«Il palcoscenico» - settembre 2011

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«La favola della bambina e del 27» di Delia Cajelli pag. 2 Gli auguri di Gigi Farioli, sindaco di Busto Arsizio pag. 3 Teatro Sociale, da 120 anni faro culturale di Busto Arsizio pag. 4 Il «Teatro di Busto» nell’Archivio Durini pag. 13 In questo numero IL PALCOSCENICO settembre 2011 ISSN 2035-3685 Copia omaggio …SE CENTOVENTI ANNI VI SEMBRANO POCHI.. Era il 27 settembre 1891 quando «La forza del destino» di Giuseppe Verdi teneva a battesimo il teatro Sociale di Busto Arsizio, piccolo gioiello architettonico di Achille Sfondrini. Dal restauro di Ignazio Gardella a quello di Mario Cavallè, dalla «stagione d’oro» dell’opera lirica al lavoro di didattica teatrale di «Educarte», un viaggio tra le pieghe di una storia da preservare. Un viaggio che porta anche a Como, al centro studi «Nicolò Rusca», dove è conservato l’archivio Durini…

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Numero speciale per i 120 anni del teatro Sociale di Busto Arsizio. All'interno un articolo sulla storia della sala e i risultati di una ricerca presso la Fondazione «Nicolò Rusca» di Como, dove è conservato l'archivio Durini.

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«La favola della bambina e del 27» di Delia Cajelli pag. 2Gli auguri di Gigi Farioli, sindaco di Busto Arsizio pag. 3Teatro Sociale, da 120 anni faro culturale di Busto Arsizio pag. 4Il «Teatro di Busto» nell’Archivio Durini pag. 13

In questo numero

IL PALCOSCENICOsettembre 2011

ISSN 2035-3685Copia omaggio

…SE CENTOVENTI ANNI VI SEMBRANO POCHI..Era il 27 settembre 1891 quando «La forza del destino» di Giuseppe Verdi teneva a

battesimo il teatro Sociale di Busto Arsizio, piccolo gioiello architettonico di AchilleSfondrini. Dal restauro di Ignazio Gardella a quello di Mario Cavallè, dalla «stagione

d’oro» dell’opera lirica al lavoro di didattica teatrale di «Educarte», un viaggio tra le pieghe di una storia da preservare. Un viaggio che porta anche a Como,

al centro studi «Nicolò Rusca», dove è conservato l’archivio Durini…

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LA FAVOLA DELLA BAMBINA E DEL 27

Cari amici,

vorrei raccontarvi una «favola».Molti anni orsono nacque una bimba. Era piccolissima epesava troppo poco per avere serie possibilità di soprav-vivere. Prima di lei, poi, erano morti alcuni suoi fratelli:Franca, Antonietta e Pietro… Il cammino di questa bimbasi preannunciava difficile… Tutti dicevano che non ce l’a-vrebbe fatta… Tutti, tranne la nonna, la quale si ostinavaa dire che quella bimba era troppo intelligente per nonfarcela. Le aveva sorriso il giorno della sua nascita e, poi,era nata in un giorno «magico»: il 27… La nonna porta-va orgogliosamente in giro la «sua» nipotina e, quando ledicevano: «Sembra morta … Dorme sempre», risponde-va: «È intelligente, dorme per recuperare le forze…». La bambina ce la fece… Crebbe assai vivace e piena dicuriosità… La nonna la portava al cinema, a vedere i filmdi Totò, e la «piccola» ricambiava l’affetto, «recitando»per lei, per lei sola, le scene più gustose del film oppure ilsunto delle favole che le venivano raccontate… Sempre la

nonna ripeteva compiaciuta alla bambina: «Deliuccia,ricorda che tu sei nata di 27 e questo vuol dire che un gior-no, quando la nonna non ci sarà più, tu farai un lavoroimportante…». La nonna diceva questo talmente convinta,che la bambina le credeva. Poi la nonna morì, dopo averchiesto alla «piccola» una promessa, che doveva valereper tutta la vita… La bambina promise e mantenne...Passarono gli anni e quella bimba divenne «grande» efece un lavoro importante… Arrivò persino a dirigere unteatro… A dirigere un teatro con abnegazione e impe-gno… Solo trentatré anni dopo che stava lì, fece una sco-perta… Che cosa? Che quel teatro era stato inaugurato ilgiorno 27… Seppe così che non solo la «profezia» dellanonna si era avverata, ma che il 27 aveva sempre «protet-to» il teatro e che lo avrebbe «protetto» anche in futuro.Del resto il 27 settembre quel teatro compie i suoi primicentoventi anni… È un teatro ancora giovane.. Ha davan-ti secoli di vita, poiché il teatro è la casa degli spiriti e lospirito, si sa, non muore mai, nonostante i falsi amici, isoloni e i bugiardi.

Delia Cajellidirettore artistico del teatro Sociale di Busto Arsizio

presidente dell’associazione culturale «Educarte»

Delia Cajelli in veste di attrice, durante la rappresentazione

dello spettacolo «La freccia azzurra» di Gianni Rodari, portato in scena, al teatro Sociale di Busto Arsizio,nella serata del 22 dicembre 2008.

Foto: Silvia Consolmagno

Musa della musica in gesso, ritrovatanel 2002, durante gli ultimi lavori

di restauro del teatro Sociale. La scultura è stata scelta come

immagine-guida delle celebrazioniper i centoventi anni della sala

e compare sul fermacarte commemorativo dell’anniversario,

realizzato in tiratura limitata a centoventi esemplari. Foto: Daniele Geltrudi

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CENTOVENT’ANNI DI STORIA DI UN TEATRO

