La contrada del poeta aldo de jaco

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La Contrada del Poeta ottobre 2013 Per Aldo De Jaco «Sta nelle nuvole il nostro mestiere e aspetta come un figlio d’essere partorito» (Aldo De Jaco) fogli volanti di poesia spersa n°2 «» Ad illustrare Aldo De Jaco in un disegno di Santa Scioscio

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Aldo De Jaco dialoga con Antonio L. Verri in un incontro "testimoniato" da Maurizio Nocera

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Per Aldo De Jaco

«Sta nelle nuvoleil nostro mestiere

e aspetta come un figliod’essere partorito»

(Aldo De Jaco)

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n°2«» Ad illustrare Aldo De Jaco in un disegno di Santa Scioscio

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Aldo De Jaco (Maglie 1923 -Roma 2003) e Antonio L.Verri (Caprarica di Lecce1949-1993) si conobbero nel-l’ambito delle attività del Sin-dacato Nazionale Scrittori, di

cui presidente era il giornalista magliese, al-l’epoca corrispondente di «Cronache Meridio-nali», «l’Unità», «Vie Nuove», «Rinascita»,«Produzione & Cultura», e contemporaneamenteanche scrittore di alcuni tra i libri più belli scrittisu e intorno al Mezzogiorno d’Italia, tra cui Rac-conto del Sud (Napoli 1946); La città insorge /Le quattro giornate di Napoli (Roma 1956, ViboValentia 1995); Gli anarchici (Roma 1971); An-tistoria dell’Italia unita / Il brigantaggio meridio-nale (Roma 1980); La casa di tufo (Maglie1985); Stazioni di posta. Poesie (Parabita 1986);Il tappeto persiano (Maglie 1992); La Resistenzanel Sud (Lecce 2000); Lungo viaggio di ritorno(Lecce 2002); C’era una volta. Poesia come me-moria (Calimera 2003). Oltre cinquanta sono stati i libri pubblicati daAldo De Jaco a partire dai famosi “Gettoni Ei-naudi” scelti da Elio Vittorini e Italo Calvino. Perlungo tempo fu presidente del Sindacato nazio-nale scrittori (Sns). Quando Antonio L. Verri conobbe per la primavolta Aldo De Jaco, aveva scritto già alcuni deisuoi libri più importanti, altri li stava scrivendo,tra questi: Il pane sotto la neve (per Otranto, peroccasioni) (1983); Il fabbricante di armonia An-tonio Galateo (1985); La cultura dei Tao (1986);La Betissa. Storia composita dell’uomo dei curlie di una grassa signora (1987); I trofei della cittàdi Guisnes (1988); Gli atlanti di Ar (1990).

Io li conoscevo entrambi, anzi mi pare di ricor-dare che a presentare Aldo ad Antonio, forse fuiproprio io, ché già da tempo ero socio del Sinda-cato Nazionale Scrittori e conoscevo il suo pre-sidente per via della mia e sua attività politica.

Quando per la prima volta stesi il testo AntonioAntonio o dell’Amicizia (Istituto Diego Carpitelladi Melpignano 1998; poi anche Il laboratorio diParabita 2003), la copia della prima bozza fu perAldo De Jaco il quale, il 9 maggio 1996, daRoma mi rispose così: «Caro Maurizio,// ti scrivo con molto ritardo eme ne scuso. Il tuo dattiloscritto è da mesi sulmio tavolo e io non ho incominciato a leggerlouna sola volta con l'obiettivo di rispondere alletue domande. Anche ora mi sono fermato allametà del testo, a pagina 17, e ho deciso di scri-verti subito per non accumulare troppo nel cer-vello le associazioni da fare e confonderle

assieme. In effetti però non si tratta di molte cosema di una che riguarda fondamentalmente l'im-palcatura generale del tuo testo. Mi spiego: se-condo me tu dovresti rimetterci le mani fin dalprimo rigo (o verso) come i costruttori fannodopo aver finito la costruzione generale di un pa-lazzo e riaffrontare tutti i problemi, in definitivaquello generale della resa letteraria del testo ap-profondendone tutti gli aspetti di armonia - dalverso alla costruzione in sillabe. Ma questo, siachiaro, non perché così non va bene ma perchéla costruzione non è finita e ancora c'è da lavo-rare molto non per cambiare ma per approfon-dire, raffinare, rendere tattile l'immagine. Lo soche ti invito ad un lavoro che può essere cosìsenza fine, ma non è questo il mio scopo, inveceti chiedo di riprendere la penna e approfondirel'intelaiatura, cedere all'armonia del verso ognitanto - quando ti venga da dentro e abbia una ra-gione - approfondire insomma il monologo./ Per-ché ti dico queste cose? Perché a me sembranoindispensabili ma non per cambiare stile, modo,ma per approfondirlo, come può fare uno scul-tore con la creta, con la cartapesta. Per spiegarmimeglio dovrei a questo punto prendere una pa-gina e lavorarci sopra e mostrarti cosa intendoma questa sarebbe una mera mistificazione e nonsono per niente sicuro del risultato. Tocca a tefarlo, tu ne hai la competenza. Sei come un pit-tore che a metà dell'opera sua e avendo costruitotutto il quadro dice: basta, ho finito. E non ha ra-gione. Deve approfondire ancora il colore, cer-care nuovi accostamenti, nuove armonie. Esapersi fermare al momento giusto, senza esage-rare ma cercando l'essenzialità, tenendo semprepresente che non si tratta di cambiare ma di raf-finare e far diventare il tutto più essenziale, noncambiare ma accrescere l'entità dei significati,del dialogo, del raffronto con Antonio e con lasua parabola ormai spenta. Ti dico queste coseperché sulla base del risultato già raggiunto mipare chiaro che tu puoi raggiungere anche l'altro,ma se tieni presente che lavorare sulle parole epiù difficile, è più stancante che zappare o reg-gere un dolmen sulle spalle./ Ma vale la pena difarlo. Non c'è altro che sia così importante e nonmi dire che non ce la fai, perché se sei giunto aquesta tappa vuol dire che puoi andare avantifino in fondo. Ed è necessario, non tanto per rag-giungere un risultato (sulla base delle idee delconte di Lautréamont - non ricordo mai come siscrive - questo risultato c'è già) ma per renderlopiù essenziale e non equivocabile addirittura nonriferibile a un Amico ma all'Amicizia, non a unavicenda ma alla storia della vita. A questo puntomi fermo. E torno alla lettura. Arrivederci.//Aldo».

ALDO DE JACO E ANTONIO L. VERRIUN’AMICIZIA FONDATA SUI LIBRI

Maurizio Nocera

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Seguii le istruzioni che Aldo mi diede in lettera elavorai con furore a passione a quel poemetto.Poi gli inviai la seconda bozza appena prima cheiniziasse l’estate. Come a ogni buona stagione fa-cevo, andai (lo facevo ormai da anni) a Roma aprendere Aldo e sua moglie Ivana Slavova e conla sua vecchia macchina (io alla guida) portarli aMaglie, dove avrebbero trascorso l’estate. DaMaglie, la domenica del 29 settembre 1996, aquasi fine stagione, e poco prima che riaccompa-gnassi i De Jaco a Roma, Aldo mi scrisse nuova-mente una lettera. Sempre sullo stesso argomentodel poemetto. Questa:«Caro Maurizio,// ricordo benissimo che quandomandavo qualche testo a Vittorini perché lo giu-dicasse, questi riteneva che il giudizio consistessefondamentalmente (sempre) nel proporre modi-fiche e mi raccontava come quel racconto dovevaessere, secondo lui. E io non toccavo neancheuna virgola. Siamo arrivati al punto che unavolta, alla seconda lettura del mio testo, il Criticosi è congratulato con me per tutte le correzioniche avevo apportato alla mia operina seguendo isuoi consigli. E io non avevo cambiato neancheuna riga./ Non sarò il tuo Vittorini. Ti metto inguardia dal fatto che a me è sembrato (leggendola seconda parte del tuo poemetto) che tuttoquello che ti ho scritto nella mia prima lettera nonavesse più valore, non avesse più consistenza ri-spetto al fluire, allo scrosciare di questa grandecascata di parole, di immagini, di dialoghi di a tuper tu con Antonio che è la seconda parte (se-condo i miei ritmi di lettura) del tuo poemetto.//In conclusione dunque qual è la mia opinione?Va bene o non va bene?// Non ci penso proprio arispondere a questa seconda domanda ma se pro-prio vuoi saperlo ti dirò che per me leggere le tuepagine mi ha riempito di sorprese, perché mai miero imbattuto in un testo così evidentementeopera di un nipotino di Isidore Ducasse dettoanche il conte di Lautrémont (se il tutto si scrivecosì) che è il patriarca di fine '800 del surreali-smo. E cosa c'entra questo paragone con te, An-tonio e questo vetero surrealista? Giudico il tuo

testo così e non Antonio che mi accorgo di nonconoscere affatto come poeta, come narratore ecome pittore. L'ho conosciuto solo come tragicodissipatore di se stesso perché incapace (e questoè un merito) di entrare in guerra con gli altri.// Indefinitiva mi accorgo che questo tuo testo, chefittamente parla di Antonio e lo descrive comepersonaggio amaramente vivo, è su te che portail mio discorso o forse ancor più su questa coppiadi amici (Antonio e Maurizio) che sono anchecomplici e intimamente coesistono nel pantanodella vita di provincia, che poi è identico al pan-tano senza spifferi della vita della grande societàcittadina.// Ma tu vuoi suggerimenti mi pare...Ebbene io ritorno a proporti una rilettura attentadel testo al fine di asciugarlo all'essenziale - ma-gari nello stesso tempo prolungandolo di appro-fondimenti - e mettere quelle scansioni chefacilitano la lettura e i ritmi di essa per il lettorenon voglioso di impegnarci la propria fantasia (obisognoso di interpunzioni per essere certamentefedele alla tua lettura) cui si pone ora la domanda:ma sei sicuro che Antonio sarebbe d'accordo conqueste osservazioni? No, non lo sono affatto. Seiriuscito a raccontarmi un Antonio che io real-mente intravvedo nel passato, soprattutto nellasua tragicità e nel rifiuto delle forme (e i conte-nuti) della nostra estenuata società letteraria.Punto. Fermiamoci qui./ Arrivederci// Aldo».

