Ennio, Terenzio, Lucilio humanitas e la scoperta dei ...

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Collana di autori e testi latini Exemplaria Giulia Colomba Sannia S182 Ennio,Terenzio, Lucilio L’ humanitas e la scoperta dei valori dell’individuo

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Collana di autori e testi latini

Exemplaria

Giulia Colomba Sannia S182

Ennio, Terenzio, Lucilio

L’humanitase la scopertadei valoridell’individuo

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Collana di autori e testi latini

Exemplaria

Giulia Colomba Sannia

®

Ennio, Terenzio, Lucilio

L’humanitase la scopertadei valoridell’individuo

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Prima edizione: Gennaio 2006S182ISBN 88-244-7996-0

Ristampe8 7 6 5 4 3 2 1 2006 2007 2008 2009

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PremessaIn un bell’articolo del 1983, intitolato Il Latino che serve, attualissimo nella disarmante sinceritàcon cui è scritto, lo scrittore Luigi Compagnone affermava: «Io ho amato e amo il Latino…Seho amato e amo il Latino non è per merito mio. Il merito è della fortuna che come primoinsegnante di materie letterarie mi dette un professore che si chiamava Raffaele Martini… Lasua lezione era un colloquio vivo, un modo chiaro e aperto di farci capire il Latino che pernoi non fu mai una lingua morta. Perché lui sapeva rendere vivo tutto il vivo che è nel Latino.E nessuno non può non amare le cose vive che recarono luce alla sua adolescenza […]. Inuna società in cui le parole di maggior consumo sono immediatezza, praticità, concretezza,utilitarismo, la caratteristica del Latino è costituita dal “non servire” a nessunissima applica-zione immediata, pratica, concreta, utilitaria… [Il Latino] fa intravedere che al di là dellenozioni utili c’è il mondo delle idee e delle immagini. Fa intuire che al di là della tecnicae della scienza applicata, c’è la sapienza che conta molto di più perché insegna l’armonia delvivere e del morire. È una disciplina dell’intelligenza, che direttamente non serve a nulla, maaiuta a capire tutte le cose che servono e a dominarle e a non lasciarsi mai asservire ad esse[…]. La disgrazia più inqualificabile [per gli studenti] è essere stati inclusi negli studi classicisenza averne tratto nessun vantaggio intellettuale, la vera disgrazia è aver fatto gli studiclassici ritenendoli e mal sopportandoli come il più grave dei pesi… [perché] al tempo dellascuola tutto si è odiato, […] tutto è stato condanna e sbadiglio».Come dare, dunque, ai ragazzi un Latino che serve ed evitare che il suo studio sia noiae peso, un esercizio poco proficuo, un bagaglio di conoscenze sterili, di cui liberarsi presto,non appena si lascia la scuola, se non addirittura, subito dopo la valutazione?C’è una sola via che conduce all’amore per il Latino e quella via è costituita dalla letturadei testi in lingua originale, ma di quei testi che nei secoli hanno resistito alla selezionee in tutte le epoche sono apparsi imprescindibili. Non possiamo illuderci che la biografiadi un autore, un contesto storico, una pagina critica, un frammento di Nevio, un brano diAmmiano Marcellino possano avere lo stesso valore e la stessa funzione di una pagina diLucrezio o di Tacito, di Catullo o di Cicerone. Quella sapienza che insegna l’armonia delvivere e del morire, la quale costituisce il portato più alto della cultura classica, passad’obbligo attraverso la lettura di testi di altissima qualità. È la lingua latina, con laperfezione geometrica della sua struttura, con l’armonia delle sue assonanze, con laraffinatezza dei suoi accorgimenti retorici, a comunicare emozione e rigore logico, sensodel bello e razionalità, accendendo l’interesse dell’adolescente posto di fronte ai grandiinterrogativi della vita.Aver studiato il Latino, significherà, perciò, per i ragazzi, non tanto aver imparato labiografia di Cicerone o di Plauto o di Ovidio, o il contesto storico in cui essi hanno vissuto,ma aver meditato sulle loro parole. In tutte le epoche le loro opere sono state lette e rilette,

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4 Premessa

ricercate dagli umanisti in tutte le biblioteche d’Europa, riportate all’esatta lectio filologica,preservate dall’oblio dai monaci medioevali perché ricopiate con amore.Ci sono saperi che soltanto la scuola può dare, chiavi di lettura che solo da adolescentisi ricevono e che, una volta perduti o ignorati, non si recupereranno mai più. Uno studente,che non abbia letto nella lingua originale Virgilio o Lucrezio o Agostino o Tacito (comese non avrà letto Dante, Boccaccio e Ariosto), che non abbia acquisito sensibilità di lettoreattraverso la consuetudine con le analisi testuali, mai più potrà provare il brivido diemozione che la parola poetica comunica. Forse nel tempo, se e quando un’arricchitasensibilità adulta gli farà avvertire il bisogno di tornare al passato, ricercherà in traduzioneitaliana qualche autore particolarmente amato, come Seneca o Catullo. Ma, perché simanifesti questo desiderio, la scuola dovrà aver trasmesso almeno il senso dello studio dellatino, focalizzando l’attenzione su quello che è grande ed essenziale, evitando di fardisperdere energie ed interesse sull’inutile.Ci piace citare, a sostegno di quanto si è detto, le parole di Nuccio Ordine.Nel Convegno tenutosi a Roma dal 17 al 19 marzo 2005 sul tema «Il liceo per l’Europa dellaconoscenza», promosso da EWHUM (European Humanism in the World), Nuccio Ordine hausato parole che confermano, senza saperlo, quanto andiamo sostenendo da anni sulladidattica del Latino e che sentiamo il dovere di riportare per la profondità e la chiarezza delpensiero espresso:«Conoscere significa “imparare con il cuore”. E ha ragione Steiner a ricordarci che […]presuppone un coinvolgimento molto forte della nostra interiorità. In assenza del testo,nessuna pagina critica potrà suscitarci quell’emozione necessaria che solo può scaturiredall’incontro diretto con l’opera. […]. Nel Rinascimento (i professori) si chiamavano “lettori”,[…] perché il loro compito era soprattutto quello di leggere e spiegare i classici. […] Chiricorderà a professori e studenti che la conoscenza va perseguita di per sé, in maniera gratuitae indipendentemente da illusori profitti? Che qualsiasi atto cognitivo presuppone uno sforzoe proprio questo sforzo che compiamo è il prezzo da pagare per il diritto alla parola? Chesenza i classici sarà difficile rispondere ai grandi interrogativi che danno senso alla vitaumana? […]. Non è improbabile che le stesse biblioteche – quei grandi “granai pubblici”, comericordava l’Adriano della Yourcenar, in grado di “ammassare riserve contro un inverno dellospirito che da molti indizi mio malgrado vedo venire”, – finiranno a poco a poco, pertrasformarsi in polverosi musei. E lungo questa strada in discesa, chi sarà più in grado diaccogliere l’invito di Rilke a “sentire le cose cantare, nella speranza di non farle diventarerigide e mute”? “Io temo tanto la parola degli uomini./Dicono sempre tutto così chiaro:/ questosi chiama cane e quello casa,/ e qui è l’inizio e là è la fine/ […] Vorrei ammonirli: statelontani./ A me piace sentire le cose cantare./Voi le toccate: diventano rigide e mute./ Voi miuccidete le cose”».