In una realtà che tende a bruciaretutto nel breve volgere di un attimofuggente, ci troviamo al cospetto di uncompleanno che ci invita invece ariflettere. Riflettere su un protagonista, il teatrostesso e la sua storia, che hanno per-corso tre secoli e di cui hanno inevita-bilmente finito col vivere quotidianità,aspetti sociali, culturali, civili, distraordinaria e mutevole importanza.Un teatro e la sua storia che, anchegrazie al sacrificio e alla passionevera di troppo pochi, hanno saputosopravvivere a periodi di crisi nazio-nali ed internazionali, sociali ed economiche, bypassando guerre, contrasti, e,malattia più infida e non meno perniciosa, spesso anche l’indifferenza. Un compleanno è sempre occasione di bilanci e di prospettive. Mai come oggi, èoccasione di scelte, anche coraggiose, ma improcrastinabili. Il teatro Sociale si col-loca oggi più che mai al crocevia tra cronaca e storia, tra sviluppo e declino, cre-scita ed oblio. L’impegno per la valorizzazione della cultura, che è anche educazione e formazione

a trecentosessanta gradi, costituisce, come bensanno i più attenti tra noi, una prioritàdell’Amministrazione, pur nelle gravi ristrettezzedei tempi. Starei per dire che è soprattutto neiperiodi di crisi che occorre alimentare educazione,cultura, e spirito. Ma andremmo troppo lontano.Per oggi, nel ringraziare tutti coloro che nel corsodei secoli, degli anni, degli ultimi mesi, hanno tenu-to accesa la fiaccola del Sociale, impegniamoci afare in modo che si possa, senza abbassare il capo,dire tutti, senza retorica e con sincera trasparenza,«ad multos annos»! L’Amministrazione, il sottoscritto, così come l’as-sessore Fantinati negli ultimi cinque anni e l’asses-sore Crespi nel presente, ce la metteremo tutta. Siamo infatti convinti che questa sfida sia una sfidadella Città. Ed è la Città che non la può perdere.

Gigi Fariolisindaco di Busto Arsizio

Il sindaco Gigi Farioli al teatro Sociale di Busto Arsizio, durante una conferenza stampa.

Foto: Silvia Consolmagno

Il sindaco Gigi Farioli e Delia Cajelli, direttore artisticodel teatro Sociale di Busto Arsizio.

Foto: Silvia Consolmagno

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L’inaugurazione si tiene il 27 settembre 1891, con «La forza del destino» di Verdi

TEATRO SOCIALE, DA 120 ANNI FARO CULTURALE DI BUSTO ARSIZIO

Il progetto architettonico è di Achille Sfondrini, già autore del «Carcano» di Milanoe del «Costanzi» di Roma, figura interessante per lo studio dell’evoluzione dellatipologia teatrale del secondo Ottocento

È una domenica di inizio autunno, il 27 set-tembre 1891, quando il sipario del teatroSociale di Busto Arsizio si alza per la suaprima volta. Sul palco salgono la sopranoBianca Montesini, il baritono Sante Athos,il basso Antonio Nicolini e il mezzosopranoElvira Ercoli, sotto la direzione del maestroGiulio Buzenac. Nella platea e tra i palchet-ti, ormai ricordo di un antico passato, sidiffondono le note del melodramma «Laforza del destino», su musica di GiuseppeVerdi e con libretto di Francesco MariaPiave. Tra il folto pubblico presente in sala ad applaudire l’accattivante ouvertüre e l’aria «Pace, pace,mio Dio», il corrispondente della «Cronaca Prealpina» nota la presenza dell’ingegnerGiuseppe Introini e di Francesco Pozzi, rispettivamente primi presidente e segretario della«Società anonima del teatro Sociale», l’ente preposto alla gestione della sala, la cui fondazio-ne, avvenuta presso lo studio notarile di Carlo Prina in Busto Arsizio, risale al 21 agosto 1890.

Da Sfondrini a Gardella, la «piccola Scala» di Busto Arsizio e i suoi progettisti Nella breve corrispondenza del quotidiano locale, nato solo tre anni prima per volontà del gior-nalista varesino Giovanni Bagaini, non mancano parole di elogio anche per l’artefice del dise-gno edilizio: l’ingegnere e architetto milanese Achille Sfondrini, intimo amico di Camillo eArrigo Boito e conoscente di noti editori musicali come le famiglie Ricordi e Sonzogno. Lafigura di questo progettista, purtroppo ancora oggi poco studiata, è legata alla costruzione e allariqualificazione di un’altra dozzina di importanti teatri italiani del secondo Ottocento, tra iquali il «Carcano» di Milano (1872), il «Flavio Vespasiano» di Rieti (1883), il «Verdi» diPadova (1884) e il «Costanzi» di Roma (1880), l’attuale Teatro dell’Opera, che frutta al suoideatore il conferimento della Commenda dell’Ordine della Corona d’Italia dall’allora ministrodella Pubblica Istruzione, Francesco De Sanctis.«Somma valentia», «splendido e allegro vestibolo», «fatto secondo le esigenze dell’artemoderna» sono solo alcune delle espressioni che l’anonimo corrispondente della «CronacaPrealpina» utilizza nell’edizione del 28 settembre 1891 per definire il progetto sfondriniano inpiazza Nuova (l’attuale piazza Plebiscito), a breve distanza dall’appena inaugurata stazioneferroviaria della linea Novara-Seregno. La lode non deve essere frutto di un fugace entusiasmo da inaugurazione, se cinque anni dopola sua edificazione, il 31 dicembre 1896, lo stabile, che la tradizione vuole essere stato fattocostruire dalla contessa Carolina Candiani Durini per esaudire le ultime volontà del padre,il cavaliere Giovanni Candiani, figura come rappresentativo di Busto Arsizio (insieme con

