di versificare Aida dopo avergli affidato, sotto l’auspicio di Ricordi, la delicata revisione de La forza del destino 2 . Ghislanzoni si misurò, con la versatilità che gli era propria, con tutti i sottogeneri del teatro musicale; nei suoi libretti troviamo le indicazione di genere più diverse, dal melodramma all’idillio, dal ballo romantico alla tragedia lirica, passando per il melodramma giocoso, l’operetta, lo scherzo comico… Non poteva mancare, vista la propensione ghislanzoniana per la critica corrosiva e dissacrante, qualche incursione nell’ambito della satira sul teatro d’opera, riprendendo una tradizione che risaliva al Settecento e che era stata coltivata da ogni grande librettista, da Metastasio a Da Ponte. Lo scopo di queste pagine è quello di proporre il testo completo del libretto metateatrale Il poeta perseguitato, apparso nel 1877 sulle pagine del “Giornale Capriccio” 3 , preceduto da alcune considerazioni preliminari su L’arte di far libretti 4 (1870), prima prova di Ghislanzoni nel campo della parodia del teatro musicale. La tradizione a cui si rifaceva Ghislanzoni aveva avuto inizio nel 1715 con La Dirindina o Il maestro di cappella di Girolamo Gigli, musicato per la prima volta da Domenico Scarlatti. Tuttavia, ad assurgere a modello della librettistica metateatrale posteriore non fu un libretto, bensì il caustico libello Il teatro alla moda di 1

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BLANCA CORTÁZAR

LA SATIRA OPERISTICANEL LIBRETTO DEL SECONDO OTTOCENTO.

L’ARTE DI FAR LIBRETTI E IL POETA PERSEGUITATODI ANTONIO GHISLANZONI

La fama di Antonio Ghislanzoni è oggi quasi esclusivamente legata alla sua produzione librettistica, nonostante il fecondissimo e spesso pregevole lavoro da lui svolto in ambito letterario e giornalistico. La sua attività per il teatro d’opera, prolifica ai limiti dell’incredibile1, lo vide tante volte collaboratore di operisti minori, ma anche di autori quali Gomes, Ponchielli, Catalani e Petrella. Spicca fra tutte la collaborazione con Verdi, che, com’è noto, gli chiese di versificare Aida dopo avergli affidato, sotto l’auspicio di Ricordi, la delicata revisione de La forza del destino2.

1Note?In realtà è piuttosto considerevole la differenza tra il numero di libretti di cui si ha notizia e il numero di quelli materialmente reperibili. Per un elenco dei libretti ghislanzoniani cfr. Giuseppe FARINELLI, La librettistica di Antonio Ghislanzoni: contributo ad una ricerca, in “Otto–Novecento”, n. 1, gennaio-febbraio 1986, pp. 21-34, poi confluito con integrazioni in Giuseppe FARINELLI, Dal Manzoni alla Scapigliatura, Milano, Istituto di Propaganda Libraria, 1992, pp. 299-317. Più completo Aroldo BENINI, Antonio Ghislanzoni librettista in Aroldo BENINI, Per la biografia di Antonio Ghislanzoni, in “Archivi di Lecco”, anno XVI, n. 2, aprile-giugno 1993, pp. 135-179, che dà notizia di centoquattro libretti e accenna al successo delle opere con notizie tratte dalla cronaca giornalistica. La ricognizione più recente ed esauriente dal punto di vista della concreta reperibilità dei testi, è quella di Blanca CORTÁZAR, Katya GENGHINI, Marco MOIRAGHI, Maria Grazia SITÀ, Contributo per un catalogo dei librettisti scapigliati, in corso di stampa.2 Più spinosa la questione della partecipazione di Ghislanzoni nella traduzione e adattamento all’italiano del Don Carlos verdiano; Aroldo Benini attribuisce tutto il merito a Ghislanzoni, negando la paternità della traduzione ad Achille de Lauzières per una questione di date: Lauzières morì nel 1875 mentre la versione italiana dell’opera fu rappresentata al Teatro alla Scala di Milano il 10 gennaio di 1884 (cfr. Aroldo BENINI, op. cit., p. 166). Se è vero che le comuni enciclopedie segnalano come coordinate esistenziali di Lauzières le date 1800-1875, Stieger riporta invece 1818-1894 (cfr. Franz STIEGER, Opernlexikon, vol. III, Librettisten, tomo 1, Tutzing, Schneider, 1975, p. 518); di fatto esistono segnalazioni di opere di Pedrell e Dubois, tra altri, scritte anche un decennio oltre il 1875, su libretti di un Lauzières de Thémines. Ad ogni modo, l’obiezione principale da opporre a Benini è che la versione in quattro atti del Don Carlos del 1884 non è l’unica esistente in italiano: si rappresentavano versioni italiane non solo in Italia ma anche all’estero già dal 1867, lo stesso anno della prima rappresentazione parigina. La versione considerata con la partecipazione di Ghislanzoni pare sia quella del 1872: Verdi desiderava introdurre alcuni cambiamenti per la rappresentazione al Teatro di San Carlo di Napoli e aveva domandato dei versi nuovi al librettista della recentissima Aida, come dimostrerebbe una lettera conservata a New York (cfr. Ursula GÜNTHER, L’edizione integrale del Don Carlos di Giuseppe Verdi, Milano, Ricordi, 1977). L’intervento di Ghislanzoni non esclude pertanto quello di Lauzières, che indubbiamente si occupò della traduzione in una delle versioni dell’opera rimaneggiata. La versione in quattro atti del 1884, di cui parla Benini, si valse della traduzione di Lauzières già esistente, rivista per l’occasione da Angelo Zanardini, che tradusse anche i nuovi versi scritti in francese da Camille Du Locle.

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Ghislanzoni si misurò, con la versatilità che gli era propria, con tutti i sottogeneri del teatro musicale; nei suoi libretti troviamo le indicazione di genere più diverse, dal melodramma all’idillio, dal ballo romantico alla tragedia lirica, passando per il melodramma giocoso, l’operetta, lo scherzo comico… Non poteva mancare, vista la propensione ghislanzoniana per la critica corrosiva e dissacrante, qualche incursione nell’ambito della satira sul teatro d’opera, riprendendo una tradizione che risaliva al Settecento e che era stata coltivata da ogni grande librettista, da Metastasio a Da Ponte. Lo scopo di queste pagine è quello di proporre il testo completo del libretto metateatrale Il poeta perseguitato, apparso nel 1877 sulle pagine del “Giornale Capriccio”3, preceduto da alcune considerazioni preliminari su L’arte di far libretti4 (1870), prima prova di Ghislanzoni nel campo della parodia del teatro musicale.La tradizione a cui si rifaceva Ghislanzoni aveva avuto inizio nel 1715 con La Dirindina o Il maestro di cappella di Girolamo Gigli, musicato per la prima volta da Domenico Scarlatti. Tuttavia, ad assurgere a modello della librettistica metateatrale posteriore non fu un libretto, bensì il caustico libello Il teatro alla moda di Benedetto Marcello (1720). Il filone si dimostrerà fortunatissimo e nell’arco del Settecento verrà consolidato grazie ai titoli L’impresario delle Canarie di Metastasio, musicato per la prima volta da Domenico Sarro (1724), La bella verità di Carlo Goldoni con musica di Niccolò Piccinni (1762), L’opera seria di Ranieri de’ Calzabigi5, musicato da Florian Leopold Gassmann (1769), Prima la musica e poi le parole di Giovanni Battista Casti con la musica di Antonio Salieri (1786) e il pasticcio L’ape musicale di Lorenzo Da Ponte, per citare soltanto quelli dei librettisti più noti. L’Ottocento ha il suo esempio più rappresentativo nel libretto di Domenico Gilardoni Le convenienze e inconvenienze teatrali, tratto da due commedie del letterato padovano Antonio Sografi e rappresentato a Napoli nel 1827 con la musica di Gaetano Donizetti, a cui venne inizialmente attribuito il libretto6. Il genere gode di buona salute almeno fino agli anni Cinquanta dell’Ottocento, come dimostrano, tra altri, Don Bucefalo di Calisto Bassi, posto in musica da Antonio Cagnoni (1847), e Tutti in maschera, libretto di Marco Marcelliano Marcello e musica di Carlo Pedrotti (1856)7.Scopo dei metamelodrammi è quello di ironizzare sul mondo del teatro musicale, in genere mettendo in scena i preparativi per l’allestimento di un’opera seria. L’eterogeneità e l’ambiguità, caratteristiche del mondo operistico, sono rese trasparenti dalla variegata costellazione di personaggi: prime donne e primi tenori, poeti, compositori, impresari, maestri di musica, madri di virtuose, seconde donne, ballerini, suonatori, sarti, macchinisti… infine, tutti quelli che concorrono alla creazione di quell’ibrido spettacolo che è l’opera. Le situazioni che ricorrono con maggiore frequenza sono i capricci delle prime donne, l’ignoranza dei cantanti, i litigi tra librettista e compositore, i problemi dell’impresario o il critico momento della prova. Tra questi topoi è forse l’ultimo a rendere più evidenti le interferenze tra vita e finzione, e anche la critica, non già all’ambiente teatrale, bensì alle forme, convenzioni e stereotipi dell’opera. Questa satira autoriflessiva si attua sia dal punto di vista testuale e drammaturgico che da quello musicale, e ha come leitmotiv la preponderanza concessa alla musica a scapito della coerenza drammaturgica. Nelle parole di Daniela Goldin:

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«È un problema che prende spesso la forma di scontro tra la presunta razionalità del testo e l’irrazionalità della musica che può rivestire arbitrariamente di note, suoni e timbri, parole o espressioni codificate dall’uso letterario e teatrale. L’ideale a cui si tende e si giunge nel finale lieto della burrascosa rappresentazione, è la consonanza dei due linguaggi»8.