Seguii ulteriormente i consigli che Aldo mi diedein lettera e sostanzialmente, o quasi, il risultato,sufficiente o meno che sia, è leggibile nelle dueedizioni citate.

***

Ma per dire ancora del rapporto che c’era traAldo De Jaco e Antonio L. Verri, è utile leggerel’intervista che io e Verri facemmo nella casa

di tufo dejachiana di Maglie il 4 maggio 1987,e la cui sbobinatura mi è costata una grandefatica. La trovate nella pagina successiva, il ti-tolo lo metto adesso per la prima volta.

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Aldo De Jacoin una fotografiadi Claudio Longo

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VERRI: La prima, scontata e banale do-manda: come e quando ti è venuta l’idea difare lo scrittore?

DE JACO: Ho l’impressione che questecose non è che sono come quando uno de-cide di fare l’idraulico. È un atteggiamentoverso la vita. La prima cosa è il modo in cuiti atteggi a considerare la tua famiglia, i tuoigenitori, i tuoi parenti, il di più di spirito cri-tico che hai, rispetto a quello che vedi. Poic’è un’altra tendenza, quella cioè a volercambiare la società. Questa non è di tutti gliscrittori, ma per quanto mi riguarda, così èstato. Quando scegli il modo di combattereper cambiare questa società e trovi che ilmodo è quello di narrarla, allora scegli difare lo scrittore e non, per esempio, il poli-tico, anche se la vita poi ti può obbligare afare il politico, almeno per un certo periodo,ma la tua vocazione rimane quella di scrit-tore, quella di descrivere la società per in-durre gli uomini a cambiarla.

VERRI: Ribatto ancora sulla storia delloscrittore. Nella scrittura, per te, conta l’in-venzione, l’accostamento ai problemi realio la trasfigurazione dei temi?

DE JACO: È difficile rispondere a questoquesito, perché con tutta la razionalità chedico di possedere, in effetti io scrivo testi,però, quando la materia si consolida inun’idea, in un testo, in alcune parole di untesto, allora si comincia a scrivere. In pra-tica, quando tu cominci a scrivere, hai ap-pena una visione, ad esempio, di un volto,di una persona. In generale, per quanto miriguarda, è una persona conosciuta davvero,una persona vicino alla quale sono passato,sono stato; è un atteggiamento, un gesto, nelquale tu credi di individuare la sintesi diquello che ti ha detto, cioè di quelle cose

che sono le tue esigenze, la tua voglia di in-tervento; e allora quel gesto, quella sintesicominci a descriverli. Può essere una ra-gazza bella, che fa l’amore con un tedesco.Ecco, questo è il personaggio del mio pros-simo libro. Ho cominciato a scriverlo, poisono mesi che la seconda tappa non arriva,forse non arriverà mai, però questo divental’elemento di verità intorno al quale co-struire la bugia, il racconto, la sintesi di unaverità più grande che è la vita che noi ab-biamo attraversato negli anni ‘40. Questa èla tesi, questo è l’obiettivo del racconto, ag-giungendo però a questo che non puoi scri-vere come se fosse un qualcosa, unatestimonianza di vita. No! È qualcosa cheparte dalla vita, parte dalla realtà, parte cioèdalla considerazione mia su quella realtà,dal modo come la vedo, per individuarsicome cosa vista oggi. Lo scrittore non è unostorico, anche se scrive la storia di una vita.

VERRI: Quali verità, o quale verità difendelo scrittore oggi?

DE JACO: Non può esserci una rispostache valga per tutti gli scrittori. Se vuoi ti ri-spondo quale verità difendo io. Negli annidel dopoguerra, io scrivevo per dare contodella voglia di rinnovamento che c’era nelpaese, nella gente, nelle contraddizionidella vita della povera gente. Le cose poisono cambiate. Oggi, questo argomento perme è assurdo, tuttavia mentre prima eranoappunto tradizioni anche elementari, comeil pane, l’innamorato, il proprio desiderio divivere e la propria paura di compromettersicon la vita, oggi queste cose non ci sonopiù, sarebbe un errore riprodurle. Le cosesono molto più dure ed anche molto più fa-cili. E quindi con questa nuova realtà biso-gna fare i conti, ed è quello che cerco difare.

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DOLCE RITORNO NELLA CASADELLA MADRE A MAGLIEIntervista seria e serissima tra Aldo De Jaco, Antonio L. Verri e Maurizio NoceraL

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VERRI: Azzardo! Passo al laboratoriodello scrittore. Come lavori? Provi mai sgo-mento dinanzi alla pagina bianca? È questoil classico sgomento. Come lavori mi inte-ressa e interessa anche ad altri.

DE JACO: Non è che lavori tutti i giorni.Moravia a questo punto direbbe che lavora4 ore al giorno, perché si sveglia a tal’ora,fa questo a quest’altra ora, eccetera. Disgra-ziatamente nella mia vita ho dovuto moltolavorare per guadagnare abbastanza, per poifare lo scrittore. Quindi il concetto di lavoroè legato più alla tragica esperienza di inviatospeciale del giornale («l’Unità», «Paesesera», «Vie nuove», altri giornali), del cor-rere avanti e indietro, di interessarsi di cosedi cui in realtà non me ne fregava niente, in-teressarsene in maniera vitale, immettendotutta la propria intelligenza in quella deter-minata cosa. Se nella mia vita ho fatto ilgiornalista è perché dovevo pur vivere, e perquesto occorre lavorare in un certo modo.Ecco. Anche oggi, intendo in questi periodiche vivo, oggi io sono in pensione, non vor-rei essere troppo ovvio, ad un certo mo-mento si cominciano a sentire i calcidell’ispirazione nella pancia, nell’addome.E tu a questi calci, a un certo momento, devidare una risposta, altrimenti non riesci a fareneanche il mestiere di giornalista, e capitacosì che cominci a scrivere un libro. E poi,a seconda di quello che devi scrivere, timuovi. A me, recentemente, è capitato discrivere dei racconti. Mi è accaduto un qual-cosa che paragono a quanto mi accadde al-l’inizio della mia attività di giornalista, cioèdi sentire forte la necessità di scrivere, sen-sazione che ti prende per tutto l’arco del rac-conto, per cui quando smetto è finito ancheil racconto stesso.

VERRI: Tu sei quello degli interventi, tre,quattro volte sulla stessa pagina di stesurediverse, addirittura di penne di colore di-verso.

DE JACO: Le penne di colore diverso sonoun motivo tecnico. Perché tu scrivi una cosae poi vuoi provare a correggerla, e quandocorreggi cambi penna, perché così la corre-zione viene più chiara; e siccome le corre-zioni sono tre o quattro e allora è bene checi sia questa cosa, è un espediente tecnico,del quale si può anche fare a meno. Infatti,è da tempo che non l’adopero più, ma il pro-blema è che quando scrivi una pagina, al-meno non mi capita di scrivere una paginae buttarla via per poi scriverla daccapo, puòessermi capitato qualche volta, ma in generesu quella pagina proprio si scava la tua scrit-tura, tu hai cominciato con una frase che poila correggi, la ricorreggi, la rimetti a nuovo,e se non ce la fai più, prendi un altro foglioe copi. Non ci sono tre o quattro stesure. Ionon sono uomo da molte stesure; sono un

uomo da molti passaggi, del correggere, se-guire l’armonia della frase, per superare glierrori, l’errore, ad esempio, di ripetere lastessa parola. Sono cose cui bisogna staremolto attenti. Recentemente ho cominciatoa leggere il romanzo di un mio amico. Beh!La prima frase di due righi e poi alla terzapagina, la ripetizione del termine “verso”con più significati, mi hanno bloccato, mihanno impedito di continuare nella letturaalmeno di quella pagina. Questa è una que-stione di mestiere, spesso vuol dire che chiscrive non se ne accorge nemmeno, e se tufai questo tipo di rilievo, chi ti ascolta storceil muso, a volte senza neanche sapere per-ché. Ma me lo permetterai, io il perché loso, perché c’è un’armonia interna alla frasealla quale devi essere fedele.VERRI: Anche se la letteratura va avanti unpo’ per disarmonie. Senti Aldo: Salento, latua fanciullezza, la tua giovinezza è salen-tina, anzi magliese, che rapporto hai con latua terra?

DE JACO: Guarda, la mia giovinezza nonè magliese, cioè lo è in parte, ma bisognache chiarisca. Io non ho mai abitato nel Sa-lento, non ho mai abitato a Maglie. Quandosono nato, sono cresciuto nella pancia dimia madre a Lecce, e poi, come si usava al-lora, credo anche adesso, essendo il primofiglio, quando stavo per nascere, mia madreè venuta a Maglie a partorire. Questo mi hacreato un complesso terribile, una sorta dicomplesso di inferiorità. Credo che ci sa-rebbe da parlarne molto, ma certo che difronte alle difficoltà dell’esistenza, rappor-tate al fatto che mio padre, essendo ferro-viere, ha fatto una serie di traslochi, daLecce a Taranto, da Taranto a Palermo, daPalermo a Milano, da Milano a Palermo, daPalermo a Castelvetrano, eccetera. Soprat-tutto a Milano, dove ho sofferto le penedell’inferno per ambientarmi, per mettermia mio agio, per sentirmi all’altezza deglialtri che erano presi da antimeridionalismoin un modo che ti fa capire l’antisemitismoe che barbara bestia sia. Allora, in tutta que-sta situazione, vivendo in ambienti difficili,oppure comunque estranei alle mie origini,Maglie è diventata un paradiso; il recuperodei parenti, anche perché nei primi anni divita, diciamo fino a 5-6 anni, la vacanza eraMaglie, il mare era Maglie.