Sulla base di questi presupposti teorici nasce l’antologia latina in fascicoli della collanaExemplaria che comprende autori e temi di tutta la letteratura latina. Ogni singolo volumecostituisce l’ossatura della storia letteraria e al tempo stesso una sorta di passaggio obbligatodella cultura, perché tutta la letteratura posteriore e tutta la cultura occidentale hanno avutocome fermo punto di riferimento questi autori. Ed essi sono diventati exemplaria appunto(da cui il titolo della collana), perché modelli da accettare o rifiutare, ma comunque coni quali necessariamente confrontarsi per capire il presente.La scelta dei testi è stata guidata, quindi, dall’esigenza di focalizzare l’attenzione deglistudenti sia sulla personalità dell’autore, sulla sua poetica, sul genere letterario privilegiato

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5Premessa

e sia, soprattutto, dal desiderio di suscitare l’amore per una lettura che aiuti a capire sestessi e la vita.È importante capire bene la struttura dei volumetti per poterla utilizzare al meglio. Ogniautore è introdotto dal paragrafo Perché leggerlo?, che consiste nella spiegazione, insintesi, delle qualità per le quali quell’autore è diventato famoso e merita lo studio.La vita e il contenuto delle opere hanno, poi, un piccolo spazio in quanto sono solofunzionali alla migliore ricezione dei testi. Non manca un paragrafo sul genere di appar-tenenza o sul tema topico relativo.Ogni singolo brano quindi è introdotto da una presentazione più o meno breve, perfornire immediatamente agli studenti le informazioni sul contenuto, seguito dalle note altesto, che propongono sempre la traduzione e commenti di carattere morfosintattico,mitologico e storico-culturale, e dall’analisi testuale che permette di cogliere il messaggiopoetico dell’autore, attraverso le strutture formali, stilistiche e letterarie, sia in rapporto aigeneri che alle connessioni intertestuali e intersegniche.A conclusione di ogni percorso didattico i Laboratori prevedono prove di verifica delleabilità e delle competenze acquisite sul modello della tipologia A (Analisi testuale) dellaprima prova (italiano) all’Esame di Stato, con la scansione consueta del Ministero, incomprensione, analisi, approfondimento. Poiché si tratta di lingua latina, l’analisi si dividein analisi morfosintattica sulle concordanze, sui casi ecc. e analisi semantica, sullo stilee sul linguaggio. L’approfondimento, talvolta, fa riferimento anche alla tipologia B o Ddell’Esame di Stato (saggio breve o trattazione generale). Lo scopo è stato quello di abituaregli studenti a un metodo che sappia distinguere le fasi del lavoro: comprendere, analizzare,sintetizzare, approfondire ecc. Non si è voluto rinunciare a momenti di creatività: si vedanogli esercizi “dare un titolo”, o “creare uno schema”, i confronti “intersegnici” ecc. Questotipo di esercizi nella prassi didattica si è sempre rilevato molto gradito agli studenti eutilissimo a stimolare la loro capacità di osservazione e la loro creatività.

Una coppa circondata da una coroncina di alloro contraddistingue alcuni testi e

prove di verifica di particolare complessità, che possono essere riservati a quegli alunni chemostrano il desiderio di approfondire o ampliare lo studio dell’argomento e voglianoperseguire l’eccellenza.Non mancano le Pagine critiche che offrono le interpretazioni di noti studiosi su aspettie tematiche riguardanti l’autore e la sua opera.I brani antologici sono accompagnati talvolta dai confronti intertestuali e intersegnici e dallarubrica Incontro tra autori in cui si confrontano due autori su differenti versioni di unmito o differenti interpretazioni di un personaggio storico. Personaggi storici, come Cesare,Bruto, Catilina, o mitici, come Orfeo, Medea, Cassandra, tanto per fare solo qualche nomemolto noto, oppure alcuni episodi famosi, ritornano nelle opere di autori diversi ed ogniautore li “legge” differentemente, secondo la sua sensibilità e il suo intento poetico. Il titolodella rubrica richiama una terminologia che si dice ucronica, da oúk + krónos («senzatempo»), cioè come se essi potessero, per assurdo, incontrarsi al di là delle loro epochestoriche e del contesto in cui vissero, per esprimere ciascuno di loro, nell’opera letteraria,il proprio pensiero sullo stesso tema.Chiude ogni singolo fascicolo il Vocabolario dei termini tecnici.