Cartolina d’epoca con veduta esterna del teatro Sociale di Busto Arsizio

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l’attuale sede comunale) nel giornale «Lecento città d’Italia», supplemento mensileillustrato del «Secolo» di Milano.La tipologia edilizio-architettonica del teatroSociale ricalca, in origine, il modello scalige-ro, ideato dall’architetto neoclassicoGiuseppe Piermarini sullo schema dellecostruzioni teatrali dell’antica Grecia edell’Italia rinascimentale. Lo storico edificiobustese era, infatti, composto internamenteda un avancorpo a servizi con atrio, ridotto,uffici, depositi e salone delle feste, distintocome volume edilizio dall’uovo della salaorganizzativa, con platea e due ordini di pal-chetti, e dal corpo scenico, con camerini e vani per le attrezzature. Mentre la struttura esternapresentava una forma semplice a due ordini, di gusto neoclassico, con porte e finestre ad archia tutto sesto e una cupola a tamburo con aperture circolari. Attualmente rimane ben poco di questo progetto originario, a causa delle numerose e articola-te ristrutturazioni che si sono succedute dagli anni Trenta ai giorni nostri. In realtà, i primiinterventi di ampliamento dello stabile datano già all’ultimo scorcio dell’Ottocento.D’altronde, lo stesso articolo della «Cronaca Prealpina» del 28 settembre 1891 ricorda che, lasera dell’inaugurazione, il teatro, costruito in poco meno di un anno, «non può dirsi completa-mente finito, mancando ancora parecchie cosucce». Difficile trovare informazioni sulle prime vicende edilizio-architettoniche della sala. Due sonogli interventi che assurgono all’onore delle cronache. Nel 1898 -racconta l’architetto GiuliaGambassi Pensa, nel volume «Del teatro. 150 anni di vita teatrale a Busto Arsizio»- un pro-fessionista locale, l’ingegnere F. Prandoni, progetta il rifacimento del fronte principale,aggiungendo il corpo sopra l’ingresso. Nel 1924 -riporta il professor Guido Mario Poggi nellostesso volume, pubblicato per iniziativa del liceo classico «Daniele Crespi» di Busto Arsizionel 1991- l’ingegner Carlo Wlassics disegna una serie di ambienti di servizio da annettere allaparte riservata al palcoscenico. Il primo consistente intervento di «rammodernamento morfologico» del teatro Sociale risale,invece, al 1935 ed è firmato dai giovani progettisti Antonio Ferrario e Ignazio Gardella. Illoro lavoro, considerato meritevole da Edoardo Persico di una segnalazione sulla rivistainternazionale «Casabella» (una vera e propria Bibbia per gli specialisti del settore), si pro-pone di aumentare la capacità della platea e di ristrutturare la vecchia sala teatrale secondo ilgusto dechirichiano in auge a quei tempi.Le opere di restauro, storicamente attente e colte, portano così all’eliminazione della parte cen-trale della prima fila dei palchi, all’arretramento del boccascena e a un nuovo impianto colori-stico, giocato sulle tinte del rosa (la cupola), del rosso pompeiano (i palchi), del bruno (letende) e del bianco (i parapetti). L’atmosfera onirica e sognante creata da questi accostamenticromatici è resa ancor più suggestiva dalla presenza di affreschi raffiguranti figure allegoriche:donne e angeli danzanti, tra fiori, campane, note, chiavi di violino e pentagrammi. Della voltadipinta di rosa, probabilmente già realizzata ai tempi di Achille Sfondrini, Ignazio Gardellaritaglia solo poche figure, alle quali lascia «una libertà che diviene -per usare le parole di GuidoMaria Poggi- semantica alla fantasia e al sogno». Questi dipinti (ancora oggi visibili, in frammento, sotto la controsoffittatura della sala), così

Un particolare degli affreschi conservati sulla cupola delteatro Sociale di Busto Arsizio, sotto la controsoffittatura

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come gran parte del disegno progettualesfondriniano, scompaiono con il restauro rea-lizzato nel 1955 dall’ingegner MarioCavallè e ritoccato, negli anni Settanta, dagliarchitetti Denna, Valentini e Lampugnaniper «ragioni di estetica e di stabilità» (l’e-spressione è tratta dal verbale di assembleadella «Società per azioni del teatro Sociale»,tenutasi l’8 marzo 1972). Questi tre progetti-sti -si legge in un’intervista di GiorgioRomussi allo stesso Luciano Denna, pubbli-cata sul settimanale «L’Informazione» dell’8maggio 1998- eliminano «l’inutile e pesantecorpo sopra il portico» e riportano «le apertu-

re con archivolti, restituendo l’originale fisionomia architettonica semplice, modesta, ma omo-genea nei suoi volumi nitidi: il portico, il corpo dell’atrio con facciata a timpano, il volumecilindrico della sala sormontato dalla cupola, il parallelepipedo della scena».Il lavoro di Mario Cavallè, compiuto per adattare la struttura alle necessità della fiorente indu-stria della celluloide e disattento alla storia del luogo (così come era, purtroppo, in uso in que-gli anni), stravolge, invece, ogni preesistenza, lasciando intatti i soli atri, i locali di servizio eil retrostante palcoscenico. L’architetto e ingegnere milanese riprende, infatti, totalmente iltema del Sociale, costruendo una balconata al posto dei palchetti, inserendo una cabina diproiezione nell’antico salone delle feste e ricoprendo la volta affrescata per migliorare l’acu-stica della sala. La «veste esterna» -per usare le parole usate da Giuseppe Magini, in occasio-ne del centenario di attività della struttura- finisce per «non avere più alcuna rispondenza inter-na (per esempio il grosso corpo cilindrico con cupola è assolutamente senza riscontro nella salainterna)». Così, negli anni Cinquanta, mentre al teatro alla Scala diMilano si litiga per Maria Callas e Renata Tebaldi, perGiuseppe Di Stefano e Mario Del Monaco, la «piccolaScala» di Busto Arsizio, costruita dalla borghesia locale persoddisfare la propria passione melomane (il Comune entra afar parte della proprietà, con una quota azionaria, il 10 marzo1937 e vi rimane fino al 5 luglio 1958), abbandona note, pen-tagrammi e chiavi di violino e guarda al nuovo business chearriva da Oltreoceano. I primi film, dal divertente «Due cuoritra le belve» con Totò a «La collana di perle» di HelmutKautner, sono, in realtà, in cartellone nel teatro bustese giàdal 1944, dopo che la «Angelucci» di Milano, la società chegestiva allora l’attività, fa «sistemare al suo meglio» -si leggenel verbale d’assemblea della «Società per azioni del teatroSociale» del 27 marzo 1944- «una cabina di proiezione,senza deturpare la struttura». Il teatro Sociale diventa così, a tutti gli effetti e nell’arco diuna decina d’anni, una sala cinematografica come tante altre,non senza aver prima attraversato una parentesi della sua sto-ria, della quale esistono molti aneddoti e poche fonti, quella

Un’immagine del tenore fagnanese Renzo Pigni, in scenaal Sociale di Busto Arsizio nel giugno 1932,

in un allestimento de «La Bohème» di Giacomo Puccini

Un’immagine della soprano americana Lucy Kelston, in scena alSociale di Busto Arsizio nel febbraio1951, in un allestimento di «Madama

Butterfly» di Giacomo Puccini

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che vuole gli spazi del ridotto utilizzati, subito dopo il secondo conflitto bellico, come «casada gioco e trattenimenti privati», mentre in «sala grande» si tengono spettacoli di granvarietà, anche con Macario e le sue «donnine».