VERRI: cioè Otranto?

DE JACO: No. Santa Cesarea Terme, doveci andavo con la zia e altri parenti. Ecco al-lora che questi qui sono diventati la fisiono-mia, le caratteristiche, il disegno delparadiso, e quindi quando a Milano non nepotevo proprio più, è a Maglie che volevoandare. É proprio il paese natale, rispetto aquello adottivo, che lo senti di più di quelloin cui poi vivi.

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Vivendoin ambientidifficili, estranei alle mie origini, Maglie è diventata un paradiso;(...) nei primi anni di vita,diciamofino a 5-6 anni,la vacanzaera Maglie,il mareera Maglie

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VERRI: Lo senti, ad esempio, come un qual-cosa di più appartenenza. Forse credo sia lanostalgia, un po’ di disperazione, il razionalesmarrimento delle terre del saraceno?

DE JACO: Beh! Lì dentro ci sono tutte lemie esperienze, tutte le mie nostalgie, certa-mente, ed anche il rapporto vero che tu sta-bilisci con un determinato luogo. Pensa adesempio che il Salento è terra di pietre, ed ioho avuto un grandissimo rapporto con le pie-tre. Per esempio, questa strada dove adessoci troviamo (via Dante Alighieri, n. 144),adesso c’è un palazzo nuovo, adesso sonodieci anni che c’è questo enorme palazzonuovo. Allora in quel posto c’era un muro ditufi, dietro al quale c’era un giardino. Eb-bene, la pioggia e l’umidità disegnavanodelle cose su quel muro, oppure anche certisemi dispersi dal vento andavano a far na-scere un ciuffo d’erba proprio là sopra su quelmuro. Per me tutto ciò era un incanto, era unperdermi dentro questo vento che soffiava efaceva nascere l’erba. Quando, per la primavolta, sono ritornato a Maglie, ho visto chequell’antico muro non c’era più e che al suoposto era sorto questo nuovo palazzo. Per meè stato come un colpo al cuore. Io ameròsempre la cattedrale di Maglie proprio per ilfatto che sulla sua alta facciata ci nidificanoi semi delle piante trasportati dal vento, e tuvedi dei ciuffi di piante sulla chiesa. Per meè una cosa straordinaria. È sempre un dolceritorno alla casa della madre.

VERRI: É ancora Salento, se vuoi, e i tuoidue ultimi libri (La casa di tufo, Erreci edi-zioni, Maglie 1985; Stazioni di posta, Edi-zioni Il laboratorio, Parabita 1986) li haipubblicati proprio in questo posto. Addirit-tura, qualche anno fa, hai preparato un pianoper una storia illustrata, a fumetti, del Sa-lento. E poi, ancora, hai ricomprato, se nonerro, la casa dei tuoi qui a Maglie. È questoun ritorno in grande stile, o che altro? Checosa vuol dire per te “salentinità”? e “meri-dionalità?

DE JACO: Sono due cose diverse. La “me-ridionalità” è una forma di lotta. Il meridioneè la tua patria, per questo la guardi con sim-patia, anche se naturalmente non con accet-tazione come quando la regione era uno stato,e cresceva anche se in modo distorto, perchéera uno stato reazionario. Poi ci sono le con-cezioni ideologiche, lo studio, l’impegno cheti fa diventare meridionalista; è la realtà delMezzogiorno, con cui ti raffronti, ti crescedentro. La “salentinità” è un’altra cosa, è lamadre, e in fondo non è tanto nella realtà. Perme la “salentinità” rappresenta tanto lamadre, per la quale ho dei turbamenti rispettoal rapporto col Salento, nel suo rapporto conil resto della nazione e del mondo, propriocosì come li avevo nel rapporto tra mia madree la società che la circondava. Mia madre era

di Maglie, trasferita a Milano, dove soffrivamolto ed era offesa da quella realtà, magarianche da gente che non aveva nessuna inten-zione di offenderla, perché non si adattava.Allora, quando io vedo, ad esempio, una cittàcome Lecce, una città moderna, adeguata airitmi moderni, ai miei occhi Sant’Oronzo equesti adeguamenti moderni non vanno d’ac-cordo, mi pare che la città ci perda di auten-ticità, perché domani non sarà più niente. Equesto vale molto di più per un piccolo cen-tro, per Maglie, per Soleto, per tutti i paesiadorni di cattedrali che abbiamo, eccetera.Solo che questo processo è lento, ed io di ciòsono più contento, perché significa che fin-ché io vivrò non di troppo cambieranno quile cose, perché quando qualcuno dirà cheAldo De Jaco è morto, le cose che io hoamato non tutte saranno state distrutte.

VERRI: Stavo quasi per chiedertelo: qual èil tuo rapporto con la morte?

DE JACO: Non si può dire che non ci sianorapporti, la prima volta che sono stato malatogravemente, tanto da creare un rapportoobiettivo con la morte, avevo undici anni.Sono stato malato ai polmoni, e quando stavomolto male pare che parlassi a vuoto. Co-munque la cosa che ricordo ancora è che ve-devo nel muro delle immagini di donna, diuomo che camminavano. So benissimo checosa erano, erano le illustrazioni dei Promessisposi [del Manzoni]. La Perpetua, come io laricordo, non è nella pagina dei Promessisposi, è come cammina verso di me sul muro.Poi a 17 anni sono stato nuovamente amma-lato, ancora peggio, sempre ai polmoni, per-ché ho avuto un ascesso polmonare e allorala medicina non era come adesso, non c’eramica la penicillina, e la cosa era abbastanzacomplicata. Sei mesi di casini terribili, e al-lora la morte mi si è presentata comeun’eventualità abbastanza probabile, si è pre-sentata come discorso con Cristo. Fin da que-gli anni, per me il problema della morte nonè stato una cosa per cui dover morire dipaura, piuttosto è stato sempre il problema dimorire in pace, cioè di avere i conti pareg-giati. So benissimo che questo non è semprepossibile. Allora speravo in un certo senso dimorire da grande; sai, questi sono sempre unpo’ i sogni di ragazzi ma, oggi, se penso allamorte, la vedo come un fatto casuale, comeun accidente della storia di un uomo. C’è unasoglia oltre la quale è impossibile andare:prima non eri niente e anche domani non seiniente. Prima eri qualcosa? Ed anche domanilo sarai. Ho l’impressione che la questionedel trapasso valga per tutti, per chi crede inDio e per chi non crede naturalmente. Lacosa è sempre più drastica, però, diciamo laverità, si può inventare qualsiasi cosa per ren-dere più tranquillo il passaggio, cioè per es-sere tranquilli quando si è vivi e poi quandonon lo si è più.

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A volte però si vive come dei veri morti. Al-lora in quel caso quella è la morte da vivi.L’unica cosa utile è lasciarla camminare. In-fatti, io ci sono passato vicino, oltre che permalattia, anche durante la guerra. Sono statoferito durante i bombardamenti. Ho avutopaura, ma la paura non viene quando c’èl’impatto con qualcosa che ti capita vicino,viene quando tu ti immagini che ci sia e haifatto già l’esperienza. Voglio dire, per esem-pio, che mentre adesso io ho una fottutapaura delle malattie polmonari, così comequando durante la guerra una bomba mi ferì,ebbi paura perché non sapevo di che si trat-tava, cioè mi capitò di alzarmi, di muoverele braccia e le gambe per vedere se funzio-navano, ecc. Ma ugualmente avevo presouna scheggia che mi stava attraversando ilbraccio ed era rimasta in esso a metà strada.Un’altra volta ebbi paura, sempre durante unbombardamento, quando vedevo bombe ca-dere dappertutto. Quella volta la paura mispinse a farmi camminare sempre di conti-nuo per verificare se ero ancora vivo.

VERRI: De Jaco poeta è stupendo, nelsenso che sono io una vittima del tuo Sta-zioni di posta. È che io preferisco da semprele poesie del narratore, del romanziere, delloscrittore. Comunque le poesie di uno scrit-tore a quelle di un poeta. Praga è stupenda,Varna pure è stupenda, e Leningrado, e Ber-lino, e Madrid, e le Cavalcate bulgare, tuttestupende. Poi c’è Enea, una donna dai pic-coli seni, un tuo piccolo capolavoro, chealtro non è, almeno io la vedo così, che lapoesia. Chi è in realtà questa tua Enea?

DE JACO: Enea è [...... nella registrazioneil testo è incomprensibile, tuttavia il redat-tore conosce quel nome, ma De Jaco, di pro-posito, aveva alterato la voce per non farsicomprendere, ed io rispetto quell’incom-prensione]

VERRI: Ecco! Siamo ora allo scrittore cheviaggia, l’ospite ingrato, da Mosca, nel giar-dino del cattivo amministratore, dalla Cina,dal Nicaragua. Quel paese in Africa di cuimi hai parlato qualche anno fa e che ora in-tenderesti raggiungere? A parte l’ironia, ladisperazione, il dolore, a volte di chi viaggiae scrive, cos’è che veramente insegui?

