Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

772
7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti http://slidepdf.com/reader/full/marco-terenzio-varrone-de-lingua-latina-frammenti 1/772 BIBLIOTECA DEGLI SCRITTORI LATINI CON TRADUZiONE E NOTE

Transcript of Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    1/772

    BIBLIOTECA

    D E G L I

    SCRITTORI LATINI

    CON TRADUZiONE E NOTE

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    2/772

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    3/772

    . TERENTIUS VARRO

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    4/772

    I

    QUAE SUPERSUNT OPERA

    V E N E T U SE X C U D I T J O S E P H A N T O N E L L I

    AVHEIS DONATUS )

    M.DCrc.YMl

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    5/772

    OPEREDI

    . TERENZIO VARRONE

    CON TRADUZIONE E NOTE

    VENEZIADALLA TIP. DI GIUSEPPE ANTONELLI ED.

    DI . *

    i846

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    6/772

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    7/772

    L I B R I

    DI M. TERENZIO VARRONE

    millO UU UKGill u t i u

    R I V E D U T I , T R A D O T T I , A N N O T A T I

    DA P. CANAL

    .M. I ' eR. Va&RONI reLL L 1!(GKA LTIAA

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    8/772

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    9/772

    PREFAZIONE

    i er coinuDe otttIso de critici, scrive II Mulier {Praef. in Varr, de L. L,),non V* hfi opem classica che ci sia venuta In peggio stato che questa di M. TerenzioVarrone sopra la Lingua Latina : erano venticinque libri, e i^n oe rimasero chesei, dal quinto al decimo ; e questi medesimi, la pi parte monchi e stroppiati.Pensa, o lettore,*^qaal faccenda dovette essere il farne una traduzione. Dico una

    traduzione, perch son certo chc questo vocabolo no 1piglieral a tutto rigore :se ci non fosse, avrei detto meglio interpretazione ; perch In una materia, doves spesso il discorso vuol lu parola latiha ella uu forme nativa, una traduzionestrettamente detta non possibile ; e poniam fbsse possibile, non sarebbe qaelToche tu desideri, poich nessuno si mette a leggere un libro di qdesta fatta, se nonintende o bene o male il latino. Ci che pu giustamente desiderarsi una succintaparafrasl, la quale con qualche chioserella bene innestata e quasi nata dal testo tifaccia tirare innanzi, senza che ad ogni passo t abbi a stillare il cervello o ricor-rere a note. E questo, se non m riuscito, m'ingegnai almeno di fare ; e per fdrlomi convenne cingermi la giornea del critico, arrischiar congetture, rompermi ilcapo fantasticando. Vero che la via era gii stata aperta e lastricata in gran parteda due egregii filoioghi, Leonardo Spengel e Ottofredo Mfiller ; Il prmo de* quali,

    per confessione del secondo, merit assaissimo di Varrone, perch con la sua edi-zione {BeroL4836) condotta sul codice Fiorentino, ricca di congetture e riscontri,

    pose quasi un muro, che non si potr mai varcare senza g rw rischio, fra la scrit-

    tura proprie deir autore e I" interpolata {MUUer, Praef. in Fai'r. p.XXVIII) ; ilsecondo poi, per confessione del primo (Philol Gditing, XVII, SB8), in un soloanno rinscl a fare pi che non ha fatto egli in pi di trentatr anrti : tanta lapotenza d* alcuni ingegni privilegiati. Pur tuttavi lo stesso Miiller si dlcea loittaiiodal credere ch la sua ftlca fosse Cosa compititi e tale da tenei^ if campo permolte et ; solo afidato dalla coscienza del proprio merito, ripeteva di s e delloSpengel unitamente d eh* rasi scritto altrtl volta del Leto e del Rolandello, chc

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    10/772

    a rimettere il testo nella genuina sua forma basterebbe un altro, il quale facesseqtianto avea fatto ciascuno di loro due {Praef, in Farr. p,X \ e XL Ltps.4833).Terzo in ordine di tempo^ ma lontanissimo in nerito, vengo ora io con questanuova edizione dellopera varroniana; e a dirtela schietta, o lettore, ti vengo

    Innanzi concessa non senza qualche vergogna, pensando al poco eh io feci, rispettoa quello che il Miiller pareva esigere da un terzo che rimettesse mano a cos fattolavoro. Ritoccai, vero, forse non sempre infelicemente, pi centinaia di luoghi, olasciati stare dal Muller come sfidati, o racconciali in modo che non mi parve

    probabile ; e quanti mi sembrarono veri miglioramenti, proposti da lui o da altri,per quanto io li conosceva e li poteva conoscere dieci anni fa (perocch tanti necorsero tra la pubblicazione del testo e il tempo in cui scrivo), da tutti trassi

    profitto ; sicch almeno pet questa parte la presente edizione avvantaggiasi sopra

    le altre che s usano comunemente in Italia. Conservai anche la divisione in piccoliparagrafi, introdotta dal Muller ; perch, oltre al vantaggio d agevolare le cita-zioni e di dar Jume al discorso in una materia di per s sminuzzata, mi tornava

    bene per affrontar meglio la versione al testo. Soggiunsi poi non poche note, prin-cipalmente dirette a giustificare le lezioni date nel testo, o a proporne delle nuoveche non mi erano cadute prima in pensiero. Potrebbesi forte desiderare eh iov avessi Illustrato anche le dottrine insegnate dall autore : ma ci avrebbe ingros-

    sato d assai la mole delle note gi abbastanza grande ; e da altra parte chi haquesto desiderio, pu trovargli pasto nella dotta opera dello Steinthal, intitolataStoria della linguistica preo i Greci e i Romani (Berlino 480263), nella qualesono anche esposte le dottrine di Varrone intorno a questa materia. A ogni modoquello eh io feci, qualche cosa ; e tuttavia mi lascierei troppo ingannare dal amor di me e delle cose mie, sio non vedessi che molto e molto rimane a fare,aia che le mie forze e la mia diligenza fossero scarse alla gravezza del carico, osia anche in parte che a dipanar la matassa, quand ben bene arruffata, la mag-

    gior fatica da ultimo.Ma come c donde, chieder qualcheduno, tantj sconci entrati nell opera Tarro-

    niana ? Rispondo volentieri a questa dimanda, perch il soddisfarle mi condurr adesporre, come avrei dovuto naturalmente fare, la storia di questi libri, e le vietenute o necessarie a tenersi per rammendarli. Il male, secondo crede il Muller,sarebbe cominciato fin dall origine, per ci che Varrone non avrebbe messo fuoriegli stesso la propria opera, ne datole ultima roano. Vediamo ond ei argomenti.

    Certo che Varrone non si mise a questopera che dopo il 706 di R., allorch,rotta nell agosto di quell anno in Farsaglia la parte Pompeiana da lui seguita, siritir nelle sue viHe eh ei possedeva ricche e numerose in Tusculano, in Cuma, aMonte Cassino ed altrove, e attendea quivi agli studii cou tanta tranquillit danimoche solo pareva in porto, mentre tutti gli altri erano ancora in gran mare (Ctc. ad

    fam,IX, 6). lia conformit de casi, detimori, de mpderati consigli, rafforz allorafra lui e Cicerone quel vqcqIo damicizia che la stmiglianza degli studii avea

    VII P R E F A Z I ON E Vili

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    11/772

    stretto gran tempo prima (Cic. Jcad, Post 1 ,4) ; sicch a Cicerone volle dedicataquesta sua fatica, toltone I tre primi libri che aveva innanzi promessi a PublioSettimio, gi suo Questore (Farr. L. L .VII, 409). Che il vedersi cosi onorato dalmaggior filologo di Ruma solleticasse alquanto la nota vanagloria di Cicerone, nonoccorre dirlo: ne prova impazienza, con cui qua e l nelle sue lettere il vediamo

    attendere adempimento della promessa, e Tessersi senza pi apparecchiato a ren-dergli la stessa misura, e da vantaggio, se gli fosse riuscito (Cic. ad AiLXUI, 42).A questo fine rifece le sue Jccademiche, sostituendovi a Lucullo ed a Catulo, chenon erano uomini da tali dispute, la persona molto pi opportuna di Yarrone cheaveva udito in Atene lo stesso Antioco (Cic, ad Alt. XIII, 49 : 48 ;

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    12/772

    libri fossero dedicati a Settimio^ pur nel citare quest opera dicono uni?ersalmente :Cos Farrone nel (ale o tal altro libro a Cicerone ; donde raceogllesi che niunaltraopera fuori da questa era stata a lui ietitohita, e questa'continuava col nome di luifino al termine. Noi sappiamo adunque per fermo che Varrone adoperatasi congrande amore in questo lavoro nell anno 709 di Roma e nell antecedente ; che '

    prima di quel tempo erano forse compiuti^ ma probabilmente non ancor ripuliti,certo non pubblicati, l tre Kbri dedicati a Settimio ; che I rimanenti, se pur livogliamo in buona parte abbozzati, nondimeno nel 709 erano ancora tanto lontanidallesser condotti a perfesione, che lautore credeva di non poterne leggereneanche un saggio ad Attico o a Cicerone senza arrischiare il suo onore.

    Con queste deduzioni concordane anche gl* indizi! che qua e l trovansi tieglistessi libri ; perch ci che dicesi nel quinto della glrafa nuovamente condotta da

    Alessandria in Roma (V, 400), non pu essere scritto che dopo agosto del 708,ehe fa il tempo in cui per la prima volta fu data mostra al popolo di ^ stranoanimale ne grandi giuochi {Plin. N. H.Vili, i8 , 69 ; Dio. Cass. XLIII, 23) : e intervallo di un giorno che pomi nel sesto libro (VI, 23) fra i Saturnali e leOpalie, non poteva porsi piima della riforma Giuliana, che fu messa in atto nel 709.Che se non occordasi con la riibrma Giuliana ci che vi leggiamo non molto prima,del cinque ultimi giorni che solean torsi a Febbraio, quando intercalavasi il mesedi suppKmento (VI, 43); non so perch questo non possa essere un preciso indizio

    del punto, insino al quale Varrone avea tratto il proprio lavoro innanzi al comin*dare dell* anno 709, cio qlfa riforma de! calendario. Basta supporre eh* egli abbialasciato stare ci eh era scritto, differendone la correzione insieme con la ripuli-tura ad un altro tempo ; e questa supposizione mi par probabile di quello sia ilcredere che tosi Yuna come laltro passo fosse gi scritto prima della detta riformo,e sia poi stato"corretto uno e dimenticalo altro. Ma comunque siasi, qui comin-cia iljdubbio che autore non abbia dato mai ultima mano a quest* opera : n

    sei^za ragione il crederlo, se nel 709 essa era ancora si poco innanzi. Diciannovelibri che tuttavia mancavamo al compimento, not erano cosa da tirar gi in pochfmesi ; massimamente volendola lavorare con diligenza, perch non riuscisse inde-gna di Cicerone. Ondech volentieri concediamo al Muller che nel 74 , allrchVarrone fu compreso anch egli da Antonio nella lista de* proscritti e fu miracolo-samente salvato da Caleno nella propria villa (jppian, B, C., 47), avesse benstratto a termine questo lungo e faticoso lavoro, ma non avesse ancora pubblicaton riveduto. E se cosi era, qual maraviglia che questi Kbri sieno stati fra quei

    parecchi che Varrone stesso dicea scomparsi al tempo della sua proscrizione,messigli a ruba gli armadK {Geli, If. A,III, 40) T qtial maraviglia che il rapitoremedesimo per avidit di guadagno, o qualche altro men tristo, aHe cui mani fsseropoi venuti, per amor degli studii, gir abbia dati fuori cosi come stavano, non ancoralimati n licenziati dal loro autore, piuttosto che avessero interamente a perire.?

    Tuttavia queste congetture poco varrebbero, se non fosse Tesarne dell* opera

    XI P E A Z 1 n XI I

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    13/772

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    14/772

    nel settimo invece (TU, 86) si supporrebbe disceso da viere, di qui traendosivates^quasi tessitore di versi. E a dire che nel primo luogo si promettea di parlarepi pienamente di cl quando si venisse a* poeti, e poi nel settimo libro^ clie de4le voci poetiche, ci si scambiano le carte in mano, e siam mandati, quasi daErode a Pilato, a cercare una spiegazione pi piena dove si tratter de poemi.