1891-1955, sessant’anni con il «problema» del pubblico Il restauro di Mario Cavallè sancisce, dunque, la fine della gloriosa vita musicale e teatraledella storico edificio bustese, che, in oltre sessant’anni di attività, aveva visto calcare le suescene numerosi spettacoli del «grande circuito nazionale» e importanti attori e intellettuali ita-liani, tra i quali Ermete Novelli, Angelo Musco, Tommaso Marinetti, Maria Melato,Ermete Zacconi, Cesco Baseggio, Ruggero Ruggeri, Ernesto Calindri, Paola Borboni,Emma Gramatica, Raffaele Viviani, Vittorio De Sica, Anna Magnani, Renato Rascel edElsa Merlini. Va anche ricordato che, in questi decenni, la programmazione della sala bustese non conoscegrandi momenti di interruzione, se non in occasione della messa in liquidazione della primasocietà di gestione, nel 1911, e durante i due conflitti bellici: nel biennio 1917-1918 si registrala chiusura totale dell’attività; dal marzo 1940 al termine della guerra, la sala ospita pochi spet-tacoli, dal momento che –si legge nel verbale redatto a seguito della riunione consiliare della«Società anonima del teatro Sociale», tenutasi il 24 marzo 1941- «la mancanza di un rifugioanti-aereo limita fortemente l’agibilità del teatro», così come la «luminosità della cupola»,dotata di lanterna (un simile rilievo trova spazio nel verbale consiliare dell’11 novembre 1940e sulla «Cronaca Prealpina» dell’11 ottobre dello stesso anno). È facile ipotizzare che, in que-sto frangente, l’attività della sala venga ridotta, ma non cessata, per i motivi evidenziati nel ver-bale consiliare del 23 settembre 1938, alla vigilia della seconda guerra mondiale: «Il signorsegretario politico […] rende noto che le superiori gerarchie, considerato che nella provinciadi Varese è agibile soltanto il Teatro di Busto Arsizio, intendono che le pause di chiusura delteatro stesso siano ridotte al minimo onde il pubblico possa più a lungo usufruire di questo

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nobile mezzo di educazione, di istruzione e dielevazione morale ed intellettuale».La fortuna della sala è alterna. Capita, e spes-so, che i bilanci siano in rosso, ma il veroproblema è la disattenzione del pubblico.«Quando i bustesi si decideranno a frequen-tare un teatro ove agiscono le migliori forma-zioni d’Italia?»: si domanda un giornalistadella «Cronaca Prealpina» sull’edizione del 7febbraio 1937. Un collega gli fa eco in unarticolo del 10 aprile 1940: «Cesco Baseggioe i suoi compagni hanno recitato […] conbrio, vivacità, entusiasmo: lo scarso pubblicosi è divertito; ha riso. Lasciamo in un canto ilcomputo finanziario delle due serate: un disa-stro, naturalmente […] Si tratta di abituare il

pubblico a frequentare il Sociale, onde evitare che, a lungo andare, dopo una serie ininterrottadi vuoti, si arrivi alla forzata determinazione di sprangare i battenti, di tirare il velario una voltaper sempre, di chiudere definitivamente i botteghini del teatro in attesa di tempi migliori».

Da Giuseppe Verdi a Dario Fo, lirica e prosa in scenaA caratterizzare il cartellone della sala, in quella che viene considerata la sua «epoca d’oro», è,senz’altro, la musica lirica. Dal 1891 fino agli anni Cinquanta, il teatro ospita, infatti, alcuni trai titoli più in voga del repertorio, dal «Don Pasquale» di Gaetano Donizetti a «La Boheme»di Giacomo Puccini, da «Il barbiere di Siviglia» di Gioacchino Rossini alla «Carmen» diGeorges Bizet, senza dimenticare «Cavalleria rusticana» di Pietro Mascagni, «Norma» diVincenzo Bellini e «Pagliacci» di Ruggero Leoncavallo. Tra gli interpreti di cui le cronachelocali serbano memoria ci sono: Emma Carelli, caposcuola dei soprani veristi e compagna dipalcoscenico dei tenori Francesco Tamagno ed Enrico Caruso, il baritono Carlo Tagliabue,grande specialista del teatro verdiano, la soprano Toti Dal Monte, celebrata per la sua bravu-ra persino da una poesia di Andrea Zanzotto, un’esordiente Lucy Kelston e il fagnanese RenzoPigni, entrambi destinati a importanti successi su prestigiosi palcoscenici internazionali. Tra idirettori d’orchestra va, invece, segnalata la presenza di Gastone Leoncavallo, fratello delnoto Ruggero, che, il 9 aprile 1910, fa registrare il tutto esaurito con la sua «Suite Napolitaine»e il settimino da «I Medici», firmando, al termine dell’esibizione, -scrive Giuseppe Paciarotti,nel volume «Del teatro.150 anni di vita teatrale a Busto Arsizio»- fotografie per le «fanciullein fiore dell’alta società bustese», alcune delle quali «si presentarono nei palchi in una misecosì libera che incontrarono il gusto del loggione, e solo del loggione». Dopo l’avvento della stagione cinematografica, al teatro Sociale non accadono fatti degni dirilievo, fatta eccezione per l’incendio che, nel 1959, rischia di trasformare la «piccola Scala»di Busto Arsizio nella «piccola Fenice». Giuseppe Renoldi, amministratore unico della«Società per azioni del teatro Sociale», riferisce, nella sua relazione all’assemblea degli azio-nisti del 30 giugno 1960, di «un danno non lieve all’edificio e alle attrezzature in esso instal-late». Si torna, invece, a parlare di opera lirica nel 1963, in occasione del centenario di elevazione diBusto Arsizio a città: l’amministrazione comunale organizza una «stagione non più che digni-tosa», ricorda sempre Giuseppe Paciarotti. «Tosca» di Giacomo Puccini, «Rigoletto» di

Una scena dell’opera lirica «La Traviata» di Giuseppe Verdi che il Teatro dell’Opera di Milano

ha presentato a Busto Arsizio, negli spazi del teatro Sociale, nella stagione 2008/2009.