DE JACO: Il socialismo! E tutta la vita chelo inseguo. Cioè, non tutta la vita: dai 18-20anni, cioè da quando sono uscito dal tunneldel fascismo, che poi era il tunnel della vitaborghese qualunque, piccolo borghese, finoalla miseria, frustrata ed anche resa impor-tante perché c’era la guerra, la paura di mo-rire in ogni momento, una vita di una miseriaintellettuale incredibile. Ho letto sempre, pertutta la vita, ad esempio i libri di Antonio La-briola e ne ho ricavato la speranza e la pos-sibilità di un modo di vivere diverso, poi ho

scoperto che c’era un paese che stava cer-cando di costruire il socialismo, e questo eral’Unione Sovietica, che si stava combat-tendo contro il fascismo e mi sono immessoin questa poesia sociale. La cosa ha avuto ungrosso momento di sconforto nel ‘56, da unaparte con il XX Congresso del Pcus, che do-cumentava e condannava il fallimento diStalin, cioè del periodo in cui io credevo inquelle cose, quel periodo in cui tutto sem-brava bello e invece ti capita come quandotu alzi una pietra e sotto scopri che ci sonotanti vermi. Per me il XX Congresso fu sco-prire cosa fosse stato veramente lo stalini-smo. Rivelava un altro volto dellostalinismo, poi magari verrà un altro che diràche però Stalin era un grand’uomo, ma a me,a questo punto, non è che le cose interessinopiù di tanto. Io mi sono fermato a quella ri-velazione. Nella vita di un uomo più di tantonon ci può essere. E poi, l’Ungheria, che fuil risvolto di massa di quella crisi. Allora iomi posi il problema di che diavolo stavo fa-cendo, chi e perché, e la cosa mi si è gonfiatadentro. Io in biblioteca ho 200 volumi al-meno su queste questioni, e me li sono tuttistudiati, ricavandone che cosa? Non la cura,ma la diagnosi di quel momento, almeno l’il-lusione di avere una diagnosi per le mani, edanche una conoscenza di che cosa era statolo stalinismo. Solgenitzin non mi ha raccon-tato nulla di nuovo, perché chiunque volesse,con un po’ di buona volontà, in quegli annipoteva, da fonti russe, statunitensi, italiane,di ogni tipo, scoprire la pietra e vedere chec’era sotto. Però, poi, questo non mi è ba-stato più, e per prima cosa ho scritto una ri-cerca, un libro. Era un po’ un libro polemico,con altri libri di altri politici, di politici seri,veri che improvvisamente, arrivati ad unacerta età, si scoprivano scrittori. E scrive-vano anche bene, ma il problema non è discrivere bene, di essere uno scrittore; il pro-blema vero è di dire cose adatte. Comunqueil primo libro di questa ricerca sul socialismoè stato un libro di un viaggio in Italia, cioèVocazione agit-prop, che raccontava la miavita di rivoluzionario “professionale”, comesi diceva allora, e come diceva Lenin par-lando di sé e degli altri, compreso Stalin. Eraun libro sull’Italia, ma un libro anche sulleesperienze del comunismo in Italia, era unlibro critico, autocritico degli anni ‘50, unlibro abbastanza amaro, che non mi ha certorallegrato, ma che io ho scritto comunquecon una specie di furore, spinto dalla vogliadi dire la verità, ma non la sciocca verità dichi dice che Pietro Secchia aveva un segre-tario che poi è scappato con i soldi e con idocumenti, ma di che cos’era stata la spe-ranza del socialismo per una generazione piùgiovane, una generazione alla quale toccavadi entrava nella società e di dargli una forma,e aveva puntato, appunto, su questa mitolo-gia, su questa utopia del socialismo.

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7Dolce ritorno nella casa della madre a MaglieIntervista seria e serissima tra Aldo De Jaco, Antonio L. Verri e Maurizio Nocera

Sei uno scrittoreche viaggia, l’ospite ingrato...Da Moscaalla Cinanel giardinodel cattivoamministratore;dal Nicaragua. all’Africa...A parte l’ironia, la disperazione, il dolore, cos’è che veramente insegui?

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Quindi, una specie di viaggio, e non solo al-l’interno della testa, ma anche tra i fatti, a di-mostrazione di quali erano stati i profondilimiti del nostro essere comunisti negli anni‘40 e ‘50, negli anni che vanno dalla Resi-stenza al XX Congresso del Pcus. Da allora èincominciato questo viaggio, alla scoperta delsocialismo, perché il socialismo era proprioitaliano, cioè la utopia nostra di giovani uscitidal fascismo, e vogliosi di cambiare il mondo.Per la verità c’era anche dell’altro, c’era in-nanzi tutto l’Unione Sovietica. Per me erachiaro, era la realizzazione del socialismo,quel paese era qualcosa che non corrispon-deva ai nostri miti, era qualcosa di cui noi do-vevamo sentirci responsabili, perché mica sipoteva tanto facilmente fare delle critiche. Al-lora il problema di vedere se si poteva farealtro, oltre a quello che si è fatto. E allora que-sto mi ha molto incuriosito, fino al punto chesono stato invitato ad andare in Unione So-vietica e con mia moglie ci sono andato perdavvero, passando per la Bulgaria, un piccolopaese (se sapessero che ho detto piccolo!). Unpaese, la Bulgaria che sarebbe poi diventatoper me molto importante, per certi affari per-sonali, diciamo familiari. Allora il viaggio inUrss, avevo semplicemente deciso di fare unviaggio personale, come tutte le volte che c’èqualcosa che ti incuriosisce, per vedere poiche cosa era successo da quelle parti. In ef-fetti, di fatti significativi ne sono successimolti.

VERRI: E dell’Africa cosa mi dici?

DE JACO: l’Africa? Non l’Africa, ma laCina e il Nicaragua erano le altre due bandieredel socialismo. La Cina di Mao Tse Tung,anzi per essere precisi, dopo Mao, la primaCina di Deng Siao Ping; la Cina del tempo delprocesso ai quattro non so che cosa! Poi il Ni-caragua, il misterioso paese tropicale, dove sifacevano le grandi opere, e aveva tutti i segnidell’antichità, e tutte le preoccupazioni ed ipericoli del mondo che la circondava, con inpiù il fatto di essere un uccellino nella boccadel coccodrillo. Un piccolo paese confinantequasi con gli Usa, dai quali dipendeva e di-pende in tutto per cui doveva vivere senzabicchieri, senza tante altre cose. Ad esempio,per me, tagliando le bottiglie di coca cola miavevano ricavato un bicchiere. E questo èniente, un paese senza carta igienica, per cuinon era strano sentire delle signore moltoserie discutere in salotto su tutte le possibilitàche ci sono di risolvere il problema della cartaigienica. Poi c’era il problema del pane, delmangiare, del riso, dei fagioli. Il problema ditrasformare un piccolo paese ancora alle so-glie del suo sempiterno medioevo, in un paeseche discute di uguaglianza tra i cittadini e dilibertà. Sono sempre delle belle esperienze.Comunque quello che volevo dire è che sonostate per me un periodo di ricerca affannosa,di crisi delle mie convinzioni, degli obiettivi

ai quali avevo dedicato la mia vita. Dopo diche, dopo il Nicaragua avrei voluto, mi eroposto il problema di andare in un piccolopaese dell’Africa, ma non ce l’ho fatta, perchéogni volta bisogna inventare una storia, e que-sta volta non ce l’ho fatta, resterà un misterodi questo mio viaggio in Nabipia. Mi pare chesi chiami così, che è un piccolo nido di uo-mini liberi in bocca al lupo. E questo paesesta lì proprio al centro, con un sacco di mon-tagne intorno ed un sacco di gente venuta datutti e quattro i punti dell’orizzonte alla ri-cerca della libertà. Che cosa dovevo dire an-cora? Ecco, mi è rimasta quest’idea di vederequesto paese qua, che si chiama Nabipia.D’altra parte ho poca fiducia che gli inviatispeciali - io ho fatto per tanti anni della miavita l’inviato - oppure gli scrittori che vannoin questi posti, intorno alle cose, vedono ve-ramente le cose. Io stesso vedo veramente lecose? Comunque gli inviati spesso vedono sestessi che guardano le cose, per cui nella fo-tografia non c’è spazio che per il signore chepiglia appunti, e non per quelli per i quali sipigliano gli appunti. Leggi, ad esempio, illibro di Moravia sui suoi viaggi in Africa.

VERRI: Telegraficamente! Arriverai mai aSamarcanda?

DE JACO: Ci sono già arrivato! Bisognaavere coscienza. Io ho voluto fare lo scrittore,e lo scrittore l’ho fatto. Il fatto che poi non siauno scrittore di un gran numero di lettori èuna cosa che limitatamente è importante, èun’amarezza, ma non è una ragione per direnon ho fatto bene lo scrittore.

VERRI: Sindacato Nazionale Scrittori. Sei acapo di questo strano sindacato, perché qual-cuno lo vedrebbe più come un’associazione,che come un sindacato vero e proprio. Sei, di-cevo, dopo Bernari, Bigiaretti, segretario diquesto sindacato da molto tempo. So che lovivi con tutta serietà d’intenti, a volte con rab-bia, con disperazione, a volte con la giustaironia. So che ti batti da sempre per il rispettodel diritto d’autore, per un aggancio reale conla Filis-Cgil, il prestigio internazionale che,comunque, è già una realtà, c’è un congressonazionale alle porte, come ci arrivi? Come ciarriviamo? È vero che pensi di presentarti di-missionario? DE JACO: È mio dovere pre-sentarmi dimissionario, non sono mica undittatore del Sindacato scrittori. Io vado alcongresso, faccio la mia relazione e mi di-metto, probabilmente sarò rieletto nel Consi-glio generale, ma lì si farà la discussione. Iocredo sinceramente, posso anche metterlo periscritto, che sarebbe tempo di cambiare. Iofaccio il segretario del Sindacato scrittori dapiù tempo di Bigiaretti, ma la differenza trame e lui è che Bigiaretti è incappato in un mo-mento di voglia democratica di cambiare lecose, da parte di tutti ed anche dagli scrittori.Io no!