È quest’ultimo aspetto a venire maggiormente in luce nelle satire ghislanzoniane, soprattutto ne L’arte di far libretti, che racchiude una beffarda critica alle convenzioni operistiche accolte dallo stesso Ghislanzoni9. Nella maggior parte della sua produzione librettistica si può infatti riscontrare un cospicuo debito verso la tradizione, sia nell’impianto formale che nel repertorio lessicale e stilistico o nelle scelte di drammaturgia10. Che il librettista vi si conformasse per lo più a malincuore, obbligato da richieste editoriali o dai musicisti, si evince da queste righe:

«I nostri personaggi sono inesorabilmente una o due primedonne, un tenore, un baritono, un basso o grandi masse corali che debbon quasi sempre parlare all’unisono. […] Ci si domandano situazioni nuove; se ne trovano talvolta, ma guai se mancano il “duetto d’amore”, la “romanza”, il “pezzo concertato”, o che so io! Allora il maestro, l’editore, il cantante si intromettono con le loro esigenze[…]»11.

Sono ugualmente significative le parole apparse sul suo “Giornale Capriccio”, con le quali biasima la vuota retorica del melodramma, esaltando il valore autonomo del testo, e auspica una riforma del libretto secondo i seguenti auspici:

«Innanzi tutto, poeta e maestro debbono convenire in questo principio assoluto che il libretto per musica vuol essere un dramma, già atto per sé medesimo a tener desta l’attenzione degli spettatori, a dilettare, a commuovere quand’anche la musica non venisse a sussidiarlo co’ suoi validissimi accenti. Falsare un carattere, violentare una situazione, raccorciare od amplificare un dialogo per comodo della musica, tutto ciò può essere una momentanea risorsa per qualche musicista mediocre, ma gli aberramenti del dramma pregiudicheranno necessariamente l’interesse generale dell’opera. L’opera album non è più permessa oggi giorno. […] Bandire dal melodramma tutto ciò che rappresenta il convenzionalismo di altri tempi, le scene, i monologhi, i dialoghi oziosi che ritardano il movimento dell’azione, dev’essere l’intento comune e principalissimo dei due collaboratori dell’opera. […] Primi a conoscere la necessità di eliminare dall’opera moderna tutte quelle superfluità di cavatine e di dialoghi che non hanno altra ragione di essere fuori delle esigenze musicali del cantante o del maestro, colla medesima logica noi crediamo di dover escludere dal melodramma tutte quelle combinazioni di elementi accessorii che non hanno verun rapporto colla azione, che da quella distraggono i sensi e l’intelletto, per suscitare delle sorprese, delle commozioni inaspettate. […] Escludere il riempitivo, tuttoché non abbia un rapporto diretto colla azione, o distragga lo spettatore dal soggetto principale: ecco la più essenziale riforma da introdursi nel dramma per musica»12.

L’arte di far libretti è la versione in chiave comica di queste amare parole. Il libretto ha una peculiarità rispetto agli altri metamelodrammi: non mette in scena i preparativi per l’allestimento di un’opera seria, ma sin dall’inizio siamo immersi in essa, nell’hic et nunc del suo svolgersi. Quest’opera

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romantica, con le sue caratteristiche formali e drammaturgiche in versione semplificata e ridotta, si realizza parafrasando se stessa, mettendo in luce i propri procedimenti e la propria natura fittizia, ed è questo sdoppiamento a provocare la comicità. E per questo che Ghislanzoni ha opportunamente apposto il sottotitolo “opera serio-buffa”. Questo l’elenco dei personaggi:

«BARITONO I – Tiranno di un paese qualunque, personaggio nervoso e atrabiliare.PRIMADONNA. – Moglie di Baritono, donna di carattere indipendente e soggetta a frequenti deliquii.TENORE. – Giovane di oscuri natali, di temperamento epatico, affetto di itterizia e di idropisia cronica.COMPRIMARIA. – Damigella di confidenza e amica inseparabile di Primadonna; fanciulla tra i venti e i cinquant’anni, d’indole maligna e sospettosa.COMPRIMARIO – Amico intimo di Tenore; personaggio poco influente e irresoluto.PROFONDO. – Frate di un ordine qualunque; zio di Primadonna, amico di Baritono, mecenate di Tenore, ecc., uomo di solida costituzione e di molta autorità, con tendenza pronunziatissima alle stonazioni.

CORISTI MASCHI E FEMMINE

che mutano nome e condizione a comodo del poeta e del maestro, conservando sempre nel viso e nel portamento il tipo cretino. I coristi, al primo apparire sulla scena, rivelano i loro istinti di ordine, schierandosi in semicircolo e ostentando la maggior parsimonia nei gesti.La scena ha luogo in un paese non ancora conosciuto, i cui abitanti, invece di parlare, cantano o solfeggiano con accompagnamento di orchestra.

Epoca: a piacere del vestiarista13».

Si trascrive di seguito la seconda scena dell’atto I, costruita parodisticamente come una sorta di “Scena e aria” melodrammatica:

«TENORE(uscendo da un muro o da una pianta e arrestandosi in fondo alla scena):Quai voci!… Son pur dessi…io li conosco(a Comprimario)Li vedi tu?..

COMPRIMARIO (guardando fissamente il suggeritore)

Li vedo… in fondo al boscoSi ritraggon i vili… e qui tu puoiCantar liberamenteLa cavatina tua…

TENORE (afferrando comprimario per un braccio e conducendolo sul davanti della scena)

Si: mio fedele!…Altra ragion qui non mi trasse- e certoVenuto non sarei,Se il maestro, cedendo ai voti miei,La cavatina non mi avesse scritto…

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COM[PRIMARIO]Siete primo tenor- ne avete il dritto.

TEN[ORE]Or va, diletto mio- veglia da lunge….Esplora il bosco, la vallata, il colle…Mentre io canto l’adagio in mi bemolle(Comprimario si allontana alzando il braccio destro e si ferma dietro una quinta a conversare con una corista).

TENORE(impiombandosi presso la buca del suggeritore) Per quel destin che a gemere Condanna ogni tenore, La moglie del Baritono Amo di immenso amore… E questo ardente affetto Cui nulla estinguer può, Nel prossimo duetto A tutti…. e a lei dirò.

COMPRIMARIO (entrando in scena agitatissimo, e accostandosi a Tenore gli canta con voce fioca nell’orecchio) Or che l’adagio Hai terminato; Tenor carissimo, Son qui tornato. Per darti il tempo Di riposar.

TENORE(dirigendosi con Comprim.[ario] verso il fondo della scena)Oh! mille grazie!Ben obbligato…Andiam là…in fondo…A passeggiar…(Squillo di trombe nell’orchestra. Dopo aver respinto Comprimario nel vano di due quinte, Tenore si slancia di nuovo verso la ribalta, gridando a tutta voce)Nuovi prodigi il pubblicoDella mia gola aspetta….Ei vuol la cabaletta…La cabaletta avrà.E griderò si forte:Guerra, sterminio e morte!Che di mie note al turbineLa volta crollerà»

La critica alla cabaletta è lampante qui come in altri punti del libretto. Il rimprovero maggiormente mosso alla cabaletta era, com’è noto, quello di mancare di giustificazione drammatica (spetterebbe al tempo di mezzo cercare di renderla più credibile), ed essere per lo più una concessione alla richiesta da parte del pubblico dei virtuosismi tradizionalmente annessi a questa forma. Nel nostro caso, le parole “guerra, sterminio e morte” (con le trombe a sottolineare il carattere eroico delle cabalette tenorili), assolutamente incongruenti, e le allusioni al pubblico, evidentemente costituiscono una critica che si muove su questa linea14.Nel libretto sono inoltre continue e ricorrenti le allusioni al triangolo amoroso (soprano e tenore si amano ostacolati dal baritono), adibito nel

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libretto d’opera romantico a principale fonte di conflitto con dei risvolti inesorabilmente tragici15:

«TENORE(fissando il lampadario con occhi appassionati): Non iscordar, bell’angelo,Che prima donna seiPoiché il libretto è serioMorir con me tu deiIn barba al re baritono,Al basso e ad altri ancora,Infino all’ultim’oraNoi canteremo insiem.Ed i maggiori applausiPer certo coglierem» (atto I, scena IV)

Oppure, Tenore e Soprano colti in flagrante tradimento dal Baritono:

«BARITONO(colla spada alzata):Coppia infame; e spenti al suoloIn vedermi non cadeste?Se il rossetto non avesteVoi dovreste impallidir…(gettando la spada in un fosso)Oh furore! E non mi è datoPunir tosto il reo misfatto!…Ma vi aspetto all’ultim’atto…Dove tutti han da morir.

TENORE(correndo ad abbracciare Prima-donna e guardando Baritono con feroce ironia):Or che il brando egli ha gettatoVien… mi abbraccia al suo cospetto…Fino all’ultimo quartettoNon poss’io… non puoi morir.Né può il vil, se anco il volessePunir tosto il reo misfatto,Chè, noi morti nel prim’atto,Dovria l’opera finir» (atto I, scena V)

E’ evidente la parodia del linguaggio melodrammatico attraverso l’assunzione d’uno stile e d’un lessico classicheggianti, che alternandosi ad un registro stilistico prosaico producono un contrasto comico16. Viene pure derisa la codificazione delle funzioni narrative che il narratore-compositore (in questo caso immaginario) attua attraverso i timbri puri, i quali somministrano informazioni eccedenti rispetto a quanto reso esplicito dal libretto: la primadonna è certa, sentendo i timbri del flauto e dei timpani, dell’arrivo del tenore-amante:

«PRIM.[ADONNA]E il mio Tenore!… Egli verrà… Mel dice

Questa di flauto melodia soaveChe nell’aria si spande…(trillo di flauto nell’orchestra).

