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Il Modello Cosmologico Standard e la Costante Cosmologica - Un’Introduzione Antonio Moscato 1

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Il Modello Cosmologico Standard e la CostanteCosmologica - Un’Introduzione

Antonio Moscato

1

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Contents

1 Introduzione alla Teoria Generale della Relatività 31.1 La Legge di Gravitazione Universale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31.2 Verso il Principio di Equivalenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51.3 Accenno alle Idee di Einstein . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71.4 Il Formalismo della Relatività Generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8

1.4.1 Moto di una Particella in un Campo Gravitazionale . . . . . . . . . . 91.4.2 Equazioni di Campo di Einstein . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

2 Cosmologia 152.1 Introduzione al Modello Cosmologico Standard . . . . . . . . . . . . . . . . . 152.2 Equazioni di Friedmann . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18

2.2.1 Soluzioni del Modello Standard . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

3 Espansione Accelerata 293.1 La Costante Cosmologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 293.2 Modelli Cosmologici con Λ 6= 0 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

4 Conclusioni 33

5 Appendici 355.1 Accenni di Geometria Differenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 355.2 Tensore Energia-Momento ed Equazioni di Friedmann . . . . . . . . . . . . . 515.3 Teoria dei Campi Classici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55

5.3.1 Campo Gravitazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56

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1 Introduzione alla Teoria Generale della Relatività

1.1 La Legge di Gravitazione Universale

Secondo Isaac Newton, un punto materiale P1, di massa gravitazionale1 m1, attrae un puntomateriale P2, di massa gravitazionale m2, con una forza pari a

~fP1→P2 = −γm1m2

r2r, (1.1.0.1)

dove

• γ è un’opportuna costante,

• r è la lunghezza del segmento P1P2,

• r è il versore della retta congiungente P1, P2, diretto da P1 verso P2.

Si osservi che risulta ~fP1→P2 = −~fP2→P1 , in accordo con il terzo principio della dinamica.Ciò detto, la 1.1.0.1 è detta legge di gravitazione universale e, utilizzata opportunamente,rappresenta tutto ciò che occorre per l’intero sviluppo della teoria classica della gravitazione.Ciononostante, si chiama campo gravitazionale generato dal punto materiale P1 nel puntogeometrico A distante r da P1, il vettore2

~G1 = −γm1

r2r, (1.1.0.2)

con r versore della retta P1A diretto da P1 verso A. Ne segue che

~fP1→P2 = m2~G1. (1.1.0.3)

La 1.1.0.3 non è una semplice riscrittura della 1.1.0.1, ma vuole dare risalto al ruolo (peraltroscambievole) dei punti P1 e P2: la presenza del punto P1 altera le assunte proprietà diomogeneità ed isotropia dello spazio vuoto, nella misura quantificata da ~G1, tanto che ognialtro punto P2 è soggetto ad una forza esterna data dalla 1.1.0.3. In prima approssimazione,potrebbe dirsi che il campo generato da P1 è lo strumento con cui esso stesso “informa” glialtri punti materiali della sua presenza. Il modo con cui tale scambio di informazione avvieneè in parte oggetto di questo lavoro.

1grandezza fisica che quantifica la quantità di materia posseduta da un corpo, misurata in Kg nel SI.2Analogamente si definisce il campo generato dal punto P2.

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Ancora, l’introduzione del concetto di campo ha utili risvolti anche da un punto di vistamatematico; ad esempio, qualora si volesse calcolare la forza totale con cui un corpo estesosfericamente simmetricoM attrae un punto materiale P , si otterrebbe3

~fM→P = −GMm

r2r, (1.1.0.4)

dove

• r è la distanza del punto P dal centro diM,

• r è il versore della retta passante perM e P , orientato in analogia a quanto già dettoin apertura per P1 e P2,

• M è la massa gravitazionale diM,

• m è la massa gravitazionale di P .

3implementando il teorema di Gauss.

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1.2 Verso il Principio di Equivalenza

Il secondo principio della dinamica, frutto anch’esso del genio di Isaac Newton, afferma che“in un sistema di riferimento inerziale, il risultante di tutte le forze esterne agenti su unpunto materiale è tale da imprimergli un’accelerazione ad esso proporzionale; la costantedi proporzionalità si chiama massa inerziale e quantifica la tendenza del corpo in esame aconservare il proprio stato di moto”. In formule

~f = mi~a. (1.2.0.1)

Applicando tale principio per studiare, ad esempio, la dinamica di un punto materiale P im-merso nel campo gravitazionale terrestre, stando a quanto ottenuto nella sezione precedente,scelto un opportuno sistema di coordinate, con ovvio significato dei simboli, si ha

−GMTmPr2

r = mi~a. (1.2.0.2)

Ponendo

~g = −GMT

r2r,

la 1.2.0.2 può scriversi come

mP~g = mi~a,

da cui

~a =

(mPmi

)~g. (1.2.0.3)

Premesso ciò, è ben noto che a cavallo tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo, GalileoGalilei, prendendo spunto da possibili esperimenti che lui stesso condusse, affermò che, inopportune condizioni4, tutti i corpi in caduta libera nel campo gravitazionale terrestre, nei

4L’esperimento specifico a cui si allude è quello della caduta di gravi dalla cima della torre di Pisa; Galileofu il primo ad intuire che le differenti accelerazioni che acquistavano una palla di cannone ed una piuma,lasciate cadere dalla cima della torre, erano conseguenza della sola presenza dell’atmosfera. Isolando gli stessi

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pressi della superficie della Terra stessa, a prescindere dalla loro intrinseca struttura, acquis-tavano uguale accelerazione.Stando alla 1.2.0.2, l’asserzione di Galilei comporterebbe l’esistenza di una relazione di di-retta proporzionalità tra la massa inerziale e la massa gravitazionale di qualsiasi corpo5; però,visto che non si sa come calcolare praticamente la costante di proporzionalità in questione,si assume che la stessa sia già contenuta in γ (ora detta costante di gravitazione universale6)risultando, quindi, nella coincidenza di massa inerziale e massa gravitazionale.Sebbene non vi sia alcuna argomentazione teorica plausibile che possa spiegare il perchè diquanto sopra, l’uguaglianza tra massa inerziale e massa gravitazionale è oggigiorno un datodi fatto, sperimentalmente verificato con elevata precisione7. Suddetta evidenza comporta lalocale equivalenza tra campi gravitazionali e sistemi di riferimento non inerziali; nello speci-fico, si immagini di considerare un certo osservatore intrappolato in un ascensore, che non haalcun modo di capire, tramite gli organi di senso, cosa accade all’esterno. Allora, mediantequalsiasi esperimento suddetto osservatore possa anche solo pensare di attuare all’interno ditale ascensore, non potrà stabilire in alcun modo se, per esempio, l’ascensore è fermo sullasuperficie terrestre o sta accelerando nello spazio vuoto con accelerazione uniforme ugualeed opposta a ~g8; analogamente, non potrà constatare se l’ascensore rappresenti un sistemadi riferimento inerziale in cui è assente il campo gravitazionale o stia cadendo liberamenteall’interno di un campo gravitazionale.E’ bene osservare, però, che l’uguaglianza di campi gravitazionali e campi equivalenti a sis-temi di riferimento non inerziali è solo locale, cioè vale solo per regioni dello spaziotempoin cui il campo gravitazionale reale è uniforme e costante: all’infinito, i campi in questionesi comportano in maniera molto differente. Inoltre, mediante un opportuno cambiamento disistema di riferimento, i campi fittizi possono essere sempre eliminati, mentre lo stesso nonpuò dirsi per i campi reali.Newton in persona pose alcune delle precedenti questioni, sebbene non cercò mai di risolverlequantitativamente, facendo sì che le stesse restassero nell’oblio per quasi due secoli. Fu unimpiegato dell’ufficio brevetti di Berna che nel novembre del 1907 iniziò a riconsiderare ilproblema.

oggetti ed eliminando tutta l’aria, gli stessi cadrebbero con uguale accelerazione verso il suolo.5come conseguenza dell’arbitrarietà di P.6nel sistema internazionale di misura vale circa 6.6 · 10−11 ·N ·m2 · kg−2.7Dicke (1964), Braginsky, Panov (1972)8g = |~g| ' 9, 81m

s2 .

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1.3 Accenno alle Idee di Einstein

Albert Einstein, dopo aver pubblicato l’elettrodinamica dei corpi in movimento, articolo pas-sato alla storia come teoria ristretta della relatività (1905), cominciò ad elaborare una nuovateoria che spiegasse i campi gravitazionali in maniera relativisticamente coerente. Per esem-pio, considerando il sistema Terra-Sole, stando alla teoria newtoniana, il vettore risultanteche quantifica l’interazione gravitazionale tra i corpi in questione, con ovvio significato deisimboli e della notazione, è

~fS→T = −GmSmT

[r (t)]2r.

Qualora il Sole venisse rimosso dalla sua posizione nella galassia, la Terra risentirebbe instan-taneamente di tale assenza, smettendo di compiere un moto periodico piano e cominciando aprocedere in moto rettilineo uniforme. Questa circostanza, però, contraddice la teoria dellarelatività ristretta, dal momento che nessun segnale può propagarsi con velocità di modulosuperiore a quello di una qualunque onda elettromagnetica nel vuoto.Quale punto di partenza per risolvere questo ed altri problemi, Einstein postulò che localmente,ovvero in limitate regioni dello spaziotempo, i campi gravitazionali generati dai corpi celestifossero assimilabili a campi fittizi equivalenti a sistemi di riferimento non inerziali. Tale pos-tulato va sotto il nome di principio di equivalenza9 e le sue conseguenze costituiscono l’interocorpo della teoria generale della relatività.Innanzitutto, poter assimilare un campo reale con un campo fittizio consente, all’atto pratico,di abbandonare l’approccio classico, che prevede l’individuazione della sorgente del campoe lo studio delle sue caratteristiche, e di concentrarsi semplicemente sull’evoluzione di unaparticella libera in un opportuno sistema di riferimento non inerziale. Questo fatto, già diper sè, generalizza la relatività ristretta, dal momento che in tale frangente gli unici sistemidi riferimento verso cui si volge l’attenzione sono quelli inerziali.Matematicamente parlando, invece, il fatto che la fisica possa essere studiata in qualsiasisistema di riferimento comporta che le leggi che la descrivono risultino covarianti in forma10,introducendo ciò che alcuni autori chiamano principio di general covarianza.Ancora, e di fondamentale importanza per lo sviluppo analitico, tramite opportune trasfor-mazioni, si può agevolmente passare da sistemi di riferimento non inerziali a sistemi di rifer-

9Quello che classicamente era solo un fatto sperimentale di cui si prendeva atto (equivalenza tra massainerziale e massa gravitazionale), Einstein lo eleva a postulato, ricalcando lo stesso modus operandi imple-mentato in fase di elaborazione della relatività ristretta, in cui si introduce il postulato della costanza dellavelocità della luce, prendendo atto dei risultati sperimentali dell’esperienza di Michelson e Morley.

10ricorrerrendo ad equazioni tensoriali, vd. Tullio Levi-Civita - The Absolute Differential Calculus, 1927.

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imento inerziali, per i quali valgono le leggi note della relatività ristretta. Tuttavia, poichèil principio di equivalenza ha solo valenza locale, i sistemi inerziali in questione sono piùesattamente sistemi di riferimento localmente inerziali.Giunti fin qui, per capire meglio come operare praticamente sulla base di questo nuovo mododi pensare, si immagini, ad esempio, che lo scienziato X voglia studiare, in prossimità dellasuperficie terrestre, la caduta di un grave P . Stando a quanto sopra esposto, il problema vamodellizzato come segue:

1. visto che localmente vale il principio di equivalenza, si può assumere che X e P sitrovino immersi in un sistema di riferimento non inerziale che accelera, senza ruotare,con accelerazione costante, uguale ed opposta a ~g; come sulla Terra, se “lasciato andare”,P cade;

2. un osservatore X ′, solidale ad un sistema di riferimento in cui P è in quiete, cadendorispetto a X , penserà di trovarsi in un sistema inerziale e scriverà, quindi, le equazionidel moto di P così come ha imparato a fare studiando la teoria ristretta della relatività;

3. infine, applicando un’opportuna trasformazione di coordinate alle equazioni di cui alpunto precedente, si ottengono le equazioni del moto di P nel sistema di riferimentosolidale ad X , cioè la superficie terrestre.