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A questo punto non ci sono arrivato. Do lamia parola d’onore che desidererei esserci,anche a prezzo che mi pigliassero a maz-zate, e dicessero: via, facciamo di bel nuovole cose. Io di una cosa sono convinto, cioèche ci vuole un sindacato degli scrittori peruna ragione molto semplice, che forse èsemplice per Marx, ma per un signore nor-male che cammina per strada e che scrivepoesie non è semplice. Gli scrittori produ-cono una merce, insieme ad altri natural-mente, ma un libro è una merce che viene acostare dei soldi, e allora questo comportala difesa degli interessi delle varie personeche concorrono a pubblicare il libro. Nonvedo perché l’operaio che compone un sin-dacato va bene, mentre un mio raccontodeve avere un sindacato ed io che raccontoo scritto non ne ho bisogno. Ma perché?Forse io ho un potere individuale maggioredi lui? Non è vero! Di potere individualenon ne ho nessuno. Perché il mio potere è ilfatto che l’editore mi vuole bene e mi regalai soldi, il che non avviene con nessuno, ne-anche con Moravia. Moravia guadagna unsacco di soldi, poveretto forse non li guada-gna neanche tanti soldi, ogni tanto si scopreche è in miseria, perché ha un potere con-trattuale rispetto agli editori, rispetto al suoeditore. In fondo Moravia potrebbe esserel’editore di se stesso, potrebbe dire a unBompiani «levatevi di lì che voglio coman-dare io». Non tutti possono essere così, mala collettività deve essere così, cioè gli scrit-tori non hanno alcun mezzo, che non sia ilmezzo che hanno anche i metallurgici, di in-fluire sugli editori. Non solo, ma siccomegli editori sono industriali di tipo partico-lare, gli scrittori avrebbero la possibilità, emolto spesso lo fanno, quando hanno un po-tere contrattuale individuale, di intervenirenel processo produttivo, di decidere qualilibri pubblicare, di decidere le correnti, imodi, il tipo di cultura che l’editore vuoleprodurre, e quindi, allora a questo punto, seuno, due dieci scrittori italiani sono in que-ste condizioni e manco cinque le utilizzano,allora ci vuole qualcosa che generalmentequeste possibilità e capacità ce l’ha. Nonvedo che ci sia di strano; il sindacalismo èuna cosa che è stata scoperta ben cento annifa. Perciò tocca anche a noi! In pratica c’èo non c’è qualcosa da chiedere? Ma certo!Siamo regolati ancora, in pratica, da leggifasciste, che non solo politicamente eranoal di fuori della democrazia che viviamooggi, ma anche tecnicamente erano di unmondo in cui le dimensioni erano poche,mentre adesso sono moltissime. Non c’erala televisione, la radio era una piccola cosa,non c’erano i satelliti che girano per aria,per cui oggi come oggi, la legge sul dirittod’autore, che è poi la legge n. 633 firmatadal cavaliere del lavoro Benito Mussolini, ècompletamente inadeguata, e noi pratica-mente ci agitiamo tanto, ma l’obiettivo per

il quale lavoriamo, il primo, è estremamentesemplice: cambiare questa legge. E questaè una cosa che riguarda gli scrittori, maanche i pittori, gli artisti tutti, perché inquella legge c’è tutto, e c’è tutta l’ingiustiziacon cui ogni autore oggi lavora per quelloche fa diventare oggetto la sua opera. Eb-bene, si tratta semplicemente di chiedere aquello che ci guadagna o che ci dovrebbeguadagnare, perché ti assicuro che tu non ciguadagni, ci guadagni troppo poco, che unafetta più grossa vada all’autore. Non c’èdubbio che scrivere sia un mestiere, non lopuò fare chiunque. Si comincia con l’ap-prendistato e si continua professionalmente.Tuttavia, mentre gli editori puntano su unagran pletora di gente che s’arrabatta, per cuiogni tanto esce uno che fa qualcosa, noipensiamo invece che questo lavoro sia il piùprofessionale possibile. Non lo sarà maicome un mestiere d’altro tipo. Disgraziata-mente pare che gli scrittori queste cose nonle vogliono proprio capire, perché preferi-scono la situazione tipo “mecenate”, e in-fatti il governo Craxi, per esempio, gliel’hadata con la legge per distribuire 100 milioniall’anno ai migliori, ai più simpatici, a quelliche ne hanno più bisogno. Ma non è di que-sto che c’è bisogno. C’è bisogno di unanuova legge sul diritto d’autore e che il si-stema pensionistico riguardi anche gli scrit-tori. Non dico che sia facile, perché c’è ilproblema di definire la figura dello scrittoree le prove che uno è scrittore e non uno chesi arrabatta così, tanto per fare. Tuttavia af-frontiamo questi problemi che sono i veriproblemi, e superiamo una situazione cheereditiamo dal fascismo, durante il qualequesto settore della società fu un settore ab-bandonato a se stesso e che noi oggi ono-riamo molto con chiacchiere, lasciandoloalla politica e alla filosofia del lupo controlupo.

VERRI: Parliamo, anche se telegrafica-mente ne hai accennato prima, un attimo dipartito comunista. A Napoli aggiustavi i pal-chi ad Amendola e dopo sei stato funziona-rio, poi man mano entusiasmi, delusioni,anche qui smarrimenti, amori ritrovati, ecc.Quali i tuoi rapporti attuali con il Pci?

DE JACO: Ogni principio d’anno, mi fac-cio la tessera. Onestamente devo dire che avolte ci metto qualche mese, ma per unaquestione pratica di difficoltà di andare insezione. Questa è lontana da dove abito. Co-munque, pago quelle 50.000 lire [oggi euro25] e mi prendo la tessera. Dopo di cheleggo ogni giorno «l’Unità», almeno i titoli,e commento variamente l’attività che fa ilpartito. Riconosco, con un’ottica un po’ an-tica, perché il Pci per il quale io ho vissuto,ho combattuto, adesso mi sembra non es-serci più.

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9Dolce ritorno nella casa della madre a MaglieIntervista seria e serissima tra Aldo De Jaco, Antonio L. Verri e Maurizio Nocera

Non c’è dubbioche scrivere siaun mestiere...Si comincia conl’apprendistatoe si continuaprofessionalmente.Tuttavia, mentregli editori puntanosu una granpletora di genteche s’arrabatta,per cui ogni tantoesce uno che fa qualcosa,noi pensiamoinvece che questolavoro debbaessereil più professionalepossibile

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Sai, sono stato anche un dirigente del Pci nelsecondo dopoguerra. Poi contro questo par-tito, negli anni ‘50 mi sono ribellato, però perme resta sempre il partito che conosco me-glio. Per cui, il partito di oggi è un partito cheha alle spalle il ‘68, magari il ‘77, ma noncerto il ‘45, e questo partito di oggi, a parte ilfatto che ugualmente gli sono fedele, lo co-nosco meno. Comunque, sottoscrivo quandodevo sottoscrivere, e poi, in fondo, non michiede altro. Però, se mi chiedesse qualcosadi più, lo farei perché non c’è niente di megliodi quel partito.

VERRI: La tua prima narrazione, mi pare siastata Racconto del sud. Fu quasi semiclande-stina. Il tuo primo vero libro fu invece Le do-meniche di Napoli (1954). Questo libro lovolle Vittorini nei “Gettoni”. Poi sono seguiti:Una settimana eccezionale, con Mondadorinel 1959, Viaggio di ritorno, ancora con Ei-naudi nel 1966. Poi sei scomparso dallagrande editoria. Perché? Qualche tuo passofalso?, o qualcosa di non dipendente dalla tuavolontà?

DE JACO: Certo, dipendente dalla mia vo-lontà. Qualche passo falso c’è stato, ma io ipassi falsi li ho fatti anche da giovane. Adesempio, è indubbiamente un passo falso ilfatto che, affettuosamente legato a Vittorini,disponibile a scrivere un po’ come lui, sia aesserne allievo, però rifiutai assolutamenteche lui mettesse le mani nei miei testi. E que-sta cosa con Vittorini non può mica durare. Inuna sua lettera a Calvino, mi tratta da nazista,perché ero di un rigore estremo, anche perchélui se ne era andato dal partito allora e ioavevo una paura fottuta di compromettermicon lui. In ogni caso non mi pento certo diaver difeso i miei testi. Vittorini ha macellatoparecchi scrittori, ma a me no. Certo, è andatoavanti, perché in fondo poi è stato lui che miha portato da Mondadori, ma ha dovuto farloalle mie condizioni, cioè al fatto che i mieitesti erano quelli e basta. Non mi pento diquesto. Però sono uscito rapidamente ed eroi-camente dal grande giro. Diciamo, che comeme se n’è uscito anche il neorealismo. Io hochiuso così i miei rapporti con le grandi caseeditrici, quando c’è stata la prevalenza delGruppo ‘63. Anche di questo non mi pento,perché sai quante confessioni e autocriticheci sono state, e passaggi. Io in fondo non fac-cio parte di nessuna corrente, perché erotroppo giovane quando c’era il neorealismo,e poi ero vittoriniano, che non è la stessa cosadel neorealismo. E poi ho continuato così, es-sendo forse un po’ meno vittoriniano ed unpo’ più dejachiano, ma non certo legato adaltre correnti. Nel nostro paese questo fatto dinon essere legato a correnti di pensiero è unacosa che nuoce essenzialmente. E io ho con-tinuato così. Dopo tutto non mi pento di que-sto, è una condizione del mio modo di viveree quindi di lavorare.

VERRI: Lo scrittore di storia, non lo storico,dal ‘69 al ‘74, cinque grossi volumi presso gliEditori Riuniti nella collana “Antistoria del-l’Italia unita”; poi altri ancora, tanti altri.Come ti muovi in questo settore? Quanto cientra il narratore.