Oh! Rimembranza!…17

È omai tempo ch’io canti una romanza» (atto I, scena III)

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Oppure del marito baritono:

« […](rullo di timpani)PRIMADONNA.O mio spavento!

TENORE I timpani!…

PRIMADONNATu pure udisti?…

TENORE Ho udito…

PRIMADONNA Sempre quel suon funereo…Precede mio marito» (atto I, scena IV)

Un altro procedimento narrativo ricorrente nel melodramma dell’epoca (soprattutto in Verdi) è il denotare la presenza di un “oggetto psichico” lontano dal presente attraverso il suono solista di un legno18. Così Ghislanzoni associa acutamente il suono del flauto anche alla rimembranza, come nell’esempio prima citato.Uno dei topoi della satira del teatro d’opera era quello di motteggiare i capricci e le megalomani richieste dei cantanti; Ghislanzoni ancora una volta non perde la succosa occasione di schernirli19, come si può vedere nel recitativo del tenore e del comprimario riportato sopra, oppure ancora in questo passo:

«FRATE:Ch’io sono il basso –non ignorateE necessario che m’ascoltiate…Lo vuol… lo esige… l’onor dell’arte…Fui scritturato qual prima parte…E senza un’aria…senza un duetto…Bella figura farei davver!» (atto II, scena II)

Il librettista aveva probabilmente in mente «i dialoghi oziosi che ritardano il movimento dell’azione», di cui parla nelle sue considerazioni sul libretto, prima riportate, quando scrisse l’inizio del duetto:

«A DUE VOCI:O gioia inesprimibile!…

PRIMADONNA.Sei tu?…

TENORE.Son io…

PRIMADONNA.Tel credo…

TENORE:Dici il ver?

PRIMADONNA.

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Le tenebreSon folte…eppur ti vedo…

A DUE VOCI.La luce del proscenioIrradia i cori amanti…Non perdansi gli istanti…Dell’ora approfittiam!

PRIMADONNA.Dunque… risolvi… affrettati(con impazienza)

TENORE.Che vorrà mai?(da sé, ritraendosi)

PRIMADONNA.Cantiam» (atto I, scena IV)

Ghislanzoni non risparmia nemmeno gli aspetti convenzionali delle scenografie, come si può apprezzare all’inizio del terzo atto:

«Luogo solitario.- Nel mezzo della scenaun sasso di legno.- A sinistra una grotta.

TENOREEcco il luogo… ecco il bosco…Io ben lo riconoscoPer questo sasso che non manca maiDove una Primadonna ed un TenoreSono chiamati a sospirar d’amore…» (atto III, scena I)

In tutti gli esempi riportati sopra è presente un continuo spostamento tra la rappresentazione e l’allusione al suo carattere fittizio. Questo procedimento, che tronca l’illusione scenica20, serve a Ghislanzoni per illustrare e denunciare il codice melodrammatico. I nostri personaggi (che non arrivano nemmeno a esserlo, rimanendo confinati in ruoli come baritono-marito o tenore-amante, ecc.), affetti da una sorta di schizofrenia teatrale, prendono molto sul serio la loro doppia natura di attori-cantanti/ruoli, in quello che diventa una rappresentazione “al quadrato”. Ecco altri esempi:

«BARIT.[ONO](alle guardie)La regina vedeste?(breve pausa)

Una rispostaNon mi attendo da voi - siete comparseE una comparsa non parlò giammaiIte!… Solo esser voglio… […]» (atto II, scena I)

Oppure:

«PRIMADONNAAlla mia voce, o flauti,Il dolce suon sposate,gemendo a lui recateL’eco del mio dolor…

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Ditegli che l’aspettoPel solito duettoChe moglie di un baritonoSempre amerò i tenor(guardando verso le quinte) Egli verrà… non tarderà… Lo veggoRitto al piè di una quinta… Egli misuraIl tempo colla man… si inchina a bereUn sorso d’acqua e zucchero… tossisce…Si slancia alfine…(correndo incontro a Tenore e abbracciandolo col più vivo trasporto)Il cielo a me ti unisce!» (atto I, scena III)

E, già sul finire dell’opera, Ghislanzoni usa la morte dei due disgraziati amanti per mettere ancora in luce la natura irrimediabilmente “illogica” del melodramma:

«PRIMADONNA (con voce morente):Tenore… ascoltami… questo duettoPur troppo è l’ultimo che insiem cantiam…Con due magnifiche note di pettoSi avverta il pubblico che noi moriam…

TENORE (alzandosi con uno sforzo supremo):Addio bell’angelo – sul do di pettoTi ferma…

PRIMADONNA.Ah… basti!…

TENORE Basti!…cadiam!» (atto II, scena III)

Non dovevano finire con L’arte di far libretti le comiche invettive di Ghislanzoni contro il mondo del melodramma, che troveranno invece un seguito in Il poeta perseguitato. L’idea venne suggerita al librettista da Amilcare Ponchielli, che nelle more della redazione del libretto I Mori di Valenza, che Ghislanzoni tardava a licenziare21, gli spedì una lettera scherzosa con la traccia di un libretto che doveva servire a «scuotere l’inerzia del suo poeta». Questo non si sentì ad ogni modo incitato a lavorare con rinnovata foga a I Mori di Valenza, ma assecondò volentieri l’invito scherzoso alla stesura del nuovo libretto scrivendo in un battibaleno Il poeta perseguitato. Nell’eseguire il gradito compito seguì scrupolosamente la traccia e il primo verso d’ogni numero fornitigli da Ponchielli, pubblicando il divertente risultato sul “Giornale Capriccio”22, sua penultima fatica giornalistica23.Non si tratta di una parodia del melodramma com’era invece L’arte di far libretti, bensì di una satira sull’ingrato mestiere del librettista; benché si trovino i consueti personaggi delle satire sul teatro (cantanti, poeta, compositori, impresario), mancano le solite ambientazioni (allestimento dell’opera, “teatro nel teatro”) e alcuni luoghi obbligati (capricci dei cantanti, problemi economici dell’impresario, ecc.). Quello che non manca, ed è anzi assolutamente prevalente, è il topos “prima la musica, poi le parole”, ossia la sudditanza del librettista al compositore. Infatti Il poeta perseguitato ridicolizza non tanto l’ambiente teatrale o il melodramma in sé, quanto la protostoria di quest’ultimo, ossia i rapporti tra librettista e

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musicista durante la gestazione del libretto d’opera. I personaggi principali non sono altri che Ponchielli e lo stesso Ghislanzoni, sotto il nome di Poeta.Si è già evidenziato, a proposito de L’arte di far libretti, come Ghislanzoni condannasse la retorica melodrammatica; a questo disgusto, sufficiente per rendere sgradito il compito di librettista, si aggiungevano i ritmi di lavoro pesantissimi, le pressanti richieste di editori e compositori e la mancanza di una dignità artistica conferita al proprio lavoro:

«[…] Allora il maestro, l’editore, il cantante si intromettono con le loro esigenze. E quando tutte queste esigenze sembrano appagate, quando sacrificando ad esse il buon senso, la logica, la nostra individualità, il nostro entusiasmo, persino il nostro istinto di prosodia, siamo riusciti a costruire un melodramma accettato con piena soddisfazione dal maestro, la nostra creazione si denunzia col titolo di “libretto” o coll’altro più significativo di “parole”»24.

Non stupisce allora vederlo esprimersi come segue, in riferimento all’attività a cui, nonostante tutto, dedicò gran parte del suo tempo e del suo impegno:

«Oggimai il mestiere di scriver libretti è divenuto un sì crudele martirio, che è da far meraviglia se qualche uomo d’ingegno osi ancora affrontarlo. Per condurre l’uomo all’imbecillità vi hanno molte vie; questa, dello scriver libretti, è indubbiamente la più sicura»25.

Infatti Ghislanzoni, che si sentiva innanzitutto narratore e giornalista, considerava l’attività di librettista secondaria e finalizzata unicamente al guadagno economico. Meditò più volte (forse non del tutto seriamente) l’idea dell’abbandono, di cui parla in una lettera a Ricordi del 28 agosto 1873, due anni dopo Aida:

«È mia ferma intenzione, una volta esauriti gli impegni già assunti, di non scrivere più libretti, quando non si tratti del M° Verdi26; cercherò un posto da segretario in qualche municipio del territorio lecchese, e vivrò di minestra e polenta»27.

La sua attività era così incessante da vederlo intento a scrivere vari libretti contemporaneamente. Così in una lettera indirizzata ancora a Ricordi nel giugno del 1874 annunciava:

«La risoluzione di fare un libretto alla volta fu da me presa irrevocabilmente. Sarà pel meglio dei committenti e di me. Farò più presto e più bene […]»28.

Evidentemente la ferma risoluzione non fu mai portata a compimento, se tre anni più tardi, nel Poeta perseguitato, Ghislanzoni si autorappresenta in chiave umoristica (e forse anche iperbolica) mentre redige ben sette libretti contemporaneamente, sottoposto a frenetica persecuzione da una miriade di maestri. Sarà in breve tempo che arriverà all’amara e lucida conclusione:

«Avrei preferito di impiegar altrimenti il mio ingegno, ma a parte alcuni epigrammi satirici e qualche scrittarello di prosa dove mi son sbizzarrito a narrare delle fole, tutta la mia letteratura rappresenta un canovaccio per trapunti melodici»29.