1.4 Il Formalismo della Relatività Generale

Lo spaziotempo di Minkowski M4, l’ambiente matematico in cui si sviluppa l’intera teoriadella relatività ristretta, è un caso particolare di varietà differenziabile pseudo-riemanniana;nel dettaglio, il quadrato dell’intervallo infinitesimo ds, che esprime la distanza tra due eventiinfinitamente vicini, per ogni coppia di eventi, è dato da

ds2 = ηαβdxαdxβ, (1.4.0.1)

dove ηαβ è la generica componente del tensore metrico di Minkowski, la cui rappresentazionematriciale più comoda è

(ηαβ) =

1 0 0 0

0 −1 0 0

0 0 −1 0

0 0 0 −1

. (1.4.0.2)

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In particolare, poichè la 1.4.0.1 vale per ogni coppia di eventi, lo spaziotempo di Minkowskiè una varietà piatta: formalmente, il tensore di curvatura di Riemann è ovunque nullo (comepuò concludersi a valle di quanto esposto nell’app. 4.1), euristicamente, se M4 fosse bidi-mensionale, non sarebbe molto dissimile da un piano affine.Quando si cominciano a considerare i campi gravitazionali, il principio di equivalenza si tra-duce nella locale uguaglianza dello spaziotempo reale V conM4, portando a concludere cheV altro non è se non una generica varietà di Lorentz, curva, a 4 dimensioni.In questo caso, il quadrato della distanza infinitesima tra due eventi di V , in una certa cartalocale, è espresso dalla relazione generale

ds2 = gµνdxµdxν ; (1.4.0.3)

gµν può ridursi alla forma ηαβ11 solo in un intorno di ogni evento di V , ma non globalmente,come prescritto dal principio di equivalenza. Risulta anche evidente che la gran parte delleinformazioni di carattere fisico sono contenute in gµν , come più avanti si avrà modo di con-statare.

1.4.1 Moto di una Particella in un Campo Gravitazionale

Si consideri una particella di massa m immersa in un campo gravitazionale. Si è interessatiall’evoluzione dinamica di tale particella.Assegnate le condizioni iniziali del problema, ovvero una posizione iniziale ad un certo istantedi tempo in un opportuno sistema di riferimento, ecco che in un intorno dell’evento cosìdefinito, lo spaziotempo può essere approssimato dallo spaziotempo di Minkowski e quindi,in un sistema di riferimento localmente inerziale solidale con la particella in questione, questastessa sarà libera e la sua azione lagrangiana sarà

S = −mc∫ds. (1.4.1.1)

Per il principio di general covarianza, la stessa espressione vale anche in V , con l’unica dif-ferenza che in questo caso ds è tale che ds2 = gµνdx

µdxν . Dal principio di Hamilton, leequazioni del moto si ricavano imponendo l’annullamento della variazione dell’azione.

11Teorema di Sylvester, E. Sernesi - Geometria 1, Bollati Boringhieri, 2a ed., pagg. 224-225.

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Osservando che

δ(ds2)

= 2dsδds = δ (gµνdxµdxν) =

∂gµν∂xk

dxµdxνδxk + 2gµνdxµδ (dxν)

⇒ δ (ds) =

(1

2

∂gµν∂xk

dxµ

ds

dxν

dsδxk + gµν

dxµ

ds

δ (dxν)

ds

)ds

si ha

δS = −mc∫ (

1

2

∂gµν∂xk

dxµ

ds

dxν

dsδxk + gµν

dxµ

ds

δ (dxν)

ds

)ds.

Integrando per parti il secondo membro, dopo aver osservato che δ (dxν) = d (δxν), si ottiene

δS = −mc∫

1

2

∂gµν∂xk

dxµ

ds

dxν

dsδxk − d

ds

[gµν

dxµ

ds

]δxνds =

= −mc∫

1

2

∂gµν∂xk

dxµ

ds

dxν

dsδxk − d

ds

[gµk

dxµ

ds

]δxkds =

= 0.

Mettendo in evidenza δxk, vista la sua arbitrarietà, l’azione sarà nulla se tale risulterà ilcoefficiente di δxk, ovvero

1

2

(∂gµν∂xk

− ∂gkµ∂xν

− ∂gνk∂xµ

)dxµ

ds

dxν

ds− d2xµ

ds2gµν = 0.

Moltiplicando per −gµν , si ottiene

d2xµ

ds2+ Γkµν

dxµ

ds

dxν

ds= 0 (1.4.1.2)

dove Γkµν = gµν

2

(∂gνk∂xµ

+∂gkµ∂xν− ∂gµν

∂xk

). Poichè dxµ

ds= uµ, vettore quadrivelocità, la precedente

può anche scriversi come segue

duµ

ds+ Γkµνu

µuν = 0.

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Per ogni µ = 0, 1, 2, 3, la precedente espressione definisce un sistema di equazioni differen-ziali ordinarie lineari nelle funzioni incognite uµ. Come riportato in appendice, un campovettoriale, che soddisfi tal sistema di equazioni, si dice parallelo e la curva a cui è tangente,geodetica. In altre parole, le coordinate spaziotemporali descriventi il moto della genericaparticella considerata in apertura si muovono lungo una geodetica (di tipo tempo) dellospaziotempo V , unicamente individuata dalle condizioni inziali imposte al problema12.

1.4.2 Equazioni di Campo di Einstein

Le equazioni del moto di una particella in caduta libera in un campo gravitazionale appenaottenute, se confrontate con quelle a loro immediatamente più dirette, ovvero le equazioniche si ottengono in relatività ristretta, consentono di giungere ad una conclusione assai pro-fonda: la totale informazione circa il campo gravitazionale è interamente contenuta nei solisimboli di Christoffel, quindi nelle componenti del tensore metrico; ne segue che la grandezzafisica “campo gravitazionale” è completamente descritta da una proprietà geometrica dellospaziotempo. In questa sezione, si intende rendere rigorosa ed esplicita questa circostanza.Si cominci col considerare un campo gravitazionale libero e si assuma che le sue equazionidel moto siano deducibili da un principio di minima azione applicato ad una certa azione,definita mediante soli oggetti scalari (cioè invarianti rispetto a qualsiasi trasformazione dicoordinate). E’ chiaro anche che il formalismo che vuole costruirsi debba, negli opportunilimiti, restituire i risultati già noti della relatività ristretta e della gravitazione newtoniana.Lo scalare invariante più semplice, che possa costruirsi a partire dal tensore metrico e dallesue derivate, è la curvatura scalare R; è allora ragionevole assumere che

S = k

∫d4x√−gR, (1.4.2.1)

dove −g è il determinante del tensore metrico, k, un’opportuna costante dimensionale dadeterminare.

δS = k

∫d4xδ

(√−gR

).

12dal teorema di Esistenza e Unicità della soluzione di un problema di Cauchy per un sistema di equazionidifferenziali ordinarie lineari.

11

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Osservando che

δ(√−gR

)= δ

(√−g)gµνRµν +

√−gδRµνg

µν +√−gδgµνRµν

e che

δ(√−g)

= −1

2

√−ggµνδgµν ,

risulta

δ(√−gR

)= −1

2

√−ggµνδgµνgµνRµν +

√−gδgµνRµν +

√−gδRµνg

µν

=√−g[Rµν −

1

2gµνR

]δgµν +

√−ggµνδRµν .

Può provarsi che il secondo termine a secondo membro della relazione precedente non con-tribuisce, una volta integrato, al calcolo di δS, pertanto

δS = k

∫d4x√−g(Rµν −

1

2gµνR

)δgµν =

= k

∫d4x√−gGµνδg

µν = 0

⇐⇒ Gµν = 0

dove Gµν = Rµν − 12gµνR è detto tensore di Einstein. Contraendo quanto ottenuto con gµν si

ottiene R = 0, quindi le equazioni del moto del campo libero sono

Rµν = 0.

Il tensore metrico di Minkowski è, ad esempio, un caso particolare di soluzione della prece-dente, visto che in tal caso il tensore di Ricci è identicamente nullo.Il risultato si generalizza facilmente al caso in cui, oltre al campo gravitazionale, siano pre-senti campi di natura diversa descritti dalla lagrangiana scalare del campo L, legata alla

12

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densità di lagrangiana L tramite la relazione L = L√−g (cfr. [2]). In questo caso l’azione

sarà somma dei due contributi S(g) ed S(e). Per S(g) vale quanto sopra detto. Per quantoriguarda S(e), si ha

δS(e) =

∫d4xδ

(√−gL

)=

∫d4x

(∂L∂gµν

δgµν +∂L∂gµν,α

δgµν,α

).

Osservando che

∂L∂gµν,α

δgµν,α =∂L∂gµν,α

∂α (δgµν) = ∂α

(∂L∂gµν,α

δgµν)−(∂α

∂L∂gµν,α

)δgµν ,

si conclude che

δS(e) =

∫d4x

[∂L∂gµν

δgµν + ∂α

(∂L∂gµν,α

δgµν)−(∂α

∂L∂gµν,α

)δgµν

]=

=

∫d4x

[∂L∂gµν

δgµν −(∂α

∂L∂gµν,α

)δgµν

].

Si chiama tensore energia-impulso del sistema descritto dalla densità di lagrangiana L, iltensore Tµν tale che

−1

2

√−gTµν =

∂L∂gµν

− ∂α∂L∂gµν,α

.

Ne segue che

δS = δS(g) + δS(e) = k

∫d4x√−gGµνδg

µν +k

k

∫d4x

[∂L∂gµν

−(∂α

∂L∂gµν,α

)]δgµν =

= k

∫d4x√−g[Gµν −

1

2kTµν

]δgµν = 0 ⇐⇒ Gµν −

1

2kTµν = 0. (1.4.2.2)

La formula a cui si è pervenuti nella 1.4.7 è detta equazione del campo gravitazionale diEinstein; la costante k viene determinata in maniera tale da riottenere l’equazione di Poisson∆φ = 4πGρ nel limite di campo debole, dove φ è il potenziale gravitazionale newtoniano.

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Così facendo si ottiene k = c4/ (16πG), G ≡ γ ' 6.6 · 10−11Nm2

Kg2.

Esplicitamente, l’equazione di campo è

Rµν −1

2Rgµν =

8πG

c4Tµν . (1.4.2.3)

La precedente è un’equazione differenziale alle derivate parziali nelle funzioni incognite gµν ,componenti del tensore metrico dello spaziotempo: note le cause, cioè Tµν , la 1.4.2.3 consentedi calcolare la deformazione dello spaziotempo nota come campo gravitazionale13.

13“spacetime tells matter how to move, matter tells spacetime how to curve”, cit. John Archibald Wheeler.

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2 Cosmologia

La cosmologia è quella branca della fisica che ha quale unico scopo lo studio delle proprietàsu vasta scala dell’universo, senza dare credito, almeno in prima approssimazione, a fenomenilocali, quali moti planetari, evoluzioni stellari e simili, ma concentrandosi, ad esempio, sulmoto e la distribuzione delle galassie.In particolare, poichè le galassie sono mediamente elettricamente neutre, l’unica forza in gradodi influenzare il loro stato moto è la gravità. Pertanto non può pensarsi alla cosmologia comequalcosa di svincolato dalla teoria generale della relatività; tant’è vero che circa un annodopo aver pubblicato suddetta teoria, Einstein stesso elaborò un primo tentativo di modellocosmologico, che potesse essere in grado di descrivere l’universo nella sua interezza.