DE JACO: Ci entra abbastanza. La verità èquesta: non è che io sia uno scrittore di storia,la verità è che io ho avuto uno scontro con lostorico. Ad un certo punto, ho dovuto fare iconti con lo storico. Ci entra sempre il ‘56, infondo nel ‘56 che cosa è successo? Che io ab-bastanza giovane sono stato sradicato dallastoria, dalle vicende di quel periodo, dai mieimaestri e da quelli che ammiravo, cioè in po-litica, Lenin e tutto il filone marxista, che difronte al rapporto di Krusciov diventava qual-cosa di assolutamente equivoco. Bisognavaricominciare daccapo. Io che cosa avevo?Camminavo su due gambe, il socialismo,cioè il filone leniniano, e il meridionalismo,cioè la lotta per la conquista del Mezzo-giorno. Il ‘56 e gli anni successivi con legrandi migrazioni al nord, e le idee che allorasi avevano; praticamente si è trattato delcrollo dell’ideologia del dopoguerra, tuttavia,nonostante questo crollo, molto delle mie im-palcature culturali sono rimaste in piedi, percui ho fatto una cosa che mi sembra abba-stanza seria: mi sono messo a studiare, holetto, prima di socialismo; la mia prima mo-glie sapeva quanti soldi ho speso per acqui-stare i libri da leggere. Leggevo di tutto, dallememorie dei politici della sinistra, oppure deifilosofi della sinistra, per arrivare a capire checosa era successo. E l’altra cosa da capire erala questione meridionale, quindi la storiad’Italia, la storia del Mezzogiorno, dalla finedel ‘700 in poi. Così, ad un certo punto, misono trovato a fare libri di storia, secondo unatecnica che uno storico non accetterebbe mai,perché riduce a nulla, o quasi, la propria fun-zione. Questi famosi miei cinque libri sonolibri di citazioni, pure e semplici, però direquesto è falsificarli, perché sono tutti testi al-trui, titolati da me e tagliati da me e messi inquello che normalmente si chiama in pitturaun “ collage”. Naturalmente sappiamo tuttiche un collage non è una somma di quadri al-trui, ma è un quadro di chi lo fa, e quindi ionon posso dare la responsabilità ad altri delmio libro sulla questione meridionale. Purnon essendoci neanche una parola di mio, aparte l’introduzione, è un libro mio, non c’èdubbio, e che ha avuto abbastanza successo,nel senso che ha avviato gli studi sulla que-stione meridionale. Per me era la secondagamba, cioè la realtà da vedere e dalla qualepartire per arrivare al socialismo. In fondoquegli anni ‘60 mi hanno riempito, ho lavo-rato molto a queste cose, non ho avuto iltempo di rendermi conto che invecchiavo eche bisognava prima viverle le storie per poipoterle raccontare.

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Ho ripreso a raccontarle con l’editoreMarsilio, che dopotutto non è un editoreda buttare via, ma certamente senza piùaccedere agli editori, ai quali ho avuto ac-cesso grazie alla porta che mi fu aperta daCalvino e Vittorini. Successivamente gra-zie all’operazione con gli Editori Riuniti,ho ricominciato a narrare, ma perché miera ritornata la voglia di narrare dellecose, che erano poi il mio mondo privato.

VERRI: Due anni fa, d’estate, ce ne an-davamo in giro per il Salento. Non facevialtro che parlarmi di Messapi o della nonesistenza di Sant’Oronzo. A parte le 6-7puntate della storia del Salento a fumetti,che hai già scritto, mi pare, hai in mentequalcos`altro che ci riguardi?

DE JACO: No. Onestamente in questoperiodo non ho niente che ci riguardi.Questo non significa niente, però. Io hopassato un periodo in cui mi preparavo ascrivere la storia a fumetti del Salento e,naturalmente, per un momento era impe-gnato a badare a tutte queste cose, ecc. Miè rimasto in cuore qualche elemento, adesempio, vorrei saperne di più sui Mes-sapi, mi entusiasma la loro architettura, lemura ed anche la loro storia, perché hannoavuto una storia, hanno difeso il loropaese bene, poi un altro personaggio chemi interessa molto è il re Totila, barbaro,il quale voleva fare una riforma agraria,ed era un tipo molto interessante, avevacapito un sacco di cose. Quel lavoro loavevo portato abbastanza avanti, maormai è superato per il fatto che non sitrovarono in quel momento le capacità fi-nanziarie per fare l’impresa. Se oggi arri-vasse [quel finanziamento] non escludoche mi rimetterei a studiare, perché tral’altro studiare mi piace, ma studiare allamia età significa trovare qualcosa da stu-diare di particolare, di diverso, non è stu-diare per preparare degli esami. Non mipropongo di laurearmi in Lettere doponon essermi lauretao in Architettura. Inquesto momento non ho le idee moltochiare su quello che farò. Ho, lo confessoa mezza voce, alcuni libri che potrei pub-blicare, due romanzi e un libro di raccontie spero di pubblicare qualcosa di questilibri nel prossimo periodo. Dovrei fare perun editore di Roma una vita di Rocco Do-natelli, che è un brigante meridionale,capo dei briganti, ma non credo che lafarò mai, non perché non mi piaccia Do-natelli, ma perché mi costerebbe troppafatica. Non sono il tipo che si inventa lecose, e credo che sarei costretto a consul-tare parecchi libri di storia. Sto scrivendoattualmente un racconto, per di più avreila possibilità di fare un altro libro di poe-sie, ma questo non lo faccio per altri mo-tivi, perché un libro di poesia sembra

niente, ma è molto impegnativo rispettoalla propria biografia. Così stanno le cose.Ora che mi hai fatto la domanda mi obbli-ghi a rispondere, ma non adesso. Perconto mio, nei prossimi giorni, mi obbli-gherò a fare un piano preciso, perché datal’età bisogna fare il piano per l’ultimacorsa, diciamo.

VERRI: Tre o quattro anni fa a Roma invia Giulia la tua gatta non faceva altro chefarmi dispetti, ad esempio ogni notte fa-ceva cacca all’ingresso della mia camera,tu invece con lei ti ci strusciavi, quasi. Hoscoperto poi che ami il gallo, di Picasso eno, i cavalli bulgari, altri simboli, altri fe-ticci. Tutto ciò, tutti questi simboli me-diano qualcosa sul De Jaco scrittore cheio non riesco a vedere?

DE JACO: Certamente. Per esempio c’èun libro che è dedicato ai gatti, che perònon è ancora uscito. Temo oramai che senon prendo un’altra via, non uscirà. È unlunghissimo racconto che si intitola Lacasa dei gatti e poi c’è un secondo rac-conto sulla morte di Tobia, che è la gattache tu dici, e che è morta straziantementedi cancro. È un libro di racconti, dedicatoappunto ai gatti di casa mia, che un giornosono stati ben sei. E a dire il vero erano igatti di mia moglie che, per esserne re-sponsabile, era anche il boia trucidatoredi quante le giovani vite di gatti che na-scevano, che erano a popolazioni in que-sta casa. Non so perché lo facesse conprecisione, forse c’entrava anche una po-lemica con me, comunque io mi sono as-sunto quei gatti come miei, anche se devoriconoscere che in famiglia erano più im-portanti i gatti di mia moglie, e ce n’è an-cora uno. Devi sapere che anche le miemogli si contano a popolazioni. Io hoavuto una moglie che mi è morta tra lebraccia, e poi una con la quale ho vissutoper una decina d’anni e poi mi ha dato ilben servito ed io un po’, indubbiamente,triste me ne sono andato. Adesso ne houna terza che ha tutti i dati positivi dellapromessa, sicuramente da mantenere,anche se naturalmente né io né lei siamoproprio giovani. Parlo ovviamente dellabulgara.

VERRI: In che direzione corre oggi lanarrativa dei nuovi scrittori? Mi pare chenon mettano molta fatica a scrivere delloro inferno, anche dell’inferno che li cir-conda, magari sperano domani di sosti-tuire Mario Soldati e Piero Chiara eBevilacqua in tutti i grossi premi nazio-nali, o nella tristezza e nell’impotenza deigrossi premi letterari. Li conosci questigiovani scrittori? Hanno buon respiro, osono frutto di un bluff?

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11Dolce ritorno nella casa della madre a MaglieIntervista seria e serissima tra Aldo De Jaco, Antonio L. Verri e Maurizio Nocera

Le mie moglisi contanoa popolazioni. Io ho avuto unamoglieche mi è mortatra le braccia,e poi una con laqualeho vissutoper una decinad’annie poi mi ha datoil ben servito... Adesso ne ho unaterzache ha tuttii dati positividella promessa,sicuramenteda mantenere

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DE JACO: Non di un bluff, ma di un affare.Vedi, la letteratura è disperazione e angosciaper chi appare in un certo modo, ma per altripuò essere anche un affare. Tu pubblichi unlibro con Bompiani, un libro che è una stron-zata, 10.000 copie sicuramente le vendi. Faii conti e vedi che qualche milione in tasca tientra. Allora qui non dico che capiti a nes-suno questa cosa, però un progetto di questotipo si può fare, specialmente se uno che hapotere in questo campo ti avalla e dice che seibravo. Comunque, vale la pena, l’editore ri-schia e a questo punto non perde né lui, né tu,cioè non gli farai guadagnare molti soldi, magli darai qualche altra possibilità. Sfugge atutto questo apparato, sfugge il tuo contri-buto, come devo dire, non è che non trovi leparole, ma è che c’è stato lanciato un anatemacontro certe parole, per esempio la parola“messaggio”. Però praticamente, per inten-derci, questo significa dire che diavolo vuoi?Perché diavolo fai lo scrittore? Non puoi direche lo fai per guadagnare soldi, puoi dire chelo fai per dire qualcosa ai tuoi lettori. Questoti porta a non avere mai prestigio. Non riescoa capire che cosa vogliano dire, perché hannoalcune o molte capacità, non innovano niente,ma riportano agli strati più economicamentecomprensibili del piano di fare lo scrittore,che Soldati sia un’ottima persona non c’èdubbio, e che sia uno che scrive dei buonilibri anche su questo non c’è dubbio, peròscrivere come Soldati significa non rischiare,non battersi, non parlare turco, significa par-lare il linguaggio della stanchezza di unagiornata, del dopo le seccature, ecc., magariseduti davanti alla Tv.