    Lascio, perch n ho toccato pi sopra, incostanza dell attenersi in un luogoalla riforma Giuliana, e in un altro no ; n metter in conto tutti quei disordiniche il Muller giudica nati dall* aver male innestato le correzioni o giunte trovatenel margine, perch qualche volta il disordine pu parer dubbio o derivato daaltra origine (\I, 70. Fedi a nota X, 44) : ma non so quali dubbi! si possano faren della verit n della causa della confusione nel sesto libro dal paragrafo 43al 50, n dal i8 al 20 nel decimo, n in parecchi j>assi del settimo che sarebbe

    lungo e noioso lannoverare. Conchiudiamo adunque che probabilissima opinionedel Muller, accolta anche dal Merklin {Ind. Schol, Univers, Dorpal,d852), che laprima fonte, cui sha a recare i difetti di questi libri, sia esser tratti dalle bozzenon per ancora limute n interamente compiute dell autore, involategli al tempodella sua proscrizione, com el dice in genere di non pochi volumi. N sar inutile aver chiarito, se non con certezza, almeno con grande verisimiglianza, lorigina-rla causa dei male, perch a mettere in su la traccia della cura nulla pi giova cheil sapere donde il male nato.

    Un altra fonte dalterazioni dovette essere la natura stessa dell* opera, chespesso avviluppasi in minutezze e spinosit. Par che Varrone medesimo se l aspet-tasse, allorch sul fine del settimo libro, dopo una tirata di voci vecchie tutte di

    Nevio, terminava dicendo : Ma non ondiamo pi innanzi ; perch anticaglie sifatte, temo eh* io sar biasimato pi presto daverne raccolto troppe, che troppopoche (\1 I, 409). E pi espressamente mostrava questo suo timore nell* ottavolibro (Vili, Bi), laddove dice: In questo particolare (era quel de*pronomi)

    non ho voluto distendermi troppo, vedendo che i copisti, nel dar fuori questeparti alqtitmto spinose, non baderanno pi che tanto. Certo i vocaboli disusatidoveano riuscire di frequente intoppo a copisti : peggio poi certi vocaboli nuoviche l autore stesso viene formando qua e l di proprio capo per rischiarare eti-mologie, e sono le giuste forme che le parole avrebbero dovuto avere, se fosserovenute su dritte dai loro ceppo, senza pigliare una mala piega dalle volgari pro-nunzie. Cos (V, 22), traendo terrada ierere, dice : Igitur tera terra j e il sentierolo dice chiamato aemita ut seniiter (V, 35) j e la vendemmia, dall essere vinidemia

    o vitidemia (V, 87) ; eDiana, cio la luna, quasi Diviana^perch fa due vie ad untempo, per alto e per largo (V, 68) ; e il calamaro, prima che oUigo suppone chesiasi detto voligoda volare (V, 79), e la turma terima da ter(V, 94), e gli armentiarimenta da arare (V^ 96), e vitulus quasi vigiiulus, perch vispa e vegeto (ivi),e la capra carpa, e ariete arviges, e i cervi gervi, e la brassica praesica,e icocomeri atrvimtres, t il cacio coaxtus,t la rapa ruapa, e lo scudo seaitum,e il

    XV P R li P A Z 1 E XVI

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    15/772

    pileperilum,e la lappa ruitrumy e gU erpici iirpicesye U muro moenus, e la prcUapartda (V, 97, 08, 4M, 408, i45 , i l6 , m , 478); e per raccosUreiesca alia supposta origine tueor,finge tue$ca (VII, 4J), e ambagioed ocies e cla

    pere per ispiegare adagioe eocieae c l ^ r e (VII, 31, 71, 94) ; e perch interpre-tazione di septentrionesper stiie buoinon paia in aria, le fa un po di letto cremMlQ

    la forma intermedia terriones (VII, 74). Sarebbero bastati meno eaempii di questia provare che fu consuetudine di Varrone giustificare le etimologie de vocaboli,soggiungendone alla forma corrotta e dell uso la genuina e nativa da lui supposta ;a ogni modo non sar stato inutile aver moltiplicato gli esempli, percM da eiapparisce che non solamente us farlo, ma che il pratic di frequente} di manierache in questa pratica sha una buona regola per indrizxarvi sopra la correzionedalcuni passi, dove la stranezza degrimaginati vocaboli e la loro prossimit aiveri fu causa che furono contraffatti od omessi. Cosi giustamente il Miiller nelparagrafo 43 del libro 1 scrisse adveniinum (non Jventtnum,com ne* codici)ab adventu /iomintim e. nel 449 del medesimo Kbro pede/tiu secondo lo Seioppo,non pedevis secondo i testi ; e nel 436, dove i testi portano a quo ruturbairi,miparve che si potesse mantenere quasi inalterata la lezione, scrivendo a quo ruiuruairi j n crederei in verisimile che nel 4i4, in luogo di Tunica a tuendo corporetunica ut in ^ca,o indicacome hanno i pi de codici, s avesse a porre : Tunica atuendo corpot'e luica aut tuinicaje nel 446, Oladius . . a cade . .. cladius, non

    gladium o gadius, come leggesi comunemente ; e nel 448, cibo cibila dieta,non eillxba,Quant poi alle omissioni, cui poteano dare occasione cosi fatti scontridi vocaboli simili, credo che una ve n abbia nel paragrafo 438, dove la parola

    pallia proprio necessaria ; come per lo contrario credo aggiunta senza ragionedal Miiller nel 48, dopo di ut troula, la voce trulla : e leggerei volentieri nel 49del libro VI, Quoni etiam in corpore pilij ut arista in spica hordeis horrent, horror^ j e nell* 86 del libro VII, stella Ludfer, quae in summo quod habet lumen

    diffusum, ut leo in capite iubam, iubar;!.N meno frequenti che nei tre primi, eranocerto , gli scontri di voci simili nei tre ultimi Kbri che trattano dell analoga i cosistretto il cerchio, per cui v spesso obbligato a rigirarsi il discorso, massimamente dov* entrasi in materia di forme. Ond ragione di credere che anche ivieieno rimaste aperte non poche piaghe per questa causa medesima delia facilitche ha occhio di saltore da un luogo a qualch altro simile ; e che in questosupposto sia da cercare innanzi a tutto il rimedio ne passi errati, come gi feceassai volte il Miiller, e non ha guari il Christ nelle emendazioni do lui proposte e

    soggettate poi a giudizioso esame dallo Spengel {PhiloL Gtting,XVI e XVII) nelFilologo di Gottinga. Il male che nel riempiere l vuoti, poniamo pure che non visia dubbio del senso, se occorrono troppe parole, non s mai sicuri d avere indovinato la forma e lordine dell autore; sicch almeno da usare gran parsimonia ecautele, per non attribuirgli modi e costrutti, di cui egli stesso non ci porga esem-

    pli. Fa poi maraviglia che alcuni voeabolaristi (e son di quelli di prima riga) abbia1, Ter. VAfinewE \.. L

    XVII AI LIBRI DI M. TER. VARR. INTORNO ALLA LINGUA LATIn X XVIII

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    16/772

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    17/772

    to medio dei quaderno. Vero che una misura alquanto minore di f460 letterealla carta raccogllesi da quel brano del decimo libro (X 3435) che, stando fradue lacune, in ciascuna delle quali i codici notano il mancar di tre carte, non pote-va occupare che un numero intero di carte, e precisamente due, contandovisi 4i40lettere. Ma neanche questo divario non dee parere gran cosa, se si considera il bre-

    ve spazio duna lettera e quante ne vanno alla riga; tanto pi che la materiastessa ivi trattata domandava forse in pi luoghi che si spaiieggiassero le parole,n permetteva un largo uso d'abbreviature. Del resto il mancarvi di tre carte da unlato e daltrettante dall* altro d fondamento a credere che il foglietto conservatosifosse il medio del quaderno; sicch al paragrafo 35 sarebbe incominciato un nuovoquaderno, che avrebbe compreso il rimanente del libro cosi monco, qual ci rest,per la perdita deseguenti fogli. E di vero dal paragrafo 35 sino al termine sha in-torno a 17000 lettere, che distribuite per otto carte ne danno da 2400 per ciasche-duna; misura vicinissima a quella del foglietto medio sopraccennato. Quant poi alsesto del codice, la congettura fatta piglia fona anche da ci che vi si ha nna con-venevole ed ovvia spiegazione del perch il codice Modenese e due Vaticani, in sul

    principio del libro \11, notino la mancanza di nove carte, dove il Fiorentino ed altrinon ne confessano che la mancanza di una ; cicch pot nascere naturalmente dalVaver creduto alcuni copisti che, oltre alla carta, la cui mancanza era chiara, si fos-se ivi perduto un intera quaderno. Se da queste indagini del Muller intorno al sesto

    del codice e alla contenenza delle sue carte possa ricavarsi qualche utile deduzionerispetto a luoghi pi guasti e alle minori lacune o notate o supposte, per certe cor-rispondenze che shanno a trovare cosi nelluna come nellaltra cosa, n egli il dis*te, n io qui il dir, per non filar troppo sottile e tenermi tanto allo sdrucciolo; mas-simamente che il contenuto delle pagine apparisce minore nel decimo che nel quintolibro, n si sa dove incominciasse a scemare. N possiamo neanche dire con buonfondamento con che sorta caratteri fosse scritto il codice : il IViebuhr sembro averlicreduti Longobardici {Scritti Min. p. 260) ; ma al Muller sapeva male che quelgrand uomo n* avesse solo toccato cosi alla sfuggita, senza dichiarare da che lo infeHsse; perch, a dire il vero, se guardasi atesti che ne derivarono, ed ai loro pifrequenti errori, non vi si trova nulla che accenni ad una pi che ad un altra scrit-tu ra: sono le solite sbadatoggini de copisti, aiutate dalle ordinarie somiglianze dilettere, dalla mancanza del puntino nell t e di spazieggiatura tra parola e parola,dalla stranezza di qualche vocabolo, dal frequente e non costante uso dabbreviatu-re. Poich abbreviature, ve navea certamente; ce lo dice la natura defalli e delle

    varie lezioni, che vediamo ne* codici da esso usciti : n guasta che fosse scritto in-nanzi al secolo undecimo, al qual tempo ne fu tratto il codice Fiorentino; perocch uso delle abbreviature antichissimo, e ne fanno fede i palinsesti delle Istituzionidi Gaio ed altre vecchie scritture. E qui dovrei aggiungere uno specchietto delleprincipali sigle ed abbreviature che probabilmente v erano usate, perch apparissequal fondamento abbiano alcune correzioni che possono sembrare un purtroppo ar-

    XXI AI LlBBl DI M. TER. VARR. INTORNO AfXA LINGUA LATINA XXll

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    18/772

    dite: ma tetno da?TeN>, o lettor^ di farti rinegare la panehza con tante minnterte;onde qeMa parte io credo per ora di lasciarla, e di dartela solo a ritaglio e a stret-to bisogno ndle note.

    Da quest codice^ quale i abbiamo descritto secondo le congetture del Miiller,lacfvo in modo da non offrire neanche una quarta parte deir opera ; guastato qua e

    l d manbanie e da spostature di fogli ; difTormato da lacune^ da abbreviature, daogni maniera di errori, salvo che volontari! e provenienti da saccenteria; da questocodice cos malcapitato, mmle a poche tavole rimaste dopo il naufragio, uscironotutti, o immediatamente o mediatamente, i testi varronlani che possediamo; sicchogtti lezione'od aggiunta che non paia sgorgare da questa fnte o dalle citazioni de-gli attichi grammatici, sha ad etere per interpolata. Immediatamente mostra esBem useito (onde giustamente il ricordiamo per

    4.) il codice Fiorentinoo Laurenziano, che indicheremo nelle note con la lette-ra P. itiembt'anaceo, di lettera Longobardica, del secolo XI: appartenne un tempoalla biblioteca di s. Marco, e fu gi consultato dal Poliziano e dal Puccio. Un esattospoglio ne fece pi Pier Vettori, aiutato da Iacopo Diacceto, e lo annot in un esem-

    plare dell edizlon prima, che conservasi nella biblioteca di Monaco. Da questo tras-se h) Spengel l sua edizione, assicurato dalla nota diligenza di Pier Vettori e dalladichiarazione, che Aggiunse in fine dell'esemplare,

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    19/772

    del ikfifler, v h& iaoghl che blso^ferebbe riteoncrere di , non apparendoneil netto.