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IndicePremessa p. 3

Introduzione » 10

Pagine critiche: L’etica di Panezio (V. Guazzoni Foà) » 13

Ennio1. Perché leggerlo? » 152. Il genere letterario di appartenenza: l’epica » 153. La vita » 17T1 Fr. 17-18 Vahlen2: Epitafio » 17T2 Annales, 457-58 Vahlen2: Il sorriso di Dio » 18Pagine critiche: L’uso dell’allitterazione in Ennio (A. Grilli) » 20

Laboratorio » 22Prova di verifica 1 - Annales: fr. 3 Vahlen2 » 22Prova di verifica 2 - Phoenix: Scenica 300-03 Vahlen2 » 22Prova di verifica 3 - Annales: 156 Skutsch » 23Prova di verifica 4 - Annales: 175 Skutsch » 24Prova di verifica 5 - Fr. 210 Vahlen2 » 24Prova di verifica 6 - Annales: 310; 284, 277, 149-152 Vahlen2 » 25Prova di verifica 7 - Annales: 488s. Skutsch » 26Prova di verifica 8 - Annales: 485s. Skutsch » 27Prova di verifica 9 - Annales: 145 Skutsch » 27Prova di verifica 10 - Annales: 5-7 Vahlen2 » 28Prova di verifica 11 - Annales: 110-14 Vahlen2 » 29Prova di verifica 12 - Annales: 451 Skutsch; 408 e 242 Müller; 92 Skutsch » 29Prova di verifica 13 - Annales: 175-79 Skutsch » 30Prova di verifica 14 - Annales: 34-50 Skutsch » 32Prova di verifica 15 - Annales: 66-68 Skutsch » 36Prova di verifica 16 - Telamo: Scenica 316-18 Vahlen2 » 36Prova di verifica 17 - Scenica: 399-400 Vahlen2 » 37Prova di verifica 18 - Alexander: Scenica, vv. 35-46 Vahlen2 » 38Prova di verifica 19 - Alexander: Scenica, 63-71 Vahlen2 » 39

Terenzio1. Perché leggerlo? » 422. Il genere letterario di appartenenza: la commedia » 42

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3. La vita p. 444. La trama delle commedie » 45T1 Andria I, 28-92: L’humanitas del servo » 46T2 Andria II, 277-98: L’impegno d’amore » 52T3 Eunuchus III, sc. 5ª, 549-606: Una bravata per amore » 55T4 Eunuchus V, sc. 2ª, 848-81: Una cortigiana intelligente » 61T5 Hecyra IV, sc. 2ª, 577-606: La madre e il figlio » 64Incontro tra autori: Plauto e Terenzio: Genitori e figli (Asinaria III, sc. 1ª, 505-44;

sc. 3ª, 591-616) » 68Pagine critiche: La palliata e l’ideale dell’humanitas (A. Traina) » 73

Laboratorio » 76

Prova di verifica 1 - Eunuchus II, sc. 2ª, 232-54 » 76Prova di verifica 2 - Hecyra V, sc. 3ª, 816-40 » 78

T6 Phormio I, sc. 1ª, 35-50, sc. 2ª, 51-152, sc. 3ª, 153-78: Quando l’innamoramentoaltrui viene raccontato » 81

Pagine critiche: Il teatro rivoluzionario di Terenzio (L. Perelli) » 94

Laboratorio » 95Prova di verifica 1 - Adelphoe I, 97-104 » 95Prova di verifica 2 - Adelphoe IV, 737-41 » 96Prova di verifica 3 - Heautontimoroumenos I, sc. 1ª, 53-94 » 97Prova di verifica 4 - Analisi dei giudizi di Cesare e Cicerone su Terenzio » 100

Lucilio1. Perché leggerlo? » 1022. Il genere letterario di appartenenza: la satira » 1023. La vita » 103T1 Fr. 1326-38 Marx: In che cosa consiste la saggezza » 104T2 Fr. 504-05 Marx: La vanità delle donne » 106Pagine critiche: L’ humanitas di Lucilio (A. Pennacini) » 107

Il rifondatore della satira (M. Citroni) » 108

Laboratorio » 109Prova di verifica 1 - Fr. 243-46 Marx » 109Prova di verifica 1 - Fr. 1120 Marx » 109

Metrica » 111

Vocabolario dei termini tecnici » 115

Legenda:

T = testo con analisiC = confronto intertestuale o intersegnico

= testi o verifiche di particolare complessità per l’eccellenza

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•Ennio

•Terenzio

•Lucilio

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10 L’humanitas e la scoperta dei valori individuali

L’humanitas e la scopertadei valori individualiIntroduzione

L’humanitas è il tema che connota tutta la letteratura latina e si allunga perfino acomprendere quella cristiana, poiché racchiude in sintesi i valori supremi del mondo antico.Sul piano storico, bisogna dire che la parola humanitas compare solo nei testi dopo il Isecolo a.C. e, in particolar modo, nelle opere di Cicerone. Ma la cultura e la visione delmondo ad essa legate sono riconducibili al Circolo così detto degli Scipioni nel II sec. a.C.Scipione l’Emiliano, il figlio del vincitore di Pidna (168 a.C.), la battaglia con cui laMacedonia perdeva il possesso della Grecia conquistata dai Romani, condusse con sé ilfilosofo greco Panezio e lo storico Polibio e diede vita a una comunità di intellettuali, tracui Ennio, Terenzio, Lucilio, i quali fecero proprie le teorie filosofiche e storiche dei duesapienti greci.Anzi, il «manifesto» dell’humanitas, di solito si ritiene sia racchiuso nel famoso verso diTerenzio nell’Heautóntimoroúmenos. Al personaggio protagonista, Menedemo, che si affa-tica per punirsi di aver trattato male il figlio, il vicino Cremete chiede perché si comporticosì e, poiché Menedemo si meraviglia che qualcuno si interessi a lui, egli spiega: Homosum: nil humani a me alienum puto («Sono uomo e tutto ciò che riguarda l’uomo ritengoche mi appartenga e mi riguardi»). Ecco che in tal modo si delinea già il senso dell’humanitascome generosa comunicazione tra gli uomini, partecipe interesse a capire e conoscerel’altro. È Lucilio che in un famoso frammento di Satira (1327 ss.) dà molte definizioni divirtus, la sostanza stessa dell’humanitas: virtus […] est pretium persolvere verum quis inversamur quis vivimus rebus potesse («la virtù…è poter dare il giusto valore alle situazioniin cui ci troviamo e in cui viviamo»). Questa è una lezione di estrema saggezza: sapervalutare nella giusta misura il peso degli eventi.Ma fu Cicerone, soprattutto, che divulgò i princìpi dell’humanitas e le diede quell’impor-tanza straordinaria che rivestirà nel tempo. Non si potrebbe capire, infatti, il messaggio piùprofondo del mondo classico, senza far riferimento ai valori dell’humanitas.In che consiste, dunque, precisamente questa concezione?Nel cuore di ogni uomo – ritengono i sostenitori dell’humanitas – non c’è, come si credeoggi, e come purtroppo siamo indotti a verificare di continuo, un’irresistibile spinta versoil male. Al contrario, in ognuno esiste la virtus che fa di lui un vir appunto. La virtus nonè una sola qualità, il coraggio, come di solito si intende, ma un insieme complesso di valori:la bontà, la dignità, il rispetto di sé e dell’altro, la generosità, la magnanimità. È lamegalopsichía greca, la grandezza d’animo, la magnitudo animi, la mente aperta e serena,per cui il sapiens è homo prima che civis. Ogni creatura umana, perciò, porta in sé, inpotenza, queste qualità e suo compito nella vita è quello di tradurle in atto, realizzarle nellaprassi quotidiana. È evidente che si tratta del trionfo dell’individualità sulla collettività, maè altrettanto evidente che, senza un comportamento che inveri e giustifichi la grandezza