2.1 Introduzione al Modello Cosmologico Standard

Il modello cosmologico standard si sviluppa a partire da due postulati fondamentali:

1. Il Principio Cosmologico: ad ogni epoca, su larga scala, l’universo appare omogeneoed isotropo;

2. Il Postulato di Weyl: gli ammassi galattici dell’universo si muovono come le particelledi un fluido. Individuano, nello spaziotempo, un fascio di geodetiche di tipo tempodivergenti da un unico punto del passato P , finitamente o infinitamente distante.

La stragrande quantità delle osservazioni astronomiche concernenti la Via Lattea ha por-tato gli studiosi ad assumere che l’universo, su scale dell’ordine di 108 anni luce e oltre,risulti sostanzialmente isotropo; questa circostanza, unitamente all’idea, ragionevole, chetale galassia non occupi alcun posto privilegiato nello spazio14, implica l’omegeneità dellostesso. Ovviamente, non a tutti gli osservatori dell’universo questo stesso apparirà omogeneoed isotropo; sicuramente non sarà tale per un osservatore posto sul Sole o per uno che viaggiai 3/4 della velocità della luce. Si chiama, dunque, osservatore fondamentale, il genericoosservatore solidale ad un certo sistema di riferimento rispetto al quale l’universo appareomogeneo ed isotropo. Nella prassi, si è soliti individuare suddetto sistema di riferimento conopportuni ammassi galattici rispetto ai quali l’universo appare come prescritto dal postulato.Può assumersi che ogni osservatore fondamentale rechi seco un orologio col quale misural’evoluzione dell’universo a partire da P e che tutti questi orologi (uno per ogni osserva-tore) marcino allo stesso modo, in maniera strettamente crescente, come conseguenza di un

14generalizzazione del principio copernicano.

15

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opportuno processo di sincronizzazione avvenuto stesso in P (o tramite scambio di segnaliluminosi). Il tempo così misurato è detto tempo cosmico ed i valori da esso assunti, epoche,chiarendo, in questo modo, l’incipit del postulato 1.La nozione di tempo cosmico, tuttavia, può essere anche data partendo da una ben notaevidenza sperimentale, documentata per la prima volta nel 1929 da Edwin Hubble, ovverol’espansione dell’universo: ogni osservatore fondamentale registra un allontamento omogeneoed isotropo degli ammassi galattici ad esso circostanti. La totalità delle configurazioni rela-tive di tali ammassi, nell’ordine con cui le stesse si presentano, costituisce un fascio impropriodi ipersuperfici di tipo spazio massimamente simmetriche (omogenee ed isotrope rispetto adogni loro punto), etichettabili tramite un opportuno parametro reale. Detto diversamente,ogni configurazione reciproca può essere pensata come un’istantanea dello spazio a tempocosmico fissato e il valore del paramentro reale di cui sopra altro non è se non l’epoca in cuisuddetta configurazione si è manifestata.Per quanto rigurado il postulato 2, invece, questo venne enunciato per la prima volta daHermann Weyl nel 1923 ed è strabiliante oltre ogni misura: non solo suggerisce di trattare ilcontenuto materiale dell’universo alla stregua di un fluido15, ma prescrive che ogni galassiacompia, in un’ottica complessiva, uno specifico tipo di moto, che, stando ai dati attuali etrascurando deviazioni dell’ordine del millesimo della velocità della luce, risponde a quantoeffettivamente si osserva16. Di seguito si avrà modo di approfondire quanto qui accennato.Venendo, infine, all’elaborazione matematica, non resta che individuare una metrica oppor-tuna che risulti compatibile con i requisiti fisici di cui sopra; ricorrendo ad argomentazioniche prescindono dagli scopi di quest’elaborato, può provarsi che la distanza al quadrato didue eventi infinitamente vicini dello spaziotempo universo, possidente le caratteristiche di cuisopra, è

ds2 = c2dt2 − a2 (t)

[dr2

1− kr2+ r2

(dθ2 + sin2θdφ2

)](2.1.0.1)

dove

• t è il tempo proprio di ogni osservatore fondamentale, ovvero il tempo cosmico;

• k è una costante che può assumere solo valori −1, 0, 1 che regola la curvatura dellavarietà e distingue le geometrie globali dello spazio (iperbolica, euclidea ed ellitticarispettivamente);

15cfr. sez. 2.2.16La meraviglia deriva dal fatto che all’epoca in cui venne enunciato non vi era alcun dato sperimentale

che potesse supportare suddette ipotesi.

16

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• a (t) è una funzione che tiene conto del reciproco (omogeneo ed isotropo) allontanamentodelle galassie ed è detta fattore di scala.

La 2.1.0.1 si chiama metrica di Robertson-Walker e venne ricavata per la prima volta nel1935. Le coordinate (r, θ, φ) che figurano in tale espressione si dicono comoventi17.Si osservi che in tal caso risulta

gµν =

c2 0 0 0

0 − a2

1−kr2 0 0

0 0 −a2r2 0

0 0 0 −a2r2sin2θ

.

In conclusione, stando a quanto fin qui detto, il carattere non statico dell’universo (comededucibile dalle osservazioni di Hubble) è interamente descrivibile una volta noto il fattore discala a (t). Infatti, detta t0 una generica epoca e detta d (t0) la distanza propria che separadue oggetti comoventi relativamente ad un sistema di riferimento solidale ad un osservatorefondamentale, per t > t0, si ha

d (t) = a (t) d (t0) .

Derivando quest’ultima equazione rispetto al tempo cosmico, si ottiene

d (t) = a (t) d (t0) =a (t)

a (t)d (t) .

Ponendo H (t) = a (t) /a (t), si ha

d (t) = H (t) d (t) . (2.1.0.2)

La 2.1.0.2 si chiama legge di Hubble e la funzione H (t) che ivi compare, parametro diHubble. Il valore H0 del parametro di Hubble all’epoca presente si dice costante di Hubble evale

17Scelto un certo osservatore fondamentale, si supponga di reticolare l’universo mediante una griglia rigi-damente connessa agli ammassi galattici presenti e mobile con essi; per ogni valore t del tempo cosmico, lecoordinate di suddette galassie, rispetto a tale sistema, restano costanti. Vuole anche farsi notare che la sceltadi coordinate polari è figlia semplicemente della necessità di descrivere un universo sfericamente simmetrico;con ciò vuole dirsi che è possibile definire coordinate comoventi che siano cartesiane, cilindriche...

17

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H0 = (70, 5± 1, 3)km

s ·Mpc.

Si constata, allora, che la conoscenza del fattore di scala, non solo è il fulcro dell’interainformazione cosmica, ma rappresenta anche il mezzo con cui poter confrontare il modelloteorico con i dati sperimentali, tramite la legge di Hubble.Nel paragrafo successivo si implementeranno i risultati della teoria generale della relativitàprecedentemente ricavati (l’equazione di campo), allo scopo di calcolare la funzione a (t).

2.2 Equazioni di Friedmann

Su scala cosmica, ogni galassia può essere approssimata ad un punto o, come si usa dire inletteratura, ad un granello di polvere. Come in parte già detto, poichè su tali scale l’unicainterazione responsabile del moto dei corpi celesti è l’interazione gravitazionale e che questasi manifesta come una deformazione dello spaziotempo completamente descritta dal tensoremetrico gµν , ammettendo che abbia senso considerarla, non resta che risolvere l’equazione dicampo di Einstein

Gµν =8πG

c4Tµν

o equivalentemente

Rµν =8πG

c4

(Tµν −

1

2Tgµν

), (2.2.0.1)

dove T = T µµ . A valle di quanto detto nelle sezioni precedenti, per un universo omogeneoed isotropo, la metrica spaziotemporale da considerare è quella di Robertson-Walker; cosìfacendo, nell’intento di studiare l’evoluzione dinamica dell’universo, resta individuato il primomembro dell’equazione di campo. Per quanto riguarda il secondo membro, in prima istanza,si assume che il totale quantitativo di materia ed energia che pervade l’universo costituiscaun vero e proprio fluido perfetto, cioè un fluido non viscoso per il quale non si osservaalcuna conduzione di calore tra due suoi punti qualsiasi. In riferimento a quanto esposto inappendice, il tensore energia-momento, in un sistema di riferimento solidale ad un osservatorefondamentale, rispetto al quale sia stato fissato un sistema di coordinate comoventi, hacomponenti

18

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Tµν =(ρc2 + p

)uµuν − pgµν , (2.2.0.2)

dove ρ e p sono rispettivamente la densità propria e la pressione del fluido. In particolare,essendo l’universo omogeneo ed isotropo, ρ e p potranno dipendere solo dal tempo cosmico enon da generici punti dello spazio.Ad ogni modo, le equazioni cosmologiche che governano la dinamica dell’universo, a cui siperviene usando le equazioni di campo e le ipotesi del modello in atto, in un sistema di unitàdi misura in cui c = 1, sono (cfr. app. 4.2)

aa

= −43πG (ρ+ 3p)(

aa

)2= 8

3πGρ− k

a2

, (2.2.0.3)

con a, fattore di scala e k, parametro di curvatura. Una volta nota l’equazione di stato p ≡p (ρ) per il fluido cosmologico in essere, tramite le precedenti equazioni, è possibile calcolarele funzioni a (t) e ρ (t) ed essere in grado di prevedere l’evoluzione dinamica del cosmo.Ciò detto, molto spesso si conviene di utilizzare, quale coppia di equazioni cosmologiche, laseguente, in tutto e per tutto equivalente a 2.2.0.3. (

aa

)2= 8

3πGρ− k

a2

ρ+ 3H (ρ+ p) = 0. (2.2.0.4)

La seconda equazione del precedente sistema, che sostituisce la seconda equazione di Fried-mann, ma che non è indipendente da essa, può ottenersi manipolando opportunamente leequazioni di Friedmann (cfr. [11]) ed altro non è se non un’equazione di continuità che es-prime la conservazione della densità di energia del fluido cosmologico, dettandone, quindi,l’evoluzione dinamica nella geometria di Robertson-Walker.

2.2.1 Soluzioni del Modello Standard

Per risolvere il sistema 2.2.0.3 o, equivalentemente, il 2.2.0.4 è necessario specificare il con-tenuto materiale dell’universo. All’interno del quadro del modello cosmologico standard, siassume che il fluido cosmico, oltre ad essere perfetto, risulti barotropico, in modo tale chel’equazione di stato dello stesso si concretizzi in una semplice relazione di proporzionalità

19

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diretta tra pressione e densità di energia18

p = γρ. (2.2.1.1)

Le osservazioni sperimentali più elementari inducono a credere che le uniche componenti delfluido cosmico siano la radiazione e la materia non relativistica (stelle, pianeti, asteroidi...).Più precisamente, si assume che

ρ = ρr + ρm, p = pr + pm

e che sia radiazione che materia non relativistica possano essere trattate alla stregua di fluidiperfetti barotropici disaccoppiati, per cui valga sepratamente l’equazione di continuità

ρk + 3H (ρk + pk) = 0, k = r,m. (2.2.1.2)

Secondo questo punto di vista, le equazioni di stato per il fluido “radiazione” e per il fluido“materia non relativistica” sono rispettivamente

pr = 13ρr

(γr = 1

3

)pm = 0 (γm = 0)

. (2.2.1.3)

Risolvere in forma chiusa le equazioni di Friedmann quando si considerano contemporanea-mente tutte le componenti del fluido cosmico è impresa assai ardua se non impossibile; ana-liticamente, non resta che studiare l’evoluzione cosmica in maniera fisicamente approssimata,cioè assumendo che l’universo sia pervaso da un solo tipo di fluido alla volta. Ciononostante,si è comunque in grado di fare delle previsioni ragionevoli, come può constatarsi sulla base diquanto segue. Si consideri l’equazione di continuità 2.2.1.2 per il fluido “radiazione”. Facendouso dell’opportuna equazione di stato, risulta

ρr + 3H (ρr + pr) = ρr + 3H

(ρr +

1

3ρr

)=

18Si definisce fluido barotropico un fluido in grado di esercitare una pressione costante sulle superfici diuguale densità. Poichè, rispetto ad un osservatore fondamentale, il fluido si presenta omogeneo ed isotropo,come prescritto dal principio cosmologico, la densità dello stesso è ovunque costante (in prima approssi-mazione) ed è così giustificata la forma dell’equazione di stato.

