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Concorrenza e Mercati IL PASSAPORTO DELLE IMPRESE ITALIANE di Emilio Roncoroni 02.08.2007 Si dice che nel nostro paese gli investimenti esteri siano scarsi. In realtà, molti settori sono da tempo caratterizzati da imprese a controllo straniero che detengono quote importanti dell'attività nazionale. E se la nostra specializzazione produttiva è fondata sulle Pmi, gli investitori esteri sono invece attratti in Italia dalle medio–grandi che portano in dote alte quote di mercato. Ma la paura dello straniero è maggiore quando sono coinvolte alcune specifiche aziende definite, spesso impropriamente, a valenza pubblica. La vicenda Telecom Italia ha sollevato parecchie perplessità e domande tra le quali anche quelle relative al passaporto degli azionisti delle imprese italiane. La questione è se sia preferibile un azionista italiano rispetto a uno estero e, soprattutto, perché. Investitori e classifiche Sui giornali molti opinionisti hanno cercato di dimostrare come la nazionalità dell’azionista di controllo sia neutrale ai fini dell’incremento di efficienza dell’impresa e delle ricadute positive sul mercato, essendo queste ultime l’effetto della maggiore concorrenza indotta dal venir meno di barriere di diversa natura. Assieme a questo argomento si è dato spazio al tema più generale degli investimenti esteri in Italia che permangono, secondo alcune fonti, piuttosto contenuti e pongono l’Italia nella parte bassa della classifica europea. (1) È bene sottolineare due importanti limiti di queste classifiche. In primo luogo non riescono a spiegare perché, né danno conto del fatto che parecchi settori sono in realtà ormai da tempo caratterizzati da imprese a controllo estero che detengono quote importanti dell’attività nazionale: gestione dei servizi portuali, compagnie telefoniche, farmaceutica, acque minerali, elettrodomestici, supermercati,informatica, servizi di gestione calore e così via. In secondo luogo, non tengono conto della specializzazione produttiva nazionale che condiziona l’ingresso di operatori esteri. In particolare, la presenza diffusa di Pmi operanti in settori poco attrattivi all’investimento estero - per la concorrenza da parte di altri paesi, soprattutto nei settori di scala con tecnologie ormai note e ampiamente diffuse, - per le ridotte dimensioni dei mercati di sbocco dei settori di nicchia (come la meccanica di precisione) che non incentivano l’aggregazione di imprese che dovrebbe al contrario realizzarsi dopo un’acquisizione, - per la forte presenza di imprese riconducibili al modello "one man one company", che determina una eccessiva identificazione tra il fondatore e l’impresa stessa. Page 1/3 http://www.lavoce.info/articoli/pagina2861.html

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Concorrenza e Mercati

IL PASSAPORTO DELLE IMPRESE ITALIANEdi Emilio Roncoroni 02.08.2007

Si dice che nel nostro paese gli investimenti esteri siano scarsi. In realtà, molti settori sono da tempocaratterizzati da imprese a controllo straniero che detengono quote importanti dell'attività nazionale.E se la nostra specializzazione produttiva è fondata sulle Pmi, gli investitori esteri sono inveceattratti in Italia dalle medio–grandi che portano in dote alte quote di mercato. Ma la paura dellostraniero è maggiore quando sono coinvolte alcune specifiche aziende definite, spessoimpropriamente, a valenza pubblica.

La vicenda Telecom Italia ha sollevato parecchie perplessità e domande tra le quali anche quellerelative al passaporto degli azionisti delle imprese italiane.La questione è se sia preferibile un azionista italiano rispetto a uno estero e, soprattutto, perché.

Investitori e classifiche

Sui giornali molti opinionisti hanno cercato di dimostrare come la nazionalità dell’azionista dicontrollo sia neutrale ai fini dell’incremento di efficienza dell’impresa e delle ricadute positive sulmercato, essendo queste ultime l’effetto della maggiore concorrenza indotta dal venir meno dibarriere di diversa natura.Assieme a questo argomento si è dato spazio al tema più generale degli investimenti esteri inItalia che permangono, secondo alcune fonti, piuttosto contenuti e pongono l’Italia nella parte bassadella classifica europea. (1)È bene sottolineare due importanti limiti di queste classifiche. In primo luogo non riescono aspiegare perché, né danno conto del fatto che parecchi settori sono in realtà ormai da tempocaratterizzati da imprese a controllo estero che detengono quote importanti dell’attività nazionale:gestione dei servizi portuali, compagnie telefoniche, farmaceutica, acque minerali, elettrodomestici,supermercati,informatica, servizi di gestione calore e così via. In secondo luogo, non tengono conto della specializzazione produttiva nazionale che condizional’ingresso di operatori esteri. In particolare, la presenza diffusa di Pmi operanti in settori pocoattrattivi all’investimento estero-  per la concorrenza da parte di altri paesi, soprattutto nei settori di scala con tecnologie ormai notee ampiamente diffuse,-  per le ridotte dimensioni dei mercati di sbocco dei settori di nicchia (come la meccanica diprecisione) che non incentivano l’aggregazione di imprese che dovrebbe al contrario realizzarsidopo un’acquisizione,  - per la forte  presenza di imprese riconducibili al modello "one man one company", che determinauna eccessiva identificazione tra il fondatore e l’impresa stessa.