    3.Da utio stesso esemplare, fratello del primo Parigino (e), erede II Mttller chealeno stati trascrtti tanto lHaviiiese, qaanto il Oothano, ehe tono depi autorevoli. LHavniese {H) cartaceo, in forma di piccolo quarto, scritto per ci che pare

    In sul fine del secolo X.1V; difetta nel I. VI, doTe, Mnia alcun indizio di lacnna, dalk parole del paragr. 66 item ah Ugendo legtiii qui ieem (cos tI si legge) saltasiall ut non ipondet ilh dl parafr . 79. Fa spogliato dai Niebubr ancora gloTineUoIn servigio del KOIer; e di queMo spoglio pot TatersI pienamente lo Spengel percortesia del Seebodio. Il OothtHa {G) membranaceo. In qoarto, di bella scritturain apparenza antica, ma in fatto non pi vecchia M aecolo XVI a giudizio del Blum.Per buon tratto del I. V aggiunge daltra mano le iezloni detesti Interpolati, e di

    pi annota nel margine qualche cengettara moderna, come il ruenimbihitdel Crinito (V, 7). Fu spogliato con somma dillgenEa dal Regel in servigio del Milller, chene diede Intera la lezione, parte nelle note e parte In fine del libro.

    4.Un de migliori (u anche testo a penna, di cui fece aso Adriano Turnebo.Il Mfiller sospetta che sa tu tt uno con quell' anno testo della bibliotecaMesmes, di cui parla Isacco Vossio in una lettera indirizzata all Heinsio {Syllo-gt Burmann. , 66S).

    6.Un breve frammento del I. V (4166) conservasi In penna nel Monastero

    dt Monte Cassino sotto H n. Sei ; la lezione ne f\ii pubblicata da Giambattista Mor-gagni bella Raccoltaveneta d'opuscoli teientificij T. IV, p. S e seg., e da EnricoHeil nel Museo Renano (184S).

    I codici che ho notalo fin ora, sono i soli non interpolati, ia cui lezione siasi fat-ta pubblica con la stampa : havvene per alcuni altri che forono appena sfogliati, epure sono anch essi dei buoni d esenti da Interpolazioni. Tali sono tre Vatieani(1666, S949, 330S), che Indicheremo con le lettere greche et, , y . Il primo, che

    il migliore, cartaceo, tram e il foglio 4.eh membranaceo ; ha fotma di quarto,e serlttnra onciale, pare dei sec, XIV j tutto interpolato, ma daltra mano, e recanel margine parecchie giunterelle e indicazioni. Segue in uno stesso volume ad al-cuni lessici latini. Il econdo i parimente cartaceo in forma di quarto, e vien dietroalloperaDe montibus, fuminibus eie.del Roocaccio. Il terzo in ottavo, cartaceo,a due colonne, mancante dei primi 91 paragrafi j appartenne a Fulvio Orsino, del^lale vi si legge II nome. Onesti tre odici, massime il primo ed il terzo, concorda-no fira loro in mdo che, a gfudixio del MSDer formano una sola famiglia ; e chin abbia riscontrato uno, 11ha riscontrati tutti . Ei ne possedevo le varianti dei tre

    primi paragrafi del 1. VII e le indicazioni delle lacune, copiategli da Olao Retlermann. Esente da Interpolazioni e non per ancora spogliato aeche II Gmlfetitita no. Il Mtiller k avea r ic e tto un saggio dalla ebrtesia dello Sehneide^in, e lo dissenon molto Averse, ma assai pi scorretto dei Fiorentino.A questi sono da aggiun-gere due codici membranacei, In 4.*, di belHssima lettera, imbedue pregevoli, non

    XXV U LIBRI DI . TER. VARR. ISTORSO ALLA LINGOA LATINA XXVI

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    20/772

    per antichit^ ma. per bont di leiione ; dieo V mbroiiano (Se. 74) e ilModenese(n. 22). 11 primo, secondo che leggeei nel frontispizio, appartenne ad Annibaie Co-mero : in sul principio d i vocaboli greci con gran diligenza, ma di poi li omette ;tace il numero di ciascun libro, e massimamente nel determinar le lacune conformasiassai al primo dei tre PariginL Un po pi antico di questo il Modenese, splendido

    esemplare, in cui vanno uniti i libri d* agricoltura di Catone e di Yarrone ; d giu-stamente per quinto il primo de libri sopravvissuti ; le voci greche, le omette o lescrive con lettere latine} scempia i dittonghi, secondo la volgare pronunzia, e tol-tone tniHaeDelphoie quur epartisy per lo pi ammoderna ortografia ; non ren-de precisamente nessuno degli altri testi conosciuti, ma concorda quasi sempre conqualcheduno de migliori ; abbonda massime ne primi libri, di giunterelle interli-neari e marginali, raccolte dal confronto dottimi testi j pecca in parecchie omis-sioni, alle quali rimediasi in margine presso che sempre ne primi libri, ma rare vol-

    te negli ultimi. questo il codice che pi di qualunque altro dispiaceva al Miillerdi non aver consultato; ci chei dichiarava che non avrebbe certo lasciato di (are,se avesse potuto impromettersi di dare un testo racconciato in modo da tenersi inposto per lungo tempo. Quantunque ei vedeva bene, e il dicea 1 esame degli altricodici, che i vizii di quest' opera sono assai vecchi, e per poco pu sperarsi dalmoltiplicare i riscontri, stante che era gi viziato il fonte, da cui derivano tutti itesti o esaminati o non esaminati che possediamo. Glie ne posso far fede anch io che

    tengo l intera lezione di questo codice diligentemente riscontrata sopra un esem-plare dell edizione dello Spengel, n mi rincresce gran fatto d* averla avuta dopoche era gi compiuta la stampa di questa mia fatica, perch veggo che poco profitrto n avrei potuto cavare. Giova non di meno il trovarvi qua e l confermata qual-che bella e contrastata lezione ; come per esempio il leggere espresso nel paragra^fo 54 del libro V, vimineta fuerant j e nel 434, Prius de indutui aut aniictui j e neli45, et quae vendere vellent :e di qualche compiacenza sarebbe riuscito al Mtller ilveder sostenuta dall* autorit di questo codice la sua congettura dove nel paragra-fo 46 del libro Vili egli legge, Propter eorum qui dicunt^ $unt declinati casus s elasciato in bianco uno spazio dopo la voce inficientemnel paragrafo 78 del libro VI,ov ei sospett lacuna. Anche in quelle parti, in cui questo codice si dilunga daglialtri, ha qualche cosa del buono. Non parlo dalcuni trasponimenti di parole o muta-zioni di tempi o rivolgimenti di costrutto ; non della sostituzione di qualche sinoni-mo, come di occisusad interfectus(V, 46), di virum fortema civem fortem(V, 448),di invocent a invitant (IX, 48), i inscitiam ad inscientiam (IX, 4i3 ): queste

    cose s hanno ad avere per la pi parte come sentori della saccenteria ormai nate,e preludii de pi gravi danni che dovea soffrirne quest opera : parlo dalcune va-rianti che non danno presa a cosi fatti sospetti. Notevolissima quella che troviamoal paragrafo 20 del libro IX, dove tutti gli altri codici^ di cui sha Aotizia, recanoconcordemente: Quem enim amor assuetudinis potius in pannis possessorem retinet^quam ad nova vestimenta traducit?Che sia luogo errato, chi pu farne dubbio? ma

    XXVII P R E F I I O N E XXVIII

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    21/772

    trovarci 11 rimedio sembra difflelle, n riasci ancora a nessuno : io stesso JHiiller sicontent di segnarvi nna croce, e notare eh era passo manifestamente viziato, mache non vedea modo di raddrszario. Ora il codice Modenese con nna mutazionelievissima par che vi rechi il rimedio, leggendovisi patri, cio palriit, in iscam

    bio di potins. Buone lezioni, eh io accoglierei volentieri, mi sembrano anche l ut

    et culmi in luogo di ubi et culmi(Y, 37), e il quod hae proiiciunl ante eot(nonante aKo : intendi muro. V, 14), e il quod ibi (non ubi VII, \ ) mytteria

    fiunt aut tuentur,e il Jfe[m]ia in luogo di Etmiut Ennia (IX, 65). Iopoi ebbi caro di trovarvi nel paragrafo 9 del libro TI ab tolui cos intero e lam-pante, che conduce quasi di necessit a credere che il seguente tohtm sia nato,da un abbreviatura di solitus tum, eom io aveva congetturato ; e vedendolo pivolte scambiare da neirten a non e da notr ete a nse, mi parve daver guada*guato un sostegno alla lezione da me introdotta nel primo verso del par. 26 delI. VII ; e qualche peso mi parve anche acquistare la lezione posta in sul principiodel par. del medesimo libro, standovi propriamente Ma del codice Mo>denese basti cos; ne dar lintelra lezione, se ristamper, come spero e veggonecessario di fore, questo mio lavoro ; veniamo ora agli a ltri codici. Due se neconservano in Roma, uno nella libreria Barberina (n. 2i60), laltro nella Chigiafia (H, VII, 319). Il Hiiller li pone fra quelli che sono esenti da Interpola-zioni : ma tranne lesser ricordati dal Blum nel suo Fiaggio fatte in Italia, e il

    vedervi lodato per eleganza il secondo che scritto nel

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    22/772

    codici interpolati, non per de peggiori, PompoDio Leto cav la prima editione, cbefu fatta in Roma nel i474 ; e il medesimo teeto fu ricopiato da iingelo Tiferna (Roma,4474, m 4.), senonehi qualche ritocco data qua e U fa vedere eli ei non erasproTYeduto di buoni codici, cui sarebbe stato meglio seguire. Un testo in tutto si-mile al Pomponiano per detto del Hiiller, conservasi in penna nella biblioteca del

    Senato in Lipsia. Molto meglio merit di Varrone il Trivigiano Rolandello fyenet.4476,f), che esamin buoni libri e aan molti luoghi, tanto che, se ristringasia lu, non parve del tutto falsa la lode che gli si d in fine del libro con queste pa-role : Si quispiam tertio loco fragmenti Farronit lantum addiderit, quantum Pom-

    poniut primo, deinde Francitcus Rhohndellus Trivitanut tecundo, tuo uterque stu

    dio ac diligentia, contulit s nimirum . Farro rmivisceL Nella sua edizione com-pariscono le voci greche e non poche parle e fino a interi periodi, che mancanonelle antecedenti ; e tutte queste cose egK trasse non dal proprio capo, ma dalla testimonianaa de libri, di maniera che a giudizio dello Sp^ngel tale edizione da nonpoterne far senza chi voglia rammendar Varrone. Solo qualche cosuzza, erede ISpengel chegli abbia mutato di sua testa: n io il negher; noto soltanto che le duelezioni, contra eam(V, 1) scand>io di contra sa,ed fstxcyttcfscambio di /> (V, S), trovansi anclM nel codice Modenese, bencti la seconda vi correttain Dtargine> 11 testo del Rolandello fu poi ristampato parecchie volte, per lo piA Inuno stesso volume

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    23/772

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    24/772

    D(on disprezzo per gli studii altrui : lod quelli del Turnebo^ deHo Scali-gero, del Popma, e ne cav il meglio ; di quelli poi dello Spengel mostr di faregran capitale, confermandone i giudizii e ponendo edizione di lui per fonda-mento alla proprio. Che mano miracolosa per molte piaghe di Varrone sia stataquella del Muller, non occorre dirlo : basta la fama di queir uomo^ e raBuaira

    zione della soa opera, tal che nessuno eh* io sappia, n mentre ei visse, n perpi anni dopo eh ei mori, s* arrischi di ripigliarne seriamente la cura ; eccettoche il Jacobs pubblic le varianti d' un codice di Gotha (Lips, iS36), e il Lachmann tratt dalcune voci, dichiarate da Varrone, nel Museo Renano (4830,^843).Torn finalmente K) Spengel agK studii varroniani, come ad an primo amore ead un antica sua gloria ; e ragion prima nel Giornale d' Antiquaria (1846)intorno ad un brano del libro quinto (V, 7 5p.), poi della Critica in genere dicotesti libri (Abhndl, der philos. histor, Cl der Bayer, Acad. 1864) e del mododi rammendarli (iionac/f. 1858); e non ha molto rivide magistralmente nel Fi7ologo di Gottinga le congetture del Chrlst, il quale, insieme col Roth (PhiloLGdtltng, 1860) e con C. E. L. Ox (De M. Ter, Karr. eiymis quibtisdam, Gymn,Pr. Rreuznach, 1858), va pnr ricordato fra quelli che novellamente occuparonsinel correggere ed illustrare Varrone.