20

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= ρr + 4Hρr = 0.

Ne segue che

dρrρr

= −4da

a=⇒ ρr = ρ0ra

−4. (2.2.1.4)

Procendendo analogamente a quanto appena fatto anche per quel che riguarda la materianon relativistica, si ottiene

ρm = ρ0ma−3. (2.2.1.5)

Graficando gli andamenti della densità di energia di ogni tipo di fluido in funzione del fattoredi scala, qualitativamente, si osserva quanto segue.

Se ne conclude che l’andamento del fattore di scala è comunque influenzato da un solo tipodi fluido alla volta: per piccoli valori di a, il contributo radiativo è predominante rispetto aquello materiale circa le sorti dell’evoluzione cosmica; per valori di a via via crescenti, invece,i ruoli si invertono.

21

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A seguire verranno studiate con maggior dettaglio le equazioni di Friedmann, distinguendo ivari casi che si presentano al variare e del tipo di fluido e del valore del parametro di curvaturak, che, si ricorda, può assumere solo i valori −1, 0, 1.

RADIAZIONE In questo caso, come già detto, risulta γr = 1/3, pertanto le equazioni diFriedmann saranno

aa

= −83πGρr

a2+ka2

= 83πGρr

. (2.2.1.6)

Sostituendo la seconda equazione del sistema nella prima e rielaborando algebricamente(tenendo conto anche del significato fisico degli oggetti trattati), si ha

aa+ a2 + k = 0.

Osservando che D (aa) = aa+ a2, si conclude che

d

dt(aa) = −k ⇐⇒ aa = −kt+ ω,

con ω costante di intergazione. Ancora, mediante una separazione di variabili, si provabanalmente che

a2 = −kt2 + ωt+ ξ

da cui

a (t) =√−kt2 + ωt+ ξ, (2.2.1.7)

con ξ altra costante di integrazione. Si osservi che ovunque esista il radicando della precedenteequazione, la funzione radice è per definizione non negativa; ne segue che la soluzione a < 0

può scartarsi a priori.Per k = −1, la legge oraria del fattore di scala diventa

a (t) =√t2 + ωt+ ξ, con ω ≡ ω. (2.2.1.8)

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Dallo studio del dominio di definizione del radicando della precedente, pur senza saperel’effettivo valore delle costanti di integrazione, si conclude che, per t→ +∞, a (t) ∼ t, cometestimoniato dal seguente grafico19.

Per k = 0, invece, la legge che governa l’evoluzione temporale del fattore di scala è

a (t) =√ωt+ ξ, ∀t ≥ ξ

ω. (2.2.1.9)

Si osservi che ω non può essere nulla, dal momento che se lo fosse si contraddirebbe l’osservazionesperimentale di Hubble circa l’espansione dell’universo. Inoltre, sempre per accordare il più

19I parametri utilizzati per graficare gli andamenti di a (t) al variare di ∆ = ω2 − 4ξ, pur essendo relativa-mente arbitrari, sono stati calibrati in modo tale che si riproducesse il fatto sperimentale a > 0.

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possibile le previsioni con i dati sperimentali è opportuno assumere ξ = 0.20 Qualitativamente

Per k = 1, infine, si ottiene quanto segue.

a (t) =√−t2 + ωt+ ξ. (2.2.1.10)

Ovviamente, affinchè a (t) risulti maggiore di zero, è necessario che anche il radicando siatale, ovvero ogniqualvolta ω2 + 4ξ ≥ 0. Casi diversi da quest’ultimo non hanno alcun signi-ficato fisico, dal momento che o a (t) < 0 o a (t) = 0, ∀t. Un grafico che riporti l’andamentoqualitativo di a (t), ottenuto gestendo i parametri liberi come più volte riportato è il seguente.

20Tale assunzione non è in alcun modo vincolante; in vista di osservazioni future, si pone ξ = 0 in mododa avere un Big Bang a t = 0.

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Nonostante il carattere particolare di quest’ultima soluzione, si ricordi, comunque, che dauna certa epoca in poi, per cui risulta a (teq) = aeq, l’evoluzione cosmica è determinata, quasiesclusivamente, dal contenuto materiale non relativistico.

MATERIA NON RELATIVISTICA In questo caso, come già anticipato nella pagineprecedenti, l’equazione di stato del fluido “materia non relativistica” è p = 0. Inserendo taledato nelle equazioni di Friedmann si ha

aa

= −43πGρm

a2+ka2

= 83πGρm

, (2.2.1.11)

da cui risulta

2aa+ a2 + k = 0.

Moltiplicando ambo i membri per a, la precedente può scriversi come

25

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d

dt

(aa2)

= −ka,

ottenendo

aa2 = C − ka. (2.2.1.12)

Per k = −1, l’equazione differenziale ordinaria governante l’evoluzione di a diventa

aa2 = C + a, (2.2.1.13)

da cui può provarsi banalmente risultare

da√Ca

+ 1= dt.

Una soluzione parametrica della precedente equazione, tale che risulti a (0) = 0, è la seguentea (u) = C

2(coshu− 1)

t (u) = C2

(sinhu− u). (2.2.1.14)

Per k = 0, la 2.2.1.12 diventa

aa2 = C. (2.2.1.15)

Immediatamente si conclude che una soluzione accettabile è

a (t) = Ct23 , (2.2.1.16)

con C costante opportuna.Per k = 1, infine, si ha

aa2 = C − a, (2.2.1.17)

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da cui

da√Ca− 1

= dt.

La funzione che risolve la precedente equazione è tale che il suo diagramma cartesiano rapp-resenti una cicloide per cui a (0) = 0.

a (u) = C2

(1− cosu)

t (u) = C2

(u− sinu). (2.2.1.18)

Condensando in un solo grafico le soluzioni appena calcolate si osserva quanto segue.

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CONCLUSIONI Raccogliendo le idee, quanto segue è quanto si evince dalle precedentisezioni: nell’ambito del modello cosmologico standard, l’universo è permeato da due tipi difluido, radiazione e materia non relativistica. Pur essendo presenti entrambi, l’evoluzionedinamica del fattore di scala è principalmente influenzata da un solo tipo di fluido alla volta.Prescindendo dal valore del parametro k, le analisi precedentemente condotte permettono diasserire che l’universo abbia avuto inizio quando il valore del fattore di scala era pressocchènullo, circostanza passata alla storia con l’appellativo di Big Bang. Tuttavia contrariamentea quanto si sarebbe portati a pensare, il Big Bang non è da intendersi come un’esplosionedi materia in uno spaziotempo pre-esistente; lo stato di quest’ultimo è anch’esso singolareall’istante di tempo cosmico in cui a comincia a crescere, pertanto non ha senso nè matem-atico nè fisico parlare dell’universo prima del Big Bang.

Dopo questo evento, il modello cosmologico standard prevede il dominio della radiazionesulla materia circa le sorti dell’evoluzione cosmica fino al raggiungimento di un valore diequilibrio aeq in un’epoca in cui i ruoli dei fluidi in questione si scambiano.

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3 Espansione Accelerata

Nel 1998, Adam Riess e collaboratori, compiendo osservazioni di carattere astrofisico 21,scoprirono che l’espansione dell’universo è accelerata, ovvero che a > 0. Pensando alleequazioni di Friedmann, ciò vorrebbe dire che

a

a= −4

3πG (ρ+ 3p) > 0.

Stando al modello cosmologico standard, questa situazione è assolutamente paradossale vistoche, sia per la radiazione che per la materia non relativistica, risulta ρ > 0 e p ≥ 0. Neldettaglio, stando ai dati attuali, ρm (t0) ' 104ρr (t0), per cui, seguendo il modello cosmologicostandard, l’epoca attuale dovrebbe corrispondere alla fase dell’evoluzione cosmica dominatadalla materia non relativistica. Se però a > 0, prendendo per buone le equazioni di Einstein,il totale contenuto di materia ed energia dell’universo dovrebbe essere tale che

ρ+ 3p < 0.

La contraddizione può superarsi se si ammette l’esistenza di un’ ulteriore forma di fluidocosmico capace di verificare la precedente e tale da risultare dominante nello stadio attualedell’evoluzione dell’universo. A questo fluido viene dato il nome di energia oscura e saràoggetto di studio delle prossime sezioni.

3.1 La Costante Cosmologica

Nel 1917, Albert Einstein, elaborando un suo primo modello cosmologico basato sui risultatidella neonata relatività generale (modello cosmologico standard), arrivò ad una soluzioneinaccettabile per il suo intuito, ovvero un universo dinamico, pertanto introdusse (con unabuona dose di scetticismo) un certo termine costante, la costante cosmologica appunto, checompensasse il contributo dinamico del fluido cosmico allo scopo di ottenere un universostatico. Chiaramente, quando Hubble nel 1929 rese pubblici i risultati delle sue osser-vazioni, anche Einstein dovette accettare la dinamicità dell’universo e rigettare l’ipotesi dellacostante cosmologica. Oggigiorno, però, sulla scorta della scoperta evidenziata del 1998 circal’espansione accelerata, la costante cosmologica è stata reintrodotta, questa volta con unsignificato ovviamente diverso da quello che inizialmente le venne attribuito da Einstein.

21The Astronomical Journal, 116: 1009-1038, 1998 September.

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Le condizioni poste nel paragrafo 4.3.1 per la determinazione dell’azione del campo gravi-tazionale saranno sempre soddisfatte se allo scalare di RicciR si aggiunge un termine costante,ovvero se si sceglie, ad esempio

S =c4

16πG

∫(R− 2Λ)

√−gd4x,

dove Λ è l’ormai famosa costante cosmologica, il cui valore dovrà essere tale che nel limitedi campo debole si possa sempre riottenere un valore classicamente descritto delle leggi diNewton. Invocando un principio di azione stazionaria si prova che δS = 0 se e solo se

Gµν =8πG

c4Tµν − Λgµν . (3.1.0.1)

Dalla precedente può dirsi che il contributo della costante cosmologica può identificarsi conquello di un fluido perfetto, l’energia oscura, avente densità di energia ρ = Λ (quindi costante)e pressione p = −Λ = −ρ. Infatti, in un sistema di riferimento solidale ad un osservatorefondamentale in cui sia stato fissato un sistema di coordinate comoventi, risulta

(Tµν

)=

ρ 0 0 0

0 p 0 0

0 0 p 0

0 0 0 p

= Λ

1 0 0 0

0 −1 0 0

0 0 −1 0

0 0 0 −1

= Λ (ηµν) ,

dove (ηµν) è il tensore metrico di Minkowski.Ad ogni modo, ammettendo che anche questa componente fluida del cosmo risulti barotropica,segue che la costante di proporzionalità tra pressione e densità di energia è pari a −1, cioèγ = −1.

3.2 Modelli Cosmologici con Λ 6= 0

Sulla scorta della 3.1.0.1, le equazioni di Friedmann diventanoaa

= −4πG3

(ρ+ 3p) + 13Λ(

aa

)2= 8πG

3ρ− k

a2+ 1

. (3.2.0.1)

Si deduce subito che, se l’intento è quello di spiegare l’espansione accelerata dell’universo, Λ

non può che essere positiva. Inoltre, come già detto, pur essendo trattabile alla stregua di

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un fluido perfetto barotropico, si è preferito separare, al fine di evidenziarne maggiormenteil ruolo, il contributo dell’energia oscura da quello degli altri fluidi presenti.Prima di procedere con l’analisi di un modello cosmologico con costante cosmologica nonnulla, si premettono i seguenti fatti.Si consideri l’equazione di Friedmann(

a

a

)2

=8πG

3ρ− k

a2.

