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SCUOLA INTERATENEO DI SPECIALIZZAZIONE PER LA FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI DELLA SCUOLA SECONDARIA S.I.S. Piemonte Il piacere della poesia. Un percorso sull’elegia latina in una classe quarta di Liceo scientifico. Specializzanda Silvia Grindatto Anno Accademico 2007 / 2008 Supervisore Prof.ssa Barbara Garofani

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SCUOLA INTERATENEO DI SPECIALIZZAZIONE

PER LA FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI

DELLA SCUOLA SECONDARIA

S.I.S. Piemonte

Il piacere della poesia.

Un percorso sull’elegia latina

in una classe quarta di Liceo scientifico.

Specializzanda Silvia Grindatto

Anno Accademico 2007 / 2008

Supervisore Prof.ssa Barbara Garofani

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Indice

Insegnare la poesia latina nel triennio del Liceo scientifico: riflessioni

teoriche e metodologiche

Introduzione

Le indicazioni dei programmi ministeriali

Le proposte dei manuali

Le mie proposte metodologico-didattiche

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Progettazione dell’intervento didattico

Il contesto scolastico

L’elegia latina: questioni di metodo e di organizzazione didattica

Requisiti

Obiettivi formativi e disciplinari

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La scansione dell’intervento didattico

Lezione 1 – Alle origini dell’elegia latina

Lezione 2 – Catullo e l’elegia d’amore

Lezione 3 – Il codice elegiaco: I, 1 di Properzio

Lezione 4 – La figura di Cinzia attraverso un lavoro di gruppo

Lezione 5 – Condivisione dei risultati del lavoro di gruppo

Lezione 6 – L’integrazione difficile di Properzio: l’elegia II, 7

Lezione 7 – Dalla poesia d’amore all’eziologia

Lezione 8 – Il dio Ercole attraverso i generi: IV, 9 di Properzio

Lezione 9 – Un confronto intertestuale: Catullo, Properzio e Ariosto

Lezione 10 – E’ tempo di verifiche

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Riflessioni conclusive

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Verifica e valutazione p. 49

Allegato 1

Allegato 2

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Allegato 3 p. 61

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Insegnare la poesia latina nel triennio del Liceo scientifico:

riflessioni teoriche e metodologiche

Introduzione

L’insegnamento della letteratura (e in particolare della poesia) latina nel triennio del Liceo

scientifico induce a confrontarsi con alcune pregnanti questioni, la cui portata influisce

fortemente sulla concretezza della prassi didattica quotidiana. Il docente di latino è chiamato a

gestire entro le poche ore settimanali1 una materia composita, che prevede istituzionalmente tre

differenti livelli di intervento : la presentazione della storia letteraria, l’analisi di testi antologici

in traduzione italiana, la lettura degli autori in lingua latina. A questi si aggiungono altri due

compiti, di specifica competenza del biennio, ma mai totalmente esauriti: il

completamento/perfezionamento dell’apprendimento linguistico e il recupero della storia antica,

utile a garantire una comprensione non solo strettamente letteraria, ma più ampiamente culturale

dei fenomeni presi in esame.

La gestione di aspetti tanto variegati e complessi sottolinea la necessità per i docenti di

impegnarsi nella ricerca di una «bussola» che permetta loro di orientarsi «nel mare magnum del

latino nel triennio» (Roncoroni 2000), ovviamente partendo dalle indicazioni offerte dai

programmi ministeriali , i quali forniscono le linee di riferimento generali cui è importante

ispirare la propria attività didattica.

Le indicazioni dei programmi ministeriali

I programmi ministeriali di ordinamento per il Liceo classico e il Liceo scientifico sono

sanciti dall’OM 20/3/1967: in essi un’attenzione privilegiata viene rivolta al Liceo classico, a

dimostrazione del permanere di una concezione “umanistica” di ascendenza gentiliana, che

induceva a guardare allo scientifico come ad una filiazione dell’altro indirizzo di studi, di cui era

chiamato a riprodurre in massima parte la struttura. Significativamente, nella Premessa al

documento ufficiale, si ricorda che per lo scientifico «valgono i suggerimenti e i programmi

dell’ordine classico», senza particolari preoccupazioni di definire con maggiore chiarezza la

specificità di questa tipologia di istituto, per la quale ci si limita a suggerire genericamente la

scelta di testi relativi ai problemi della scienza.

1 Il quadro orario del Liceo scientifico di ordinamento destina al Latino quattro ore settimanali nel terzo e nel quarto anno di corso e tre ore settimanali nel quinto anno. Le prospettive per il futuro lasciano pensare ad una riduzione del numero delle ore curricolari riservate alla materia: le Indicazioni nazionali sull’insegnamento delle discipline e gli Obiettivi Specifici di Apprendimento previsti dalla legge 53/2003 (la cui attuazione è oggi sospesa) riducono infatti a soli quattro anni l’insegnamento del Latino al Liceo scientifico, diminuendo parallelamente la quota oraria annuale (ad esempio, nel terzo e nel quarto anno, il numero di ore di Latino risulterebbe dimezzato, passando da 132 a 66).

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Tra i punti di maggiore interesse di questi programmi, oltre all’indicazione dello studio del

latino come strumento per acquisire una più solida competenza linguistica nell’italiano, va

ricordata l’importanza attribuita alla lettura dei testi, attraverso la quale «aiutare gli allievi nella

riflessione sulle strutture della lingua», ma anche invitarli a «cogliere il significato dei passi letti,

a (…) comprendere e sentire i temi in essi presenti, a stimolare interessi più ampi, a guidare ad

un’iniziale penetrazione nel mondo latino nei suoi aspetti più vari e più vivi». L’incontro diretto

con gli autori si presenta quindi come un momento qualificante del percorso di

insegnamento/apprendimento, funzionale sia a sviluppare le conoscenze storico-culturali e le

capacità di fruizione estetica delle opere letterarie sia a migliorare la preparazione linguistica

(soprattutto per quanto concerne gli ambiti della semantica e della sintassi). A differenza del

passato, lo studio della grammatica non appare più fine a se stesso, ma costituisce un mezzo

che permette di accostarsi consapevolmente alle opere degli scrittori antichi, evidenziando nel

contempo come la finalità primaria dell’acquisizione del latino non consista nello sviluppo delle

abilità di produzione, ma nel potenziamento di quelle di ricezione (lettura e comprensione in

primis).2

Si pone a questo proposito un’altra questione fondamentale, relativa al rapporto che, in

particolare nel triennio, deve raccordare tra loro la storia letteraria e lo studio degli autori: i

programmi del 1967 fanno rilevare in tal senso un’evidente sfasatura, in quanto il disegno

“storico” della letteratura latina è accompagnato da una serie di letture di autori fortemente

“antistorica”, che trova la sua giustificazione nel criterio della progressiva crescita di difficoltà.

Per il Liceo scientifico vengono fornite le seguenti indicazioni, caratterizzate da vistose

anticipazioni e posticipazioni cronologiche:

Storia letteraria Autori

Classe terza Disegno storico della letteratura

latina dalle origini alla fine dell’età

arcaica.

Lettura di un libro o di una scelta di

passi da Cesare. Antologia di

Catullo o dei poeti elegiaci, oppure

Ovidio (scelta dalle Metamorfosi).

Classe quarta Disegno storico della letteratura

latina dall’età di Cesare e Cicerone

fino a tutta l’età augustea.

Virgilio e Orazio. Antologia delle

opere di prosatori latini dell’età

romana e cristiana (ad es. Sallustio,

Livio, Tacito, Plinio il Giovane,

Seneca, ecc.).

2 Non a caso la prova di versione dall’italiano al latino è stata abolita dal DPR 4/7/1969. I programmi del 1967 ammettono e consigliano tuttavia l’uso di frasi e di brevi traduzioni dall’italiano come esercitazione.

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Classe quinta Disegno storico della letteratura

latina dall’età di Tiberio fino alla

caduta dell’Impero romano

d’Occidente.

Cicerone (buona parte di un libro di

un’opera filosofica e di un’orazione

maggiore oppure una significativa

antologia delle epistole più

importanti. Lucrezio (buona parte di

un libro o una scelta adeguata).

Il quadro delineato nel 1967 ha rappresentato per molti insegnanti un rilevante punto di

riferimento, almeno fino alle ampie discussioni sviluppatesi nel corso degli anni Ottanta sul

ruolo del latino nella cultura italiana contemporanea e sulla sua funzione all’interno del sistema

scolastico.

Un importante contributo è giunto dai programmi Brocca, elaborati tra il 1988 e il 1992 da

una commissione ministeriale costituita per studiare una riforma organica dei programmi della

scuola superiore, non limitandosi ad indicare quadri orari e argomenti delle discipline curricolari,

ma tracciando un progetto complessivo, contraddistinto da finalità chiare e comuni, miranti alla

costruzione di un sistema armonico di istruzione. Tali programmi prevedono l’insegnamento del

latino in quattro indirizzi (classico, scientifico, linguistico e sociopsicopedagogico), di cui solo

gli ultimi due hanno ottenuto risultati davvero apprezzabili (nei primi due casi gli esiti sono stati

al contrario meno positivi, sia per l’appesantimento prodotto dall’eccessivo numero di ore sia per

la frammentazione causata dall’introduzione di nuove discipline). Le difficoltà incontrate non

devono tuttavia impedire di riconoscere la portata certamente innovativa del lavoro svolto dalla

commissione Brocca, i cui programmi costituiscono uno dei più significativi esiti normativi della

riflessione disciplinare.

Per quanto riguarda il lavoro da svolgere nel triennio, il primo elemento di novità è da

individuarsi nella ricerca di una sincronia tra la lettura degli autori e lo sviluppo della storia

letteraria , con l’obiettivo di avviare un efficace processo di scambio di conoscenze: «da una

parte infatti si avvantaggia la memorizzazione altrimenti meccanica delle opere, dall’altra lo

studio delle opere e dei linguaggi si avvale del contesto storico-sociale e della vita dell’autore».3

Per il Liceo scientifico viene ad esempio consigliata la seguente scansione annuale:

Storia letteraria Autori

Classe terza Dalle origini all’età repubblicana. Cicerone. Lucrezio. Un autore o una

scelta antologica di autori dell’età

3 Ovviamente viene precisato che, nell’individuazione dei singoli brani da proporre agli studenti, occorre tenere conto «della gradualità nella competenza linguistica e nella capacità di affrontare le difficoltà esegetiche».

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arcaica e repubblicana (ad esempio

Plauto, Terenzio, Catullo, Cesare,

Sallustio, ecc.).

Classe quarta Dall’età augustea al periodo di

Traiano.

Virgilio. Orazio. Un autore o una

scelta antologica di autori dell’età

augustea e traianea (ad esempio gli

elegiaci, Ovidio, Livio, prosatori

scientifici, grammatici, autori di

diritto, ecc.).

Classe quinta Dall’età degli Antonimi alla tarda

latinità (con cenni alla letteratura

latina medievale).

Seneca. Tacito. Scelta antologica di

autori tardoantichi cristiani e pagani e

della latinità medievale e umanistica.4

Il tentativo di superare la tradizionale discrasia tra letteratura e autori nasce dalla volontà di

favorire la contestualizzazione e l’approfondimento dei brani esaminati, suggerendo un modello

didattico che, senza trascurare la dimensione estetica volta all’individuazione dello specifico

letterario, si dimostri aperto anche nei confronti degli aspetti di civiltà e di pensiero che

emergono dalla lettura degli scrittori classici: tra gli obiettivi di apprendimento riguardanti

l’insegnamento del latino nel triennio compare infatti la capacità di «collocare un testo sia nel

contesto storico-culturale del tempo sia negli sviluppi della letteratura e della civiltà latina»,

individuando «i legami essenziali con la letteratura coeva» e con «le altre manifestazioni della

cultura latina, in particolare con il pensiero filosofico e scientifico».

Al centro della prassi didattica si collocano le attività di comprensione, traduzione ed

analisi dei testi, cui i ragazzi devono avvicinarsi il più possibile e il più presto possibile, non

soffermandosi esclusivamente (come suggerivano i programmi del 1967) sulla generica

interpretazione di temi e motivi, ma adottando una prospettiva di indagine più ampia ed

approfondita, fondata sul ricorso combinato a strumenti letterari, linguistici, retorici, culturali. In

tal senso, alla fine del triennio, gli studenti dovrebbero essere in grado di «riconoscere le

strutture sintattiche, morfologiche e lessicali-semantiche», di «riconoscere la tipologia dei testi,

le strutture retoriche e metriche di più largo uso», di «giustificare la traduzione effettuata come

4 La prescrizione per la classe quinta di letture riguardanti gli autori cristiani e pagani tardoantichi, nonché della latinità medievale e umanistica, non manca di suscitare qualche dubbio: pur essendo certamente auspicabile in nome della completezza del sapere e dell’aggancio con la letteratura italiana delle origini, non pare concretamente realizzabile all’interno del contesto scolastico (la maggior parte degli insegnanti dichiara infatti di riuscire ad affrontare, nella migliore delle ipotesi, solo gli autori cristiani maggiori, unitamente ad alcune opere particolarmente significative, come la Vulgata di S. Gerolamo e le Confessiones di S. Agostino).

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frutto di una ricerca esegetica», di «riconoscere i diversi tipi di comunicazione in prosa e in

poesia», di «individuare i vari generi letterari, le tradizioni di modelli e di stile, i topoi».

Il varo dei programmi Brocca, con l’accento posto sulla rilevanza delle capacità di analisi

testuale, con la ricerca di una forte connessione storica tra fenomeni, opere ed autori studiati, con

l’attenzione rivolta all’aspetto linguistico, considerato ineludibile, ha determinato l’inizio di una

stagione di sperimentazioni molto intensa, la quale non è tuttavia approdata ad una revisione

strutturale della scuola secondaria superiore e, conseguentemente, del sistema dei licei.

A testimonianza dell’incertezza oggi largamente prevalente è possibile rimandare alle

indicazioni offerte dai più recenti documenti ministeriali che, anche a causa della mancanza di

continuità politica, appaiono tra loro disomogenei: se la cosiddetta “commissione dei saggi”

(operante tra il 1997 e il 1998 nell’ambito della riforma Berlinguer-De Mauro) aveva ipotizzato

che la conoscenza della lingua latina dovesse essere esclusivamente riservata agli studenti che

ambissero a svolgere una professione in ambito antichistico (indirizzo classico-umanistico), la

riforma voluta nel 2003 dal ministro Moratti ha invece delineato una prospettiva differente,

riservando alla lingua e cultura latina un certo spazio all’interno dei vari indirizzi, pur in

presenza di una riduzione complessiva dell’orario curricolare. Entrambe le proposte citate non

risultano tuttavia accompagnate da convincenti suggerimenti metodologici, in grado di fissare

livelli di apprendimento della disciplina più dettagliati ed operativi, tali da costituire un autentico

riferimento per i docenti di ogni istituto.5

Le proposte dei manuali

Letterature con antologia italiana e latina6

Le innovative linee di intervento suggerite dai programmi Brocca, oltre ad offrire un’efficace

summa pedagogico-didattica delle riflessioni sviluppatesi a cavallo tra anni Ottanta e Novanta,

hanno trovato un significativo parallelo nell’introduzione, sul mercato editoriale, di alcuni

manuali orientati a proporre un diverso tipo di approccio allo studio della letteratura latina ,

in una chiara presa di distanze dalle tendenze fino a quel momento prevalenti. Anziché intendere

la storia letteraria come una sequenza di autori illustri, presentati nei manuali attraverso una serie

di “medaglioni” in buona parte slegati gli uni dagli altri e non supportati dal confronto diretto

con i testi (quasi del tutto assenti dai volumi di impostazione più tradizionale), si è invece cercato

5 Lo stesso vale per il più recente documento Cultura Scuola Persona (2007), elaborato in preparazione delle Nuove Indicazioni Nazionali dell’ormai ex-ministro Fioroni: in esso compaiono alcune considerazioni di carattere generale sul ruolo educativo e formativo spettante alla scuola, che non vengono tuttavia declinate in concrete proposte didattiche. L’unico rimando all’ambito disciplinare di cui ci si sta occupando compare nella sezione intitolata Per un nuovo umanesimo, in cui si riconosce il fondamentale apporto fornito dalla civiltà classica greca e latina allo sviluppo della cultura e dell’identità umana. 6 Per ciascuna delle tre categorie individuate (Letterature con antologia italiana e latina – Letterature integrate – Manuali di autori) si è scelto di focalizzare l’attenzione su uno o al massimo due esempi significativi, da cui far emergere le caratteristiche principali comuni a tutti i volumi della stessa tipologia.

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di proporre un modello fondato sull’accostamento di trattazione storico-letteraria e antologia

(in lingua e in traduzione), rendendo evidente lo stretto legame che pone in relazione lo studio

dei fenomeni e delle forme della letteratura da un lato e l’analisi delle opere degli autori

dall’altro.

Uno dei primi manuali ad aver adottato tale impostazione è Letteratura latina. Storia e

antologia con pagine critiche (1991) di G. Garbarino che, con la collaborazione di S. Cecchin e

L. Fiocchi, ha perseguito l’obiettivo di restituire centralità ai testi, intesi come indispensabile

punto di partenza e di arrivo di qualsiasi tentativo di approfondimento letterario, assicurando agli

studenti la possibilità di avvicinarsi alla letteratura non più nell’ottica fideistica del passato

(quando, in assenza di raffronti testuali, si era costretti ad accogliere passivamente le valutazioni

espresse dall’autore del volume), ma nella prospettiva di una continua verifica personale e

critica dei contenuti appresi.

Titolo Letteratura latina. Storia e antologia con pagine critiche (vol. 2).

Autori G. Garbarino (con la collaborazione di S. Cecchin e L. Fiocchi)

Casa editrice Paravia

Anno di pubblicazione 1991

Strutturazione della

sezione dedicata ai poeti

elegiaci

� Introduzione storico-letteraria: notizie sulle origini dell’elegia

latina – cenni sulla produzione poetica di Cornelio Gallo –

approfondimenti delle figure di Tibullo e Properzio (dati

biografici e cronologici, esame della struttura delle rispettive

raccolte poetiche, analisi tematica e stilistica);

� Antologia (tutti i brani, in lingua originale con traduzione a

fronte, sono accompagnati da un cappello introduttivo e da note

esplicative): elegie I, 1 (Scelta di vita) e I, 3 (Rimpianti, sogni,

speranze) di Tibullo / elegie I, 1 (Un anno d’amore), I, 6

(«Lasciami, o Tullo, nella mia nequitia!») – I, 8 (Cinzia rinuncia

a partire) – I, 17 (Lontano dalla puella) – I, 22 (Il «sigillo» del I

libro) – IV, 4 (Un’elegia eziologica: l’amore colpevole di Tarpea)

– IV, 7 (Amore oltre la morte) di Properzio.

Apparati didattici ---

Percorsi di

approfondimento ---

Pagine critiche E’ presente un’antologia di pagine critiche (Autobiografia e

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finzione letteraria nell’elegia latina di L. Nicastri – L’amore

elegiaco di P. Fedeli – Amore e morte in Properzio di A. La

Penna).

Veste grafica Molto sobria e tradizionale, in bianco e nero. Non sono presenti

apparati iconografici.

L’elemento maggiormente qualificante di questo manuale è da ricercarsi nell’ampio spazio

concesso alla sezione antologica che, a differenza dei volumi tradizionali, non costituisce una

semplice aggiunta alla parte introduttiva, ma al contrario si presenta come un suo essenziale

completamento, utile a garantire un’acquisizione non superficiale né nozionistica degli autori

proposti, che possono essere letti ed esaminati “in presa diretta”; da notare inoltre la scelta di

proporre tutti i brani antologizzati in lingua originale con traduzione italiana a fronte, segno

della volontà di offrire un’opportunità di analisi testuale non limitata esclusivamente all’aspetto

contenutistico, ma in grado di coinvolgere anche i livelli della lingua e dello stile.

L’articolazione interna del capitolo dedicato ai poeti elegiaci offre in questo senso alcune

rilevanti conferme: la chiarezza espositiva e il rigore scientifico che contraddistinguono

l’introduzione iniziale rendono possibile un dettagliato inquadramento degli autori considerati, la

cui conoscenza può poi essere approfondita mediante la lettura e la traduzione delle elegie

proposte (di cui quelle properziane costituiscono la parte preponderante). Le pagine critiche

poste a conclusione del capitolo consentono interessanti approfondimenti su aspetti

particolarmente significativi; mancano invece proposte di lavoro e di esercitazione individuale,

che potrebbero rappresentare un valido supporto all’apprendimento.

Letterature integrate

L’impostazione complessiva del manuale di G. Garbarino, con la sua ricerca di una stretta

connessione tra lingua e letteratura e tra letteratura e dimensione storica, ha incontrato, fin dagli

inizi, un grande favore, aprendo la strada alle ulteriori innovazioni introdotte dalle cosiddette

“letterature integrate”. Queste ultime, largamente prevalenti nel panorama editoriale attuale, sono

progettate per un uso multifunzionale: in virtù della forte interrelazione degli elementi che le

compongono, possono infatti essere impiegate come storie della letteratura, come antologie

della letteratura e come antologie degli autori, sostanzialmente eliminando la sfasatura

(sancita dalle indicazioni ministeriali del 1967) tra insegnamento della storia letteraria e

svolgimento del programma di autori.

Rientrano in questa tipologia sia Corso integrato di letteratura latina (2004) di G.B. Conte e

E. Pianezzola sia Odi et amo (2005) di P. Di Sacco e M. Serìo:

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Titolo Corso integrato di letteratura latina. Storia Testi Percorsi (vol. 2).