Foto: Silvia Consolmagno

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Giuseppe Verdi, «Cavalleria rusticana» di Pietro Mascagni e «Pagliacci» di RuggeroLeoncavallo sono i quattro titoli che animano la sala nel novembre di quell’anno. Da allora eper tutta la seconda parte del Novecento, il cartellone del Sociale registra pochi appuntamenticon l’opera lirica, prevalentemente recital. Tra questi va ricordato il concerto del 16 novembre1984, organizzato in occasione di un convegno di studi su Alessandro Manzoni, che vede sali-re sul palco la soprano Annamaria Pizzoli (in una delle rare esibizioni nella sua città natale),accompagnata dal tenore Bruno Capisani e dai maestri concertori Piera Cagnoni eGiuseppina Barbieri. Per ritornare, invece, a una vera e propria programmazione teatrale, dopo la fortunata stagionedel decennio 1930-‘40, bisogna attendere gli anni Ottanta, quando una cooperativa locale, «GliAtecnici» di Delia Cajelli, si propone di riportare la struttura alle sue antiche origini. Da allo-ra lo stabile di Piazza Plebiscito accoglie una scuola di recitazione per attori professionisti, «Ilmetodo», e riprende a ospitare regolarmente stagioni di prosa, che vedono l’allestimento diproduzioni interne (come «Il conte di Carmagnola» di Alessandro Manzoni, con un insolitoGiacomo Poretti) e la partecipazione di artisti insigni, quali Franco Parenti, Beppe eConcetta Barra, Giancarlo Tedeschi, Marco Columbro, Uto Ughi e Dario Fo. Il premioNobel porta a Busto Arsizio l’anteprima nazionale dello spettacolo «Marino è libero! Marinoè innocente!» e arriva in città, insieme con la moglie Franca Rame, il 6 marzo 1998, con l’in-tento di salvaguardare la prestigiosa storia della sala bustese, che -si legge in numerosi giorna-li del tempo, compresa «La Repubblica» dell’8 marzo 1998- qualche speculatore edilizio sem-bra intenzionato a trasformare in un supermercato. Nello stesso periodo, alcune associazioni della città (il «Club 33», gli «Amici del cantoGiuseppe Verdi», l’Università popolare per la terza età e gli «Amici della danza» di MariaLuisa Milani, tra gli altri) fondano l’associazione «Amici del teatro Sociale». Per un annointero, fino alla vendita dello stabile a privati, questa realtà si propone di sensibilizzare l’opi-nione pubblica sull’importanza che la struttura ha avuto nella storia non solo teatrale, ma anchecivile della città. Un’importanza comprovata da alcuni fatti: all’interno della «sala grande» sitiene, il 29 marzo 1908, un incontro con il milanese Celestino Usuelli, primo trasvolatore delleAlpi con il pallone aerostatico «Regina Margherita», e hanno luogo numerosi incontri pugili-stici con Bruno Bisterzo, oltre a una cerimonia commemorativa per la morte del premio NobelLuigi Pirandello (avvenuta il 24 gennaio 1937, poco più di un mese dopo la morte dello scrit-tore siciliano). Anche la storia del ridotto scrive pagine importanti su questo fronte: tra le suepareti viene, per esempio, ospitato, per unbreve periodo, il club sportivo «Pro Patriaed Libertate» (la notizia del contratto dilocazione appare nei verbali delle sedute con-siliari della «Società per azioni del teatroSociale» del 2 settembre 1947 e dell’11marzo 1948).

Dal restauro del ridotto alla festaper i 120 anni, la storia recenteNel 1999 una cordata di imprenditori locali(due dei quali fanno parte della Srl che detie-ne, oggi, la proprietà della sala), acquisisce ilteatro Sociale, proponendosi di restituirepiena funzionalità alla vecchia struttura, che

Una scena dell’opera lirica «Rigoletto» di Giuseppe Verdi che il Teatro dell’Opera di Milano ha

presentato a Busto Arsizio, negli spazi del teatro Sociale, nella stagione 2010/2011.

Foto: Silvia Consolmagno

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è così fatta oggetto di una nuova opera di restauro. Arteficedei lavori di ristrutturazione, in parte terminati nella prima-vera del 2002, è l’architetto bustese Daniele Geltrudi. Il suoprogetto di restyling dà luogo –si legge nella relazione tecni-ca- a «un moderno polo dello spettacolo e della cultura, arti-colato su più livelli»: la sala teatrale con una capienza di 658posti (425 in platea e 233 in galleria), l’atrio e, dall'ottobre2008, il ridotto al primo piano, oggi intitolato alla figura diLuigi Pirandello (un omaggio, questo, alla lunga collabora-zione che il teatro Sociale ha avuto con Enzo Lauretta e ilCentro nazionale studi pirandelliani di Agrigento). Il linguaggio architettonico usato è contemporaneo, ma tienein considerazione anche le scelte cromatiche e strutturali deiprecedenti restauratori. Il rosso vivo delle poltrone e del sipa-rio e la luminosa colorazione unitaria dell’ingresso (su cuicampeggia una monumentale scritta tratta dal «Questa sera sirecita a soggetto» di Luigi Pirandello) si rifanno, infatti, aglianni Cinquanta. Mentre il ridotto, riportato in vita dall’asso-ciazione culturale «Educarte» grazie al contributo economicodella Fondazione Cariplo di Milano, è un piccolo gioiello