Ricordando la definizione del parametro di Hubble, la precedente può scriversi come

k

a2=

8πG

3ρ−H2.

Qualora ρ assumesse il valore

ρc =3H2

8πG,

k si annullerebbe; in altri termini il valore della densità di energia totale dei fluidi compo-nenti l’universo determina la geometria dello stesso. ρc prende il nome di densità critica.Defininendo

Ωk = − k

a2H2e Ω =

ρ

ρc,

l’equazione di Friedmann in questione diventa

1 = Ω + Ωk.

Per amor di precisione, se vogliono mettersi in risalto tutte le componenti di fluido cosmicoesistenti, allora si dovrebbe più propriamente scrivere

1 = Ωk +∑n

Ωn, dove Ωn =ρnρc.

Oggigiorno (vd. [13]) i dati sperimentali consentono di affermare che Ωk ' 0 (universo

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spazialmente quasi piatto) e che22

ΩΛ ≡Λ

3H20

' 0.73± 0.04, Ωm ≡ρmρ0c

' 0.27± 0.04, Ωr ≡ρrρ0c

' 5 · 10−5,

dove ρ0c = 3H20/8πG. Ha senso allora considerare, come esempio di evoluzione cosmica, il

caso ρr = k = 0 e ρm 6= 0 6= Λ. Così facendo, si haaa

= −4πG3ρm + 1

3Λ(

aa

)2= 8πG

3ρm + 1

.

Moltiplicando la prima per 2 e sostituendo nella seconda si ha

a2

a2+ 2

a

a= Λ ⇐⇒ 2aaa+ a3 = Λaa2 ⇐⇒ d

dt

(aa2)

= Λda

dta2

⇐⇒ aa2 =1

3Λa3 + C ⇐⇒ a2 =

C

a+

1

3Λa2,

dove C è un’opportuna costante di integrazione ricavabile dalle condizioni iniziali (ad esempioammettendo un modello con big bang, a (t0 = 0) = 0). Tenendo presente che a > 0, si ha

da√Ca

+ 13Λa2

= dt.

Ancora una volta, supponendo che a (t0 = 0) = 0, integrando la precedente può concludersiche23

a3 (t) =3C

[cosh

(√3Λt)− 1]. (3.2.0.2)

22Sebbene non sia oggetto di indagine del presente lavoro, si tenga presente che circa l’82% del quantitativomateriale che entra a far parte del conteggio di Ωm è materia oscura. Più chiaramente Ωm = ΩDM + Ωb,dove ΩDM ' 0.23± 0.02 e Ωb ' 0.04± 0.02.

23vd. [3].

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Per grandi valori di t, a (t) ' exp(√

Λ3t), infatti si ha

a2 =C

a+

1

3Λa2 ≈ 1

3Λa2 ⇒ a =

√Λ

3a.

La soluzione a (t) ' exp(√

Λ3t)

è detta soluzione di De Sitter ; sebbene rappresenti ununiverso riempito di sola energia oscura, approssima, almeno teoricamente, molto benel’evoluzione cosmica per grandi valori di t.

4 Conclusioni

Pur trattandosi di un primo semplice modello in grado di spiegare alcuni fenomeni e di fornireun’idea intuitiva circa l’evoluzione cosmica, il modello cosmologico standard non può dirsicompleto ed esauriente. Molti sono i problemi non trattati in questa sede (materia oscura,piattezza...).

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L’introduzione del concetto di energia oscura, sebben efficace entro certi limiti, solleva moltealtre questioni. Se ne elencano alcune:

1. Che cos’è l’energia oscura? Nelle sezioni precedenti si è introdotta la costante cosmo-logica e si è constatato che il suo contributo poteva essere identificato con quello di uncerto fluido che riempie l’universo, ma quale sia la sua effettiva origine e/o natura ri-mane un mistero. Nel 1933 G. Lemaitre propose che Λ potesse rappresentare la densitàdi energia del vuoto. Prendendo per buona tale ipotesi e ammesso che il ruolo sia dicompetenza dell’energia oscura, si sarebbe in grado di stabilire un ordine di grandezzaper Λ (cosa impraticabile in ambito classico). I dati sperimentali forniscono un valore diρ

(exp.)Λ ' 10−48GeV , mentre il valore teoricamente calcolabile implementando la teoria

quantistica dei campi è ρ(th.)Λ ' 1072GeV . 120 ordini di grandezza di differenza! Questa

circostanza è nota come problema della costante cosmologica.

2. Come mai i dati sperimentali odierni sono tali che Ωm + ΩΛ ' 1 dopo un’evoluzionecosmica di almeno 12 miliardi di anni visto che ρm ' a−3 (chiedere meglio al Prof).Questo problema è detto problema della coincidenza cosmica.

3. La costante cosmologica è effettivamente costante?

Nel corso degli anni, questi ed altri problemi hanno spinto gli studiosi a rivedere comple-tamente il modello introduttivamente descritto in queste pagine, dando alla luce teorie in-novative, che tutt’ora costituiscono la spinta propulsiva della moderna ricerca cosmologica,sia teorica che sperimentale. Ad esempio, e in breve, visto che le equazioni di Friedmanndiscendono direttamente dall’equazione di campo di Einstein

Gµν =8πG

c4Tµν ,

le linee di ricerca intendono modificare o il tensore energia momento, ammettendo che esistanofluidi esotici non ancora osservati sperimentalmente (costante cosmologica, Λ dipendentedal tempo, teorie di campi scalari, dark matter...), o il tensore di Einstein, dando vitaalla teoria quantistica dei campi su varietà curve, alle teorie f (R), alla teoria dellestringhe, ecc...Concludendo, essendo l’uomo un essere indubbiamente finito, che non ha e non avrà mai imezzi per sondare la mente di Dio, si è portati a credere che un’effettiva risposta completa edesauriente (una teoria del tutto) possa non arrivare mai. Ciononostante, perchè non tentare?

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5 Appendici

5.1 Accenni di Geometria Differenziale

In questa sezione si riportano le principali idee, tipiche della geometria differenziale, che con-sentono di trattare con estrema naturalezza e semplicità gli argomenti di fisica esposti nellesezioni precedenti. Per il prosieguo, si assumeranno note tutte le nozioni di analisi matem-atica, topologia ed algebra lineare coinvolte.

Definizione 5.1: Si chiama spazio localmente euclideo di dimensione n uno spazio topo-logico V che ammetta un ricoprimento aperto Uaa∈α e, per ogni a ∈ α, un omeomorfismoca di Ua in un aperto ca (Ua) ∈ Rn. Una coppia (Ua, ca) è detta n-carta locale su V , mentrela totalità delle carte (Ua, ca)a∈α prende il nome di atlante su V .

Osservazione 5.1: Sia V uno spazio localmente euclideo di dimensione n. La carta locale(Ua, ca) è il mezzo col quale parametrizzare localmente lo spazio topologico in questione.Infatti

ca : p ∈ Ua ⊂ V → ca (p) =(x1p, x

2p, . . . x

np

)≡ xp ∈ ca (Ua) ⊂ Rn;

l’n-upla xp individua un possibile set di coordinate locali del punto p ∈ V .

Osservazione 5.2: Siano Ua, Ub due aperti del ricoprimento Uaa∈α di V tali cheUa ∩ Ub 6= ∅. L’applicazione

cb c−1a :

(xia)∈ ca (Ua ∩ Ub)→

(xjb)∈ cb (Ua ∩ Ub) ,

dove xjb = xjb (xia), con i, j = 1, 2, . . . , n, è un omomorfismo tra aperti di Rn che esprime ilcambiamento di coordinate locali per tutti i punti di V contenuti in Ua ∩ Ub. Lo stesso puòdirsi per l’applicazione inversa

ca c−1b :

(xjb)∈ cb (Ua ∩ Ub)→

(xia)∈ ca (Ua ∩ Ub)

dove xia = xia(xjb), con i, j = 1, 2, . . . , n.

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Definizione 5.2: Un atlante di uno spazio localmente euclideo V si dice differenziabiledi classe Ck, con k intero non negativo, se tutti i suoi cambiamenti di coordinate locali sonodiffeomorfismi di classe Ck; si dice semplicemente differenziabile, se tutti i suoi cambiamentidi coordinate locali sono C∞-diffeomorfismi.

Osservazione 5.3: Sia Vn uno spazio localmente euclideo di dimensione n che am-metta un atlante differenziabile. Nell’insieme degli atlanti differenziabili di Vn si introduce laseguente relazione: gli atlanti A e B sono equivalenti se e solo se la loro unione è ancora unatlante differenziabile di Vn. Questa relazione suddivide l’insieme degli atlanti differenziabilidi Vn in classi di equivalenza, dette strutture differenziabili di Vn.

Definizione 5.3: Sia Vn uno spazio localmente euclideo di dimensione n, di Hausdorffe a base numerabile. La coppia

(Vn,[(Ua, ca)a∈α

])costituisce una varietà differenziabile

di dimensione n; lo spazio Vn, col quale, con abuso di notazione si indicherà una genericavarietà a seguire, è detto sostegno della varietà.

Osservazione 5.4: Stando alle definizioni precedenti, si è portati a pensare che nellacostruzione di una varietà differenziabile, il primo passo da compiere sia la dimostrazione cheil generico sostegno in esame costituisca uno spazio topologico. Ebbene, non è così; tutto ciòche serve è coordinare tale insieme introducendo delle opportune carte e quindi degli atlanti.Per una esplicita dimostrazione di quanto appena detto, si consultino, ad esempio, [5],[6].

Definizione 5.4: Siano Vm e Vn due varietà differenziabili. La qualsiasi applicazionef : Vm → Vn si dice differenziabile nel punto p ∈ Vm se esistono le carte (U, φ) e (W,ψ) diVm e Vn rispettivamente, tali che p ∈ U , f (p) ∈ V , f (U) ⊆ W , e la funzione

ψ f φ−1 : φ (U) ∈ Rm → ψ (V ) ∈ Rn

risulti differenziabile.

Definizione 5.5: Si dice cammino differenziabile di Vn la generica applicazione differen-ziabile γ : (a, b) → Vn, con (a, b) intervallo non banale dell’asse reale, dotato della strutturanaturale di varietà differenziale.

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Osservazione 5.5: Siano I un intervallo dell’asse reale contenente lo 0, Vn una varietàdifferenziabile e p un punto di Vn. Si consideri il cammino

γ : I → Vn 3′ γ (0) = p.

In un opportuno intorno di p, Vn non è diversa da Rn; pertanto γ ' γ, dove

γ : t ∈ I → γ (t) =(γ1 (t) , . . . , γn (t)

)∈ Rn

è una parametrizzazione di una curva differenziabile di Rn, le cui componenti rappresentanole equazioni locali di γ. Queste equazioni sono definite in un intorno H ⊆ I di 0.

Definizione 5.6: Sia Vn una varietà differenziabile, p un suo punto ed I un intervallonon banale di R contenente 0. Detto γ : I → Vn un cammino differenziabile di Vn tale cheγ (0) = p, si chiama derivato in p di γ nella carta (Ua, ca), tale che p ∈ Ua, l’n-upla di reali(ui) dove

ui =

(dγi (t)

dt

)t=0

.

Osservazione 5.6: Effettuando un cambiamento di carte locali (Ua, ca) → (Ua′ , ca′)

mediante equazioni del tipo x′i = x′i (x1, . . . , xn), posto xi = γi (t) e x′i = γ′i (t), si ha

u′i =dγ′i (t)

dt=∂x′i

∂xhdγh (t)

dt=∂x′i

∂xhuh.

Pertanto, noto il derivato di γ in p in una certa carta, la precedente espressione consentedi calcolarlo in qualunque altra carta contenente il punto ricorrendo semplicemente ad unprodotto matriciale tra la matrice jacobiana della trasformazione e il derivato di partenza.