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Se si considera questo aspetto, e si concentra lo sguardo sui settori potenzialmente attrattivi sidovrebbe al contrario concludere che il tasso di diffusione di interventi esteri nel nostro paese è giàalto.

Chi e dove sono gli stranieri

Utilizzando la banca dati di Databank, società milanese specializzata nell’analisi settoriale, èpossibile tratteggiare un primo quadro sulla presenza estera nelle imprese italiane.Se si considerano le prime cento per fatturato si ottiene che il campione si divide in maniera ugualetra imprese a controllo italiano e imprese a controllo estero (cinquanta per ciascun gruppo).Complessivamente queste imprese realizzano un fatturato di 261 miliardi di euro di cui il 65 percento prodotto dalle imprese a controllo italiano e il 35 per cento da quelle a controllo estero. Nelvalutare questi dati è importante tenere presente che le società analizzate sono le più grandioperanti in Italia in base al fatturato. È allora ovvio che quelle a controllo italiano pesino di piùrispetto a quelle estere, in quanto nel fatturato delle grandi imprese italiane è compreso anche laquota realizzata fuori dall’Italia, mentre ciò non avviene per quelle a controllo estero.Se si ordinano le imprese per settore di attività economica, quelle a controllo estero si posizionanosoprattutto (25 su 50) nei settori commerciali e meno in quelli industriali, con alcune eccezionicome nella chimica–farmaceutica (7 su 50). Le imprese a controllo italiano presenti nei settori delcommercio sono solo dieci. La presenza dei gruppi esteri in imprese commerciali mette in luce unastrategia di presidio territoriale di un mercato, quello italiano, che complessivamente è attrattivo siaper le sue dimensioni (57 milioni di abitanti) sia per il profilo reddituale e di abitudini di consumodei clienti. È poi un dato generale che le strategie di internazionalizzazione perseguite da gruppi industrialitendono a localizzare le attività produttive in paesi con ridotti costi dei fattori produttivi e a insediareinvece imprese commerciali con funzioni di coordinamento e di controllo sui mercati di sbocco inpaesi sviluppati.Se si osserva la distribuzione delle imprese per nazionalità degli azionisti in un settore tipico del made in Italy, l’alimentare, si trova conferma alla tendenza a una presenza di investitori esteripresso imprese medio–grandi: tra le prime cento imprese alimentari, ordinate sempre per fatturato,circa quindici sono a controllo estero con un fatturato medio di 770 milioni euro contro 172 milionieuro per le imprese a controllo italiano.Nel complesso quindi, da questi dati emergerebbe che gli investitori esteri siano attratti in Italia daimprese medio – grandi che portano in dote alte quote di mercato e che il livello di apertura delleimprese a azionisti esteri è alto, ma con una elevata diversità settoriale, che rispecchia lespecializzazioni economiche di ciascun paese.L’analisi di altre banche dati (2) conferma la forte presenza di imprese a controllo estero e lanotevole apertura dell’Italia verso imprese non nazionali. Le imprese con fatturato oltre 5 milioni dieuro sono 49.400, quelle con oltre 30 milioni euro scendono a 5.600, e le imprese italiane acontrollo estero sono 7.100 con una dimensione media di 120 addetti, quindi collocabili in gran partenella fascia alta della classifica per classi di fatturato.

Quando lo straniero fa paura

Se ne può concludere che la sensibilità nei confronti dell’assetto proprietario sia maggiore quandosono coinvolte alcune specifiche imprese, specie se operanti in settori denominati, non semprepropriamente, a valenza pubblica (utility, infrastrutture, banche, eccetera).Ci si sente espropriati se un investitore spagnolo affianca gli azionisti italiani in Autostrade, nonaltrettanto se sempre un azionista spagnolo assume il controllo di un brand storico nell’alimentarecome Star.Intanto, nel panorama europeo – in Francia e Germania, per esempio – non è da sottovalutare ildiffondersi di politiche nazionalistiche tese a contrastare, anche ope legis, l’ingresso di azionistiesteri, seppure limitato a settori ritenuti strategici per l’interesse del paese.

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(1) Si veda per esempio Il Sole 24Ore del 9 maggio 2007.(2) Cerved, banca dati che raccoglie tutti i bilanci delle società italiane, e Reprint, che esamina leoperazioni di acquisizioni di imprese.

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