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11L’humanitas e la scoperta dei valori individuali

• Introduzione

interiore, non esiste virtus. Per il mondo greco l’uomo doveva essere kalòs kaí agatòs,«bello e buono», mostrare, attraverso «l’armonia, la gentilezza», in latino la comitas, ildecorum, l’eleganza suprema dell’aspetto fisico e della parola, tutta la grandezza del suoanimo. Di qui la ricerca del bello che in Grecia assume un valore altissimo. In Roma,invece, la kalokaiagatía sarà sostituita dall’impegno dell’homo/civis per il bene dello Stato.Del resto Polibio aveva sostenuto che per realizzare la perfezione interiore era necessariovivere in uno Stato giusto e solo Roma, attraverso le tre forme di governo che avevaelaborato (democrazia, oligarchia, diarchia), poteva permettere all’homo di manifestare eperfezionare la sua virtus. Con questa convinzione Cicerone riesce a coniugare mosmaiorum con humanitas.I valori del passato, che caratterizzavano appunto il mos maiorum mitico al tempo diCatone il Censore erano: la gravitas, l’honestum, la frugalitas, la pietas, la pudicitia, il labor,la constantia.Questi valori erano apparsi a Catone discordanti da quelli del Circolo degli Scipioni, perchéegli avvertiva il rischio che comportava per lo Stato l’affermazione della superiorità dell’homosul cittadino. Con Cicerone, invece, essi convergono a definire la dignità e la grandezzadell’individuo che l’humanitas sostiene. Si delinea, così, la fisionomia, – tutta ideale, si badibene – di un uomo grande, nobile, forte, che opera per il bene della comunità e che siriconosce nell’umanità tutta, senza confini geografici e senza limiti di alcun tipo.Sarà Seneca a trattare compiutamente il grande tema dell’humanitas, ma lo collegherà allafilantropía, all’amore universale per l’altro uomo, poiché il rapporto deteriorato tra il poteree gli intellettuali non consentirà più di considerare l’impegno politico come l’espressioneprivilegiata della virtus.Quando il cristianesimo sottrarrà la libertà di coscienza al controllo dello Stato, ritorneràil tema dell’humanitas arricchito di valori trascendenti. In fondo al cuore dell’uomo diràil cristianesimo non ci saranno solo qualità umane, laiche, ma ci sarà la voce di Dio chelo indirizza al bene, un bene superiore che può essere anche discordante da quello chepropone lo Stato. Si pensi all’obiezione di coscienza o al rifiuto di adorare l’imperatore, chei cristiani sostenevano fermamente e che costò loro il martirio e la morte. Sarà facile, peraltro, per gli scrittori cristiani, trovare nelle parole degli autori latini pagani quasi un’anti-cipazione dei concetti religiosi e la sempre ribadita superiorità dell’uomo su tutto l’universo.Ermete Trismegisto (uno pseudonimo che significa «tre volte saggio» per un autore scono-sciuto, forse del III sec. d.C.) a tal proposito dice: «Dominare le cose terrene, contemplandole cose celesti». Nell’Umanesimo gli scrittori italiani, seguaci convinti del pensiero classico,sosterranno che l’uomo è dominus dell’universo. La sua libertà di coscienza, il liberoarbitrio, anzi, diventa in Pico della Mirandola, famoso umanista fiorentino, il segno dellaregale superiorità dell’essere umano su tutte le altre creature viventi. In De hominisdignitate (20-23), egli fa dire da Dio ad Adamo: Medium te mundi posui, ut circumspiceresinde commodius quidquid est in mundo. Nec te caelestem, neque terrenum, neque mortalem,neque immortalem fecimus, ut tui ipsius quasi arbitrarius honorariusque plasmes et fictor,in quam malueris tute formam effingas. Poteris in inferiora quae sunt bruta degenerare,poteris in superiora quae sunt divina ex tui animi sententia, regenerari («Ti ho collocatonel mezzo della terra, perché tu potessi guardare intorno più comodamente quello che c’ènel creato. Non ti ho fatto né divino, né terreno, né mortale, né immortale, perché tu stesso,libero e sovrano artefice del tuo destino, ti formassi in quell’immagine che avrai scelto.Potrai degenerare negli esseri inferiori che sono bruti, o, a giudizio della tua mente, potraielevarti verso gli esseri superiori che sono divini»).

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12 L’humanitas e la scoperta dei valori individuali

• Introduzione

Con gli umanisti, giunge, così, alle estreme possibilità l’ideale dell’humanitas latina sia laicache religiosa: l’uomo sulla terra, libero e padrone di sé, è chiamato a diventare un esseresuperiore che deve dominare con la sua intelligenza divina, su tutte le altre creature viventi.La cultura dell’humanitas ritorna oggi con pressante necessità, tra gli orrori del male a cuisembriamo doverci assuefare. Dice, infatti, lo scrittore e giornalista Arrigo Levi che la «fedelaica nell’uomo» è la sola salvezza per il futuro dell’umanità. «Il mondo chiama – egliosserva – e noi non rispondiamo […]. Va diffusa la cultura dell’uomo che, mai, come oggiè allo stesso tempo la minaccia finale e la difesa finale contro la fine dei tempi» (Cinquediscorsi tra due secoli, Il Mulino, Bologna, 2004). E humanitas e fede cristiana si stringononel messaggio globale di Giovanni Paolo II, papa, poeta e teologo, capace di parlare ancoradell’uomo, creatura dotata di dignità e coraggio, perché riscattata da Dio, per un progettodi pace e di amore.