Proposizione 5.1: Sia Vn una varietà differenziabile e p un suo punto. Sia, inoltre,(Ua, ca) una carta contenente tale punto. Data una qualunque n-upla di scalari (ui) esisteun cammino differenziabile γ : I → Vn 3′ γ (0) = p che ammette come derivato in p l’n-upladata. 2

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Osservazione 5.7: Dalle leggi di trasformazione del derivato in un punto p, si concludeche se due cammini γ, γ′ hanno uguale derivato in p in una certa carta, così sarà in ogni altracarta contenente p. In seguito, si indicherà con Γp l’insieme di tutti i cammini differenziabiliγ passanti per p definiti su un intervallo I simmetrico dell’asse reale tale che γ (0) = p.

Definizione 5.7: Siano Vn, p ∈ Vn, Γp. I cammini γ, γ′ ∈ Γp sono equivalenti se e solo seil loro derivato in p coincide24. Tale relazione d’equivalenza ripartisce Γp in classi; indicatocon TpVn l’insieme quoziente, TpVn prende il nome di spazio tangente a Vn in p. Ogni ele-mento di TpVn, una classe di equivalenza di cammini, si chiama vettore tangente a Vn in p.

Proposizione 5.2: TpVn è uno spazio vettoriale reale, isomorfo ad Rn.

dim.

1. TpVn è uno spazio vettoriale reale.Sia k ∈ R e siano t1, t2 ∈ TpVn. In una certa carta locale siano (ui1) , (ui2) i derivati in pdei cammini contenuti in t1, t2 rispettivamente. Per la proposizione 5.1 esisteranno deicammini γ, γ ∈ Γp tali che i loro derivati in p saranno rispettivamente (ui1 + ui2) , (kui1).Dette t, t le classi dei cammini equivalenti rispettivamente a γ e γ, risulta

t = t1 + t2, t = kt1.

2. TpVn è isomorfo ad Rn.Scelta una carta (Ua, ca) di p, l’applicazione

Fa,p : TpVn → Rn

che ad ogni vettore tangente associa il derivato in p nella carta scelta è un isomorfismo,banalmente dalla proposizione 5.1.

Osservazione 5.8: Le controimmagini tramite Fa,p della base canonica di Rn costituisconouna base (e1, . . . en) per TpVn detta base naturale rispetto alla carta (Ua, ca). Passando

24La definizione è ben posta dal momento che, come si è detto, è indipendente dalla scelta della cartalocale.

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dalla carta (Ua, ca) alla carta (Ua′ , ca′), ovvero considerando la trasformazione locale x′i =

x′i (x1, . . . , xn) , ∀i, risulta

e′k =∂xh

∂x′keh.

Inoltre, l’n-upla di scalari di un generico vettore tangente costituente le componenti dellostesso in tale base altro non è se non il derivato del vettore in questione nella carta (Ua, ca).

Osservazione 5.9: Da un punto di vista leggermente diverso, eventualmente più comodoper gli scopi analitici, ma in tutto e per tutto equivalente a quello in questa sede presentato,si può definire un vettore tangente ad un varietà in un suo punto come quella n-upla discalari che nel passare da una carta locale ad un’altra del punto in esame si trasforma comenell’osservazione 5.6. Un tale vettore tangente è anche detto, a futura memoria, tensore con-trovariante di rango 1; un tale approccio è tipico della scuola matematica russa del ’900.

Osservazione 5.10: Sia Vn e sia p un suo punto. In un opportuno intorno di p, comeormai ben inteso, Vn non è dissimile da Rn. Un vettore v ∈ Rn individua una direzione, inparticolare una direzione lungo cui, ad esempio, può essere derivato un campo scalare regolare.Pertanto, detta (Ua, ca) una carta locale di p, sia f : Vn → R; localmente f ≡ f (x1, . . . , xn)

(abuso di notazione per f c−1a ), quindi, se vp ∈ TpVn, è ben definita la derivata di f lungo

vp. Infatti

vp (f) = Dvp (f) = ui∂f

∂xi

∣∣∣∣p

=

(ui

∂xi

∣∣∣∣p

)f,

dove (ui) è il derivato di Vn in p, nella carta locale (Ua, ca). Può provarsi che gli spazi vetto-riali TpVn e DpVn

25 sono isomorfi, quindi è possibile identificare un vettore tangente vp conuna derivazione di un qualsiasi campo scalare differenziabile lungo vp stesso, giustificando,in conclusione, la seguente definizione.

Definizione 5.8: Sia Vn una varietà differenziabile e sia p un suo punto. Detto F (Vn)

l’insieme delle applicazioni differenziabili f : Vn → R, un vettore tangente in p è un’applicazionelineare vp : F (Vn)→ R che soddisfa la regola di Leibniz. Detta (Ua, ca) una carta locale di p,relativamente alla quale (x1, . . . , xn) costituisce un sistema di coordinate locali, le derivazioni

25insieme delle derivazioni di campi scalari definiti su Vn in p.

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∂x1

∣∣∣∣p

, . . . ,∂

∂xn

∣∣∣∣p

formano una base locale per lo spazio tangente TpVn.

Definizione 5.9: Sia Vn una varietà differenziabile. L’insieme

F = Up∈Vn

TpVn

è detto fibrato tangente.

Proposizione 5.3: Sia Vn e sia F. F è una varietà differenziabile 2n-dimensionale. Sisuole chiamarla varietà tangente ed indicarla con F2n.

Definizione 5.10: Sia Vn una varietà differenziabile. L’applicazione differenziabile

σ : Vn → F2n

che ad ogni p ∈ Vn associa un vettore tangente σ (p) = vp a Vn in p, in modo che, in ognicarta locale, le componenti del derivato in p siano funzioni differenziabili delle coordinatelocali, si dice sezione di F2n o campo di vettori differenziabili su Vn.

σ : p ∈ Vn → vp = ui∂

∂xi

∣∣∣∣p

∈ F2n.

Si suole denotare l’insieme di tutti i campi di vettori differenziabili su Vn con X (Vn).

Definizione 5.11: Sia Vn una varietà differenziabile e sia p ∈ Vn. Detto TpVn lo spaziovettoriale tangente a Vn in p, il suo duale T ?p Vn prende il nome di spazio cotangente di Vn in p.

Osservazione 5.11: Come è noto nell’ambito dell’algebra lineare, se (e1, . . . , en) è labase naturale di TpVn, resta immediatamente individuata una base

(e?1, . . . , e?n

)in T ?p Vn

definita dalla condizione e?i (ej) = δij. Passando da una carta locale ad un’altra, i vettoridella base dello spazio cotangente si trasformano come segue.

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e?′i(e′j)

= δij = a′ihe?h

(∂xk

∂x′jek

)= δhka

′ih

∂xk

∂x′j

= a′ih∂xh

∂x′j⇐⇒ a′ih =

∂x′i

∂xh.

Definizione 5.12: Sia Vn una varietà differenziabile e sia p ∈ Vn un suo punto. Indicaticon TpVn, T ?p Vn rispettivamenti gli spazi tangente e cotangente di Vn in p, si definisce tensoreq volte controvariante e k volte covariante o di tipo (q, k) l’applicazione multilineare

T qk :

q volte︷ ︸︸ ︷T ?p Vn × . . .× T ?p Vn ×

k volte︷ ︸︸ ︷TpVn × . . .× TpVn → R.

E’ immediato dotare l’insieme dei tensori in p di tipo (q, k) di una struttura di spazio vetto-riale reale mediante le usuali operazioni di somma e prodotto per uno scalare. Tale spazio sidice spazio dei tensori di tipo (q, k) e si indica con T

(q,k)p .

Esempio 5.1: Stando alla definizione precedente, un tensore di tipo (1, 0) è l’applicazionelineare

T 10 : T ?p Vn → R,

pertanto T(1,0)p = (TpVn)??; ad ogni modo, essendo il biduale di un qualunque spazio vettoriale

V canonicamente isomorfo a V stesso, ecco che ogni v ∈ V può essere considerato un tensorecontrovariante di rango 1. Si recupera così quanto in parte anticipato nell’oss. 3.9 a propositodei vettori tangenti. Inoltre, sulla scorta di simili argomenti, anche la base di (TpVn)?? puòessere identificata con la base naturale di TpVn.

Un tensore di tipo (0, 1) è

T 01 : TpVn → R,

cioè un’applicazione lineare definita su uno spazio vettoriale a valori in R, ovvero un fun-zionale lineare, quindi T(0,1)

p = L (TpVn,R).

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Definizione 5.13: Sia Vn una varietà differenziale e p ∈ Vn. Detti T qp ∈ T(q,p)p e T kl ∈ T

(k,l)p

si definisce prodotto T qp per T kl l’applicazione multilineare

T qp T kl :

q+k volte︷ ︸︸ ︷T ?p Vn × . . .× T ?p Vn ×

p+l volte︷ ︸︸ ︷TpVn × . . .× TpVn → R

agente come segue

T qpTkl (v1, . . .vq+k,u1, . . . ,up+l) = T qp (v1, . . .vq,u1, . . . ,up)·T kl (vq+1, . . . ,vq+k,up+1, . . . ,up+l) .

Il tensore così definito è un elemento dello spazio vettoriale reale T(q+k,p+l)p .

Proposizione 5.4: Fissata una carta (Ua, ca) di Vn per p ∈ Vn e denotate con (ei) larelativa base in TpVn e con (e?j) la base duale associata in T ?p , le nr+s applicazioni

ei1 . . . eir e?j1 . . . e?js

di T(r,s)p costituiscono una base per T

(r,s)p detta base naturale rispetto alla carta (Ua, ca).

Effettuando un cambiamento di carta locale, da (ei) a (e′i) e da(e?j)a (e?j′), si ha

e′i1 . . . e′ir e?′j1 . . . e?′js =

∂xh1

∂x′i1. . .

∂xhr

∂x′ir∂x′j1

∂xk1. . .

∂x′js

∂xkseh1 . . . ehr e?k1 . . . e?ks .

dim.Per semplicità si proverà la proposizione nel caso in cui (r, s) = (1, 1). Siano u ∈ Tp e

v ∈ T ?p e sia tp ∈ T(1,1)p ; allora

tp (v,u) = viujtp(e?i, ej

)= e??i (v) e?j (u) tp

(e?i, ej

)=

= ei (v) e?j (u) tp(e?i, ej

)= tp

(e?i, ej

) (ei e?j

)(v,u) .

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Posto per brevità tp (e?i, ej) = tij, risulta tp = tij (ei e?j). Se tij (ei e?j) = 0 allora

0 = tij(ei e?j

) (e?h, ek

)= tijei

(e?h)e?j (ek) =

= tijδhi δ

jk = thk.

Si deduce che tp si scrive in modo unico come combinazione lineare delle applicazioni (ei e?j),pertanto questi n2 elementi costituiscono una base, la base naturale, di T(1,1)

p .Passando da una carta locale ad un’altra mediante una trasformazione del tipo x′l =

x′l (xm), con l,m = 1, . . . , n, i vettori della base naturale, ricordando come si trasformano lebasi di Tp e T ?p , si trasformano come segue

e′i e?′j =∂xh

∂x′i∂x′j

∂xk(eh e?k

).

Osservazione 5.12: Gli scalari tij si dicono componenti del tensore e, nel passare da unacarta locale di p ad un’altra si trasformano come segue.

t′ij = tp(e?′i, e′j

)= tp

(∂x′i

∂xke?k,

∂xl

∂xmel

)=

=∂x′i

∂xk∂xl

∂xmtp(e?k, el

)=∂x′i

∂xk∂xl

∂xmtkl .

Molti testi, soprattutto di fisica o di matematica di stampo russo, definiscono un tensorecome un oggetto le cui componenti si trasformano come sopra nel passare da una carta adun’altra. Come può constatarsi, il procedimento è assolutamente equivalente e la scelta diun approccio piuttosto che un altro è una mera questione di gusto. Vuole inoltre dirsi chel’intera teoria del calcolo tensoriale può essere introdotta a partire da generici spazi vettoriali,assolutamente svincolati dalle nozioni di varietà e spazio tangente.