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APPENDICE

“Giornale Capriccio” di A. Ghislanzoni – n. 19, ottobre 187730

Il maestro Amilcare Ponchielli non è solamente un dotto e ispirato musicista, ma è altresì un uomo di molto spirito e un coltissimo ingegno. Recentemente, per scuotere l’inerzia del suo poeta che tardava ad inviargli le ultime scene di un libretto, gli inviava la lettera seguente:“Carissimo Ghislanzoni,“Oggi mi venne sott’occhio un Catalogo, nel quale trovai iscritta un’operetta semiseria intitolata: Il Poeta perseguitato. Eccoti la distinta dei pezzi:

30 Il testo completo del libretto, inclusa la lettera di Ponchielli, era già stato ripubblicato in occasione del centenario ponchelliano in Ulderico ROLANDI, Amilcare Ponchielli… librettista, Como, Emo Cavalleri, 1935 (estratto da “NICIA”, Rivista medica d’arte e varietà, n. 12, dicembre 1934).3 Ringraziamo Maria Grazia Sità per la segnalazione della fonte.4 L’arte di far libretti, opera serio-buffa in tre atti, apparve inizialmente come fascicolo allegato alla “Gazzetta Musicale di Milano” del 1 e 30 gennaio 1870, per confluire poi in Antonio GHISLANZONI, Libro allegro, Milano, Tipografia Editrice Lombarda, 1878, pp. 73-111. Benché lo stesso autore, nel primo volume dei suoi Capricci letterari, affermasse che il libretto era stato musicato da diversi maestri, abbiamo soltanto notizia della rappresentazione data in occasione di una festa universitaria a Parma, con la musica di tre musicisti dilettanti (cfr. Festa universitaria / Parma 1891 / Tramelogedia / (L’arte di far libretti) / parole di / Antonio Ghislanzoni / musica di tre, ma incogniti autori. Editore Tito di Giov. Di Batt. Di Franc. Di Lui, (la fine del prossimo anno) [Parma, Tip. Ferrari e Pellegrini, 1891]).5 Daniela Goldin lo considera l’esempio più completo e articolato di satira operistica (cfr. Daniela GOLDIN, Aspetti della librettistica italiana tra 1770 e 1830, in Daniela GOLDIN, La vera fenice. Librettisti e libretti tra Sette e Ottocento, Torino, Einaudi, 1985, pp. 3-72: 10-13).6 L’antologia La cantante e l’impresario e altri metamelodrammi, Genova, Costa & Nolan, 1988, contiene quasi tutti i metamelodrammi citati, tranne L’ape musicale di Da Ponte; in più contiene L’opera nuova di Giovanni Bertati (1781) e un’utile introduzione di Francesca SAVOIA, pp. 19-35. A quest’antologia fa riferimento l’articolo di Franco VAZZOLER, “…Al libretto si dia mano”. L’opera nell’opera in alcuni libretti del Settecento, in “L’immagine riflessa”, anno XI, n. 2, 1988, pp. 335-348.7 Per un’analisi del Don Bucefalo e di Tutti in maschera, cfr. Marco EMANUELE, L’opera sull’opera: la riscrittura del passato nell’opera comica italiana di metà Ottocento, in Marco EMANUELE, Opera e riscritture. Melodrammi, ipertesti, parodie, Torino, Paravia, 2001, pp. 101-145.8 Daniela GOLDIN, Un microgenere melodrammatico, l’opera dell’opera, in Daniela GOLDIN, op. cit., pp. 73-76: 74.9 È in questo senso che Travi definisce L’arte di far libretti una palinodia (cfr. Ernesto TRAVI, L’operosa dimensione scapigliata di Antonio Ghislanzoni, in “Otto–Novecento”, nn. 5-6, settembre-dicembre 1980, p. 76).10 È ancora Travi a vedere in Romani il modello linguistico e stilistico del Ghislanzoni librettista (cfr. op. cit., p. 74). Nonostante la sostanziale impronta conservatrice dei suoi libretti, Adriana Guarnieri Corazzol vede pure un Ghislanzoni «pure capace di modernità (la metrica di Aida, l’impianto registico di Spartacco […]): sostanzialmente un autore di idee che stempera le novità del messaggio in una veste linguistica tradizionale» [Adriana GUARNIERI CORAZZOL, Scrittori-librettisti e librettisti-scrittori tra Scapigliatura e Décadence (Ghislanzoni, Praga, Fontana, Leoncavallo), in Letteratura, musica e teatro al tempo di Ruggero Leoncavallo, Atti del II convegno internazionale (Locarno, 1993), a cura di Lorenza Guiot e Jürgen Maehder, Milano, Sonzogno, 1995, pp. 11-40: 20, poi confluito in Adriana GUARNIERI CORAZZOL, Musica e letteratura in Italia tra Ottocento e Novecento, Milano, Sansoni, 2000, pp. 7-50: 21].11 Cit. in Sergio MARTINOTTI, Ghislanzoni saggista e critico musicale, in L’operosa dimensione scapigliata di Antonio Ghislanzoni, Atti del Convegno di studio (Milano, Lecco, Caprino Bergamasco, 1993), Milano, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, 1995, pp. 163-172: 170, senza precisazione di fonte.

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ATTO I°

CORO DI INTROD.[UZIONE] - Aspettare e non venire - Fran.[chi] 3 --31

REC.[ITATIVO] E SCENA - Or via! Parlargli è d’uopo! - “ 2 --TERZETTINO -Ten.[ore] Basso Sop.[rano] - A Lecco, a Lecco andiamo! . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . “ 4 --RACCONTO per BASSO: - Dell’isola Botta fra i platani ascoso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 5 --

12Antonio GHISLANZONI, Del libretto per musica, in “Giornale-Capriccio” n. 19, ottobre 1877, pp. 9-19: 15. A questo piccolo saggio si era dato inizio sul n. 15, agosto 1877, pp. 18-29.13 Per questa e le citazioni che seguono cfr. Antonio Ghislanzoni, L’arte di far libretti, op. cit.14Nonostante il riferimento corrosivo alle cabalette, è palese che Ghislanzoni non potesse farne a meno, come si desume dalle parole di Verdi in questo notissimo passo della corrispondenza tra il compositore e Ghislanzoni datata 28 settembre 1870, in piena gestazione di Aida: «[…] Vedo ch’ella ha paura di due cose: di alcuni, dirò così, ardimenti scenici, e di non far cabalette! Io sono sempre d’opinione che le cabalette bisogna farle quando la situazione lo domanda. Quelle dei due duetti non sono domandate dalla situazione, e quella specialmente del duetto tra padre e figlia non parmi a suo posto. Aida in quello stato di spavento e di abbattimento morale non può né deve cantare una cabaletta […] (I copialettere di Giuseppe Verdi, a cura di G. Cesari e A. Luzio, Bologna, Forni, 1987, ristampa anastatica dell’edizione di Milano, 1913, p. 645).15 Su questo argomento, tra i molti contributi possibili, cfr. Scott L. BALTHAZAR, Aspects of form in the Ottocento libretto, in “Cambridge Opera Journal”, n. 7, 1995, pp. 23-35.16 La parodia del registro stilistico “alto” era un espediente ricorrente già nel Settecento, non solo nella satira del teatro musicale, ma anche nell’opera buffa in generale, e si attuava sia a livello del testo che della musica.17 Si tratta, evidentemente, di una citazione del verso che Norma, protagonista dell’omonima tragedia lirica di Felice Romani posta in musica da Vincenzo Bellini (1831), pronuncia per ben due volte nel corso del duetto con Adalgisa (atto I, scena VIII). Sulla pratica della citazione e della contraffazione di versi celebri, cfr. infra nota 32.18 Per la dimensione narrativa attuata dalla musica nel teatro d’opera, cfr. Luca ZOPPELLI, L’opera come racconto. Modi narrativi nel teatro musicale dell'Ottocento, Venezia, Marsilio, 1994, le cui considerazioni sono risultate preziose per la redazione di queste righe.19 La conoscenza dei cantanti, e del mondo teatrale in generale, viene a Ghislanzoni da tre prospettive diverse: quella del librettista, quella del critico musicale, e quella del cantante. È infatti da ricordare che lo scrittore fece una non disdicevole carriera come baritono prima di intraprendere l’esercizio della letteratura.20 Questo procedimento di rottura dell’illusione scenica attraverso il richiamo alla teatralità della trama era già in uso nell’opera buffa di fine Settecento, anche se non in modo così onnipresente come nel nostro libretto.21 E infatti Ponchielli finirà i suoi giorni senza vedere l’opera rappresentata. La prima esecuzione ebbe luogo finalmente a Montecarlo con la strumentazione di Cadore nel 1914, ventotto anni dopo la morte del compositore de La Gioconda. Il ritardo colpisce ancor di più se si considera che Giulio Ricordi aveva comprato anticipatamente l’opera. Oltre a I Mori di Valenza, Ghislanzoni scrisse per Ponchielli Il parlatore eterno (Lecco, 1873) e I Lituani (Milano, 1874).22 Cfr. Antonio GHISLANZONI, Il poeta perseguitato. Operetta buffa in tre atti, in “Giornale Capriccio”, n. 20, ottobre 1877, pp. 3-17. La continuazione (terzo atto) è sul “Giornale Capriccio”, n. 22, novembre 1877, pp. 3-12, mentre la lettera di Ponchielli con la traccia del libretto era apparsa sul n. 19, ottobre 1887, pp. 23-24. Il “Giornale Capriccio”, pubblicato tra il gennaio del 1877 e l’agosto del 1879, fu interamente redatto da Ghislanzoni. Per il regesto dell’intero giornale realizzato da Ermanno PACCAGNINI, cfr. La pubblicistica nel periodo della scapigliatura. Regesto per soggetti dei giornali e delle riviste esistenti a Milano e relativi al primo ventennio dello Stato unitario: 1860-1880, a cura di Giuseppe