Autori G.B. Conte – E. Pianezzola

Casa editrice Le Monnier

Anno di pubblicazione 2004

Strutturazione della

sezione dedicata ai poeti

elegiaci

� Introduzione storico-letteraria: notizie sulle origini e sulle

caratteristiche dell’elegia latina – scheda di approfondimento

dedicata a Cornelio Gallo – capitolo su Tibullo (vita, opere,

principali tematiche della sua poesia, fortuna) – presentazione del

Corpus Tibullianum – capitolo su Properzio (vita, analisi

dettagliata dei quattro libri di elegie, caratteristiche stilistiche,

fortuna);

� Antologia (tutti i brani, in parte in lingua originale e in parte in

traduzione italiana, sono accompagnati da un cappello introduttivo

e da ricche note esplicative. I testi più importanti sono seguiti da

dettagliate schede di analisi, in cui si intrecciano le notazioni

stilistiche, tematiche e quelle relative ai rapporti intertestuali e alle

relazioni con i modelli letterari): elegie I, 1 (Una scelta di vita) –

I, 3 (Dalla solitudine e dalla lontananza) – I, 5 (Una ribellione

fallita) di Tibullo / elegie III, 2 (Un’elegia di Lìgdamo: amore e

morte) e III, 13 (Un’elegia di Sulpicia: professione d’amore) dal

Corpus Tibullianum / elegie I, 1 (Il poeta innamorato) – I, 3

(Amore e mito) – I, 19 (L’amore oltre la morte) – II, 1 (L’elegia

d’amore: scelta di vita e di poesia) – IV, 2 (Un’elegia civile:

Vertumno, il dio del mutamento) di Properzio.

Apparati didattici

� Ogni testo antologizzato è seguito da una batteria di domande

volte a sondare la comprensione delle principali tematiche e a

sviluppare le capacità di analisi stilistica, di rielaborazione critica,

di raffronto intertestuale;

� Anche al termine della sezione dedicata al dibattito critico

compaiono alcune domande miranti a guidare gli alunni

nell’approfondimento dei passi critici proposti;

� Prevale la tipologia delle domande a risposta aperta; non

compaiono esercizi di tipo strutturato.

Percorsi di La sezione antologica è arricchita da interessanti percorsi orientati

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approfondimento a sviluppare tematiche e motivi presenti nella poesia elegiaca, in

una prospettiva di continuità rispetto ai successivi sviluppi delle

culture e letterature europee: Tibullo e il mito dell’età dell’oro –

La recusatio elegiaca e le dichiarazioni “rinunciatarie” dei poeti

italiani del Novecento.

Pagine critiche

E’ presente un’antologia di pagine critiche dedicate alla questione

delle origini e delle peculiarità dell’elegia latina, in relazione ai

suoi rapporti con la letteratura greca (Properzio e la poesia

alessandrina di P. Fedeli – Valori elegiaci e valori “romani” di E.

Burck – Elegia e saggezza filosofica di A. La Penna – L’amore

elegiaco: visione del mondo e forma di un’ideologia di G.B. Conte

– Ovidio e le contraddizioni dell’elegia di M. Labate).

Veste grafica

Sobria ma efficace: i titoli in grassetto, le note a margine e a piè di

pagina, l’impostazione chiara ed ordinata delle schede di analisi e

degli approfondimenti consentono di orientarsi agevolmente

all’interno del testo e favoriscono l’individuazione e la

memorizzazione dei contenuti più importanti. Non sono presenti

apparati iconografici.

Tra i punti di forza di questo manuale va senz’altro ricordata la completezza degli strumenti

didattici e critici messi a disposizione dei docenti e degli allievi: se infatti l’introduzione

storico-letteraria non si discosta in modo particolarmente evidente da quella inserita nel volume

di Garbarino, a marcare la differenza è invece l’articolazione della sezione antologica,

decisamente più ricca ed elaborata. Le scrupolose analisi testuali consentono, insieme ai

cappelli introduttivi e alle note esplicative, di acquisire e potenziare le abilità interpretative; gli

itinerari intertestuali delineano nuove prospettive di ricerca, rafforzando la consapevolezza

della continuità che lega il patrimonio culturale classico a quello moderno; le batterie di esercizi

offrono l’occasione di mettere alla prova le conoscenze apprese e permettono ai ragazzi di

sorvegliare metacognitivamente le proprie acquisizioni.

A ciò si aggiunge l’interessante strutturazione del Dibattito critico, che non si limita ad

accostare contributi relativi ad aspetti particolari degli autori presi in esame, ma individua un

tema specifico di confronto, intorno al quale raccogliere gli interventi di più studiosi, dando agli

alunni l’opportunità di entrare nel vivo di una questione di rilievo e nel contempo di

familiarizzare progressivamente con il linguaggio intellettuale.

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Titolo Odi et amo. Storia e testi della letteratura latina (vol. 2).

Autori P. Di Sacco – M. Serìo

Casa editrice Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori

Anno di

pubblicazione 2005

Strutturazione della

sezione dedicata ai

poeti elegiaci

� Capitolo dedicato al genere elegiaco: l’elegia nella letteratura greca,

le origini dell’elegia latina, il modello di Catullo, il codice elegiaco;

� Antologia (tutti i brani, in parte in lingua originale e in parte in

traduzione italiana, sono accompagnati da un cappello introduttivo e

da note esplicative): per entrambi gli autori è fornita una breve

presentazione (vita, opere, temi principali), seguita da un’antologia di

testi. Tibullo: elegie I, 1 (La campagna, l’amore) – I, 3 (Il poeta

davanti alla propria morte) – II, 2 (Un compleanno da festeggiare in

famiglia) / Properzio: elegie I, 1 (Cinzia, la prima e l’unica) – II, 9 (I

tradimenti di Cinzia).

Apparati didattici

Molteplici e di varie tipologie: la trattazione storico-letteraria è

affiancata da schemi e mappe concettuali (per favorire la

memorizzazione); compaiono alcune schede di sintesi (utili per il

ripasso); al termine del capitolo è inserita una verifica con esercizi

strutturati e semi-strutturati; i testi più importanti sono seguiti da

proposte di analisi guidata (con domande relative alla lingua, allo stile,

alle tematiche).

Percorsi di

approfondimento

Sono strutturati in modo agile ma interessante: alcuni riguardano

argomenti più strettamente legati alla poesia elegiaca latina (Cornelio

Gallo, Le donne degli elegiaci latini, Il Corpus Tibullianum), altri

propongono collegamenti intertestuali con le letterature moderne

(L’amore-schiavitù e la donna-padrona nei poeti medievali e moderni,

Il mito di Atalanta secondo Igino), altri ancora sono incentrati sulla

storia delle parole e delle idee (Elegia).

Pagine critiche ---

Veste grafica

Vivace e accattivante: da notare l’uso del colore per differenziare le

schede di approfondimento e di analisi, la ricchezza dell’apparato

iconografico, il ricorso a grassetti e note a margine per sottolineare i

concetti fondamentali dell’esposizione.

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Odi et amo colpisce per la ricchezza e la varietà che contraddistinguono la sua strutturazione,

molto lontana dalla sobria uniformità che invece caratterizza la letteratura di Garbarino: l’idea di

fondo è quella di un manuale che funga da “mappa di navigazione” del percorso di

insegnamento/apprendimento, non fornendo esclusivamente i lineamenti della storia letteraria,

ma elaborando proposte capaci di attivare molteplici processi cognitivi, dalla riflessione sulla

lingua alla capacità di contestualizzazione storico-culturale, dalla lettura dei documenti

iconografici all’analisi dei testi. Purtroppo la quantità degli spunti offerti non consente un

adeguato approfondimento di tutti gli argomenti affrontati: tale sinteticità risulta particolarmente

evidente nei moduli organizzati per genere, come quello dedicato alla poesia elegiaca, in cui non

solo sono del tutto assenti i contributi critici, ma anche la trattazione letteraria risponde a criteri

di brevità e semplificazione.7

Nel complesso le letterature integrate mirano a presentarsi come completi strumenti di

lavoro, in grado di rispondere alle più svariate esigenze del docente e dei ragazzi, guardando

soprattutto alle tendenze affermatesi nel campo dei manuali di italianistica, caratterizzati da una

struttura aperta e composita, densa di rimandi interni, in grado di riprodurre un modello di

apprendimento per nodi concettuali ed espansioni.

I manuali di autori

La novità rappresentata dalle letterature integrate non ha determinato, in campo scolastico, il

definitivo abbandono delle tradizionali pratiche didattiche, centrate sulla scelta di non condurre

in parallelo lo studio della storia letteraria e quello degli autori: alcuni docenti continuano infatti

a seguire le indicazioni dei programmi di ordinamento del 1967, rifacendosi al criterio della

gradualità linguistica e cognitiva dei testi proposti agli allievi.

In questa direzione si muovono alcuni manuali, contraddistinti da un’impostazione che merita

di essere analizzata nelle sue particolarità, in modo da tratteggiare un quadro il più ampio

possibile degli orientamenti prevalenti in ambito editoriale e didattico. Un interessante esempio è

dato da Antologia di autori latini per il triennio di V. Citti, C. Casali e C. Neri, che si distingue

per la sua suddivisione in più volumi monografici, ciascuno riservato ad un autore o ad un

genere letterario, permettendo all’insegnante di gestire in piena libertà l’organizzazione del

lavoro curricolare:8

7 I moduli organizzati per autore (relativi a Virgilio, Orazio, Livio e Ovidio) appaiono invece maggiormente articolati: aumenta il numero di testi antologizzati, compaiono brevi estratti da saggi critici, sono previsti laboratori linguistici per l’analisi dei brani più impegnativi. 8 Il manuale di Citti-Casali-Neri risulta particolarmente interessante anche perché la sua articolazione in più volumetti anticipa direttamente le caratteristiche delle cosiddette “letterature semi-integrate” (di cui gli stessi curatori hanno fornito un esempio nel 2005 con Gli autori nella letteratura latina edito da Zanichelli): esse comprendono un volume base, contenente il disegno storico della letteratura, e una serie più o meno nutrita di opere d’appoggio, incentrate su temi e/o su singoli autori, con l’obiettivo di creare uno strumento didatticamente flessibile, assicurando nel contempo la fusione fra i percorsi di studio dedicati alla letteratura e quelli dedicati agli autori.

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Titolo Catullo e gli elegiaci (volume monografico facente parte di Antologia

di autori latini per il triennio).

Autori V. Citti – C. Casali – C. Neri

Casa editrice Zanichelli

Anno di

pubblicazione 2000

Strutturazione della

sezione dedicata ai

poeti elegiaci

� Brevissima introduzione sulle caratteristiche della poesia elegiaca

latina;

� Antologia (tutti i brani, in lingua originale, sono accompagnati da

un cappello introduttivo e da note esplicative; i componimenti più

importanti sono seguiti da un dettagliato commento di tipo stilistico,

retorico e contenutistico): per entrambi gli autori viene fornita una

sintetica presentazione (profilo biografico, opere, temi principali),

accompagnata da un’antologia di testi. Tibullo: elegie I, 1 (Amore e

povertà) – I, 6 (L’amico dello sposo) – II, 2 (Festa di compleanno) /

Properzio: elegie I, 1 (Manifesto d’amore per Cinzia) e I, 17 (In

solitudine).

Apparati didattici

Sono presenti alcuni esercizi al termine del percorso sull’elegia (al

massimo uno o due quesiti per ogni brano proposto), con l’obiettivo di

offrire un primo supporto per la comprensione e l’analisi. Molto

interessanti gli spunti di lavoro Al computer, che forniscono

suggerimenti e indicazioni per approfondire gli argomenti di studio

con l’ausilio degli strumenti informatici.

Percorsi di

approfondimento

Viene suggerito un percorso relativo al ruolo che le recusationes e le

dichiarazioni di poetica svolgono all’interno delle liriche: dopo una

rapida introduzione generale, si susseguono componimenti da

Callimaco a Montale.

Pagine critiche

I contributi critici sono inframmezzati ai testi, permettendo di

approfondire alcuni aspetti rilevanti degli autori studiati: L’elegia e le

bucoliche di W. Kroll – Il sogno liberatore di F. Della Corte –

Properzio e il regime di A. La Penna – Finezza ed eleganza di A. La

Penna.

Veste grafica Semplice e lineare, con uso di grassetti per sottolineare i punti salienti

dell’esposizione.

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Coerentemente con l’articolazione richiesta ad un manuale di autori, la parte di

inquadramento generale risulta estremamente stringata, rendendo necessario l’utilizzo

concomitante di una storia letteraria, sulla quale condurre uno studio più approfondito e attento

al principio della sequenzialità cronologica. Significativamente il volumetto preso in esame

accosta Catullo, Tibullo, Properzio e Ovidio, quattro autori vissuti in epoche differenti e di

norma affrontati a scuola in momenti diversi del triennio (Catullo in terza, gli elegiaci in quarta):

si tratta di una scelta rivelatrice dell’orientamento di fondo dell’opera, volta a privilegiare le

attività di traduzione su quelle di contestualizzazione e riflessione letteraria, con un’attenzione

particolare rivolta all’analisi della lingua e dello stile (rispetto alla quale sarebbero tuttavia

auspicabili esercizi più strutturati, capaci di guidare gli studenti nelle operazioni di decodifica del

testo e dei suoi meccanismi compositivi).

Le mie proposte metodologico-didattiche

L’analisi dei programmi ministeriali e di alcune tipologie di manuali scolastici rappresenta un

utile punto di partenza per individuare una serie di questioni cruciali nell’ambito della didattica

del latino, rispetto alle quali è opportuno riflettere quando ci si trova a progettare un percorso che

miri a coniugare efficacia, completezza e significatività.

La prima domanda da porsi riguarda, a mio avviso, l’impostazione complessiva su cui si

intende strutturare il lavoro disciplinare dell’intero triennio: occorre cioè stabilire se ci si vuole

rifare alla tradizionale consuetudine che prevede uno studio slegato di letteratura e autori o se

invece si preferisce puntare sulla ricerca di raccordi e connessioni. Nel primo caso si riusciranno

a proporre agli alunni testi d’autore non vincolati al criterio cronologico, graduati sulla base dello

sviluppo delle competenze linguistiche e della maturazione intellettiva; nel secondo caso si

potranno al contrario evitare marcate sfasature temporali, limitando la frammentazione dei settori

di indagine e la conseguente dispersione di energie.

E’ proprio quest’ultimo aspetto a possedere un’assoluta rilevanza: il destinatario dell’azione

di insegnamento non si identifica con un allievo ideale, perfettamente preparato e motivato, ma

con molti allievi reali che, soprattutto nella recente prospettiva della scolarizzazione di massa,

presentano livelli cognitivo-motivazionali tutt’altro che ottimali: la loro adesione al progetto

educativo elaborato dalla scuola va quindi costruita e sostenuta quotidianamente, non

trascurando nessuno dei fattori capaci di rafforzare in loro la percezione della ricchezza e del

valore formativo che caratterizzano ciascuna materia curricolare. Ancor prima di pensare al

supporto delle tecnologie informatiche (certamente indispensabili per proporre una didattica

davvero innovativa), mi sembra importante partire dall’organizzazione stessa della

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programmazione disciplinare, che può incidere fortemente sul minore o maggiore

coinvolgimento degli studenti e sulla loro disponibilità ad apprendere.

In quest’ottica ritengo fondamentale trasmettere ai ragazzi il senso dell’unitarietà e della

reciproca convergenza degli argomenti affrontati in classe, insistendo sulla complessità del

sistema letterario e sulla molteplicità di relazioni che lo attraversano: testi, contesti, opere, autori,

fenomeni sociali, culturali e storici risultano direttamente riconducibili gli uni agli altri e

meritano di essere studiati da un angolo visuale privo di parcellizzazioni.

Alla separazione tra storia letteraria e autori sarebbe quindi preferibile sostituire un approccio

di tipo integrativo e sinergico, attraverso il quale mostrare agli studenti lo stretto legame

esistente tra padronanza delle strutture linguistiche e morfo-sintattiche del latino, conoscenze

storico-culturali e letterarie, capacità esegetiche e traduttive. La lettura dei testi in lingua

originale, se presentata come momento di approfondimento non fine a se stesso, ma

contestualizzabile all’interno di un percorso per autore, per tema, per genere e/o per opera,

potrebbe infatti risultare più coinvolgente agli occhi degli allievi, permettendo di sfruttare

l’interesse che essi solitamente manifestano nei confronti della letteratura come stimolo per

indurli ad affrontare con minore diffidenza lo sforzo della traduzione.

A ciò si aggiunge il fatto che la lettura dei testi d’autore non può essere intesa esclusivamente

nei termini di un’attività di decodifica linguistico-formale, ma come un’operazione che

coinvolge molteplici abilità e competenze, e che non può che trarre giovamento da una

conoscenza del quadro complessivo della cultura e del pensiero latino coevo.

Significativamente, a proposito delle indicazioni fornite dai programmi ufficiali del 1967 in

relazione allo studio degli autori, M.P. Pieri osserva:

Rinviare all’ultimo anno delle superiori la lettura di autori ritenuti “difficili” (Plauto e Lucrezio, ad

esempio) vale solo a renderli ancora più difficili da comprendere e interpretare, dal momento che la

loro poesia non si incardina più nel terreno da cui è germogliata. (Pieri 2005:147)

L’esigenza di contestualizzare le opere prese in esame nasce quindi dalla volontà di

comprenderle e di interpretarle il più approfonditamente possibile, riconoscendo al lavoro di

analisi testuale una giusta centralità nell’ambito della pratica didattica: in alcuni casi si potrà

procedere deduttivamente, dalle peculiarità generali dello sfondo storico-culturale all’esame

dello specifico letterario, in altri casi ci si potrà invece affidare al percorso inverso, muovendosi

induttivamente dalle particolari caratteristiche del singolo testo alla ricostruzione complessiva di

un’epoca o di un orientamento poetico.

Come sottolineato da P. Grimal, è in ogni caso indispensabile che il docente integri nella sua

spiegazione spunti e suggerimenti di diversa natura, dosando sapientemente notazioni

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linguistiche e stilistiche, riferimenti alla civiltà antica, riflessioni letterarie, storiche e filosofiche,

così da abituare gli studenti ad un approccio “multifocale”:

Noi insegnanti non dobbiamo mai dare l’impressione che il nostro intervento non aggiunga nulla,

che sia gratuito, quasi un gioco praticato per piacere o per avere il diritto di definirci eruditi. (Grimal

1990:29)

Il punto centrale consiste nell’evidenziare ai ragazzi la non residualità delle discipline

classiche, che non vanno intese come “relitto del passato” di esclusivo interesse di pochi

appassionati, ma come ambito di studio ancora oggi ricco di potenzialità formative. In tal senso

appare essenziale invitare gli allievi ad interrogarsi sulla permanenza dei modelli latini (e greci)

nelle culture successive, in particolare europee, ricorrendo ai metodi dei confronti intertestuali e

delle traduzioni contrastive:

Ritagliare uno spazio di riflessione sulla vita postuma degli autori latini, almeno i più grandi,

verificare quanta parte la letteratura latina abbia avuto nello svolgimento della cultura occidentale,

anche contemporanea, è il modo migliore per scoprire la modernità vera dei testi antichi senza cedere

ad attualizzazioni mistificanti oggi purtroppo di moda. (Pieri 2005:146)

Una valida strada da percorrere è da ricercarsi nella strutturazione di percorsi didattici

pluridisciplinari concordati con i colleghi di italiano e di lingua straniera, volti a sondare, ad

esempio, la fortuna di Plauto nella commedia del Quattro e Cinquecento, oppure l’influenza

dell’Eneide in Ariosto e Tasso, ma anche, attraverso Eliot e Joyce, nella poesia americana

contemporanea, o ancora il ruolo giocato dalla concezione del sentimento d’amore elaborata da

Tibullo e Properzio negli sviluppi della lirica successiva (dallo stilnovo ad Ariosto a Foscolo).

Proprio l’esigenza di insegnare a scuola la poesia latina induce ad approfondire le riflessioni

fin qui sviluppate, partendo dalla constatazione della specificità che questo particolare settore

della produzione letteraria antica possiede rispetto alla prosa.

Innanzitutto esso presuppone un accurato lavoro di investigazione sulla lingua, necessario

affinché l’attenzione degli alunni non si orienti esclusivamente sugli aspetti tematici e

contenutistici, ma si attivi per decifrare i meccanismi costitutivi del testo, soffermandosi sulle

sue principali componenti formali (scelta dei segni e individuazione della loro valenza stilistica,

corrispondenze tra significato e significanti, convenzioni legate al genere letterario e varianti

individuali, organizzazione retorica del discorso).

Lo studio della poesia pone inoltre la necessità di confrontarsi con la questione riguardante la

conoscenza della metrica antica, indispensabile «se si vuol avere un risentimento, appena un

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po’ genuino, di un testo di poesia, i cui valori lirici sono indissolubilmente legati agli aspetti

fonici, ritmici, musicali del linguaggio». (Santoro 1990: 145) Se tale osservazione è in linea

teorica perfettamente condivisibile, da un punto di vista pratico non si possono non riscontrare le

difficoltà incontrate, nella concretezza del lavoro didattico, da molti docenti che si trovano ad

insegnare in indirizzi di studi diversi da quello del liceo classico: per allievi che spesso

affrontano con incertezza le attività di traduzione, raggiungendo faticosamente una discreta

padronanza delle fondamentali strutture morfo-sintattiche del latino, l’acquisizione delle

numerose regole ritmiche e prosodiche alla base della scansione metrica potrebbe costituire un

ulteriore ostacolo da superare o, nel peggiore dei casi, un fattore aggiuntivo di diffidenza nei

confronti della materia.

L’unica possibilità consisterà allora nel valutare di volta in volta la soluzione da adottare in

funzione delle specifiche caratteristiche del gruppo-classe, optando almeno per la lettura

metrica dei testi analizzati a cura dell’insegnante, che non si limiterà a far percepire ai suoi

studenti il ritmo dei principali metri latini, ma fornirà loro indicazioni per sottolineare il

contributo dei valori metrici all’analisi e comprensione dei testi poetici (trattando, ad esempio,

dell’importanza delle cesure, che spesso contribuiscono a porre in rilievo particolari elementi

interni al verso).