VERRI: Qualche nome? Giovani scrittori?

DE JACO: Tu mi vuoi rovinare! Io, guarda,ho fatto molte cose, ma una mi sono semprerifiutato di fare ed è il critico e non incomin-cerò adesso.

VERRI: Pare che questa ti tocca come do-manda, perché navighi da un bel po’ in questomare. Pare che i mass media comincino a per-dere terreno, c’è un ritorno del libro, lo si diceda molte parti, ma il libro morirà mai?

DE JACO: No! Il libro non morirà mai, peròbisogna intendersi. Vi è un grosso processodi mistificazione, per cui tu dici il libro, mabisogna intendersi su che diavolo è questolibro. Oggi, in Italia si vendono 22.000 titolidi libri, 22.000 libri diversi escono ogni anno,credo che 8-10.000 sono le ristampe, e co-munque c’è un grosso numero di libri nuoviche escono. Nuovi non significa buoni, nonsignifica nemmeno originali, ma una grossafetta di libri nuovi veramente c’è, e però lamaggioranza di questi libri fanno parte di unprogetto editoriale tendente a guadagnarequalcosa. Io ho una concezione della lettera-tura che non corrisponde a questa ideologia;

corrisponde ad altre. È quella del messaggio,è quella del dire qualcosa. Per me non ha laminima importanza, cioè non è progettato ilsuccesso editoriale, ma è progettato il mes-saggio da me al lettore di qualcosa alla qualeio credo e alla quale quell’altro crede. Sonopiù pericolosi i libri in cui tu ci metti tutta latua anima e c’è la speranza che qualcosapassi. Però non sono libri di successo questi,perché il successo del libro oggi è dato, se unsuccesso c’è, perché queste cose si scopronosubito dopo Natale quando c’è uno sforzo ditrasformare il libro da strano oggetto in cui sigirano le pagine per leggerlo a oggetto di altrequestioni. Io ricevo ogni anno alcuni libri bel-lissimi, quello su Raffaello per esempio, chenon ho ancora aperto; c’è un libro delizioso,anche per ragioni personali, molto interes-sante, che è un libro su i barbari in Italia. Equando mi metterò a leggere questo libro? Civorrà, che so?, che mi rompa un piede perstare fermo un mese e allora me lo leggerò.Allora questi sono libri oggetto, libri che pos-sono essere ottimi, ma comunque vendono,infatti, costano moltissimo. Talvolta non sonoaffatto in vendita, tendono ad essere un og-getto di prestigio della casa. I miei libri, i libridegli amici miei, sono tutt’altra cosa; sonotentativi di trasmettere, per quanto riguardame, un messaggio, una discussione, a spin-gere verso una discussione, altri sono libri an-cora più complessi. Comunque sempre diquesto bisogna dar conto, di dare un contri-buto alla conoscenza che l’uomo ha della ve-rità delle cose.

VERRI: Ho aperto una domanda banale,concludo con un’altra del genere. C’è una do-manda che non ti ho fatto e che avresti volutoche io ti facessi?

DE JACO: Io non voglio che mi facessi nes-suna domanda, quindi non vedo come cipossa essere una domanda che volevo che tumi facessi e che non mi hai fatto. Sono moltocontento che non mi hai chiesto chi è il mioeditore, perché sono, come quando avevo 20anni, alla ricerca di un editore. Sono contentoche non mi hai chiesto i premi che ho presoperché, in effetti, ne ho presi alcuni, ma ipremi non hanno più il significato che ave-vano una volta e quindi uno non è che siguarda alle spalle pensando a qualche buonpremio ma, al massimo, spende quel milioneper comprarsi i mobili di casa. In effetti, tu ledomande le hai fatte, avrei voluto che ci fossequalche altra domanda, però poi ti rispondevaad una biografia vincente, ed io non ce l’ho.Ad esempio, una domanda come questa:quante centinaia di migliaia di copie hai ven-duto del tuo ultimo romanzo? Questa sarebbestata una bella domanda, perché mi avrebbemolto imbarazzato, in quanto a contare i di-ritti d’autore che ricevo, i miei lettori sonopochi ma buoni. Ma tu, gentilmente, non mihai chiesto niente.

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Page 13: La contrada del poeta aldo de jaco

13Dolce ritorno nella casa della madre a MaglieIntervista seria e serissima tra Aldo De Jaco, Antonio L. Verri e Maurizio Nocera

Un’immagine dalla resistenza napoletana nel settembre 1943

Aldo De Jaco fu autore del libro

“Le quattro giornate di Napoli - La città insorge” per i tipi degli Editori Riuniti - 1956

Nell’immagine sopra la copertina

Page 14: La contrada del poeta aldo de jaco

Conoscevo Aldo De Jaco di fama per aver trovatospesso il suo nome su alcune enciclopedie letterariedel ‘900. Avevo visto Quant’è bellu lu murire acciso,un film del 1975 sulla Spedizione di Sapri (1857) diCarlo Pisacane, di cui Aldo era stato sceneggiatore,ed in cui lui compare come attore accanto ad Ales-

sandro Haber e Stefano Satta Flores. Aveva la barba nera allora. Loavevo visto poi in televisione ai famosi “Programmi dell’Accesso”(sulla Rai) insieme a Rina Durante in qualità di Presidente del Sinda-cato Nazionale degli Scrittori.Avevo letto varie sue cose e lo avevo bio-bibliografato nel mio Di-zionario Enciclopedico dei Salentini (di prossima pubblicazione)quando un giorno, a Maglie, incontro Maria Rosaria De Lumé chemi dice che Aldo De Jaco mi vuole conoscere. Trasecolo. E come faAldo De Jaco a conoscermi? Maria Rosaria gli aveva parlato di me edella mia poesia, e gli aveva riferito della mia ricerca sui personaggisalentini.Mi ritenni onorato ed acconsentii che lei fissasse un appuntamento.

Il 5 dicembre 2001 mi aspettava nella nuova Biblioteca di Maglie.Aveva la barba bianca, si appoggiava al bastone. Pochi convenevoli.

Piacere.Piacere. Siediti. Allora tu stai scrivendo le biografie dei salentini?Si!Parlami di Francesca Capece !

Gli dico quello che so, gli leggo la scheda inserita tra gli altri magliesi.Io avevo cercato di sintetizzare le varie informazioni in un trafiletto(non mi sembrava, né mi sembra, un grande merito avere tanta ric-chezza, ai danni dei tanti poveracci, e donare tutto perché non si hannoeredi; merito sicuramente maggiore è stato tuttavia quello di non sper-perare i soldi, ma investirli in cultura).

Poi cominciò a parlare lui. Ne sapeva una più del diavolo, conoscevaretroscena insospettati, particolari inediti, si vedeva che aveva fattoricerche approfondite, scavato con attenzione, probabilmente alla ri-cerca di prove per una sua idea un po’ controcorrente sul personag-gio.Abbiamo passato un’oretta di piacevole conversazione, era davveroun piacere parlare con lui, mostrava una grande curiosità ed unagrande cultura senza farla pesare. Ci siamo dati appuntamento a casasua dopo 2 giorni, ci siamo salutati e gli ho lasciato qualcosa dellemie opere poetiche e narrative. Me ne sono uscito contento soprattutto per quel suo modo di farespiccio, franco, quel suo trattarmi alla pari. La sua grandezza stavaproprio in questo.

Il 7 sono a casa sua: Via Dante 114, Maglie. Suono il campanello. Ciao Stasi, siediti! - Mi ha sempre chiamato Stasi (anche nelle lettere:«Caro Stasi…»). Una stanza con volta a stella, in penombra, una scrivania, quadri, po-ster, ritagli di articoli, uno scaffale con i suoi libri. Me ne regala unpo’. Parliamo del più e del meno, dei suoi progetti, dei miei progetti,gli chiedo notizie di Italo Calvino (uno dei miei scrittori preferiti),che lui ha conosciuto.Il 10 ci incontriamo al Bar di fronte alla Biblioteca, gli offro qualcosa,chiacchieriamo, facciamo un paio di foto ricordo (una è sul mio sitointernet: www.carlostasi.too.it). Mi chiede del Liceo Capece, dei graf-fiti trovati sotto l’intonaco in una stanza, adibita per anni a deposito,