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RECITATIVO - Se l’editore aspetta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ -- 50FINALE I° - Che dir, Che fare ormai? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 3 --STRETTA - Ogni indugio si tronchi… partiamo! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 3 --

ATTO II°

ARIA PER BARITONO - Fra i giornali ed i libretti… . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 5 --SCENA E REC.[ITATIVO] - Ponchielli! … tu! qui a Lecco! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ -- 60GRAN DUETTO - Sta tranquillo! … questa sera… . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 6 --RECITATIVO - No : non ti credo più…QUARTETTO - Sop.[rano] Ten.[ore] Bar.[itono] Basso - Se si tratta di denaro… . . . . . . . . . . . . . . .“ 10 --

ATTO III°

TERZETTO - B.[asso] Bar.[itono] Ten.[ore] - Due maestri entro la stanza! . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 5 --REC.[ITATIVO] E CORO - E’ lui, vi dico: è Verdi!! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ -- 40SESTETTO - Due Sop.[rani] Due Ten.[ori] Due Bassi - Gomes! Rossi! Ravera! Cagnoni! . . . . . . . . . . . “ 6 --SCENA E REC.[ITATIVO] - E’ finita! …. Dio sa quando!… . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ -- 50CANTO INTERNO - Miserere mei Deus (Litanie in scena e Baccanale sul soffitto): “Forse col vin di Chianti!… . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 8 --DUETTINO - Fuggì a Galbiate sul Monte Barro… . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 2 --SCENA ULTIMA – (Apoteosi sul Monte Barro con coro di donne non vergini): Ah! tu signor lo ispira!OPERA COMPLETA “ 50 --

“Giornale e Capriccio” – n. 20, ottobre 1877

La bella e spiritosa lettera dell’egregio M° Ponchielli che noi pubblicammo nell’ultimo numero, ha suggerito al direttore del Giornale-Capriccio il tema di uno stravagantissimo libretto d’opera, del quale ci affrettiamo a pubblicare lo schema, accompagnando la prosa

Farinelli, Milano, Istituto di Propaganda Libraria, 1984, pp. 549-560.23 L’ultima sarebbe stata “La posta di Caprino” dopo il suo ritiro definitivo a Caprino Bergamasco.24 Cit. in Sergio MARTINOTTI, op. cit., pp. 170-171, senza indicazione di fonte.25 Antonio GHISLANZONI, Del libretto in musica, in “Giornale Capriccio”, n. 15, agosto 1877, p. 18. Il corsivo è dell’autore.26 L’ammirazione per Verdi era evidentemente così smisurata da fargli desiderare di sottoporsi di nuovo alla tortura che Verdi gli inflisse durante la preparazione per il libretto di Aida; infatti, come si può evincere dall’epistolario verdiano, il compositore sfruttò fino all’inverosimile Ghislanzoni, partecipando attivamente (e con incredibile lucidità drammaturgica) alla genesi del libretto (cfr. I copialettere di Giuseppe Verdi, op. cit., pp. 638-675).27 Aroldo BENINI, Il demone dello scrittoio. Lettere di Antonio Ghislanzoni 1853-1893, a cura di Gian Luca Baio e Giorgio Rota, Bergamo, Cattaneo, 2001, p. 85.28 Op. cit., p. 95.29 Antonio GHISLANZONI, Melodie per canto (1879), cit. in Ernesto TRAVI, op. cit., p. 87.

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di alcuni frammenti lirici. I nostri amabili lettori vedranno che il poeta ha seguito scrupolosamente le traccie indicate dal maestro, rispettando anche i versi già proposti nel Catalogo dell’Editore e iniziando con quelli i singoli pezzi dell’opera. Se questo nuovo metodo di collaborazione verrà in avvenire adottato dai maestri e dai poeti, le cose andranno più spiccie, né si avranno dall’una parte e dall’altra tanti argomenti di contese e di recriminazioni.

IL POETA PERSEGUITATO

OPERETTA BUFFA IN TRE ATTI

PERSONAGGI

UN POETA………………UN MAESTRO………….UN BASSO………………UN TENORE……………UNA PRIMA DONNA……UN EDITORE…………….UN PORTALETTERE……UN IMPRESARIO ………

Coristi- Coriste- Comparse

ATTO ISCENA I

Una sala in Milano dalle cui finestre spalancate si vedono a distanza di trenta miglia i platani che circondano a Pescarenico32 l’albergo dell’isola Botta. All’alzarsi del sipario, Un poeta sale sovra un platano a mezzo di una scala a piuoli. Frattanto, nella sala di Milano entrano parecchi individui di ignota provenienza e di aspetto melanconico.

COROAspettare e non venire33

E’ una cosa da morire… E’ un tormento a cui l’uguale Sulla terra non si dàMa pur troppo in questa valle Scompigliata e dolorosa Tutti aspettan qualche cosa Che venir mai non dovrà.(Entra un Maestro, pallido, rabbuffato, sonnacchioso, in veste da camera, col cappello a cilindro sulla testa, il piede destro calzato da uno stivale e il sinistro da una pantoffola. Viene in scena gesticolando e parlando ad alta voce come se alcuno lo seguisse.)

[MAESTRO]Or via! Parlargli è d’uopo…Son stufo di aspettare…Domani… o prima… o dopo…O all’alba… o a mezzodì…Cioè… fra quattro giorni…Noi partirem di qui…Anzi… però… mi pare…Basta!… va ben così…!(cade addormentato sovra una seggiola34.)

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Scena II

Entrano un Tenore ed una Prima donna in abito di viaggio colle borse alla mano; stupiscono in vedere il maestro addormentato e scuotendolo per le braccia lo risvegliano. Questi li guarda trasognato e domanda:“Siamo a Roma?… a Milano?… a Cremona?…_ Diamine! esclamano quelli; non si era detto di partire per Lecco? __ Ah! Vero…Verissimo…! Che ora fa?… Si vada!” grida il maestro balzando in piedi. E qui segue il terzetto:

TUTTI A Lecco, a Lecco andiamo

SOP.[RANO]- TEN.[ORE]Presto rimuta i panni…(Spogliano il maestro dalla veste da camera e lo aiutano ad indossare un bel abito da viaggio)

MAESTROEccomi a voi… partiamo!

SOP.[RANO]Prendi il cappello…!

MAESTRO(rimettendosi il cappello che gli era caduto dalla testa)

E’ ver…!Son pronto…(Muovono per partire. Il maestro, arrestandosi improvvisamente)

No!… un momento!…

SOP.[RANO]- TEN[ORE]Che è stato?…

MAESTRO(come sopra)

Qual pensier!…Quest’oggi ho appuntamentoCon Giulio35 in GalleriaPer l’ore quattro…

SOP.[RANO]-TEN.[ORE](esitanti)

Via…!Lo avvertirem…

MAESTRO Sta ben!

TUTTIAndiamo(Si avviano per partire, quindi il maestro si arresta ancora, battendosi la fronte come sopra)

MAESTRODio!… Che testa!…

TEN.[ORE]- SOP.[RANO](con impazienza)Ma… dunque?…

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MAESTRO Or mi sovvien

Che oggi il marchese RestaMi aspetta a pranzo…

TEN.[ORE]- SOP.[RANO](esitanti)

E’ vero…

MAESTRO(con risoluzione)Non diamoci pensiero…Partiam!_ gli scriverò…

TUTTISi vada…!

MAESTRO(arrestandosi e percuotendosi tre volte la fronte)

Uh!… smemorato…Ch’io sono!…

SOP.[RANO] TEN.[ORE](con impazienza)

Or… cosa è nato?

MAESTRO(dopo breve esitazione)Ho preso troppo impegni…Partire io non potrò.

SOP.[RANO]Ma sì…

TEN.[ORE] Ma no…

MAESTROMa no…

TEN.[ORE]Ma sì.

TUTTIAnderò?Resterò?Che farò?Sì… Sì… Sì…No… no… no! ecc. ecc.

SCENA III

Entra un Basso, il quale annunzia colle sue note più profonde di esser giunto in quell’istante da Lecco. Il maestro, il soprano, il tenore e i coristi gli si fanno dattorno, e lo investono di domande per aver nuove del poeta: e qui ha luogo l’Aria-racconto sulle parole:

[BASSO]Dell’isola Botta fra i platani ascosoEi vive solingo, col mondo crucciato;Nell’occhio smarrito, nel volto sdegnoso

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Somiglia lo spettro d’un Re spodestato;Se alcun per parlargli nel bosco si avanza,Ei fugge, si chiude nell’erema stanza…Gridando all’ostiere: se vengon maestri,A tutti dirette che in casa non son.

TUTTIQual nuovo mistero! È strano davvero!… Il misero, ahi! Forse…smarrì la ragion.

BASSO Frattanto, alle soglie dell’ampia cantinaChi giuoca alla mora, chi giuoca al tresette,In mezzo al baccano si addensa in cucinaUn acre profumo di salse e polpette…Ahi, misero vate! esclamo fremendo…Dei lunghi silenzi l’enigma comprendo…Fra simili incensi, fra tanto baccano,Quai libri, quai versi donarci puoi tu?