Lo schema che segue pone a confronto i valori del mos maiorum e quelli dell’humanitas, che,come si può notare, mostrano alcuni termini comuni che tuttavia subiscono un’estensionesemantica o un mutamento di senso, nel passaggio da una cultura all’altra. Soltanto conserva-no l’identico significato iustitia, fortitudo, probitas, honestum. Ed è interessante che siano«la giustizia, la forza, l’onestà e la rettitudine», cioè quei valori che si spendono sul sociale.

MOS MAIORUM HUMANITAS

Rei publicae servitium hominis servitium(servire la patria) (servire l’uomo)

pietas pietas(culto degli dei) (senso del divino)

fides fides(rispetto della parola data) (lealtà)

auctoritas auctoritas(rispetto dell’autorità) (autorevolezza)

gravitas philantropia(severità) (amore per l’umanità)

pudicitia libertas(pudore) (femminile) (libertà)

frugalitas liberalitas(parsimonia) (generosità)

simplicitas modestia(semplicità) (senso della misura)

temperantia temperantia(moderazione) (equilibrio interiore)

iustitia iustitia(giustizia) (giustizia)

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13L’humanitas e la scoperta dei valori individuali

• Introduzione

fortitudo fortitudo(forza) (forza interiore, coraggio)

constantia benevolentia(fermezza) (amorevolezza)

concordia concordia(concordia tra i cittadini) (concordia tra gli uomini)

probitas probitas(rettitudine) (rettitudine)

industria otium(operosità) (pausa, riflessione filosofica)

honestum honestum(onestà) (onestà)

sanctitas virtus(sacralità della famiglia) (valori interiori)

caritas caritas(amore per i propri cari) (pietà umana)

pagine criticheL’etica di Panezio

Nel brano che segue Virginia Guazzoni Foà spiega la filosofia di Panezio che a Roma diventa il fondamento dell’humanitas.

Nella sua etica Panezio attenua il ri-gore dello Stoicismo antico e mostracomprensione per i motivi umani pro-pri della cultura e dei costumi roma-ni: anche la salute e la forza fisicaservono alla felicità. Modifica la for-mula zenoniana di «vivere conforme-mente a natura», nell’altra di «vivereconformemente alle disposizioni po-ste in noi della natura» (to zên katatàs dedoménas kemîn ek physeosaphormás: CLEM, Strom. II, 129). Neenumera quattro: la disposizione delvivere in società; quella che ci portaa conoscere, l’altra che ci conduce adavere la prevalenza su tutto; da ulti-mo, la disposizione alla misura e al-l’ordine da seguire nella nostra vita.Esse non comportano limiti dal puntodi vista morale, anzi, sono necessarie

e vi si fondano le virtù cardinali; l’in-sieme forma un’armonia interna, unabellezza dell’anima, per cui Panezioidentifica, come già Platone, il benemorale con il bello.L’etica dell’antica Stoa si basava sul-l’eguaglianza di tutti gli uomini, pre-disposti dalla natura alle medesimevirtù; Panezio, aristocratico di nasci-ta, si mantiene tale anche nella suaconcezione etica. Egli parte dalla pre-messa opposta agli antichi stoici: sibasa sulla differenze degli uomini,dando così riconoscimento etico allapersonalità, senza tuttavia sminuirel’importanza della natura umana uni-versale. Ironicamente considera la fi-gura del saggio, come era stata deli-neata dall’antico Stoicismo, priva diogni tratto personale, un’astrazione,

che gli ripugna, orientato com’è al-l’uomo reale e alla sua attività prati-ca. Da qui la sua concezione del do-vere (kathékon) come l’azione in cuila ragione sovrana fissa alle disposi-zioni o istinti una misura, alla qualeessi ubbidiscano senza opporre resi-stenza (CIC., De Officiis I, 101).Panezio distingue tra l’«uomo priva-to» (idiótes) e l’«uomo politico» (po-litikós). L’uomo ha come due persone(prósopa): una «individuale» che lodistingue dai suoi simili e una «co-mune» o universale; quest’ultima ri-guarda la comunanza (koinonía) tragli uomini e tutti i doveri verso lacollettività; l’altra l’accordo (homolo-ghía) con se stessi; però, malgradoquesti due elementi, non si scinde lapersonalità umana. La prima linea di

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14 L’humanitas e la scoperta dei valori individuali

• Introduzione

condotta predomina nell’uomo politi-co che deve provvedere al bene ditutti e quindi deve portare l’accordocon se stesso sul piano della comuni-tà, trasformandola in concordia. An-che i filosofi aspirano allo stesso finedei re, a una vita senza padroni, allalibertà del «vivere come vuoi»; maanche se il filosofo può raggiungerenella sua vita privata tale fine, piùalta e feconda è la conquista dell’uo-mo di Stato che opera per l’utilità ditutti, a patto che abbia la convinzio-ne che il bello etico sia il vero van-taggio dell’uomo e possieda la ma-gnanimità (megalopsychía); ma lamagnanimità è morale solo se non

ubbidisce all’ambizione personale.Quindi è la «saggezza» (sophrosyne)che deve guidare l’uomo ed è essa ilpresupposto delle altre virtù. Chi gui-da il popolo, come aveva detto Plato-ne, deve subordinare gli interessi per-sonali, a quelli della totalità, ma puòfarlo solo se la sua vita riceve misuradal lógos.La figura dell’uomo di governo, comeè delineata da Panezio, è l’idealiz-zazione di Scipione, in cui egli vedevacongiunte la dignità esteriore e quel-la interiore.La perfezione dello Stato, dov’è possi-bile realizzare la più alta forma diumanità, è data dall’organizzazione

giuridica: «coetus multitudinis iurisconsensu et utilitatis communionesociatus». Questo concetto deriva aPanezio dal mondo romano, Paneziorimane fedele alla legge di natura chevincola tutti gli uomini e tutti gli sta-ti; accoglie da Aristotele la «costitu-zione mista» di governo; richiama l’at-tenzione sulla responsabilità moraleche comporta il dominio sugli altripopoli. Egli dà le premesse del con-cetto di humanitas, che sarà elabora-to da Cicerone.