Resta infine da considerare un ultimo aspetto, relativo al ruolo giocato dalla componente

autobiografica nei generi della lirica latina: gli studenti tendono frequentemente, su influenza

delle peculiarità assunte dal discorso poetico a partire dal Romanticismo, a considerare i

componimenti antichi (soprattutto quelli in cui le tematiche soggettive, come l’amore e

l’amicizia, prevalgono) nei termini di una trasposizione diretta, spontanea e immediata di fatti

reali e di esperienze personali. Per evitare grossolani fraintendimenti e snaturamenti delle opere

classiche, sarà quindi importante insistere sul carattere convenzionale e altamente

formalizzato della poesia antica che, secondo la concezione retorica dell’imitazione come

emulazione, privilegiava non tanto l’originalità assoluta dell’invenzione artistica, quanto invece

la capacità del poeta di inserirsi in una determinata tradizione letteraria, riprendendone e

rinnovandone atteggiamenti, motivi, procedimenti stilistici.

In quest’ottica, nello svolgimento del programma di letteratura e autori, il docente potrà

avvalersi dell’apporto fornito da un approccio “per generi” (da non utilizzare in modo

unilaterale, ma da combinare con altre interessanti prospettive, da quella storica a quella

linguistica, da quella “per temi” a quella “per opera”). E’ fondamentale che gli alunni conoscano

e padroneggino il concetto di “genere”, il quale consente

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di fissare elementi di connessione fra autore, opera e destinatario, sviluppa il senso storico, permette di

ragionare sulla continuità di idee e temi e fa constatare quanto l’epoca moderna e contemporanea siano

debitrici all’antichità. (Balbo 2007:160)

L’insieme delle considerazioni finora elaborate nasce dalla convinzione che lo scopo finale

dell’insegnamento della lingua e cultura latina sia quello di formare buoni lettori di testi latini,

capaci di accedere liberamente al patrimonio della classicità, usufruendo degli strumenti

trasmessi dalla scuola in un percorso di progressiva autonomizzazione. Nessuna metodologia

deve quindi essere trascurata, cercando di garantire ai ragazzi una preparazione completa e

versatile, che li induca a guardare alle opere antiche non più come a testimonianze di un lontano

passato privo di significativi rapporti con il presente, ma come a complesse manifestazioni di una

civiltà che ancora oggi può essere continuamente scoperta e riscoperta.

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Progettazione dell’intervento didattico

Il contesto scolastico

Il contesto scolastico in cui si è operato per la realizzazione del presente progetto didattico è

quello di un Liceo scientifico della provincia di Torino, caratterizzato da un ambiente sereno e

produttivo. In particolare è stata coinvolta una classe quarta, appartenente all’indirizzo di

Sperimentazione Quinquennale Informatica (P.N.I.) e costituita da un numero contenuto di

allievi (sedici) di differenti livelli cognitivi e attentivi.

Presentazione dell’argomento: l’elegia latina

Il presente progetto didattico, realizzato in occasione dell’esperienza di tirocinio attivo

prevista dal Corso di Specializzazione SIS, è stato progettato in sintonia con la programmazione

annuale di Letteratura latina elaborata dall’insegnante titolare, che aveva ipotizzato per la classe

un percorso di studio incentrato sulla letteratura dell’età augustea, da Virgilio a Ovidio. In

origine avrei dovuto soffermarmi sulla presentazione di due autori riconducibili al filone

dell’elegia d’amore, Tibullo e Properzio, indagando l’originale apporto offerto da entrambi alla

definizione di un vero e proprio canone della poesia elegiaca latina. In realtà, dopo un’attenta

valutazione dei tempi disponibili e soprattutto della gerarchia delle finalità didattiche, ho

concordato con la tutrix di rivedere l’impostazione complessiva del lavoro, stabilendo di

concentrarmi esclusivamente sulla produzione letteraria di Properzio, da cui è possibile partire

per allacciare innumerevoli collegamenti e per approfondire molteplici spunti di analisi.

Nella costruzione dell’itinerario da svolgere con i ragazzi ho cercato di coniugare differenti

prospettive di indagine, tentando di elaborare una proposta significativa ed intellettualmente

stimolante, in grado di toccare una serie di questioni a mio parere cruciali:

1. in primo luogo la riflessione relativa all’importanza dei generi, che nella letteratura classica

rivestono un ruolo centrale, rispondendo alle esigenze di codificazione e di formalizzazione

proprie degli autori antichi. Il caso della poesia elegiaca, soprattutto se posto a confronto con

le esperienze all’incirca contemporanee di Virgilio e di Orazio, appare in quest’ottica

emblematico, permettendo agli allievi di acquisire una conoscenza più piena dell’ambizioso

progetto perseguito dagli autori augustei, che da un lato si sforzarono di ampliare il proprio

orizzonte culturale (accostando ai maestri ellenistici, mai rinnegati, i grandi nomi della poesia

greca arcaica e classica), mentre dall’altro lato compirono un’operazione di selezione e di

rielaborazione dei modelli (pervenendo ad una nuova sistemazione dei linguaggi letterari, tale

da offrire anche alla letteratura di Roma i suoi classici). Nel corso del mio intervento in classe

non ho mancato di rifarmi in più occasioni a queste problematiche, sia cercando di individuare

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insieme ai ragazzi una definizione condivisa del concetto di “genere” sia tentando di

evidenziarne il risvolto operativo attraverso la sistematica segnalazione, nei testi presi in

esame, di tutti gli elementi rapportabili alle norme costitutive di un preciso canone letterario.

Nella stessa direzione può essere collocata l’attività di confronto tra la rappresentazione

virgiliana e quella properziana del dio Ercole (oggetto della Lezione 8), funzionale a rendere

evidente agli studenti la specificità di ciascuno dei due registri presi in considerazione, l’epico

e l’elegiaco, cui corrispondono differenti caratteristiche contenutistiche, stilistiche ed

ideologiche: come sottolineato da Gian Biagio Conte, «l’esplorazione dei confini di un genere

poetico» è possibile solo «nel momento in cui, per dialettico confronto, vengono definiti i suoi

tratti specifici e distintivi, limitrofi a quelli di un altro genere» (Conte 1991:163);

2. in secondo luogo non ho voluto rinunciare al valore aggiunto rappresentato dall’abitudine dei

ragazzi al lavoro cooperativo, cui sono ricorsa per proporre un’attività di approfondimento

sul personaggio di Cinzia: oltre a permettere di migliorare quantitativamente e

qualitativamente la selezione dei testi esaminati, tale proposta ha consentito di adottare un

punto di vista di ampio respiro che, prendendo le mosse dalla ricchezza psicologica della

raffigurazione della puella, ha aperto uno spiraglio di riflessione sulla condizione femminile

nell’antica Roma, sul significato e sulla funzione dell’istituto matrimoniale, sul ruolo

attribuito dalla morale tradizionale al sentimento d’amore. La metodologia

dell’apprendimento cooperativo ha contribuito a rendere la discussione equilibrata e

produttiva, potenziando le competenze sociali degli alunni e rendendoli protagonisti di un

processo di costruzione condivisa del sapere;

3. infine ho voluto attribuire ai testi d’autore un giusto rilievo, alternando la lettura in lingua

originale dei componimenti a quella in traduzione italiana. Ritengo infatti che l’incontro

diretto con le opere latine continui a rappresentare un obiettivo primario da perseguire, pena

la possibilità di assicurare agli allievi un accesso davvero autonomo al patrimonio culturale

del mondo antico: lo studio della letteratura non può essere ridotto all’astrattezza dell’analisi

metaletteraria, ma deve sostanziarsi di un dialogo consapevole con i testi, che costituiscono un

insostituibile punto di partenza. Proprio per sottolineare l’importanza di tale approccio, ho

ritenuto opportuno concludere il mio intervento con un esercizio di raffronto intertestuale

che ha coinvolto autori di epoche diverse (Ariosto, Catullo e Properzio), legati da una fitta

rete di allusioni e di rimandi più o meno sotterranei: la finalità era ovviamente quella di

indurre gli studenti a percepire concretamente la complessità del sistema letterario, di invitarli

a coglierne l’estrema mobilità e duttilità, che fa sì che ogni testo si configuri come il prodotto

dell’«assorbimento e dell’assimilazione di altri testi», o meglio della loro «trasformazione»

(Conte,Barchiesi 1989:88), in uno scambio continuo e potenzialmente infinito.

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Requisiti

Conoscenze

• conoscenza del contesto storico-politico entro cui si colloca la produzione dei poeti elegiaci:

la caduta del sistema repubblicano, l’instaurarsi del principato augusteo e la riorganizzazione

dell’impero nell’ottica della pax e della securitas;

• conoscenza della politica culturale di Augusto: la restaurazione dei valori morali tradizionali e

il ritorno agli antichi culti, la promozione della cultura e delle arti, la ricerca della

collaborazione degli intellettuali;

• conoscenza del contesto culturale dell’età augustea: la vitalità dei circoli letterari di Mecenate

e di Messalla Corvino, la complessità del rapporto tra intellettuali e potere;

• conoscenza degli itinerari poetici seguiti da Orazio e da Virgilio, considerati alla luce

dell’ipotesi interpretativa di Mario Labate, che individua nel processo di (ri)fondazione dei

generi letterari il tratto più dinamico e caratterizzante della poesia augustea;

• conoscenza (tematica e stilistica) della poesia di Catullo;

• conoscenze linguistiche e retoriche.

Competenze / Abilità

• saper leggere correttamente il testo latino, sapersi orientare al suo interno e ricostruirne la

struttura sintattica, individuare i termini chiave, procedere ad una prima intuitiva

comprensione del brano e quindi ad una traduzione progressivamente più dettagliata e

puntuale;

• aver acquisito almeno discrete competenze di traduzione e resa in italiano di testi latini;

• aver sviluppato almeno discrete competenze testuali, relative alla comprensione ed all’analisi

di tipo fonico, lessicale, sintattico, retorico-stilistico, contenutistico;

• saper utilizzare le conoscenze letterarie e storico-culturali già possedute, fornite dal manuale o

dall’insegnante per la comprensione del testo;

• saper individuare le relazioni tra testo e contesto, tra opere di uno stesso autore o di autori

diversi.

Obiettivi formativi e disciplinari

Obiettivi formativi

• sviluppare le capacità di riflessione, di confronto e di attualizzazione degli argomenti

affrontati;

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• sviluppare la capacità di lettura consapevole dei testi letterari favorendo l’acquisizione di un

atteggiamento critico nei confronti dei messaggi di cui sono portatori;

• potenziare la capacità di contestualizzare storicamente e culturalmente un testo letterario, di

apprezzarne le peculiarità stilistiche e di inferire possibili collegamenti intertestuali e

interdisciplinari.

Obiettivi disciplinari

Conoscenze

• conoscere almeno nei suoi tratti essenziali l’evoluzione storica del genere elegiaco, dalla

poesia greca arcaica alla produzione degli elegiaci latini, cogliendo permanenze e

trasformazioni;

• conoscere i rapporti che l’elegia latina intrattiene con la poesia neoterica (catulliana in

particolare);

• conoscere le notizie biografiche e la produzione poetica di Properzio, con riferimento alle

caratteristiche e all’articolazione interna dei diversi libri di elegie;

• individuare gli elementi fondanti del codice elegiaco elaborato dall’autore considerato: la

puella domina, il servitium e la militia amoris, la nequitia e il rifiuto dell’impegno politico-

militare, l’assolutezza del sentimento amoroso e il foedus amoris (con particolare attenzione

all’elegia I, 1);

• conoscere le modalità di rappresentazione e il ruolo attribuito alla donna all’interno della

poesia elegiaca, soffermandosi specialmente sulle peculiarità che contraddistinguono la figura

di Cinzia;

• conoscere il ruolo che la mitologia riveste nella produzione di Properzio;

• individuare i principali aspetti problematici legati alla questione dell’integrazione di Properzio

all’interno del programma culturale augusteo (con particolare attenzione all’elegia II, 7);

• conoscere i tratti delle cosiddette “elegie romane” di Properzio (con particolare attenzione

all’elegia IV, 9);

• conoscere le caratteristiche più rilevanti dello stile di Properzio, nonché della tecnica

compositiva dell’elegia.

Competenze / Abilità

• impiegare e potenziare le proprie conoscenze morfo-sintattiche e le proprie abilità linguistiche

nel tradurre i brani proposti in lingua originale (nello specifico le elegie I, 1 e II, 7),

riconoscendone le specificità lessicali, sintattiche, retoriche e stilistiche;

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• padroneggiare la traduzione dei brani presentati durante l’intervento didattico;

• utilizzare le proprie conoscenze morfo-sintattiche e la propria capacità interpretativa per porre

utilmente a confronto i testi in lingua originale con le traduzioni italiane a fronte;

• riconoscere concretamente nei testi presi in esame le principali caratteristiche dello stile di

Properzio (uso dell’anastrofe e dell’iperbato - frequenza di apostrofi, esclamative, interiezioni,

interrogative - bruschi cambi di interlocutore - incipit improvvisi e concitati - ricerca di

densità espressiva);

• utilizzare nell’esposizione scritta e orale il lessico specifico della disciplina, in particolare i

termini tecnici che designano i topoi del genere elegiaco.

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La scansione dell’intervento didattico

Lezione 1 - Alle origini dell’elegia latina

(1 unità oraria)

Si prevede di utilizzare la prima lezione per entrare direttamente in medias res, dedicando

solo i primi minuti dell’incontro alla ripresa dei termini fondamentali del patto educativo.

Il punto di avvio del lavoro è costituito dall’analisi collettiva del titolo assegnato da Mario

Labate ad uno dei paragrafi che compongono il suo scritto Forme della letteratura, immagini del

mondo: da Catullo a Ovidio (Labate 1990:923-965), la cui conoscenza risulta a mio parere

indispensabile per chiunque intenda avvicinarsi in modo non superficiale alla poesia augustea. Il

titolo del paragrafo in questione (Verso una biblioteca latina: elegia, bucolica, satira, poesia

didascalica), integrato oralmente mediante il rimando alle Odi di Orazio e all’Eneide di Virgilio,

offre l’opportunità di richiamare in forma sintetica quanto studiato dagli allievi durante i mesi

passati, nel corso dei quali essi hanno ampiamente esaminato lo sforzo di codificazione del

sistema letterario compiuto dai poeti post-neoterici: non dovrebbe essere difficile coinvolgere i

ragazzi in una discussione che tocchi i punti salienti di tale argomento, partendo dall’ambizioso

programma culturale elaborato da Augusto per giungere a soffermarsi sull’impegno mostrato dai

singoli scrittori nel dedicarsi all’esercizio continuato e sistematico di particolari modi espressivi,

coltivati nel tentativo di dare alla letteratura di Roma i suoi classici, di costruire cioè una

biblioteca latina in cui fossero rappresentati i generi più alti, in grado di competere con la

secolare tradizione greca.

Per sostenere gli alunni nello sforzo di comprensione, può rivelarsi utile indurli ad applicare

tali concetti all’itinerario poetico di Virgilio, che scelse di confrontarsi con forme letterarie di

crescente prestigio (dalla bucolica alla poesia didascalica all’epica), guardando agli autori che lo

avevano preceduto con estremo interesse ed impegnandosi nella selezione, ripresa e

rielaborazione originale degli illustri modelli di Teocrito, Omero, Esiodo, Apollonio Rodio (e

non solo). E’ importante chiarire ai ragazzi come la letteratura (soprattutto quella antica) debba

essere intesa nei termini di una gara che ogni scrittore intraprende con quanti lo hanno anticipato

e che, nella prospettiva della costruzione dei generi propria dell’età augustea, tende a

configurarsi come un lavoro di selezione e di restrizione del campo, mirante ad individuare nella

molteplicità del patrimonio letterario preesistente ciò che specificamente appartiene alla forma

prescelta, fondandone l’identità e fissandone le caratteristiche.

Il quadro di riferimento costruito insieme ai ragazzi nel primo segmento della lezione

permette di contestualizzare entro un preciso ambito di indagine le peculiarità dell’elegia

latina, che si inserisce pienamente nelle tendenze di sistematizzazione letteraria appena

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delineate. Per coinvolgere più attivamente gli studenti nella conduzione della lezione, il docente

può proporre loro la lettura di due brevi testi,9 da analizzare e discutere collettivamente:

• dapprima viene preso in considerazione il noto passo dei Tristia (IV, 10, vv. 50-54), in cui

Ovidio, presentandosi come «quartus» dopo Gallo, Tibullo e Properzio, tratteggia un vero e

proprio canone dei poeti elegiaci latini, dei quali è opportuno fornire alcune indicazioni

cronologiche e biografiche, tali da delimitare temporalmente la fase di massima fioritura di

questo genere letterario, protagonista di una parabola folgorante e rapidissima. Il titolo di

fondatore dell’elegia va senza dubbio assegnato a Cornelio Gallo che, pubblicando i suoi

Amores intorno al 40 a.C. (all’incirca negli stessi anni delle Eclogae virgiliane), per primo

diede vita ad una raccolta di elegie erotiche (di cui non rimangono che brevi frammenti)

dotata di una propria autonomia sia sul piano formale sia tematico; l’attività di Tibullo e di

Properzio (ai quali giustamente si riconosce una posizione di centralità) va invece collocata

nel decennio successivo, tra il 30 e il 16 a.C., e ad essa va attribuito il merito di aver

originalmente fissato i tratti specifici dello statuto elegiaco, quale fu conosciuto e dibattuto

nelle età successive; poco dopo il 20 a.C. esordì infine Ovidio che, trovandosi di fronte ad un

repertorio di topoi erotici già magistralmente definiti dai predecessori, poté giocare la carta

dell’amplificazione e della variazione (spesso scherzosamente dissacratoria) dei suoi modelli,

attraverso il ricorso ad una maliziosa presa di distanze nei confronti della materia trattata;

• in seconda battuta ci si sofferma sulla chiusa del secondo libro della raccolta di elegie di

Properzio (II, 34, vv. 85-94), in cui compare un quadro decisamente più articolato:

Haec quoque perfecto ludebat Iasone Varro, Varro Laeucadiae maxima flamma suae; haec quoque lascivi cantarunt scripta Catulli, Lesbia quis ipsa notior est Helena; haec etiam docti confessa est pagina Calvi, cum caneret miserae funera Quintiliae. Et modo formosa quam multa Lycoride Gallus mortuus inferna vulnera lavit aqua! Cynthia quin etiam versu laudata Properti, hos inter si me ponere Fama volet. Di questo [= d’amore], compiuto il poema su Giasone, cantava Varrone, Varrone, grandissima fiamma di Leucadia sua; di questo cantavano i carmi del lascivo Catullo, per i quali Lesbia è più famosa di Elena; di questo parlò la pagina del dotto Calvo, quando cantava la morte della misera Quintilia. E per la bella Licoride, Gallo, morto da poco, quante ferite lavò nelle acque infernali! Ma anche Cinzia sarà celebrata dal verso di Properzio, se la Fama vorrà porre me tra costoro. [traduzione di R. Gazich]

9 Entrambi i testi vengono proposti in traduzione italiana con testo latino a fronte.

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Innanzitutto può rivelarsi utile chiedere ai ragazzi di porre a confronto questo passo con

quello esaminato poco prima, notando come dei quattro autori indicati da Ovidio ne compaiano

qui solo due: Properzio, che parla in prima persona, e Cornelio Gallo, ai quali sono accostati i

nomi di molti altri poeti. Anziché affrontare subito il problema dell’identità di questi scrittori e

del loro rapporto con gli elegiaci, ipotizzo di lasciare momentaneamente aperta la questione (che

potrà essere proficuamente risolta più avanti), invitando invece gli allievi a concentrarsi su un

altro aspetto di assoluto rilievo: la scelta compiuta da Properzio di accostare al nome di ciascun

autore quello della donna ispiratrice dei suoi versi, individuando così nell’amore del poeta il

tema specifico dell’elegia romana. Per rendere evidente ai ragazzi la portata di tale novità, risulta

indispensabile contestualizzarla nell’ambito del complesso sistema di relazioni che

intercorrevano tra la letteratura latina e quella greca, fornendo alcune notizie sulle origini e sugli

sviluppi storici della poesia elegiaca, che si differenziava dalle altre forme di poesia lirica per il

metro in cui era scritta, il distico detto appunto elegiaco, dato dalla successione di un esametro e

di un pentametro. In Grecia l’elegia conobbe due grandi fasi di particolare fortuna: una più

arcaica (VII - VI sec. a.C.), segnata dalla produzione di autori che, al di là del ricorso allo stesso

tipo di metro, si differenziavano per la pluralità di tematiche affrontate (guerresche e patriottiche,

amorose, etico-politiche); una più recente, risalente all’età alessandrina (IV - III sec. a.C.),

caratterizzata dal prevalere del filone eziologico e mitologico, spesso associato al tema d’amore.

Gli elegiaci latini non poterono non confrontarsi con tale illustre tradizione, ispirandosi ad essa,

ma nel contempo trasformandola ed innovandola, nella ricerca di una propria autonoma

specificità: in effetti, di contro alla varietà tematica della più antica elegia greca, in Roma la

poesia elegiaca era soprattutto poesia d’amore; inoltre ad essere narrati non erano, come

probabilmente avveniva nell’elegia ellenistica, gli affascinanti amori del mito, ma le esperienze

presentate come effettivamente vissute in prima persona dal poeta. Su quest’ultimo si può

far notare alla classe come non sia in realtà possibile disporre di certezze assolute: troppo poco si

è conservato dell’elegia di età alessandrina perché si possa affermare con sicurezza la netta

prevalenza in essa dell’elemento oggettivo (ovvero della narrazione di storie d’amore mitiche)

rispetto a quello soggettivo (ovvero la narrazione delle vicende amorose dell’autore).

Sicuramente i frammenti ellenistici conservati attestano un evidente interesse per la mitologia,

che non mancava negli elegiaci latini, in cui tuttavia prevaleva e assumeva massimo risalto

l’esigenza di dare forma letteraria ad esperienze di natura personale ed autobiografica.