TUTTIIn questo momento seccarlo fia vano…Del nostro viaggio non parlisi più.(A tal punto si ode la voce del poeta che alla distanza di trenta miglia canta da un platano)

[POETA]Se l’editore aspetta…Oh! Quante volte anch’ioNei dì della bollettaAttesi… e attesi invan…!Beato l’uom che traficaSovra l’ingegno altrui…!Ahi! sempre un merlo io fui…Un papero… un gabbian!(Al suono di questi versi sinistri, tutti rimangono colpiti di stupore, e schierandosi dinanzi alla ribalta, cantano a voci sole il pezzo concertato)

[TUTTI]Che dir? che fare ormai?…Che fare ormai? che dir?Il caso è brutto assai…E’ tempo di partir…!Che facciam?Dunque andiam!Su! Partiam!…Restiam qui!No… no… noSì… sì… sì… ecc(La prima donna, con voce vibrata e acutissima:)

[PRIMADONNA]Ogni indugio si tronchi…partiamoAlla sponde dell’Adda voliamo…Sia che vuolsi, a Milan torneremoRavvivati dal limpido sol.

TEN.[ORE]Ogni indugio si tronchi… partiamo…Alle sponde dell’Adda torniamo…Sia che vuolsi, lassù compreremoVille, casse, palazzi e robbiœul36…

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MAESTROOgni indugio si tronchi… partiamo!Alle spiaggie dell’Adda torniamoSia che vuolsi, lassù rideremo…E godremo del limpido sol!(Il coro per indisposizione omette la sua strofa. Maestro e Primadonna partono abbracciati: il Tenore li segue con volto radiante di giubilo).

ATTO II[Scena I]

La scena rappresenta una stanza all’osteria dell’Isola Botta a Pescarenico._ I rami di un platano toccano la finestra e proiettano nella camera un riflesso verdognolo. Le muraglie sono verdi, verdi i mobili, verdissima la faccia del Poeta, che siede allo scrittoio sepolto fra due ceste ricolme di carte. E’ l’alba. Dopo breve preludio dell’orchestra, nella quale i clarini e i fagotti, per dare al quadro una tinta locale, imitano il gracidio delle rane e d’altri anfibii, il Poeta si alza e passeggia meditabondo, cantando in chiave di baritono37 la seguente Aria:

[POETA]Fra il giornale ed i librettiVo stemprandomi il cervelloPensa a questi, attendi a quello,Io lavoro notte e dì.Se facessi il ciabattino,Si dannato non sarei,Qualche tregua almeno avreiAlla festa e al lunedìDel giornal nessun si lagnaAlla fine dei semestri;Ma le nenie dei maestriMi faranno un dì scoppiar.(torna a sedere)Terminiamo questa strofa…

UNA VOCE.E’ permesso?(entra un fattorino della Posta e depone un plico sul tavolo)

POETA.Il portalettere!…

IL PORTALET.[TERE]Ve ne han tre…

POETA Si può scommettere

Pria d’aprirle…(al fattorino)

Or… puoi andar!(Il Poeta apre una lettera e legge ad alta voce)“Questa mane ho ricevuto“Il libretto; bravo! bene!“bell’assai- però…conviene“Tutto il prologo mutar…“Ammirabile il prim’atto…“M’è piaciuto immensamente…“Quattro scene solamente“Sarà d’uopo ritoccar…“Sul secondo ho nulla a dire“E’ magnifico, stupendo…

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“Io però…rifarlo intendo;“Il finale non mi va… “Saria bene al fin dell’opera“Che morisse anche il tenore…(con impeto, facendo in brani la lettera e gettandola nella cesta)E il maestro… l’editore…Lo spartito… e chi l’udrà(dissugella con mano tremante un’altra lettera e legge)“L’atto primo ho ricevuto…“bellississimo, perdio!“Questa volta spero anch’io“Sublimarmi al par di te…“Sol dirò che i personaggi“Han dei nomi molto brutti,“Converrà cangiarli tutti…“Ciò difficile non è.“Per esempio: non mi piace“Che il tenor si chiami Enrico…“Un tal nome è troppo antico…“Or si vuol la novità…“Né vorrei la prima donna“Si chiamasse Elisabetta…(come sopra, stracciando la lettera)Dio ti mandi una saëtta…E tal noia finirà…!(Apre un’altra lettera e legge):“Ho sbozzato l’ultim’atto…“Or, due strofe a te domando…“Presto, veh! Mi raccomando…“Non ho tempo di gettar…“Al momento in cui la donna“Canta l’ultima romanza,“Vuo’ che s’oda in lontananza“Lieto brindisi echeggiar.“Io la musica ho già scritta…“Ecco il metro: là-là-lèra“Tic-ti-tocc… ti… tic… titèra…“Pì- pì- pì, pà-pà-pà-pà“Versi tronchi… alla francese…“Rotti… corti… m’hai capito?38

(gettando malinconicamente il foglio)Lascia far… sarai servito…Qualchedun ti servirà.(mette il cappello e muove per uscire dalla stanza, ma la porta si spalanca ed entra il Maestro.)

SCENA II

Il Poeta- il Maestro

POETA(arretrando sorpreso)“Ponchielli!… tu… qui… a Lecco!…

MAESTROVenni… tu m’hai capito…

POETAResto di princisbecco

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MAESTROIo resto… di granito…(Poeta e Maestro si guardano fissamente per qualche minuto, indi si abbracciano. Il Poeta, sciogliendosi dall’amplesso, si asciuga una lacrima e dà principio al Duetto:)

POETA(colla massima calma)Sta tranquillo…! Questa seraFinirò l’ultima scena…

MAESTROBravo! Dimmi: in qual manieraChiuder pensi?

POETA Ti dirò:

Al momento in cui dal tempioTorna Enrico desolato…

MAESTROSenti invece… avrei pensato…

POETA(impaziente)Prima ascoltami…

MAESTRO Però…

POETAIo diceva…

MAESTRO.Io son d’avviso…

Vorrei proprio…

POETA. Io… crederei

MAESTROQuattro versi bramereiNel finale…

POETA(turbato)

Si vedrà…

MAESTROPoi… mi par… non sconverrebbeChe il tenor dicesse al basso…

POETA(dando il braccio al maestro per condurlo via)Ho capito!… andiamo a spasso…E il cervel si calmerà…(Il maestro guarda il Poeta coll’occhio dell’incredulo, poi comincia il Recitativo:)

[MAESTRO]No! non ti credo più…

POETA Comincio anch’io

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A credere che più non finiremoPerdio!

MAESTRO Per Cristo!…

POETA Per tutti i demòni!

SCENA IIIPrima donna, Tenore e detti

TENORE. Che avvien?…

DONNA.Che fu?

MAESTRO: Le solite questioni

(Il tenore si accosta al Poeta e con voce melliflua intona il quartetto:)

TENORESe si tratta di denaro,Lesinar con lei non voglio…Ho qui in tasca il portafoglio…Parli, chiegga, e pagherò.

DONNA (sottovoce al maestro)Tutti sanno che il denaroDei poeti infiamma l’estro…

MAESTRO(da sé)Sono artista, son maëstro…Qualche cosa anch’io ne so.

POETA(da sé, con riso sarcastico)Se intascassi il mio denaro,infischiandomi dal resto,Se imparassi a scriver prestoSenza tanto disputar,Da tal metodo trarreiMaggior utile che danno,Potrei forse dentro l’annoSei libretti terminar.(Il tenore, la prima donna e il maestro escono mestamente dalla stanza: il poeta esce dalla finestra e va a nascondersi fra i rami del platano.- Cala lentamente il sipario).

(L’ATTO TERZO AL PROSSIMO NUMERO)

Giornale - Capriccio – n. 22, novembre 1877

IL POETA PERSEGUITATO

OPERETTA BUFFA IN TRE ATTI(Continuazione)

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ATTO III

[Scena I]La scena è divisa in tre compartimenti.- Nel mezzo, la camera del Poeta; a sinistra, l’anticamera; a destra, la sommità di un platano, i cui rami danno sulla finestra. All’alzarsi del sipario, il poeta discende dall’albero e viene a sedere nella camera fra due altissimi portapanni carichi di abiti e sormontati da varii cappelli a larghe tese. Il Maestro e il Tenore, dall’anticamera, osservano pel buco della serratura, e scambiando i portapanni per due maestri di musica, cantano sommessamente.

A DUEDue maëstri entro la stanza!…Donde giunti? Chi saranno?…

MAESTROPiù per me non v’ha speranza…Un libretto essi vorranno…

TENORENon v’ha dubbio…

MAESTRO(sospirando)

E il mio frattanto…Le calende attenderà!!!

IL POETA(nella stanza, parlando fra sé)Rivediam questi libretti…

TENOREHai sentito?…

MAESTROSì… pur troppo!…

Eran giusti i miei sospetti…Due maëstri son costor…Se veder potessi il musoDi quei nuovi rompitorta…

TENORE(aprendo l’uscio)Piano… piano… apriam la porta…

MAESTRO(con enfasi caricata)Più non freno il mio furor…

IL POETA(mettendo sotto fascia un libretto)All’autore della Fosca39

Questo abbozzo è destinato;Della terra ov’egli è natoQui gli ardori ei troverà;De’ suoi mari, de’ suoi fiumiI sorrisi e le tempeste,Delle vergini foresteI profumi sentirà!

TENORE E MAESTRO(sottovoce, fra loro)

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Pel suo Gomes predilettoTerminato ha già il libretto…Or vedrem se finalmenteAnche il nostro compirà…

IL POETA(mettendo sotto fascia un altro libretto)All’autor del Don Bucefalo40

Che all’idillio or volse gli estri,Blande immagini campestriQuesto libro può ispirar…Qui degli orti e dei giardiniRivedendo i frutti e i fiori,Del villaggio i lieti amoriVorrà forse ricantar.

MAESTRO(al tenore)Al Cagnoni ha provveduto…

TENORETanto meglio! Or… puoi sperar…

Il POETA(chiudendo sotto fascia un altro libretto)Del maëstro Spattoloni,Che mi chiede un dramma atroce,Forse all’indole ferocePuò un tal libro convenirDi cervelli dilaniatiE di stinchi smidollatiQui una mostra sanguinosaChe fa il core abbrividir…

MAESTRO - TEN.[ORE]Par che a tutti abbia pensato…E’ un brav’uom; non c’è che dir!