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Definizione 5.14: Sia Vn una varietà differenziabile. Si chiama campo di tensori otensore differenziabile di tipo (r, s) su Vn l’applicazione

t : p ∈ Vn → tp ∈ T(r,s)p

in modo che, per ogni carta locale (Ua, ca) di Vn, le nr+s funzioni reali tj1...jri1...is(x1, . . . , xn), dove

ca (p) = (xi), componenti di tp nella base naturale di T(r,s)p nella carta (Ua, ca), siano differen-

ziabili. L’insieme di tutti i tensori differenziabili di tipo (r, s), dotato delle usuali operazioni disomma e prodotto per uno scalare, costituisce uno spazio vettoriale reale e si indica con T(r,s).

Definizione 5.15: Sia Vn una varietà differenziabile. Un tensore differenziabile g ∈ T(0,2),simmetrico, non degenere e con indice26 s costante su Vn si chiama tensore metrico pseudo-Riemanniano. Se Vn è connessa, la coppia (Vn,g) si chiama varietà pseudo-Riemanniana.Se s = n − 1, (Vn,g) si dice varietà Lorentziana; se s = 0 e g è definito positivo, (Vn,g) sidice varietà Riemanniana.

Definizione 5.16: Sia Vn una varietà differenziabile e sia X (Vn). Detti V,W ∈ X (Vn),la parentesi di Lie di V e W è l’applicazione

[V,W ] : f ∈ C∞ (Vn)→ [V,W ] f = VWf −WV f ∈ C∞ (Vn) .

La parentesi di Lie è un campo di vettori differenziabili; il suo valore in un punto p ∈ Vn èdato da

[V,W ]p f = Vp (Wf)−Wp (V f) .

Osservazione 5.13: Vuole chiarirsi il significato dell’ultima definizione. E’ noto che V eW , essendo vettori tangenti, sono delle derivazioni, ovvero, in una carta locale di p, possonoscriversi come

V = vi∂

∂xi

∣∣∣∣p

, W = wj∂

∂xj

∣∣∣∣p

.

26dimensione del massimo sottospazio in cui g è definito negativo.

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Allora

[V,W ]p f = vi[∂

∂xi

(wj

∂f

∂xj

)]p

− wj[∂

∂xj

(vi∂f

∂xi

)]p

∈ R.

Definizione 5.17: Sia Vn una varietà differenziabile. Una connessione affine è un’applicazione

∇ : (V,W ) ∈ X (Vn)×X (Vn)→ ∇VW ∈ X (Vn)

che soddisfa le seguenti proprietà in ogni punto di Vn:

1. ∇VW è F (Vn)-lineare in V ;

2. ∇VW è R-lineare in W ;

3. ∇V (fW ) = V (f)W + f∇VW, per ogni f ∈ F (Vn).

∇VW è detta derivata covariante di W rispetto a V .Inoltre, si definisce tensore di torsione, o semplicemente torsione, di una connessione

affine il campo di tensori (1, 2) definito da

T = ∇VW −∇WV − [V,W ] ∈ T(1,2).

Proposizione 5.5: Sia (Vn,g) una varietà pseudo-Riemanniana; esiste un’unica connes-sione affine tale che per ogni p ∈ Vn:

1. T = 0 ⇐⇒ [V,W ] = ∇VW −∇WV ,

2. Xgp (V,W ) = gp (∇XV,W ) + gp (V,∇XW )

per ogni X, V,W ∈ X (Vn). ∇ è detta connessione di Levi-Civita e vale la formula di Koszul

2gp (∇VW,X) = V gp (W,X) +Wgp (X, V )−Xgp (V,W ) +

− gp (V, [W,X]) + gp (W, [X, V ]) + gp (X, [V,W ]) .

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Osservazione 5.14: D’ora in avanti si assumerà sempre che ∇ sia la connessione diLevi-Civita.

Definizione 5.18: Sia Vn una variatà pseudo-riemanniana e sia (Ua, ca) una sua cartalocale. Detto (x1, . . . , xn) il sistema di coordinate locali indotto dalla carta, si chiamanosimboli di Christoffel di seconda specie le n3 funzioni reali Γkij tali che

∇∂i∂j = Γkij∂k, con i, j = 1, 2, . . . n.

Proposizione 5.6: Sia Vn una varietà pseudo-riemanniana e sia (Ua, ca) una sua cartalocale. Si ha:

1. ∇∂iY =(∂Y k

∂xi+ ΓkijY

j)

∂∂xk

;

2. Γkij = gkt

2

[∂gjt∂xi

+ ∂git∂xj− ∂gij

∂xt

],

per ogni Y = Y j∂j ∈ X (Vn). Inoltre, per p ∈ Vn, gp ∈ T(2,0)p è il tensore le cui componenti,

nella carta locale, si determinano mediante la relazione

gµνgνn = δµn

dove gνn sono le componenti del tensore metrico pseudo-riemanniano in tale sistema di coor-dinate.

dim.La 1 segue banalmente dalla condizione 3 cui soddisfa una connessione affine, una volta

scritto Y come combinazione lineare dei vettori della base naturale dello spazio tangente ∂i.La 2 si ottiene sostituendo V = ∂i,W = ∂j, X = ∂t nella formula di Koszul sfruttando che[∂i, ∂j] = 0, i 6= j.

Osservazione 5.15: Sfruttando le leggi di trasformazione del tensore metrico nel passareda un sistema di coordinate locali ad un altro, può provarsi che i simboli di Christoffel nonsono tensori.

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Osservazione 5.16: D’ora in avanti Z rappresenterà il generico campo vettoriale sullacurva α di Vn; in altri termini, detta α : I ⊆ R → Vn una curva di Vn, Z : t ∈ I → Z (t) ∈Tα(t)Vn; di seguito, si indicherà con X (α) l’insieme dei campi vettoriali definiti su α.

Nel caso di varietà pseudo-riemanniane esiste un’unica funzione che consente di calcolarel’evoluzione della variazione del campo Z lungo α, come riportato nella prossima proposizione.

Proposizione 5.7: Sia α : I → Vn una curva in una varietà pseudo-riemanniana. Alloraesiste un’unica funzione ′ : Z ∈ X (α)→ ′ (Z) = Z ′ = DZ

dt∈ X (α) tale che:

1. (aZ1 + bZ2)′ = aZ ′1 + bZ ′2, ∀a, b ∈ R;

2. (fZ)′ = dfdtZ + f DZ

dt, ∀f ∈ F (Vn);

3. (Vα)′ (t) = ∇α′(t)V, ∀t ∈ I, ∀V ∈ X (Vn);

4. ddtg (Z1, Z2) = g (Z ′1, Z2) + g (Z1, Z

′2).

Suddetta funzione, prende il nome di derivata covariante indotta.

Osservazione 5.17: La precedente proposizione afferma che, scelta una certa curva suuna varietà pseudo-riemanniana ed un campo vettoriale ivi definito, la derivata covarianteindotta è la funzione che associa al campo la sua derivata covariante quando questo varialungo la curva; ora, dal momento che la derivata covariante di un campo vettoriale è statadefinita per campi vettoriali definiti sull’intera varietà, ecco che Vα rappresenta la restrizione,di un siffatto campo, alla curva α coincidente con Z. Si fa, inoltre, notare che, a priori, nonè assicurata l’esistenza di un campo V che ristretto ad α sia Z; tuttavia, non si approfondiràtale questione assumendo che le condizioni necessarie perchè ciò sia vero siano sempre verifi-cate, rimandando il lettore interessato a testi più specifici.

Definizione 5.19: Sia α : I → Vn una curva su Vn e sia Z un campo ivi definito. Z sidice parallelo se e solo se Z ′ = 0.

Proposizione 5.8: Sia α : I → Vn una curva su una varietà pseudo riemanniana e siaz ∈ Tα(a)Vn, per qualche a ∈ I. Esiste un unico campo vettoriale parallelo Z definito su αtale che Z (a) = z.

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dim.Esprimendo la derivata covariante in un sistema di coordinate locali indotte da una certa

carta, si ottiene

Z ′ =

[dZk

dt+ Γkij

d (xi α)

dtZj

]∂

∂xk.

Richiedendo che Z ′ = 0, deve essere nulla ognuna delle espressioni a fattore del vettore tan-gente ∂k, ottenendo un sistema di equazioni differenziali ordinarie del primo ordine in Zk,con k = 1, . . . , n. Il teorema di esistenza e unicità della soluzione di un sistema di equazionidifferenziali ordinarie lineare conduce al risultato.

Definizione 5.20: Sia Vn una varietà pseudo-riemanniana e sia α : I → Vn. Siano inoltrea, b ∈ I e z ∈ Tα(a)Vn. L’applicazione

P : z ∈ Tα(a)Vn → P (z) = Z (α (b)) ∈ Tα(b)Vn

dove Z è l’unico (cfr. prop. 5.8) campo vettoriale parallelo ad α, si chiama trasporto parallelolungo α da α (a) ad α (b).

Definzione 5.21: Sia Vn una varietà pseudo-riemanniana e sia α : I → Vn una curvasu Vn. Detto x1, . . . , xn un sistema di coordinate indotto da una carta locale contenenteil sostegno di α, α è detta geodetica se e solo se il campo vettoriale α′ è parallelo o, incoordinate, risulta

d2(xk α

)dt2

+ Γkijd (xi α)

dt

d (xj α)

dt= 0, k = 1, . . . , n.

Esempio 5.2: Se Vn è lo spaziotempo di Minkwoski, si ha, per ogni p ∈ Vn, che

(gp)µν =

1 0 0 0

0 −1 0 0

0 0 −1 0

0 0 0 −1

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quindi i simboli di Christoffel sono sempre nulli; ne segue che le equazioni delle componentidella geodetica si riducono a

d2(xk α

)dt2

= 0, k = 1, . . . , n,

nota forma delle equazioni del moto di una particella libera in assenza di campi gravitazionali(come da Relatività Ristretta).

Definizione 5.22: Sia Vn una varietà pseudo-riemanniana e sia ∇ la connessione diLevi-Civita. L’applicazione

R : (X, Y, Z) ∈ [X (Vn)]3 → RX,YZ = ∇X∇YZ −∇Y∇XZ −∇[X,Y ]Z ∈ X (Vn)

definisce un campo tensoriale (1, 3) che prende il nome di tensore di curvatura di Riemann.

Proposizione 5.9: Il tensore di curvatura di Riemann soddisfa le seguenti proprietà:

1. Ru,vw = −Rv,uw;

2. gp (Ru,vw, z) = −gp (Ru,vz, w) ;

3. Ru,vw +Rw,uv +Rv,wu = 0;

4. gp (Ru,vw, z) = gp (Rw,zu, v) ;

per ogni u, v, w, z ∈ TpVn, per ogni p ∈ Vn. La condizione 3 è nota come prima identità diBianchi.

Proposizione 5.10: Il tensore di curvatura di Riemann soddisfa la seconda identità diBianchi.

(∇WR)U,V + (∇VR)W,U + (∇UR)V,W = 0,

dove (∇WR)U,V è definito da

(∇WR)U,V Z = ∇W (RU,VZ)−R∇WU,VZ −RU,∇WVZ −RU,V (∇WZ) .

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Osservazione 5.18: In un sistema di coordinate locali intorno a p ∈ Vn, può provarsiche le componenti del tensore di Riemann sono

Rαβµν = Γαβν,µ − Γαβµ,ν + ΓαkµΓkβν − ΓαkνΓ

kβµ

dove con la virgola si intende l’operazione di derivata parziale rispetto alla coordinata conindice pari a quello che segue la virgola stessa; in altre parole

Γαβµ,ν =∂

∂xν(Γαβµ)

e analogamente per gli altri casi.In conclusione di quest’appendice, si introducono, abbandonando, per semplicità e sintesi,

il procedimento algebrico, il tensore di Ricci e la curvatura scalare.Un qualsivoglia tensore di rango 2 che in una data carta locale di una varietà semi-

riemanniana ammetta come componenti le quantità

Rβν = Rαβαν

dove Rαβγδ è la generica componente del tensore di Riemann, si chiama tensore di Ricci. Dalla

definzione di tensore di Riemann si ha

Rβν = Γαβν,α − Γαβα,ν + ΓαkαΓkβν − ΓαkνΓkβα.