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Lezione 2 - Catullo e l’elegia d’amore

(1 unità oraria)

Si conclude in questa lezione il lavoro di analisi di II, 34, vv. 85-94 avviato nel corso

dell’incontro precedente. Il docente riprende il discorso esattamente dal punto in cui era stato

interrotto, invitando i ragazzi a riflettere sull’importanza riservata nell’elegia latina alla

dimensione soggettiva e chiedendo loro di individuare, all’interno della preesistente produzione

poetica, l’antecedente diretto di tale rilevante fattore di novità. In modo più o meno guidato, li si

induce a fare appello alle conoscenze letterarie possedute per giungere a constatare l’influenza

esercitata sulla poesia elegiaca dai neoteroi e in particolare da Catullo, il primo autore romano

ad aver cantato il suo amore in termini appassionati e ad aver presentato in chiave marcatamente

soggettiva gli episodi e le vicissitudini della sua relazione con Lesbia.

Ad ogni allievo viene distribuito un breve estratto dal saggio La poesia d’amore di Paolo

Fedeli (Fedeli 1989), in cui vengono messi in luce i tratti innovativi e caratterizzanti della poesia

catulliana, interpretata sullo sfondo dei suoi rapporti con la morale tradizionale e con il contesto

politico-culturale di riferimento. Dopo aver concesso qualche minuto per la lettura individuale

del passo proposto, si chiede agli allievi di ripercorrere, in una discussione di tipo collettivo, gli

aspetti peculiari della produzione di Catullo, guidandoli nel riconoscimento di quegli elementi

che appaiono maggiormente significativi dal punto di vista della successiva evoluzione

dell’elegia: la centralità che nel canzoniere catulliano occupa la figura della donna amata, la

presa di distanze nei confronti dei valori del mos maiorum, il coinvolgimento totale dell’autore

nell’esperienza sentimentale e poetica, l’amore visto non come lusus raffinato, ma come sofferto

motivo di vita.

In quest’ottica può risultare interessante tornare su II, 34, vv. 85-94, dove Properzio rende

significativamente omaggio ai suoi predecessori, indicando tra questi proprio Catullo, a cui

affianca Varrone Atacino e Licinio Calvo, entrambi facenti parte del gruppo dei poetae novi. Tra

i modelli poetici elencati, Properzio mostra di guardare con interesse soprattutto a quello di

Catullo, il cui modo di cantare l’amore «si distaccava per intensità e lascivia dagli sbiaditi

esperimenti paralleli della produzione neoterica e preneoterica» (Fedeli 1989:147). Nel

presentare il suo amore per Cinzia, il poeta sembra voler sottolineare proprio l’analogia con

l’amore di Catullo per Lesbia: come Lesbia è divenuta più famosa di Elena grazie ai carmi di

Catullo, così la fama di Cinzia è affidata al canto d’amore di Properzio. Caratteristiche diverse

dovevano invece presumibilmente possedere le opere di Varrone Atacino e di Licinio Calvo. Il

primo infatti non scrisse versi d’amore in giovinezza, ma al termine della sua attività di poeta

epico; inoltre l’espressione «Leucadiae maxima flamma suae», con cui viene designata la sua

poesia erotica, fa pensare ad un amore mutuo e felice, ben lontano dalla travagliata relazione che

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legava Catullo a Lesbia. Analogo discorso vale per Calvo, di cui già allora si ricordava solo il

carme, o la raccolta di carmi, in morte della moglie Quintilia. Per contro Catullo viene definito

«lascivus», sottolineando lo spazio che nella sua poesia occupava la rappresentazione

dell’intensità della passione, tanto più travolgente quanto più contrastato appariva il rapporto

d’amore.

Gli ultimi minuti dell’incontro possono essere utilizzati per rispondere ad un dubbio che verrà

probabilmente sollevato dagli studenti: se l’esperienza catulliana costituì un precedente

fondamentale per gli elegiaci, per quale ragione Catullo rimase escluso dal canone proposto da

Ovidio? La spiegazione è certamente da ricercarsi nel fatto che egli, diversamente da Cornelio

Gallo, Properzio e Tibullo, non scrisse soltanto elegie. Come già ricordato, il fondatore del

genere elegiaco in Roma viene unanimemente riconosciuto in Gallo, la cui attività segnò un vero

punto di svolta, determinando il passaggio dalle esperienze elegiache dei neoteroi, ancora molto

legate ai precedenti ellenistici, alla nuova, più matura ed originale configurazione che l’elegia

assunse in età augustea.

In vista della lezione successiva si assegna la lettura della biografia di Properzio.

Lezione 3 - Il codice elegiaco: I, 1 di Properzio

Dopo aver ripercorso rapidamente insieme ai ragazzi i momenti salienti della vita di

Properzio,10 si passa alla traduzione e all’analisi dell’elegia I, 1, non conducendo il lavoro in

modo unidirezionale, ma invitando gli alunni a prendere parte ad un dialogo continuo e attento al

coinvolgimento dell’intero gruppo-classe. La traduzione viene eseguita procedendo periodo per

periodo e spiegando, a mano a mano che si presentano, le particolarità morfo-sintattiche, lessicali

e retoriche (si vedano a questo proposito le note al testo). Per evitare che i ragazzi si affannino

durante la lezione per annotare tempestivamente la traduzione, quest’ultima potrà essere loro

fornita in fotocopia al termine dell’incontro.

10 Tra gli aspetti da porre in rilievo vi sono senza dubbio i seguenti: la nascita in Umbria, forse ad Assisi, tra il 49 e il 47 a.C.; le condizioni della famiglia di origine; l’arrivo a Roma, l’inserimento negli ambienti letterari e mondani della capitale, l’avvio della relazione con Cinzia (donna bellissima e raffinata, probabilmente una cortigiana); la pubblicazione del primo libro di elegie (tra il 29 e il 28 a.C.), che riscosse un notevole successo e attirò su Properzio l’attenzione di Mecenate, il quale lo accolse nel suo circolo, come già era accaduto con Virgilio e Orazio; l’uscita del secondo libro di elegie, scritto poco dopo il primo e dedicato a Mecenate (che cercò di avvicinare Properzio alla causa di una poesia più impegnata, di argomento civile e nazionale); la stesura degli ultimi due libri di elegie, databili esclusivamente mediante indizi interni: nel III troviamo un epicedio per Marcello, il nipote di Augusto morto nel 23 a.C.; nel IV le indicazioni cronologiche si fermano invece al 16 a.C., che rappresenta pertanto il terminus post quem della pubblicazione del libro e presumibilmente anche della morte dell’autore, di cui non sono a noi pervenute notizie posteriori a tale data.

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I, 1 Proposta di traduzione

Cinzia per prima coi suoi begli occhi prese me, sventurato,

non mai prima colpito da alcuna passione. Allora mi costrinse ad abbassare gli occhi dall’alterigia ostinata

Amore, e mi premette il capo sotto i piedi, finché mi insegnò a odiare le fanciulle caste,

crudele, e a vivere senza alcun giudizio. E questa follia non mi lascia ormai da un anno intero,

pur essendo costretto ad avere avversi gli dei. Milanione, o Tullo, non rifuggendo da alcuna fatica,

piegò la crudeltà dell’insensibile figlia di Iaso. Ora infatti vagava, fuori di sé, nelle forre del Partenio,

e, nel suo errare, sosteneva la vista delle fiere irsute; percosso dipoi dal colpo della clava d’Ileo,

ferito gemette fra le rupi d’Arcadia. Così riuscì a domare la veloce fanciulla:

tanto valgono in amore le preghiere e le azioni virtuose. Per me invece Amore, indolente, non escogita alcun accorgimento

né sa percorrere, come prima, le vie note. Ma voi, che conoscete il trucco per tirar giù la luna dal cielo

e vi adoprate a compiere riti propiziatori sui magici fuochi, suvvia!, mutate l’animo della mia padrona,

e fate che in modo che lei impallidisca più di me! Allora potrei credervi capaci di deviare

gli astri e i fiumi con le formule di Medea. O voi, amici, che tardi risollevate me caduto,

cercate rimedi per il mio cuore malato! Coraggiosamente sopporterò il ferro e il fuoco crudele

purché io abbia la libertà di dire ciò che l’ira desidera. Portatemi fra genti remote, portatemi sulle onde,

dove nessuna donna conosca il mio cammino; rimanete voi, a cui il dio diede un benigno assenso,

e siate sempre concordi in un amore sicuro. Me invece la mia Venere tormenta con notti amare,

e in nessun momento Amore ozioso mi abbandona. Evitate, vi avverto, questo male! Ciascuno sia fedele alla propria

passione, né si allontani dal suo amore consueto. Se poi qualcuno tardi presterà orecchio ai miei avvertimenti,

ahi, con quanto dolore ricorderà le mie parole!

Note al testo

v. 1 - - - -

prima: aggettivo in funzione predicativa (riferito al soggetto Cynthia). miserum: miser è vocabolo consueto nella poesia erotica ad indicare chi è travagliato da una passione infelice. In questa accezione compariva già in Catullo. Da notare l’allitterazione miserum - me. cepit: il verbo con cui Properzio designa la nascita della sua passione per Cinzia rimanda al campo semantico della schiavitù, sottolineando la condizione di asservimento del poeta nei confronti dell’amata. ocellis: diminutivo di oculi con valore affettivo-vezzeggiativo. I diminutivi di questo tipo sono frequenti in Properzio, soprattutto nel I libro, per influsso della poesia catulliana.

v. 2 - - -

contactum: il participio perfetto suggerisce due differenti immagini dell’amore particolarmente vitali nel registro espressivo dell’elegia, l’amore come ferita (contactum = “trafitto”) e l’amore come malattia (contactum = “contagiato”). ante: avverbio da collegare a contactum. nullis cupidinibus: ablativo di causa efficiente o dativo d’agente, a seconda che cupidinibus venga considerato un nome comune (con il significato di “desiderio amoroso”, “passione”) o un nome proprio (rimandando in questo caso all’immagine degli Amorini personificati). Nel primo caso la traduzione sarebbe la seguente: “non mai colpito da alcuna passione”; nel secondo caso invece avremmo: “non mai ferito dagli Amorini” (nullis non sarebbe quindi aggettivo indefinito, ma

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rafforzativo della negazione). Il termine veniva infatti usato al plurale per indicare gli Amorini che formano il corteo di Venere e di Cupido (si pensi a Catullo III, 1: «Lugete Veneres Cupidinesque»). Questa interpretazione sembra avvalorata dal fatto che Amore personificato appare subito dopo, rappresentato nell’atto di schiacciare sotto i piedi il capo del poeta.

v. 3 - constantis fastus: genitivo di qualità dipendente da lumina (metonimia per indicare gli occhi). L’espressione allude allo sguardo fermo e altero di chi non è soggetto al potere di Amore; per contro l’abbassare gli occhi a terra è segno di umiliazione e di sconfitta.

v. 4 - impositis pedibus: può essere interpretato come ablativo assoluto o come ablativo strumentale. v. 5 -

- -

donec: introduce una proposizione temporale con verbo al modo indicativo. me docuit: il soggetto è ancora Amor, a cui va riferito l’attributo improbus (“crudele”), in enjambement. Il verbo, costruito correttamente con l’accusativo me, regge odisse e, al verso successivo, vivere. castas puellas: sono qui da intendersi nel senso di fanciulle “virtuose”, “pudiche”, di buona famiglia, alle quali Properzio rinuncia per dedicarsi all’amore di una donna più libera come Cinzia.

v. 6 - -

improbus: l’aggettivo indica chi va oltre i limiti del giusto. Amore è troppo esigente e spinge ad eccessi riprovevoli. nullo consilio: ablativo di modo. E’ il tema topico dell’amore come follia, ripreso al verso successivo dal termine furor.

v. 7 - -

mihi: deficere di regola nel latino classico regge l’accusativo. Qui è invece costruito con il dativo, secondo un uso colloquiale, attestato anche in Cesare, Cicerone, Ovidio, Seneca tragico, Stazio. toto...anno: ablativo di tempo per esprimere durata, in luogo del consueto per + accusativo.

v. 8 - -

cum tamen: ha insieme valore temporale ed avversativo. cogor: il verbo utilizzato indica bene lo stato di sottomissione in cui Amore ha ridotto il poeta.

v. 9 - - -

Milanion: ha qui inizio un breve excursus di carattere mitologico. Properzio fonde, con un raffinato procedimento alessandrino, elementi tratti da diverse versioni del mito di Atalanta, bellissima e scontrosa eroina restia all’amore, devota alla dea Artemide. Nel ciclo delle leggende arcadiche, Atalanta è figlia di Iaso o Iasio (cui allude il patronimico Iasidos): esposta dal padre alla nascita perché femmina, venne allevata dalle fiere, diventando una valentissima cacciatrice. Moglie del cacciatore Milanione, partecipò con lui alla caccia del cinghiale caledonio e lottò contro il centauro Ileo, che l’aveva aggredita. Secondo la versione beotica del mito invece Atalanta fu figlia di Scheneo: costretta dal padre a sposarsi, aveva promesso di unirsi a colui che l’avesse vinta nella corsa, in cui era imbattibile. Il solo Ippomene riuscì a conquistarla con uno stratagemma, lasciando cadere durante la gara le mele d’oro donategli da Afrodite, che Atalanta non seppe rifiutare attardandosi a raccoglierle. Qui Properzio allude solo genericamente alla mitica corsa definendo velocem la fanciulla; Milanione ottiene il suo amore grazie alle fatiche affrontate (nullos fugiendo labores), alle preghiere e alle azioni virtuose (preces et bene facta). Il poeta immagina infatti che l’eroe innamorato intervenga a difendere la ragazza dall’aggressione del centauro Ileo, restando gravemente ferito. fugiendo: gerundio ablativo con valore strumentale. Tulle: si tratta di Volcacio Tullo, amico del poeta e dedicatario del primo libro di elegie.

v. 10 - Iasidos: genitivo singolare di un termine declinato alla greca. v. 11 -

- -

modo: ci aspetteremmo nei versi seguenti un altro modo (ora...ora), correlativo del primo; troviamo invece al v. 12 et e al v. 13 etiam, con una variatio tipica dello stile properziano. Partheniis: il Partenio è un monte d’Arcadia, in iperbato con antris. amens: viene ripreso il tema dell’amore come follia.

v. 12 - ibat et: anastrofe per et ibat. Al verbo è collegato l’infinito con valore finale videre, talora usato in dipendenza da verbi di movimento (in concorrenza con il supino in -um o con una vera e propria proposizione finale).

v. 13 - -

ille: il pronome, ripetuto in funzione enfatica, si riferisce chiaramente a Milanione. vulnere rami: Properzio ricorre ad un preziosismo stilistico, dovuto alla doppia metonimia vulnere (che letteralmente indica la “ferita”, ma che qui allude invece al colpo che ha provocato la ferita, con un’inversione di causa ed effetto) e rami (al posto di clavae, con sostituzione dell’oggetto con la materia).

v. 14 - Arcadiis rupibus: ablativo di luogo senza preposizione. v. 15 - domuisse: l’infinito perfetto, qui usato al posto di quello presente, esprime l’aspetto dell’azione, non il

tempo; in particolare in questo caso indica la compiutezza dell’azione, anticipando la realizzazione del desiderio di conquistare la fanciulla amata.

v. 17 - non ullas: equivale a nullas. v. 18 - notas...ire vias: il verbo eo, normalmente intransitivo, può reggere l’accusativo dell’oggetto interno.

Le “vie ben note” (ad Amore, ma anche al poeta) sono i mezzi che, nelle storie d’amore mitiche, permettono agli innamorati di realizzare i loro desideri.

v. 19 -

vos...quibus est: dativo di possesso. Compare qui il primo cambio d’interlocutore (procedimento frequente anche in Catullo e in Tibullo): dopo essersi rivolto a Tullo, il poeta apostrofa qui improvvisamente le maghe. Il tema della magia viene forse introdotto in riferimento alle artes e alle

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viae di cui l’autore ha appena parlato: tra gli artifici ai quali, anche nella tradizione letteraria, ricorrono gli amanti infelici, vi sono appunto le pratiche magiche. Incantamenti, filtri e sortilegi d’amore compaiono frequentemente nella poesia d’argomento erotico, sia greca che latina. deductae fallacia lunae: letteralmente si potrebbe tradurre “l’inganno della luna tirata giù dal cielo”. Fallacia (“falsa pretesa”, “inganno”) regge quindi il genitivo deductae lunae, in cui il participio perfetto designa l’azione compiuta (le maghe si vantano di essere già riuscite a tirare giù la luna).

v. 20 - -

et labor...focis: equivale a et quibus labor est (dativo di possesso). piare: verbo del lessico religioso.

v. 22 - -

facite illa...palleat: da notare l’ellissi di ut. Il comando espresso dall’imperativo può essere indicato in latino per mezzo di perifrasi: fac, facite (ut) - vide (ut) - cura ut - da operam ut + congiuntivo. Il pallore era considerato manifestazione fisica dell’innamoramento. meo ore: secondo termine di paragone in caso ablativo. La traduzione letterale del verso sarebbe quindi la seguente “e fate in modo che lei impallidisca più del mio volto”.

v. 23 - -

crediderim: congiuntivo potenziale, che regge il dativo vobis e poi l’infinitiva oggettiva (vos) posse. La costruzione del verso è quindi la seguente: tunc ego crediderim vobis et (crediderim vos) posse ducere sidera et amnis. amnis: forma arcaica per amnes.

v. 24 - -

Cytaeiadis: genitivo singolare. Equivale a “della donna di Cita”, cioè di Medea. Cita era la città, posta sulle coste del Mar Nero, di Medea, figlia del re Eeta, signore della Colchide. Lì si recarono gli Argonauti, guidati da Giasone, alla ricerca del vello d’oro. carminibus: ablativo strumentale.

v. 25 - lapsum: participio congiunto con sottinteso me. Si registra qui un nuovo cambio d’interlocutore: il poeta si rivolge infatti agli amici.

v. 26 - non sani pectoris: genitivo oggettivo dipendente da auxilia, che introduce il tema dell’amore come malattia. Da notare anche la litote non sani.

v. 27 - saevos...et ignis: sta per et saevos ignis (anastrofe). Il riferimento è al ferro e al fuoco in quanto strumenti usati dai chirurghi: l’immagine è coerente con il precedente richiamo agli auxilia, che richiedono cure radicali ed estreme, naturalmente metaforiche, per debellare la malattia. Da notare l’allitterazione fortiter - ferrum.

v. 28 - - -

sit modo: proposizione condizionale (modo è spesso posposto). libertas...loqui: ha il significato di “la libertà di parlare”. L’infinito presente sostituisce il più comune (in questi casi) gerundio in caso genitivo (libertas loquendi). quae velit ira: proposizione relativa al modo congiuntivo con valore eventuale. La guarigione si manifesta nella riconquistata libertà di dare apertamente sfogo all’ira per le offese e i torti subiti (ora soffocata dalla condizione del servitium amoris).

v. 29 - Ferte...ferte: si noti la ripetizione, che suona come un’invocazione. v. 30 -

- -

qua: avverbio di moto per luogo. non ulla: equivale a nulla. norit: forma sincopata per noverit. Qua...norit è una relativa al congiuntivo con valore consecutivo.

v. 31 - facili...annuit aure: si sovrappongono le due immagini del cenno di assenso col capo (annuit) e dell’orecchio disponibile alle preghiere (facilis significa appunto “condiscendente”, “benevolo”).

v. 32 - -

sitis et: anastrofe per et sitis. Viene qui utilizzato un congiuntivo esortativo, con variatio rispetto all’imperativo remanete del verso precedente. pares: l’uso dell’aggettivo par serve qui a designare l’uguaglianza tra due innamorati, sancita dal foedus amoris, ed il loro completo accordo affettivo. Properzio augura agli amici un’assoluta reciprocità in amore.

v. 33 - -

nostra: sta per mea. L’alternanza del pronome o aggettivo possessivo di prima persona singolare e plurale è usuale in latino. noctes exercet amaras: letteralmente “tormenta le mie notti (rendendole) amare”. Amaras ha valore consecutivo.

v. 34 - vacuus: complemento predicativo del soggetto Amor. Amore accompagna sempre il poeta, tormentandolo con il pensiero dell’amata.

v. 35 - sua quemque moretur cura: letteralmente “la sua passione trattenga ciascuno”. Moretur è congiuntivo esortativo, come il successivo mutet. Da notare anche l’enjambement, che pone in risalto il termine cura.

v. 36 - assueto amore: ablativo di allontanamento in dipendenza da mutet locum. v. 37 -

- -

quod si: periodo ipotetico del primo tipo, con il futuro anteriore nella protasi (adverterit) e il futuro semplice nell’apodosi (referet). tardas: con valore predicativo, può rendersi in italiano con un avverbio. auris: sta per aures.

v. 38 - quanto...dolore: complemento di modo.

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Nell’ultima parte della lezione si procede al commento tematico e stilistico dell’elegia (che

può essere in parte già anticipato durante l’attività di traduzione), chiedendo anche in questo caso

la partecipazione diretta degli allievi, cui si rivolgono frequenti domande e sollecitazioni. Nel

corso dell’analisi si avrà soprattutto cura di indirizzare l’attenzione degli studenti sulla presenza,

nei versi esaminati, di una serie di immagini, di aspetti, di motivi topici , che si configurano

come i tratti distintivi di quel codice elegiaco che Properzio e Tibullo contribuirono a fondare e

che, una volta consolidato, avrebbe rappresentato il punto di partenza delle sperimentazioni e dei

giochi di rovesciamento messi in atto da Ovidio.