    Mi resto a dire d'una recente operetta dAugusto Wilmanns, pubblicata nel1864 in Berlino, intorno agli scritti grammaticali di Varrone e ai loro frammenti.

    Riprovandosi ivi, fra le tante cose, opinione dei Miiller che ai libri de lingua/atma sia mancata 1ultima mano dellautore, forse era meglio parlarne allorchesposi questa opinione non discostandomene che in qualche piccola parte. Tuttaviami parve che non ne sarebbe seguito nessuno sconcio se avessi differito sino aquesto punto : ora poi che il discorso, seguendo ordine de lavori fatti su i dettilibri, v! caduto da s, non potrei passarmene. Rispondo adunque alle obiezionidel Wilmanns che n il Miiller n alcuno di quelli che lo seguirono, pretende cer-tezza, ma probabilit ; e questa parmi sussistere. Sia pur vero che ad un uomo diquella vena, di cui era Varrone, a conti fatti non fosse mancato il tempo per ulti-mare e pulire la propria opera prima d* esser proscritto ; sia vero che il silenziodi Cicerone non basti a provare eh egli mor (nel Dicembre del 711) senaa averricevuto il dono promessogli : ma che per ci? Se non manc il tempo, sovrab-bond forse ? Se il silenzio di Cicerone non conchiude, non ha tuttavia qualchepeso ? Pretender poi che questo lavoro di Varrne non gli avesse a costare grantempo perch in pi parti avea fonti greche ove attignere e in qualchaltra attinse

    da suoi proprii scritti, assottogliarla un po troppo ; come se il raccogliere, lesa-minare, 1 accomodare al latino, massime nella sintassi che era >ia non battuta an-cora da niun latino, fosse stata cosa da corrervi a spron battuto. E che vuol egliinferire quando appunta il Muller daver pigliato sicurezza da un dubbio assertodel Popma che la divisione della festa d Opi dai Saturnali sia cominciata con lariforma Giuliana, e d aver quindi precipitato il giudizii) nel corre argomento da

    \ \ \ \ P K L l z O N t XXXt l

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    25/772

    quelle parole del libro VI ( 22): Satut-nalia dicla ab Salurno qnod eo die feriaeeiuSj ut post diem lerlium Opalia Opis ?Se non v ha testimonianze in furor delPopma, havrene forse in contrario ? E se non havrene delle contrarie, non deebastare dall* altro lato la stessa testhaonianza che ne rend^ivi \arrone? Chi auto-rizza il Wilmanns a credere che le parole post diem tertium sielio state intruse daqualche saccente dopo il tempo d* Auf iisto ? La divisione di quelle dt>e feste con IntervaUo dun giorno non riscontra forse con aggiunta di due giorni fatta aDicembre netta riforma Giuliana^? E se Macrobio fSat, I, 44) stette su le generalisenza specificare questa particolarit, sha per a negare? Ma peniamo che inquesta parte abbia ragione il Wilmanns : tanto pi terr la deduzione finale delMiiller che Yarrone non ripul la sua opera; n ci sar bisogno di supporre, comefece il Muller, eh egli abbia ritoccato qualche luogo e qualch altro no. Ecco a

    che riesce opposizione del Wilmanns. Ma, se quest Qpera fu carpita ancora im-perfetta air autore, ond , chiede egli, che nessuno di quegli antichi (e son purparecchi) che la ricordano, fa menzione di questo fatto? Come e quando usci ellain luce, se non fu autore che la diede fuori ? in che modo Varrone ne pot fareun compendio in IX libri, come sha dal catalogo di . Girolamo, se non la avevafra mano ? Oh 1 questo voler sapere un po troppo. V* ha nessun libro varroniano di cui sia detto che fu trafugato all' autore e dato fuori cos imperfetto ? E

    pur Varrone ci attesta che glie n erano stati trafugati non pochi. Sia pure chegliintendesse di quelli che non andavano attorno e credea forse perduti ; ma nonvha nulla onde credere ehe i libri de lingua Ialinasiano venuti in luce vivendo an-cora l'autore; anzi per non crederlo a ha largomento di Verrio Flacco che, perconfessione dello slesso Wilmanns, non pareva aver letto cotesti libri. Ma se Var-rone ne fece un compendio, li aveva dunque fra mano. Giusta di qualunque altro;ma non dell autore, il quale era impossibile che non avesse in mente ordine ela sostanza del proprio scritto, e nello smarrimento stesso dell originale aveva

    uno stimolo a pubblicarne almeno un compendio, poi eh era troppa la noia delrifar tutto da capo. Senonch il pernio della quistione non ist in queste cose cheabbiam sinora discusse : importanza quell ntima persuasione che nasce dauna diligente lettura dell* opera stessa, e fu qiiella che trasse il Muller e dietroa lui il Mercklin, il Lachmann, il Ritschel in quel supposto. Contrastare a minuto,

    punto per punto, se gli sconci possano venire da qualch altra causa, seminardubbii per non raccoglier che dubbii. Concediamo allo Spengel e al Wilmannsche nel voler recare a questa origine ogni maniera di sconci il Muller largheggitroppo: basta che dallaltra parte mi si conceda che la negligenza apparisce inquest* opera molto diffusamente, e creder giusto il conchiuderne che la radice

    prima del male sta nellaqtore. Che se qqestopera, la quale inviandosi a Ciceroneavrebbe dovuto vincere in accuratezza le altre, n anzi scadente, e alla maestriadel disegno non accompagna la bont dellesecuzione; che sha altro a dire senon che autore non le diede ultima mano ? Ma di ci basti : di questo piccolo,

    X X X Vl l Al L IB RI Di M. I KR VAl \ R. INTOU.NO ALl .A TJ NGUA LA TI NA XX X V i l i

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    26/772

    XXXIX FUIu F A Z I O lNE a i LIB HJ 1)1 1>I. I L U . VAHUUN K XL

    ma ricco volumetto del Wilmanne parler nuovamente nel supplimento ai primilibri di Varrone che verr qui appresso.

    Ora non altro mi resta se non chio preghi il lettore d* avere a mente che^ sqse nel rammendare il teto non trassi profitto da alcuni lavori che ho pur qui ri-cordati^ io non poteva neanche farlo ; perch son forse dieci anni da che com-

    piuta la pubblicazione del testo : tanto son badati a seguirlo, n occorre dirne ilperch, questi preamboli. Del resto non temo eh' ei non sia per usare con mequella indulgenza che merita la difficolta del lavoro, pensando che in si fatte cosechi ne vede una e chi un* altra, nessuno le vede tutte.

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    27/772

    . TERENTI VARRONIS

    DE LINGUA LATINALIBRI I, II, III, IV.

    ^ intera opera Varroniana intorno alla lingua Latina era divisa in venticinque libri; e di

    questi in sul principio ne perirono quattro. La prima cosa ci detta da 8. Girolamo nel suocatalogo delle opere Varroniane; Taltra ricavasi da*migliori testi d penna e dalle citazioni

    de* grammatici che danno per quinto il primo de*sei libri rimasti, e cos avanti gli appresso(V. la nota 4 al L V). Se Varrone non tocca che di tre libri antecedenti a quello che diciamoquinto (V. 4 ; VII, 409), ci mostra solo che il primo libro era come un preambolo ; e lascia

    insieme vedere perch Aldo e parecchi altri editori abbiano creduto quarto quel che doveanodir quinto. E di vero a persuadersi che il. primo libro era pi che altro un preaubolo, bosta

    guardare ai disegno dell opera. Poich la materia vi si Riandava distinta di sei in sei libri ; eciascuna di queste parti, che naturalmente erano quattro, suddivldevasi in duo corpi minori di

    tre libri per ciascheduno. Simili divisioni cosi uniformi, non ostante il dover parere puerili , sela materia non vi si arrende spontanea, Varrone le am e le pratic a bello studio anche in altrisuoi scritti, certo nelle Imagini e nella grande opera delle cose umane e divine. Or la prima

    delle quattro parti, che quella dell etimologia, pigliava le mosse dI secondo e terminava colsettinio libro ; ondech il primo non poteva essere che un proemio. Non ce n* rimasto di certonessun frammento : e non pu nemmeno alTermarsi con sicurezza che anche questo, come i tre

    libri seguenti, fopse indirizzato a quel P. Settimio che Varrone ebbe seco in qualit di questore.4 ogni modo non credibile che vi si spendessero molle parole nel dedicarglielo, quando vedia-

    mo che non se ne spende nessuna nell inviare il rimanente dell* opera a Cicerone. Resta adunqueche se non era in tutto simile al primo libro della Storia Naturale di Plinio, gli si avvicinasse

    nella sostanziale sua forma, cio nell espoiTO il fondamento, 1*ordine, la divisione dell opera ;

    che fa il modo tenuto da Varrone anche nel primo libro delle cose umane e nel primo delledivine {S. ugusL C. D. VI,*3). La stessa forma, in cui l'autore ricorda in sul Gne del settimolibro dave r/a//o tre parti del suo lavoro, accenna ad una divisione proposta sin dal princi-

    pio ; e pi apertamente lo dice il cominciare del libro ottavo che : Ouom oratio natura tri-partita essety ut superioribus libns ostendi etc, ; dalle quali parole rnccogliesi che upu solo

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    28/772

    XLIIl UBl \ l D I M. TE RE NZIO VARRONE

    la divisione s* ora proposta iiegll ontecedenti libri (e quel altra vi si potrebbe intendere, se nonil primo ?), ma eh* erosi altres dimostrato eh essa aveva il suo fondamento nella natura. Le

    parti eh egli avea fatto del suo lavoro, Varrone le dice tre ; perch tre sono i capi pi principalidella materia presa a trattare, cio Torgine, la declinazione largamente intesa e Tordinamento

    delle parole: ma, eiecorao la seconda parte terminava col decimoterzo libro, e per restavaalla terza un numero doppio di libri di quei che s eranadaU a ciascuna delle altre due, cos

    probabile che autore seguitando il suo passo abbia ridiviso in due questa terza parte, ed asse-gnato anche a ciascuna di queste parti nei libri. Ma voler dire qual fosse questa divisione, e

    quale la sua suddivisione di tre in tre libri, sarebbe un fabbricare in aria, non trovandovisi inci che resta di Varrone nessun fondamento. Benel deir altre due parti, sebben non le abbiamoche per met, ci resta quasi intero il disegno, ed questo :

    Parte 1di libri V! dal 11 al VII.

    Suo argomento ; Ouemadmodum rebus Luiina nomina essent imposila ad usutn noslrum

    (VII, 109,110; Vili, 1).Sezione 1.* teorica, dedicata a P. Seltimio, dal l. II al IV.

    Sezione 2.* pratica, dedicata a M. Tullio Cicerone, dal l. V al VII.Libro II : Quae dicantur quor ^ ncque ars sii neque ulilis sii.

    ----- Ili : Quae sinl quor et ars ea sii et ulilis sii.----- IV : Ouae forma etymologiae.Libro V : Origines verborum locorum et earum rerum quae in locis esse

    solent,

    VI : Quibus vocabulis lempora sint notala et eae res quae in lemporibus fiunt,

    -----Vll ; De Poeticis verborum originibus (VI, 97).