architettonico, dagli antichi stucchi in gesso e dalle ampie e luminose vetrate a stella, dotato diterrazza panoramica e di una suggestiva volta a schifo dai toni azzurro cielo, che guarda allavoro di Antonio Ferrario e Ignazio Gardella. L’intervento conservativo, che ha dato vita a un«teatrino a platea mobile», si è proposto di creare un armonico gioco tra antico e moderno, conl’inserimento, al centro della sala principale, di una skenè nera, ovvero di uno spazio scenico aforma di U, delimitato da tre pareti, che si staglia da un muro grigio, in cemento vivo. Il nuovo corso del teatro Sociale, che vede alla direzione artistica Delia Cajelli, viene avviatola sera dell’8 marzo 2002, con la rappresentazione «Nel mezzo del cammin di nostra vita»,adattamento teatrale della «Divina Commedia» dantesca, per la regia della stessa Delia Cajelli.Da allora la sala, che intende qualificarsi come «teatro di produzione e di formazione», haospitato e continua a ospitare importanti pièce del circuito nazionale, prime visioni cinemato-grafiche, serate mondane e culturali, incontri propedeutici al teatro («I lunedì di prosa» e«Perché tu mi dici: poeta?»), corsi di educazione allo spettacolo e alla recitazione per bambinie grandi («Favole a merenda», «Attori in erba», «Dalla Divina Commedia» e il nuovo «Chi èdi scena? Il pubblico»), appuntamenti con lamusica («Parole e musica» e «Apéritif enmusique», oltre al tradizionale concerto diCapodanno con l’orchestra «Microkosmos»,diretta dal maestro Fabio Gallazzi, e alla ras-segna «Eventi in jazz», entrambi momenti dispettacolo promossi dall’amministrazionecomunale). Dal 2004, la sala, la cui società di gestione hauna convenzione con il Comune di BustoArsizio per il triennio 2009-2011, diventaanche sede dell’associazione culturale«Educarte», realtà che produce spettacoli

Una scena dell’opera lirica «Madama Butterfly» di GiacomoPuccini che il Teatro dell’Opera di Milano ha presentato a Busto

Arsizio, negli spazi del teatro Sociale,nella stagione 2011/2012. Foto: Silvia Consolmagno

I bambini del corso «Attori in erba» in scena a «Buoncompleanno, Italia», la notte tricolore del teatro Socialedi Busto Arsizio, tenutasi il 16 marzo 2011, in occasione

dei centocinquanta anni dell’Italia unita. Foto: Silvia Consolmagno

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teatrali e che cura progetti di educazione alla drammaturgia e alla prassi scenica, tra i quali«Officina della creatività (Cantiere per la formazione e per lo sviluppo della creatività arti-stica della persona)». Data, invece, al 2008 il grande ritorno della musica lirica sul palcosceni-co bustese, ritorno del quale si fa promotore il Teatro dell’Opera di Milano, giovane compa-gnia, diretta da Mario Riccardo Migliara, che ha tra i propri obiettivi la rilettura in chiavemoderna dei grandi titoli del repertorio e il «decentramento della cultura lirica» in realtà pro-vinciali e anche in teatri non espressamente nati per l’opera. Sul palcoscenico, in questi anni,sfilano alcuni tra i «titoli più celebri del repertorio», tra i quali «Il barbiere di Siviglia» diGiacchino Rossini, «Madama Butterfly» di Giacomo Puccini e «Rigoletto» di Giuseppe Verdi.Il mondo delle sette note continua, dunque, a punteggiare la storia del teatro Sociale. Non è uncaso che la musica venga scelta per festeggiare gli anniversari più importanti della sala. Per ilcinquantenario, stando a quanto viene scritto nel verbale dell’assemblea consiliare che la«Società per azioni del teatro Sociale» tiene in data 28 marzo 1940, viene proposta una «spe-ciale recita» del melodramma «La forza del destino» di Giuseppe Verdi. Per il centenario,accanto a una mostra monografica con materiale documentario, fotografie ed abiti d’epoca (aPalazzo Cicogna), va in scena, il 19 febbraio 1991, l’opera «Attraverso» del compositore buste-se Alessandro Solbiati, un ouverture grafico-pittorica nata dalla collaborazione con il giova-ne artista Pierpaolo Sandroni. Mentre il 12 ottobre 1991, negli spazi dell’aula magna del liceoclassico «Daniele Crespi» (la cui associazione di ex allievi è stata la principale promotrice del-l’iniziative per l’importante genetliaco della sala bustese), viene proposto un recital di musici-sti locali come Angelo Gambaro, Luigi Emilio Pozzi e il contemporaneo Franco Ferraris,del quale si presenta una rilettura delle «Liriche rinascimentali», interpretate dalla moglie, lasoprano americana Lucy Kelston. Il centoventesimo anniversario di attività della sala non poteva, dunque, che essere all’insegnadella musica. Ad andare in scena, il 27 settembre 2011, sarà Angelo Pinciroli, prima tromba etromba solista dell’orchestra della Fondazione «Arena di Verona». L’appuntamento, promossodall’associazione culturale «Educarte» (con ilpatrocinio e il contributo economico del Co-mune di Busto Arsizio e della Fondazionecomunitaria del Varesotto onlus), si configu-ra come un viaggio in note tra le pagine piùsignificative della storia del teatro, dall’operaalla musica leggera, passando attraverso ilmusical, l’avanspettacolo e le colonne sonoredi celebri film. Arie di Giuseppe Verdi, NinoRota, Ennio Morricone e, infine, un omaggioa una delle voci più belle della canzone italia-na, Mia Martini, compongono il programmadi sala della serata, che vedrà esibirsi anche ilpianista Alessandro Orlando, la sopranoBarbara Bettari e Ilenia Montagnoli eTommaso Renda, primi ballerini aggiunti delcorpo di ballo della Fondazione «Arena diVerona». Il concerto di Angelo Pinciroli, inti-tolato «La tradizione italiana in musica», saràpreceduto da una rievocazione storica incostume, a cura degli attori del teatro Sociale