E’ possibile innanzitutto far notare agli alunni come il primo libro delle Elegie si apra nel

nome di Cinzia, la donna che per Properzio era insieme oggetto esclusivo d’amore e unica fonte

di ispirazione poetica. Il componimento è dotato di un chiaro (anche se implicito) valore

proemiale e programmatico: in esso l’autore racchiude una vera e propria summa dei motivi-

guida dell’intero libro, non soffermandosi su episodi specifici, ma preferendo tracciare una sorta

di amaro bilancio di un anno d’amore tormentato. Non a caso nel primo verso colpisce l’uso

dell’aggettivo «miser» che, almeno da Gallo in poi, denota la condizione tipicamente elegiaca

dell’innamorato infelice: se già in Catullo le fasi dell’amore apparivano scandite dalla legge del

contrasto e della sofferenza, tale motivo venne ripreso e radicalizzato dagli elegiaci, «per i quali

l’amore degno di canto non sarà mai quello felice, che si esaurirebbe presto in noiosa

contemplazione, ma quello travagliato e fonte di sofferenze continue» (Fedeli 1989:150).

A questo proposito risulta indispensabile chiarire un’importante questione: il poeta elegiaco

romano parla in prima persona di sé e delle proprie vicende amorose con accenti che tendono a

suscitare nel lettore una viva impressione di verità autobiografica. Sarebbe tuttavia un errore

interpretare romanticamente questa poesia come diretta trascrizione di eventi effettivamente

vissuti, riflesso immediato di una realtà psicologica e sentimentale: il poeta amante che dice «io»

non fa della confessione privata, ma crea una persona poetica attraverso la quale “riscrive” la sua

storia individuale, modellandola entro forme rigorosamente codificate, proprie del genere e del

sistema letterario, giungendo alla costruzione intenzionale di una finzione autobiografica, che

certamente non esclude un sostrato di esperienze reali, ma le sottopone ad un processo di

trasfigurazione letteraria.

Nei versi immediatamente successivi dell’elegia compare il riferimento al dominio esercitato

sul poeta da Amore: Properzio riprende con variazioni un epigramma del poeta greco Meleagro

(I sec. a.C.), scegliendo di aprire il canzoniere con una citazione che senza dubbio i suoi lettori

erano in grado di riconoscere. L’allusione sottolinea la volontà dell’autore latino di richiamarsi

ad un’antica tradizione, quella dell’epigramma erotico greco, che fu uno dei precedenti

fondamentali dell’elegia romana, come dimostra il gran numero di temi e di motivi comuni ad

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entrambi i generi. In particolare Meleagro era stato ripreso ed imitato già da Catullo (che,

significativamente, nel carme di apertura del proprio Liber, si rifaceva al proemio della Corona

di Meleagro): Properzio dunque si ricollega implicitamente (ma inequivocabilmente, per i suoi

lettori dotti) alla tradizione epigrammatica e neoterica. Ovviamente appare necessario esortare

gli allievi a non dimenticare le differenze esistenti tra la breve misura dell’epigramma, che si

risolve nel giro di pochi versi trovando il suo significato nel gioco finale della battuta arguta e

fulminea, e le movenze narrative («tum», «donec», «iam») dell’elegia, che si distende in una

tessitura più ampia, ricca e complessa.

Si passa in seconda istanza a far notare come la sottomissione imposta da Amore al poeta

induca quest’ultimo a vivere «nullo consilio», spingendolo addirittura a tenere lontane le

fanciulle oneste. Già in Catullo il comportamento del poeta, totalmente coinvolto nell’esperienza

d’amore, si presentava come un comportamento «sine ratione», antitetico rispetto agli ideali del

cittadino romano civilmente impegnato. Negli elegiaci tutto ciò appare ancor più radicale: la

passione amorosa si configura come «furor» (v. 7) e «amentia» (v. 11), ovvero come uno stato

di follia , una malattia (vv. 26-27) che obbliga ad una completa e umiliante sottomissione

all’essere amato, una condizione di schiavitù nei confronti di un padrone dispotico, ora

identificato con il dio Amore, vincitore spietato che schiaccia sotto i piedi il prigioniero

sconfitto, ora con la «puella» stessa (si noti al v. 21 l’uso del vocabolo «domina», un altro

termine tecnico dell’elegia d’amore).

Inaugurando una modalità caratteristica della sua poesia, Properzio proietta e rispecchia la

propria situazione personale nel mondo del mito, rievocando i travagli amorosi di Milanione

innamorato di Atalanta (vv. 9-16). E’ qui evidente l’importanza che il mito riveste in questo

autore, che ad ogni passo della sua storia d’amore sente il bisogno di inquadrare le vicende

presentate in uno spazio esemplare, sottratto alla contingenza del tempo quotidiano. Il mito

svolge quindi una funzione paradigmatica: è cioè un exemplum, attraverso il quale è possibile

conferire profondità ed altezza alle esperienze private dell’autore, illuminandole e sublimandole.

Come accade nei carmina docta catulliani (ed in particolare nel carme 68) il passaggio dalla

vicenda d’amore del poeta alla dimensione del mito avviene mediante il ricorso ad una

similitudine, introdotta per analogia o, come in questo caso, per antitesi: dopo un lungo servitium

amoris Milanione è infatti riuscito a vincere la saevitia della dura puella, mentre l’autore non

trova scampo alla sofferenza amorosa. Egli è pienamente consapevole del suo «malum» (v. 35),

per il quale ogni rimedio invocato appare vano: le arti magiche (vv. 19-24), il soccorso

dell’amicizia (vv. 25-26), l’operazione chirurgica che dovrebbe strappare dal petto del poeta la

follia d’amore (vv. 27-28), il viaggio in terre lontane (vv. 29-30).

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Si conclude l’analisi fornendo agli studenti alcune indicazioni di tipo stilistico: da sottolineare

in primo luogo i repentini cambi d’interlocutore che scandiscono la struttura del testo (al v. 9

Properzio si rivolge a Tullo, al v. 19 alle maghe, al v. 25 agli amici), al quale conferiscono un

andamento mosso e variato; è inoltre da rilevare la frequenza degli iperbati e delle anastrofi,11

che sconvolgono il normale fluire della frase e spezzano il discorso, rendendolo nervoso e

imprevedibile, riflettendo lo stato d’animo tumultuoso e inquieto del poeta.

Per la volta successiva si assegna la lettura di due estratti dai saggi Properzio e la «domina»:

l’amore come dipendenza di Giovanna Garbarino (1987) e L’integrazione difficile di Antonio La

Penna (1977) (in fotocopia), che potranno servire ai ragazzi come valido supporto per prepararsi

in vista del lavoro di gruppo previsto.

Lezione 4 - La figura di Cinzia attraverso un lavoro di gruppo

(1 unità oraria)

In occasione della quarta lezione il docente propone alla classe lo svolgimento di un’attività

di gruppo: l’obiettivo è quello di sviluppare le competenze degli studenti nell’utilizzo degli

strumenti di lettura e analisi del testo appresi nel corso dell’anno e durante le lezioni precedenti,

di verificare il livello delle conoscenze acquisite a proposito della poesia elegiaca e di quella

properziana in particolare, di ampliare quantitativamente e qualitativamente la scelta dei testi

presi in esame.

Dapprima è preferibile introdurre brevemente l’argomento che sarà oggetto del lavoro

previsto, prendendo le mosse dalla constatazione del ruolo assolutamente dominante riservato

alla figura di Cinzia all’interno del canzoniere di Properzio. La puella è infatti destinataria di un

amore esclusivo e totale da parte del poeta, che ne fa il centro assoluto del proprio universo

esistenziale e letterario; inoltre il suo personaggio, ben lungi dal presentarsi come un figurino

stilizzato, emerge dai testi con una fisionomia nel complesso abbastanza precisa e ricca di

sfumature: la varietà di atteggiamenti di questa donna «tenera e crudele, sommessa e furente,

tirannica ma non priva talora di umiltà», le contraddizioni di questo carattere «aggiungono

fascino alla figura ed hanno il sapore della verità» (La Penna 1977:20). La spregiudicatezza di

Cinzia, senza dubbio accostabile a quella di Lesbia, contribuisce a delineare una tipologia

femminile molto distante dai mitici esempi di una Lucrezia o di una Cornelia, inconciliabile con

gli antichi valori di pietas, pudicitia e castitas, espressione di una sensibilità nuova lontana dalle

11 Nel caso degli iperbati, il sovvertimento dell’ordine consueto della frase risulta frequentemente associato alla dislocazione dell’aggettivo rispetto al sostantivo di riferimento: quasi ogni verso ne offre degli esempi (tra i più evidenti: et caput impositis pressit Amor pedibus - v. 4 / Ergo velocem potuit domuisse puellam - v. 14 / deductae quibus est fallacia lunae - v. 19 / et ferrum saevos patiemur et ignis - v. 27 / neque assueto mutet amore locum - v. 36). Per quanto riguarda le anastrofi si osservino le seguenti: ibat et - v. 12 / sitis et - v. 32).

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resistenze della morale tradizionale. Può quindi rivelarsi interessante soffermarsi su alcune elegie

che offrano agli studenti la possibilità di approfondire la conoscenza di questa interessante figura

femminile sotto differenti prospettive, ovviamente non limitandosi alla riduttività del

biografismo, ma avendo sempre ben presente la dimensione della rielaborazione e della

trasfigurazione letteraria.

Per la realizzazione del lavoro, la classe viene suddivisa in quattro gruppi (di quattro persone

ciascuno). A ciascuno di essi saranno distribuiti in fotocopia i materiali da analizzare: oltre al

brano/i da esaminare (i componimenti sono presentati in traduzione italiana con testo latino a

fronte), verrà consegnata ai ragazzi una traccia di domande-guida cui attenersi nello svolgimento

dell’analisi testuale. Verrà inoltre chiesto loro di prendere in mano gli estratti dai saggi critici di

Garbarino e di La Penna consegnati al termine dell’incontro precedente, utili a guidarli nella

comprensione e nella contestualizzazione dei passi proposti, ma anche nella risposta alle

domande assegnate (alcune delle quali rimandano esplicitamente alle considerazioni sviluppate

nei saggi indicati).

TESTO/I DA

ANALIZZARE

TRACCIA DI

DOMANDE GUIDA

1° gruppo

Il fascino di Cinzia:

II, 2

II, 3a, vv. 9-26

• Entrambi i testi sono incentrati sulla celebrazione della bellezza di

Cinzia. In che cosa consiste, agli occhi del poeta, il suo fascino? Perché

possiamo definirla docta puella?

• A quale procedimento ricorre Properzio in II, 2 per esaltare la bellezza

della sua donna? E in II, 3a?

• In che senso si può parlare di idealizzazione o addirittura di

divinizzazione di Cinzia? Quale funzione svolge nell’ambito del codice

della poesia elegiaca?

• Quale ruolo gioca nei due componimenti il costante rimando al mito?

2° gruppo

L’infedeltà di Cinzia:

II, 9, vv. 1-36

• Quali tratti attribuisce il poeta a Cinzia infedele? Che immagine di

donna ne deriva?

• Quale significato e funzione assumono i due exempla mitologici

iniziali?

• Quale atteggiamento assume Properzio di fronte ai tradimenti

dell’amata? Ricordando le reazioni di Catullo ai tradimenti di Lesbia,

spiegare la seguente affermazione di Paolo Fedeli: «A diversificare

l’atteggiamento (...) degli elegiaci da quello di Catullo è l’elemento

degradazione».

• Quali sono le caratteristiche stilistiche del componimento? In che modo

esse riflettono lo stato d’animo tumultuoso e inquieto del poeta?

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3° gruppo

L’avidità di Cinzia:

II, 16, vv. 1-26 e

vv. 31-36

• Qual è il tono prevalente dell’elegia? Con quale argomento cerca di

consolarsi il poeta?

• Con quali immagini il poeta descrive l’avidità di Cinzia? Che

informazioni se ne possono ricavare a proposito della condizione sociale

della donna?

• Quale ruolo gioca il tema dell’avidità della puella nella poesia

properziana?

• A proposito di questa elegia, La Penna parla di «un modo di procedere a

sbalzi imprevedibili, uno scorrere agitato, irto di ondate improvvise,

spezzate». A quali caratteristiche stilistiche del testo si riferisce?

4° gruppo L’ira di Cinzia:

III, 8, vv. 1-34

• In che modo il poeta descrive Cinzia furibonda?

• Spesso in Properzio vengono riferite all’amore immagini e metafore

attinenti alla guerra e alla lotta. Quale visione del sentimento amoroso

ne deriva?

• Cosa intende Garbarino quando afferma che «il rapporto di coppia, così

come si configura in Properzio, appare fortemente squilibrato a favore

della donna»? Si tratta di un rovesciamento davvero radicale o assume

un significato differente se riportato alla concezione dell’amore propria

del genere elegiaco?

Pur lasciando che gli allievi si organizzino autonomamente nella pianificazione dell’attività da

svolgere, l’insegnante è tenuto a seguire da vicino il loro lavoro, spostandosi da un gruppo

all’altro per chiarire gli eventuali punti oscuri dei testi e/o delle domande, per offrire spunti di

approfondimento e di riflessione, per guidarli nella corretta impostazione dell’esercitazione.

Qualora il tempo a disposizione non fosse sufficiente per concludere il lavoro, si potranno

invitare gli studenti a terminarlo a casa, scegliendo un portavoce che nel corso della lezione

successiva si incarichi di illustrare ai compagni i risultati raggiunti dall’intero gruppo.

Lezione 5 - Condivisione dei risultati del lavoro di gruppo

(1 unità oraria)

La quinta lezione è interamente dedicata alla presentazione e alla discussione dei lavori svolti

nel corso dell’incontro precedente: sono previsti quindici minuti per ogni gruppo, che affida ad

uno dei suoi membri il compito di relazionare al resto dei compagni, chiamati a prendere appunti

per integrare tutto il materiale prodotto. In questo modo i risultati conoscitivi di ciascun gruppo

vengono condivisi e diventano patrimonio comune, che ognuno è tenuto ad apprendere. Durante

l’esposizione dei quattro portavoce, l’insegnante si riserva di prendere in alcuni momenti la

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parola per approfondire, ampliare, correggere, nel tentativo di orientare l’attenzione dei ragazzi

su alcuni punti fondamentali:

- la ricchezza e la varietà della rappresentazione di Cinzia, colta in una molteplicità di

atteggiamenti diversi, inserita in una dimensione psicologica estremamente viva e mossa,

sottoposta all’azione inarrestabile del tempo (si veda la chiusa di II, 2: «hanc utinam faciem nolit

mutare senectus / etsi Cumaeae saecula vatis aget!»), caratterizzata da una bellezza che

assomma in sé avvenenza fisica, grazia, eleganza, fascino mondano ed intellettuale;

- l’assoluta preminenza attribuita nel canzoniere properziano alla figura della puella,

intraprendente, energica, indipendente. Ciò potrebbe a prima vista far pensare al delinearsi di una

concezione del tutto nuova (ovviamente nell’ambito della cultura antica) del rapporto di

coppia, caratterizzato da una radicale inversione dei ruoli tradizionali maschile e femminile,

«con l’abdicazione e la rinuncia da parte dell’uomo alla sua universalmente riconosciuta

superiorità e supremazia, e l’attribuzione alla donna di una posizione egemone» (Garbarino

1987:172-173);

- la necessità di ridimensionare la portata in apparenza radicalmente innovativa di tale

impostazione, semplicemente situando il rapporto Cinzia - Properzio nel suo specifico

contesto letterario: l’asservimento dell’amante nei confronti di una domina tirannica, dura e

infedele, risulta infatti funzionale alle esigenze del genere elegiaco («la donna (...) deve essere

indifferente, riluttante, volubile e infedele, perché il poeta abbia materia per poter effondere in

versi le sue pene amorose e perché i rari momenti di felicità (...) appaiano più preziosi e

assumano maggior risalto per la loro eccezionalità e precarietà» - Garbarino 1987:177);

- l’importanza nella poesia properziana dell’elemento mitologico, che si intreccia

inscindibilmente alla componente soggettiva, illuminandola e approfondendola in direzione

psicologica e introspettiva;

- la particolarità dello stile di Properzio, poeta inquieto e imprevedibile: la composizione

tende a procedere per brusche variazioni, passaggi rapidi e irruenti, improvvisi cambi di tono che

rendono irregolare e mosso l’andamento complessivo del testo. Gli incipit appaiono spesso

concitati e veementi; frequente anche il ricorso ad apostrofi, esclamativi, interiezioni,

interrogative, che conferiscono ai componimenti forza ed intensità patetica, ed alle figure

retoriche dell’iperbato e dell’anastrofe, che interrompono il regolare fluire della frase. La ricerca

di densità espressiva viene inoltre affidata all’originalità delle iuncturae (Es.: argutare ignes - I,

6, 7 / noctes exercet amaras - I, 1, 33) e all’uso piuttosto libero dell’ablativo (Es.: mutato colore

- I, 6, 6) e, talora, del genitivo (Es.: constantis lumina fastus - I, 1, 3): ciò consente

l’eliminazione di alcuni passaggi logici e, quindi, una maggiore concentrazione e brevità.

Per l’incontro successivo si assegna la traduzione di II, 7.

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Lezione 6 - L’integrazione difficile di Properzio: l’elegia II, 7

(1 unità oraria)

La lezione si apre con un breve momento di discussione e di confronto con i ragazzi, invitati

ad esprimere le considerazioni suscitate in loro dalla lettura dell’elegia II, 7. L’obiettivo è quello

di sollecitarli a riflettere sulla problematicità del ruolo assunto da Properzio all’interno del

panorama culturale della Roma augustea: benché già a partire dal 28 a.C. egli fosse entrato a far

parte del prestigioso circolo di Mecenate, i suoi componimenti rimandano ad un quadro valoriale

indubbiamente distante dal programma di restaurazione dei fondamenti morali della romanità e

di ritorno agli antichi culti promosso dall’imperatore, trovando nelle forme della poesia d’amore,

lontana dalla solennità dell’epica, una piena e totalizzante realizzazione.

A questo proposito risulta interessante proporre ed esaminare con gli alunni la pregnante

espressione utilizzata da Antonio La Penna per designare le resistenze di Properzio ad una

completa assimilazione al regime: lo studioso parla di «integrazione difficile», sottolineando il

carattere sfuggente e ambiguo della risposta data dall’autore alle richieste provenienti da

Augusto, alle quali egli opponeva, attraverso la ricorrente formula della recusatio, la gelosa

difesa di uno spazio dedicato ad una poesia intima e privata, non piegata alla celebrazione

dell’ideologia dominante.

Si prevede di passare subito dopo alla correzione della traduzione assegnata agli studenti

come compito a casa: si procede periodo per periodo, invitando quattro o cinque alunni a leggere

a turno ad alta voce un passo del testo latino e quindi ad elaborarne la traduzione in italiano. Non

mancano inoltre domande poste agli studenti e volte a verificare il riconoscimento dei principali

costrutti morfo-sintattici presenti nel testo, nonché la comprensione delle immagini e delle

tematiche incontrate.

II, 7 Proposta di traduzione

Certo, Cinzia, hai gioito che sia stata abolita quella legge

che alla pubblicazione ci fece a lungo piangere entrambi per il timore che ci separasse: sebbene separare due amanti

contro la loro volontà non possa nemmeno Giove. «Ma Cesare è potente». Sì, ma potente in guerra:

le genti conquistate non contano in amore. Mi lascerei staccare il capo da questo collo,

piuttosto che perdere i miei amori per volere di una moglie, e passare, una volta sposato, davanti alla tua porta chiusa,

e con gli occhi bagnati di lacrime volgermi a guardare lei tradita. Oh, quali serenate ti canterebbe allora il mio flauto,

flauto più triste di una tromba funebre! Perché dovrei fornire figli ai trionfi della patria?

Nessun soldato nascerà dal mio sangue. Se dovessi seguire le mie vere insegne, quelle della mia donna,

allora sì che il cavallo di Castore non basterebbe.

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In quel campo la mia gloria ha meritato una gran fama, che è giunta ormai fino al gelido Boristene.

Tu sola mi piaci: possa piacerti, o Cinzia, io solo: questo amore conta per me più del nome di padre.

Note al testo

v. 1 - sublatam...legem: proposizione infinitiva con esse sottinteso, dipendente da gavisa es. Il poeta allude con ogni probabilità all’abrogazione di una legge contro il celibato voluta da Augusto, che lo avrebbe obbligato a sposarsi e quindi a separarsi da Cinzia, la cui posizione sociale era quasi certamente inferiore alla sua. La maggior parte degli studiosi, rifacendosi alle disposizioni contenute in altre leggi matrimoniali emanate dall’imperatore, concorda nel ritenere che Properzio non potesse prendere legalmente in moglie una donna come Cinzia, di rango sociale inferiore (ad esempio una liberta o una donna appartenente al novero delle feminae probosae, in cui rientravano le meretrici o le donne note per la loro condotta scandalosa ed immorale).

v. 2 - qua...edicta: ablativo assoluto. Da notare l’allitterazione qua - quondam. v. 3 -

- -

ni: equivale a ne. Introduce una proposizione completiva volitiva, appartenente al gruppo delle completive rette da verba timendi. quamvis: introduce una proposizione concessiva ipotetica con verbo al congiuntivo. amantis: forma arcaica per amantes.

v. 4 - -

queat: il verbo quëo, composto di eo e quasi sempre utilizzato in espressioni di senso negativo, ha una diversa sfumatura di significato rispetto a possum. Esprime infatti la possibilità di compiere un’azione in seguito a particolari condizioni esterne favorevoli o sfavorevoli. Iuppiter: l’autore sottolinea la forza del sentimento d’amore, capace di prevalere anche in caso di intervento divino.

v. 5 - -

Caesar: si riferisce all’imperatore Augusto. Da notare la ripetizione all’interno dello stesso verso del nesso magnus Caesar, funzionale ad introdurre nel secondo caso il riferimento ai limiti di tale grandezza, valida solo in ambito militare (in armis). armis: metonimia per guerra.

v. 6 - -

nil: equivale a nihil. in amore: in opposizione rispetto a in armis del verso precedente. Si delinea qui l’antitesi tra amor e arma, strettamente legata nel canzoniere properziano al tema della scelta di vita e, conseguentemente, di poesia.

v. 7 - -

paterer: congiuntivo irreale. citius...quam: introducono una proposizione comparativa reale. La presenza del congiuntivo è spiegabile facendo riferimento ad un particolare uso di potius-citius-prius...quam: è previsto il ricorso a questo modo verbale quando vengono messe a confronto due possibili situazioni, scegliendone una e scartando l’altra.

v. 8 - -

more: ablativo di causa. faces: indica metaforicamente la passione amorosa. Il poeta allude in questo verso alla spesso incolmabile distanza che nella società romana separava il sentimento d’amore dal matrimonio, inteso (soprattutto dai membri delle classi più elevate) come il risultato di complesse strategie di alleanze tra famiglie, mirante ad assicurare la continuità della casata, ma anche a conservare ed accrescere il potere politico ed economico.

v. 9 - - -

transirem: si tratta di un’altra proposizione comparativa (con quam sottinteso). limina clausa: Properzio assume qui le caratteristiche di una figura topica della poesia elegiaca, quella dell’exclusus amator, che piange o si lamenta davanti alla porta chiusa della puella. In questo caso l’impossibilità di raggiungere la donna amata non dipende però dall’infedeltà di quest’ultima, ma dalla nuova condizione del poeta, che si immagina nelle vesti di un uomo sposato (maritus). maritus: sostantivo usato in funzione predicativa.

v. 10 - -

luminibus: metonimia per indicare gli occhi. prodita: participio perfetto di prodo. E’ riferito a limina clausa e allude alla triste necessità per il poeta di tradire l’amore, adeguandosi alla nuova condizione matrimoniale.

v. 11 - - -

qualis: sta per quales. caneret: congiuntivo irreale. tibia: indica il flauto, che solitamente accompagnava l’imeneo; la tromba risuonava invece durante i funerali. Da notare l’insistita allitterazione tibi - tibia - tibia - tristior - tuba.

v. 13 - unde: avverbio interrogativo costruito con l’infinito. Si coglie l’atteggiamento di sfida assunto da Properzio nei confronti del provvedimento augusteo, finalizzato a garantire figli alla patria per progetti di conquista.

v. 14 - de nostro sanguine: complemento di origine.