Lo scalare

R = Rµµ

dove Rµν = gµαRαν , con Rαν componente del tensore di Ricci, si chiama curvatura scalare.

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5.2 Tensore Energia-Momento ed Equazioni di Friedmann

Come detto nella sezione 2.2, un’ipotesi fondamentale per lo sviluppo matematico del modellocosmologico standard è l’assunzione che il quantitativo di materia ed energia che pervadel’universo possa essere trattato alla stregua di un fluido perfetto.

Un primo passo da compiere è, quindi, ricavare una forma esplicita del tensore energia-momento, optando per un percorso più immediato rispetto a quello che potrebbe prospettarsiimplementando una teoria di campo classica.

Si inizi col considerare una distribuzione, eventualmente dipendente dal tempo cosmico,di particelle non interagenti aventi ognuna massa a riposo m0. In letteratura, si è solitiriferirsi a tale sistema con l’appellativo di polvere. Per caratterizzare siffatto sistema, perogni evento P dello spaziotempo è sufficiente assegnare la densità ρ del fluido polvere e la sua3-velocità ~u, misurata in un certo sistema di riferimento inerziale. In S, sistema di riferimentoistantaneamente a riposo con la polvere, si ha ~u = ~0 e ρ0 = m0n0, dove m0 è la massa ariposo delle particelle, n0, il numero di particelle in un’unità di volume. Se S ′ rappresentasseun sistema di riferimento in moto con velocità di modulo v costante rispetto ad S, il volumeoccupato dal sistema polvere si contrarrebbe (per effetto delle trasformazioni di Lorentz) e letrasformazioni delle velocità sarebbero tali da far comparire un ulteriore fattore di Lorentzγv; in altre parole, la densità del sistema si trasformerebbe come

ρ′ = γ2vρ0.

Si conclude che, piuttosto che uno scalare, la densità del fluido polvere si trasforma come lacomponente 00 di un tensore di rango 2, suggerendo che la sorgente di un campo gravitazionalepossa essere matematicamente trattata mediante un tensore di rango 2. Un’ovvia scelta, cheverifica le proprietà di cui sopra, in ogni punto dello spaziotempo, è

T (x) = ρ0 (x) c2u (x)⊗ u (x) ,

dove ρ0 è la densità propria del fluido, misurata in un sistema di riferimento comovente, u,la quadrivelocità nell’evento x. Il tensore così introdotto si chiama tensore energia-momentodella distribuzione di materia considerata. Per capire il perchè del nome, detto P un gener-ico evento dello spaziotempo e (U, φ) una sua carta locale, le componenti controvarianti disuddetto tensore sono semplicemente

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T µν = ρ0c2uµuν .

Appossimando localmente lo spaziotempo intorno a P con lo spazio tangente TP , ovveroconsiderando un sistema di riferimento localmente inerziale intorno a P , la quadrivelocità delfluido è (uµ) = γ~u

(1, ~u

c

), pertanto

T 00 = ρ0u0u0 = ρ0γ

2~uc

2.

T i0 = T 0i = ρ0u0ui = ρ0γ

2~uc~u.

T ij = T ji = ρ0uiuj = ρ0γ

2~uu

iuj.

Fisicamente

• T 00 quantifica la densità di energia interna del sistema;

• T 0i quantifica un flusso di energia ×c−1 nell’i-esima direzione di moto;

• T i0 quantifica la densità di momento ×c nell’i-esima direzione di moto;

• T ij quantifica il tasso di flusso dell’i-esima componente del momento nell’unità di arealungo la direzione j.

E’ per via di queste identificazioni che T si chiama tensore energia-momento.Volendo generalizzare l’oggetto in essere a qualsiasi tipo di fluido, sempre relativamente adun sistema di riferimento istantaneamente a riposo, si osservi che:

• T 00 è la densità di energia totale del sistema, inclusi i contributi derivanti da forzeinterne ed agitazione termica;

• T 0i: pur essendo assente un moto complessivo, l’energia tra le particelle può sempreessere scambiata sotto forma di calore;

• T ij: il moto di agitazione termica delle particelle darà luogo ad un flusso di momento,di modo che T ii quantifica la pressione (isotropa) del fluido nella direzione i-esima, T ij,gli sforzi viscosi.

Un fluido perfetto è, per definizione, un fluido esente da qualsiasi manifestazione viscosa, chenon permette conduzione di calore tra due suoi punti qualsiasi, quando lo si studia in unsistema di riferimento ad esso comovente. Allora, in un tal sistema di riferimento, osservandoche uµ = (1, 0, 0, 0), il tensore energia momento è tale che

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(T µν) =

ρ0c

2 0 0 0

0 p 0 0

0 0 p 0

0 0 0 p

ovvero

T µν =(ρ0c

2 + p)uµuν − pηµν ,

dove ηµν è il tensore metrico di Minkowski. Dal principio di equivalenza, si conclude che

T µν =(ρ0c

2 + p)uµuν − pgµν , (5.2.0.1)

con ovvio significato dei simboli.A questo punto, premesso quanto sopra, si riportano i calcoli che permettono, nota la formadel tensore energia-momento per un fluido perfetto in coordinate comoventi, di ricavare leequazioni di Friedmann dall’equazione di campo di Einstein.Innanzitutto, si osservi che

Tµν =(ρ0c

2 + p)uµuν − pgµν

e che le uniche componenti non nulle si ottengono per µ 6= ν. Ne segue che le componentinon nulle del secondo membro della 2.2.0.1 sono

T00 −1

2Tg00 = ρc6 − 1

2ρc4 +

1

2pc4 + pc2 (5.2.0.2)

T11 −1

2Tg11 =

[ρc2 +

(c2 − 2

)p] a2

2 (1− kr2)(5.2.0.3)

T22 −1

2Tg22 =

[ρc2 +

(c2 − 2

)p] a2r2

2(5.2.0.4)

T33 −1

2Tg33 =

[ρc2 +

(c2 − 2

)p] a2r2sin2θ

2(5.2.0.5)

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Nota, poi, la forma del tensore metrico (forma di Robertson-Walker), dopo un bel po’ dicalcoli si conclude che gli unici simboli di Christoffel di seconda specie non nulli sono

Γ011 =

aa

c2 (1− kr2), Γ0

22 =r2aa

c2, Γ0

33 =r2sin2θaa

c2,

Γ101 =

a

a, Γ1

11 =kr

1− kr2, Γ1

22 = −r(1− kr2

), Γ1

33 = −r(1− kr2

)sin2θ,

Γ202 =

a

a, Γ2

12 =1

r, Γ2

33 = −sinθcosθ,

Γ303 =

a

a, Γ3

13 =1

r, Γ3

23 = cotθ.

Ancora, le componenti del tensore di Ricci non nulle, a loro volta, sono

R00 = −3a

a(5.2.0.6)

R11 =2a2 + aa+ 2c2k

c2 (1− kr2)(5.2.0.7)

R22 =r2 (2a2 + aa+ 2c2k)

c2(5.2.0.8)

R33 =r2sin2θ (2a2 + aa+ 2c2k)

c2(5.2.0.9)

Confrontando i membri dell’equazione di Einstein con µ = ν = i, i = 1, 2, 3, si pervienesempre alla stessa equazione. In particolare

(2a2 + aa+ 2c2k)

a2= κ

c2

2

[ρc2 +

(c2 − 2

)p], κ =

8πG

c4. (5.2.0.10)

La precedente è detta seconda equazione di Friedmann. Uguagliando, invece, i termini conµ = ν = 0 si ottiene

a

a= −κ

3

(ρc6 − 1

2ρc4 +

1

2pc4 + pc2

). (5.2.0.11)

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Quest’ultima è detta prima equazione di Friedmann27. Solitamente, suddette equazioni ven-gono scritte in un sistema di unità misura in cui c = 1, per ottenere

a

a= −4πG

3(ρ+ 3p)

2a2 + aa+ 2k

a2= 4πG (ρ− p) .

Sfruttando la forma di a della prima equazione di Friedmann e sostituendo nella seconda, siottengono le 2.2.0.3.

5.3 Teoria dei Campi Classici

Storicamente, la meccanica analitica nacque dai lavori di Joseph Louis Lagrange (torinesenaturalizzato francese) circa i sistemi meccanici aventi un numero finito di gradi di libertà.La potenza di tale formalismo è tuttavia utilizzabile anche per la descrizione di sistemi classicicon un numero infinito di gradi di libertà. A tale scopo, infatti, si introduce il cosiddettocampo ψ, funzione dipendente dalle coordinate spaziotemporali del sistema, ricoprente unruolo analogo a quello recitato dalle variabili lagrangiane qi. La sua dinamica è dettatadalla ben nota funzione densità di lagrangiana L, dipendente dal campo, dalle sue derivateprime28 ed eventualmente dalle coordinate spaziotemporali stesse. L’azione meccanica delsistema continuo in esame è per definizione

S =

∫Ω

LdΩ,

dove Ω è il generico dominio di integrazione, sottoinsieme della varietà spaziotempo su cui ègeneralmente definito il campo e dΩ una data misura (si ritornerà a breve su questo punto);le equazioni del moto del campo si determinano invocando il ben noto principio di Hamilton,ovvero

δS = 0.

27Queste equazioni vennero ricavate per la prima volta dal fisico russo Alexander Friedmann nel 1922, ben7 anni prima che Hubble compiesse le sue osservazioni.

28La sola dipendenza dalle derivate prime del campo fa sì, a futura memoria, che le equazioni del motorisultino equazioni differenziali di ordine non superiore al secondo.

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Così facendo, risulta

δS =

∫dΩδL =

∫dΩ

[∂L∂ψ

δψ +∂L

∂ (∂µψ)δ (∂µψ)

].

Ora, ammesso che δ (∂µψ) = ∂µ (δψ), osservato che

∂L∂ (∂µψ)

∂µ (δψ) = ∂µ

[∂L

∂ (∂µψ)δψ

]− ∂µ

[∂L

∂ (∂µψ)

]δψ

e che δψ|Ω = 0, si ha

δS =

∫dΩ

[∂L∂ψ− ∂µ

∂L∂ (∂µψ)

]δψ

= 0.

Ne segue che, vista l’arbitrarietà di δψ, δS = 0 se e solo se

∂L∂ψ− ∂µ

∂L∂ (∂µψ)

= 0. (5.3.0.1)

Per chiarezza notazionale, si tenga presenta che è stata adottata la convenzione di Einsteinper gli indici ripetuti. Detto ciò, la precedente equazione differenziale per il campo ψ èassolutamente analoga alle equazioni di Eulero-Lagrange note dall’ambito della meccanicaanalitica per le variabili generalizzate qi, dove i è un indice naturale che corre sul numero digradi di libertà del sistema.

5.3.1 Campo Gravitazionale

Per quanto riguarda il campo gravitazionale, prima di fare qualsiasi conto è necessario pre-disporre un apparato matematico che risulti compatibile sia con quanto appena detto circale teorie dei campi classici sia con quanto postulato da Einstein tramite il principio di equiv-alenza. In particolare, affinchè le equazioni descriventi la fisica abbiano la stessa forma intutti i sistemi di riferimento è necessario che l’azione risulti uno scalare. Può provarsi che lamisura invariante per qualsiasi trasformazione di coordinate è data da dΩ =

√−gd4x, dove

g è il determinante del tensore metrico. Ne segue che affinchè S sia uno scalare, tale dovràessere la quantità

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L√−g

= L.

In questo modo si chiarisce quanto riportato nella sezione 1.4.2.

References

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