    Sua divisione

    Sezione 1.*(V,1;V1I,109)

    Sezione 2.*

    (ivi)

    Parte 11 di libri VI dalPVm al Xlll,

    dedicata a Cicerone.

    Sezione 1.*

    (X, 0

    Sezione 1.* teorica dal 1. Vili al X : De declinationum disciplina.

    Sezione 2.* pratica dal I. X! al Xlll : Ex eius disciplinae propaginibus.

    Suo argomento : Quo pacto declinala in discrimina abierunt(Vili, 1 ; VII, tav) ducemhaberi oporteret.

    ----- IX: Quae dicerentur quor potius simiiitudinem (ivaoylav) conve-niret praeponi.

    ----- X: Giusta teorica della declinazione: fundamenta^ ordo, nalura.

    Sezione 2.* dal l. XI al XIII: Delle forme declinative, coniugative, derivative in particolore;cio de formulis verbo'um (X, 33), o de copia verborum (Vili. 2, 20).

    Ho posto qui coe minutamente il disegno delle due prime pacti per comodit deMettori,giacch occasione il portava ; non perch io creda che Varrone, rendendo conto del suo lavoronel primo libro, sia disceso in tante particolarit. Ho anzi per ferm eh* ei vi proponesse eolten

    to la divisione generale, e la mostrasse nata dalla ragione intrinseca delle cose e delle parole :ma che le suddivisioni si riservasse di proporle a mano a mano che finita una parte passava aunaltra. Cos nell'ottavo libro il vediamo esporre la materia desei nnovi libri che vi co

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    29/772

    lincidDo, e specificare gli argomenti de' primi tre ; ma riepetlo ai tre segaenti soggiungere che dichiarer V orgomeiilo di cioeciino dietintamente, quando, spacciate ad una ad una le coseassegnale a primi, metter mano agli altri (VIU, 24); il qual eileozio e la qual promessa sarebbero quasi ridicoli, se fin dal principio si fossero poste in mano al lettore tutte le fila. Nontirer neenche ad indovinare quanto innanzi foss egli andato nel dichiarar la natura e luti-lit del linguaggio: basta che qualche cenno ne dovette dare, n pot esentarsi dal dire checosa sia paroJa e quale il suo rispetto alle cose. Possibile eh* abbia occupato tre libri in filo-

    sofare su etimologie, e tre su analoga, e forse il doppio su la sintassi, e non abbia poi detto

    sillaba per chiarire e fenware que concetti eh* erano come il perno deir intera opera? In qualmaniera avrebbe potuto n)ostrere senza di ci che la divisioue da lui promessa era fondata snla natura? Solo il vedere che nella distinzione delle varie parti del discorso lautore si distendenon poco nel libro ottavo, allegandovi varie opinioni senza dare indizio daverne fermato unasin da principio, ci vieta il credere che nel primo libro fosse disceso neanche in questa partea minute particolarit.

    V*ha nn*altra cosa che nel proemio dell opera, quale ho detto che era il primo libro, ve-niva tanto a proposito che appena se ne pu credere omessa : ci era il motivo che avea con-dotto l autore a trattare questa materia ; per quali vie e a qual punto si fossero traiti gli studii

    della grammatica in Roma ; che bisogno avessero di nuova spinta o indirizzo; che cosa egli

    intendesse di fare e quali orme seguire. Per due vie diverse i Greci aveano promosso cosi fattistudii ; per unn, i grammuticl dAlessandria e di Pergamo ; per altra, i filosofi, massime gli

    Stoici :in questi campeggiava acume ; in quelli erudizione {Varr. L. L.VI, 2). La necessitdi esaminare la verit de* giudizii e dei raziocinii nella loro espressione fece si che gli Stoici,per quella somma diligenza che posero nel trattar la dialettica, entrarono anche nella gramma-

    tica ; e delle sottili loro disquisizioni s* aiutarono poi non poco anche i grammatici prcpriamentedelti. Quando Cratete di Mallo port primo in Roma queste discipline, verisimile che, essendo

    egli stoico, non siasi contentato di sposizioni erudite, ma che v abbia fatto altres conoscere leacnte indagini de' filosofi pertinenti a lingua, e innanzi a tutto la dottrina dell* anomalia, per

    cui avea combattuto contro Aristarco. Senonch In Roma il terreno non era ancora apparecchiatoabbastanza per questo seme ; e u imitazione si stette al riandare con un po di cura qualchepoesia poco nota, ma che pareva pur bella, massimanente di persone care gi morte, o cos

    metterle in voga col leggerla e commentarla {Svet. IH. Grarnvu 2). Pieno inviamento ricevette

    poi la grammatica, allorch venne la sua stagione, dalla voce e dagli scritti di Lucio Elio ; dimaniera che da indi innanzi non isdcgnarono di trattarne qualche parte neanche gli uominidella pi alta levato, e si dice che n volte se n ebbe in Roma pi di venti scuole, tutte frequen-tate (/ ; 3). Kd anche d lui da credere che nell inviamento dato accoppiasse allerudi-zione le stoiche sottigliezze ; perch Aulo Gellio (XVI, 8) ne ricorda unopera de praloquiisyeh era nateria trattata con diligenza dagli Stoici nelle loro dialettiche {Diog. Laert. VII, 65e seg.); e Cicerone attesta dichiarataniente chei volle essere stoico {Bru. K6). Dice volleessere, non fu, quasi appuntandolo d* aver messo bocca in matria non sua ; n diverso ilgiudizio che troviamo in Gellio della sua opera : ma ad ogni modo chiaro che, se dove ei valse

    fu lerudizione, o bene o male penetr anche nellaltro campo. Varrone adunque non si mettevaper una via nuova^ quando vegghiava in quest* opera della lingua latina non solo alla lucerna

    ( Aristofane^ ma anche a quella di Cleante (V, 9); n egli il dissimula, almeno per una

    parte, dicendo che Greci e Latini aveano gi fatto molti libri, chi a favore dell analogia echi contro (Vili, 23); fra quali, tuttoch mai noi ricordi, dovette certo con)preudere GiulioCesare chQ, durante la gueiTa Gallica, scrisse due libri su l analogia e li dedic al medesimo('iceroie. Tuttavia, se Varrono non era il primo fra Latini che entrasse nel dfppiu campo, ern

    XLv INTORNO ALLA IJNGUA LATINA XLVI

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    30/772

    per altro il primo thpigliesse a correrlo intero ; ed anche per quelle parli eh erano gi trattate(a oltri scrillori latini, qnont' a dottrine, lasci stare i rivi e ricorse alle fonti greche; e nelricorrere aGreci non si ristrinse a scegliere gli ottimi, ma si fe* giudice delle varie opinioni,non giurando in nessuno. Universalmente segu gli Stoici, overa migliore e pi largo il pasto:tali erano in fatti, e proprio stoici di prima riga, Cleiinte e Crisippo e Antipatro di Tarso chegli

    dichiara daver preso a guida (V, 9; VI, 2 ; IX, I), come apparisce ch ei fece dal riscontro dellesue flottrine con ci che sappiamo di quegli antichi da Diogene Laerzio, da Sesto Empirico, da

    Stobeo e da altri. Per questa via Tavea indirizzato sin da fanciullo lo stesso Lucio Elio^ chegli liu maestro nella grammatica ; n pot poi valere a ritramelo la scuoia e amicizia del ce-lebre accademico Antioco dscalona, perecch questi non solo nella dialettica accolse a bracciaquadre le dottrine degli Stoici, ma in lutto manc pochissimo (e questo pochissimo si ristrinseair etica) che non fosse on poro e pretto stoico (C*ic.Acad. 11, 21, 67 ; 48, 132 ; 46, 143). Varroneadunque poteva senza contraddizione tenersi stretto ad Antioco (C/o. ad All, Xlll, 12, 10) eparere opporluno a sostenerne le parti nelle Accademiche di Cicerone, e non di meno apparire

    stoico ne* suoi libri intorno alla lingua latina. Cosi cade a terra la supposizione del Mttller che,non vedendo come accordare la s toicit'aperta di questi libri con Tesserne stato autore discepolo e seguace d Antioco, imagin che Varrone avesse lasciato Accademia ed Antioco

    per riparare alla Stoa, e che Cicerone ignorandolo abbia dato in fallo quanto alla parte asse-gnatagli nelle sue Accademiche. Veramente 1* errore sarebbe stato un po grosso, se fosse cre-dibile in quelle persone e in quel caso, massime dopo le consulte fatte con Atlico. Resta fermo

    adunque che Varrone, come nella parte sopravvissuta, cos nel rimanente delT opera, s era atte-nuto alle dottrine stoiche, non dico servilmente in ogni minimo elle, ma nella sostanza dellecose ed in genere.

    Il saper d* nn opera perduta quali opinioni vi si profssavano, non poca cosa ; o se sifossero conservati gli scritti degli Stoici greci a cui Varrone avea attinto, s avrebbe meno adolersi deir esserci venuto cosi imperfetto un lavoro che ad ogni modo il monumento anticopi prezioso che abbiamo in si fatte materie. Ma degl insegnamenti degli Stoici in operadigrammatica quanto poi quello che ci venuto, e per quali vie ? Angusto Wilmanns nella suaoperetta intorno agli scritti grammaticali di Varrone e ai loro frammenti, ribadi opinione diRodolfo Schmid! che quanto leggesi in genere d etimologia nePrincipii di dialellica disant Agostino, sia propriamente cavato, facendone un piccolo fascio, da ci che Varrone aveva

    ampiamente.esposto nel secondo, nel terzo e nel quarto libro, assegnati a questa materia ; e dalprimo di Varrone crede altres derivato ci che Agostino vi dice intorno alle parole c al rispettoche hanno alle cose, de quali punti, come ho notato, Varrono non potea passarsi nel proemiodella sua opera. Le dottrine che insegna ivi Agostino, sono certamente le stoiche; sicch inogni caso nellattribuirle a Varrone si pu fare a fidanza, da che non preteudcsi d induvtnariele parole, ma i concetti e non pi. N questa generale conformit de principii il solo argo>mento in cui fondasi opinione del Wilmanns. Saut Agostino avea letto, c ce lo attcsta egli

    stesso {Confess, IV, 16, 50), ItUli i libri di quelle arii che diconsi liberali : pensate savea lettoun opera di tanta importanza, com era questa de lingua Ialina ei che stimava assaissimo au-

    torit di Varrune e la alleg tante volte, massime nella Cill di Dio, N mancano indizii parti-colari. Agostino dice nel capitolo VI eh ogni ricerca appartenente alle parole riducesi a quattrocapi, alla loro origine, al signiQcato, alla declinazione, all ordinamento. Or non questa ladivisiou generale che aveva fatto Varrone della sua opera, senonch i due primi capi credette

    necessario trattarli mescolatamente e pi scarseggiare nel secondo (V, 2) Trovatemi un solodetto in Ago. tino che discordi da principii varroniani. Quanta conformit nelle etimologie! lequali o son le medesime che troviamo in Varrono ne* libri rimasti, o si gim*orebbe che orano

    XLVII . TERKNZIO VAKKOtNL XLVIII

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    31/772

    . TERENTI VARROiMS

    D E L I N G U A L A T I N A

    A D C I C E R O N E M

    LIBER QUINTUS

    -------------------------------

    1. I . QuemadinotluiTi vocabulacMenlimpo-siti rebus iu lingua Ulina, sex libris exponere iii(itui. De his tris ante hunc leci, qnus Seplimiomisi ; in quibas est ertinacia se tengasi duro in cosa,in cui non dovrebbesi ; perch lo star fermi, ov'male il cedere, perseveranza. La* prima parteche indaga origine e i| perch delle parole,

    detta da Greci etimologia; la seconda, de'* significati, lo in questi libri dir mescobtameoted'ambedue queste cose ; ma pi scarsamente dellaseconda.