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v. 15 - -

quod si: periodo ipotetico del terzo tipo, con il congiuntivo imperfetto nella protasi e nell’apodosi. vera castra... meae puellae: ricorrendo al lessico militare, Properzio introduce il tema della militia amoris, contrapposta alla carriera militare del buon cittadino romano.

v. 16 - magnus Castoris...equus: Castore era famoso come domatore di cavalli. v. 18 - Borysthenidas: il Boristene corrisponde all’odierno Dnepr, che sfocia nel Mar Nero. v. 18 - sola...solus / places...placeam: il doppio polittoto (rafforzato dalla disposizione chiastica) sottolinea

l’intensità e la reciprocità del sentimento che lega il poeta alla donna amata. Da osservare anche il gioco dei pronomi personali mihi e tibi.

v. 19 - patrio nomine: ablativo di paragone.

Al termine della traduzione ci si sofferma sul commento tematico e stilistico dell’elegia,

toccando una serie di aspetti in parte già accennati nel corso del primo segmento della lezione. A

colpire maggiormente il lettore è senza dubbio l’audace anticonformismo di Properzio, che

rifiuta apertamente i doveri militari spettanti al cittadino romano e dichiara la propria assoluta

dedizione ad una forma personale e privata di militia, quella imposta dal sentimento d’amore.

Può essere utile in quest’ottica suggerire ai ragazzi il confronto con un altro interessante

componimento properziano, che potrà eventualmente essere letto da quanti siano interessati ad

approfondire l’argomento: si tratta dell’elegia I, 6, in cui viene svolto il tema della scelta di

vita, una scelta obbligata per l’autore, costretto ad un’esistenza completamente votata al

servitium amoris, contrapposta all’esistenza dell’amico Tullo, impegnato nella carriera politico-

militare. L’antimilitarismo costituisce in effetti uno dei tratti caratteristici della poesia elegiaca

latina, nella quale l’allontanamento dai valori ufficiali del principato augusteo diviene elemento

distintivo del poeta non pienamente integrato; per contro il poema epico virgiliano si apre

emblematicamente con il riferimento agli arma, segno di un atteggiamento di ben diversa

adesione nei confronti dei valori propugnati da Augusto. Proprio il rimando al modello di

Virgilio permetterà di spostare il discorso relativo all’opposizione tra amor ed arma dal piano

esistenziale a quello letterario, invitando gli alunni ad osservare come, nell’elegia latina, la scelta

di una vita dedita all’amore implichi inevitabilmente la scelta, altrettanto esclusiva, di una poesia

tenuis: vivere d’amore significa infatti scrivere versi d’amore, rinunciando a coltivare una poesia

alta ed impegnata quale appunto l’epica.

In ultima battuta il docente orienta l’attenzione degli studenti sui due versi conclusivi di II, 7,

nei quali l’autore, oltre a ribadire l’intensità del foedus che lo lega a Cinzia, afferma con

convinzione l’esclusività del sentimento nutrito per la puella, capace di suscitare un amore

ancora più profondo di quello paterno. Sarà interessante invitare gli allievi ad istituire un

confronto a distanza con Catullo, il primo ad aver collocato Lesbia al centro di tutti gli affetti,

coniugando la passione (amare) con la dedizione più seria e duratura mostrata verso i familiari e

gli amici più cari (bene velle).

Per la volta successiva si invitano i ragazzi a ripassare e/o a cercare notizie su Callimaco e

sulla poesia eziologica.

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Lezione 7 - Dalla poesia d’amore all’eziologia

(1 unità oraria)

Nel corso di questo incontro ci si propone di soffermarsi sugli sviluppi della produzione

properziana nel tempo, tentando di delineare almeno nelle sue tappe fondamentali il percorso

seguito dall’autore nel passaggio dalle elegie d’amore alla poesia eziologica di argomento

romano. Per esortare fin da subito i ragazzi ad assumere un atteggiamento critico e

problematizzante, il docente distribuisce loro una fotocopia in cui siano riportati due brevi brani

tratti da II, 1 e da IV, 1, evidenziando l’importanza attribuita da Properzio alle dichiarazioni di

poetica, molto frequenti nei suoi testi, quasi che, «nella sua concezione, l’amore elegiaco

richieda la presenza costante e il continuo apporto di solide premesse teoriche, tali da giustificare

agli occhi dei lettori la predilezione per la Musa tenue» (Fedeli 1989:162). I brani proposti alla

classe sono i seguenti:

II, 1, vv. 3-4 Non haec Calliope, non haec mihi cantat Apollo: ingenium nobis ipsa puella fecit. Questo non Calliope, questo non Apollo a me detta: l’ispirazione a me dà la donna stessa. IV, 1, vv. 61-64; 69-70 Ennius hirsuta cingat sua dicta corona: mi folia ex hedera porrige, Bacche, tua ut nostris tumefacta superbiat Umbria libris, Umbria Romani patria Callimachi! [...] sacra diesque canam et cognomina prisca locorum: has meus ad metas sudet oportet equus. Ennio cinga pure i suoi detti di un’ispida corona: a me porgi le foglie della tua edera, o Bacco, così che l’Umbria si gonfi d’orgoglio per i miei libri, l’Umbria, patria del Callimaco romano! [...] Canterò i riti, i giorni e i nomi antichi dei luoghi: verso queste mete deve sudare il mio cavallo.

Dopo aver concesso agli alunni alcuni minuti per leggere individualmente i due testi, il

docente chiede loro di riflettere sulla distanza che separa l’ispirazione alla base dell’elegia

proemiale del secondo libro (in cui Properzio, prendendo le distanze da Apollo e soprattutto da

Calliope, musa della poesia epica, individua nella sua donna l’unica fonte di ispirazione) dal

programma enunciato nell’elegia d’esordio del quarto libro (nella quale l’autore, presentandosi

come emulo romano di Callimaco, afferma di voler cantare «i riti, i giorni e i nomi antichi dei

luoghi»).

Sarà in primo luogo necessario chiarire il senso del rimando al noto poeta alessandrino,

invitando qualche allievo a ricordarne l’epoca storica di riferimento e l’opera più importante, gli

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Aitia, una raccolta di elegie riconducibili al filone eziologico (in ciascuna di esse, di norma

mediante la narrazione di un mito, viene spiegata l’origine di un rito, di un’usanza, di un nome,

di un oggetto, ecc.). Properzio, pur continuando a rifiutare il genere epico (rappresentato nei

versi presi in esame dall’arcaico Ennio, «ispido», cioè artisticamente rozzo), prefigurava

insomma una svolta importante nel suo percorso letterario, abbandonando la poesia erotica a

favore di quella eziologica, che gli consentiva di affrontare temi di maggior respiro senza venir

meno alla fedeltà nei confronti del distico elegiaco.

Per approfondire la discussione, si sollecitano i ragazzi a formulare ipotesi circa le ragioni di

tale convinta inversione di rotta, guidandoli a soffermare l’attenzione su due fattori concomitanti:

da un lato il progressivo deteriorarsi della relazione con Cinzia (a cui si accompagnava

l’ esaurimento della topica erotica, già ampiamente sfruttata); dall’altro lato le forti

sollecitazioni provenienti da Mecenate, che spronava l’autore ad orientare la propria attività

letteraria in direzioni più impegnative. Una conferma può essere ricercata già nel terzo libro, in

cui la poesia properziana sembra volgersi verso nuovi orizzonti tematici: sono ancora presenti le

consuete recusationes della poesia epica, ma si infittiscono nel contempo i segni di un’altra

poesia, di ispirazione civile e romana, alla quale Properzio si era rivolto con interesse.

Compaiono infatti una celebrazione di Augusto (III, 4), il compianto per la morte di Marcello,

nipote del principe (III, 9), l’esaltazione della vittoria di Azio (III, 11), evidenti indizi della

volontà del poeta di cominciare a confrontarsi con le tendenze ormai prevalenti nella cultura

augustea. Anche la relazione amorosa con Cinzia procedeva intanto verso il discidium e la

definitiva conclusione: nel terzo libro le elegie dedicate alla puella presentano un carattere meno

appassionato, più ironico ed evasivo, culminando nel componimento di commiato, con cui

Properzio annuncia la fine dell’amore, ma anche l’abbandono della stessa poesia elegiaca.

Ovviamente non si mancherà di precisare agli alunni come l’adesione dell’autore al nuovo

progetto poetico non debba essere considerata pacifica né tantomeno lineare, ma debba al

contrario essere collocata nell’ambito di quel sofferto percorso verso l’integrazione, che

accompagnò tutta la sua carriera di letterato, scandita da ambiguità, resistenze e contraddizioni.

Per averne certezza è sufficiente analizzare la struttura del quarto libro, caratterizzata da

un’interessante compresenza. Le elegie di argomento romano e di ispirazione civile costituiscono

senza dubbio il blocco più rappresentativo: in esse Properzio non guarda alla contemporaneità,

ma si volge alla rievocazione della Roma primitiva, sullo sfondo di un Lazio antichissimo e

selvoso, ripercorrendo le leggende romano-italiche delle origini, che raccolgono in sé quel

patrimonio di tradizioni, di nomi, di riti in cui affondava le proprie radici l’identità nazionale

romana (la leggenda del dio etrusco Vertumno, Apollo Palatino e la battaglia di Azio, le origini

del culto dell’Ara Massima e del tempio di Giove Feretrio, l’elogio funebre di Cornelia, ecc.).

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Accanto a questi componimenti tornano tuttavia a comparire numerosi carmi erotici, che

presentano significativi tratti di novità rispetto alle esperienze precedenti: in IV, 3 Properzio

sperimenta la soluzione formale dell’epistola amorosa, che si immagina inviata da Aretusa allo

sposo Licota, trattenuto in Oriente dalla guerra; IV, 5 contiene una violenta invettiva contro una

mezzana; in IV, 7 il fantasma di Cinzia appare in sogno al poeta poco dopo la morte; in IV, 8

sorprendentemente torna in scena Cinzia, viva e vitale, impegnata in un’avventura amorosa fuori

Roma. Il tema erotico finisce invece per incrociarsi con gli intenti eziologici nel famoso episodio

di Tarpea (IV, 4), in cui il poeta, scegliendo la via ellenistica della versione rara o inedita di un

mito, presenta il tradimento della fanciulla quale conseguenza non della sua avidità, come accade

in Livio, ma del suo amore per il capo sabino Tito Tazio.

Chiaramente la scelta di passare in rassegna il contenuto delle elegie del quarto libro del

canzoniere properziano risponde alla necessità di rendere evidente agli studenti la sua natura

complessa e composita, sospesa tra ispirazione eziologico-civile e amorosa, quale risulta

perfettamente anticipata dalla stessa articolazione di IV, 1, in cui l’autore, dopo aver esposto nei

versi d’apertura il proprio programma di poesia patriottica, introduce l’inconsueta figura

dell’astrologo Horos, che lo mette in guardia dal progetto troppo ambizioso appena delineato,

ribadendo la sua inestinguibile vocazione di poeta d’amore.

Per l’incontro successivo si assegna la lettura in traduzione italiana dell’episodio di Ercole e

Caco descritto da Virgilio nell’Eneide (VIII, vv. 184-279).

Lezione 8 - Il dio Ercole attraverso i generi: IV, 9 di Properzio

(1 unità oraria)

La lezione si apre con la lettura di un ampio brano tratto da IV, 9, un componimento di solito

non presente nelle antologie scolastiche e proprio per questo particolarmente interessante da

esaminare.12 Si tratta dei vv. 20 - 72, proposti alla classe in traduzione italiana con testo latino a

fronte ed incentrati sulla rappresentazione del dio Ercole, cui Properzio rimanda nell’ambito

della ricostruzione delle origini del culto dell’Ara Massima.

Al termine della lettura, dapprima si procede a sintetizzare rapidamente in forma orale la

vicenda di Ercole e Caco (in modo che tutti gli allievi abbiano chiara la successione degli

eventi), invitando poi i ragazzi ad abbozzare un primo veloce confronto tra il testo properziano e

quello desunto dall’Eneide virgiliana (che essi avrebbero dovuto esaminare individualmente a

casa): l’obiettivo è quello di raccogliere le impressioni “a caldo” degli studenti, guidandoli a

riconoscere (per ora solo a livello intuitivo) la distanza che separa il primo brano, impostato in

12 L’analisi qui proposta dell’elegia IV, 9 si rifà ampiamente alle indicazioni contenute Fedeli 1989:384-393.

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chiave ironica e sorridente, dal secondo, caratterizzato da una solennità conforme alle leggi della

poesia epica.

Si entra subito dopo nel vivo dell’analisi testuale, osservando la sproporzione tra i due autori

nella distribuzione degli spazi narrativi: mentre Virgilio assegna massima importanza al racconto

dello scontro tra Ercole e Caco (vv. 185-267), condensando in poco più di dieci versi gli sviluppi

successivi della vicenda (fondazione dell’Ara da parte dell’eroe), Properzio sceglie di invertire i

termini del rapporto, riservando solo venti versi al primo episodio e ben cinquanta al secondo.

Nel tentativo di spiegare le antiche ragioni dell’esclusione delle donne dal culto dell’Ara

Massima, egli dilata fortemente la parte conclusiva dell’episodio, offrendoci un’immagine del

dio Ercole lontana dai toni alti e sacrali dell’epica, che colpisce il lettore per la sua scanzonata

leggerezza e che si rifà ad un preciso modello letterario. Per aiutare gli studenti ad individuarlo

con sicurezza, si fornisce loro in fotocopia il seguente schema, in cui sono riportati in

successione tutti i momenti della raffigurazione properziana di Ercole:

vv. 21-22 subito dopo la lotta con Caco, Ercole è in preda ad una sete terribile, ma misteriosamente la terra

fertile non gli offre neanche una goccia d’acqua

vv. 23-30 Ercole, disperato, vaga come un folle, finché sente giungere da un boschetto sacro il suono di

risate femminili

vv. 31-36 con la barba ricoperta di polvere, Ercole si precipita verso quel luogo e si mette ad implorare ante

fores le donne rinchiuse all’interno del boschetto affinché lo lascino entrare per dissetarsi

vv. 37-44 poiché le donne non lo ascoltano, egli prende a narrare le sue mirabolanti imprese, cercando di

impressionarle

vv. 45-50 invaso dalla disperazione, Ercole ricorre ad un ultimo argomento per ottenere l’attenzione delle

donne: forse esse sono spaventate dal suo aspetto e dalla pelle di leone che indossa, ma devono

sapere che, durante la sua non troppo eroica schiavitù presso Onfale, egli si adattò a compiere

lavori tipicamente femminili, come la filatura della lana

vv. 51-60 le suppliche di Ercole non riescono a piegare le donne e un’anziana sacerdotessa lo invita ad

allontanarsi

vv. 61-64 Ercole, furibondo, butta giù a spallate la porta e riesce finalmente a bere

vv. 65-72 solo in conclusione compare l’accenno alla fondazione dell’Ara Massima che, per vendetta, sarà

sempre interdetta al culto femminile

Non sarà difficile, facendo leva sulla conoscenza del canone elegiaco che gli alunni

possiedono, indurli a riconoscere nel paraclausíthyron della poesia d’amore il principale

riferimento di questa rappresentazione: Ercole, supplicando le donne di fronte all’ingresso chiuso

del boschetto sacro, viene a trovarsi nell’antieroica condizione dell’exclusus amator, il quale si

rivolge implorante alla puella che si rifiuta di accoglierlo (non è infatti casuale che le donne

dedite alla celebrazione dei riti della Dea Bona siano dette proprio «puellae» al v. 69). Ercole

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pronuncia lamenti e preghiere, esattamente come l’amante deluso davanti all’ingresso sbarrato

della dimora dell’amata e, nel pieno rispetto delle convenzioni elegiache, risponde ai rimproveri

della sacerdotessa percuotendo con ira la porta del lucus.

Ovviamente si inviteranno i ragazzi a notare come la ripresa da parte di Properzio di tali

motivi topici della poesia erotica non debba essere ritenuta casuale, ma vada al contrario intesa

come espressione di una precisa volontà artistica. Li si esorterà a questo proposito ad elaborare

ed a discutere insieme una serie di considerazioni conclusive, in modo da porre l’accento sugli

aspetti che mi paiono maggiormente rilevanti:

• l’ incapacità dell’autore di rinunciare totalmente alla propria vocazione di poeta

d’amore. Egli, pur aprendosi al canto degli aitia, continuava ad attenersi ai luoghi comuni ed

al registro stilistico della poesia tenuis, sottolineando ancora una volta il carattere parziale ed

ambiguo della sua “integrazione” (come dimostra in particolare la presentazione ironicamente

abbassata di Ercole, eroe divinizzato centrale nell’ideologia augustea e nella religione

ufficiale);

• la funzione “formante” dei generi letterari , che adattano alle proprie caratteristiche

costitutive la materia trattata. Il caso di Ercole appare in quest’ottica emblematico: nel

momento in cui la figura dell’eroe mitico passa da un genere letterario di alta dignità (come

l’ epos) ad un genere tenue (come l’elegia) finisce con il subire una radicale metamorfosi,

diventando oggetto di parodia e sottostando al palese rovesciamento delle sue tradizionali

prerogative. Per essere accolto all’interno del genere elegiaco, Ercole deve quindi deporre la

propria dignità eroica e accettare di essere collocato allo stesso livello dell’innamorato deluso,

che implora l’amata attraverso una porta inesorabilmente chiusa. Potrà qui essere utile

cogliere l’occasione per precisare agli studenti la definizione di “genere”, dapprima lasciando

spazio ai loro interventi e successivamente prendendo la parola per orientarli in una direzione

produttiva: il genere altro non è che il progetto implicito in ogni opera letteraria, definito da

un insieme di norme (non rigidamente vincolanti, ma dotate di funzione orientativa) che ne

rispecchiano l’evoluzione e che esprimono nel contempo l’orizzonte di attese dei lettori.

Scegliere di coltivare un determinato genere significa scegliere di rispettarne (in modo più o

meno libero) gli elementi fondanti, sia dal punto di vista dell’espressione (struttura metrica e

compositiva, lingua, stile) sia da quello dei contenuti (individuazione ed organizzazione di

temi ed immagini, rapporti con il pubblico, costruzione di un determinato mondo ideologico

ed assiologico), adeguando ad essi le tematiche che si intendono affrontare e modulando su di

essi la propria personale ispirazione.

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Lezione 9 - Un confronto intertestuale: Catullo, Properzio e Ariosto

(1 unità oraria)

L’ultimo incontro è destinato ad un’attività volta a dimostrare il successo conosciuto dalla

poesia properziana e, più in generale, elegiaca nei secoli successivi. Tale momento del

percorso didattico riveste una particolare importanza, poiché soffermarsi sul modo di intendere

l’amore ed i rapporti con la donna proprio degli elegiaci (e, prima di loro, di Catullo) significa

permettere ai ragazzi di confrontarsi con una visione e con un modello di comportamento

amoroso e sentimentale che hanno esercitato un’influenza decisiva sulle generazioni successive.

Insieme agli studenti sarà possibile cercare di elencare quei tratti caratteristici della concezione

elegiaca dell’amore che hanno lasciato ampie tracce non solo nella mentalità, ma anche e

soprattutto nella produzione letteraria delle epoche posteriori: l’emergere di un nuovo tipo di

rapporto di coppia, «che non è né quello destinato a concretizzarsi nel matrimonio né la fugace

passione per donne di poco conto» (Fedeli 1989:144); la centralità attribuita al sentimento

amoroso, inteso in termini assoluti e totalizzanti, fondato sulla conciliazione di desiderio fisico e

tenero affetto; la natura contraddittoria dell’amore, fonte di sofferenze, ma anche di brevi

momenti di appagamento e di reciprocità; la preminenza riconosciuta alla figura della donna,

idealizzata nelle sue qualità esteriori ed interiori, oggetto di una fedele dedizione.