rivelatasi essere la prigione del castello baronale rimaneggiato a fine‘700. Ero lì quando, tolti i primi pezzi d’intonaco, un bidello (ora, peressere politically correct, “collaboratore scolastico”) mi chiamò perfarmi vedere delle scritte e cominciai a decifrarne alcune, individuaresegni, date; lì avevo accompagnato lo scrittore Alberto Bevilacquadurante la sua visita al Capece (il 5 maggio 2001). Pochi giorni dopoAldo parte per Roma e ci diamo appuntamento a primavera.La mattina dell’1 gennaio 2002, alle 9 e mezza squilla il telefono dicasa. - Pronto sono Aldo! -. È Capodanno e mi tiene un’ora al telefonocomplimentandosi per i miei racconti inediti raccolti ne Il Tesoro deiMessapi (tra cui, edita, Leucàsia) e chiedendomi come mai nonl’avessi ancora pubblicato. Visto il suo carattere spiccio credo ai suoicomplimenti. Mi promette che appena si sarebbe liberato del librosulla Capece si sarebbe mosso presso qualche editore per proporlo.Mi scrive poco dopo per darmi informazioni per il mio Dizionario, emi chiede ulteriori informazioni sullo scultore Antonio Bortone, au-tore (preferito dai magliesi al magliese Giuseppe Mangionello) dellastatua alla Capece nella Piazza di Maglie. Quei giorni, per me frene-tici, furono sconvolti dalla notizia della morte (il 23 febbraio 2002)di un’altra persona a me cara (Maria Corti).Il 5 marzo mi telefona ancora (io non lo avevo ancora mai chiamatoper la mia fissazione di non essere invadente e indiscreto). Lui insisteche lo chiami, mi chiede di scrivere tre pagine sul Liceo Capece (doveinsegnavo) da inserire nel suo libro sulla Capece. Il 10 marzo glimando informazioni su A. Bortone e L. Paladini. Il 19 marzo gli te-lefono per annunciargli che il mio articolo sul Capece è pronto. Glielospedisco il 23. Il 1° aprile mi scrive annunciandomi di aver ricevutoil pezzo.Il 19 maggio mi telefona dicendo che il pezzo va benissimo. Passatutta l’estate. Il 21 novembre gli telefono, mi invita a Maglie. Vado.Ho la schiena dolorante per un’ernia al disco. La moglie Ivana è pro-diga di consigli. Suo fratello arriva e gli porta dei frutti rari di cui nonricordo il nome (a forma di limone, ma colore verde intenso). Ivaname ne dà una busta da portare a casa. È il nostro ultimo incontro. Cidiamo appuntamento a primavera. Passa l’inverno. Il 23 gennaio 2003 (in occasione del suo 80° com-pleanno) mi spedisce da Roma il suo ultimo libro di poesie C’era unavolta (pubblicato da Kurumuny) accompagnato da un messaggio infotocopia. Gli rispondo solo il 24 marzo 2003. Da allora non sonopiù riuscito a raggiungerlo telefonicamente.Il 13 novembre (un sabato mattina) sfogliando il «Quotidiano diLecce» vedo la sua foto e l’annuncio della sua morte a Roma. A po-meriggio sono a Maglie, tra gli amici di Aldo, ad accompagnarlo alsuo ultimo viaggio nel cimitero del paese che lo aveva visto nascereed in cui aveva voluto riposare (in buona compagnia a pochi metridalla tomba di Salvatore Toma), come dice nella poesia Quando Mo-rirò: «Quando morirò mandatemi/ in Puglia […] scegliete/ una tombapiù vecchia/ di me, dalla pietra// corrosa dal sole e dal/ vento, mettetela mia foto/ a smalto come c’è/ al mio paese…».Ecco, questo era Aldo, questo è l’Aldo che io ricordo come una seriedi immagini incise nella memoria, un uomo che «aveva quella capa-cità, tipica dei grandi uomini, di guardare avanti, di progettare nuoveimprese (nel suo caso nuovi libri), e, nonostante l’età, di sognare».Ora io spero di tutto cuore che la sua eredità culturale non vada per-duta o dispersa, che tutto il suo lavoro (libri, articoli, corrispondenza)vengano conservati e custoditi gelosamente in un Archivio – Fonda-zione – Centro Studi “Aldo De Jaco”, perché i posteri possano ricor-dare… (dalla mia lettera alla signora Ivana il 24 novembre 2003).È un augurio ed un invito ai parenti ed agli amici di Aldo.

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RICORDO DI ALDOCarlo Stasi

Page 15: La contrada del poeta aldo de jaco

DAL PROFONDOdal profondo della terrail tuo spirito è seme fecondo che anela alla luce del cielonasceranno steppe di papaveri

avranno i brividi del ventofaranno sogni di neve e di sole

volando tra ulivi e betulledal profondo della terrail pensiero volerà nell’azzurrosarà bandiera di speranzaAddio Aldo!

Carlo Stasi23 gennaio 2005

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La firma di Aldo De Jaco

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Aldo De Jaco (Maglie, 23 gen-naio 1923 – Roma, 13 novem-bre 2003). Figlio di ferroviere,per questo amava i treni e le sta-zioni ferroviarie. Nel 1942, siiscrisse ad Architettura a Na-

poli, ma non si laureò mai. Nel 1944, inizia la suaattività di giornalista presso il quotidiano napo-letano «La Voce». Visse a Napoli fino al 1963,poi a Roma, sempre militando nel Pci e, per que-sta sua attività politica, fu più volte rinchiuso incarcere (una prima volta a Napoli, ed una se-conda volta (1967) ad Atene, durante la dittaturadei colonnelli, perché manifestava per la libertàdegli scrittori antifascisti e democratici greci. De Jaco esercitò la sua attività professionale digiornalista presso «L’Unità», «Paese Sera» e fucorrispondente e inviato per «il Contempora-neo», «Rinascita», «Prove», «Le ragioni Narra-tive», «Cronache Meridionali», «La Battana».Scrisse anche su molti altri giornali nazionali esalentini. Per alcuni decenni fu Segretario gene-rale del Sindacato Nazionale Scrittori. Ha scrittolibri di storia, di narrativa, di poesia, molti deiquali tradotti anche in Germania, Urss, Bielorus-sia, Grecia, Bulgaria, Romania, Cecoslovacchiae Cina. Ha scritto la sceneggiatura del film Quan-t'é bello lu murire acciso di Ennio Lorenzini e,per la Rai Radio Uno, collaborò alle venti puntatedi Voci e volti della questione meridionale. Perla televisione, la Rai ha trasmesso Opere Teatralicon il titolo Nella città di mezzo, opera in duetempi. Del libro di De Jaco La città insorge: lequattro giornate di Napoli, del 1956, il registaNanni Loy si ispirò per il suo film Le quattrogiornate di Napoli (1962).

Opere

Racconto del Sud, Edizioni Sud, 1946 (non di-stribuito).Le domeniche di Napoli, Einaudi, Torino 1954.Premio Salento (opera prima).La città insorge : le quattro giornate di Napoli,Editori Riuniti, Roma 1956.Una settimana eccezionale, Mondadori, Milano1959. Premio Settembrini (Mestre).Viaggio di ritorno, Einaudi, Torino 1966. PremioCastellamare. Il brigantaggio meridionale: cronaca inedita del-l'Unità d'Italia, Editori Riuniti, Roma 1969. Rie-dito nel 2005 da Editori Riuniti. Colonnelli e resistenza in Grecia, Editori Riuniti,Roma 1970. Antistoria di Roma capitale: cronaca inedita del-l'Unità d'Italia, Editori Riuniti, Roma 1970.Gli anarchici: cronaca inedita dell'Unità d'Italia,Editori Riuniti, Roma 1971 (Riedito nel 2006 daEditori Riuniti)

Di mal d'Africa si muore: cronaca inedita del-l'Unità d'Italia, Editori Riuniti, Roma 1972. Inchiesta su un comune meridionale: Castelvol-turno, Editori Riuniti, Roma 1972. I socialisti: cronaca inedita dell'Unità d'Italia,Editori Riuniti, Roma 1974. Con finale in prigione, Marsilio, Venezia 1975. Vocazione agit prop, Marsilio, Venezia 1975.Premio Calabria.Diario tre esse 1975-76. Con testi di Aldo DeJaco. Società editrice unitaria sindacale, 1975.I giorni della libertà: diario di tutti, 1943-1947.Editrice sindacale italiana, 1076.Ieri oggi domani la cooperazione. Editrice Coo-perativa, 1979. Diario di un ospite ingrato. Editrice Ciminiera,1981.Napoli monarchica, milionaria, repubblicana.Newton Compton Editore, Roma 1982.Nel giardino del cattivo amministratore. Le-vante, Roma 1983. Nica libre: ovvero visita a una giovane rivolu-zione. Il Ventaglio, Roma 1984.I cinque anni che cambiarono l'Italia. Diario fo-tografico di noi tutti: 1943-1947, Newton Com-pton Editori, Roma 1985. Premio Fregene ePremio Presidenza del Consiglio. Stazioni di posta. Edizioni Il Laboratorio, Para-bita 1986. Premio Napoli.La casa di tufo. Erreci edizioni, Maglie 1986.Opere teatrali : il ciclo dello "Scialle nero" e ilciclo de "Il grande vecchio". Todariana editrice,1989.Dodici lettere da Varna. JN editore, 1990.Il tappeto persiano. Erreci edizioni, Maglie 1992. La città insorge: le quattro giornate di Napoli.Monteleone, Roma 1995.In viaggio con Prodi, (A.De Jaco - M.Nardi).Monteleone, Roma 1996.Napoli, settembre 1943. Dal fascismo alla Re-pubblica. Vittorio Pironti Editore, Napoli 1998. Briganti e piemontesi : alle origini della que-stione meridionale. Rocco Curto Editore, 1998.Fine di un gappista : Giorgio Formiggini e lostalinismo partenopeo, Marsilio, Venezia 1999. Un po' di Napoli in tre racconti. Vittorio PirontiEditore, Napoli 1999. 1943. La Resistenza al Sud. Cronaca per testi-monianze. Argo, Lecce 2000. Nc'era na fiata na muscia nchiata. Edizioni del-l'U.N.S.La valigia di cartone. Viaggio (negli anni '60)nell'Europa degli emigrati. Bleve, Tricase 2000. Dopo Teano. Storie d'amore e di briganti. La-caita, Manduria 2001.Lungo viaggio di ritorno, Manni editore, Lecce2002. C'era una volta - poesia come memoria, Kuru-muny, Calimera 2004.

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La Contrada del Poeta 2. ottobre 2013 Fogli volanti di poesia spersa,

graficamente composti da Mauro Marino nella sede del Fondo Verri di Leccedirettore: Maurizio Nocera

I fogli sono stampati in fotocopiatrice a tiratura limitata e diffusi in rete