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e per la regia e l’ideazione scenica di DeliaCajelli.Questa è la storia passata e presente del tea-tro Sociale. Il futuro è un libro bianco, anco-ra tutto da scrivere. Mentre sui quotidianilocali di questi giorni scorre un fiume diparole sull’opportunità, o meno, che ilComune di Busto Arsizio acquisti lo stabile,l’unica certezza per tutti sembra essere quel-la che il vecchio teatro bustese non meriti diveder spegnere per sempre i suoi riflettori edi veder tirare per l’ultima volta il sipario.Non lo merita per il sogno, realizzato, delcavaliere Giovanni Candiani, quello di «fon-dare un’opera che elevi lo spirito e la cultura

della sua città». Non lo merita per le famiglie borghesi di Busto Arsizio che fondarono la prima«Società anonima del teatro Sociale». Non lo merita per gli attori, più o meno famosi, che cal-carono le assi del suo palcoscenico e per gli spettatori che li applaudirono o li fischiarono, pro-tagonisti in uguale misura di una «storia gloriosa» da preservare. E non lo merita, soprattutto,per ciò che rappresenta (o che dovrebbe rappresentare) la cultura per l’uomo: «un ornamento -scriveva Aristotele- nella buona sorte, un rifugio nelle avversità».

Annamaria Sigalotti

Stefano De Martino, ballerino professionista della trasmissione televisiva «Amici», sul palco del teatro

Sociale, durante la seconda edizione di «Dance Style»,concorso nazionale di danza e stage, promosso da Us

Acli Milano nella giornata di domenica 19 giugno 2011.Foto: Simone Spagnuolo

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A Como, presso il Centro studi «Nicolò Rusca», un frammento di storia del Sociale

IL «TEATRO DI BUSTO» NELL’ARCHIVIO DURINI

Tra i documenti conservati: la mappa catastale dei terreni «La Mella», sui qualisorge lo storico edificio «sognato» dal cavaliere Giovanni Candiani

(sam) È una storia ancora tutta da indagare quella che vede,giovedì 21 agosto 1890, una ventina di lungimiranti possiden-ti, commercianti e industriali di Busto Arsizio riuniti, alla pre-senza del notaio Carlo Prina, per firmare l’atto costitutivodella «Società anonima per azioni per la costruzione, allesti-mento ed esercizio di un teatro sociale in Busto Arsizio».Candiani, Crespi, Gambero, Introini, Marinoni, Milani,Pozzi, Provasoli e Tosi sono i cognomi che appaiono vergatisu questo documento, «n. 3450-2835 di repertorio», presentein fotocopia presso gli archivi dello stesso teatro Sociale. Sull’atto, che fissa il capitale societario in £ 52.500 e in ven-tuno azioni al portatore di £ 2.500 ciascuna, appare anche ilnominativo del conte Giulio Durini, intervenuto all’assem-blea costitutiva della società quale rappresentante legale dellamoglie, la contessa Carolina Candiani in Durini, unicaerede di tutti i beni del padre, il cavaliere GiovanniCandiani, nella cui ditta cotoniera, con opifici a Busto Arsizioe Marnate, vennero prodotti i primi esemplari della nota «telaOlona».È a queste tre figure che la tradizione orale fa risalire l’edifi-cazione del teatro Sociale. La loro storia può essere, in parte,ricostruita attraverso i documenti conservati presso l’archivioDurini, collocato fino al 2001 nella villa Durini Ajmone Catdi Tavernola e depositato, nel settembre dello stesso anno,dalla contessa Carlangela Durini Ajmone Cat all’Archivio storico della Diocesi di Como,

attualmente conservato presso il Centro studi«Nicolò Rusca», ubicato in un’ala del Semi-nario vescovile lariano. Al Titolo III (Amministrazione in genere),cartella 15, fascicolo 13 si trovano le «carterelative alla partecipazione del signor Gio-vanni Candiani alla Società del Teatro di Bu-sto», oltre a un «istrumento di vendita» dellaquota azionaria della stessa società, redattonel dicembre 1914, presso lo studio notariledel bustese Lorenzo Sala, per volontà dellacontessa Carolina Candiani Durini. Tra i pochi documenti conservati in questacartella si trovano anche lettere redatte tra ilfebbraio e il luglio 1890, a firma di Antonio

Immagine del copertina del fascicolocontenente le «Carte relative alla partecipazione del Sig. GiovanniCandiani alla Società del Teatro

di Busto, e istrumento di vendita diun’azione di detta società, fatta

dalla contessa Carolina Candiani ved.Durini». Il fascicolo è conservato

presso il Centro studi «Nicolò Rusca» di Como, all’interno dell’Archivio

Durini, al Titolo III (Amministrazione ingenere), cartella 15, fascicolo 13

Mappa catastale, con rilievo planimetrico, dei terrenidenominati «La Mella», sui quali venne edificato il teatro

Sociale di Busto Arsizio. La pianta è conservata pressol’Archivio Durini, al Titolo III (Amministrazione in

genere), cartella 15, fascicolo 13

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ed Enrico Candiani, Giovanni Crespi Zop-pin, Giuseppe Introini, Stefano Pozzi e Ro-berto Tosi, recanti l’intestazione «Compro-prietari dei terreni denominati La Mella». Se-condo quanto riporta Adelpina Toia Airaghinel libro «Del teatro. 150 anni di vita teatralea Busto Arsizio», pubblicato nel 1991 dagli«Amici del liceo», questa è l’area che Gio-vanni Candiani destina, con una donazione del13 febbraio 1888, all’edificazione del Sociale. La mappa catastale di questi «pezzi di terraad aratorio semplice», con il relativo rilievoplanimetrico, è conservata presso l’archiviocomasco, insieme con alcune ricevute di paga-mento, firmate dal conte Giulio Durini a nomedel suocero o per conto della sua ditta: unadonazione ai «Comproprietari dei terreni