Per spostare il discorso su un piano più specificamente letterario, il docente distribuisce agli

allievi una fotocopia in cui siano affiancati il sonetto XIII di Ariosto, il carme V di Catullo e

alcune citazioni ad hoc tratte dalle elegie di Properzio, avviando un lavoro di confronto

intertestuale che, da un lato, aiuti i ragazzi a meglio comprendere il significato della ripresa

umanistico-rinascimentale dei classici romani (non pedestre imitazione, ma dialogo continuo e

fruttuoso) e, dall’altro lato, contribuisca a rendere evidente ai loro occhi la complessità del

sistema letterario, fatto di echi e di rimandi tra autori ed opere di età e aree geografiche

differenti.

Il componimento ariostesco viene analizzato collettivamente, avendo cura di fissare

l’attenzione dei ragazzi sugli aspetti tematici e stilistici di maggior rilievo:

• innanzitutto si evidenzia la possibilità di scomporre in due segmenti il sonetto. Le quartine

sviluppano infatti il tema della prigione d’amore, interamente giocato sull’opposizione tra la

positiva situazione del “prigioniero d’amore” e quella, ben più infelice, del prigioniero

condannato alla detenzione dalla severità di un giudice; le terzine contengono invece l’invito a

godere della pienezza dell’amore, ricorrendo ad accenti di vitale sensualità;

• successivamente ci si concentra sulle modalità con cui Ariosto sviluppa i due temi in

questione: nel primo caso, l’affollarsi delle antitesi («furor...dispetto» / «amor...pietà», «gli

altri prigioni s’attristano» / «io m’allegro», «diletto» / «martir», «vita» / «morte») e degli

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ossimori («carcere soave», «bella e dolce...nemica») rimanda all’idea della contraddittorietà

del sentimento amoroso, che produce gioia ma nel contempo costringe l’amante a vivere una

condizione di schiavitù e di sottomissione (si pensi all’esordio dell’elegia I, 1 di Properzio:

«Cynthia...me cepit»); nel secondo caso l’anafora insistita della congiunzione «ma» e del

numerale «mille», unitamente al polittoto «dolci...dolcemente», mira ad enfatizzare l’intensità

della passione, lasciando spazio ad una convinta ripresa del carme V di Catullo (v. 7 e sgg.:

«Da mi basia mille, deinde centum, / dein mille altera...») e dell’elegia II, 15 di Properzio (v.

50: «omnia si dederis oscula, pauca dabis»);

• in ultima istanza, si sollecitano gli studenti a rilevare la principale differenza che, al di là dei

punti di contatto, separa il sonetto di Ariosto dai suoi antichi modelli: non solo manca nel

poeta ferrarese l’accenno catulliano alla precarietà della vita (v. 6: «nox est perpetua una

dormienda»), che conferiva al carme latino una profondità derivante proprio dal fulmineo

contrasto tra immagini di luce e di cupa tenebra, ma è assente in esso anche quella

connotazione di acerba sofferenza che gli elegiaci attribuivano all’esclusività del servitium

amoris. Prendendo le distanze dalla rarefazione del petrarchismo, Ariosto puntava quindi ad

elaborare gli spunti provenienti dagli autori del passato con una nota di maliziosa leggerezza,

indagando soprattutto i risvolti concretamente sensuali dell’amore ed affidandosi ad un’accesa

ed esuberante vivacità.

Lezione 10 - E’ tempo di verifiche

(2 unità orarie)

Si prevede lo svolgimento della prova di verifica sommativa posta a conclusione dell’intero

percorso didattico.

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Riflessioni conclusive

L’esperienza didattica condotta si è rivelata proficua e ha rappresentato un momento

importante di approfondimento letterario e linguistico, nell’ottica di un accostamento

consapevole da parte dei ragazzi alla complessità del patrimonio culturale antico.

In particolare gli studenti hanno mostrato un buon livello di interesse per le attività centrate

sui concetti di “intertestualità” e di “genere”, mentre le difficoltà maggiori sono state sollevate

dalla componente strettamente linguistica dell’itinerario proposto: la fatica della traduzione

sembra costituire un ostacolo sempre più insormontabile per buona parte degli allievi, come

emerge chiaramente dalle risposte date al questionario di monitoraggio loro somministrato. Molti

hanno infatti dichiarato di apprezzare lo studio della letteratura, mentre hanno invece rivelato

una certa diffidenza nei confronti della lingua, che pone problemi di decodificazione e di analisi

morfo-sintattica. Un ruolo non sottovalutabile in questo senso sembra essere giocato dalle risorse

messe a disposizione da Internet che, se da un lato offre infinite occasioni di ricerca, dall’altro

garantisce ai ragazzi l’immediata reperibilità dei testi latini già completamente tradotti.

Su tale punto occorrerebbe discutere con serietà, cercando delle soluzioni che tengano conto

dell’attuale situazione di policentrismo culturale, senza tuttavia sacrificare l’importanza

dell’incontro diretto degli alunni con l’opera letteraria. A questo proposito preme sottolineare

come il momento dell’analisi testuale riesca, pur nelle difficoltà oggettive poco sopra elencate, a

coinvolgere gli studenti e a far loro assaporare la specificità dei meccanismi stilistici e retorici

della poesia: gli allievi hanno fornito da questo punto di vista numerose conferme, a

testimonianza dell’attenzione con cui essi guardano alle attività di comprensione e di

interpretazione dei testi letterari, soprattutto quando risultino condotte in modo rigoroso ma

coinvolgente (ad esempio ricorrendo al lavoro cooperativo oppure puntando sul valore aggiunto

costituito dal confronto tra autori ed opere di differenti epoche storiche). Sono convinta che su

questa strada sia possibile trasmettere agli studenti il piacere derivante dalla lettura del testo

poetico che, al di là della complessità linguistica, può offrire molteplici opportunità di

approfondimento personale e critico, ponendosi non come una presenza oscura e incomprensibile

che si è in qualche modo costretti a studiare, ma come un prodotto del lavoro creativo umano da

esaminare, scomporre e interrogare a più riprese e da differenti prospettive.

Il lavoro condotto ha inoltre richiesto da parte mia molteplici interventi di sintesi e di

riorganizzazione delle informazioni fornite agli studenti, che non sempre si sono rivelati in grado

di interloquire in modo pertinente e soprattutto di recuperare in forma sistematica le proprie pre-

conoscenze. Tali difficoltà sono state tuttavia superate sfruttando le potenzialità insite nella

tecnica del brainstorming, che consente di puntare sulla condivisione delle risorse conoscitive,

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permettendo a ciascuno di contribuire alla discussione attraverso il suo personale apporto ed

eventualmente di attivarsi per correggere, arricchire o integrare i commenti dei compagni.

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Verifica e valutazione

Il presente intervento didattico ha previsto, pur nella sua brevità, numerose e differenziate

occasioni di verifica, rispondenti a diverse logiche valutative:

• verifica formale in itinere, con funzione formativa, in cui è stato valutato il lavoro di

traduzione dell’elegia II, 7 assegnato come compito a casa;

• verifiche informali in itinere, con funzione formativa, in cui sono stati valutati il grado di

attenzione e di partecipazione dei ragazzi, la prontezza nel rispondere ai quesiti posti nelle

diverse fasi della lezione, la capacità di formulare domande pertinenti e di intervenire

costruttivamente;

• verifica formale conclusiva, con funzione sommativa.

La prova di verifica sommativa

La prova di verifica sommativa finale risponde all’esigenza di sottoporre

contemporaneamente a controllo differenti dimensioni dell’apprendimento, privilegiando,

accanto all’acquisizione delle fondamentali conoscenze linguistico-letterarie relative all’autore e

ai testi presi in esame, le competenze e le capacità di analisi, di sintesi, di giudizio critico, di

traduzione, di applicazione, di esposizione. La verifica si rifà nel complesso alle caratteristiche

metrologiche delle prove semi-strutturate e si compone di cinque items di diversa tipologia:

• un esercizio di traduzione dal latino all’italiano, relativo ad un componimento (l’elegia I, 1 di

Properzio) che era già stato letto e tradotto collettivamente in classe. Trattandosi di un testo

noto ai ragazzi si è stabilito di non concedere loro l’utilizzo individuale del vocabolario (essi

potevano consultare esclusivamente un dizionario lasciato a disposizione sulla cattedra).

Anche per quanto riguarda l’attribuzione dei punteggi, si è scelto di considerare la specificità

dell’attività proposta: a differenza delle versioni tradizionali, in cui si richiede solitamente agli

allievi la traduzione con vocabolario di un brano incontrato per la prima volta, era invece qui

necessario sondare abilità di natura differente, riguardanti non solo il corretto riconoscimento

delle principali strutture morfo-sintattiche, ma anche l’appropriatezza della resa linguistica, la

comprensione e l’interpretazione globale del testo, l’acquisizione del lessico specifico del

genere poetico considerato, l’espressività e la coerenza complessiva. Sulla base di tali ragioni

si è deciso di assegnare 1 punto ad ogni verso da tradurre (per un totale di 8 punti), stabilendo

fin da subito che, al momento della correzione, il punteggio pieno sarebbe stato riconosciuto

soltanto a chi avesse elaborato una traduzione precisa, equilibrata ed efficace di ogni verso.

Per evitare il rischio di scambiare per ottima una traduzione in realtà imparata

meccanicamente a memoria da un alunno, si è poi ritenuto opportuno completare l’esercizio

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con alcune domande di tipo linguistico-grammaticale (per un totale di 7 punti), volte a

verificare la comprensione dei costrutti e delle peculiarità retoriche e stilistiche della lirica

considerata;

• una domanda di analisi testuale (vincolata in termini di estensione), riguardante lo stesso

brano dell’item precedente, in cui è richiesta agli alunni sia la messa in gioco delle nozioni

apprese a proposito della concezione dell’amore elegiaco sia l’attivazione di più articolati

processi di lettura, di applicazione delle conoscenze, di ricerca linguistica e tematica. Il

punteggio complessivo di 15 punti risulta così suddiviso: conoscenze (3 p.) - esposizione (2

p.) - analisi (5 p.) - sintesi (5 p.);

• tre domande a risposta aperta, vincolate in termini di estensione e centrate sugli aspetti più

significativi affrontati durante le lezioni: la figura di Cinzia (domanda 3), l’«integrazione

difficile» di Properzio (domanda 4), la funzione “formante” dei generi letterari (domanda 5).

L’attribuzione dei punteggi, stabilita tenendo conto della difficoltà degli argomenti, del tempo

ad essi dedicato in termini di spiegazione e discussione in classe, della complessità delle

conoscenze e delle competenze da mobilitare, può essere così riassunta: 5 punti per la

domanda 3 (conoscenze 3 p. - esposizione 2 p.), 10 punti per la domanda 4 (conoscenze 3 p. -

esposizione 2 p. - sintesi 5 p.), 15 punti per la domanda 5 (conoscenze 3 p. - esposizione 2 p. -

analisi 5 p. - sintesi 5 p.).

La prova prevede un totale di 60 punti, con una certa prevalenza della componente di

riflessione letteraria rispetto a quella di traduzione e di analisi linguistica. La prova

somministrata alla classe è la seguente:

1) Traduci in modo sostanzialmente letterale i seguenti versi: p. 8 Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis,

contactum nullis ante cupidinibus. Tum mihi constantis deiecit lumina fastus

et caput impositis pressit Amor pedibus, donec me docuit castas odisse puellas

improbus, et nullo vivere consilio. Et mihi iam toto furor hic non deficit anno,

cum tamen adversos cogor habere deos.

Rispondi brevemente alle seguenti domande: - miserum me: che figura retorica è? p. 1 - Che valore ha constantis fastus? Da quale sostantivo dipende? Di quale figura retorica si tratta? p. 1 - Quale proposizione è introdotta da donec? p. 1 - Come è costruito il verbo doceo nel testo considerato? p. 1 - Individui nel testo anastrofi e/o iperbati? Elencale e spiega quale funzione svolgono queste figure retoriche nella poesia properziana. p. 3

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2) Soffermati nuovamente sui versi presentati nella domanda precedente. In che modo viene

concepito dall’autore il sentimento d’amore? Analizza il lessico utilizzato e individua i termini (nomi, verbi, aggettivi) e le immagini che, a tuo parere, contribuiscono a chiarire il problema.

(max 20 righe) p. 15

3) Come viene rappresentata la figura di Cinzia all’interno del canzoniere properziano? Nella risposta fai esplicito riferimento ai testi presi in esame in classe durante il lavoro di gruppo, soffermandoti sia sulle caratteristiche esteriori sia su quelle interiori e psicologiche del personaggio.

(max 10/12 righe) p. 5

4) Antonio La Penna, alludendo ai rapporti intrattenuti da Properzio con la politica culturale augustea, ha parlato di «integrazione difficile». Spiega e commenta il significato di questa espressione, partendo dai toni apertamente provocatori di II, 7 fino ad arrivare alla svolta rappresentata dalle elegie eziologiche.

(max 20 righe) p. 10 5) Ripensa all’elegia IV, 9: quali caratteri possiede la raffigurazione del dio Ercole? In che senso

la lettura di questo componimento ci permette di riflettere sulla funzione “formante” dei generi letterari?

(max 15 righe) p. 15

Al fine di garantire l’obiettività e la coerenza della correzione degli elaborati prodotti dagli

studenti, al momento della costruzione della prova di verifica è opportuno stabilire, per le

domande di letteratura e di analisi testuale, gli elementi essenziali necessariamente richiesti nelle

risposte, graduando in base al loro riscontro (oltre che alla completezza, all’approfondimento e

alla rielaborazione personale) il punteggio da attribuire all’interno del range prestabilito per

ciascun quesito:

Domanda

Elementi essenziali richiesti nella risposta

2 • concezione assoluta e totalizzante dell’amore, che fa della puella non solo l’oggetto esclusivo della passione del poeta, ma anche la sua unica fonte di ispirazione (il nome di Cinzia apre significativamente la raccolta);

• concezione dell’amore come sofferenza, che conduce ad una totale sottomissione nei confronti della persona amata (motivo del servitium amoris). Riferimento alle seguenti espressioni-chiave: aggettivo miser - verbo cepit. Riferimento all’immagine di Amore che, come uno spietato vincitore, schiaccia sotto i piedi il prigioniero sconfitto (l’aggettivo improbus ne sottolinea l’estrema crudeltà);

• concezione dell’amore come malattia e come ferita. Riferimento al participio contactum e alla sua duplice traduzione (“ferito”, ma anche “colpito”);

• concezione dell’amore come follia, che induce il poeta a rifiutare i valori della morale tradizionale e a vivere in uno stato di dissolutezza. Riferimento alle seguenti espressioni-chiave: sostantivo furor - espressione nullo vivere consilio - espressione castas odisse puellas.

3 • bellezza ed eleganza di Cinzia, che affianca all’avvenenza esteriore il fascino della cultura, della raffinatezza e della mondanità (con riferimento a II, 2 o a II, 3a);

• idealizzazione della puella attraverso il costante rimando al mito;

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• atteggiamento energico e indipendente della puella, che si comporta spesso come una domina autoritaria e irascibile ( III, 8);

• infedeltà di Cinzia (II, 9); • avidità di Cinzia (II, 16).

4 • problematicità dei rapporti intrattenuti da Properzio con la politica culturale augustea. Riferimento a II, 7: circostanze di stesura della lirica - tono provocatorio utilizzato dal poeta - rifiuto dei doveri militari spettanti al buon cittadino romano - stretta coincidenza tra scelta d’amore, scelta di vita e scelta di poesia;

• sollecitazioni provenienti da Augusto e da Mecenate per indurre Properzio a coltivare una poesia di più alto impegno civile;

• progressivo (ma non irreversibile) distacco dall’eros; • elaborazione di un programma di poesia eziologica (mirante a celebrare il

patrimonio delle antiche leggende romane) e suoi fattori di ambiguità: natura “bifronte” di IV, 1 - compresenza nel quarto libro di intenti eziologici e tematiche amorose;

• carattere incompleto e parziale dell’integrazione di Properzio al regime: non viene raggiunto un punto di equilibrio, il suo percorso è scandito da incertezze e recusationes.

5 • caratteri della raffigurazione del dio Ercole: umanizzazione e abbassamento (particolari della sete, della barba coperta di polvere, delle parole minora deo rivolte alle donne, dell’atteggiamento da “brava fanciulla” assunto durante la schiavitù presso Onfale) - assimilazione all’immagine topica dell’innamorato deluso che pronuncia il suo lamento davanti alla porta chiusa della puella (paraclausíthyron) - esiti comici e, per certi versi, grotteschi della raffigurazione;

• confronto con il ruolo attribuito dall’ideologia augustea ad Ercole (eroe divinizzato della religione ufficiale) e con la rappresentazione alta e solenne proposta da Virgilio nel libro VIII dell’Eneide;

• riflessione sulle trasformazioni che una figura emblematica come quella del dio Ercole subisce nel passaggio da un genere letterario all’altro: i generi adattano alle proprie caratteristiche costitutive la materia trattata, la adattano ai propri elementi fondanti (in termini sia contenutistici sia stilistici).

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Allegato 1

Giovanna Garbarino

Properzio e la «domina»: l’amore come dipendenza (pp. 172-189)

Nell’accettazione volontaria del servitium amoris da parte dell’uomo, nell’assunzione di un

atteggiamento di totale sottomissione e subordinazione alla donna, molti studiosi, soprattutto

recenti, hanno creduto d’individuare una concezione del tutto nuova, nella cultura antica, del

rapporto di coppia, all’insegna di una inversione dei ruoli tradizionali maschile e femminile, con

l’abdicazione e la rinuncia da parte dell’uomo alla sua universalmente riconosciuta superiorità e

supremazia, e l’attribuzione alla donna di una posizione preminente ed egemone: un

atteggiamento anticonformista rispetto agli schemi e ai valori dominanti, addirittura

rivoluzionario secondo l’interpretazione di chi, come una studiosa americana, Judith P. Hallett,

definisce il ruolo della donna nell’elegia romana una forma di «controcultura» di stampo quasi

femminista.

Non si può negare che, almeno a prima vista, il rapporto di coppia, così come si configura in

Properzio, appaia fortemente squilibrato a favore della donna, non solo padrona autoritaria,

esigente, dura, tanto severa da tener lontano l’amante per un intero anno in seguito ad un unico

fallo; crudele, superba, ingiusta, ferrea: «quanti doni le ho fatto, quali poesie le ho scritto! Ma lei,

di ferro, mai mi ha detto: ti amo».13 E non basta: oltre al carattere indocile, anzi aspro e ribelle,

(…) la donna risulta anche volubile e infedele, di fronte ad un uomo che non solo ne tollera i

tradimenti, ma per parte sua dichiara ad ogni piè sospinto la propria indefettibile fedeltà (…).

In effetti ciò non corrisponde per nulla al cliché tradizionale del rapporto uomo-donna, anzi

ne costituisce un rovesciamento, prima di tutto perché indica nella donna e non nell’uomo

l’elemento forte della coppia e riduce l’uomo ad una posizione subordinata e «passiva» (nel

senso che egli è costretto a subire ciò che la donna gli impone), ma poi anche perché attribuisce

all’uomo un atteggiamento ritenuto comunemente (e fino a tempi molto vicini a noi) tipicamente

femminile: cioè la consacrazione totale all’essere amato, la dedizione assoluta all’amore vissuto

come un’occupazione a tempo pieno, che basta da sola a riempire l’esistenza e a darle valore.

Qui invece è l’uomo e non la donna che vive in funzione del partner, mentre la donna appare più

indipendente, più intraprendente ed attiva: è lei e non l’uomo ad avere una vita propria, che

l’altro può solo condividere o subire, soffrendo di sentirsene escluso.

Tuttavia la portata, a prima vista radicalmente innovativa, di questa impostazione viene

immediatamente ridimensionata se noi situiamo il rapporto Cinzia-Properzio nel suo contesto

letterario, cioè all’interno della concezione dell’amore peculiare del genere elegiaco. Diventa

13 II, 8, vv. 11-12: «munera quanta dedi vel qualia carmina feci! / Illa tamen numquam ferrea dixit “amo”».

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subito evidente, infatti, che l’asservimento del poeta a una domina tirannica, dura e infedele, è

funzionale a quello che è certamente il tratto più caratteristico e «pertinente» dell’amore

elegiaco: la sofferenza dell’innamorato. L’elegia latina è il luogo letterario dell’infelicità

amorosa. (…) La donna deve essere indifferente, riluttante, volubile e infedele perché il poeta

abbia materia per poter effondere in versi le sue pene amorose e perché i rari momenti di felicità,

che nascono dall’amore finalmente corrisposto e appagato, appaiano più preziosi e assumano

maggior risalto proprio per la loro eccezionalità e precarietà.

(…) Il personaggio di Cinzia, che emerge dal testo con una sua fisionomia nel complesso

abbastanza precisa e coerente, corrisponde senza alcun dubbio ad un tipo di donna effettivamente

esistente nella società romana del I secolo a.C.: una donna spregiudicata, dedita ad un’intensa

attività mondana, libera, secondo ogni verosimiglianza, da vincoli coniugali, libera di preferire

un amante all’altro, poiché la sua bellezza e il suo fascino le garantiscono ampie possibilità di

scelta; non libera né emancipata se nel concetto di libertà e di emancipazione noi includiamo,

secondo la nostra mentalità di uomini e donne di oggi, l’indipendenza economica: mi sembra

fuor di dubbio infatti che Cinzia sia rappresentata da Properzio come una cortigiana, sia pure di

lusso, una donna che si fa mantenere dagli uomini, a cui un pretore appena tornato dall’Illiria

appare maxima preda,14 e che, c’informa il poeta, non manca mai di soppesare accuratamente la

borsa dei suoi amatores.