    3. Son eue pi oscure che non dovrebbero,perch n tutti i nomi dati conservansi, avendonealcuni cancellato il tempo; n quanti conMrvansi, furono tatti dati a dovere ; n quanti furono

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    32/772

    M. TtKIiNTI VARRONIS4

    .eia roanel ( mulla enim verba Uleris commuUtissunt interpolala ) ; neqae omnis origo estnoitnielinguac c vernaculis Terbis ; cl multa verba aliuduunc ostendunt, aliud ante significabant, ut ho-stis : nam Ium eo verbo dicebant peregrinumqui suis legibus uteretur; nunc dicunt eam, quemtum dicebant perduellem.

    In quo genere verborum aut casu erit il-lustrius unde videri possit origo, inde repetam.Ila fieri oporlere apparet, quod recto casu quomdicimus impos obscurius est esse a potentia quam quom dicimus impotem ; et eo obscuriusfit si dicas pos quam impos, videtur enimpossignificare poUus pontem quam potentem.

    5. Vetustas pauca non depravat, multa tollit.Quem puerum vidisti formosum, bunc vides de-

    formem in senecta. T erlium seculum non videteum hominem, quem vidit primum. Quare illaquae iam maioribus nostris ademit oblivio fugi-tiva, secula sedulitas Muti et Bruii retrahere ne-quit. Noii, si non potuero indagare, eo ero tar-dior ; sed velocior ideo si quivero: non mediocreisenim tenebrae in silva ubi haec captanda } nequeeo, quo pervenire volumus, semitae Irilae ; nequelion in tramitibus quaedam obiecta, quae euntemrelinere possent.

    G. Quo verborum novorum ac veterum dis-cordia omnis, in consuetudine communi quotmodis literarum commutalio eit facla qui aniluadverterit, facilius scrutari origines patietur

    verborum ; reperiet enim esse commutata, ut insuperioribus libris oslendi, maiime propter bisquaternas causas. Literarum enim fit demptioneaut additione, et propter earum adtraclionem autcommutationem, item syllabarum productictie *

    aut correptione, denique......

    one quae quo-niam in superioribus libris, quoiusmodi essent,exemplis salis demonstravi, hic commonendumesse modo putavi.

    7. Nunc singulorum verborum origines ex-pediam; quorum quatuor explanandi gradus. In-fimus is quo etiam populus venit ; quis enim non

    videt unde arenifodinae et ? Secundusquo grammatica escendit antiqua, quae ostendit

    quemadmodum quodque poeta finxerit verbum,lonfinxerit, declinarit. Hic Pacuvi rudentum si-bilus ilio incurncers^icum pecu\ hic clamydev.lupeat brachium.

    8. u iiu> gradus |uo ptiilosophi:i ascendcns

    ben dati, si mantengono interi, ch molti ne furon guasti da scambii di lettere ; n la nostralingua vien tuJla da latine origini, c pareoebiejvoci altro suonano ora da ci che indicavanoavanti. Cos jostis valeva un tempo forestierinon soggetto alle nostre leggi, ed ora vale nemi-co, cio quello che dicessi allora perduellis.

    4 Nel cercar origine d una pa^ ^ 'm i farda quella forma o caso che ne pu dare piJame. chiaro che si dee fare cos ; perch quando, acagion d esempio, diciamo impos in caso retto,non s palese eh ei venga da potentia comequando diciamo impotem ; e si fa via meno pa^lese se dici posanzich impos parendo iignifi.car ponte meglio che potente.

    5. Poche sono le cose, cui non guasti il tem-po ; molle ne consuma in tutto. Chi vedesti bello

    in giovinezza, or vedi sformato dalla vecchiaia ;la terza genei^zione non vede pi quell'uomo,cui ha || l| B || |p ri m a. Sicch vien tardi la curadi per poter ri torre all' obblio ciche ha rapito a' nostri maggiori,lo, p er d^ ^ PR lti uu' indagine, non per questomi sconforter ; bens piglir animo, se mi rie-sca : ch molto buia la selva, dov ho a scavares falle cose; n c via battuta che guidi al se-gno; e ne'viottoli stessi s'attraversano intoppi

    che potrebbero tenermi il passo.6. Chi abbia notato per quanti modi nel co,

    mune uso si sono falle mutazioni di lettere nelleparole; ond' lulla la diversit fra gli antichi ei moderni parlari ; perdoner pi facilmente ilbisogno di rifrugar le origini delle parole, ve-dendo eh' esse furono alterate, come ho chiaritojnegli altri libri, per olio cause principulmentcJPoich ci avviene per sottrazione o aggiunta dilellere, per attrazione o scambio di esse, |>er al-

    lungamento o abbreviamento di sillabe, final-mente per inversione o raddoppiamento. Le qualicose, avendole gi dichiarate a bastanza conesempi! ne' precedenti libri, qui ho creduto diricordarle soltanto.

    7. Svolger ora le origini delle varie parole.Nel dichiararle ci son quattro gradi. L ' infimo quello, a cui giunge anche il volgo ; poich chinon vede che arenifodina detta dal cavarvisi^

    b sabbia, e viocurusdall aver la cura delle vie ?

    11 secondo, no sale che la grammatica antica, \aqual fa vedere io qual modo i poeti per compo-sizione o derivazione formarono ciascuna voce.Qui appartiene il sibilusdi Pacnvio per dinotareil ischiar delle corde, c incur\^icervicum pecus cio armento dal curvo collo, e clatnfde clupeatbrachium^cio s'avvolge al braccio la clamide invece di scudo.

    8. Il terzo grado c quello a cui Icvossi la filo

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    33/772

    ^5 DE LINGUA LATINA LIB. V.

    pervenit, atqoe en qnae in confoctudine cororonni esseot aperire cocpt, ut a quo dictum enetoppiduniy vicus ^ia. Quartus abi eat adi tua adinitia rerum : quo ai non perveniam, scientiam adopinionem aucupabor : quod etiam in salute no*alra nonnunquam facit, quom acgrotamua, me-dicus.

    Q. Quod si snmmum gradum non attigero,tamen secundum praeteribo ; quod non solum ad

    Aristophanis lucernam, sed etiam ad Cleanthislucubravi. Volui praeterire eos, qui poetarummodo verba ut sint ficta expediunt; non enifn

    videbatur consentaneum quaerere me in eo verboquod finxisset Ennius causam, neglegere quod.inte rex Latinus finxisset, quom poticis multisverbis magis delecter quam uiar, antiquis magis

    utar quam delecter. An non potius meo verba illaquae hereditate a Romulo rege vcoenmL q^amquae a poeta Livio relicta f

    10. Igitur, quoniam in hnec lunt tripartitaverba, quae sunt aut nostra aut aliena aut obli-via; de nostris dicam cur sint, de alienis undesint, de obliviis relinquam. Quorum partim quoita invenerim, * partim quo * ita opiner scribam.

    Ili hoc libro dioain de vocabulis locorum et quaein hia sunt; in secundo de temporum et quae inIlis fiunt; in tertio de utraque re a poetis com-prehensa.

    11. Pythagoras Samius ait omnium rerum ini-tia esse bina, ut finitum et infinitum, bonum etiiialuro, vitam et mortem, diem et noctem. Quarei lem duo, status et motus: quod stat aut agitatur,nupus; ubi agitatur, locus; dum agitatur, tem-

    pus; quod est in agitatu, actio. Quadripartitiomagis sic apparebit : corpus est ut cursor ; locusstadium qua currit; tempus hora qua currit;actio cursio.

    la . Quare fit ut ideo fere omnia sint quadri*partita, et ea aeterna ; quod neque unquam tem-pus quin fuerit motus, eius enim intervallum ten^pus ; neque motus ubi non locus et corpus, quod

    alterum est quod movetur, alterum ubi ; nequeubi id agitatur, non actio ibi. Igitur initiorumquadrigae : locus et cofpus, tempus ct actio.

    i 3. Quare, quod quatuor genera prima re-rum, totidem verborum ; hocuiuiam de binii, locia et iis rebus quae in his videntur, in hoc librosummatim ponam. Sedqoa cognatio eius erit ver

    sofia, incominciando a spiegare quelle alMM pa-role che sono nel comune uso ; per esempio, ondevengano oppidum ificus via. Il quarto grado quello per cui entrasi ne' principii stessi dellecose. Che se io non vi potr giungere, cercheralmeno opinion pi probabile; come fa talvoltail medico, quando siam malati anche nel latto

    della nostra salute.0. A ogni modo, s io non toccher il sommo

    grado, patter almeno il secondo, perch ho ve-gliato alla lucerna, non pur d'Aristofane, maeziandio di Cleante. Ho voluto entrare innanzi acoloro che spiegano come sian fatte alcune vocide* poeti, e non vanno pi l ; poich parevamicontraddizione cercare il perch d un vottbolofatto da Ennio, e non curar quelli ch^avea fattoavanti il re Latino ; tanto pi che molle voci

    poetiche ion pi d'ornamento che d^uso, e leantiche in vece pi d'uso che d'ornamento. Nonfono forse pi mie quelle parole che mi venneroin erediti da Bomolo re, che le lasciate dal poetaLivio?

    IO. E poich distinguonsi tre n^aniere d voci,nostrali, straniere e divezze; delle nostrali diril perch, delle straniere indicher l'origine, del-le divezze lascier stare. E queste cose verrscrvendo, parte perch cosi ho trovato in altri,

    e parte perch cosi credo io. in questo libro aporr i nomi de' luoghi e di ci eh' io essi ; netsecondo i nomi de'tempi e di ci che avvienene'tempi; nel terzo d'ambe le cose qoauto aipoeti.

    t f . Pittagora di Samo dice che doppii sono tprincipii di tutte le cose, come finito e infinito,bene e male, vita e morte, giorno e noUe. Cosdicasi di stato e moto ; ne' quali pu considerarsila cosa che sta o muovesi, cio il corpo ; il dqve^

    cio il luogo ; il quando, cio il tempo ; il fattodel muoversi, cio azione. Questa divisione ap-parir meglio cos : il corpo, a cagion d'esem-pio, nelle cone il corridore ; il luogo, lo stadioper coi corre ; il tempo, l ' ora in cui corre ; azione, il correre.

    la . Da ci viene che quasi tutte le cose sonoquadripartite ed eterne ; perch non vi pot maiesser tempo senza che vi fosse moto, non easen^do il tempo che l'intervallo del moto; n vi pot

    mai esser moto senza che vi fosse luogo e corpo,essendo uno il subietto, altro il dove del muo-versi ; n vi pu non essere azione dov' corpoche mnovexi. I principii delle cose formano adun-que due coppie, luogo e corpo, tempo ed azione.

    13. E poich quattro debbono essere i sommigeneri, come delle cose, cos anche delle parole ;di due fra questi, cio de' luoghi e degli oggettiche vi si veggono^ tratter soonneramentc nel

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    34/772

    ftl. TEKfcNTl VARRONIS

    bi qo te radices egerit extra fiues suas, persequemur ; SMpe enim ad limitem rborii radicet subficiiii pr

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    35/772

    DE LINGUA LATINA LIB^ V. to

    A ffio ktparUla cltisl^M Locfins Boorura uniuset vigilili librorum InUiom fedi hoc :

    Aetheris et terrae genitabile quaerere tempus.

    18. Caelum dielam tcribil Aeltos, qaod estGteUlum ; atti, coiitrario nomine, celaium, quodafierlum est. Non male; qnod posterius mullopotius a caelo, qonm cielum a caelando. Sed nonmino iliad alterum dft celando potuit dici, quodinterdie celatur, quaro quod noclu non celatur.

    *19. Omnino ego magia pntoa C/ieorAovm, *hinc cavum *et hinc caelum ;quoniam, ut dixi,itoc circum supraque^ complexu continet

    terram cavum caelum. Itaque didt AndromachaNocU:

    Quae tava caeli signitenentibus conficis bigis ;

    el Agamemnon:

    in altisono caeli clipeo^

    eatiim enim diprum ; et Ennlui ile d cavattooem :

    caeH ingentes fornices

    ao. Quare, ut a caYo ca eaet caullae el convallis cjiTata Tallii ; et caelum a cavatione : atcavum sit ortum, onde omnia apad Heaiodom,a Chao ; a cavo caelum.