IL POETA(mettendo sotto fascia un altro libretto):Per costui, che vorrìa fareUna farsa all’Offembacche,Un bel tema ho destinatoChe avrà il plauso universal.S’ei riesce a musicareI salami e le saraccheVerrà presto proclamatoUn portento musical.

MAESTRO - TENOREPar… ch’egli abbia terminato…(ritraendosi dalla porta)Qualcun esce…(Il poeta, che si sarà messa una barba posticcia, avvolto in ampio mantello, col cappello abbassato sugli occhi, esce dalla stanza e attraversa rapidamente l’anticamera.)

Il POETA Date il passo…!

TENORE - MAESTRO(sorpresi)Chi sarà…?

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VOCI AL DI FUORIVenga arrestato!…

Viva…! Morte!…

TENORE E MAESTRO Presto! Abbasso

Discendiamo!

VOCIMorte! Viva!…

MAESTRO-TENOREOh! Qual strepito infernal…!

[Scena II]Mentre il Maestro e il Tenore vorrebbero slanciarsi verso la scala per discendere al piano inferiore, la prima donna e due Bassi, con seguito di Maestri e d’altra gente, si avanzano e chiudono l’uscita.Si potrebbe, pel maggior effetto della scena, far comparire alcuni garzoni dell’albergo con fiaccole, od anche con candelieri comuni. I sopraggiunti interrogano il Maestro ed il Tenore per sapere chi sia il personaggio testè uscito dalla stanza del Poeta.Il Maestro, in mezzo al gridio generale, va ripetendo:

31 In modo scherzoso Ponchielli indica il prezzo in franchi dei pezzi staccati e dell’opera completa, come se si trattasse di una pubblicità della casa editrice Ricordi.32 La relazione di Ghislanzoni con Pescarenico non era molto felice, dato che sua moglie, gravemente ammalata, fu lasciata lì per anni presso parenti. Delle visite fatte alla moglie il librettista ha lasciato triste testimonianza nelle sue lettere (cfr. Aroldo BENINI, Il demone…, op. cit.). Nel Dizionario Corografico della Lombardia, seconda edizione riveduta da Felice Griffini, Milano, Civelli, 1854, troviamo la seguente definizione della Pescarenico del tempo: «Frazione del comune e capoluogo del distretto (X) di Lecco, provincia di Como. Villaggio sulla sinistra riva dell’Adda, dirimpetto a Pescate, ed un miglio ad ostro da Lecco. È abitato pressoché solo da pescatori. Ivi esiste ancora il convento, già de Cappuccini ove, secondo il Manzoni, abitava quel fra Cristoforo, uno dei protagonisti nel suo romanzo dei Promessi Sposi […] nel mezzo [del lago], dalla parte di Pescarenico, evvi un’amena e verdeggiante isoletta cinta da un muro, e che porta lo stesso nome».33 È, com’è noto, il primo verso dell’aria di Uberto ne La serva padrona di Gennaro Antonio Federico, per la prima volta posta in musica da Giovanni Battista Pergolesi. Espediente comune nella satira operistica settecentesca era quello d’introdurre delle arie conosciute, dando luogo ai cosiddetti “pasticci”. Un esempio di “pasticcio” è la satira L’ape musicale di Lorenzo Da Ponte, infarcita con arie di Salieri, Mozart e altri autori. Un’altra possibilità era quella di contraffare i versi, come fece Domenico Gilardoni per Donizetti ne Le convenienze ed inconvenienze teatrali, dove l’aria “Assisa appiè d’un salice” della Desdemona rossiniana si trasforma nel più prosaico “Assisa appiè d’un sacco”. Nel nostro caso Ghislanzoni si ferma al primo verso suggeritogli da Ponchielli.34 Del Ponchielli sonnacchioso che cade addormentato Ghislanzoni darà notizia (in modo non così ironico e bonario come sopra) in una lettera a Giulio Ricordi del febbraio 1882: il compositore si era addormentato mentre gli leggevano l’argomento di un nuovo libretto. Cfr. Aroldo BENINI, Il demone…, op. cit., p. 169.35 Probabile riferimento a Giulio Ricordi, editore di Ponchielli. La galleria è evidentemente la Galleria Vittorio Emanuele di Milano.36 La parola più vicina a robbiœul trovata in Giuseppe BANFI, Vocabolario Milanese – Italiano, Vimercate, Meravigli, 1983 (ristampa anastatica dell’edizione di Milano, 1870), è robiœla che viene definita come «raviggiuolo: caciuola fatta per lo più con latte di pecora, capra, o anche di vacca, o con più di uno di tai latti commisti». Più recentemente, Ambrogio Maria ANTONINI, Vocabolario Italiano – Milanese, Milano, Meravigli, 1983, la parola robioeula viene definita semplicemente come «robiola – raviggiuolo».37 Come già accennato nella nota 12, Ghislanzoni fece carriera come baritono. Il debutto nel 1846-47, a ventidue anni, diede inizio a una carriera che lo vide solista anche in teatri francesi. Dopo un incredibile fiasco al Teatro Carcano di Milano nel 1855 si decise a intraprendere la carriera letteraria, sotto consiglio dello stesso Rovani.

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[MAESTRO]E’ lui… vi dico… è Verdi!…

TENOREOhimè! Noi siam spacciati…

CORO DI MAESTRIL’infausto dubbio sperdiGran Dio!… pietà…! pietà!…Se il gran maëstro a luiUn dramma ha chiesto ancora,Noi tutti alla maloraQuel birbo manderà

Lo scompiglio va crescendo. Al gran pezzo concertato che comincia colle parole:Gomes, Rossi, Ravera, Cagnoni…41

Succede il breve recitativo:E’ finita! Dio sa quando…e a questo tien dietro la nenia funebre del Miserere, interrotta dai lieti brindisi che partono dai sotterranei dell’osteria. Tutti questi pezzi non hanno verun significato drammatico e non servono che a prolungare l’azione con discapito dell’effetto generale dell’opera. Non farebbe però meraviglia che il dotto pubblico42 li applaudisse col maggior entusiasmo.

[Scena III]

38 Sergio Martinotti fa notare l’evidente somiglianza tra questo passo e quello che si legge in una lettera della corrispondenza tra Verdi e Ghislanzoni per il libretto di Aida. Il compositore, dopo avere proposto a Ghislanzoni un’«accozzaglia di parole senza rima» da volgere in versi, gli intima: «Ella non può immaginare sotto quella forma sì strana, che bella melodia si può fare, e quanto garbo le dà il quinario dopo i tre settenari, e quanta varietà danno i due endecasillabi che vengon dopo: sarebbe però bene che questi fossero o entrambi tronchi o entrambi piani. Veda s’ella può cavarne dei versi, e mi conservi “tu sì bella”, che tanto bene fa alla cadenza.» (cfr. Sergio MARTINOTTI, op. cit., p. 168. Per la lettera, datata 3 novembre 1870, cfr. I copialettere di Giuseppe Verdi, op. cit., p. 664).39 Melodramma in quattro atti di Antônio Carlos Gomes (1836-1896) su libretto di Ghislanzoni, che a sua volta lo aveva tratto dalla novella La festa delle Marie di Luigi Capranica. Fu rappresentato al Teatro alla Scala di Milano il 16 febbraio 1873, senza gran successo, che fu poi ottenuto nella ripresa scaligera del 7 febbraio 1878, grazie ad una nuova versione. Nonostante ciò l’opera non riuscì mai a ottenere la popolarità d’altre opere di Gomes. Oltre a Fosca, Ghislanzoni scrisse per Gomes il libretto di Salvator Rosa (debutto al Teatro Carlo Felice di Genova il 21 marzo 1874), che riscosse un notevole successo. Il compositore, di origine brasiliana, si trasferì in Italia nel 1864 per studiare con Lauro Rossi (un altro compositore collaboratore di Ghislanzoni, cfr. infra, nota 39) e raggiunse grande notorietà grazie al successo de Il Guarany, rappresentato per la prima volta nel Teatro alla Scala di Milano il 19 marzo 1870 su libretto di Antonio Scalvini e Carlo d’Ormeville, dalla novela O Guarani di José de Alencar. A quest’opera seguirono, oltre alle menzionate Fosca e Salvator Rosa, Maria Tudor (Milano, 1879), Lo schiavo (Rio de Janeiro, 1889), e Condor (Milano, 1891).40 Melodramma giocoso in tre atti di Antonio Cagnoni (1828-1896) su libretto di Calisto Bassi. La prima rappresentazione ebbe luogo al Conservatorio di Milano, di cui Cagnoni era allievo, il 28 giugno 1847. Come già accennato, è anche questo un esempio di satira del mondo del teatro musicale (è di fatto una parafrasi de Le cantatrici villane di Fioravanti). L’opera venne replicata con successo negli anni successivi in diversi teatri milanesi (tra cui il Teatro alla Scala) ed europei. Ghislanzoni scrisse i libretti per le seguenti opere di Cagnoni: Un capriccio di donna (Genova, 1870), Papà Martin (Genova, 1871), Il duca di Tapigliano (Lecco, 1874), Francesca da Rimini (Torino, 1878) e Re Lear (il libretto fu ultimato nel 1883 e pubblicato nel 1900; tuttavia non si hanno notizie di esecuzioni). Il compositore pavese conobbe una certa notorietà grazie a due melodrammi giocosi, il già citato Don Bucefalo e Papà Martin. Nel 1887, dopo la morte di Ponchielli, gli succedette come maestro di cappella in Santa Maria Maggiore a Bergamo.