(V. Guazzoni Foà, Storia del pensierooccidentale, vol. I, Marzorato, Milano)

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L’humanitas e la scopertadei valori dell’individuo

Ennio1. Perché leggerlo?

Ennius pater, Ennius et sapiens et fortis: così lo definisce Orazio (Ep. I, 19, 7, II, 1, 50) e poetamegregium Cicerone (Tusculanae III, 19,45) lo chiama come il primo poeta, quello che ha cantatonegli Annales in versi esametri l’epopea romana, l’Omero latino che ha dato voce alla fierezza di unapiccola città che si preparava a conquistare il mondo. Amico degli Scipioni e di Catone, Ennio sentel’orgoglio e la grandezza di Roma di cui celebra i valori del mos maiorum.Non ci restano che frammenti, ma è significativo che questi frammenti siano stati tramandati nellamaggior parte da Cicerone, l’autore latino che ha maggiormente esaltato il senso dello Stato e dellaromanità. Ci chiediamo, allora, perché leggerlo, dal momento che neppure un episodio degli Annalesci è giunto intero e che abbiamo sempre dichiarato che è il testo a interessarci non l’autore?In verità, perfino attraverso quei pochi esametri che possediamo, versi sparsi, smembrati, incompleti,si riesce a cogliere una novità di stile e una forza di sintesi che fanno di ogni frammento unmomento lirico, una fulminante intuizione poetica che si avvale di strumenti espressivi raffinati ene giustifica ampiamente la lettura. Del resto, nell’epica, da Lucrezio a Virgilio, non c’è stato scrittorelatino che non abbia riconosciuto in Ennio il suo modello di riferimento.

2. Il genere letterario di appartenenza: l’epica

L’epica è uno dei più importanti generi letterari del mondo classico. Il termine deriva da epos chesignifica parola, perché in origine era poesia recitata, cantata, il cui scopo era quello di celebrareazioni eroiche e leggendarie. Aristotele la paragona alla tragedia, in quanto esaltazione dei gestinobili dei personaggi, ma ne sottolinea la diversità, perché l’epica a differenza della tragedia, eracaratterizzata da un unico metro, l’esametro, il verso eroico tipico del genere, e perché nonesistevano limiti temporali nella narrazione.I modelli archetipici di epica, quelli a cui tutti gli autori successivi si rifaranno, per adeguarvisi o perrovesciarli, sono, come è noto, i poemi omerici, l’Iliade e l’Odissea, scritti tra il IX e il VII secolo a.C.attribuiti alla figura leggendaria di Omero il poeta cieco, ma composti in realtà forse da aedi ioniciper la recitazione e la trasmissione orale.Non è un caso che la letteratura latina inizi appunto con la famosa traduzione dell’Odissea compiutada Livio Andronico, ora andata perduta, ma studiata nelle scuole romane fino all’età augustea, secondola testimonianza di Orazio. Livio Andronico usò come verso il saturnio, allo stesso modo di Nevio nelprimo poema epico latino il Bellum Poenicum. Sarà Ennio, con l’introduzione dell’esametro nel suopoema gli Annales, a far conoscere il modello omerico agli scrittori romani. Lucrezio e Virgilio, coll’eposdella Natura il primo e con l’epos di Roma il secondo, daranno un carattere nuovo all’epica, fino ad

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• Ennio

Ovidio delle Metamorfosi e Lucano del Bellum civile o Pharsalia, che muteranno in modo significativoil genere, l’epos della metamorfosi l’uno, l’epos dell’eroe sconfitto, senza dei e senza gloria, l’altro.Ma quali sono dunque questi caratteri originari con cui gli scrittori posteriori si confronteranno percontinuità o rottura? Vediamoli in sintesi.

1. La narrazione di gesta eroiche, compiute da personaggi connotati dalle qualità topiche del-l’eroe classico: coraggio, audacia, prudenza, saggezza, bellezza, vigore fisico ecc.

2. La massa dei guerrieri, senza alcuna cittadinanza letteraria, che resta anonima ed insignificante.3. L’interazione continua tra divino e umano con l’intervento della divinità nelle azioni dell’uo-

mo. Il dio parla con l’eroe, lo rimprovera, lo incita, lo consiglia. Dei ed eroi hanno le stessepassioni e l’unico divario è nel diverso potere. L’eroe acquisisce, così, la stessa dimensionemitica del dio.

4. La caratteristica di sorgere alle origini di ogni cultura letteraria di un popolo.5. La celebrazione, quindi, delle reali vicende storiche del popolo a cui era diretta (per esempio

la fondazione di Roma nell’Eneide). La storia, però, è mescolata con le azioni divine e i fattileggendari, a sottolineare che il destino di un popolo dipende anche dalla volontà degli dei.

6. L’ascolto del proprio poema epico da parte di ogni comunità come strumento per rafforzare inogni popolo il ricordo del passato indefinito, leggendario, il passato assoluto secondo ladefinizione di Schiller, non suscettibile di analisi critica. Così, attraverso il canto, l’epos, èpossibile conservare la memoria delle proprie origini e dei valori comuni di riferimento.

7. La trasmissione di tutto il sapere giuridico, religioso, scientifico dell’epoca, a carattere enciclo-pedico, inserito nel racconto fantastico e, quindi, l’espressione dell’identità culturale di un’et-nia. Si pensi alla cultura greca dei poemi epici, a quella latina dell’Eneide ecc.

8. La ciclicità dei temi, quali la guerra di assedio, la prova, la battaglia decisiva, il tradimento delpersonaggio infido, la morte dell’eroe, i funerali solenni, la vendetta, il viaggio come nòstos(«ritorno») e come avventura ecc.