Intendiamoci, anche questo tratto, la venalità della puella, è funzionale alla poesia, perché

comporta che l’amore del poeta sia sempre insidiato e minacciato da rivali ricchi, e consente lo

sviluppo delle contrapposizioni topiche ricchezza-amore e ricchezza-poesia. E’ chiaro infatti che

l’amante elegiaco non può risolvere i suoi problemi di cuore con il denaro, come fa talora

l’ adulescens della commedia (…); sarebbe troppo facile, e del tutto in contrasto con la

concezione dell’amore propria dell’elegia. Perciò il poeta, che nella realtà non era affatto povero

– se poteva permettersi, anche prima di ottenere la protezione di Mecenate, di vivere di rendita, a

Roma, frequentando un circolo di amici aristocratici -, deve presentarsi sprovvisto di mezzi

economici e ricco solo della sua passione e della sua poesia, grazie alle quali prevale, in qualche

fortunata occasione, sull’antagonista dives.

(…) Cinzia appare fornita di tutte le qualità atte a suscitare un amore intenso e appassionato:

bellezza mirabile, fascino sconvolgente, sensualità e passionalità ardenti, incostanza e volubilità

che, rendendone il possesso sempre sfuggente e insicuro, mantengono vivo, anzi esasperato il

desiderio, pienamente appagato solo in rari momenti di grazia. Ma non è tutto: Cinzia è definita

più volte docta puella, conosce tutte le arti non solo di Venere ma di Minerva, sa danzare e

suonare la lira divinamente, scrive versi che stanno alla pari con quelli di Corinna; per le sue doti

14 II, 16, vv.1-2: «Praetor ab Illyricis venit modo, Cynthia, terris, / maxima preda tibi, maxima cura mihi».

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intellettuali e culturali, per la sua competenza e il suo gusto, ella costituisce il pubblico ideale e il

giudice perfetto della poesia d’amore a lei dedicata.

Si può notare che anche sotto questo punto di vista la raffigurazione di Cinzia risponde a

precise esigenze letterarie: se la durezza e l’infedeltà della domina sono funzionali alla

concezione elegiaca dell’amore come sofferenza, la valorizzazione e l’idealizzazione della

puella, spinte talora fino alla divinizzazione, devono giustificare, o almeno rendere più credibile,

quella dedizione assoluta ad un amore travolgente e totalizzante che non solo comporta la

rinuncia alla carriera politica e a una vita «regolare», ma condiziona interamente anche le scelte

poetiche (…). Insomma, il personaggio di Cinzia è quello della donna irresistibile e fatale, che

desta folli passioni, che non si può non amare, anche se questo amore è irragionevole,

tormentoso e perfino rovinoso. E la relazione fra i due amanti si configura, come ho già detto,

come il tipico rapporto amoroso «assoluto» o libero, il grande amore, la passione, per così dire,

allo stato puro, basata esclusivamente sul desiderio e sui sentimenti. In questa coppia, priva di

condizionamenti tradizionali costituiti in primo luogo dalla soggezione della moglie al marito,

sancita ufficialmente dal diritto e dalla consuetudine, la donna può avere un ruolo pari a quello

dell’uomo, anzi può assumere, come abbiamo visto, una posizione preminente quando, come nel

caso di Cinzia, ama di meno e dunque meno dipende psicologicamente dal partner. Al tempo

stesso però il rapporto, in assenza di legami oggettivi ed esteriori, che sono sì dei vincoli, ma

anche dei puntelli e dei sostegni, risulta instabile e precario, affidato unicamente al gioco

mutevole degli affetti e alle intermittenze della passione. Esso tende alla reciprocità ma non

riesce a raggiungerla; è pieno di squilibri e di tensioni, sempre sull’orlo della crisi o della rottura,

a causa del suo carattere fortemente antagonistico e conflittuale.

E’ significativa a questo proposito la frequenza con cui nelle elegie vengono applicate

all’amore immagini e metafore attinenti alla guerra e alla lotta, secondo un uso topico che dà

espressione, oltre che al violento desiderio del possesso fisico, ad un altro tratto caratteristico

della passione amorosa: la competitività, l’aggressività, la tendenza alla sopraffazione reciproca

(…).

Antonio La Penna

L’integrazione difficile: un profilo di Properzio (pp. 210-213)

E’ proprio il fascino mondano di Cinzia che evoca la bellezza misteriosa del mito: il poeta è

conquistato non tanto dal viso in cui si fondono perfettamente il colore roseo col colore candido,

dai capelli che inondano il collo liscio, dagli occhi fiammeggianti come astri, quanto dal suo

modo di danzare, che evoca la mitica Arianna lanciata freneticamente nei cori bacchici, dalla sua

abilità nel suonare la lira, dalla sua raffinata poesia. Cinzia rientra in un tipo di donne raffinate e

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viziose e di cortigiane, non raro a Roma verso la fine della repubblica, in cui il fascino dell’arte e

della cultura ha un peso importante. E’ dopo averla presentata in questa brillante luce mondana

che il poeta la celebra come creatura di origine divina, come una nuova Elena, la cui bellezza

può anche essere funesta. Lusso raffinato, cultura, arte della voluttà, ardore si mescolano in

un’atmosfera unica nei vari quadri che dipingono Cinzia nei suoi vari atteggiamenti all’inizio del

proemio del secondo libro (va ricordato che le prime tre elegie di questo libro sembrano formare

un blocco abbastanza unitario).

(…) Ad ogni modo, è lo splendore mondano che si trasfigura in luce divina: la nuova Elena

incede nelle sale lussuose confondendosi con le divinità e le eroine che ne adornano le pareti

affrescate. E’ in questa luce, mi pare, che la «divinizzazione» della donna va collocata. La vita

quotidiana è illuminata, ma non dimenticata, sicché i dettagli che la richiamano non stonano.

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Allegato 2

Gruppo I: il fascino di Cinzia

II, 2 L’elegia si risolve in un inno alla bellezza di Cinzia, forse la donna cantata con maggiore

passione in tutta la letteratura latina. L’apparizione di lei è una vera e propria epifania: non a caso il poeta utilizza per celebrarla paragoni e confronti tratti dalla mitologia.

Liber eram et vacuo meditabar vivere lecto: at me composita pace fefellit Amor. Cur haec in terris facies humana moratur? Iuppiter, ignosco pristina furta tua. Fulva coma est longaeque manus et maxima toto corpore et incedit vel Iove digna soror, aut cum Dulichias Pallas spatiatur ad aras Gorgonis anguiferae pectus operta comis, qualis et Ischomache, Lapithae genus, heroine, Centauris medio grata rapina mero, Mercurio aut qualis fertur Boebeidos undis virgineum Brimo composuisse latus. Cedite, iam, divae, quas pastor viderat olim Idaeis tunicas ponere verticibus! Hanc utinam faciem nolit mutare senectus, etsi Cumaeae saecula vatis aget!

Ero libero e già pensavo di vivere con il letto vuoto ma Amore mi ingannò con quello stato di pace. Perché questa bellezza umana indugia sulla terra? O Giove, comprendo i tuoi furtivi amori di un tempo. Fulva la chioma, le mani affusolate, slanciata la figura, e incede quasi fosse la sorella di Giove, o come quando Pallade si reca agli altari di Dulichio, con il petto coperto dalle chiome viperee della Gorgone, o come l’eroina Iscomaca, della stirpe dei Lapiti, preda ambita dai Centauri, ebbri di vino, o quale Brimo che, nell’acqua sacra del Bobeide, si dice abbia abbandonato il virgineo fianco a Mercurio. Ritiratevi dalla gara, o dee, che il pastore vide una volta spogliarsi dei veli sulle vette dell’Ida! Voglia il cielo che la vecchiaia non muti il suo aspetto, anche se vivesse tutto il tempo della Sibilla di Cuma!

II, 3a, vv. 9-26 L’elegia è ancora incentrata sulla celebrazione di Cinzia, dei suoi pregi non solo fisici, ma di

quelle qualità che ne fanno una docta puella. Per questo è degna di essere affiancata alle figure del mito, una Elena tornata tra i mortali.

Nec me tam facies, quamvis sit candida, cepit (lilia non domina sint magis alba mea, ut Maeotica nix minio si certet Hibero, utque rosae puro lacte natant folia), nec de more comae per levia colla fluentes non oculi, geminae, sidera nostra, faces, nec si qua Arabio lucet bombyce puella (non sum de nihilo blandus amator ego): quantum quod posito formose saltat Iaccho, egit ut euhantis dux Ariadna choros, et quantum Aeolio cum temptat carmina plectro, par Aganippaeae ludere docta lyrae; et sua cum antiquae committit scripta Corinnae, carminaque illius a non putat aequa suis. Non tibi nascenti primis, vita mea, diebus candidus argutum sternuit omen Amor? Haec tibi contulerunt caelestia munera divi, haec tibi ne matrem forte dedisse putes.

Non fu il suo volto a conquistarmi, pur tanto luminoso, (i gigli non sono più candidi di lei, che su me impera, come se neve meotica s’accostasse al minio ibero, o come quando sul puro latte galleggiano petali di rosa), né fu la chioma, fluente come deve sul collo levigato, né gli occhi, luminosi gemelli, stelle nostre, né il suo rifulgere più d’ogni altra nella seta d’Arabia (non son uno che s’infiamma e lusinga per un niente, io): fu piuttosto perché danza con leggiadria, quando viene [versato il vino come Arianna, che guidi i cori delle Baccanti, e perché, quando accenna con il plettro eolio i canti, è esperta come suonasse la lira delle Muse;

e quando raffronta i suoi versi a quelli dell’antica Corinna, non ritiene i carmi di quella all’altezza dei propri. Forse ai tuoi primi giorni dopo la nascita, mia vita, non ti diede il fulgido Amore uno sternuto d’augurio? Questi doni celesti te li elargirono gli dei, non credere che te li abbia dati tua madre.

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Gruppo II: l’infedeltà di Cinzia

II, 9, vv. 1-39 In questa elegia viene affrontato il tema dell’abbandono e della solitudine: fedeli erano le

eroine del mito, Penelope e Briseide, in stridente contrasto con il comportamento di Cinzia, che non è stata capace di resistere neppure un giorno e si è concessa ad un uomo che l’aveva a suo

tempo abbandonata, dimentica di promesse e gratitudine.

Iste quod est, ego saepe fui: sed fors et in hora hoc ipso eiecto carior alter erit. Penelope poterat bis denos salva per annos vivere, tam multis femina digna procis; coniugium falsa poterat differre Minerva, nocturno solvens texta diurna dolo; visura et quamvis numquam speraret Ulixem, illum exspectando facta remansit anus. Nec non exanimem amplectens Briseis Achillem candida vesana verberat ora manu, et dominum lavit maerens captiva cruentum, propositum flavis in Simoente vadis, foedavitque comas, et tanti corpus Achilli maximaque in parva sustulit ossa manu; cum tibi nec Peleus aderat nec caerula mater, Scyria nec viduo Deidamia toro. Tunc igitur veris gaudebat Graecia nuptis, tunc etiam felix inter et arma pudor. At tu non una potuisti nocte vacare, impia, non unum sola manere diem! Quin etiam multo duxistis pocula risu: forsitan et de me verba fuere mala. Hic etiam petitur, qui te prius ipse reliquit: di faciant, isto capta fruare viro! Haec mihi vota tuam propter suscepta salutem, cum capite hoc Stygiae iam poterentur aquae et lectum flentes circum staremus amici? Hic ubi tum, pro di, perfida, quisve fuit? Quid si longinquos retinerer miles ad Indos, aut mea si staret navis in Oceano? Sed vobis facile est verba et componere fraudes: hoc unum didicit femina semper opus. Non sic incertae mutantur flamine Syrtes, nec folia hiberno tam tremefacta Noto, quam cito feminea non constat foedus in ira, sive ea causa gravis, sive ea causa levis. Nunc, quoniam ista tibi placuit sententia, cedam: tela, precor, pueri, promite acuta magis! Figite certantes atque hanc mihi solvite vitam! Sanguis erit vobis maxima palma meus.

Quel che è costui, lo sono stato anch’io: ma forse in un’ora sarà buttato fuori, e un altro ti sarà più caro. Penelope poté per due decenni vivere casta, ed era degna di avere molti pretendenti; poté con un falso lavoro rinviare le nozze, disfacendo con notturno inganno la tela tessuta di giorno; sebbene non sperasse di rivedere mai più Ulisse, divenne vecchia attendendolo sempre. Briseide, abbracciando il corpo esanime di Achille, si colpiva con mano folle il volto luminoso e lei, schiava, lavò piangendo il corpo insanguinato del suo [signore, adagiandolo nelle bionde correnti del Simoenta, coprì di cenere la chioma, e del possente Achille con il suo esile braccio sollevò il corpo e le imponenti [membra; allora, o Achille, né Peleo ti era accanto, né la cerula madre, né Deidamia di Sciro, dal letto abbandonato. Allora la Grecia si rallegrava di spose sincere, allora era fiorente la castità anche in guerra. Ma tu neanche una notte hai potuto stare in pace, empia, neanche un giorno sei rimasta sola! Non solo: avete vuotato le coppe tra molte risa, e forse anche malignamente sparlato di me. Ora ricerchi anche uno che ti ha lasciato per primo: vogliano gli dei che, presa da quest’uomo, tu ne goda! Era questo che formulavo come voto per la tua salute, quando il tuo volto era già toccato dall’ombra dello Stige, e noi amici stavamo in pianto attorno al tuo letto? Allora, per gli dei, costui dov’era, esisteva per te, o [crudele? Che sarebbe se in armi presso i lontani Indi io fossi [trattenuto o la mia nave fosse ferma nel mezzo dell’Oceano? Ma è facile per voi intessere parole con bugie: questa è l’unica arte che la donna ha imparato. Non mutano così le Sirti pericolose allo spirar dei venti, né tanto tremano le foglie al vento dell’inverno, quanto vacilla rapida ogni promessa nella donna irata, che sia grave il motivo, oppure sia lieve. Ora, poiché così hai deciso, mi farò da parte: ma voi, piccoli Amori, scagliate su di me dardi più aguzzi! Trafiggetemi a gara, da questa vita liberatemi! Il mio sangue sarà il vostro grande premio.

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Gruppo III: l’avidità di Cinzia

II, 16, vv. 1-26 e vv. 31-36 Occasione di questa elegia è il ritorno a Roma di un ricco spasimante di Cinzia. L’immediato tradimento della donna spinge il poeta ad una più generale considerazione sull’infedeltà e sul

potere corruttore del denaro.

Praetor ab Illyricis venit modo, Cynthia, terris, maxima praeda tibi, maxima cura mihi. Non potuit saxo vitam posuisse Cerauno? A, Neptune, tibi qualia dona darem! Nunc sine me plena fiunt convivia mensa, nunc sine me tota ianua nocte patet. Quare, si sapis, oblatas ne desere messis et stolidum pleno vellere carpe pecus; deinde, ubi consumpto restabit munere pauper, dic alias iterum naviget Illyrias! Cynthia non sequitur fascis nec curat honores, semper amatorum ponderat una sinus. At tu nunc nostro, Venus, o succurre dolori, rumpat ut assiduis membra libidinibus! Ergo muneribus quivis mercatur amorem? Iuppiter, indigna merce puella perit. Semper in Oceanum mittit me quaerere gemmas et iubet ex ipsa tollere dona Tyro. Atque utinam Romae nemo esset dives, et ipse straminea posset dux habitare casa! Nunquam venales essent ad munus amicae, atque una fieret cana puella dom; numquam septenas noctes seiuncta cubares, candida tam foedo bracchia fusa viro; non quia peccarim (testor te), sed quia vulgo formosis levitas semper amica fuit.

(...) Nullane sedabit nostros iniuria fletus? An dolor hic vitiis nescit abesse tuis? Tot iam abiere dies, cum me nec cura theatri nec tetigit Campi, nec mea mensa iuvat. «At pudeat». Certe, pudeat! Nisi forte, quod [aiunt, turpis amor surdis auribus esse solet.

Il tuo pretore, o Cinzia, dall’Illiria è arrivato poco fa, massima preda per te, massimo tormento per me. Non poteva rimetterci la vita sugli scogli cerauni? Ah, Nettuno, che offerte ti avrei portato! Adesso, senza me, s’imbandiscono festini con tavole ricolme, adesso, senza me, per tutta la notte la porta resta aperta. E allora, se sei furba, non lasciarti sfuggire il facile raccolto, tosa questa stupida pecora dal folto vello; poi, quando finirà i fondi e resterà in miseria, di’ che si imbarchi ancora per altre Illirie! Cinzia non segue i fasci dei littori, non si cura di titoli [d’onore, ma è speciale nel soppesare la borsa degli amanti. Venere, almeno tu, vieni in soccorso alla mia pena, negli incessanti amplessi fa’ che si scardini le ossa! Coi soldi, dunque, chiunque può comprare l’amore? Oh Giove, per un prezzo infame si perde la mia donna. Mi manda sempre sull’Oceano a cercar perle, e vuole che i miei doni arrivino da Tiro. Oh se a Roma nessuno fosse ricco, e anche il principe fosse pago d’avere una casupola di paglia! Mai per un dono si venderebbero le amanti, in una sola casa imbiancherebbe una fanciulla; mai giaceresti lontana da me per sette notti avvinta con le candide braccia ad un uomo tanto [disgustoso; e non perché ho mancato lo fai (tu lo sai bene), ma perché, è [noto, a donna bella fu sempre cara la leggerezza.

(...) Nessuna offesa porrà fine al mio pianto? Il mio amore non sa staccarsi dalle tue vergogne? Sono passati tanti giorni e non ho voglia di andare a teatro, né al campo Marzio, neppure la tavola mi attira. «Vergognati». Certo, dovrei vergognarmi! Ma, come dicono, un amore sbagliato sordo ha l’orecchio.

Gruppo IV: l’ira di Cinzia

III, 8, vv. 1-34 L’elegia si apre con l’immagine di una Cinzia che, furibonda per il vino, scaglia coppe e

rovescia tavole. Ma al poeta tutto ciò non dispiace: questi sono i segni di una passione vera, in amore la pace non esiste, o meglio è segno di un animo torpido.

Dulcis ad hesternas fuerat mihi rixa lucernas, vocis et insanae tot maledicta tuae, cum furibunda mero mensam propellis et in me proicis insana cymbia plena manu. Tu vero nostros audax invade capillos

Dolce fu per me ieri la rissa al lume della lanterna, e i tanti insulti della tua voce, folle d’ira, quando tu, furibonda per il vino, rovesciavi la mensa, e con gesto furente mi lanciasti contro coppe ricolme. Scagliati pure senza ritegno contro i miei capelli

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et mea formosis unguibus ora nota, tu minitare oculos subiecta exurere flamma, fac mea rescisso pectora nuda sinu! Nimirum veri dantur mihi signa caloris: nam sine amore gravi femina nulla dolet. Quae mulier rabida iactat convicia lingua, haec Veneris magnae volvitur ante pedes. Custodum gregibus circa se stipat euntem, seu sequitur medias, Maenas ut icta, vias, seu timidam crebro dementia somnia terrent, seu miseram in tabula picta puella movet, his ego tormentis animi sum verus haruspex, has didici certo saepe in amore notas. Non est certa fides, quam non in iurgia vertas: hostibus eveniat lenta puella meis! In morso aequales videant mea vulnera collo: me doceat livor mecum habuisse meam. Aut in amore dolere volo au audire dolentem, sive meas lacrimas sive videre tuas, tecta superciliis si quando verba remittis, aut tua cum digitis scripta silenda notas. Odi ego quos numquam pungunt suspiria somnos: semper in irata pallidus esse velim. Dulcior ignis erat Paridi, cum Graia per arma Tyndaridis poterat gaudia ferre suae: dum vincunt Danai, dum restat barbarus Hector, ille Helenae in gremio maxima bella gerit. Aut tecum aut pro te mihi cum rivalibus arma semper erunt: in te pax mihi nulla placet. Gaude, quod nulla est aeque formosa! Doleres, si qua foret: nunc sis iure superba licet!

e lasciami in viso i segni delle tue unghie leggiadre, minaccia di bruciarmi gli occhi lanciandomi del fuoco, stracciami la veste e denudami il petto! Questi per me sono chiari segni di una vera passione: senza un amore violento, la donna non si lamenta. Quella che lancia improperi con lingua rabbiosa poi si svoltola ai piedi della grande Venere. Sia che tenga intorno a sé, quando va per via, un gregge [di custodi, o proceda nel mezzo della strada come Menade invasata, o, paurosa, sia spesso sconvolta da sogni insensati, o si [commuova fino alle lacrime per una fanciulla dipinta in un quadro, di queste affezioni dell’anima io sono indovino verace: ho imparato che spesso questi sono i segni dell’amore. Non è sicuro l’amore che non si volge alle contese: tocchi un’amante torpida ai miei nemici! I miei compagni notino le mie ferite dai morsi sul collo: i lividi sian prova che ho avuto con me la mia donna. In amore io voglio soffrire o sentirti soffrire, vedere le mie lacrime o le tue, se talvolta col sopracciglio invii messaggi segreti, o tracci con le dita lettere silenziose. Detesto i sonni non mai turbati da un sospiro, vorrei sempre impallidire per l’ira della mia donna. Più dolce era per Paride l’amore quando fra l’armi greche poteva cogliere i piaceri della sua Tindaride. Mentre i Danai vincevano, mentre il feroce Ettore resisteva, egli nel grembo d’Elena combatteva le massime battaglie. O con te, o per te, con i rivali le armi per sempre incrocerò: con te non mi va bene la pace. Rallegrati: non ce n’è un’altra così bella, ti spiacerebbe se ci fosse: ma ora va’ giustamente superba!

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Allegato 3

Ludovico Ariosto, Sonetto XIII

Aventuroso carcere soave, dove né per furor né per dispetto, ma per amor e per pietà distretto

la bella e dolce mia nemica m’ave;

gli altri prigioni al volger de la chiave s’attristano, io m’allegro: ché diletto

e non martir, vita e non morte aspetto, né giudice sever né legge grave,

ma benigne accoglienze, ma complessi

licenzïosi, ma parole sciolte da ogni fren, ma risi, vezzi e giochi;

ma dolci baci, dolcemente impressi

ben mille e mille e mille e mille volte; e, se potran contarsi, anche fien pochi.