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Al momento in cui i maestri e tutti quanti muovono costernati per andarsene, entra ansante e sudato un Impresario con varii rotoletti di carta nella mano. Tutti gli si fanno intorno, chiedendo ad una voce:Ebbene? Quali nuove ci recate? _ Buonissime! Risponde l’Impresario._ Dunque … il nostro poeta?…

IMPRESARIO(dominando la scena)Fuggì a Galbiate sul Montebarro43…In pegno all’oste lasciò il tabarro…Non disse motto, volò… sparì…Là… presso il ponte- io l’ho incontrato…Quattro libretti m’ha consegnato…

TUTTI(con gioja e stupore)Quattro libretti!…

IMPRESARIO(mostrando i rotoli con aria trionfale) Eccoli qui…(I maestri assalgono l’impresario per strappargli dalle mani i manoscritti, ma quegli, slanciandosi sopra un tavolo e tenendo le carte sollevate, prosegue a tutta voce):Vi discostate! No… no… perdio!Compire io debbo l’incarico mio…Questi libretti nessun qui avrà…Al Montebarro tutti verrete…Là… sceglierete- giudichereteE il comun voto pago sarà…

TUTTI.Partiam! Dei monti sull’alte cimeTutto grandeggia, divien sublime…Là… forse… in grazia del piedestallo…Ognun sembianza di genio avrà.(partono lietamente abbracciati.)

[Scena IV]Cambiamento di scena. L’altura del Montebarro; a destra la chiesetta, sul davanti il sagrato, alberi secolari ecc. ecc. _ Il Poeta si inoltra barcollando e va ad inginocchiarsi sui gradini della Chiesa._ Una allegra comitiva di giovinotti e di donne sta mangiando e

41 Per Gomes e Cagnoni cfr. supra note 35 e 36. Lauro Rossi (1812-1885) e Nicolò Teresio Ravera (1851-?) composero le musiche per due libretti di Ghislanzoni, rispettivamente Gli artisti alla fiera (Torino, 1868) e Fiamma (Alessandria, 1890).42 Quest’ironico riferimento al «dotto pubblico», squisitamente ghislanzoniano e presente anche ne L’arte di far libretti, fornisce l’occasione per far notare quello che era già palese sin dall’inizio del libretto, e cioè la forte presenza dell’autore nelle didascalie, il suo marcato carattere narrativo. D’altronde Il poeta perseguitato non è che uno scherzo da leggere, non da rappresentare.43 Nel periodo del Poeta perseguitato Ghislanzoni abitava al porto di Lecco, nel comune di Malgrate, sotto il Monte Barro; tuttavia alternava ancora la residenza tra Malgrate e le sue precedenti dimore, la vecchia abitazione in via San Nicolao a Milano e Mariaga di Eupilio, in provincia di Como (cfr. Aroldo BENINI, Per la biografia…, op. cit., p. 95). Nel Dizionario Corografico…, cit., troviamo questa definizione della Galbiate del tempo: «[…] Da Galbiate si gode un amenissimo punto di vista che si estende su tutto il così detto piano d’Erba a levante, e dalla plaga opposta l’occhio segue il corso dell’Adda ed ha in prospetto una porzione della provincia bergamasca. […] Altri bei punti di vista si hanno dalle villeggiature Ballabio e Sanchioli, e meglio ancora dal convento in vetta al monte Baro […].» Di quest’ultimo invece ci viene detto: «Montagna dalla Brianza alta 2970 piedi al di sopra del livello del mare ed alla cui sommità si hanno estesi e mirabili punti di vista. Essa sorge tra il lago di Pescarenico e quello di Annone […]».

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trincando sull’erba._ Quattro o cinque personaggi dall’aspetto truce si appostano dietro i tronchi degli alberi.- Dopo un breve agitato dell’orchestra, l’Impresario, i Maestri e tutti quanti si slanciano sul sagrato, ma poi, vedendo il Poeta che gesticola enfaticamente sulla porta della chiesa, si arrestano e cantano sommessamente:

[TUTTI]Ah! tu, Signor, lo ispira…Il genio suo feconda…Gli empi di versi il cerebroDi rime il cor gli inonda;Spremigli dai… pulmoniLe nuove situazioni…E i metri…e i ritmi asmaticiDell’arte che verrà!44

(Finito il Coro, al quale si saranno intrecciate le voci dei giovanotti e delle donne poco morigerate che stanno gozzovigliando sotto gli alberi, dietro un cenno del Poeta, l’impresario scioglie il plico che tiene nelle mani e distribuisce i libretti ai maestri. Il Poeta si prosterna di nuovo sui gradini della chiesa, cantando:)

[POETA]Ah! tu, signor li ispira…Fa che nessun si sdegni…O fa che pronta all’iraSucceda la pietà.(I Maestri, dopo aver sciolte le pagine dei rispettivi libretti:)

[MAESTRI]Ma chè!… il libretto del suo droghiere!…Che veggo! Il libro dell’ortolano!…Del macellajo la nota… a me!…A me il libretto del salumiere!…

TUTTI(avventandosi al Poeta)Ah! scellerato!…

UN MAESTRO(interponendosi) Fermate!…

IMPRESARIO Piano…!

GIOVANOTTI E DONNE(accorrendo) Ma… che vuol dire questo baccano?…

IL POETA(accennando agli individui di aspetto truce che stanno nascosti dietro gli alberi)Olà! Venite…!

CORO Demente egli è…(Il Poeta, dominando la scena dalla gradinata fa sapere che “se altri desiderassero vedere dei libretti più terrificanti, si volgano al suo sarto, al suo prestinajo ecc. ecc., tutte persone

44 È noto lo sdegno di Ghislanzoni nei confronti degli avveniristi, atteggiamento che lo schierava accanto a Verdi e alla casa Ricordi; bisogna ricordare, infatti, che il librettista fu direttore per tre anni della “Gazzetta Musicale di Milano” (giornale di Ricordi), e dalle sue colonne, come dalle altre molte testate dove scrisse, scagliò attacchi contro i progressismi e i miti d’oltralpe.

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onestissime, e disposte ad ogni transazione amichevole…”. Il discorso del poeta produce negli astanti una vivissima commozione, la quale si risolve in un coro generale)

[TUTTI]Non v’ha genio di poetaChe resista a tai libretti….Una burla si facetaA noi spetta di compirDa tai noje liberato,Il poeta disgraziatoCo’ suoi nuovi melodrammiFarà il secolo stupir.(I maestri aprono i portafogli- un vespajo di banconote svolazza intorno al Poeta_ i cinque personaggi truci, che mai non hanno aperto bocca infino ad ora, prorompono in esclamazioni di gioja e da ultimo ballano allegramente il cancan colle donne poco dignitose delle quali s’è parlato più sopra. Abbracciamenti generali. Una aurora boreale splende nel cielo, e là si veggono a lettere di diamante fiammeggiare i titoli dei libretti che il Poeta sta scrivendo: I mori di Valenza, La maschera, Messalina, Il Gondoliero, Il falconiere, Martino Paz, Calandrino45. Il sipario cala rapidamente e ferisce tra crappa e coll tre o quattro editori.)

SUMMARY

Well-known as librettist for composers such as Verdi, Ponchielli, Catalani, Petrella and Gomes, Antonio Ghislanzoni was also journalist, musical critic and publisher of “Giornale Capriccio”, a magazine in which he serializes two meta-theatrical librettos, L’arte di far libretti (1870) and Il poeta perseguitato (1877). After focusing on the practice of meta-theatrical texts, from La Dirindina o Il maestro di cappella (1715) by Girolamo Gigli and Domenico Scarlatti up to Le convenienze ed inconvenienze teatrali (1827) by Domenico Gilardoni and Gaetano Donizetti, this paper presents an analysis of Ghislanzoni’s view of opera and musical theatre, pointing out his critics on operatic rhetoric and traditional forms. L’arte di far libretti is a romantic opera written almost as a paraphrase of itself; it makes everybody laugh emphasizing its fictitious nature and its conventions. Seven years later, Il poeta perseguitato – fully reprinted in the appendix – is a parody of the thankless tasks of librettists and of their difficult relationships with composers, singers and impresarios.

45 I libretti elencati, di cui si hanno notizia, sono: I Mori di Valenza (cfr. supra, nota 20) e La maschera, con musica del maestro Gerosa. Di quest’ultimo dà notizia lo stesso Ghislanzoni nel primo volume dei Capricci letterari (1876), tuttavia non è reperibile e non si hanno notizie di esecuzioni. Benini fa notare che Gomes aveva scritto un’opera con lo stesso titolo proprio nel 1876, rimasta incompiuta; cfr. Aroldo BENINI, Per la biografia…, cit., p. 158. Messalina è il titolo di un balletto del napoletano Giuseppe Giaquinto (?- 1881), da librettista anonimo (com’è consueto nel caso dei balletti), rappresentato per la prima volta al teatro Apollo di Roma nel marzo del 1877. Ghislanzoni scrisse una divertente critica di una rappresentazione a Torino del balletto di Giaquinto sul n. 23 (1877) del “Giornale-Capriccio”, pp. 20-21. È possibile che si sia unicamente appropriato del titolo Messalina redigendo l’ultima didascalia de Il poeta perseguitato; ma considerato il fatto che Giaquinto aveva composto balletti in collaborazione con musicisti come Paolo Giorza e Costantino dall’Argine, già collaboratori di Ghislanzoni, non sembra del tutto azzardato ipotizzare che quest’ultimo possa avere steso il libretto per il ballo Messalina. Non sarebbe stata la sua prima prova in quel campo, visto che anche quello di Amore e capriccio è un libretto di ballo, mentre Fiamma è indicata come “opera-ballo”.

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