9. Lo spazio, teatro delle vicende, di solito costituito dal campo di battaglia, dalla reggia deisovrani, dal mare, dalla sede degli dei, quale simbolo, rispettivamente, delle gesta eroiche, delluogo del potere, del rischio, della decisione sul destino degli uomini.

10. Il personaggio protagonista «piatto», secondo la terminologia dello scrittore inglese EdwardForster, cioè che non cambia nel corso della narrazione perché incarna un’idea. A tal propositoM. Bachtin1 in Estetica e romanzo, osserva: «Il personaggio epico è del tutto compiuto econcluso. Egli è compiuto ad un alto livello eroico, ma è compiuto e esasperatamente completo,è tutto qui dal principio alla fine, coincide con se stesso è assolutamente uguale a se stesso.Inoltre egli è tutto esteriorizzato. Tra la sua vera essenza e la sua parvenza esteriore non c’èla minima divergenza. Egli è diventato tutto ciò che poteva essere ed egli poteva essere solociò che è diventato… Il punto di vista con cui egli guarda se stesso coincide interamente conquello da cui lo guardano gli altri, la società, il cantore, gli ascoltatori». Solo con Virgilio, cheinnova profondamente il modello omerico nell’Eneide, l’eroe, pur restando «piatto», il pius Enea,acquisisce una dimensione complessa attraverso l’ambiguità semantica del linguaggio, piùvicino a quello della lirica che dell’epica.

Durante il Medioevo, in un contesto storico e culturale cristiano dell’età carolingia, rinascerà ilpoema epico, quale epico cavalleresco, con le chansons de geste dei cavalieri della Tavola rotondae di Orlando, destinati a diventare modelli archetipici per l’Orlando furioso dell’Ariosto e per la

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• Ennio

Quinto Ennio nacque a Rudiae, vicino Taranto,nel 239 a.C. La sua esperienza culturale lo face-va vantare di avere tre cuori, tria corda, poichéconosceva tre lingue, il greco, l’osco e il latino.Partecipò alla seconda guerra punica e fu con-dotto da Catone il Censore dalla Sardegna aRoma dove aveva combattuto insieme ai Sardiin rivolta contro il fratello di Annibale. Benpresto Ennio acquistò la stima degli aristocratici,specialmente degli Scipioni. Aveva conoscenzadel pitagorismo e della letteratura greca, per cuisi propose il compito di dare ai Romani unacultura più alta e nuova. Morì a Roma nel 169.Scrisse commedie, tragedie (cothurnatae e prae-textae), Saturae (componimenti di argomentoe metro vario in 4 libri), Scipio un’operacelebrativa su Scipione, opere filosofiche dicontenuto pitagorico, un’opera gastronomical’Hedyphagetica: di tutte c’è rimasto solo qual-che scarso frammento.

La sua opera principale è Annales, il primopoema epico di Roma, in verso esametro e in18 libri. Ci restano molti versi, ma semprepochi rispetto alla mole dell’opera. È la cele-brazione della storia di Roma dalle originimitiche fino ai suoi tempi. La profonda am-mirazione che egli prova per Roma emergedal peso che egli dà alla leggenda dell’arrivodi Enea in Italia, della nascita di Romolo daMarte, dalla sua convinzione di essere Omeroredivivo, chiamato a cantare la gloria delpopolo romano. Nel proemio, infatti, narrache Omero gli era venuto in sogno e gliaveva svelato il segreto della metempsicosiper cui l’anima dopo la morte migrava dicorpo in corpo e quella di Omero era entratain lui.I versi rimasti spiegano il rispetto e la vene-razione che tutti gli scrittori posteriori hannonutrito verso di lui.

Fr. 17-18 Vahlen2: Epitafio

L’epitafio è la scrittura celebrativa che si pone sulla tomba del defunto. Molto spesso veniva scritto invita dalla persona stessa a cui doveva servire: famoso, ad esempio, è l’epitafio di Boccaccio in cui loscrittore dichiara il suo amore per la poesia, lo studium almae poesis. Quello che segue è il notissimoepitafio di Ennio.

Metro: distico elegiaco

Nemo me lacrumis decoret nec funera fletufaxit. Cur? Volito vivus per ora virum.

Nemo…faxit: «Nessuno mi onori di lacri-me e mi faccia il funerale col pianto».Lacrumis: arcaico per lacrimis, è ablativodi mezzo; fletu: ablativo di mezzo, dafletus (= «pianto»); faxit: arcaico perfecerit, congiuntivo esortativo con valo-re di imperativo, regge l’accusativo plu-rale funera, da funus. Funus è il funerale

solenne, diverso da exsequiae e pompache rappresentano l’accompagnamentofunebre. Notare la forte allitterazionefunera fletu faxit, a cui segue l’altra,volito vivus virum.Cur…virum: «Perché? Vado volando vivotra le bocche degli uomini».Volito: intensivo di volo-as (= «vola-

re»), indica l’andare volando qua e là;per ora: «attraverso le bocche»; ora: (daos-oris), metonimia per indicare gliuomini che parleranno di lui; virum:arcaico per virorum. Cfr. Virgilio, Geor-gica III, 9, che alludendo alla sua futu-ra gloria dice: Victorque virum volitareper ora.

Gerusalemme Liberata di Tasso e per tutti i rovesciamenti carnevaleschi che ne seguiranno (ilMorgante di Pulci, il Baldus di Folengo ecc.).