    IV. aI. Terra dicta ab eo, at AelSos scribit,quod teritur; itaque terra in Aogurum libriscripta cum K ano. Ab eo colonis locas commu-nis qui prope oppidam relinquitur, territorium quod maxime ieritar ; hinc linteam, qaod teri-tur ;corpore* extermentarium ; hinc In messitritmra qaod tam framentam teritur, et tri^o

    Aim, qoi teritor ; bine fine grorom termini^qaod eat parteis propter limitare iter maxume

    terantur ; i taqae bine, quod is in Latio aliquotlo d f dicitur, at apad Acciam, non terminas sedtermen, hinc Graeoi qaoqae T^f/ueve : pote tcIillino ; ETaoder enim, qui io Palatiam venit, eGraecia Arcss.

    Secondo questa bipartite divisione cominci Lu-cilio i suoi ventun libri a questo modo :

    Delia terra e dell' eira il genitaleTempo indagar.

    18. Caelum fu dello, seCndoch scrive Elio,quasi caelatm^ per essere fregiato di stelle; overamente, con nome contrario, per esser chiaroed aperto, cio non celato. Meglio la seconda co-sa ; perch' asMi pi probabile che venga caelareda caelumjanzich opposto. Ma quauto al per-ch de ir altra origine, pu dirsi ugualmente chesiasi nominato cieloda celare perch si cela digiorno, quanto perch non si cela di notte.

    19. A ogni modo io credo piuttosto che daChaos siasi fatto chous e cavus e caelum ;per-ch il cielo ; come ho detto, questa griin cavit

    che sopra e intorno e in s la terra abbraccia. Ond* che Andromaca dke alla Nolte:

    1 u che il concavo ciel con la stellalaBiga misuri ;

    ed Agamennone t

    NeHo scado del cielo allisonaute;

    ove dalla sua forma detto scudo per cavil;cui parimente accenna Ennio, scrivendo :

    La gran volta del ciclo.

    ao. Laonde, come da cavosi disse cavea lagabbia e caullae i pecorili, e si form convallisquasi valle cava ; cos dalla sua figura concava funominato anche il cielo. Sicch da Chaos,,orif:inCsecondo Esiodo di tutte le cose, si fece ca us e

    da questo caelum.IV. a i. La /erra, scrive Elio, fu cosi della da

    terere cio logorare ; e per ne libri degli Au-guri sta scritta con un solo R. Dalla stessa originesi chiam territorium, come il pi battalo, qielluogo che si lascia a comune uso presso la citt \ed extermentarium 11 lenzuolo, perch logorodal corpo ; e nella messe si chiam triturail treb-

    biare, perch vi si batte il fWimento, e trivolumla trebbia, perch con tsu si batte. Dalla stessa

    origine si son detti termini i confini de campi,perch quella parte la pi battuta, essendo iviil tragel to. E poich in alcuni luoghi del I^zionon si dice terminus^ma termen com pure ioAccio ; anche i Greci ne h^nno fatto 4.Quantunque potrebb esser opposto, che i ia l i -ni Vavessero preso dai Greci ; perch Evandro,che venne a slanzbre nel Pallino, era grecod Arcadia.

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    36/772

    11 . TEEENTl VARRONIS

    aa. Fioy sicut ifer, qnod ea Tehenclo tcritar,iler ilu. Aetusy qaod agendo teritur. Eliam amhitusest quod circameando teritur ; nam ambi-tus circuiluf, ab eoque xii Tabularum interpre-tes ambitus parietis circuitum esse describunt.Igilur tera itrra^ et ab eo poetae appellaruntsumma terrae, quae sola teri possunt, sola terrae.

    a3. Terra, ot putant, eadem et humus ; ideoEnnium in terram cadentis dicere :

    cubitis pinsibant Immum ;

    et quod terni stt humus, ideo is humatusmor-tuus qui terra obrutus. Ab eo, quom Romanuscombustus est, si in sepulcrum eius abiecta glebanoo est ; aut si os exceptum est mortui ad fami-liam purgandam, donec in purgando humo estopertus ( ut Pontifices dicunt, quoad inhumatussit)y familia funesta manet. Et dicitur humiliorqui ad humum demissior, infimus humillimus^quod ia mundo infima humus.

    Humorhinc ; itaque ideo Lucilius :

    Terra abit in nimbos imbrtmque ;

    Pacuvius :

    terra exhalat auram at que auroram humidam^

    humectam. Hinc ager uliginosushumidissimus ;hinc udusuvidus ; hinc sudor^ quod fluit * deor-sum in terram.

    a5. Unde sumi p o t e , n i s i potius quodf Aeolis dicebant, ut morafiv *, sic

    a potu, non ut nunc A puteis op-pidum Puteoli quod incircum eum locum aquae

    frigidae et caldae multae ; nisi a putore potius,quod putidus odor i^i laepe ex sulphure et alu-mine. Extra oppida a puteis /wfico//,* quod ibiin puteis obruebantur homines; nisi potius, utAelius, scribit, putieulae quod putescebant ibicadavera proiccta. Qui locus publicus ultra Exqniliai ; itaque eum Afranius subluculos * in to-gata appellat, quod inde suspiciunt perpetuolamen.

    aa. Tanto via che iter si son posi detti dal esser battuti, quella per veicoli, questa per gite.Cosi actus chiamossi la carreggiata 4le campi daagere trasportare, perch IjattuU da traini. An-che ambitus quella linea che resta battuta dalrire intorno; perch vale in fatto circuito, eper gP interpreti delle Dodici Tavole dichiarano

    che per ambitus parietis vi si ha ad intendereil sentiero intorno alla casa. Terra adunque quasi fera, cio trita ; e i poeti ne dissero xo/tim,cio suolo, la superficie, perrh'* la sola che sipu battere.

    aS. La terra, per ci che s avvisano, fu dettaanche humus. Allegano Ennio, il quale os que-sta voce descrivendo i cadenti.

    Che percotean col gomito la terra :

    n dircbbesi humatus il morto quando sotter-rato, se humus non valesse quanto a dir terra.Anche pei Romani che bruciansi, se non s ' git-tata la zolla sopra il sepolcro, o se fu riservatoun osso del morto per purgar la famiglia; inambedue questi casi i Pontefici, dichiarando con-taminata la famiglia finch queir avanzo del mor-to non sia coperto con la terra nel rito di purga-zione, si valgono della formola quoad inhumatus

    sit. Per questo exiandio si dice humiliorchi pi depresso a terra, e humillimus infimo;perch la terra la pi bassa parte del mondo.

    a4 Di qua viene humor cio umore ; ondeLucilio :

    S 'assottiglia la terra in nebbia e pioggia ;

    e Pacuvio :

    Manda nebbia la terra, c i matutiniVaport esala.

    Di qua campo uliginoso^ cio umidissimo; diqua'tf(/iij, o uvidus,cio bagnato; di qua sudor perch* umore che va gi verao terra.

    a9 . Dal potervi attignere fu^cTf puUftsWpozzo; o piuttosto da ci che gli Eoli,com^hia4mavaoo non rere^oV, il fiume, cosi*diceano vc^sov, dal bere,, quello cb^ ora dicono

    fSf> cio pozzo. Da' pozzi ebbe ii nome la cittdi Pozzuoli,perch intorno ad essa v' han molteacque e fredde e calde ; se per non vogliasi nomata in vece del puzzo, che v' frequente, dizolfo e d* allume. Da' pozzi trassero pure il nomeque che si dicon puticoli fuori delle citt ; per-che ivi entro a pozzi si seppellivano gli uomf \Potrebbero per altro dirsi puticulae come scri-ve Elio, per ci che vi si gettavano i cadaveri a

    la

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    37/772

    i3

    2G.Lacus lacuna muglia, ubi aqua contineripotest. Palus paululuin aquae in altitudinem, etpalam latius diiiusae. Stagnuma Graeco ariyvov,

    quod non habet rimam : hinc ad villas rotundastagna, quod roluudum iacillirae continet, angulimaxime laborant.

    37. Fluvius quod floit ; itemflumen :quokg praediorum urbanorum scribitur :

    impuzzolire. In Roma tono essi iin luogo pubbli-co di l dalT Esqaili ; onde Afratiio nella suatogata li dice suhuculi^ perch hanno sempre ilIn me dall' alto.

    a6. Lacus fu detto il lago, pcrch' una gran-de laguna^ cio cavit, atta tener l'acq ua ;

    palus la palade> o da paululum per la poca al-

    tezza deir acqua, o dapalamperch spandesi insaperBcie ; e stagnum fu chiamato lo stagno dalgreco crtyf otturato, perch non ha a[>erture :onde nelle ville gli stagni si fan rotondi, per ciche il tondo tien meglio e gli angoli pi di leg>gieri fan pelo.

    27. Fluvius chiamossi il fiume dafluere^ cioscorrere ; cos ancheflumen. Onde nella leggede' fondi urbani sta scritto :

    pL LINGUA lATlNA LIB. V. 14

    Stillicidia flumina^e ut fluant ita cadaniqut^

    Inter haec hoc interest, quod stillicidium eoquod stillatim cadat; flumen quod iluit con-tinue.

    a8. Am nis id flumen quod circuit aliquid;nam ab ambitu amnis. Ab hoc qui circum Atcrnum habitant, Amiternini appellati ; ab eo quipopulum candidatus circum it, amlit; et qui aliter facit, indagabili j ex ambilu causam dicit.

    Itaque Tiberis amnis quod ambit Martiumrampum et Urbem. Oppidum Interamnadiclum,quod inter amnis esi constitutum ; item Anlem

    quod ante amnis, qua Anio influit in Tibe-rim : quod bello male acceptum consenuit.

    29. Tiberis quod caput extra Latium, si indenomen quoque exfluit in linguam nostram, nihild 46\ latinum ; ut, quod oritur ex

    Samnio, Volturnus nihil ad lalinam linguam.At quod proxumum oppidum ab eo secundummare, Volturnum ^ ut ad nos iam ut latinumvocabulum ; ita Tiberinus nostrum : et coloniaenim nostra Volturnum, et deus Tiberinus.

    3o. Sed de Tiberis nomine anceps historia ;nam sunm Etruria, et Latium suum esse credit ;quod fuerunt qui ab Thebri vicino regulo Vc

    ientum dixerunt appellatum primo Thebrim ;sunt qui Tiberim priscum nomen latinum Albu-lam vocitatum literis tradiderunt, posterius pro-pter Tiberinum regem Latinorum mutatum, quodibi interierit, nam hoc eius ut tradunt sepulcrum.

    VL 3 i. Ut omnis natura in caelum et terramdivisa est, sic caeli regionibus terra in Asiam etEuropam; Asia enim iacet'ad meridiem et aa

    Grondaie e flu m ifluiscano cadano comefanno ora.

    Fra stillicidium^ cio grondaia, eflumtn^\2i dif-ferenza qtiesta, che il primo cos detto dalcadere a stille, Tnltro dal fluire alla distesa.

    28. Amnis fiume che inlomia un qualcheluogo ; perch cos detto da una particeli chesigniHrn intorno. Perci quelli eh'abitano intor-no airAlcrno si chiamarono Amiternini; e sidice ambire il candidalo che va bucherando at-

    torno, e chi rompe cos la legge fatto reo dambito. Quindi il nome di amnissi d anche aiTevere, perch gira il campo Marzio e la ctll.Da amnis fu denominala la citt Interamna perch* posta intra fiumi ; edAntemnae perchgiaceva davanti a due fiumi, dovei'Aniene mettonel Tevere ; ora mal condolta dalla guerra ruin.

    39. Stante che il Tevere ha la sua originefuori del Lazio, se di l viene anche il nome nellanostra favella, non ha che fare col latino etiraolo>

    go; come non appartiene alla lingua latina ilVolturno per ci che nasce dal Snnio. Pure aquel modo che anche Volturnospelta a noi comevocabol latino, in qoanto nome di citl postaivi presso lungo il mare ; coai pur Tiberinusevoce nostra ; perocch Tollurno una nostra cofonia, e Tiberino un nostro dio.