denominati La Mella» di £ 2.500 (datata 19 febbraio 1890), un pagamento di £ 8.000 «per ordi-ne e per conto della costituenda Società anonima del teatro Sociale» (siglato l’8 agosto 1890) eun acconto di £ 650 per spese e competenze del notaio Carlo Prina (versato l’8 novembre 1890). Il conte Giulio Durini porta, dunque, a compimento un desiderio del suocero, il cavaliereGiovanni Candiani, quello -ricorda ancora Adelpina Toia Airaghi, rifacendosi all’atto n.2796/2475 del 19 maggio 1888, vergato, come consuetudine, nello studio del notaio Carlo Prina-di fondare «un’opera che elevi lo spirito e la cultura della sua Città». Questo documento notari-le, siglato pochi giorni dopo la morte del ricco imprenditore bustese, avvenuta il 3 maggio dellostesso anno, attribuisce, infatti, pieni poteri al conte GiulioDurini nel disporre dell’eredità della moglie, conferendoglianche la facoltà di firmare ufficialmente Giovanni Candiani(atti correlati a questo «istrumento di procura generale» sonoreperibili nell’archivio comasco, al Titolo II, cartella 29, fasci-colo 6 e al Titolo XI, cartella 2, fascicolo 14). La storia del teatro Sociale sembra legarsi a quella della fami-glia Durini fino al 4 dicembre 1914, quando la contessaCarolina Candiani in Durini, ormai vedova e in procinto di tra-sferirsi da Gorla Minore a Milano, decide di cedere, al signorPietro Venzaghi, la sua azione della «Società anonima deno-minata Teatro Sociale di Busto Arsizio, del valore nominale di£ 2.500, emessa in data 6 settembre 1891, distinta con il n. 4,intitolata Giovanni Candiani Ditta». Con lo stesso atto, regi-strato il 18 dicembre 1914, viene lasciata anche la proprietàesclusiva del palco […], identificato col n. 6, prima fila – chia-ve F». Nell’archivio comasco, si trovano anche documenti utili perscoprire qualche curiosità sui tre protagonisti della storia fon-dativa del teatro Sociale, i cui busti marmorei, insieme con unritratto ad olio, sono conservati presso la sala bustese, a segui-to del lascito della contessa Carlangela Durini Ajmone Cat.

Particolare della mappa catastale dei terreni denominati«La Mella», sui quali venne edificato il teatro Sociale diBusto Arsizio. La pianta è conservata presso l’Archivio

Durini, al Titolo III (Amministrazione in genere), cartella 15, fascicolo 13

Copertina del tributo per le nozze diCarolina Candiani con il conte Giulio

Durini. Il documento è conservato presso l’Archivio Durini, al Titolo II

(Famiglia Durini in ispecie), cartella 31, fascicolo 2

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Editore:Associazione EducarteStampa: SO.G.EDI s.r.l., via Seneca, 12 21052 Busto Arsizio (Varese)tel. 0331.302590 - fax. 0331.302560e-mail: [email protected], redazione e amministrazione: ridotto «Luigi Pirandello» c/o teatro Sociale, piazza Plebiscito, 821052 Busto Arsizio (Varese)tel. 0331.679000, fax. 0331.637289e-mail: [email protected] o [email protected] Registrazione n. 11/08 del 13/10/2008resso il Tribunale di Busto Arsizio (Varese)La tiratura di questo numero è di 6.000 copieChiuso in redazione lunedì 19 settembre 2011

IL PALCOSCENICOISSN 2035-3685

Anno IVNumero I (settembre 2011)

Direttore responsabile: Annamaria Sigalotti

Redazione: Silvia Consolmagno (fotoreporter)

Interventi di: Gigi Farioli, sindaco di Busto Arsizio; Delia Cajelli, direttore artistico del teatroSociale di Busto Arsizio e presidente dell'associazione «Educarte»

Editore: associazione culturale «Educarte» (presidente: Delia Cajelli)

Del cavaliere Giovanni Candiani è possibile, per esempio,avere conferma del suo amore per la musica. Al Centro studi«Nicolò Rusca», sono, infatti, conservati un programma disala, due inviti e altro materiale della Società filarmonica diBusto Arsizio (Titolo XI, cartella 1, fascicolo 16). Della figlia, la contessa Carolina Candiani in Durini, si può,invece, visionare -oltre all’atto di nascita, al certificato dimatrimonio e alle necrologie apparse nel novembre 1922 suigiornali «Il Resegone», «L’Italia» e «La Voce del Popolo»- unraffinato omaggio per le nozze, redatto in data 4 marzo 1867da uno dei suoi due istitutori, il signor Enea Ferrario (TitoloII, cartella 31, fascicolo 2), e tre lettere relative a un’udienzaprivata con la regina Margherita, tenutasi il 20 ottobre 1892(Titolo II, cartella 31, fascicolo 4). Mentre del conte Giulio Durini sono archiviati, tra l’altro, ildiploma di laurea in Legge, conseguito il 20 novembre 1862presso l’ateneo di Modena (Titolo II, cartella 25, fascicolo 6),e i decreti reali di nomina a sindaco del Comune di Gorla pergli anni 1863-1877 e 1895-1898 (Titolo II, cartella 25, fasci-colo 7), ma anche le tante poesie che egli scrisse tra il 1807 eil 1905, alcune delle quali composte per l’amata «Lina», inoccasione degli anniversari di matrimonio (Titolo II, cartella27, fascicolo 1). Ed è proprio sfogliando quest’ultime carte, consunte dal tempo, che sembra dirivedere il conte Giulio offrire alla moglie il «vago fiore», citato in tante sue liriche, prima diprendere la carrozza per andare a teatro, al Sociale di Busto Arsizio, e farsi toccare le corde del-l’anima dalle note di Giuseppe Verdi e Gaetano Donizetti, note rimaste immortali.

Poesia del conte Giulio Durini per lamoglie Carolina, in occasione

dell’anniversario di matrimonio, festeggiato il 6 marzo 1880.

Il documento è conservato pressol’Archivio Durini, al Titolo II (Famiglia Durini in ispecie),

cartella 27, fascicolo 1

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