3. La vita

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• Ennio

Il noto epitafio sintetizza, in vigorose e secche affermazioni, l’orgoglio del poeta,la ferma consapevolezza di non morire, ma di restare vivus, perché gli uominicontinueranno a parlare di lui nel tempo. Sono le ora, le bocche dei posteri adargli vita. Tuttavia egli non dice “uomini” in senso generico, ma virum. Sono,infatti, per Ennio, solo gli uomini sensibili e attenti quelli che alimentano lapropria virtus, leggendo i poeti e nutrendosi delle loro parole.I lettori avvertono, di solito, un senso di fastidio di fronte ad affermazioni diquesto tipo che attraversano tutte le letterature di ogni tempo, come se il poetapeccasse di presunzione. Si deve, invece, comprendere bene che nessun poeta,nessun grande artista può ignorare di essere chiamato a qualcosa di misteriosa-mente sublime, quasi superiore alla sua stessa volontà la quale deve piegarsiall’urgenza dell’ispirazione. E non è un caso che gli antichi ritenessero che Apollo,il dio della poesia, facesse “violenza”, ispirando i poeti.Un esempio famoso, molto vicino al pensiero di Ennio, per questa ferma consape-volezza dell’eternità acquisita attraverso la propria opera, offre il Foscolo quando, neiSepolcri (vv. 224 ss.) chiede alle Muse di dargli l’eternità attraverso la sua poesia:

«E me che i tempi ed il desio d’onorefan per diversa gente ir fuggitivome ad evocar gli eroi chiamin le Musedel mortale pensiero animatrici.Siedon custodi dei sepolcrie quando il tempo con sue fredde alivi spazza fin le rovine, le Pimplee, fan lietidi lor canto i deserti e l’armoniavince di mille secoli il silenzio».

Ecco, il poeta qui si fa strumento, “oggetto” dell’ispirazione poetica: si noti a talproposito la forza semantica dell’anafora di me, complemento oggetto del perio-do, anticipato e in collocazione di rilievo. È così che il “silenzio dei secoli” èattraversato dalle parole di Ennio, come da quelle di Foscolo, senza che mille ocento anni possano incidere sull’“armonia” eterna della poesia.

Annales, 457-58 Vahlen2: Il sorriso di DioQuesto frammento molto breve ci sembra degno di particolare attenzione.

Metro: esametro

Iuppiter hic risit tempestatesque serenaeriserunt omnes risu Iovis onnipotentis.

testualeT1 Fr. 17-18 Vahlen2: Epitafio

Analisi

Iuppiter…risit: «Giove a questo punto sorrise».Il deittico hic ha una funzione temporalee spaziale insieme.tempestatesque…onnipotentis: «e l’ariaserena sorrise tutta del sorriso di Gioveonnipotente».Notare la figura etimologica e il polip-toto risit/ riserunt/ risu che marcano il

tema dei due versi. I polisillabi tempè-statèsque e ònnipotèntis fanno fermaresu di sé l’attenzione, attraverso la doppiabattuta dell’ictus metrico; tempestates:da tempestas è plurale, vox media e si-gnifica «stagioni», «tempi». È significati-vo che il lessema sia accompagnato dauna doppia aggettivazione, di cui serenae

è termine pregnante, rilevato, peraltro,dalla collocazione in clausola come onni-potentis.Marcato è il nesso allitterante tra se-renae e riserunt che stringe insieme idue termini e ne sottolinea la dipenden-za: sorrisero perché serene. Cfr. Lucrezio,De rerum natura I, 8-9.

T2

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• Ennio

Il frammento è costituito da soli due versi, ma questi versi accendono un’imma-gine improvvisa e folgorante: una natura serena e luminosa che rispecchia ildivino. Questo è il significato immediato: quando tutto intorno è luce e solesembra che ci sia un riflesso di Dio nel mondo. Ma il testo è molto più intenso,perché il messaggio passa attraverso una sapienza retorica che stupisce e ci farimpiangere la perdita dell’opera di Ennio. Vediamo, dunque, come anche pochis-sime parole siano capaci di produrre un effetto poetico così intenso.Innanzi tutto il “divino”, Iuppiter in incipit, Iovis alla fine, apre e chiude ilframmento, a indicare che non è il paesaggio, ma la percezione di qualcosa dipiù alto, che interessa. E il vistoso poliptoto risit/riserunt, collegato per etimologiacon risu, qualifica l’apparizione del divino come sorriso. Al tempo stesso l’agget-tivo serenae carica semanticamente un sostantivo d’uso comune quale tempestates,vox media che non avrebbe altrimenti valore poetico, permettendo di chiudereun’immagine entro la prima parte del distico: Giove ha sorriso e così è avvenutal’epifania del divino, perché l’aria intorno è intrisa di Dio, limpida, serena.La seconda parte, invece, con l’aggettivo onnipotentis che si stende nel verso,risonante e solenne, sembra indicarci la brevità struggente di questo sorriso: unistante solo, una “scintillazione”, direbbero i filosofi del Novecento, che sfuggealla ragione e illumina per un attimo il buio della mente umana lasciando, poi,la nostalgia di una percezione irripetibile.Dopo di Ennio altri poeti hanno percepito questa emozione esaltante e al tempostesso struggente.Lucrezio, all’apparire della primavera/Venere, usando lo stesso verbo rident,ripete che il sorriso del paesaggio, splendente e gioioso, è volto alla divinità(tibi), nasce da essa:

tibi rident aequora pontiplacatumque nitet diffuso lumine caelum

(«all’arrivo della primavera/Venere ridono le distese del mare e splende sereno ilcielo di luce diffusa», De rerum natura I, 8-9)

Ma è Dante, che nella primavera paradisiaca del suo paesaggio mentale, capo-volge i termini del rapporto e spiega la sua visione del divino come una visioneprimaverile. Il grande poeta di fronte ai beati nell’Empireo si prepara a vedereDio e si sente inebriato di suono e luce, Paradiso 27, 4-6:

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un risodell’universo; per che mia ebbrezzaintrava per lo udire e per lo viso.

Nel Novecento il bisogno del divino, dopo la «morte di Dio» di cui parla Nietzsche,si è caricato di una dolorosa e incessante ricerca. Per non dilungarci su un terrenoche ci porterebbe molto lontano, vogliamo citare solo due esempi emblematici.Milan Kundera ne L’arte del romanzo (1986), alla richiesta di spiegare come sianato il romanzo, risponde, attribuendo al romanzo la possibilità di far cogliereun’“eco della risata” di Dio:

«Ma che cos’è questa saggezza, che cos’è il romanzo? Dice un bellissimo proverbioebraico: L’uomo pensa, Dio ride. Prendendo spunto da questa massima, mi piace

testualeT2 Annales, 457-58 Vahlen2: Il sorriso di Dio

Analisi