    3o. Ma su '1 nome Tiberis ambgua la sto-ria ; oh Etruria il vuol suo, e suo lo vuole an-che il Lazio. Poich v' ebbe chi il disse chiamato

    da prima Thebris da un signorotto de'Veientiivi presso dello stesso nome ; e V ebbe in vecechi lasci scritto che antico nome latino del fiu-me Tevere fu Albula,, e s ' poi mutato nel l'al -tro, perch vi mor Tiberino re de Lvtini^ ondequesto fiume come dicono il suo sepolcro.

    VI. 3 i. Come universo dividesi in cielo eterra, CU8 dalle plaghe celesti la terra c distintaiu Asia cd Europa ; perch Asia quella parte

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    38/772

    i5 . TERETI ViKfiQNlS

    9lrum, Enippa ad sqplcnilrioDa ct aquilonem.Asia dicta a Nympha,,a qua ellii|>eto IradilurPrometheui.Europa ab Europa A genor ig, quamex Phoenice Mallius scribit taurum exporlasie;quorum egregiam imaginem ex aere PythagorasTarnti fecit.

    33. Europae loca multae incolunt nationes.Ea fere nominata aut translaticio nomine ab hoBoinibus ul Sabini et Lucani aut declinato abhomiuibus ut Appulia et Latium : utrumque utEtruria et Tusci, Qua regnum ftiit Latini, uni-versus ager dictus Latium particulatim oppidiscognominatus, ut a Praeneste Praenestinus abAricia Aricinus

    33. Ut nostri Augures publicf disserunt, agro-rum sunt geoera quinque, Romanus, Gabinus,Peregrinus, Hosticus, inoertu. Romanus dictus,unde Roma, ab Romulo. Gabinusab oppido GaLis. Peregrinus ager pacatus qui extra Romaui|ia et Gabinum, quod uno modo in his ferun-tur auspicia. Dictus peregrinos a pergendo, idest a progrediendo; eo enim ex agro Romanoprimom progrediebantur. Quo circa Gabious

    quoque peregrinus: sed, quod auspicia habet sin-gularia, ab reliquo discretu. Hosticusdictus abhosiibus. Incertus ia ager, qui de his quatuorqui ait jgooralur.

    34. Ager dictas in quam terram quid age-bant, et onde quid agebant fractus causa: aliiquod id Graeci dicoot Ut ager qno agipoterat, sic qua agi acius. Eius finis miaimua

    eonstitutuf in latitodinem pedet quatoor, fortasfe II ab eo quatoor qood ea quadrupes agitur ;ia loBgitudioem pedei czx ; io quadratum acturaet latum et longum ease oxx. Multa autiqoi duodeoario oumero foieroot, ut u i decoriia actum.

    Sb. lugerum diotom iunctis duobus actibusquadratis. Centuria primo a oentum iugeribus

    4 ieta; poft duplicata retinuit nomen, ut tribustDolliplicatae idem tenent nomen. Ut qoa aget

    baot, actos ; sic qui Tehebant, viae dictae ; quofrocCos^cooTehebintor, villae ; qoa ibant, ab itoiferappellarunt} qoa idanguste^ semita otifemiter dicta.

    che stendesi a mezaodi t*d ostro, Eumpa quellache giace a settentrione e tramontano. CbiamossiAsia la prima da una ninfa, la qtialc voce chedi Giapctu generasse Prometeo ; ed Europa Paltra da Europa figlia d* Agenore che di Feniciafu qua portata da un toro, come scrife Blallio efu egregiamente figurato io bronzo da Pittagora

    in Taranto.32.1 luoghi d'Kiiropa, come son lenuli da

    Tarii popoli, si sono anche per lo pi chiamali ocol nome stesso del loro popolo, come SabinieLucani o con un nome tratto da quello comeAppulia eLatium o talrofta ancora in ambeduele maniere oome Etruria e Tusci. Tatto quelpaese, in cu re^o fiatino, a' detto gtotralraen*teLatium : in particolare poi rice?ette qua e larii nomi dalle sue varie castella : come ager

    Praenestinusda Preoeste, Aricinus da Arici.33. V'han cinque sorta di territorii, secondo

    che divisano i pubblici auguri, romano, gabino,peregrino, ostile, ed incerto. 11 romano ebbe ilnome donde il prese Roma, cio da Romolo ; ilgabino dalla citt di Gabio. 11peregrino terri-torio soggettato oltre i termini del romano e delgabino ; che quanto al modo di pigliare gli au-spicii, in questi due il medesimo. Fu detto pe-regrino dapergere cio innoltrarsi, perch pri-

    mo ofi'rivasi a chi andava pi l dal territorioromano. Vero che per questo rispetto dovrebbecomprendere anche il gabino; ma ne fu separatoper la diversit degli auspicii. L ostile fu cosidetto d a c i o nemico; Vincerlo^ dall'ignorarsi a quale degli altri quattro sppartenga.

    34*Ager si nom, da agere cio condurre,quel terreno, dove e donde si conduceva alcunche per cagion di frullo : allri il vuole dal greco

    che vale il medesimo. Come ager si disse,

    quello, in cui conducevasi ; cosi actus si chiamlo spazio, per cui poteva condursi. V alto mini-mo fu slabilito di quattro piedi in largo ( forsequaltiro perch vi si menan quadrupedi) e dicento e venti in lungo ; il quadro poi, di cento eventi si.in largo che in lungo. Parecchie cose gliantichi han determinato pe> dozzine ; e cosi fe-cero neir attoche stabilirono di dieci dozzine.

    35. Il giugero fu cos dello, perch' due attiquadri congiunti ; e la centuria perch da prima

    era cento giugeri, poi raddoppiata ritenne l'an-tico nome, siccome accadde delle trib non ostan-te il moltiplicarsi che fecero. A quel modo chedal condurre si nom atto ; cosi da vekere cio trasportare, ai dissero viequelle per cui tras-por tavansi, e ville i luoghi in cui trasportavansi ifrulli ; cosi da ireai chiam iter il calle per cuicaoiminavasi ; e S4mita quasi u m i t ^ cio loezzu calle, uo sentiero suelto.

    iC

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    39/772

    *7 DE LINGUA LATJNA IJB. V. i8

    36. Ager cultas ab co qaoJ ibi cum terra se-mina coalcflcebaut, ut iaconsitus incultus* Quodpi'iroum ex agro plano fructus capiebant, cam-

    pus dictus. Posteaquam proxima superiora locacolere coeperunt, a colendo colles appellarunt.Quos agros non colebant propter silvas aut idgenus ubi pecus posset pasci, et possidebant ab-

    usu suo, nominarunt. Uacc etiam Graeciro/uflii, nostri nemora.

    3;. Ager, quod videbatur pecudum ac pecu-niae esse fundamentum,y

  • 7/22/2019 Marco Terenzio Varrone - De Lingua Latina, Frammenti

    40/772

    *9 . T ERti lT l VARRONIS

    noiDiiialum ab tot montibus, qaos poaiea urbsranvis comprehendit. L quis Capitolium diclum,quod hic, quom fundamenta foderentur aedislovis> capot humanum dicitur inventum. Hicmons ante Tarpeius dictus a virgine VestaleTarpeia, quae ibi ab Sabinis necata armis et sepulta ; quoius nominis monimentum relictum,

    qood etiam nunc eius rupes Tarpeium appellatursaxum.

    4a Hunc""antea montem Saturniumappella-tum prodiderunt, et ah eo late Saturniam ter-ram, ut etiam Ennius appellat. Antiquum oppi-dum in hoc fuisse Sa/ur/iia scribitur. Eius vesti-gia etiam nunc manent tria : quod Saturni fanumin faucibus ; quod Saturnia porta, quam luniusscribit, ibi, quam nunc vocant Pandanam ; quod'posiadem Saturni in aedificiorum legibus pri-

    vatis parietespostici murisunt scripti.

    43. Jventinum aliquot de causis dicuut. Nae-vius ab avibus, quod eo se ab Tiberi ferrentave ; alii ab rege Aventino Albano, quod ibi sitsepultus; alii adventinum ab adventu hominum,quod commune Latinorum ibi Dianae templumsit constitutum. Ego maxume puto quod ab ad-vectu ; nam olim paludibus mons erat ab reliquis

    disclusus, itaque eo ex urbe advehebantur rati-bus : quoius vestigia, quod ea, qua itum, diciturVelabrum ; et, unde escendebant, ad infumamnovam viam locus sacellum Vtlahrum.

    44 Vtlahrum^vehendo. Velaturam facereetiam nunc dicuntur qui id mdrcede faciunt.Merces ( dicitnr a merendo et aere ) huic vectu-rae, qui ratibus transibant, quadrans ; ab eo Lu

    ciHus fcripsit :

    Quadrantis ratiti.

    V ll l. 4^ Reliqua Urbis loca olim discreta,quom Argeorum sacraria in septem et xx partisurbis sunt disposita. Argeosdictos putant a prin-cipibus, qui cum Hercule Argivo venere Romamet in Saturnia subsederunt, E quis prima est

    scripta regio Suburaua, secunda Exquilina, tertiaCollina, quarta Palatina.

    46. In Suburanae regionis parie princeps estCaelius mons, a Caelio Vibenno Tusco duce no-

    bili, qui cum sua manu dicitur Romulo venisseauxilio contra Tatium regem ; hinc posi Caeliimortem, quod nimis munita loca tenerent nequc^sine suspicione essent, deducti dicuntur in pia

    Septimontiumpei sette colli che furono poi com-presi dentro alle mura della citt. P'ra questi ilCapitolium^ o Campidoglio, prese il nome da uncapo umano che vi si dice trovato nello scavare ifondamenti pel tempio di Giove. S 'addomandavaprima Tarpeo da Tarpea vestale, che fu ivi da Sa-bini uccisa con gli scudi e sepolta ; del quale an-

    tico nome di esso monte rimane ancora questoricordo che la rupe vi si chiama sasso Tarpeo.

    4a. Prima d' allora voce che questo montefosse detto Saturnio e comunicasse per ampiotratto al paese il nome di Saturnio qual e chia-mato anche da Ennio. Scrivono che in antico fosseivi un castello, di nome Saturnia : ne restanoancora itt indizila cio il tempio di Saturno al imboccatura, essere stata ivi la porta Saturniaricordata da Giunio, detta ora Pandana ; e il tro-

    var chiamati, nelle leggi su i privati edificii, muripostici cio mura di dietro, le pareli delle caseche son dopo il tempio di Saturno.

    43. Del nome A ventino dan pi ragioni. Ne-vio il vuole da asfiSy uccello, perch vi si andas-sero a posar gli uccelli dal Tevere ; allri da Avenilino re d Alba che dicono ivi sepolto ; altri, quas?adventinus^ dal trarvi della gente al tempio diDiana comune ai Latini, ivi costruito, lo il credopiuttosto da ady ehere tragittare ; perch una pa-

    lude lo segregava un tempo dagli altri colli, ondedalla cill vi si tragittava sopra travate. Ne rima-ne ancora questa traccia, che il luogo, per cui vili andava, dello Velabro^ e in fondo alla vianuova, dove cominciava ascesa, la cappellaVelabra.

    44. Velabro in fatti da vehere trasporta-re ; onde si dice anche oggid velaturam facerechi trasporta a mercede ; il qual nome di merce-de da merere, guadagnare, e da aes danaro.

    E perch chi passava su la travata, la mercede perquesto tragitto era un quadrante ; pen:i scrisseLucilio :

    Quadrantis ratiti,

    V lll. 45. Il resto della citt fu diviso in partsino ab antico, quando si distribuirono per ven-tisette luoghi della citt i sacrarii degli Argei.

    ArgeiWcredon chiamati dai principali fra que chevennero a Roma con Ercole Argivo e fecero stan-

    za in Saturnia. Nella descrizione di que'luoghi posto primo il quartiere Suburano, secondo VEsquilino, terzo il Collino, quarto il Palatino.

    4 6 . lo capo del quarlier Suburano il monteCe/io, il qual ebbe il nome da Celio Vibenno,nobile capilano Etrusco, che dicesi venuto conla sua gente in soccorso di Romolo contro reTazio. M